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ISSN 1721-1700
Educare è crescere insieme
BOLLETTINO ASSOCIAZIONE PEDAGOGICA ITALIANA
Tariffa Roc: Poste italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n 46) art. 1 comma 1 – DCB – Roma – Aut. Trib. Bologna n. 4253 del 20-12-1972 DIREZIONE E REDAZIONE: Facoltà di Scienze della Formazione, via Concezione n. 8, 98121, Messina, fax 090-361349 - e-mail: presidente@aspei.org Stampa: Armando Armando s.r.l., viale Trastevere, 236 – 00153 Roma presso la C.S.R. srl Via di Pietralata 157 – 00158 Roma
SOMMARIO 1. Editoriale 2. A proposito di nursing transculturale 3. Scuola di qualità come scuola di legalità 4. Vita delle sezioni 5. Segnalazioni
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luglio-dicembre 2011
n. 3-4 TRIMESTRALE COMITATO DI DIREZIONE Prof.ssa Concetta Sirna
Presidente Nazionale As.Pe.I.
Prof.ssa Sira Serenella Macchietti Direttore Responsabile
Antonio Michelin Salomon Redattore capo
REDAZIONE N. Bellugi, A. Carapella, B. Grasselli, F. Galli della Loggia, A. La Marca, G. Serio, S. S. Villani
EDITORIALE
Siamo in tempo di crisi! Per troppi lunghi anni abbiamo disconosciuto, con proterva insipienza, la complessità dei processi in cui eravamo immersi ed i numerosi segnali delle tante crepe che rendevano sempre più fragile gli equilibri sociali e politici: abbiamo voluto illuderci che la tecnologia avrebbe potuto e saputo intervenire con aggiustamenti automatici capaci di migliorare e riorientare la direzione dello sviluppo in senso sempre più positivo e arricchente per tutti. Abbiamo irriso ai discorsi morali considerandoli tradizionalisti e superati ed abbiamo definito “profeti di sventure” coloro che preannunciavano come inevitabile l’emergenza e la crisi sia per il nostro paese che per il pianeta nel suo complesso. Tanti, sottovalutati e poco analizzati nei loro termini reali e nelle loro conseguenze sono stati i problemi ecologici, eccessive le disuguaglianze, quasi sempre sottaciute le ingiustizie e le prevaricazioni sociali. Ci siamo rifiutati di comprendere la genesi, lo sviluppo ed i dinamismi della crisi incombente per accontentarci di risposte ideologiche, ripetendo rassicuranti modelli preconfezionati e risposte ormai datate. La colpevolizzazione dell’avversario, additato come il vero soggetto dell’annunciato disastro, ha costituito troppo a lungo la strategia più gettonata. Invece di introdurre cambiamenti radicali e di adottare comportamenti particolarmente virtuosi, necessari per prevenire ed affrontare tempestivamente e durevolmente la pericolosa deriva in atto, si è preferito autoassolversi da ogni colpa, crogiolarsi tra ritardi, inerzie e prevaricazioni, fonti certe non soltanto di inefficienze e di perdite economiche ma anche di assurde ingiustizie, insopportabili disuguaglianze e disastrosi conflitti sociali. Abbiamo ritenuto, con colpevole insipienza, che la crisi fosse facilmente gestibile e controllabile, che non interessasse e corresponsabilizzasse ciascuno di noi, dal momento che si alimentava di quei comportamenti di spreco, immoralità, scorrettezza grande e piccola di cui è intessuta la quotidianità che ciascuno è disposto a tollerare e, ancor peggio, a mettere in atto. Nell’immaginario collettivo la crisi costituiva al massimo uno spauracchio per i soggetti più impressionabili e veniva sbandierata soltanto per scoraggiare rivendicazioni ulteriori. Tutti attenti al proprio “particolare”, invece, abbiamo dimenticato che era in ballo quel “bene comune” che condiziona e rende possibile il benessere di ciascuno e la cui assenza mette in pericolo l’esistenza stessa. Dilapidato il patrimonio del bene comune, costruito con l’apporto di tutti e alimentato di virtù personali oltre che di conoscenza e competenza, diventiamo tutti più poveri. Neppure i più furbi saranno esenti dalla catastrofe, che avranno contribuito ad accelerare, né potranno esorcizzarla solo per sé, con una virata magistrale, all’ultimo momento, prima di cadere nel baratro: non ci saranno ricchezze finanziarie o materiali, né competenze tecnico-scientifiche né alchimie giuridico-burocratiche capaci di far atterrare indenne la nave di chicchessia se continueremo a sbranarci e massacrarci mentre stiamo colando a picco. Cosa fare di fronte ad una politica che non riesce più a governare una finanza impazzita, di fronte a tante certezze che si rivelano effimere, a tanti poteri oscuri e malavitosi che continuano ad imperversare senza controllo? Non bastano più soltanto le lamentele, le denunce e le contrapposizioni, pur doverose ed utili in una fase iniziale. Quello che occorre è passare da un discorso destruens, “ANTI” qualcosa, ad uno construens, propositivo, che si gioca e 1
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scommetta a favore di qualcosa, “PRO”. È tempo di riprogettare un cammino comune che faccia tesoro di tutti gli errori e i problemi, a tutti i livelli, senza nasconderli o negarli, anzi a partire da essi riconfiguri e riorienti i processi in direzione di nuovi traguardi più condivisibili e accettabili. In una realtà come quella attuale dove i confini si annullano ed i confronti diventano diretti ed impietosi, non è possibile più giustificare deficienze, scorrettezze, degrado in nessun campo. Se vogliamo evitare la catastrofe occorre una decisa inversione di rotta: alla benevola indulgenza verso se stessi, ciascuno deve abituarsi a contrapporre lo sforzo di migliorarsi e di migliorare la qualità dei comportamenti, delle relazioni, dei servizi. Questo è l’unico vero strumento di autotutela sul quale possiamo contare: la capacità di rimanere perennemente disponibili al cambiamento ed alla crescita nell’impegno di partecipazione alla costruzione del bene comune. Il che coincide con l’idea di continuare tutti ad educarsi e a crescere insieme non soltanto nel senso di migliorare in capacità di analisi, conoscenze e competenze ma anche in autocontrollo, solidarietà e saggezza. Concetta Sirna
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A PROPOSITO DI NURSING TRANSCULTURALE Diletta Michelin Salomon “Se una persona si trova in difficoltà, il modo migliore di venirle in aiuto non è quello di dirle cosa fare (facendo attenzione al contenuto razionale di tale consiglio, ossia che sia realmente sensato rispetto alla situazione) quanto piuttosto quello di aiutarla a comprendere la sua situazione e a gestire il problema prendendo da sola e pienamente le responsabilità delle scelte individuali”. (F. Folgheraiter, Apprendere il counseling, Ed. Erikson, Trento 1995)
Le migrazioni sono “fatti sociali totali” cioè dei momenti cruciali della realtà degli uomini che coinvolgono nella loro totalità tutti i livelli sociali. Nel corso degli ultimi decenni i movimenti migratori, sia interni ai singoli paesi sia fra i paesi diversi, sono aumentati vertiginosamente. Il motivo di questi spostamenti è sempre lo stesso: la ricerca di cibo, acqua, lavoro, sopravvivenza e miglioramento delle condizioni di esistenza, altro non sono che la risposta alla ineguale distribuzione delle risorse, dei servizi e delle opportunità. Le migrazioni internazionali, inoltre, hanno rilevanti conseguenze economiche, sociali, demografiche e culturali sia sui paesi di origine, sia su quelli di transito, sia, infine, su quelli di più o meno lungo “approdo”. Infatti, tanto per proporre qualche esempio, per questi ultimi vi sono difficoltà relative alla gestione dei flussi migratori e all’integrazione dei migranti, mentre nei paesi di origine si assiste ad un’innegabile perdita di manodopera giovanile e, talvolta, qualificata, ma soprattutto si assiste ad un altrettanto innegabile sfilacciamento/ indebolimento delle strutture familiari. La dinamicità dei contesti sociali, che diventano sempre più multiculturali, evidenzia la necessità di porre al centro del processo di cura la persona, intesa come portatrice di valori, con bisogni che vanno soddisfatti in tempi e modalità suoi propri. La sfida da affrontare, soprattutto sul piano operativo e in campo delle professioni di aiuto (a tutto tondo!) alla persona, è quella di riuscire ad adeguare le competenze specifiche ai mutati ed emergenti bisogni della intera popolazione che, come si diceva, risulta essere alquanto variegata e portatrice di “domande” nuove e ognor cangianti. Oggi, infatti, risulta gravemente riduttivo non considerare come un tutt’uno strettamente interconnesso e correlato, per esempio le dimensioni della struttura fisiologica, della struttura sociale (sistema politico, fattori economici, fattori politici) e, infine, di quella culturale (valori, credenze, stili di vita). Quanto affermato vale anche (diremmo in special modo!) in contesti di “aiuto” estremamente tecnici e quasi routinari quale quello relativo alla malattia e al conseguente intervento terapeutico. La cura della persona bisognevole di aiuto sanitario-assistenziale non può prescindere, pertanto, dai valori che questa detiene come patrimonio culturale e dal suo stesso concetto di salute e di malattia. Prendersi cura significa, in tale prospettiva, prima di tutto conoscere la persona, riconoscerla come portatrice di valori, instaurare con lei una relazione efficace basata sull’incontro. Ci sia consentita una breve digressione sul concetto di cura che è entrato abbastanza recentemente nel lessico delle
scienze umane ed ha avuto un notevole successo tanto da divenire una sorta di “moda”. Senza dubbio la cura rappresenta un aspetto direi quasi consustanziale all’essere vivente che implica una condizione di dipendenza da parte di chi riceve cura nei confronti di chi la offre: tale cura, orbene, assume una molteplicità di significati e comprende un vasto orizzonte di esperienze umane che vanno dall’accudimento strettamente fisico, alla premura, alla solerzia, al coinvolgimento emotivo, all’impegno profuso, etc. Come si può notare, questi parametri di concernenza sono rintracciabili, per esempio, nella relazione duale madre/figlio, nel rapporto che vincola l’allievo al maestro, in tutte le attività di volontariato, e, non ultime nelle professioni sanitarie1. Infatti, ogni operatore socio-sanitario, che si trovi a lavorare in un contesto multiculturale, deve possedere quelle conoscenze, abilità tecniche e relazionali che lo liberino da preconcetti, pregiudizi e stereotipi e, soprattutto, che lo rendano, come si diceva, capace di incontrare l’altro su un terreno di rispetto e riconoscimento di valori reciproci. Ci sembrano particolarmente significative, a tal riguardo, le riflessioni proposte da Heidegger quando precisa che l’aver cura dell’altro può avvenire in due modi: il primo consiste nel “sostituire dominando” cioè quando l’aver cura fa sì che ci si intrometta al posto di chi dovrebbe essere curato, creando, di fatto, dipendenza e dominio; il secondo modo consiste nell’anticipare liberando, avendo cura dell’altro senza sostituirsi a lui e facendo sì che egli si appropri della sua cura, del suo prendersi cura del mondo e degli altri; quest’ultima modalità di aver cura, contrariamente al precedente, è autentico2. Nel campo della salute e del contesto assistenziale-sanitario interessanti ci sembrano le argomentazioni di D.A.Gaut, che considera alcune condizioni imprescindibili perché si passi, per così dire, dalla cura della malattia alle medical umanities. Tra le sei condizioni proposte da Gaut ci sembrano particolarmente significative l’attenzione, sia diretta che indiretta, ai bisogni della persona di cui ci si prende cura e la scelta di azioni (e relazioni) che, sulla base di ciò che è buono per il curato piuttosto che di ciò che è buono per il curante, possano consentire un cambiamento positivo nella persona curata3. Nello specifico del filone di studi sulla relazione operatore sanitario-paziente in ambito transculturale, Colasanti e Geraci hanno identificato cinque possibili livelli di incomprensione che è utile conoscere per rendere migliore la comunicazione e, conseguentemente, l’assistenza: si tratta di “incomprensioni”, evidentemente, che possono inquinare qualsiasi relazione operatore sanitario-paziente, ma che, in ambito transculturale, acquistano uno spessore particolare4. Il primo livello di incomprensione viene definito prelinguistico e consiste nella difficoltà di esprimere le proprie sensazioni interiori o perché gli assistiti non sono consapevoli di alcuni loro vissuti o perché ritengono che quanto pensano, in riferimento alla propria malattia o alle sue origini, non sia rilevante o non possa essere compreso o accettato. In ambito tranculturale la difficoltà può essere ancora maggiore perché l’approccio con la propria interiorità varia in funzione dell’appartenenza culturale e dei “fantasmi” (mentali, comportamentali, etc.) che ne derivano. Nell’etnopsichiatria (l’ambito della psichiatria che si occupa della sofferenza psichica contestualizzandola ai riferimenti cultuali del paziente), ad esempio, si può vedere come molto raramente un paziente africano esprima i suoi sospetti eziologici nei confronti di una sofferenza psichica; lo farà probabilmente solo dopo che avrà raggiunto una sufficiente fidu3
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cia nell’operatore. Questo perché la causa della sofferenza in genere è attribuita a cause soprannaturali, alla magia, alla stregoneria, alla possessione di spiriti: spiegazioni che un medico estraneo all’etnopsichiatria non farebbe fatica a comprendere in una diagnosi-disease di delirio, mentre si tratta semplicemente di un diverso sistema di riferimento per spiegare l’origine della malattia. Vi è poi il livello linguistico che comprende le innegabili e ovvie difficoltà connesse alla diversità di lingua parlata, ai fraintendimenti relativi alle diversità semantiche Strettamente connesso al precedente è il livello metalinguistico di incomprensione che va oltre il significato semantico delle parole, in quanto appartiene all’universo culturale dell’individuo ma anche alla sua vita personale (stati d’animo, emozioni), alle sue esperienze, ai suoi valori. Vi sono, infine, incomprensioni di tipo culturale e metaculturale: intese come livello in cui si esprime l’identità della persona che è la risultante di quanto l’individuo assorbe, in gran parte in modo inconsapevole (il primo), ma anche in maniera negoziabile (il secondo), dall’ambiente in cui vive (relazioni familiari e norme che le guidano, norme sociali, riferimenti religiosi, storici e mitologici del luogo in cui si cresce). Il non rispettare o il tenere in scarsa considerazione l’ambiente culturale e sociale degli assistiti può provocare problemi e conflitti in quanto l’incontro tra l’operatore sanitario ed il paziente rappresenta il concretizzarsi dell’incontro tra diverse visioni del mondo che comunemente determinano imbarazzi, disagi, diffidenze, rigidità e senso di profonda frustrazione. A tal riguardo la teoria della Culture Care sostiene ed incoraggia gli operatori socio-sanitari, durante l’operatività quotidiana a trovare uno spazio interiore (ma non solo interiore) da dedicare alla comprensione reciproca. L’assistenza così diventa una transazione, uno scambio di valori del Care per socializzare e conoscere i fattori che influenzano i modi di fornire e ricevere assistenza. Un’assistenza, pertanto, che pone attenzione alla persona intera, piuttosto che ad un particolare aspetto o ad una particolare condizione patologica e, conseguentemente, il rispetto della dignità, dell’autonomia e dell’unicità degli esseri umani5. Un’assistenza che affinchè sia realmente efficace dovrebbe organizzarsi tenendo conto del contesto in cui si esplica e dovrebbe declinarsi secondo i fattori di struttura sociale degli assistiti: la religione, la politica, la cultura, l’economia, il sistema di parentele. Dovrebbe, in definitiva, tener conto di quelli che complessivamente sono classificabili come dati interculturali. Queste preoccupazioni sono presenti in Madeleine Leininger, un’infermiera antropologa statunitense, che nel 1969 scriveva il primo libro di nursing transculturale, con l’obiettivo di sviluppare un corpo scientifico ed umanistico di conoscenze per dare indicazioni di assistenza infermieristica sia specifiche di singole culture sia universali”6. Per la Leininger la transcultural nursing ha l’obiettivo di “fornire con rispetto un’assistenza valida e competente a persone appartenenti a diverse culture che conduca alla salute o al benessere e che sia di aiuto nell’affrontare la morte o le infermità dei singoli individui e dei gruppi”7. In definitiva, l’agire del nursing transculturale si fonda: a) sulla comprensione del proprio universo culturale di riferimento e dei propri modi di approcciarsi ad un’altra cultura; b) sulla ricerca assistenziale e sulla conoscenza dei sistemi di salute che sono appresi tramite una conoscenza approfondita delle culture e dall’uso di questa conoscenza nella pratica. Anche in Italia recentemente è stata avvertita in ambito medico-sanitario la necessità di una nuova coscienza profes4
sionale che presupponga il superamento di atteggiamenti di etnocentrismo e di chiusura e, conseguentemente, la rilevanza della presa di coscienza delle differenze culturali nella gestione della relazione terapeutica. Per l’infermiere, che sempre più spesso è il primo contatto che il soggetto migrante ha con una struttura sanitaria, significa affinare le sue conoscenze antropologiche, le capacità di ascolto e un impegno in termini di comprensione e traduzione culturale. Il grosso rischio incombente è rappresentato dall’emergere di territori caratterizzati da una totale incomunicabilità e dalla conseguente impossibilità di prestare assistenza alla persona. Questa considerazione ha portato alla introduzione nell’ordinamento didattico della Laurea per Infermiere delle discipline etnoantropologiche, in sintonia anche con ciò che era previsto già dal Piano Sanitario Nazionale 1998/2000 dove, tra le azioni a tutela dei soggetti deboli, si sottolinea l’opportunità che la formazione degli operatori sanitari vada finalizzata ad approcci interculturali per meglio garantire la tutela della salute (a tutto tondo). Viene, in sostanza, sottolineato il principio secondo il quale l’operatore sanitario va opportunamente considerato oltre che come esperto nella realizzazione del processo assistenziale, anche e soprattutto come specialista nella relazione d’aiuto in grado di prendersi cura delle persone di cultura differente. Questo principio, affinchè non sia confinato nei cosiddetti “buoni propositi”, richiede che all’operatore sia garantito il possesso di quegli strumenti trattamentali/relazionali che gli consentano di gestire in maniera costruttiva il disagio provocato dal confronto con l’altro, nonché di sviluppare un atteggiamento empatico in grado di mettere a disposizione del paziente la capacità di ascolto di cui ha bisogno. E non si tratta di procedere ad una semplice raccolta di dati o, peggio ancora, di soddisfare esigenze di mera curiosità, ma di creare una situazione empatica che favorisce la compliance necessaria allo scopo e l’adesione del paziente alle prescrizioni, che vanno necessariamente condivise. Questo schermerà l’operatore sanitario nei confronti di quell’etnocentrismo professionale, caratterizzato dall’imposizione all’altro dei propri valori e delle proprie abitudini perché ritenuti superiori e permetterà di svolgere il rapporto assistenziale quale illness che consenta di prendere in carico il paziente come persona, avere consapevolezza delle sensazioni e degli stato d’animo che egli prova per la sua malattia, ma anche tenere nella giusta considerazione il modo in cui si sono comportate e si comportano le persone che vivono con lui8. Note
Con il termine curare si intende: “interessamento solerte e premuroso per un oggetto che impegna sia il nostro animo sia la nostra attività” e, al tempo stesso, “il complesso dei mezzi terapeutici e delle prescrizioni mediche che hanno il fine di guarire da una malattia” (cfr. http://www.treccani.it/vocabolario/curare/). 2 M. Heidegger, Essere e tempo, Longanesi editore, Milano, 2005. 3 D.A. Gaut (edit.), Development of a theoretically adequate description of caring, in “Western Journal of Nursing Research”, Vol. 5, No 4, 1983, pp. 312–324. 4 R. Colasanti - S. Geraci, I livelli di incomprensione medico/paziente immigrato, in S. Geraci (a cura di), Approcci transculturali per la promozione della salute. Argomenti di medicina delle migrazioni, Roma, Peri Tecnes, 1995, pp. 213220. 1
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American Nurses Association (edit.), Issues in professional nursing: Specialisation in nursing practice, Kansas City, MO, 1984. 6 M.M. Leininger, Culture Care Theory: A Major Contribution to Advance Transcultural Nursing Knowledge and Practices, Journal of Transcultural Nursing, 2002. 7 M.M.Leininger, Valutazioni di assistenza culturale per pratiche competenti e congruenti, in G. Le Donne - M. Nucchi (a cura di), Infermieristica transculturale: concetti, teorie, ricerca e pratica, Casa Editrice Ambrosiana, Milano, 2004. 8 Non a caso la malattia comprende tre dimensioni: il 5
disease, l’illness e il sickness, cioè la malattia riconosciuta scientificamente e affrontata secondo la nosografia ufficiale (disease); il modo (fortemente influenzato dalla cultura) in cui è vissuta la patologia dal suo ”portatore” e dalle persone che ruotano attorno a lui (illnes) ed, infine, il significato simbolico con cui l’infermità è vista dalle istituzioni pubbliche-sociali (sickness). Oltre al caso ideale in cui tutte e tre sono esplicite in un soggetto, queste tre dimensioni variamente associate danno origine a sei combinazioni diverse ed ha aperto (o per certi versi ha riscoperto) un approccio metodologico basato sulla narrazione anche in medicina.
SCUOLA DI QUALITÀ COME SCUOLA DI LEGALITÀ Giuseppe Serio 1. L’idea di formare l’uomo e il cittadino si riferisce all’ambito socio-culturale in cui opera la scuola; i destinatari sono i giovani che partecipano alle attività di formazione programmate nel P.o.f. al fine di prevenire l’illegalità –educandoli alla cittadinanza attiva- e di capire qual è la causa della trasgressione diffusa nei luoghi del degrado, del disagio e dell’emarginazione socio-economica. La scuola siciliana offre un valido contributo proponendo specifiche opportunità che aiutano gli alunni a scegliere modi e momenti di crescita integrale. Per esempio, propone il percorso che promuove la formazione dell’ uomo e del cittadino – secondo lo spirito della nostra Costituzione – che vive la legalità e, in quanto docente, aiuta gli alunni a star bene con se stessi, i loro amici che partecipano ai percorsi che fanno apprendere la legalità agendo onestamente nella vita1 o capendo la differenza tra ciò che è illegale (contro la legge), legale (conforme alla legge), morale (conforme alla coscienza) per realizzare l’obiettivo di “scuola di qualità”. La Costituzione2 indica i doveri (specificati nell’art 4, c/2) per gli esercizi concreti nella scuola e a seconda delle capacità di ciascuno. La vita attiva3 richiama la necessità di spazi pubblici accessibili in cui le opinioni individuali riescono a superare i particolarismi accogliendo i punti di vista di altri. L’esercizio della cittadinanza, contro l’apatia, è il parametro che valuta la democraticità del sistema scolastico esistente e stimola l’alunno a forme meno imperfette di democrazia e realizza in tal modo l’uguaglianza come fenomeno inseparabile dalla differenza. Proporrei, perciò, l’istituzione del Centro d’aggregazione giovanile nei luoghi a rischio che funzioni secondo regole scritte e approvate dagli stessi giovani (studenti) che lo frequentano. La proposta è rivolta all’ente territoriale competente d’istituirlo proprio nel quartiere degradato. Il protagonismo scolastico è un’ipotesi sperimentale della società civile a cui scuola e famiglia affidano il compito di svolgere le attività che riguardino l’arte, la musica, lo sport nel tempo libero dalle obbligazioni scolastiche ritenendo possibile far sperimentare ai ragazzi le loro passioni naturali. L’esercizio della cittadinanza attiva è frutto di azioni educative concrete da cui dipendono la salute e la cultura, due fattori della crescita dei giovani. La scuola si caratterizza anche per l’ospitalità agli alunni diversi per razza, cultura, linguaggi con cui i giovani comunicano tra loro (musica, poesia, pittura, teatro, danza, sport, video-grafica, animazione, accoglienza, caratterizzati da attività didattiche di fotografia, laboratori, spettacoli, concerti concomitanti con eventi locali e nazionali e diffondendo
l’informazione virtuale ad hoc [internet, intranet, blog, siti, network] di percorsi integrativi per l’ingresso nel mondo del lavoro. Nel Centro di aggregazione i giovani percepiscono il luogo in cui si sentono a casa, grazie agli spazi di dialogo, di osmosi con il territorio, di percorsi culturali vissuti nel cantiere della cittadinanza. Nelle ore trascorse nel Centro d’aggregazione gli alunni svolgono un servizio civico settimanale, in collaborazione con il Comando della Polizia, al fine di esercitarsi sulle infrazioni del ragazzo che va in moto senza casco o che non si ferma al semaforo con il segnale rosso o non rispetta i limiti di velocità e le regole del Codice stradale. In questi casi, non devono comminare multe ai trasgressori, ma dialogare con essi perché il loro compito –a scuola o nel quartiere- consiste nel parlare con chi, per esempio, assume sostanze stupefacenti spiegando che quando dice che la vita è sua e se la gestisce come vuole, non sa che, se si rompe la testa o va in astinenza, l’ospedale e il metadone sono un contributo involontario del cittadino che paga le tasse.
2. È preferibile che gli alunni siano amici: l’amicizia è una terapia naturale per il recupero di soggetti a rischio o emarginati. Famiglia e scuola non devono chiudersi a riccio nell’illusione di difendersi dalla trasgressione. Invece devono rendere concreta la comunicazione inter-personale/inter-culturale costruendo ponti in sostituzione dei muri socio- economici. L’impegno è di sconfiggere l’indifferenza ed offrire amicizia e rispetto reciproco. Il dirigente scolastico e i docenti lo sanno che negli spazi degradati o non strutturati nascono e si consolidano alleanze, buone o per niente buone. Nella scuola ci sono ragazzi con il carico delle loro esperienze acquisite in quei luoghi, primo tra tutti, la strada. La scuola di qualità è una sfida ai disonesti che violano la legge dello stato e di Dio (codificata nella coscienza); la scuola, perciò, deve svolgere una funzione di consolidamento delle esperienze positive e previene e neutralizza quelle negative. Per esempio, prevenire la devianza mediante la terapia dell’ascolto attivo; costruire un luogo di comunione, non di comunanza (che lambisce, ma non penetra la persona come accade quando i giovani sono in comunione feconda, che è energia per la persona in dialogo.
Si può prevenire l’illegalità a scuola? Se la risposta è affermativa, con quali itinerari didattici? Quali potrebbero essere le esercitazioni da proporre ai ragazzi? Ritengo che sia necessario incentrare l’attività didattica nel dialogo, senza del quale è impossibile realizzare un rapporto interpersonale formativo. Il giovane che non dialoga è povero d’amicizia, non è quasi mai trasparente; non è in comunione con i suoi compagni di scuola.
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La comunicazione fervida, cioè, salda l’amicizia nell’interiorità della coscienza e promuove lo sviluppo della personalità proprio sullo sfondo del dialogo. Chi è senza amici è analfabeta perché non sa decodificare i messaggi del suo tempo né sa viverli nella pienezza del valore: non è un alunno attivo; in futuro potrebbe avere difficoltà ad esercitarsi nella cittadinanza attiva. Gli alunni non parlano quando sanno di non essere ascoltati; non parlano se manca la terapia dell’ascolto attivo; nessuno si confida se sa di non essere ascoltato, se non è in comunione con l’altro. Insomma, quanto più si sente estraneo nella comunità in cui vive tanto più si espone al rischio della solitudine emotiva da cui si accede alla devianza. La comunione tra le persone consente alla verità di penetrare nelle coscienze, interagire in virtù dei ponti che sono la password dell’amicizia, l’apertura alla vita, lo spazio in cui si può star bene insieme – a livello globale e locale, nel rispetto delle leggi dello Stato e della coscienza. Il docente è il soggetto creativo della nuova disciplina denominata Costituzione e cittadinanza. Le attività inserite nel P.O.F. sono proposte alla squadra di studenti (indigeni e migranti) che accetta di sperimentarle a livello di socializzazione e sceglie il dialogo quale strumento didattico per discernere le cause della trasgressione delle leggi e delle regole che sono poste a fondamento della società democratica. La Legge 169/08, dopo i controversi ripensamenti del legislatore, ha stabilito che la conoscenza della Carta Costituzionale sia preceduta dalla sperimentazione nella scuola per offrire ai docenti le occasioni della formazione ad essi affidata, sperimentarla, esplorarne le innovazioni riguardanti gli ordinamenti degli studi (art. 11 del DPR 275).
Occorre integrare il curriculum con Costituzione e cittadinanza anche al fine di promuovere la Cultura costituzionale, trasformarla in cittadinanza attiva facendo capire agli studenti il vero senso del percorso didattico supportato dai corrispondenti temi che li aiutano ad interpretare il valore delle norme e del dialogo amicale con riferimento al P.O.F.. Il Decreto che la introduce nel curricolo scolastico offre ai docenti lo strumento idoneo per legittimare e irradiare nell’interno del curricolo le linee guida con cui si intende valorizzare l’esistente oltre che specificare meglio le tematiche di riferimento4. Il dirigente e i docenti si faranno carico delle emergenze corrispondenti agli articoli della Costituzione. L’alunno/studente deve conoscere le carte internazionali5 al fine di condividere le regole della solidarietà e i valori universali che servono a contrastare l’illegalità e utilizzare il dialogo. Nel I e II ciclo, le conoscenze e le competenze relative alla cittadinanza possono essere acquisite con la nuova disciplina6 e individuate nell’area storico-geografico-sociale. Nella scuola dell’infanzia si può realizzare nel campo dell’ esperienza Il sé e l’altro7 (art.2 del Decreto) e, nei due gradi successivi, con i diritti/ doveri degli studenti e il comportamento (voto di condotta) in relazione alle attività svolte8. Prima del giudizio, la scuola deve impegnarsi nella prevenzione dell’illegalità educando i giovani alla cittadinanza attiva. Il fenomeno della trasgressione è diffuso soprattutto nei luoghi del degrado e del disagio che causano l’emarginazione sociale. La scuola a tale proposito può offrire il suo contributo promovendo le opportunità che consentono ai giovani di scegliere, nei momenti della loro crescita integrale, i percorsi con cui realizzarsi come uomo e cittadino secondo lo spirito della nostra Costituzione. L’attività didattica e i corrispondenti percorsi, abituano gli alunni a vivere la legalità nella vita quotidiana ordinaria con azioni concrete che li fanno star bene con se stessi, con i loro compagni, in una scuola che sta meglio. Nella legalità essi si 6
orientano tra le opportunità della vita scolastica seguendo il percorso didattico che li esercita a capire la differenza tra illegale (in contrasto con la legge), legale (conforme alla legge) e morale (anche alla coscienza). Gli alunni, per esempio, in una delle 33 ore previste dalla legge, potrebbero esercitarsi a svolgere attività di servizio civico collaborando con la polizia locale. Ciò potrebbe facilitare il compito di spiegare ai loro coetanei il senso delle infrazioni commesse da chi va in moto senza casco o non si ferma al semaforo con il segnale rosso o non rispetta i limiti di velocità, le regole della società democratica ecc. Chi infrange la legge, pensa di trovarsi a vivere nella sfera privata9 non in quella pubblica. In tal caso, non può né deve comminare multe ai trasgressori, ma dialogare con essi parlando con chi assume sostanze stupefacenti o inciampa in errori madornali; deve, cioè, coinvolgerli amichevolmente nel dialogo affinché capiscano che quando dicono che la vita è la loro e se la gestiscono come vogliono, violano la legge, danneggiano la loro salute, aggravano i problemi finanziari della Sanità. Occorre che la scuola mobiliti le coscienze dei giovani aiutandoli a scegliere itinerari di studio e impegno sociale adeguati agli obbiettivi del Piano delle offerte formative. Cittadinanza e Costituzione sono parole austere che interpellano la nostra coscienza. Ogni alunno deve imparare a connettersi nell’area concettuale a cui quelle parole austere rinviano; innestarle nel contesto della scuola cogliendo le occasioni per testimoniarle nei contenuti, aiutare gli altri ad apprendere dall’esperienza propria le competenze civiche che, in sede europea, sono le chiavi della cittadinanza attiva10. Note
Aa. Vv. Michele Borrelli - Giuseppe Serio (a cura di), Educare all’onestà, oggi, nella famiglia, nella scuola, nelle istituzioni Editore Pellegrini, Cosenza 2011. 2 “Doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. 3 Cfr. H. Arendt, Vita activa, Bompiani, Milano 1990. 4 Le conoscenze specifiche che l’alunno deve apprendere riguardano i principi della Costituzione repubblicana e in particolare il diritto inviolabile di ognuno (art. 2); il riconoscimento della pari dignità sociale (art 3); il dovere di contribuire concretamente al miglioramento della qualità della vita sociale (art. 4); la fruizione della libertà religiosa (art. 8) e delle varie forme di libertà (artt. 13-21). 5 La Dichiarazione dei Diritti del fanciullo, la convenzione internazionale dei Diritti dell’infanzia, la Dichiarazione universale dei Diritti Umani in forma specifica degli anziani, disabili, diversi ecc.. 6 Cfr. Giuseppe Serio, Etica Politica e amore per la vita, Cosenza, Pellegrini 2002, cap IV, paragrafo 4 p. ? 7 Art.1 del Decreto Legge agosto 2008 elaborato con il contributo della Commissione Ministeriale nominata dal Ministro Maria Stella Gelmini. Nell’ambito del monte ore complessivo già previsto per le aree storico-geografiche - sociali alla nuova disciplina sono assegnate 33 ore annue (art. 1, secondo comma) attribuite alle risorse umane già disponibili con la legislazione vigente. 8 Sia il giudizio che il voto concorrono alla valutazione complessiva dell’alunno/studente “e, nei casi più gravi, possono determinare” la non ammissione all’anno scolastico successivo o all’esame conclusivo del ciclo. 9 Luciano Corradini, op. cit., p. 20 e seguenti 10 Luciano Corradini (a cura di), Cittadinanza e Costituzione. Disciplinarità e trasversalità alla prova della speri-mentazione nazionale, Tecnodid, Napoli, p. 11 (il corsivo è mio). 1
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INIZIATIVE DELL’ASSOCIAZIONE
CENTRO CULTURALE DI VOLONTARIATO PER LA RICERCA E LA PROMOZIONE DELLA PEDAGOGIA – ONLUS Con il patrocinio dell’Associazione Pedagogica italiana
La scuola di qualità una sfida e un compito Seminario NAZIONALE Catania 14.XII. 2011
Sede: Scuola secondaria di primo grado “Dante Alighieri”, via Cagliari, 59, 95128 Catania Ore 14.30 Presiede: GIUSEPPE SERIO Direttore del Centro culturale per la ricerca e la promozione della Pedagogia – ONLUS
Saluti: Ore 14.40 CONCETTA SIRNA, Presidente nazionale As. Pe. I., Università di Messina FRANCESCA PULVIRENTI, Presidente sezione As. Pe. I. di Catania, Università di Catania Relazioni: Ore 15.00 SERENELLA MACCHIETTI, Presidente onoraria As.Pe.I. – Università di Siena Volti e significati della qualità
Ore 15. 30 DANIELA VETRI, Dirigente Scuola secondaria I grado “Dante Alighieri\”, Catania Valutazione delle competenze per una scuola di qualità Ore 16.00 Intervallo
Ore 16.15 Seconda sessione Presiede: GIUSEPPE SPADAFORA, Presidente sezione As.Pe.I. di Cosenza Sibaritide, Università della Calabria, Relazione: MARCO PICCINNO, Presidente sezione As.Pe.I. di Arnesano, Università di Lecce Tecnologie e New media per la qualità educativa Ore 16.50 Interventi
Ore 18.00 Conclusione dei lavori
Ore 18.10 Consegna degli attestati di partecipazione 7
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VITA DELLE SEZIONI
Si ricorda alle sezioni che, dopo il Congresso nazionale, a norma di Statuto, entro tre mesi le sezioni sono tenute a rinnovare il Direttivo e a comunicare i nomi degli eletti alla presidenza nazionale. Si comunica altresì che i nuovi indirizzi ai quali spedire il programma delle attività della sezione, i verbali del rinnovo delle cariche per il triennio 2011-2013 e tutti gli altri documenti del tesseramento, cioè la copia del versamento o del bonifico, gli elenchi dei soci completi di indirizzi, mail e qualifiche (docenti, studenti, formatori, ecc.) sono: presidente@aspei.org e profdonadio@yahoo.it (mail del nuovo segretario, prof. Arturo Carapella). Il n° di conto corrente su cui fare il bonifico delle quote è il seguente: UBI BANCO DI BRESCIA filiale di PADERNO FRANCIACORTA cc.n. 10169 intestato a ASSOCIAZIONE PEDAGOGICA ITALIANA - IBAN IT27O0350054890000000010169 PROGRAMMI DELLE SEZIONI Offerta Formativa Anno Sociale 2012 Sezione As.Pe.I di CATANIA
Workshop su Marginalità e nuove esigenze educative nella scuola Convegno su I criteri di valutazione delle competenze Convegno su I Disturbi Specifici di Apprendimento Indagine su Il ruolo della formazione continua nei processi di sviluppo professionale di insegnanti e dirigenti scolastici Laboratori tematici sui diversi aspetti legati all’identità del Sé personale, professionale e plurale
Quadro descrittivo delle attività
1. Workshop su Marginalità e nuove esigenze educative nella scuola e negli altri contesti formativi Il Workshop nasce dalla necessità di offrire agli insegnanti e agli operatori educativi strumenti e competenze che consentano loro di far fronte alle pressanti necessità derivanti dalla presenza sempre più numerosa di soggetti marginali – stranieri, soggetti che vivono e patiscono situazioni di degrado ambientale e sociale, soggetti provenienti da famiglie disgregate, soggetti che vivono in gravi condizioni di indigenza, nomadi - progettando e realizzando interventi atti a offrire agli stessi adeguate opportunità di apprendimento e di crescita personologica. In particolare, l’iniziativa intende focalizzare tre principali aspetti che gli interventi educativi rivolti ai soggetti indicati comportano: la costruzione di un progetto; la collaborazione e la cooperazione tra figure professionali dotate di competenze inerenti ambiti diversi (insegnanti, educatori professionali, esperti nei processi formativi, psicologi, animatori, ecc….); l’individuazione e l’utilizzazione di strumenti e metodi educativi che favoriscano e stimolino l’interattività massima tra gli operatori educativi e i soggetti coinvolti, ffinc la creatività e l’operatività di questi ultimi. Obiettivi di apprendimento del Workshop: Progettare interventi educativi idonei a ridurre gli effetti e i rischi della marginalità; realizzare iniziative educative e culturali capaci di promuovere e favorire il benessere individuale e sociale; organizzare attività di animazione socioculturale anche in contesti non strettamente scolastici; avviare un confronto con gli esiti di esperienze realizzate in diversi contesti territoriali. Contenuti del Workshop: – Conoscenze delle multiformi tipologie di marginalità e di emarginazione tuttora presenti – Conoscenza e sperimentazione di metodi e tecniche di animazione – Individuazione dei bisogni formativi e costruzione di un progetto – Riflessione e confronto su esperienze significative. Didattica: L’attività sarà articolata in momenti diversi: relazioni introduttive, poster, laboratori, discussioni di gruppo, intergruppo. Destinatari: L’iniziativa è indirizzata a insegnanti, educatori professionali, esperti nei processi formativi, pedagogisti, laureati e laureandi. Durata: La durata complessiva sarà di otto ore. Attestato di partecipazione: A conclusione del Workshop verrà rilasciato un attestato di partecipazione dell’As.Pe.I, soggetto accreditato, qualificato e riconosciuto dal M.I.U.R (DM 177/2000 art.4). Il Workshop si svolgerà presumibilmente il 23 e 24 febbraio 2012 La sede sarà successivamente comunicata dal Coordinatore del Workshop, il professore Simon Villani (s.villani@unict.it). Per ulteriori informazioni e per richiedere il modulo di iscrizione al Workshop contattare la dott.ssa.Maria Grazia Sotera, mariagraziasotera@yahoo.it
2. Convegno su I criteri di valutazione delle competenze Il nostro sistema d’istruzione, di recente, ha disposto l’obbligo istituzionale per le scuole secondarie di primo grado, di produrre un documento che illustri in maniera esplicita le competenze raggiunte dagli studenti alla fine di un ciclo di studi, nel nostro caso, alla fine del ciclo primario. In assenza di una tradizione culturale della scuola italiana riferibile alla programmazione e valutazione delle competenze, 8
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di una formazione professionale dei docenti e di una normativa nazionale ben definita, si rischia di certificare le competenze assolvendo esclusivamente un obbligo amministrativo più che formativo. La nostra Ricerca-Azione nasce dall’analisi delle su indicate criticità, che hanno determinato l’assenza di alcune condizioni essenziali: modello base di certificazione (ogni scuola elabora il proprio!); definizione degli “oggetti da certificare” (dalle discipline… alle competenze, gli Assi Culturali!); indicatori di valutazione (voto, giudizio sintetico,ecc…); individuazione delle competenze per la costituzione di un profilo dello studente in uscita dal ciclo primario; ricaduta sul proseguimento degli studi, sulla mobilità sociale e sul lavoro. La finalità della Ricerca-Azione, di durata biennale, è stata quella di attivare processi d’insegnamento-apprendimento, in un’ottica verticale, coinvolgendo docenti ed alunni delle classi seconde e terze, per giungere alla stesura di un documento che, partendo dall’analisi delle criticità, proponga soluzioni rigorosamente tarate intorno ai paradigmi della trasferibilità e della fattibilità. La ricerca, avviata nell’anno 2010, è stata coordinata da Daniela Vetri, dirigente della scuola media Dante Alighieri. Il convegno si prefigge di relazionare sui risultati della ricerca.
3. Convegno su I Disturbi Specifici di Apprendimento La legge 8 ottobre 2010, n. 170, riconosce la dislessia, la disortografia, la disgrazia e la didalculia come Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA), assegnando al sistema nazionale di istruzione e agli atenei il compito di individuare le forme didattiche e le modalità di valutazione più adeguate affinché alunni e studenti con DSA possano raggiungere il successo formativo. Il convegno si prefigge una riflessione sulla recente normativa in tema di DSA che riporta in primo piano un importante fronte di riflessione culturale sulla opportunità di organizzare opportuni percorsi di formazione mirati allo sviluppo professionale di competenze specifiche in materia.
4. Il ruolo della formazione continua nei processi di sviluppo professionale di insegnanti e dirigenti scolastici. La ricerca, traendo spunto dai risultati emersi dalle ricerche realizzate a livello macro-europeo – come, ad esempio, l’indagine TALIS – si prefigge di realizzare, a livello locale-micro, un’analisi qualitativa sulla formazione continua connessa alle dimensioni dello sviluppo professionale. A tale scopo, oltre ad un approfondimento teorico dei contributi offerti dalla letteratura specialistica internazionale sul tema della teachers’ professional development (sviluppo professionale degli insegnanti), la ricerca si propone di evidenziare alcune caratteristiche qualitative del rapporto tra formazione continua e sviluppo professionale. Negli ultimi decenni, infatti, dall’aggiornamento professionale, considerato come diritto-dovere del personale docente, si è giunti al concetto di sviluppo professionale, il quale veicola una formazione finalizzata a migliorare la qualità dell’offerta educativa, metodologica e didattica dei docenti. Il lavoro di ricerca si propone di verificare la seguente ipotesi: il ruolo della formazione continua per lo sviluppo professionale è strettamente connesso ai significati che il soggetto attribuisce alla formazione continua, allo sviluppo professionale e al sé professionale. Nello specifico, si indagherà sui significati reali e potenziali attribuiti dai docenti e dai dirigenti scolastici alla formazione continua e allo sviluppo professionale attraverso l’analisi di una serie di dimensioni. In tal modo, sarà possibile individuare il gap esistente tra ciò che è e ciò che, invece, dovrebbe essere Durata della ricerca: Il progetto di ricerca avrà una durata di due anni. Soggetti coinvolti:La ricerca prevede la partecipazione di insegnati e dirigenti scolastici di vari istituti scolastici Strumenti e metodologia: La metodologia impiegata è di tipo qualitativo; gli strumenti previsti sono un questionario e scale Likert. Prodotti della ricerca e diffusione dei risultati :A conclusione dell’indagine verrà realizzato un report dei risultati della ricerca. Nelle fasi intermedie della ricerca è prevista la partecipazione del gruppo di ricerca a workshop e convegni, organizzati a livello locale e nazionale, nel corso dei quali verranno presentati e discussi i risultati prodotti in itinere. Il gruppo di ricerca: Il gruppo di ricerca è coordinato dalla prof.ssa Francesca Pulvirenti (Professore Straordinario di Pedagogia generale e sociale dell’Università degli Studi di Catania), f.pulvirenti@unict.it. Collaborano alla ricerca la dott.ssa Milena Ruffino, mile.ruffino@gmail.com, e la dott.ssa Teresa Garaffo, teresagaraffo@virgilio.it.
5. Laboratori tematici sull’identità del Sé personale, professionale e plurale. Attraverso attività laboratoriali si intendono avviare percorsi di formazione per una riflessione sulla nuova identità e professionalità educative. Attualmente, infatti, una identità complessa e problematica – tra riflessività ed autocoscienza – si lega alla specifica funzione formativa, all’essere-per-agire-per-la-libertà-dell’-altro. I laboratori, condotti da docenti e giovani ricercatori, si collocano nella prospettiva di favorire il raccordo tra aspetti teorici e prassi operative e di fornire un supporto alle diverse professionalità educative e formative. Ciascun laboratorio ha una durata di 8 ore e prevede un costo di 5,00 €per i non soci. Attestato di partecipazione: A conclusione di ogni attività laboratoriale verrà rilasciato un attestato di partecipazione dell’As.Pe.I, soggetto accreditato, qualificato e riconosciuto dal M.I.U.R (DM 177/2000 art.4). Per ulteriori informazioni contattare la dott.ssa T. Garaffo, teresa.garaffo@virgilio.it PROGRAMMAZIONE DELLE ATTIVITÀ FORMATIVE 2012 Sezione di REGGIO CALABRIA
Nello scorso mese di Novembre si è avuto il passaggio di consegne tra la Prof. ssa Angela Ambrosoli, presidente uscente, e il prof. Angelo Vecchio Ruggeri, presidente subentrante nella conduzione della sezione AS.PE.I. di Reggio Calabria. In tale circostanza, dopo aver opportunamente espresso i sentimenti di gratitudine e di unanime riconoscimento per l’infaticabile attività svolta dalla prof.ssa Ambrosoli in quasi un decennio di guida della sezione, l’Assemblea dei Soci si è sof9
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fermata ad elaborare una serie di argomenti, predisponendo, di fatto, l’impianto per un programma di lavoro pedagogico da espletare nel corso dell’anno sociale 2012. In questa stagione segnata da irrisolti problemi di cambiamento dell’ ordinamento scolastico, di esigenze modificative delle tecniche educative, in cui il sistema dell’istruzione e della formazione è caratterizzabile da una domanda fondamentale. “che aria tira nella scuola italiana”?, in cui è intercettabile, spesso, un senso di scoramento e di disorientamento, può risultare opportuno e funzionale soffermarsi su due rilevanti aspetti, entrambi mirati a fare innalzare lo standard di qualità del servizio scolastico e a ridare maggiore fiducia in coloro che la scuola la vivono e vi operano: 1. Corrispondere alle esigenze tecnico-formative dei docenti, per rafforzare i convincimenti (auspicabilmente corretti) che ciascun docente dovrebbe avere su cosa significhi insegnare ad apprendere. La formazione del sé professionale non è mai una conquista del tutto compiuta, in conseguenza del fatto, come detto, che la struttura ordinamentale della scuola è sottoposta a modifiche (ri)formatrici, e che l’apparato disciplinare si arricchisce di nuovi esiti, linguistici o scientifico-tecnologici. In questo quadro, si riterrebbe di fare cosa utile per l’area docenti, impegnati costantemente nell’ottica dell’autonomia a costruire percorsi formativi sempre più aderenti alle esigenze degli allieve ed alle aspettative del territorio, individuare un asse disciplinare su cui poggiare il costruendo curricolo formativo. A tal fine, non è da disdegnare se tale asse disciplinare prevalente lo si individua nella Storia, da sempre disciplina che fornisce adeguate chiavi di lettura e spunti interpretativi critici sulla fenomenologia eveniente e sugli aspetti più incidenti nella condizione esistenziale umana. Resta inteso che tale proposta è, in ogni caso, da avanzare ai collegi dei docenti delle varie scuole, al fine di accertare, anche mediante un precostituito questionario, le autentiche esigenze avanzate anche dai docenti. La formazione del sé professionale la si vuole tenere, prioritariamente, in considerazione non tanto e non solo per stare al passo con le trasformazioni sociali che interessano tutti in quanto partecipi della comune dimensione sociale, ma anche perché è proprio della scuola poter progettare il futuro, immaginare un mondo diverso, cogliere con giudizio e con criteri valoriali i flussi derivanti dal passato. Irrobustire la dimensione didattica di docenti sembra essere la priorità, anche alla luce della esigenza attuale che richiede sempre più spesso il ricorso a pratiche didattiche di laboratorio. 2. Nel contempo, si ritiene che siano gli studenti gli altri attori su cui far convergere le proposte di una funzionale attività della sezione: la qualità formativa di tutti gli allievi. A tale scopo, nella consapevolezza che le questioni della didattica debbano essere sostenute da una incisiva e produttiva metodologia, sembra di generale interesse rintracciare nel cooperative learning la condizione più soddisfacente per risolvere il grave problema degli apprendimenti diffusi e del contrasto alla dispersione scolastica. Questi gli intendimenti emersi nell’Assemblea dei Soci di Reggio Calabria che, con qualche inevitabile correttivo, ci si ripromette di realizzare nel corrente anno scolastico. Il Presidente della sezione di Reggio Calabria Prof. Angelo Vecchio Ruggeri
PROGRAMMA PER L’ANNO 2012 Nuova Sezione As. Pe. I. di ARNESANO (LE)
È stata fondata ad Arnesano (LE) una nuova sezione dell’As.Pe.I.. A partire da Gennaio 2012 la sezione intende realizzare tre tipologie di attività che impegneranno i soci ordinari per l’intero anno. Le iniziative in programma prevedono un’attività di ricerca, alcuni corsi di formazione per insegnanti e la partecipazione ad un avviso pubblico del Ministero dell’Interno per progetti finanziati dal Fondo Europeo per l’Integrazione, azione 3 “Progetti giovanili”. Di seguito il dettaglio delle attività: PRIMO PUNTO: Ricerca volta ad esplorare i bisogni degli insegnanti, al fine di cogliere le rappresentazioni che essi hanno rispetto al ruolo insegnante oggi e in futuro. La ricerca, attraverso un metodo narrativo ed autobiografico, mira ad individuare i criteri a partire dai quali è possibile delineare un percorso formativo significativo per gli insegnanti stessi. SECONDO PUNTO: Avvio di corsi di formazione rivolti ad insegnanti di scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado per sviluppare le competenze informali, ad esempio come sollecitare negli allievi una motivazione allo studio e come comunicare i voti agli alunni e ai genitori. Tali competenze, unitamente a quelle formali, sono significative per promuovere lo sviluppo della persona all’interno del contesto scolastico. TERZO PUNTO: Partecipazione all’avviso pubblico per la realizzazione di progetti a valenza territoriale finanziati dal Fondo Europeo per l’Integrazione di cittadini di Paesi terzi nell’ambito del Programma Annuale 2011, azione 3 “Progetti giovanili”. L’azione intende realizzare interventi rivolti a minori e giovani di paesi terzi, per sostenerli nel percorso di crescita personale ed integrazione sociale. In tal senso, la sezione As. Pe. I. di Arnesano (Le) intende realizzare un intervento di prevenzione all’abbandono scolastico, in linea con gli obiettivi Europa 2020, nell’area della formazione e dell’istruzione. Lecce, 28 Dicembre 2011 Il Presidente Prof. Marco Piccinno Il Segretario Dott. Ssa Emanuela Fiorentino
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SEGNALAZIONI
“QUALEDUCAZIONE” RIVISTA INTERNAZIONALE DI PEDAGOGIA
La rivista Qualeducazione – edita dall’editore Pellegrini di Cosenza – che a ottobre compie 30 anni di attività di ricerca e promozione della cultura educativa, è stata classificata rivista internazionale di pedagogia dal Comitato scientifico di valutazione delle riviste. Ci complimentiamo vivamente col suo fondatore e direttore scientifico, prof. Giuseppe Serio di Praia a Mare, socio benemerito e componente del Comitato Nazionale dell’As.Pe.I., per questo importante riconoscimento che premia l’indefesso ed intelligente lavoro di promozione e di coordinamento culturale da Lui svolto, meritorio per la diffusione della cultura pedagogica nel nostro paese. La rivista “Qualeducazione” che ha, come sottotitolo Per un dialogo libero in Europa, infatti, è stata e continua ad essere un luogo di confronto e di dibattito che accoglie le voci prestigiose di tanti studiosi di area pedagogica e delle varie scienze umane attenti ai processi educativi e formativi. Essa risulta iscritta tra le riviste della fascia B tra cui figurano, tra le altre, I problemi della pedagogia, Infanzia, JELKS-Journal of E-Learning and Knowledge Society, Nuova Secondaria, Paideutika, Pedagogia e vita, Prospettiva EP (Tra le riviste pedagogiche di fascia A figurano: Annali di storia dell’educazione del MIUR, Education Sciences & Society, Encyclopaideia, History of Education & Children’s Literature, Journal of Educational Cultural and Psychological Studies. Orientamenti pedagogici, Pedagogia oggi, ecc.). Fino ad oggi sono usciti 77 fascicoli della rivista, corrispondenti ad oltre 7.000 pagine, scritte dai 400 prestigiosi collaboratori (da Aldo Agazzi e Otto Apel a Gianfranco Zizzola e Antonino Zichichi). Questa la struttura: a) Comitato scientifico: Dietrich Benner (università di Berlino), Franco Blezza (università di Chieti), Michele Borrelli (università della Calabria), Luciano Corradini (università di Roma3), S. Serenella Macchietti (università di Siena), Gaetano Mollo (università di ffinché), Antonio Pieretti (pro-rettore università di ffinché), Jörg Ruhloff (university of Wuppertal, Germany), Concetta Sirna (università di Messina), Giuseppe Spadafora (università della Calabria), Giuseppe Zanniello (università di Palermo); Comitato di Referees: Sergio Angori (università di Siena), Massimo Baldacci (università di Urbino), Carlo Borgomeo (presidente Fondazione per il Sud), Michael Byram (univ. Durham, England), Carlo Nanni (rettore della università salesiana di Roma), Dietrich Benner (università di Berlino), Jörg Ruhloff (university of Wuppertal, Germany), Gaetano Mollo (università di ffinché), Stefania ffinch (università di Chieti), ffinc Rosetto Aiello (LUMSA Caltanissetta), Vincenzo Pucci, Giovanni Villarossa (Presidente nazionale UCIIM), Redazione Europa: Michele Borrelli (Università della Calabria). CERI – OCSE, Apprendere e innovare (con una Introduzione all’edizione italiana di G. Ostinelli), Società Editrice Il Mulino, Bologna 2011, pp. 213.
Le critiche che in genere vengono rivolte all’istituzione scolastica consistono nel considerarla scarsamente produttiva sia da un punto di vista sociale che culturale. Le critiche si appuntano generalmente sul fatto che a tutt’oggi essa non è in grado di garantire qualità (del servizio) ed equità (garanzia per tutti i suoi utenti di standard elevati di apprendimento). La
causa viene individuata nell’attuale modello scolastico tipico dei paesi industrializzati che risulta essere figlio di epoche passate in quanto basato prevalentemente sul paradigma trasmissione/riproduzione cha assegna agli insegnanti la funzione di trasmettere conoscenze e agli allievi il compito di assimilarle conformemente. Se tutto ciò senza dubbio svolge la funzione socialmente valida di fornire alla totalità della popolazione gli strumentibase (abilità, conoscenze) necessari per conseguire e soddisfare fini sociali, tuttavia non è per i più in grado di favorire capacità di interagire in modo produttivo all’interno dei contesti (esistenziali, lavorativi), di costruire conoscenze e di essere in grado di attribuire senso alle situazioni da parte dei soggetti in formazione. Da più parti, sia a livello di organismi internazionali, sia a livello di senso comune, si avverte fortemente l’esigenza di riformare profondamente il sistema formativo capace di “toccare” tutti i suoi aspetti (organizzativi e contenutistici) e tutte le sue componenti. Spesso le riforme attuate si riferiscono prevalentemente ad elementi diremmo sovrastrutturali in quanto investono, ad esempio, il riordino dei cicli scolastici o la rendicontabilità gestionale degli istituti scolastici o la loro dirigenza. Il volume in esame, curato nell’edizione italiana da Giorgio Ostinelli, vuole esser una sollecitazione affinché le riforme siano avviate dall’interno delle istituzioni avvalendosi dei principali risultati che provengono dal campo delle scienza dell’apprendimento “mettendo in luce i processi cognitivi e sociali di cui ci si può avvalere per ridisegnare la classe scolastica affinché questa diventi un ambiente di apprendimento realmente efficace” (p. 31). I saggi presenti nel volume assumono al riguardo una evidente convergenza e considerano finalità prioritaria garantire a tutti gli utenti apprendimenti personalizzati, disponibilità di fonti di conoscenza diversificate, esercizio di pratiche collaborative (cooperative-learning) e una valutazione dei risultati finalizzata ad una comprensione più profonda dell’apprendimento. Il rapporto (curato dal CERI per conto dell’OCSE) analizza, in tal senso, le ricerche condotte più recentemente in tema di teorie dell’apprendimento e di modalità didattiche e organizzative offrendo una serie di suggestioni e di suggerimenti che possono garantire alla scuola un reale salto di qualità e, soprattutto, le consentono di interpretare validamente il suo ruolo sociale. Diletta Michelin Salomon
E. KNASEL – J. MEED – A. ROSSETTI, Apprendere sempre. L’apprendimento continuo nel corso della vita (con una Introduzione all’edizione italiana di G.P. Quaglino), Raffaello Cortina Editore, Milano 2002, pp. 263. Il paradigma del lifelong learning, oltre ad essere una necessità per la moderna società cosiddetta complessa, è diventato una vera e propria sfida cui non si possono sottrarre i contesti formativi, sia quelli scolastici che quelli extrascolastici. La complessità, la mutevolezza e l’incertezza del vivere quotidiano impongono, infatti, all’uomo contemporaneo di apprendere sempre per orientarsi, per operare – try and try again – scelte consapevoli, per usare le informazioni, per sviluppare le competenze necessarie per vivere adeguatamente 11
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nei diversi contesti, nelle varie stagioni della vita, per sviluppare un pensiero creativo e responsabile. Per ottenere questo ambizioso risultato non sono sufficienti le dichiarazioni di intenti, i pronunciamenti ufficiali che gli studiosi e le organizzazioni esprimono: occorre conoscere l’apprendimento, comprenderne il processo soprattutto sul piano pratico. Il volume di E.Knasel, J.Meed e A.Rossetti, in maniera semplice e convincente, rappresenta - come afferma G.P.Quaglino nella Introduzione all’edizione italiana – un sommario apprezzabile di principi e di regole che, pur non esaurendo l’intera disciplina dell’apprendere, ne delinea in modo suggestivo figure e contorni di base. Gli Autori, in particolare, sottolineano la funzione esercitata nell’apprendimento dall’empowerment e dall’entusiasmo (a livello personale) e dall’economia (a livello sociale). A sostegno della categoria-economia vengono riportati alcuni esempi che dimostrano il guadagno, in termini di competitività, di alcune aziende e di organizzazioni (Coca-Cola e il programma Key Skills Support) che hanno investito nello sviluppo professionale e personale dei propri dipendenti e collaboratori. Per ciò che concerne l’empowerment vengono sottolineati i vantaggi (in termini di capitale umano e sociale) che derivano dallo sfruttare al massimo il potenziale apprenditivo di cui ciascuno è portatore: gli esempi riportati sono le politiche di educazione degli adulti proposte da P. Freire e, a livello aziendale, il programma Firt Steps messo a punto dall’amministrazione postale britannica. Infine, l’entusiasmo che deriva dall’abbandonare gli orpelli dell’educazione formale – spesso fonte di preoccupazioni e frustrazioni – a tutto vantaggio di forme di apprendimento viste come “fonte di felicità”, esperienza piacevole ed autoremunerativa (gli esempi riportati fanno riferimento all’attività della società di consulenza nel campo della formazione aziendale Learnea First, della quale i tre autori del volume sono collaboratori). Sulla scorta di queste preliminari considerazioni, gli AA. sottolineano, inoltre, che occorre fare in modo che l’apprendimento non derivi solo ed esclusivamente da opportunità pianificate ma soprattutto da quelle incidentali e casuali che si susseguono quotidianamente capaci di attivare quelle motivazioni di natura intrinseca che spingono ad imparare e che, in definitiva, consentono a ciascuno di superare le difficoltà che si frappongono ai processi apprenditivi personali. L’obiettivo dichiarato consiste nel rendere ciascun uomo un discente che sia, di volta in volta, di successo, capace, riflessivo, creativo, investigativo, affinché tivi e indipendente: tutte categorie, queste, che determinano quello che si definisce un soggetto metacognitivamente maturo. In conclusione questo saggio offre uno strumento didatti-
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camente valido per quanti si occupano di formazione (in specie in ambito lavorativo) ma anche per chi, ponendosi all’interno dell’orizzonte teorico e operativo della possibilità-necessità di apprendere sempre voglia raccogliere la sfida di diventare formatore di se stesso. Diletta Michelin Salomon
N. BOTTANI – A.M. POGGI – C. MANDRILE (a cura di), Un giorno di scuola nel 2020. Un cambiamento è possibile?, Il Mulino, Bologna, 2010, pp. 231.
La più rilevante critica che in genere viene rivolta a quell’acropoli del sapere che è la scuola consiste nel fatto che spesso non è in grado di aggiornare le sue strategie trasmissive in relazione ad un’utenza che ha subito profonde metamorfosi comportamentali e apprenditive. In effetti ciò è vero solo se si pensi che al suo interno convivono docenti (che nella migliore delle ipotesi sono definibili digital immigrants) e studenti, che per la familiarità che hanno con gli strumenti elettronici, sono dei veri e propri digital native. Orbene la prassi scolastica si avvale di metodi che sostanzialmente sono di stagioni precedenti quando invece il www consente un accesso all’informazione e una socializzazione culturale estremamente facile e, soprattutto, aggiornata in tempo reale. Su questa problematica si confronta il volume in esame sostenendo la necessità che la scuola sia capace di farsi carico di promuovere un’educazione digitale diffusa. Ma non si tratta solo ed esclusivamente di promuovere una rivoluzione tecnologica, bensì, per esempio, di eliminare quel digital divide che crea nuove forme di condizionamento sociale che derivano dalle diverse possibilità di accesso ai media. La scuola, in questo senso, può rappresentare il volano Affinché la tecnologia non si risolva in semplice restauro superficiale, bensì divenga terreno di sperimentazione di nuove e più efficaci forme di apprendere ad apprendere con in più disparati mezzi. Questo è quanto auspicano i curatori del volume nella consapevolezza che tale ambizioso progetto potrà realizzarsi non in virtù di sole riforme istituzionali bensì a patto che ci sia disponibilità da parte dei docenti di mettersi in gioco e di scoprirsi non semplicemente riproduttori ma promotori di cultura. Diletta Michelin Salomon