L'influenza personale in comunicazione

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Elihu Katz – Paul Felix Lazarsfeld

L’influenza personale in comunicazione A cura di Mario Morcellini

ARMANDO EDITORE


Sommario

Introduzione di Mario Morcellini

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L’influenza personale in comunicazione di Elihu Katz, Paul Felix Lazarsfeld

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1. Introduzione degli autori alla prima edizione 2. Il ruolo svolto dalle persone nel flusso delle comunicazioni di massa 3. Criteri dell’influenza 4. Le due fasi nel flusso della comunicazione 5. Ricapitolazione degli influenti e delle influenze Bibliografia

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Introduzione

di Mario Morcellini

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Il classico deve […] esprimere al massimo possibile l’intera gamma di sentimenti che rappresenta il carattere del popolo che parla la sua lingua. Rappresenterà questo in modo supremo, ed avrà anche la più grande risonanza; tra il popolo a cui appartiene, troverà eco in tutte le classi e condizioni degli uomini. Thomas Stearns Eliot, Cos’è un classico, 1944

Personal Influence è un classico. È un testo decisivo per scorgere l’autoriflessività di un tempo e di una società. Un patrimonio culturale che aiuta i moderni ad allinearsi al nuovo mondo, un capitale in dote ai sociologi della comunicazione nello studio di quel pulviscolo sociale – apparentemente inconoscibile – che è appunto l’influenza personale. Contro ogni forma di analfabetismo che valuta le relazioni tra le persone come un vuoto sociale. Quando nel 1968, a distanza di 13 anni dalla pubblicazione americana, il libro arriva nel nostro Paese, l’etichetta “Sociologia della comunicazione” è ancora scarsamente diffusa, sia nel dibattito pubblico sia, aspetto ben più grave, nel contesto accademico. Infatti, la comunicazione è una categoria intellettuale che prima di tutto non è sempre valorizzata sul piano disciplinare, giustapponendosi e con-fondendosi con discipline affini, ma con diverso e specifico statuto epistemologico, come la “Sociologia della conoscenza” e la “Sociologia 9


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della cultura”. È sintomatico che Franco Ferrarotti, nell’apertura della sua prefazione al testo, definisca la Collana di Sociologia di Rai-Eri1 come «la prima collana italiana dedicata specificamente alla sociologia delle comunicazioni di massa»2: infatti, la parola “comunicazione” non può ancora campeggiare neppure in un titolo, anzi deve essere in qualche modo salvaguardata o, per meglio dire, tenuta nascosta dietro quella di “sociologia”, la cui storia e radicazione è altrettanto problematica, ma comunque già più accettata e diffusa nel linguaggio pubblico3. Infatti, in Italia la prima cattedra di Sociologia è attivata nel 1961 nella Facoltà di Magistero della Sapienza Università di Roma, e affidata allo stesso Ferrarotti. La ridotta visibilità di cui godono, al di fuori dei confini accademici, prima la sociologia e poi la comunicazione riflette l’arretratezza culturale del sistema politico nel suo complesso4, incapace di comprendere il contributo di conoscenza offerto da tali discipline. Anche per questo assume ancor più rilevanza il ruolo rivestito da alcune personalità che, nella loro funzione di gatekeeper e opinion leader, hanno reso accessibili, alla comunità di specialisti e agli addetti ai lavori, testi fondamentali come appunto Personal Influence, impegnandosi nell’attivare “connessioni” intorno alla comunicazione. Potremmo pensare a loro come a degli imprenditori culturali, figure che attraverso una costante iniziativa contribuiscono all’istituzionalizzazione scientifica di libri e teorie, nella consapevolezza che il mutamento di prospettiva di una comunità scientifica si compia solo dopo un processo di sedimentazione e condivisione di idee. Mi riferisco dunque a coloro che possono essere considerati i curatori della prima edizione italiana di Personal Influence, Franco Ferrarotti e, soprattutto, Gianni State10


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ra, i quali, pur da differenti prospettive e in fasi diverse del loro percorso accademico, hanno identificato nel testo una sensibilità sociologica che altre letture avrebbero tardato ad afferrare. Non a caso, Statera riconoscerà che il libro di Elihu Katz e Paul Felix Lazarsfeld rappresenta un vero e proprio turning point nello studio degli effetti di massa e che la “sociologia della comunicazione” si sta avviando verso una fase di maturità5. Inoltre, nella sua premessa metodologica è possibile rilevare le ragioni alla base della scelta, da parte di alcune Facoltà di Comunicazione in Italia, di orientarsi in direzione della ricerca empirica piuttosto che delle teorie sui media. In un periodo in cui accadeva esattamente l’opposto. Questo aspetto non è secondario se si pensa che gli studi della e sulla comunicazione rischiano di essere condizionati dai tempi impetuosi dell’evoluzione tecnologica e dei mutamenti di tipo socio-culturale, che spingono al presentismo e al nuovismo. Invece, una matrice scientifica che sappia coniugare le radici teoriche con gli sviluppi empirici può resistere con successo a modelli interpretativi che, orientati a riflettere sull’immediato, si rivelano carenti in uno dei mandati fondamentali per le discipline sociologiche6. L’audace possibilità di studiare il passato per capire il presente. Per questo, dunque, tornare a proporre Personal Influence al pubblico italiano significa tornare a confrontarsi prima di tutto con i suoi autori. Un gesto culturalmente dovuto dalla nostra comunità scientifica ai suoi classici. Elihu Katz, all’epoca della pubblicazione dell’opera, è ancora all’inizio del suo percorso accademico, eppure ha il merito di consolidare la riflessione sull’influenza personale attraverso il recupero dei principali studi condotti sui piccoli gruppi e nel campo della sociometria nel 11


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periodo successivo al 1945, anno in cui ha effettivamente luogo la ricerca a Decatur7. L’importanza delle reti, così come la disseminazione della conoscenza attraverso nodi informali, costituisce un tema attrattivo per l’autore, che torna ad affrontarlo nell’importante lavoro condotto in ambito medico8. Al tempo stesso, la riflessione sui media è oggetto di un’analisi più sistematica sugli effetti, e in particolare sulla ridefinizione del rapporto simbolico tra fruitori e mezzi di comunicazione attraverso l’elaborazione della teoria degli usi e delle gratificazioni9. La centralità dei media è inserita in una prospettiva macro-sistemica laddove essi contribuiscono, in un patto comunicativo con l’establishment e con gli spettatori, alla concretizzazione di veri e propri eventi mediali, ovvero cerimonie televisive in cui il pubblico è immerso in una grande narrazione collettiva10. La statura del sociologo consiste nella capacità di confrontarsi, a distanza di anni, con la propria ricerca e attualizzarla alla luce dei mutamenti introdotti dal corso della storia. Katz, in seguito agli attacchi terroristici alle Twin Towers11 e consapevole della maggiore pervasività dei mezzi di comunicazione, conclude che i media events sono stati rimpiazzati dagli eventi distruttivi, che minano l’autorità politica e costringono gli spettatori a sottoporsi a situazioni ansiogene12. In quest’ottica, dunque, può essere meglio compreso il sentimento di gratitudine che ci ha spinto il 28 maggio 2007, in qualità di Facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza Università di Roma13, a conferirgli la Laurea Honoris Causa in “Teorie della Comunicazione e Ricerca Applicata” e ad organizzare nella stessa giornata un convegno a lui dedicato: “Elihu Katz e i Media Studies: una storia scientifica e professionale”. La riconoscenza è verso un’impresa intellettuale che si fa uomini, 12


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gruppi di ricerca, linee culturali: un’epigrafe che naturalmente è da estendere allo stesso Lazarsfeld. Paul Felix Lazarsfeld è il maestro. È lui che, per primo, fonda in modo empirico la riflessione sugli effetti mediali. All’inizio degli anni ’40, infatti, in uno scenario critico anche per gli studi sui media, The People’s Choice e Voting14 innovano profondamente la communication research aprendo al ruolo che l’influenza personale riveste nel mediare il rapporto tra mezzi di comunicazione e pubblico, tanto nelle pratiche quotidiane quanto in comportamenti più specifici riguardanti, ad esempio, le scelte di voto15. Ma l’impresa di Lazarsfeld è anche legata ad una abilità che potremmo definire “intellettualmente imprenditoriale”, moderna, paradigmatica e totalmente “ingaggiata” nella proposta di un vero e proprio modello di organizzazione della ricerca aperto alla committenza16. Questa sintetica presentazione evidenzia quanto il know-how dei due autori si rifletta in modo esemplare in Personal Influence. Il loro bagaglio culturale e semantico si consolida nell’elaborazione di parole chiave a cui, in qualità di sociologi della comunicazione e massmediologi, non possiamo sottrarci. Come non riconoscere che nelle pagine di questo libro sono disseminate le tracce, sintomaticamente rivelatrici, di approcci e teorie successive come gli studi culturali, la spirale del silenzio, l’agenda setting, a conferma del fondamento enciclopedico dell’opera per gli studi dei media17. Prima della pubblicazione di questa ricerca, e dunque prima del 1955, la letteratura scientifica non si era ancora esplicitamente confrontata con la categoria degli opinion leader, con la teoria della decisione, con la riflessione sugli status symbol, così come con i concetti di clima culturale e di clima d’opinione. 13


Introduzione Equiparando la competenza comunicativa di un individuo a quella di un mezzo di comunicazione di massa, gli autori riescono ad attivare nuove dimensioni interpretative che attengono a concetti fondamentali quali le reti sociali e le pratiche di socializzazione, il consumo culturale e le routine quotidiane, la significazione e i processi di costruzione della realtà. Non considerare questi aspetti di vera e propria scoperta scientifica significa cadere nella trappola dell’omologazione e della banalizzazione secondo cui tutto è uguale a tutto, e soprattutto offuscare il reale valore di quel libro, ponendolo sullo stesso piano di altri. Non è così, e vale la pena sottolinearlo con decisione18.

Nel momento in cui non si riesce a comprendere la capacità di Personal Influence di mettere in scena il pulviscolo di relazioni attivo nella nostra vita quotidiana, si rischia nella comunità una forma pericolosa di “analfabetismo sociologico” che favorisce il successo di prospettive tese, unicamente, a raccontare il vuoto sociale che circonderebbe l’uso e il consumo dei media. Anche alla luce di questa considerazione, ci sembra utile analizzare le modalità attraverso cui l’opera è stata recepita nel nostro Paese. In una prima fase, che possiamo collocare tra la fine degli anni ’60 e la prima metà dei ’70, il libro di Katz e Lazarsfeld compare in modo disordinato e non sempre puntuale nelle bibliografie dei testi italiani dedicati al tema degli effetti mediali. Eppure, alcuni autori riescono ad afferrare il “peso” specifico dell’opera, avviando percorsi di analisi tanto interessanti quanto prolifici nel tentativo di fuoriuscire dai vincoli epistemologici di prospettive tese a rilevare esclusivamente il potere forte dei 14


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media. Si pensi a Enrico Mascilli Migliorini, il quale con due testi importanti, non solo per l’epoca, come Le comunicazioni sociali. Ipotesi di una metodologia “per saggi” (1972) e La strategia del consenso (1974), contribuisce, insieme a Giorgio Braga e alla sua La comunicazione sociale (1969), a porre le basi di una distinzione tra comunicazione di massa e comunicazione sociale, che si è rivelata non solo feconda ma anche capace di dissipare qualche residuo di positivismo insito nella formula, pur fortunatissima, di mass media. Ma si pensi soprattutto al fondamentale lavoro di sistematizzazione culturale e di ricerca di Gianni Statera, il quale con l’innovativo Società e comunicazioni di massa (1972) ha contributo all’educazione di generazioni di giovani e ricercatori. In questi lavori, riecheggiano sullo sfondo una società che si sta sensibilmente mediatizzando – la televisione è ancora nella sua fase pedagogica – e una comunità divaricata fra gli apocalittici e gli integrati, un dibattito, innescato da Eco, che separa e crea fratture in un contesto scientifico non coerentemente organizzato intorno a prospettive di pensiero condivise. La seconda fase del processo di ricezione si concretizza negli anni ’80, quando assistiamo, nel nostro Paese, alla canonizzazione dell’opera. Infatti, fuoriuscendo da testi che l’hanno adottata in modo specialistico, dedicati a specifiche aree tematiche della “Sociologia della comunicazione” come le strategie di consenso e di persuasione nei media, Personal Influence viene disseminata nel più vasto pubblico della comunità degli studiosi attraverso l’importante funzione di sintesi operata dai manuali. Un esempio emblematico, in questo senso, è rappresentato dal contributo offerto da Mauro Wolf con le Teorie della comunicazione di massa (1985), non perché tale testo costituisca il primo “manuale di comunicazione”, se è 15


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vero che già Statera, poco più di un decennio prima con Società e comunicazioni di massa, aveva avuto il merito di realizzarne uno. Nella nostra prospettiva, l’importanza dell’opera di Wolf sta nell’ampio riscontro ottenuto presso il pubblico degli studiosi di comunicazione, che favorisce, dunque, di riflesso anche la ricezione sistematizzata e l’inquadramento di Personal Influence, e più in generale della teoria del Two-Step Flow of Communication, nella storia degli studi sugli effetti dei media. La terza fase è quella che arriva ai giorni nostri, in cui l’opera di Katz e Lazarsfeld si dimostra in grado di dialogare con un tempo così mediaticamente pervasivo e così denso sul piano della socialità. Tra gli altri, costituiscono esempi interessanti e avanzati di applicazione i lavori di Paolo Mancini con La decisione di voto tra comunicazione di massa e influenza personale (2001), di Giovanni Ciofalo con Ritorno a Decatur (2006), e Comunicazione e vita quotidiana (2007) e Elihu Katz, I Media Studies tra passato e futuro (2009), di Marzia Antenore con Da Decatur a Facebook. L’influenza personale in campagna elettorale (2006) e di Fabrizio Martire con Come nasce e come cresce una scuola sociologica (2006). Tale periodo rivela la capacità del testo di parlare la lingua della sua comunità, aiutando i moderni ad allinearsi al nuovo mondo. Infatti, Personal Influence compie una rivoluzione concettuale nel momento in cui colloca al centro dell’osservazione l’attore sociale. La figura dell’opinion leader, la rappresentazione della comunicazione come flusso, la ridefinizione del concetto di piccolo gruppo […] non solo non hanno perso il loro valore euristico, ma possono essere ancora declinati rispetto al nostro scenario mediale e, in particolare, si offrono come utili strumenti 16


Mario Morcellini interpretativi nei confronti del medium che, su tutti, dimostra di possedere i tratti più specifici della personalizzazione e che, per questo, ha contribuito a modificare più profondamente il concetto stesso di mezzo di comunicazione: Internet19.

Certo, ci rendiamo conto di quanto la complessificazione e la pervasività dei media renda complicato, se non impensabile, l’adozione del flusso a due fasi della comunicazione così come è stato elaborato originariamente. Eppure, riteniamo che un’altra chiave di lettura, emersa nel corso della ricerca di Katz e Lazarsfeld, mantenga ancora un forte valore esplicativo e rappresentativo: il concetto di influenza personale20. Infatti, già semplicemente l’assonanza etimologica con la definizione di media personali suggerisce la possibilità di numerosi spunti di riflessione, in particolare sull’effettiva ri-scoperta del ruolo delle persone all’interno delle dinamiche comunicative. La Rete costituisce un ambiente non solo comunicativo, ma effettivamente sociale21, al cui interno vengono continuamente traslati e tradotti i processi relazionali che regolano le nostre routine quotidiane. In questo senso, Internet è il personal medium nel quale sono più elevati gli episodi di influenza personale. Infatti ognuno di noi, in qualità di utente, si alterna, con maggiore o minore consapevolezza, nelle posizioni di influente o influenzato, di emittente o di ricevente, ridefinendo i termini fondativi della leadership di opinione, e assumendo un ruolo costitutivo nel flusso comunicativo multidimensionale, formato da network, aggregazioni, figurazioni, variabili esattamente come i nodi che compongono una struttura reticolare. Anche per questo Internet è una metafora esemplare della trasformazione della comunicazione da semplice risorsa in un vero e proprio habitat 17


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elettivo dei moderni, nel quale gli innovatori o i moderatori, gli esperti e, in generale, coloro che mostrano una propensione maggiore all’adattamento ai nuovi ambienti comunicativi, costituiscono una sorprendente attualizzazione della figura del leader d’opinione così come è stato descritto da Katz e Lazarsfeld: considerato un ulteriore mezzo di comunicazione, in grado di amplificare o ridurre la portata dei contenuti dei messaggi mediali. L’immagine teorica che ne emerge è quella di un individuo sociale, la cui capacità di orientarsi verso se stesso come anche verso gli altri, verso l’esterno e nei confronti della realtà che concorre a costruire e ad abitare, si concretizza proprio attraverso il crescente ricorso a e l’utilizzo sempre più frequente di quei mezzi di comunicazione che gli offrono la dinamicità e la flessibilità indispensabili per stare al passo con il tempo nuovo della nostra modernità. Per questa via, allora, da un lato i sociologi sono riusciti gradualmente a trasformare la riflessione sulla società in una riflessione sull’entropia comunicativa che genera nuove relazioni sociali; dall’altro i mediologi hanno compreso che lo studio degli effetti della comunicazione deve coincidere in maniera sempre più stringente con l’osservazione dei cambiamenti sociali. Una scoperta fondamentale perché basata sulla considerazione del fatto che le vere relazioni sociali significative non possono che essere quelle comunicative: se, infatti, cediamo alla tentazione di pensare alle tecnologie mediali come definitivamente e perentoriamente tarate sulla dimensione del singolo, svuotate cioè da ogni capacità relazionale interindividuale, dobbiamo anzitutto rinunciare a definirci come studiosi della società22. 18


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La segmentazione degli stili di vita, la moltiplicazione delle alternative di consumo, la stessa modifica degli equilibri negli scambi e nelle interazioni personali confermano l’attività dell’individuo nel ricoprire una inedita posizione di forza e di negoziazione. In questo senso, dunque, la personalizzazione della comunicazione non può più essere considerata esclusivamente nei termini di un prodotto del progresso scientifico e tecnologico, ma anche e soprattutto, come un fondamentale indicatore del mutamento che caratterizza la nostra realtà sociale. Per tutte queste ragioni Personal Influence può essere definito un classico e per questo allora lo abbiamo scelto. Così facendo, pensiamo di aver reso un servizio di grande valore per la comunità di studenti e docenti, di teorici e ricercatori di comunicazione. In particolare, nel presente volume si è scelto di riportare le seguenti parti, nel tentativo di rispettare, seppure attraverso una selezione ragionata di brani, la coerenza dell’opera originale: 1. Introduzione degli autori alla prima edizione; 2. Il ruolo svolto dalle persone nel flusso delle comunicazioni di massa; 3. Criteri dell’influenza; 4. Le due fasi nel flusso della comunicazione; 5. Ricapitolazione degli influenti e delle influenze. Ovviamente, siamo consapevoli della difficoltà di restituire la complessità dell’opera nella sua interezza23. Ciò nonostante, poter riproporre una selezione ragionata del volume originale ci sembrava una opportunità da non perdere Al tempo stesso, la scelta di inserire questo testo in 19


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una collana di classici è un modo per sciogliere il nostro debito formativo nei confronti di Paul Felix Lazarsfeld, figura fondamentale nelle scienze umane e sociali della comunicazione, conferendogli simbolicamente un’altra laurea, dopo quella già attribuita ad Elihu Katz. Un riconoscimento dovuto e, al tempo stesso, esplicitamente rituale perché, come sottolinea in modo efficace Antoine de Saint-Exupéry ne Il Piccolo Principe, “ci vogliono i riti”24.

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Mario Morcellini NOTE 1 La vicenda di Rai-Eri è strettamente connessa a Personal Influence. Infatti, attraverso la pubblicazione di un testo che è in grado di coniugare sociologia e comunicazione, essa conquista una visibilità mai ottenuta in precedenza con pubblicazioni specifiche su scenari politici e culturali rivelatisi nel tempo maggiormente circoscritti. 2 F. Ferrarotti, Prefazione, in E. Katz, P.F. Lazarsfeld, L’influenza personale nelle comunicazioni di massa, Torino, Rai-Eri, 1968, p. V. 3 Cfr. M. Morcellini, Alle origini della sociologia della comunicazione. Saper leggere un bene patrimoniale, in G. Ciofalo (a cura di), Elihu Katz. I media studies tra passato e futuro, Roma, Armando, 2009, pp. 68-69. 4 Cfr. M. Morcellini, Proposte di cartografia e di analisi per l’industria culturale italiana, in Id. (a cura di), Il medioevo italiano. Industria culturale, TV e tecnologie tra XX e XXI secolo, Roma, Carocci, 2005. 5 G. Statera, Società e comunicazioni di massa, Palermo, Palumbo Editore, 1993, pp. 80-85. Vedi anche G. Statera, Il metodo della ricerca di Katz e Lazarsfeld, in E. Katz, P.F. Lazarsfeld, op. cit., p. XXXII. 6 M. Morcellini, Nuovi media e dinamiche dell’influenza personale nella società della comunicazione, in «Technology Review», 4, luglio-agosto 2007. 7 Cfr. G. Ciofalo, Comunicazione e vita quotidiana, Roma, Carocci, 2007. 8 J.S. Coleman, E. Katz, H. Menzel, Medical Innovation. A Diffusion Study, Indianapolis, Bobbs-Merrill, 1966. 9 J.G. Blumler, E. Katz (a cura di), The uses of mass communications. Current perspectives on gratifications research, Beverly Hills, Sage, 1974. Cfr. E. Katz, Sull’ipotesi “usi e gratificazioni”, in G. Ciofalo (a cura di), op. cit. 10 D. Dayan, E. Katz, Le grandi cerimonie dei media, Bologna, Baskerville, 1993. Vedi anche E. Katz, I media events oggi, in G. Ciofalo (a cura di), op. cit. 11 Cfr. M. Morcellini (a cura di), Torri crollanti: comunicazione, media e nuovi terrorismi dopo l’11 settembre, Milano, FrancoAngeli, 2002.

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Introduzione 12 E. Katz, T. Liebes, ‘No More Peace!’: How Disaster, Terror and War Have Upstaged Media Events, in «International Journal of Communication», 1, 2007. 13 La Facoltà, istituita nel 2000 e nata dal Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione organizzato nella Facoltà di Sociologia della Sapienza Università di Roma dal 1994, si è ora trasformata in Facoltà di Scienze Politiche, Sociologia, Comunicazione. 14 P. Lazarsfeld, B. Berelson, H. Gaudet, The People’s Choice, New York, Columbia University Press, 1944; B. Berelson, P.F. Lazarsfeld, W.N. McPhee, Voting: a study of opinion formation in a presidential campaign, Chicago, The University of Chicago Press, 1954. 15 La dimensione decisionale è un ambito tematico cui Lazarsfeld inizia a dedicarsi in modo sistematico sin dagli anni ’30. Cfr. P.F. Lazarsfeld, L’arte di chiedere perché, in Id., Saggi storici e metodologici, Roma, Eucos, 2001. 16 M. Pollack, Paul F. Lazarsfeld, fondateur d’une multinationale scientifique, in «Actes de la recherche en sciences sociales», 25, 1979, pp. 45-59. Vedi anche D.E. Morrison, The Influences Influencing Personal Influence: Scholarship and Entrepreneurship, in «The Annals of the American Academy of Political and Social Science», 608, 2006. 17 M. Morcellini, Alle origini della sociologia della comunicazione. Saper leggere un bene patrimoniale, cit. 18 Ivi, p. 73. 19 M. Morcellini, Nuovi media e dinamiche dell’influenza personale nella società della comunicazione, op. cit. 20 W.L. Bennett, J.B. Manheim, The One-Step Flow of Communication, in «The Annals of the American Academy of Political and Social Science», cit. 21 Cfr. M. Morcellini, A.L. Pizzaleo (a cura di), Net Sociology, Guerini, Milano, 2002. 22 M. Morcellini, Alle origini della sociologia della comunicazione. Saper leggere un bene patrimoniale, cit., p. 75. 23 Anche per questo motivo abbiamo volutamente scelto di distinguere questo volume da quello originario utilizzando un titolo differente. 24 A. de Saint-Exupéry, Il piccolo principe, 1943.

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