Fortunato Aprile_L’alunno furgoncino e l’alunno carrarmato

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Fortunato Aprile

L’ALUNNO FURGONCINO E L’ALUNNO CARRARMATO Una didattica enattiva per ridurre gli errori in educazione

ARMANDO EDITORE


Sommario

Ringraziamenti

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Introduzione

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Come si generano gli alunni furgoncino e gli alunni carrarmato Cosa preconizzare: i furgoncini o i carrarmati? Oltre la scuola ideologica

PARTE PRIMA: CONTRO L’ANARCHIA VIGENTE

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1. La necessitá di porre ordine nell’educazione

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Da dove partire? Costruire sulle macerie del vecchio cognitivismo Perché non partire dal “livello tre”? Al docente tocca partire daccapo Dal paradigma iperattivo al paradigma enattivo Dalla comunicazione non curante alla comunicazione percettivamente guidata Un cammino da farsi Una definizione da rinviare Le inconsistenti certezze Condizioni di una scienza del fare scuola Il fenomeno da spiegare Proposta di un sistema capace di generare il fenomeno da spiegare Organizzazione e struttura

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L’alunno furgoncino e l’alunno carrarmato Le ragioni di “(S)fondo” degli inganni cognitivi Il ruolo causale delle regole Ruolo delle vigorose interpretazioni Il rapporto tra etica e correlati neurali della cognizione umana

2. Fonti di legittimazione della didattica enattiva Una prospettiva non contro, ma per Campi di indagine da superare e campi da assumere Posizioni antimodulariste Rapporti di intensità tra campi di ricerca Il costruttivismo radicale La mente, la psicologia fisiologica e il costruttivismo I contributi del costruttivismo ermeneutico I limiti della scienza cognitiva in Gardner L’intelligenza della coscienza e l’epistemologia basata sul cervello La psicologia derivata dalle neuroscienze cognitive

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PARTE SECONDA: NELL’ENIGMA DELL’EDUCAZIONE

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3. Il problema difficile dell’educazione

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I domini di competenza “Entrare nella luce” I processi che presiedono all’apprendimento Funzionamento della cognizione umana Ambiguità (e necessità) della questione mezzi-fini Un grave rischio: la banalizzazione della funzione pubblica L’effetto modellizzante dei saperi

4. L’apprendimento alto Una metafora per introdurre la questione del libero arbitrio Dai livelli superiori della ragione ai livelli alti della consapevolezza L’errore della scuola Fenomenologia successiva di un alunno furgoncino: il caso di Carlo

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Vantaggi di una neuroscienza dell’educazione L’esperienza di avvio della lettura Può l’educazione favorire “un’etica della coscienza”? Le tre condizioni

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PARTE TERZA: EPISTEMOLOGIA E MOODS PSICOLOGICI

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5. La mente e i processi personali

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Dall’epistemologia basata sul linguaggio all’epistemologia basata sul cervello 203 Un diverso ruolo per le scienze della formazione 206 I resistenti ostacoli all’educazione 208 È possibile un’educazione al libero arbitrio? 210 Conflitto tra credenze e libero arbitrio 211 Talune specificità dell’esercizio del libero arbitrio 216 Funzione delle prassi interpretative 223 Il dilemma di Heinz 230 Qual è la forma valida per costituire un dilemma corretto? 232 Ragioni per evitare forzature 233

6. La coscienza e l’educazione Non forzare i processi I ranghi della consapevolezza Emozione versus ripetitività: i moods psicologici Educazione e processi di mantenimento Fenomenologia dei ragazzi delle “curve” Il compito dell’educazione La strutturazione etica dello spazio di relazione Come deve essere la lezione del docente Recuperare le strutture che connettono Prendersi cura di se stessi Le transizioni dalla coscienza nucleare alla coscienza estesa Una evidenziazione

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PARTE QUARTA: LA PRATICA DELLA DIDATTICA ENATTIVA

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7. La questione dei dilemmi morali

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Categorie di interpretazione di un test figurale Alcuni casi Passaggi critici nella formazione scolastica L’educatività di ciò che è implicito Ragioni della professionalità docente Altre descrizioni Funzione di metodologia generale delle “Indicazioni” Valore strategico della valutazione L’autovalutazione come responsabilità della funzione Come sottrarre un bambino dal suo destino di “alunno furgoncino”: il caso di Daniele Una storia dentro una storia Quando i confronti interpretativi obbligano a modificare le proprie certezze Un’esperienza paradigmatica

8. Idee per lo sviluppo di una didattica enattiva Ridurre i gradi di ambiguità tra egoismo e altruismo La questione dell’ambiguità Ripresa del caso della cicala e delle formiche Costruire un sistema di test, a cominciare dall’area EE-EC Darsi una struttura di orientamento Un possibile “Postulato fondamentale” della didattica enattiva Un sistema di corollari

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PARTE QUINTA: LA RESPONSABILITÀ EDUCATIVA

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9. Verso una economia dell’educazione

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Genesi e sviluppo della cognizione La lezione come perturbazione Caratteri della spiegazione scientifica Le condizioni di viabilità di un metodo scientifico in educazione Ipotesi applicativa in un percorso di didattica enattiva


Evitare le illusioni formative Ragioni di un coefficiente di problematicità in un test con dilemmi morali Egocentrismo/Collaborazione. I poli di una rivoluzione etica La responsabilità come obiettivo Deideologizzare la scuola L’enattività di Don Lorenzo Milani Il problema degli scopi Quando la responsabilità è politica Quando la responsabilità è dei docenti

10. Un paradigma enattivo per le prassi dell’educazione futura Verso una psicologia scolastica generativa Oltre il cognitivismo Una scuola che susciti il desiderio dei valori Problemi nell’esercizio del libero arbitrio Una domanda da farsi in vista del paradigma enattivo: cos’è la coscienza? Una pratica per l’individuazione dei livelli di consapevolezza Il nucleo del problema Una didattica per la “presa di coscienza” Preliminari alla “presa di coscienza” Condizioni della didattica L’etica in educazione: un campo minato Il significato del caso di Phineas Gage Attivare le aree dei processi di pensiero Una nuova consapevolezza nel lavoro docente Il caso di Giuseppe

11. Conclusioni La condizione attuale della scuola L’insignificanza La vanificazione della rivoluzione linguistica e cognitiva Furgoncino o carrarmato? La funzione prossima ventura della scuola

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Appendice: Ricomposizione dei capisaldi della didattica enattiva per altre possibili forme di elaborazione: postulato fondamentale e corollari Postulato fondamentale Corollario dell’efficacia formativa Corollario della oggettività Corollario della soggettività Corollario della collegialità-comunanza Corollario della competenza costruttiva e ricostruttiva Corollario della creatività Corollario della maieutica Corollario della divergenza Corollario della selezione Corollario dell’economia formativa

Postfazione: Le nuove Indicazioni: una replicanza o una buona occasione? La pedagogia quiescente batte un colpo La neurodidattica implica una didattica enattiva?

Bibliografia

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Ringraziamenti

L’invito, fattomi a suo tempo dal Prof. Roberto Mazzetti, a non lasciarmi affascinare dalle forme degli psicologismi, e di impegnarmi radicalmente a ricercare le vie per rendere effettivo il diritto allo studio e, soprattutto, il diritto alla comprensione da parte dei bambini, mi ha vincolato allo studio-ricerca-azione. Che forse dovrà costituire una scelta futura di necessità, per chi voglia compiere l’opzione consapevole per la professione docente; professione che solo embrionalmente ha sfiorato finora la limitante dimensione della sola ricerca-azione. L’altro invito era quello della autenticità. Sul primo obiettivo credo di essere stato conseguente; sul secondo, tocca al lettore deciderlo. Alla Prof. Lidya Tornatore devo la conferma di un qualche livello, forse pure di minima, di queste opzioni che si andavano costituendo. Al Prof. Lorenzo Cionini devo l’ingresso nell’affascinante mondo della cultura che orienta la psicoterapia cognitivista e, soprattutto, sarò sempre grato alla Dr.ssa Maria Laura Nuzzo e al Prof. Gabriele Chiari per l’approccio che mi fu consentito alla neurobiologia di Maturana e Varela. Il Costruttivismo ermeneutico di derivazione kelliana di Chiari e Nuzzo è peraltro decisivo per una costituzione enattiva dei processi formativi. Al Prof. Aldo Visalberghi devo gratitudine per il suo inimitabile stile e per l’ospitalità in ben quattro numeri della leggendaria rivista «Scuola e Città», nonostante ritenesse la didattica enattiva, alla fine degli anni novanta, una prospettiva tutta da rinviare al futuro. Le Insegnanti Carla Chiesi, Lucia Mignolli, Anna Cambi (del Circolo di Lastra a Signa, Firenze), Anna Castellani, Stefania Mariotti, Rosanna Panico, Daniela Marranci (dell’Istituto Comprensivo di Montelupo 13


Fiorentino), con molte altre, hanno provato o consentito la produzione e l’uso dei dilemmi morali come precondizione alla didattica enattiva. Le loro testimonianze e gli esiti educativi rilevati hanno confermato la possibilità di una produzione originale delle modalità di fare scuola. Sta solo che l’Amministrazione centrale si decida a sostenere tali processi, pure dichiarati necessari nelle Indicazioni Nazionali per il curricolo, come si evidenzia nel libro. Già per questa sola ammissione, che si auspica un giorno produca conseguenze, esprimo non minore gratitudine al MIUR della gestione del Ministro Fioroni e a quei suoi successori che vorranno farsi carico di un impegno ricevuto e che resta da mantenere. L’esperienza di due incontri avuti con tirocinanti dei Corsi post laurea presso il Dipartimento di Scienze della formazione dell’Università di Firenze, mentre mi obbliga a ringraziare la Dr.ssa Antonella Di Biagio per l’acuta competenza nell’organizzazione degli incontri e per la felice opportunità datami, mi ha confermato l’esistenza di un terreno di intelligenza pedagogica, ricco di possibili sviluppi. A Luana D’Agostino un particolare ringraziamento per la pazienza grafica nell’elaborazione dei test figurali. Senza la competenza organizzativa di Ornella D’Agostino non avrei potuto presentare la proposta di pubblicazione all’Editore.

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Introduzione

Come si generano gli alunni furgoncino e gli alunni carrarmato Comunemente, quando si osserva un comportamento deprecabile in un giovane si dice che è maleducato, che – a secondo dell’entità del dato – non ha moralità; mettendo in implicita connessione il fatto che la moralità dipenda dall’educazione; come se sottoponendosi a un processo educativo ne derivasse meccanicamente una formazione ad accettabile contenuto morale. Questo sarebbe possibile se nelle opzioni culturali e nelle forme il processo educativo si fondasse sulla moralità, o meglio: sulle dimensioni etiche delle finalità istituzionali. Ma così non è. Allora «Questo rovesciamento del rapporto fondativo – che si può esprimere così: la moralità non si basa sull’educazione, ma l’educazione sulla moralità – richiede una forma del tutto nuova della teoria pedagogica» (Luhmann, Schorr 1999, p. 151). Senza pretendere di por mano a una tale impresa, sta che la visione enattiva – che qui si proverà ad esprimere – può favorire un percorso di revisione delle prassi didattiche, nell’avvertimento che anche assumendo i vincoli etici come modo di orientare la didattica resta la superordinata condizione che ciascuno possa essere ciò che vuole essere, o che può essere, nell’evoluzione dei gradi di possibile umanizzazione individuale (cfr. ivi, p. 153). Il resto sarebbe demandato alla capacità di effettuare ricorsive riflessioni valutative sull’andamento dei processi, apportando le correzioni rese necessarie dal quadro dei bisogni formativi emergenti. 15


Sta, però, che la Scuola non registra significativi progressi nell’attuazione delle sue mete formative da tempo immemorabile, proprio perché non ha posto in essere quel “rovesciamento fondativo”. Cioè, proprio perché non riesce ad assumere quelle finalità. È ferma, come annichilita e obnubilante, offuscata e offuscante, affetta dalla sindrome dell’enantiodromia. Insomma, non sa bene cosa fare. E si limita a perpetuarsi per come può, perché non modificando i suoi imperanti errori diversamente non può fare; producendo così, in prevalenza, furgoncini e carrarmati. Certo, non siamo in una fabbrica, ma in istituzioni formative. Allora è forse il caso di ricordarci qual è la funzione normativamente e culturalmente propria della Scuola, nell’orizzonte della salvaguardia di livelli di civiltà e di democrazia. Questi sono possibili se apportiamo radicali correttivi nella formazione della persona, salvaguardandone l’integralità e la dignità nell’esercizio del pensiero critico e nell’autonomia e indipendenza di giudizio. Cominciamo a chiederci, intanto, come si generano taluni fenomeni. Con furgoncino definiamo l’alunno che viene a trovarsi di fronte a compiti le cui difficoltà attivano nei suoi confronti un dominio di interazioni distruttive e, similmente a un furgoncino che venendo a sbattere contro un paracarro trasforma la sua organizzazione di piccolo furgone in un’altra cosa, vale a dire in un’organizzazione rottame, così l’alunno furgoncino, davanti a richieste iterative che non tengono conto delle sue attuali possibilità, diventa un’altra cosa; e viene così a incanalarsi, potenzialmente, su percorsi di dispersione del sé. Altro destino attende l’alunno carrarmato, che nello scontro con quel paracarro non subisce quei cambiamenti distruttivi in forza del permanere della sua organizzazione di carrarmato; vale a dire di alunno che è in grado di misurarsi con le richieste del sistema scolastico. La metafora, che è ricavata dalla epistemologia sperimentale di Maturana e Varela (1992, p. 95) e che si riferisce, nel suo contesto, a soggetti generali, appare utile a sviluppare nella Scuola l’ipotesi di una didattica enattiva, di derivazione specificamente vareliana. Per essa – rifiutando gli interventi educativi uguali per tutti – si elaborano soluzioni curricolari per attrezzare l’alunno furgoncino a darsi una corazza; e si attrezza 16


l’alunno carrarmato perché possa scoprire ragioni più profonde del proprio esistere nel mondo. E potenzia gli alunni che hanno già queste ultime caratteristiche; che sono una vera minoranza, quasi in via di estinzione. Così che nelle difficoltà che comunque tutti incontrano nei domini in cui si trovano a specificare la loro esistenza di alunni prima e di adulti dopo ciascuno possa conservare, potenziandola, la propria organizzazione di persona umana. Non v’è chi non possa aderire a una simile soluzione di sapore miracolistico. Allora appaiono legittime domande del seguente tipo: – Come mai se questo miracolo è possibile non sia stato percepito finora, visto che sono molti decenni che la scuola erra tra riforme e controriforme, in maniera tale da darsi una sorta di radicata costitutività di erranza permanente? Il problema è serio e mette in discussione i fondamenti stessi del fare istruzione ed educazione per come vengono a svolgersi le prassi formative in una scuola che chiamiamo ancora di base, volendo ormai necessariamente includere in essa gli ambiti della Scuola dell’infanzia, della Scuola primaria (elementare) e di quella secondaria di primo grado (media). In tali ambiti formativi il legislatore prefigura l’acquisizione di competenze umane e strumentali tali da potersi orientare e collaborare con le forme in cui si articola la vita sociale e quella personale. Una simile meta, così ricca di buon senso, sembra essere pienamente condivisibile e dunque da sottoscrivere da parte di tutti. Sennonché i fatti reali – quelli dell’esperienza scolastica in corso che è ampiamente verificabile sia osservando l’evoluzione o le involuzioni dei nostri nipotini, che per esperienza diretta nelle istituzioni formative – ci dicono qualche altra cosa. Ci dicono, in breve, che gli alunni furgoncino sono molti; e, con la diminuzione tendenziale del tempo scolastico e dell’eliminazione delle ore di contemporaneità dei docenti, il loro numero è destinato a divenire una vera e propria dimensione di normalità. È qui che prende corpo, più che mai, l’ipotesi di una didattica a fondazione etica che attrezzi gli alunni furgoncini. Qui la petizione etica è sia riferita al fatto che la scuola è venuta a trovarsi di fronte a una situazione di vera emergenza, e che pertanto esige da parte dei suoi gestori una nuova assunzione di responsabilità formativa, sia alla circostanza che porta 17


a riflettere che proprio quella emergenza è il risultato di una carenza della dimensione etica nei processi formativi. Si vuol perorare l’ipotesi di una correzione etica da introdurre nelle modalità di fare istruzione ed educazione nella nostra Scuola? Non di questo si tratta. Né si tratta più della mancanza di visione montessoriana del bambino “padre dell’uomo”, come montessorianamente avrebbe detto un tempo Roberto Mazzetti (Mazzetti 1967), ma – proprio come lui stesso direbbe oggi – è che il diritto all’istruzione comporta il diritto alla comprensione e dunque ad avere diritto a livelli pertinenti delle domande che la scuola può porre all’alunno. E qui la pertinenza comporta sia la legittimità che la graduazione nel modo di porre i saperi. Partendo da quest’ultimo problema bisogna ammettere che nelle nostre scuole la cura di molti docenti non manca nell’allestire scaffali di schede di curricoli preformati che tengono conto dei diversi livelli di possibilità dei bambini. Ma poiché tali schedari riguardano in prevalenza materiali didattici riferiti ad abilità strumentali, come l’uso grammaticale corretto della lingua e l’esercizio di competenze aritmetiche, restano scoperte quelle dimensioni più raffinate delle competenze linguistiche e logiche che rendono possibile una comprensione più profonda dei nessi e dei significati presenti in un testo. Quasi sempre, nelle prassi didattiche, la comprensione più profonda riguarda dimensioni etiche dell’esperienza riportate nei testi e che fanno la differenza tra chi le ha comprese e chi non è ancora in grado di farlo e che però – per non dichiarare una propria minorità – inganna i docenti fingendo attivamente una comprensione inesistente. E qui si innesca la produzione di alunni furgoncini. È questa però una scuola a cui sfugge il mondo, se è vero che ogni atto di conoscenza ci porta un mondo fra le mani (Maturana, Varela 1992, p. 48), posto che la funzione docente implichi la conoscenza dell’alunno e la conoscenza della conoscenza, se si vuole avere qualche speranza di elaborare curricoli che rispondano alla domanda di pertinenza qui posta. Riportare il mondo tra le mani comporta da parte docente assumere la ricerca come modo di conoscere le conoscenze dette e, soprattutto, sapendo che conoscere l’alunno significa anche conoscere come l’alunno conosce. E questo 18


lo si può fare meglio utilizzando «il concetto di Conoscenza Enattiva, che è la sfera della conoscenza umana non rappresentabile con simboli ed è acquisita agendo e compiendo azioni fisiche. Esempi di Conoscenza Enattiva sono le arti manuali come la conoscenza acquisita da uno scultore nello scolpire o quella di un musicista che suona il suo strumento»1. Ma deve trattarsi di pura esecutività o di reinvenzione o di nuova interpretazione? Su tali questioni si cercherà di essere espliciti nel contesto dello sviluppo del discorso che vedrà come l’assunzione dell’etica nei processi formativi sia necessaria; non solo in linea di principio, ma lo è perché normativamente vincolante. Nel senso che come ogni attività umana è regolata da una specifica mission, così il fare formazione comporta rendere espliciti gli scopi della scuola. Ritenere che questi si esauriscano nelle parole indicanti il fare istruzione ed educazione, come pura esecutività, è non solo riduttivo ma oscurante il quadro degli obblighi a cui la funzione docente non può sfuggire, ma che è continuamente oggetto di rinvii. Detti atti, qui posti come dovuti, apparentemente di intonazione tranciante, sono però ampiamente mitigati dalla libertà culturale e tecnica proprie dell’insegnamento istituzionale. Dunque, non si tratta di un recupero di burocraticismi ma della restituzione alla Scuola e alle famiglie della responsabilità formativa docente integra, intera, non vicariata da improvvisazioni, ovvero da cominciamenti privi di fondamenti tecnici e culturali. E talvolta bisogna avere il coraggio di contrastare anche le norme, se l’operazione viene svolta in termini di scienza. Così – per esempio – una cosa «è una scuola che intenda l’educazione intrinsecamente, come sviluppo della personalità, ed altro una scuola che intenda l’educazione come aiuto allo sviluppo della personalità» (Mazzetti 1969, p. 31). Il rilievo fu posto da Mazzetti ad uno splendido documento pedagogico come furono gli Orientamenti per la Scuola dell’infanzia (cfr. Mazzetti 1970-1991) sulla base delle lezioni che Merleau-Ponty (Merleau-Ponty 1968) aveva svolto alla 1

Così viene sintetizzato nella presentazione della Conferenza Internazionale “Enactive08” sulle Interfacce Enattive, che si è svolta alla Scuola Superiore Sant’Anna dell’Università di Pisa dal 19/11/2008 al 21/11/2008.

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Sorbona. L’assunzione della meta dello “sviluppo della personalità” “s’ispira a una visione autoritaria e moralistica” (Mazzetti 1969, p. 31); mentre quella dell’aiuto “allo sviluppo della personalità”, si riferisce all’insieme delle iniziative e dei materiali da assumere “come possibilità, offerti all’autosviluppo del bambino” (ibidem). Proprio per quanto detto l’approccio enattivo diventa uno sbocco necessario, perché enazione significa soprattutto dare senso ai mondi costruiti da parte dell’osservatore docente e dell’attore alunno, integrando entrambi i ruoli in un accoppiamento strutturale ad effetto autopoietico. È la mente che in quest’ultima dimensione si fa «sistema in grado di dare significato all’insieme delle esperienze sensoriali dalle quali il cervello è continuamente investito» (Biuso 2006, p. 238). Sono dunque le coordinate mentali dell’esperienza a sincronizzare le sinapsi del cervello, da cui dipendono gli avanzamenti della comprensione dei dati di realtà. E questa comprensione riguarda sia gli allievi che i docenti, stante il fatto che vi è «la diretta dipendenza della mente dai meccanismi cerebrali: la mente è il cervello» (Berti 2010, p. 45). Non ci resta che inchinarci davanti all’autorità di Ippocrate, come suggerisce Damasio, visto che aveva intuito la cosa oltre duemila anni fa; e cioè «il fatto che la mente dipenda strettamente dal funzionamento del cervello» (Damasio 2003, p. 227). Un tale problema non sembra più essere in discussione in generale; ma la strada che porta a una comprensione più adeguata dei processi formativi è tutta ancora in salita, per la difficoltà di realizzare un incontro tra aree disciplinari e ambiti di ricerca ancora molto distanti (cfr. Aprile 2011a). Si consideri l’esempio che seguirà per rendere esplicita la comprensione che si può avere dell’esperienza in contesto formativo. A tale scopo si utilizzerà più volte nel libro la favola della cicala e delle formiche, in diverse formulazioni, per la straordinaria forza cognitiva che risiede nella sua interna ambiguità. Posta la domanda su quale opzione sia più condivisibile se quella della Cicala o quella delle Formiche un’allieva risponde. “Dipende: a volte è bene essere Cicala e a volte Formiche”. Risposta apparentemente esaustiva. Ma venendosi in 20


tal modo a chiudere il discorso, si disperde il potenziale cognitivo insito nel testo e che poteva essere recuperato integrando il dilemma con un’altra prospettiva. O, almeno, poteva essere sufficiente aggiungere un “Spiega perché” per indurre a esplorare un più ampio campo di significati, proprio per diminuire il grado di forte ambiguità esistente, in definitiva, nella relazione ego-altruista (Morin 2004, pp. 327-328). Vedremo come la terza alternativa fornisca, allo specifico dilemma, un modello di condotta più in linea con le finalità istituzionali e che invece è sistematicamente ignorata in favore di risposte di routine. Insomma qui viene messo in discussione il ruolo di osservatore neutrale del docente, portatore di una presunta oggettività che viene per questo messa tra parentesi, in una sospensione di giudizio che deve riguardare per prima cosa le tradizioni di cominciamento dell’azione educativa. Etica, fenomenologia, psicologia della morale; le diverse concezioni del costruttivismo, unite ai contributi provenienti dalle neuroscienze cognitive, forniscono non tanto uno sfondo teorico, quanto una strumentazione per gestire transizioni che diversamente non si attiveranno mai. Se in qualche misura è vero che l’attuale organizzazione scolastica produce abbondanti casi di alunni furgoncino e qualche caso di alunno carrarmato ed altri che si situano lungo la linea che polarizza il fenomeno formativo scolastico, non è corretto ignorare più oltre il fenomeno. È possibile attrezzare gli alunni perché realizzino i propri progetti di esistenza se si compiono scelte didattiche perché in ciascuno vi sia il potenziamento del sistema di costrutti personali e dei costrutti di ruolo che presiedono ai processi di mantenimento (Kelly 2004). E questo obiettivo è facilitato dallo spostamento degli apprendimenti dominio-specifici al più fertile dominio centrale (Fodor 1988, Karmiloff-Smith 1995); vale a dire da una parte primitiva del cervello ad un’area più evoluta (Damasio 2000). Sta, come si vedrà, che per far questo bisogna ricorrere, tra l’altro, alle strategie dei confronti interpretativi da svolgersi sui dilemmi morali (Piaget 1972, Kohlberg 1976, Kuhmerker 1991). Se così è, come è possibile prescindere da questi passaggi che a ben vedere sono passaggi non facoltativi 21


ma vincolanti? Facoltativi sono la metodologia di gestione organizzativa e culturale da adottare e i tempi di attivazione da darsi.

Cosa preconizzare: i furgoncini o i carrarmati? È evidente che in contesto formativo non ha senso compiere una tale opzione. Anche perché vi sono gli alunni che si pongono lungo la linea che va tra le due forme estreme. Bisogna solo aiutare ciascuno ad essere quel che vuole essere, o può essere; ma favorendo soprattutto i processi di fuoriuscita da due condizioni socialmente non auspicabili e personalmente penose. Per l’alunno furgoncino e per l’alunno carrarmato, allo stesso modo? È sicura la condizione di disagio del primo; mentre per l’alunno carrarmato la cosa è più dubbia. L’alunno carrarmato è tale perché in grado di far fronte alle difficoltà che il lavoro scolastico pone e dunque in genere sono, questi alunni, persone o che seguono l’andamento delle prassi scolastiche sulla base di sicure provenienze culturali familiari, o soggetti che si sono dati una determinatezza a perseguire sicuri itinerari di studio. Naturalmente, se queste sono le caratteristiche dell’alunno carrarmato, si viene a confliggere con il fatto che la loro caratteristica rientrerebbe tra quelle non socialmente auspicabili. E qui si cercherà di fare chiarezza, avendo implicita la seguente questione: è questo tipo di alunno in possesso – oltre che delle evidenti abilità strumentali – di quelle altre abilità richieste dall’Istituzione e che si specificano nell’essere capace di partecipare alle prassi della convivenza democratica? Cose che possiamo ipotizzare come teoricamente carenti nell’alunno furgoncino, ma lo stesso non dovrebbe dirsi dell’alunno carrarmato? Si indagherà su questo, a partire dal senso e significato delle finalità formative, sfrondando la questione dalla enorme quantità di fumo ideologico che l’avvolge. Non a caso, ci troviamo di fronte ad un’evidenza clamorosa: lo sbando della pedagogia di sinistra e di quella tradizionale, e soprattutto ci troviamo di fronte alla insipienza di decenni di scuola ideologica 22


che con una televisione al limite dell’idiozia ha sformato le capacità critiche e l’autonomia di giudizio. Il vizio è strutturale e promette ritornanti fasi di perdita dell’orientamento del cittadino. Per molti anni è sembrato (e a molti ancora sembra) fosse sufficiente fidarsi del fatto accidentale che la maggioranza degli insegnanti manifestasse un orientamento più o meno di sinistra per ritenere che col lavoro della scuola si potessero fondare le basi di un’etica pubblica. Certamente i docenti di sinistra o di centrosinistra hanno – ma solo per il maggior grado di condivisione del dettato costituzionale – qualche titolo in più per far emergere dai saperi i valori e, dunque, i fondamenti di un’etica da costruire personalmente e in prospettiva sociale. Ma trattasi di pura illusione. Prima di tutto perché la trasmissione del sapere è avvenuta – come avviene – per curricoli preformati, attraverso libri di testo – peraltro uguali per tutti – che hanno argomenti predisposti per far fare lezione con solo un minimo sforzo organizzativo, a fronte delle emergenze di ordine pubblico che spesso si presentano nel gestire classi con 25-28 alunni. Tra editoria scolastica e apparato dei docenti vi è stata poi una tacita intesa: l’editoria ha fornito enormi quantità di materiali impegnati e pianificati e i docenti si sono accinti a trasmetterli, verificando il formarsi di qualche grado di capacità alla loro replicanza. Ed è qui che si innesca la produzione di molti alunni furgoncino e di qualche alunno carrarmato. In altri termini, del sistema costruttivo degli alunni, e dunque del modo con cui ciascuno vive i processi della crescita della conoscenza, rispetto alle finalità, nessuno si è curato. Come nessuno si è curato di chiedersi: da dove partire? – Partire dalle finalità della scuola, che prevedono la formazione nel cittadino della responsabilità personale in prospettiva sociale? – Partire dalle tante e variate domande degli allievi? – Partire dai libri di testo? Nella totale assenza di sostegno ai docenti perché questi potessero cogliere i nessi fra le tre questioni poste, l’opzione è caduta selettivamente sui rassicuranti libri di testo e sulle quantità di nozioni, che possono non costruire coscienza critica e, dunque, l’apprezzamento dei 23


saperi come valore primo. Da qui la caduta euristica del sapere scolastico che ha decisamente contribuito a formare, col supporto dell’apparato mediatico dell’incretinimento di massa, cittadini come canne al vento. O forse è più esatto dire: eserciti di Lucignoli in partenza per la drammatica sorte che toccherà loro nel paese dei balocchi. Se si dovesse pensare come alternativa ad un altro modello formativo, di maggior rigore nell’indottrinamento, si commetterebbe errore peggiore dell’andazzo casuistico attuale.

Oltre la scuola ideologica Il problema è come supportare i docenti nella soluzione del problema insito nel rapporto fra le tre questioni qui poste, indipendentemente dalle loro posizioni politiche e ideologiche. Una scuola che voglia riprendere la speranza di contribuire alla formazione della cittadinanza e a porre le basi per rifondare il ruolo pubblico della democrazia, deve costruire una Scienza del far scuola, vieppiù urgente in presenza di una scolarizzazione di massa a rischio di sfornar plebe. Intanto, necessita l’attivazione reale di quanto previsto dal Regolamento dell’autonomia (DPR 275/99), a partire dalla ricerca e sviluppo localmente specificati, su cui impiantare la didattica autonoma, nell’autonomia organizzativa e nei vincoli sopra posti. A parole, tutti i governi dichiarano di voler sfruttare le potenzialità dell’Autonomia, anche incentivando progetti mirati. Nei fatti poi le cose vanno per conto loro. Occorre ricordare infatti che se tra tali progetti si dovesse dimenticare la cura per le iniziative di ricerca intorno all’etica pubblica (nella fattispecie: le finalità formative) e la didattica (ivi incluse modalità di selezione dei saperi), resteremmo nell’avvitamento attuale intorno ai curricoli preformati. In tale ambito, imponenti risorse intellettuali risultano sottoutilizzate rispetto a quelle loro potenzialità professionali, che fanno essere i docenti gli unici soggetti titolati ad elaborare curricoli che tengano conto delle finalità formative, dei bi24


sogni degli allievi, nella capacità di operare la mirata selezione dei saperi, ormai inevitabile a fronte della crescita esponenziale delle conoscenze. Così «Se la conoscenza raddoppia ogni uno o due anni, di sicuro non possiamo moltiplicare le ore di insegnamento o insegnare in modo due volte più veloce. È essenziale fare delle scelte, decidere cosa tralasciare» (Gardner 2005a, p. 172). Una tale ipotesi virtuosa avrebbe potuto essere favorita proprio dal ripristino dell’organico funzionale, che il centrosinistra confusamente avviò e che il ministro Moratti eliminò, senza verificare se le unità di organico in soprannumero per denatalità stessero già producendo qualche vantaggio per la scuola nella sua autonomia organizzativa e di sviluppo. Non lavorare su tali questioni significa condannare ancora la scuola alla trasmissione ideologica del pressappochismo culturale che produrrà nefaste avventure al nostro Paese. Quello che occorre – si ribadisce – è por mano alla costituzione di una Scienza della scuola che si faccia garante della democrazia e del suo sviluppo. Dunque, occorrono gli investimenti necessari per una tale prospettiva, invertendo l’attuale andamento regressivo; è da porre seriamente poi la meta della valorizzazione della professionalità e l’autorevolezza degli insegnanti, a partire dal superamento degli attuali salari di pura sopravvivenza materiale e dell’umiliante fenomeno di precariato diffuso; ma non va trascurato il coinvolgimento degli stessi docenti nell’elaborare in ciascuna scuola una sorta di teoria locale della formazione – da confrontare nelle reti di scuole, come previsto dal Regolamento dell’autonomia – che includa però quei passaggi posti. Diversamente, ci troveremmo ancora una volta a fronte di inganni formativi. Dove, insomma, alla grande aspirazione, da tutti dichiarata, a non lasciare indietro nessuno, verrebbe di fatto a corrispondere – nell’orizzonte della qualità formativa della cittadinanza – lasciare indietro moltissimi. Con tutte le immaginabili conseguenze sui livelli della convivenza civile. Ma se i programmi delle forze politiche mirano, a parole, ad attivare una linea di azione che costruisca quella cittadinanza e le fondamenta di un’etica pubblica, attraverso la scuola, come può farsi questo senza assumere nelle scelte di gestione delle 25


prassi scolastiche fin da subito quell’etica pubblica che è la forma e la sostanza delle finalità formative? Proprio in sede di definizione di queste finalità – nelle future iniziative – andrà precisato se trattasi di pure forme, come è avvenuto in ogni riforma, passata e recente, o se deve trattarsi di intenzionalità da perseguire, finanziando la ricerca per la costruzione degli strumenti necessari. È un cambiamento di paradigma che, a fronte degli scarsi risultati delle prassi usuali, conviene forse meditatamente sperimentare. Anche se ci si trova di fronte solo a un normale atto dovuto, di rispetto della norma implicita in ogni progetto di riforma, rimasta però sempre disattesa. Risiede qui la sfida di un governo serio della scuola: nella capacità di favorire le condizioni che rendano praticabili ai docenti aree dove finora “nemmeno gli angeli hanno osato volare”, per dirla nei termini di Bateson (Bateson, Bateson 1989). Il che non significa non tener conto delle tradizioni. Significa solo tenerle per un po’ da parte, indagando sulla natura del nuovo, oppure partire da esse, dalle tradizioni, per come la fenomenologia suggerisce: assumerle come apparenze e in quanto tali considerarle come parti rivelatrici di una realtà. La didattica enattiva sperimenta questi possibili percorsi, costituenti una via di mezzo dell’educazione tra vari poli estremi. Ed è una delle poche possibilità di dare, sia pure in forma empirica, una risposta alle tante domande che la scienza da qualche tempo pone alle istituzioni formative. Non v’è, per esempio, neuroscienziato o filosofo della scienza che nel presentare i successi derivanti dalla ricerca non inviti la scuola a volerne tener conto, pena la stagnazione e la ripetitività di riti rimasti ininfluenti (cfr. Levi Montalcini 2004). Insomma, ci avvertono che sta sorgendo una nuova possibile pedagogia a cui la scuola non può restare estranea. Perché Nella nuova era della neuropedagogia, in cui si conoscono bene le fasi critiche della formazione del cervello umano, non si dovrebbe usare tale conoscenza per massimizzare l’autonomia dei futuri adulti? In particolare, non dovremmo introdurre i nostri figli a quegli stati di 26


coscienza che riteniamo dotati di valore, e insegnare loro come accedervi e come coltivarli sin dalla tenera età? L’educazione non consiste solo nel successo accademico. Ricordate che uno degli aspetti positivi della nuova immagine di Homo sapiens riguarda proprio il riconoscimento della vastità del suo spazio degli stati fenomenici. Perché non dovremmo insegnare ai nostri figli a fare di questa vastità un uso migliore di quello fatto dai loro genitori – un uso che assicuri e stabilizzi la loro salute mentale, che arricchisca le loro vite soggettive e garantisca loro idee nuove? (Metzinger 2010, p. 271).

Perché non provarci? Il resto è deja vu, in una scuola che fabbrica molti furgoncini dalla vita precaria, numerosi carrarmati che scorazzano nell’accaparrarsi porzioni di potere sempre più vaste e solo una minima quantità di persone che sembrano avere le caratteristiche qui perorate da Metzinger. Può una società dalle grandi potenzialità come la nostra continuare ad involversi fino a determinare veri rischi per la democrazia e il livello di civiltà? Appare del tutto evidente che occorre interrompere la produzione sia dei furgoncini sia dei carrarmati che sorgono dalle sole didattiche disciplinariste e por mano a una ricostruzione della scuola su basi costitutive. In altri termini, la didattica enattiva si costituisce come un “riduttore di complessità” (Watzlawick 2007, p. 307), a fronte della sommatoria delle discipline assunte come mera scansione delle parti, dove il tutto non è dato da quella messa insieme di contingentate quantità di nozioni con cui si presume di affrontare la complessità formativa. Ma è qualcosa in più. Cercare di far vedere questo qualcosa in più implica la riduzione delle quantità, una selezione strategica dei saperi, ed una didattica intensa, ma non iperattiva, vissuta in tempi distesi tali da far vedere il senso e il significato dell’esistere, come condizione per liberare la mente da compiti ottusamente ripetitivi, e per aprirla alla scoperta. Valga la seguente metafora. Un maestro elementare voleva ottenere mezz’ora di silenzio, allora assegnò il compito di sommare tutti i numeri da uno a cento. Mentre gli alunni si accingevano a sommare 1+2=3, +3=6 e così via per un lungo tempo, un allievo scoprì «di trovarsi di fronte a una stringa di numeri 27


il primo dei quali (uno) e l’ultimo (cento) sommati davano 101. Il secondo (due) e il penultimo (novantanove) di nuovo davano 101; anche il terzo (tre) e novantotto davano 101. Pertanto si era reso conto di trovarsi di fronte a cinquanta paia di numeri ognuno dei quali sommato dava 101. 50 volte 101 uguale a 5050» (ivi, pp. 306-307) Il compito fu risolto in due minuti. Ma si trattava del futuro grande matematico Gauss. Con tutti i limiti di quel tanto di forzatura che ogni metafora comporta, la scuola prevalente è quella che assegna spesso compiti simili a quello sopra riportato. Naturalmente vi è anche una ricchezza di iniziative che vanno in senso diverso. Ma, senza pretendere di voler formare tanti piccoli Gauss, perché non provare a sintonizzarsi su questo sentiero formativo, integrato dalle forme poetiche, musicali ed artistiche dell’esperienza? E a condizione che il tutto sia colorito dall’etica delle finalità istituzionali e dai passaggi implicati? Qui si cercherà di mostrare almeno una parte di questo possibile cammino, nell’orizzonte del fatto che «gli atti delle persone hanno condizioni di validità se e solo se accedono a quelle fonti di normatività che sono le cose stesse nel loro tenore eidetico» (De Monticelli 2008, p. 49), ovvero nella loro pura essenza; qui, nella costitutività del fare scuola e formazione. Che è viepiù possibile se quella normatività non si trasforma in esecutività, ma nell’antica e bruneriana “tecnica della scoperta”, consapevoli, però, che se anche l’assunzione degli atteggiamenti della ricerca e dell’indagine possono non dare «alcuna garanzia che il prodotto del processo sarà una grande scoperta, possiamo affermare che la loro assenza porta alla precarietà, all’aridità, alla confusione» (Bruner 1968, pp. 127-128). Che – come si proverà a dimostrare – è la vigente condizione in cui, in prevalenza, si crogiolano le istituzioni scolastiche. I passaggi della didattica enattiva, utilizzando le fonti più recenti, tendono ad offrire quadri culturali e professionali mediante i quali si renda possibile il recupero di quella “tecnica della scoperta”, ricca di possibili progressi.

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