Gabriella Aleandri – Chiara Gemma_Come preparo la lezione

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Gabriella Aleandri – Chiara Gemma

COME PREPARO LA LEZIONE Con contributi di

Cosimo Laneve e Laura Sara Agrati

ARMANDO EDITORE


Sommario

Prefazione di CHIARA GEMMA Capitolo primo: L’organizzazione/scansione

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COSIMO LANEVE

1. 2. 3.

La contestualizzazione tematica e cronotopica L’accertamento delle conoscenze precedenti L’individuazione-definizione-scansione dei punti tematici 4. La preparazione all’apprendimento 5. L’analisi di ciascun punto tematico e organizzazione dei nessi 6. L’invito ad operare il feed-back 7. Lo schema riassuntivo 8. La discussione collettiva 9. La fissazione-verifica dei punti acquisiti 10. La conclusione e l’introduzione alla lezione futura Capitolo secondo: La conduzione

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CHIARA GEMMA

1. 2.

Come avviare la lezione: considerazioni preliminari Come condurre la lezione: metodi principali

Capitolo terzo: La gestione della classe

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GABRIELLA ALEANDRI

1. 2.

La relazione educativa I fattori socio-culturali

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3. 4. 5.

La mediazione nella relazione La comunicazione nella relazione La gestione in situazioni di multiculturalitĂ , diversabilitĂ , disagio

Capitolo quarto: La lezione digitale

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LAURA SARA AGRATI

1. 2. 3.

Ripensare il sapere Ridisegnare la progettazione Organizzare la lezione digitale saggia

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Postfazione di GABRIELLA ALEANDRI

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Bibliografia

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Prefazione CHIARA GEMMA

«La lezione […]: una cellula dell’organismo didattico… un palpito di vita dell’insegnamento… un legame tra il fatto e il da farsi…». G. Lombardo Radice (1925), Lezioni di didattica, X ed., 92

Questo agile testo vuole offrire indicazioni, riferimenti e richiami utili ad affrontare la prova orale che non pochi giovani dovranno sostenere nei prossimi impegni concorsuali. Ma non solo. Vuole essere anche un format per chiunque intenda svolgere con successo la professione docente. Una guida per preparare la lezione rivolta ad alunni e studenti di ogni ordine e grado. Non già dunque “come fare la lezione”, che è una prerogativa che sta tutta nella cifra personale della libertà di ciascun docente, ma come la “si prepara” appunto, ricorrendo ad un corredo didattico adeguato, ad una cassetta degli attrezzi (concetti base, nozioni fondamentali, riferimenti storici) dalla quale la/il futura/o insegnante può attingere avvertenze, piste, suggestioni. Come si sa, la lezione si snoda utilizzando due descrittori: le azioni e gli attori. Per quanto attiene il primo è sembrato utile ricondurle a tre tipi di operazioni che si impongono alla/all’insegnante: organizzazione-scanzione degli step, selezione di metodi, 9


gestione della classe. Di ognuna si chiariscono le modalità e si descrivono operativamente in cosa consistono richiamando, nel contempo, modelli e problemi teorici. Quanto agli attori si insiste sul ruolo professionale che le/gli insegnanti ricoprono, si cerca di capirne il ruolo, le pratiche operative e le competenze necessarie. Ciò che interessa mettere in risalto in queste pagine è proprio il ruolo che la/l’insegnante riveste, la cui cifra, si ribadisce, va individuata nella personale capacità di interpretare liberamente i molteplici suggerimenti teorici, di dar conto del proprio sé nelle scelte didattiche, di dar valore a ciò di cui è capace mentre “tesse” la lezione, di dar vita alla propria autonomia didattica. La soggettività dell’essere insegnante ad una certa maniera nasce da quell’apprendere ad insegnare, non più acquisibile soltanto con la formazione teorica, sia pure approfondita e di lunga durata, ma anche, e soprattutto, con la pratica o tirocinio che dir si voglia. Il sapere della/ll’insegnante, in particolare, è, infatti, un tipo di sapere che non è lineare, né articolabile secondo tappe predeterminabili, né formalizzabile del tutto e, comunque, non con il linguaggio della logica dimostrativa. Esso è il sapere della complessità, della connessione multipla e della contestualizzazione situazionale: è il sapere dell’azione. Ed è proprio per tale ragione che i vari percorsi di studio universitario, e i recenti documenti ministeriali che delineano il profilo dell’insegnante (dm 8/11/11), danno sì il quadro entro cui si colloca la sua competenza, ma non ignorano che la professionalità si costruisce anche in re, nel concreto del “fare scuola”, laddove la professione diventa espressione di quel in signo ponere che è proprio della didattica intesa anche come occasione per lasciare il segno, la indelebile traccia (Laneve, 2012). La lezione, dunque, si configura come un vero e proprio docendi artificium sonat (Comenio), volto all’analisi della problematicità dei contenuti, ma non solo, anche al riconoscimento del metodo idoneo, del setting organizzativo, della continua modulazione e ri-modulazione del compito con/per gli studenti al fine di 10


rendere gratificante l’esperienza apprenditiva da parte di questi ultimi. La lezione si fa a misura di … perché TUTTI i bambini possono diventare Einstein (Alberca, 2012). Se tali considerazioni inducono ad affermare che si è per un tipo di lezione non precostituita ma da tessere in presenza, perché si è deciso di proporre un testo sulla lezione? Come si giustifica una tale scelta? Intanto va evidenziato che si tratta di un testo-proposta e non di effettive lezioni. La/il futura/o insegnante è sollecitata/o (anche in sede di esame per le abilitazioni) a gestire uno schema che solo in re viene riempito di elementi contenutistici accompagnati da opportuni spunti metodologici, non quindi, si sottolinea nuovamente, la conduzione vera propria di una lezione. In una prova pratica va dimostrato che ci si sappia muovere con intelligenza, con sufficienti capacità organizzative, con flessibilità ed elasticità, non privi, tuttavia, di prudenza, e soprattutto in piena adesione alla realtà affinché le note contenutistiche dello schema e le osservazioni metodologiche della lezione non si calino nell’astratto, ma si sforzino di riferirsi ad una situazione ben definita. Le indicazioni suggerite vanno pertanto accolte come consigli, dato che non mancherà di notare, appena si entra in un’aula, che il gruppo classe raramente presenta caratteri unitari, ma piuttosto eterogenei, ovvero una mescolanza di elementi ascrivibili a più dimensioni (sesso, età, appartenenza sociale, contesto ambientale, maturazione personale, interessi, motivazioni e così via) che necessitano di una loro unitaria considerazione. Per concludere, rapide considerazioni sull’idea di lezione a cui si volge qui attenzione. Oggi che si assiste ad un frenetico rinnovamento relazionale il cui interesse è per la collaborazione degli studenti con gli insegnanti, oggi in cui sempre più si parla di insegnamento cooperativo e di sistemi di insegnamento individualizzati, come si deve intendere e qual è l’idea di lezione da far passare? Intanto nel rispondere non si può non considerare la posizione di coloro che hanno addirittura affermato che la lezione non esiste 11


più. Passando dalla logica dell’insegnamento all’apprendimento è come se la lezione si fosse frantumata dando vita a tanti micro interventi e a una quantità di suggestioni, curiosità esauribili nel momento dell’attuazione. Così come non si può non riflettere sul fatto che la lezione, nel senso più tradizionale, è come se fosse divenuta un fossile metodologico. Ormai soppiantata dalla lezione tecnologica si assiste alla sostituzione con la LIM della lavagna in ardesia, con l’e-book, netbook al posto del libro, i PPT, PREZI o WMM al posto delle tradizionali modalità argomentative e così via. Un rottame, se si riconduce all’etimologia del termine leggere, da quando la/l’insegnante, staccandosi dal testo scritto e dalla forma del leggere, l’ha interpretata in piena libertà, parola vivace, sempre nuova, sempre provocante, benché spesso in forma di monologo. È chiaro che, con queste premesse, il problema cosa è e come si prepara una lezione, viene eliminato in partenza. Non è questo il caso. La lezione a cui piace pensare è quella che riesce ad armonizzare le esigenze delle attività degli alunni con le inderogabili necessità dell’azione del docente. Una lezione che sappia orientare in senso cognitivamente efficace gli alunni e nel contempo continuamente ad alimentare nel docente l’adrenalina per quella passione insegnativa che tutto può e tutto fa. E allora: come strutturarla? Come condurla? Come gestirla? A questi interrogativi si cercherà di dar risposta nelle seguenti pagine con l’avvertenza, ma anche la consapevolezza, che ogni lezione può anche essere occasionale, quindi anche l’occasionale può sviluppare la capacità critica dell’alunno e contribuire a potenziare la sua identità personale. In una parola devono saper lanciare la sfida a crescere. Un testo base, dunque, di facile consultazione e di agevole applicazione scandito da passaggi, alcuni propedeutici altri esecutivi, tutti finalizzati a sollecitare la/l’insegnante nella ricerca di strategie necessarie per una fattiva performance didattica. È parso utile, da subito, presentare lo schema “nudo” delle principali fasi 12


della lezione eppoi un’analisi ragionata di ognuna di esse. Ciascuno step della articolazione contiene alcuni richiami ad elementi che, pur non pertinenti al tema della lezione, non possono essere, se non esplicitati nella fase di svolgimento della stessa, tuttavia, non tenuti presenti per un esito positivo della prova (cap. primo, Laneve). Segue una serie di suggerimenti per dare voce alla lezione ridisegnando i metodi espositivi ed euristici e il conseguente approfondimento dei secondi che, pur non rientrando tra quelli tradizionalmente utilizzati nelle aule scolastiche, bensì nelle aule di formazione per adulti, risultano assai coinvolgenti nei processi apprenditivi (cap. secondo, Gemma). L’attenzione si focalizza poi sulla gestione della classe ovvero su tutte quelle variabili organizzative, quali le attività, le azioni, che si fanno in vista dell’uso del tempo, degli spazi, dei materiali a disposizione. Ma non solo, anche le forme di comunicazione educativa e persuasiva quale dimensione qualificante l’azione didattica (cap. terzo, Aleandri). Ed infine non si è potuto non fare riferimento anche alla lezione multimediale quale strumento per l’innovazione dell’insegnamento (cap. quarto, Agrati). Non si nasconde che questo testo-proposta potrà per alcuni risultare una sterile esercitazione, in cui l’immaginazione occupa un gran ruolo, ma grande sarà la gratificazione se si pensa che possa essere di utilità anche ad uno soltanto dei futuri insegnanti.

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Capitolo primo

L’organizzazione/scansione COSIMO LANEVE

«Il problema pratico dell’insegnante è quello di mantenere un equilibrio tra il dire e il mostrare tanto poco da mancare di stimolare il pensiero e, al contrario, il dire e il mostrare tanto da soffocarlo». J. Dewey (1994), Come pensiamo, 7 ed., 374.

In uno scenario culturale segnato sempre più dall’always learning e dal superamento di un luogo privilegiato per lo svolgimento delle attività educative, in quanto siamo in un sistema formativo policentrico e impariamo in moltissime occasioni (quando si viaggia, nel nostro tempo libero, da Internet, e così via) e mediante le molteplici forme che la società del XXI secolo ci offre (sovrattutto attraverso quelle fornite dalle nuove tecnologie), riproporre la didattica d’aula, insegnare cioè in un ambiente circoscritto, al riparo del quale far interagire opportunamente soggetti e strumenti a scopi di apprendimento e nel quale gioca un ruolo dominante la “lezione frontale”, può apparire superato o soltanto un po’ fuzzy. Eppure proprio in tale didattica, se ben impostata – e se recupera un fattore in passato trascurato, quale il contesto, che oggi, appunto con l’apporto dei media tecnologici – può cancellare quelle connotazioni di neutralità e di insignificanza che lo confi15


guravano tradizionalmente come mero contenitore per assumere piuttosto quelle di un “ambiente attrezzato”, in grado di esercitare un’influenza positiva, si pongono le basi formative idonee a generare produttivi sviluppi nell’intero arco della vita. Si tratta allora non tanto di riproporre il tradizionale setting d’aula quanto di reimpostarlo individuando quei tratti di qualità in grado di rilanciarlo. C’è oggi una maggiore diffusa consapevolezza della complessità dell’insegnare e della varietà di elementi che possono incidere sulla qualità del suo funzionamento. La materialità educativa della classe (specie scolastica e universitaria) chiama in causa dimensioni di contesto, di struttura, di scenario simbolico e organizzativo, di subcultura istituzionale e professionale, che rendono insufficiente l’enfasi sui contenuti, sulla loro trasmissione e sull’interazione dei due soggetti (insegnante e alunno). La lezione non va risolta in una ingegneria degli obiettivi, né in una retorica dei contenuti, e neppure in un rapporto a due. È tempo che da modalità semplici e tendenzialmente di tipo lineare si passi ad elaborare modelli più complessi, che configurano l’insegnamento come un sistema e considerano in quale misura i singoli elementi concorrano ad orientarlo. In tale quadro si colloca l’idea di qualità. Una lezione (d’aula o no) si dice “di qualità” se sa dare risposte soddisfacenti ai problemi della sintonizzazione fra saperi e insegnamento, se sa soddisfare le esigenze degli alunni in relazione agli standard culturali da conseguire (e, quindi, si dice efficace) e se gli insiemi degli aspetti che la caratterizzano interagiscono proficuamente fra loro (e, quindi, si dice efficiente). Ancora oggi il “fare scuola” si gioca in buona misura proprio sulla qualità dell’organizzazione didattica della lezione. Organizzarla in modo efficace non significa programmare ogni passo, impedendosi così di cogliere e di valorizzare l’imprevisto e ciò che avviene in situazione, bensì riservare una specifica attenzione ai suoi diversi momenti, in particolare all’avvio, al corpo centrale, e alla conclusione. 16


Giova avvertire subito che, se le nuove tecnologie, sovrattutto quelle elettroniche, informatiche e virtuali, non possono non costituire, oggi giorno, degli strumenti necessari nel contesto di insegnamento-apprendimento, non devono, però, portare a trasformare il lavoro in classe in un set di On Line-Education, in una “tecno-classe”, una smart classroom: in un’aula predisposta come ambiente in cui promuovere soltanto esperienze di apprendimento modellate su quello che – in fatto di processi, informazioni e prodotti – i new media consentono di realizzare. Correttamente intese, le nuove tecnologie (dalle più semplici all’aula multimediale) sono da considerare necessarie, ma non uniche: strumenti da usare, insomma, a seconda delle diverse esigenze dell’insegnamento-apprendimento. La lezione, quindi, non è affatto un tema obsoleto, e sta disegnando uno scenario in progress: il lavoro degli insegnanti (nella scuola come nell’università) sta uscendo dal pantano della routine, dalle secche della improvvisazione quotidiana, dalle pastoie dei buoni sentimenti, e sta entrando sempre più nel campo della conoscenza e della competenza professionale. In tale prospettiva si scandiscono qui i passaggi necessari, alcuni propedeutici ed altri esecutivi, per consentire al giovane docente di affrontare la prova orale con una preparazione che non può non richiedere alcune focalizzazioni funzionali alla concreta performance didattica. È parso utile pertanto presentare prima lo schema “nudo” delle principali fasi della lezione eppoi un’analisi ragionata di ciascuna di esse. Ogni step contiene alcuni richiami ad elementi che, pur non pertinenti all’argomento della lezione (che sarà scelto) e non esplicitati nella fase di svolgimento della stessa, non possono, tuttavia, non essere tenuti presenti ai fini di un esito positivo della prova.

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Schema 1. Contestualizzazione tematica e cronotopica 2. Accertamento delle conoscenze precedenti 3. Individuazione-definizione-scansione dei punti tematici – Invito a prendere appunti, vale a dire non solo fermare concetti, parole, ma anche fare annotazioni, esprimere giudizi, porsi quesiti ecc. a…………… b…………… – Indicazioni bibliografiche e settori di ricerca 4. Preparazione all’apprendimento – percettivi: schemi, schizzi – distribuzione degli organizzatori – logici: diagrammi – sistematici: tavole, sinossi 5. Analisi di ciascun punto tematico ed organizzazione dei nessi 6. Sollecitazione ad operare il feed-back 7. Schema riassuntivo 8. Discussione collettiva 9. Fissazione-verifica dei punti acquisiti e di quelli da acquisire 10. Conclusione e introduzione alla lezione futura 18


Annunciato l’argomento, l’insegnante introduce ciò che nel corso della lezione verrà poi ripreso e analizzato in dettaglio (il punto 3, vedi par. 3 L’individuazione-definizione-scansione dei punti tematici, più avanti). È bene invogliare subito gli alunni a “prendere appunti”: ovvero l’invito – si badi – non solo a fermare concetti, parole, pronunciate dal docente o ascoltate, come vedremo, dalla discussione, ma anche a fare annotazioni, esprimere giudizi, porsi quesiti, ecc. Invito che dovrà essere rivolto relativamente a ciascun punto dello schema. Può essere utile valorizzare un quaderno o un computer (è auspicabile!) alternando momenti di spiegazione con consegne di scrittura individuale. 1. La contestualizzazione tematica e cronotopica Consente agli alunni di collocare il tema della lezione nell’insieme del percorso d’insegnamento-apprendimento e di cogliere così le connessioni tra le varie parti. Offre loro delle indicazioni sul senso, sul perché il docente abbia scelto di affrontare quel determinato argomento e/o di lavorare su quegli aspetti proprio a quel punto del percorso didattico. Importante è che sia bene riconoscibile, per docente e per gli/le alunni/e, un fil rouge che ne leghi i vari momenti. Sarà utile che il docente si dedichi, in avvio della lezione, alla ripresa di quanto già svolto, stimolando la produzione di un breve sommario della puntata precedente, sottolineando l’aggancio tra il lavoro che si accinge a proporre e quello già fatto in precedenza, e sollecitando domande ed eventuali dubbi su quanto affrontato. Il che permette agli alunni di ricollegarsi al già appreso, ma anche di richiamare alla memoria il percorso che stanno compiendo, con i suoi obiettivi, i contenuti e i metodi. Successivamente sarà cura del docente ascoltare, sia pure brevemente, il parere degli alunni sul tema che è stato comunicato on line. Infatti nella conclusione della lezione precedente l’in19


segnante, oltre ad aver accennato ai probabili temi da affrontare nelle successive lezioni, ha, com’è suo solito, annunciato che avrebbe inviato on line agli alunni il titolo del tema relativo alla prossima lezione. Non è secondario che oggi l’alunno si prepari ricercando informazioni e si predisponga cognitivamente ad affrontare l’argomento (facendo ricorso, per esempio, alla tecnica del brainstorming, che aiuta a fare emergere associazioni spontanee su un determinato argomento). È proficuo difatti arrivare in classe e trovarsi di fronte studenti che sanno già di che cosa si parlerà, e individuare i punti deboli grazie alle domande che gli stessi studenti rivolgono sulla base di quanto hanno letto per via elettronica. Da qui la densa rilevanza che assume sotto il profilo didattico esplorare attentamente i vissuti degli alunni e le loro rappresentazioni in ordine al tema. Alla fine della lezione avranno svolto quattro attività fondamentali: hanno letto, scritto, discusso e, quindi, sentito esporre i punti salienti del tema. Oltre a contestualizzare il tema della lezione nel quadro già disegnato e svolto curando i collegamenti anche tra i vari ambiti problematici e disciplinari, occorre che l’argomento della lezione sia situato nella classe. L’aula costituisce l’ambiente socio-culturale (a sua volta inserito nel più vasto quadro scolastico e cittadino) ed organizzativo entro cui ha luogo l’insegnamento-apprendimento, al quale offre risorse (ma non solo; anche vincoli) per la sua realizzazione e dal quale è a sua volta arricchito (specie se tecnologicamente predisposto) e modificato grazie agli interventi (azioni e parole) di tutti i partecipanti. In esso un ruolo rilevante svolgono sia le dinamiche concrete attraverso cui gli/le alunni/e apprendono ciò che gli insegnanti richiedono, sia gli artefatti culturali: le forme linguistiche, le pratiche discorsive, oltre che i contenuti culturali e, oggi, sovrattutto, le tecnologie dell’informazione (i media). Connotata socialmente, l’aula incorpora, nella sua configurazione e organizzazione interna, le funzioni sociali cui è deputata. Da qui la crescente rilevanza della “ecologia dell’azione”, sotto20


lineata da Edgar Morin: la consapevolezza, cioè, che ogni azione entra in un giro di interazioni e di reazioni. Con la sua peculiare disposizione dei banchi, della cattedra, della lavagna, e degli altri media, è non solo contenitore delle attività che in essa si svolgono, ma anche spazio di socializzazione e di acculturazione proprio perché evoca valori (cooperazione vs competizione; parità vs subalternità ecc.), sollecita “fuochi” di attenzione, definisce gesti; vincola pratiche individuali e collettive. E così via. Complementare a ciò sono le molte difficoltà di apprendimento in classe che possono essere più utilmente ridefinite come difficoltà a comprendere, in modo chiaro ed inequivocabile, ciò che gli insegnanti richiedono. La comprensione a scuola è stata, per troppo tempo, limitata alla tematica della comprensione del testo (orale e, sovrattutto, scritto), mentre esiste un problema preliminare e non secondario: comprendere la situazione della classe. Esemplificando: l’insegnante deve assicurarsi che “passi il messaggio giusto”. Deve cioè cercare di porsi sulla stessa lunghezza d’onda dell’alunno capendo quali sono le sue conoscenze ed immaginando le sue aspettative. Così come l’alunno deve cercare di capire le intenzioni dell’insegnante. Delicato e centrale è il compito che svolge quest’ultimo. Fornisce un filo conduttore (significati, scopi, aspettative): definisce un “contratto didattico”, di solito in termini impliciti più che in quelli espliciti, entro il quale senso, contenuti, procedure e criteri di valutazione sono inequivocabili. In questa opera un rischio nonvirtuale è che gli insegnanti ignorino la funzione strutturante che tali dinamiche svolgono nell’attivare un funzionamento cognitivo appropriato negli/le alunni/e: è, cioè, possibile che essi si limitino a considerare, per esempio, la discussione, le situazioni di microconflittualità interindividuale ecc., come degli aspetti secondari e che, in quanto tali, non meritino un’attenzione particolare nel corso della vita (quotidiana) in classe, se non limitatamente a certi ambiti disciplinari. È appena il caso di sottolineare che l’apprendimento è visto 21


come partecipazione progressiva a un contesto che prevede linguaggi, simboli, significati, relazioni, modalità, strumenti e valori attraverso pratiche discorsive e operative, ed in cui sono all’opera anche altri insegnanti, figure dirigenziali ed amministrative, personale non-docente, norme e procedure, pratiche formali ed informali. Nell’aula pertanto l’apprendimento è sempre situato, in quanto non esiste indipendentemente dal modo in cui i partecipanti lo contestualizzano. Ciò che si apprende è strettamente legato ai luoghi in cui si manifestano le azioni sociali e le pratiche culturali di gruppo1, perché oltre ad apprendere conoscenze, tecniche, procedure, s’instaurano anche delle reti interpersonali di comunicazione: oltre che pratiche di lavoro collaborativo, si apprendono anche forme, modi e relazioni sociali. Ed è altresì distribuito: esiste non solo nella mente dei partecipanti (o degli alunni), ma anche negli strumenti usati (dai libri letti a quelli soltanto schedati, dagli appunti alle informazioni ricevute, agli archivi del personal computer), nonché nella capacità di servirsi degli apporti provenienti dai diversi partecipanti, come risorse da consultare quando è necessario. Si tratta insomma di (diventare capaci di) servirsi di una serie molteplice di artefatti cognitivi. Oggi nell’era del multitasking il luogo fisico dell’apprendimento si è spostato fuori di noi, perché il cervello si estende in maniera virtualmente infinita attraverso l’elettricità, e dunque la nostra memoria sta nei computer, nelle banche dati, in Wikipedia, e più in generale nelle possibilità di accedere alla memoria di qualche supporto elettronico in modo random (cioè non lineare) da pressoché ogni luogo del pianeta. Nella piena consapevolezza che il problema dell’apprendimento non è quello di avere soltanto nozioni, ma di avere sapere (vedi oltre, nei paragrafi seguenti), cultura: ovvero

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I contesti tipici in cui si impara a lavorare con gli altri sono le tradizionali botteghe di artigiani o di artisti, i moderni laboratori scientifici, una redazione di giornale, gli atelier, ecc.

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organizzazione e interiorizzazione delle stesse nozioni, riflessione critica, capacità di andare oltre. Ne deriva l’esigenza che, se l’attività di conoscenza e di apprendimento attraverso l’uso degli artefatti, strumenti, procedure e quadri concettuali va confermata, va anche rivalorizzato l’apprendere da e con gli altri componenti. Appare sempre più utile reimpostare non poca dell’attività didattica tradizionale, riscoprendo la rilevanza dell’apprendimento in aula (nella comunità scolastica o universitaria) attraverso il confronto, la discussione e il dialogo, rispetto a quello dello studio individuale. La tradizionale cultura scolastica, infatti, tende a coltivare un’immagine individualistica dell’apprendimento, per cui si impara soltanto se si studia da soli, anche se c’è ormai una consistente linea di ricerca che mostra l’efficacia dell’apprendere insieme nell’interazione e nello scambio sociale. L’aula o, meglio, come si suole dire, la classe, non può non configurarsi come una comunità-di-apprendimento, come “comunità di discenti o apprendisti” (community of learners), ossia come una comunità-di-persone che collaborano, condividendo progressivamente conoscenze, regole, comportamenti, valori, e che stabiliscono specifiche modalità di comunicazione e reti di relazioni interpersonali. Appare utile che, anzitutto, le situazioni sociali nelle quali gli alunni si vengono a trovare siano sufficientemente strutturate così che le regole che le caratterizzano risultino trasparenti e, nel contempo, sufficientemente fluide da permettere a ciascuno di trovarvi un’adeguata collocazione. I passaggi da situazione a situazione dovrebbero, poi, per un verso, essere sufficientemente marcati per consentire un agevole adattamento a ogni situazione nuova e, per l’altro, graduati e sfumati in modo da consentire il riorientamento e il mantenimento dell’attenzione. Ancora: ogni situazione dovrebbe anche consentire margini di “trasgressione” e di libera espressione individuale; ma alle seguenti condizioni: – che l’aula (o altro ambiente didatticamente strutturato) possa costituire un luogo nel quale i processi di socializzazione si configurino non come adeguamento a regole rigide, 23


bensì come possibilità di provare e di simulare le regole che li governano; – che tutti i partecipanti, ossia tutte le figure presenti nella situazione, siano coinvolti: oltre agli alunni e ai docenti, il dirigente, i bidelli, gli inservienti, i genitori ecc. – e che non soltanto le situazioni insegnamento-apprendimento specifiche, ma anche l’insieme delle pratiche e delle operazioni connesse alla vita di aula (per es.: l’entrata, il prepararsi per l’uscita, l’intervallo, l’eventuale consumo della colazione, e via dicendo) rientrino in queste modalità. Queste brevi considerazioni sottolineano l’importanza di governare i sistemi di regole che sono sottese alle interazioni d’ insegnamento-apprendimento nella classe (sia fra insegnanti e alunni e sia tra alunni) sotto due profili. Questi sistemi costituiscono, da un lato, degli strumenti preesistenti alle relazioni dirette e quotidiane nella scuola: fanno parte degli obiettivi generali della scuola, dei suoi curricola, e della formazione professionale degli insegnanti; costituiscono cioè il patrimonio culturale che la scuola possiede per trasmettere alle generazioni successive non soltanto conoscenze, ma anche specifici modi di organizzare le conoscenze e specifici modi di organizzare le menti degli alunni; dall’altro lato, degli strumenti che gli insegnanti e gli alunni reinterpretano per esercitare concretamente i rispettivi ruoli e soddisfare agli obblighi reciproci. Insegnare in maniera ecologica significa essere capaci di conversare fra i diversi sistemi: la mutua interazione dialettica consente di scoprire nuovi significati, relazioni, azioni ecc. Da qui l’estrema rilevanza che assume la capacità di “leggere” la realtà della classe e di capirla (nelle macrosituazioni ma anche nelle micro) per poter su di essa intervenire in modo adeguato. Avere la possibilità di cogliere dinamiche e stili di comportamento nel gruppo classe potrà aiutare ad impostare più efficacemente la lezione Un’ultima considerazione: non può l’insegnante trascurare di creare “quell’aura per l’apprendimento”, fatta di curiosità incontenibile, piacere di scoperta, passione di sapere; setting vivace; 24


atmosfera piacevolmente laboriosa, che è conditio sine qua non per il successo della lezione stessa. 2. L’accertamento delle conoscenze precedenti L’insegnante richiama – lo si è già accennato – i punti salienti, trattati nella/e lezione/i precedente/i, invita a fare domande (per chiarimenti, integrazioni, rilievi critici ecc.), considerazioni, osservazioni, annotazioni personali, relativamente a concetti e nozioni che sono richiamati dal tema che sta per essere svolto. Si tratta –si badi – di costruire connettendo i vari concetti appresi sia nell’ambito della disciplina che si insegna, ma anche in una prospettiva se non interdisciplinare almeno multidisciplinare. Interventi, questi, finalizzati ad esplicitare lo stato dei concetti (nozioni, conoscenze, anche presenti negli appunti presi dall’alunno) disponibili a coordinarsi con i nuovi che si intendono presentare. E sovrattutto sollecita a partecipare. Il clima sociale è di solito considerato più – o addirittura soltanto – come condizione per l’apprendimento e non anche situazione di apprendimento, ignorando così che esistono insegnamenti-apprendimenti diversi da quelli propriamente cognitivi che proprio in tali situazioni si realizzano: apprendimenti di comportamenti, di atteggiamenti, di regole, di norme di convivenza, di abitudini di impegno, di modi di lavorare, di condotte sociali, di valori morali, di indicazioni di potere, e così di seguito. Il processo di trasmissione di questo tipo è raramente oggetto di azione consapevole da parte del docente. Occorre allora non soltanto facilitare le condizioni per apprendere, ma anche tenere in massimo conto le situazioni reali di apprendimento, già di per se stesse in grado di veicolare modalità ad alto indice di significatività psicologica, comportamentale e educativa. Per la creazione di tale clima un ruolo decisivo lo gioca la relazione positiva con gli alunni (vedi Aleandri). La lettura dell’esistente porta a riconoscere come la nostra sia 25


tendenzialmente una cultura della separatezza e del contatto virtuale: abbiamo diffuse partecipazioni epidermiche e continui processi di estraneazione (i mezzi di comunicazione di massa sono strumenti di vicinanza ma anche di distacco);esiste un filtro tra noi e ciò che accade. La socializzazione superficiale è l’esatto contrario del rapporto interpersonale. È necessario allora rivalorizzare la relazione oggi in classe e rimarcare le modalità attraverso le quali si può contribuire a ridarle pregnanza educativa. Se, infatti, il momento costitutivo della ragione è, sì, l’intelligenza, altrettanto costitutivi sono l’immaginazione e il sentimento, quali elementi di una razionalità nuova, nata e sostenuta dalla ricchezza della nostra umanità. Si tratta, quindi, di insegnare a saper vivere (intelligentemente) le proprie emozioni ed i propri sentimenti, in modo che siano di supporto e di guida al comportamento e al pensiero, mirando così ad un’equilibrata salute mentale, atta a realizzare comportamenti coerenti, omogenei, immuni da effetti negativi. Una serena disponibilità affettiva, sintonizzata con la mentalità intelligente, all’opera educativa e didattica favorisce la coniugazione della logica dell’insegnamento, centrata sull’intelletto, con la logica dell’apprendimento, centrata sulla persona, intesa, quest’ultima, nell’ineludibile interezza costitutiva e nell’imprescindibile valenza “biografica” rispetto a parametri nomotetici o addirittura quantitativo-statistici. 3. L’individuazione-definizione-scansione dei punti tematici2 Au coeur de l’activitè enseignante c’è il saper trascrivere un determinato contenuto in itinerari concreti di apprendimento, quali soluzioni organizzative produttivamente ordinate, che sale dalle “cose” (contenuti dell’esperienza spontanea, fatti e dati della vita, aspetti immediati dell’esistenza) agli “oggetti” (prodotti del filtraggio intellettuale, costruzioni della proceduralità scientifica, 2

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Questo punto è già – come si ricorderà – sulla LIM.


costrutti della mediazione concettuale). Prima e dietro al mondo degli “oggetti” c’è sempre un universo di “cose” che occupano come tali l’intelligenza e gli affetti dell’alunno. Tutto il lavoro di trasposizione didattica non è un mero trasmettere, bensì è un nuovo costruire conoscenze. Chi insegna non può esimersi dal riflettere sulla conoscenza, sulle sue forme e su i suoi processi di acquisizione, dal momento che si occupa di innescarli e produrli, anche se, talvolta, solo di proteggerli e, talaltra, solo di autenticarli o, semplicemente, di mediarli. D’altra parte l’insegnante nelle sue pratiche didattiche non può non esprimere una teoria della conoscenza. La più matura ricerca sull’insegnamento ha preso coscienza delle effettive proprietà dei “contenuti” insegnati, delle procedure di scolarizzazione cui vengono sottoposti all’atto di tradurli in saperi “insegnabili”, in breve: da artefatti culturali a artefatti didattici. Il che non corrisponde soltanto ad una sistemazione, progressiva, deduttiva e gerarchica della materia-da-insegnare. Questa diversa codificazione – scientifica e didattica – del medesimo sapere consiste piuttosto in operazioni, delicate e complesse, di ricontestualizzazione e trasformazione, che fanno la differenza imparagonabile del lavoro dell’insegnare ad altra professione. Nel XXI secolo, già inoltrato, il problema dei contenuti si configura non tanto in termini di cosa inserire, quanto di cosa escludere: occorre difatti selezionare, portando il problema della quantità ad un salto di livello, facendolo diventare un problema di qualità. I contenuti disciplinari, i saperi, oggi sono in continuo cambiamento e iperspecializzati; eppure un certo ritualismo didattico con la sequenza rigida fra spiegazione e interrogazione, con l’uso acritico di manuali, con la poca cura per l’approfondimento e per la riflessione, con la scarsa attenzione alle connessioni intradisciplinari e ai rapporti multi e interdisciplinari, non solo non offre una struttura di conoscenze articolate, né una prospettazione di sintesi e neppure un’indicazione di parametri di giudizio, ma non dà anche l’opportunità di cogliere i cambiamenti, sovente radicali 27


di un determinato sapere, di una determinata disciplina. Ne deriva in termini di innovazione che nel microsistema-classe bisogna, certo, mirare a memorizzare, ad elaborare, avvertire problemi, ma anche a far cogliere la diacronicità dei diversi contenuti. Rimane, senza dubbio, l’istanza di far apprendere gli alfabeti culturali e, quindi, i contenuti essenziali delle discipline, il sapere, cioè, rigorosamente selezionato secondo il criterio del “minimo comun necessario” (le conoscenze di base, i linguaggi, i punti di vista interpretativi, le metodologie della ricerca), ma anche i dispositivi euristici, generativi e trasversali, i potenziali creativi, i paradigmi di senso e di significato. Dunque: non soltanto favorire un sistema enciclopedico (alfabetizzazione primaria), bensì incrementare il rapporto dell’alunno con la dinamica sociale/culturale/epistemologica/storica del sapere e con le forme che essa assume nello scenario contemporaneo. In altri termini: un’attenzione all’essenzialità (intesa in senso lato e non in quello del semplice rudera tollere) consistente nel puntare su un deciso ricupero di sostanzialità, incisività, metodologicità (insegnare le procedure mediante le quali la disciplina produce le sue rappresentazioni della realtà), fondatezza nei messaggi (l’interazione-complementarità dei processi: dall’alto – top-down, dal tutto alla parte, che sono guidati dal sistema cognitivo – con quelli dal basso – bottom-up, dalla parte al tutto –, muovendo dai dati, dalle informazioni in entrata); ed una cura particolare nell’oltrepassare le forme meramente consegnative di trasmissione di contenuti per privilegiare quelle euristiche. Dunque: un sapere orientato prevalentemente sul paradigma della ricerca anziché su quelli della ripetizione e dell’accumulazione. Vanno perciò preferiti linguaggi e strumenti che stimolano l’interpretazione e la costruzione di significati a quelli che tendono a definire completamente ed esplicitamente il messaggio. Connessa con l’essenzialità è l’argomentatività. È il procedimento che fornisce delle ragioni a favore o contro una tesi determinata, che spiega un concetto, una nozione, una co28


noscenza attraverso un dire articolato e giustificativo. Trasmettere significa allora cercare di guadagnare l’adesione dell’alunno sulla base di argomentazioni, rinunciando ad imporgli delle direttive che esprimono un semplice rapporto di forza e riconoscendogli piuttosto l’autonomia valutativa e decisionale. Fa appello ad una ricchezza di motivazioni miranti a consolidare l’unità del soggetto ascoltatore e si dispiega come una proposta che, offrendosi in forma propositiva, conserva tuttavia i caratteri della problematicità e della falsificabilità. Privo di ogni pretesa assolutizzante di definitività, siffatto trasmettere-comunicare-spiegare alimenta la discutitività (v. paragrafo 8) sulle tesi e sulle scelte presentate ed è tendenzialmente orientato ad instaurare una relazione non già di dominanza fra l’insegnante e i suoi alunni, bensì di confronto franco che vive appunto sull’offerta responsabile dei soggetti interlocutori. L’insegnante, difatti, sebbene sostenga il proprio punto di vista con procedure elucidative, argomenti probanti e figure che meglio colorano il linguaggio, lascia, tuttavia, il dovuto spazio alla possibilità di valutazione critica, di indagine dismagante e di decisione personale all’alunno: evidenzia le interrelazioni e le implicazioni contenute nella propria proposta, attiva nell’interlocutore una maieutica in grado di alimentare consensi, ma anche dissensi, e di prospettare ipotesi alternative per la soluzione del problema oggetto di discussione. L’alunno allora non viene schiacciato al livello del mero ricettore di messaggi, ma assurge piuttosto a interlocutore attivo, interprete personale, a centro espressivo di decisioni autonome. Ed infine, capacità di analisi critica: non già mirare ad una rappresentazione incantata di un sapere unico e fondante, ma ad approccio critico, ermeneutico e problematizzante. Difatti non basta più il motto “Non multa, sed multum”: occorre anche aprirsi verso un pensiero multidimensionale, utilizzando il metodo della complessità che richiede di “pensare senza chiudere i concetti”, di spezzare le sfere chiuse, di ristabilire le articolazioni fra ciò che è disgiunto, di sforzarci di comprendere, di pensare con le singolarità, con la località, con la temporalità, di non dimenticare 29


mai le totalità integratrici epperciò di non finire nel riduzionismo: la scienza come unico paradigma del sapere. La pluralità delle ottiche e la diversità degli osservatori sono alla base di una nuova visione della scienza, della costruzione di un nuovo orizzonte che, in forza della sua circolarità, diviene una possibilità per ampliamenti ed integrazione costruttiva fra i punti di vista delle discipline. In riferimento al sapere la vera finalità del processo didatticoeducativo nel micro-sistema classe consiste nell’acquisire non tanto, o – peggio – soltanto, conoscenze consolidate, quanto, e sovrattutto, la capacità di porsi interrogativi nuovi per affrontare situazioni nuove: nel ricercare e nel trovare le vere domande piuttosto che le risposte giuste. Limitandosi al livello cognitivo, la comunicazione dovrà allora fra l’altro produrre abitudini alla retrospezione-introspezione, indurre stimoli a monologhi e dialoghi interiori, favorire la riflessione critica e la sospensione del giudizio (che esercita le sue diverse forme di pensiero per analizzare-risintetizzare posizioni, affermazioni, tesi), incoraggiare la metacognizione mediante la trasformazione analogica, e così via. Ora, se la lezione vuole perseguire questo scopo non può solo limitarsi ad essere chiara e perspicua, attraverso la sola “spiegazione”: sarà necessario che essa induca interessi, desti processi di curiosità, alimenti la funzione di incentivazione cognitiva ed affettiva verso il compito di apprendimento, curi le operazioni di consolidamento e di rinforzo, rendendo capace l’alunno di imparare davvero, e ulteriormente. In altri termini: non si tratta solo di docēre (spiegare), ma anche di movēre (spronare, sollecitare, richiamare); ed ancora: di delectare (far provare piacere, epperciò porre le premesse per continuare ad apprendere), senza con questo voler passare sotto silenzio che l’apprendere talvolta comporta sforzo, fatica, sacrificio. Che la lezione, poi, si avvalga abbondantemente di modalità verbali è fuori di dubbio. Tuttavia non consiste solo in esse: non pochi sono, infatti, i modi non-verbali. 30


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