Il sistema della parentela negli Stati Uniti contemporanei

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Talcott Parsons

Il sistema della parentela negli Stati Uniti contemporanei A cura di Luca Guizzardi

ARMANDO EDITORE


Indice

Presentazione di Luca Guizzardi

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Il sistema della parentela negli Stati Uniti contemporanei di Talcott Parsons

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Nota bio-bibliografica

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Presentazione

Per una sociologia post-parsoniana della parentela: un brogliaccio introduttivo di Luca Guizzardi*

«La famiglia sono nonni, zii, cugini, nipoti… la famiglia è una storia». (dal film Almanya. La mia famiglia va in Germania, 2011)

1. Parsons: il problema (del sistema) e il dilemma (dell’individuo). Una delle ultime lezioni di Lévi-Strauss Le scienze sociali hanno sempre manifestato un interesse per lo studio della parentela e della famiglia particolarmente forte e persistente. Solitamente, la sociologia e la demografia si limitano a occuparsi della famiglia coniugale perché essa è il prodotto della società moderna, il modello concreto e reale che caratterizza il nostro tem* Dedico questo lavoro ai miei parenti che ci sono sempre. Ringrazio Riccardo Prandini che, chiacchierando, buttò là l’idea di tradurre questo bel saggio di Parsons.

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Presentazione

po e la nostra società mentre gli etnologi, gli antropologi e gli storici allargano il loro interesse alla (sola) parentela perché è la chiave di lettura e di comprensione delle società primitive, lontane e remote nel tempo e nello spazio. Il confine tra tutte queste discipline è difficile da delineare e da fissare, così il rischio di una confusione tra sociologia, antropologia, etnologia ed etnografia quando ci si dedica a studiare la parentela è facile. Lo sforzo di Parsons è quello di dare più spessore all’approccio sociologico allo studio della struttura della parentela cercando di sviluppare quella che diverrà, storicamente, la prima teoria sociologica della famiglia e della parentela della società moderna. La prima versione del saggio, qui tradotto, risale al 1943 e venne pubblicata non in una rivista di sociologia ma di antropologia, la American Anthropologist – inclusa poi successivamente nella raccolta Essays in Sociological Theory del 1949. Appena quarantenne, Parsons aveva già al suo attivo una quarantina di pubblicazioni; sei anni prima aveva visto la luce la sua prima opera fondamentale che, poi, sarebbe diventata una pietra miliare della sociologia contemporanea, The Structure of Social Action. A Study in Social Theory. Anche la sua carriera accademica era ben avviata – lavorava già da diverso tempo ad Harvard dove, nel 1946, avrebbe fondato il Dipartimento di Social Relations. Le idee e le riflessioni elaborate e proposte nell’articolo in questione sono radicate all’interno di un quadro concettuale e teorico già ben delineato nella mente di Parsons. Le sue riflessioni non sono solo osservazioni sul moderno, osservazioni sulla società occidentale statunitense che stava vivendo sia la drammaticità del secondo conflitto mondiale sia una nuova fase di industrializzazione. Non sono neppu8


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re solo constatazioni delle trasformazioni a cui la famiglia della middle-class stava andando incontro, la nuclearizzazione, l’isolamento strutturale, la definizione dei ruoli. È un testo molto semplice ma, allo stesso tempo, molto complesso. Con linguaggio chiaro e lineare, Parsons coglie le caratteristiche peculiari del sistema parentale statunitense alias occidentale spiegandoli, con maestria non comune, al lettore. Come lo stesso Parsons chiarisce al termine del suo articolo1: questo breve articolo non vuole essere un’analisi esaustiva del sistema parentale americano o della sua interdipendenza strutturale con gli altri aspetti della nostra struttura sociale. Pochi problemi connessi a ciò sono stati qui affrontati. Si è cercato di fornire un’analisi descrittiva della struttura parentale così come essa si presenta e di illustrare l’importanza di una precisa e profonda conoscenza di tale struttura ai fini della comprensione dei molti problemi di funzionamento della società americana e delle sue patologie laddove, nell’insieme, gli studiosi della famiglia americana hanno fallito nel medesimo tentativo. Questo paper vuole essere un contributo atto a colmare questo gap nell’armamentario del nostro lavoro analitico.

Pur partendo dall’analisi terminologica, egli cerca di studiare la struttura della parentela e i ruoli che ne derivano. Se l’inizio avvicina Parsons a L.M. Morgan, il quale è stato il primo a realizzare un precisa e accurata analisi della terminologia della parentela2, l’originalità dell’oggetto scelto allontana i due: il sistema parentale 9


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occidentale nord-americano ed europeo3. Parsons, per primo, rispetto agli altri antropologi ed etnografi, rivolge l’attenzione ai sistemi parentali di tipo multilineare quando l’attenzione andava quasi esclusivamente ai sistemi parentali di tipo unilineare. Curiosamente, dopo qualche anno dalla pubblicazione del saggio in questione e sulla medesima rivista, l’antropologo G.P. Murdock4, recensendo un articolo pubblicato l’anno precedente sullo stesso giornale, articola tutta la sua critica rifacendosi ai concetti espressi da Parsons seppur senza citarlo. Anche se Parsons parla di kinship mentre Murdock di kindred, quest’ultimo ribatte i due punti principali della teoria parsonsiana: la nuclearizzazione della famiglia e l’indeterminatezza del gruppo formato dai parenti collaterali i cui confini “possono essere indefiniti e vaghi”5. Il problema centrale rilevato da Murdock, ma già sollevato da Parsons, è proprio quello derivante dal fatto che la parentela collaterale, a differenza del lignaggio o del clan, non forma dei gruppi discreti ma è caratterizzata da sovrapposizioni e da appartenenze intersecanti causando, così, un problema che le società con sistemi parentali bilaterali hanno mentre quelle con sistemi parentali unilineari non devono risolvere e cioè la soluzione a obbligazioni che confliggono allorquando è prevista la partecipazione a entrambi i gruppi di parentela6.

Ecco il problema sistemico! Dare, prestare aiuto, cooperare ma con chi e, soprattutto, fino a che punto? Questa questione, in Parsons, è il problema della kinship loyalty. Cosa succede non solo se non si deve dare – imperativo funzionale – ma anche se si eccede nella 10


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cooperazione, nella fusione in una sola entità (familiare o parentela che sia)? E, come si vedrà nel corso delle pagine seguenti, i vari approcci antropologici, etnografici, e sociologici soprattutto, trattano – volenti o nolenti – proprio di questo. Ho definito ‘sistemico’ il problema della kinship loyalty perché va a toccare il sistema nella sua interezza e non solo la quiete della coppia coniugale. Da una parte, quindi, la parentela, dall’altra la famiglia nucleare. Non entro nel dibattito, soprattutto antropologico, sull’universalità o meno della famiglia nucleare – universalità sostenuta con forza e vigore da G.P. Murdock. Voglio solo cogliere l’occasione per un breve riferimento a uno degli ultimi scritti di Lévi-Strauss. Come si sa, nella sua opera Le strutture elementari della parentela (pubblicata nel 1949, un anno dopo quella di Murdock, La struttura sociale, nella quale vengono sostenute tesi diametralmente opposte), il grande antropologo francese, criticando l’eccessiva esaltazione attribuita alla famiglia monogamica e contestando l’universalità della famiglia nucleare, arriva a dimostrare che, al contrario, la monogamia è «il limite delle poligamie nelle società in cui, per ragioni assai diverse, la concorrenza economica e sessuale raggiunge forme acute»7, cioè è una poligamia mancata e la famiglia nucleare, anziché essere l’elemento su cui la società ha sempre costruito strutture parentali più complesse e ampie, «corrisponde piuttosto a un equilibrio instabile tra due estremi, che non a un bisogno permanente ed eterno che derivi dalle necessità più profonde della natura umana»8. La chiave di lettura dell’antropologia della parentela di Lévi-Strauss non è la famiglia quanto il matrimonio, lo scambio matrimoniale: il sistema di parentela si costituisce in funzione dello scambio matrimoniale: 11


Presentazione lo scambio – e di conseguenza la regola di esogamia che lo esprime – ha, di per se stesso, un valore sociale: fornisce il mezzo per legare gli uomini tra loro e per sovrapporre ai legami naturali della parentela i legami della colleganza matrimoniale retti dalla regola, che sono ormai artificiali perché sono sottratti alla casualità degli incontri o alla promiscuità della vita familiare9.

Infatti, se il matrimonio endogamico tende a imporre un limite al gruppo e a discriminare al suo interno, quello esogamico, al contrario, spinge verso una coesione più grande e più estesa. Così Lévi-Strauss riprende alcune ipotesi relative a un’opposizione primitiva fra le due forme di matrimonio e che fanno del matrimonio esogamico l’origine del matrimonio individuale moderno. Tenendo ferma questa idea perché fondamentalmente giusta – come egli stesso scrive – l’esogamia dev’essere riconosciuta come l’elemento di gran lunga più importante e «non è esagerato dire che essa costituisce l’archetipo di tutte le altre manifestazioni a base di reciprocità, e fornisce la regola fondamentale ed immutabile che assicura l’esistenza del gruppo come gruppo stesso»10. Regolando lo scambio di quel bene, di quel valore per eccellenza, sia dal punto di vista biologico sia dal punto di vista sociale, senza il quale la vita non sarebbe altrimenti possibile, la donna, l’esogamia, in ogni sua forma (diretta o indiretta, globale o speciale, immediata o differita, esplicita o implicita, chiusa o aperta, concreta o simbolica), è la forma necessaria dello scambio perché «è lo scambio, e sempre lo scambio, che risulta essere la base fondamentale e comune di tutte le modalità dell’istituto matrimoniale»11. 12


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Dopo quasi sessant’anni, Lévi-Strauss12 mantenendo la sua originaria idea dello scambio, ritorna parzialmente sui suoi passi. Già al tempo de L’uomo nudo, egli cita il caso di certi organismi unicellulari, le amebe, che, qualora non riescano singolarmente a trovare nutrimento, tendono a unirsi, dando vita a un corpo pluricellulare col quale raggiungono la fonte di sostentamento. Attraverso la secrezione di sostanze, esse, attirandosi reciprocamente, si uniscono in un solo essere. Si tratta, quindi, di una cooperazione che segna il passaggio alla sociabilité – come la chiama Lévi-Strauss. Non è uno scambio. Andiamo a leggere Lévi-Strauss: «la vita sociale appare come il risultato di un’attrazione tra gli uni e gli altri ma non fino al punto in cui l’attrazione, divenuta imperiosa, li porta a mangiarsi»13 come invece accade tra le amebe. Non c’è solo lo scambio che dà origine alla società. Non tutto, nella società può essere scambiato, afferma LéviStrauss nel suo Apologo – come aveva già notato nella Struttura, non si può sposare chiunque su cui si hanno dei diritti. Ma, subito dopo, per non negare tutto il lavoro di una vita, Lévi-Strauss afferma che se non c’è scambio non ci può essere la società. Ora, Godelier si interroga su come tenere assieme queste due proposizioni, su cosa non possa essere scambiato. Sembra un paradosso: non tutto è oggetto di scambio ma se non c’è lo scambio non c’è la società. Per risolvere questo paradosso, Godelier inserisce la dimensione del tempo, il tempo ritmato, scandito dal/del circuito del dono e la risposta che dà è estremamente intelligente: non c’è solo l’obbligo del dare, ma anche quello del trattenere ciò che va conservato per poi trasmetterlo alle generazioni successive14. A questo pensiero io aggiungerei, con assoluta modestia, anche il seguente: non solo occorre unirsi quando ce n’è 13


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bisogno ma non bisogna eccedere altrimenti si annulla l’altro (lo si mangia). Bisogna trattenere non soltanto per le generazioni successive ma bisogna anche trattenersi (dal dare, dal fondersi) affinché l’altra generazione possa non essere soffocata. Nella Struttura, c’è l’angoscia che il dono non sia contraccambiato: non si può dunque isolare un singolo matrimonio da tutti gli altri matrimoni passati e futuri che hanno avuto o che avranno luogo in seno al gruppo. Ognuno di essi è il punto di arrivo di un movimento che, appena raggiunto questo punto, deve capovolgersi per svilupparsi in una nuova direzione: se appena il movimento si arresta, tutto il sistema di reciprocità ne resterà scosso. Il matrimonio, dunque, è la condizione necessaria perché la reciprocità si realizzi, ma contemporaneamente mette ogni volta in rischio l’esistenza della reciprocità: che cosa avverrebbe infatti se una moglie venisse ricevuta senza che una figlia o una sorella fossero date?15.

Nell’Apologo, leggo l’angoscia derivante dal fatto che, eccedendo nella fusione e nella cooperazione per la vita di tutti, alcuni membri possano soccombere. La lettura che propone Godelier è una lettura fondata sull’asse della filiazione e della discendenza – trattenere per trasmettere e la trasmissione è un dono senza ritorno perché annulla il tempo della restituzione diretta e immediata, mentre quella di Lévi-Strauss fa leva sull’asse dell’alleanza e dell’affinità – lo scambio delle mogli. Si legge in Godelier 14


Luca Guizzardi non ci sarebbe la società umana se lo scambio non esistesse e se un certo numero di cose non venissero sottratte allo scambio per essere conservate fuori della circolazione delle persone e dei beni e trasmesse da coloro i quali le possiedono alle generazioni successive16.

Però, Godelier, come detto, non tiene in debita considerazione anche il fatto che non bisogna eccedere nel dare altrimenti l’attrazione, la fusione in un solo corpo (sociale) diventa mortale in quanto fagocita le altre componenti. Quando la sociabilité eccede il punto in cui prevale l’avidità, i singoli organismi cominciano a mangiarsi tra di loro. Se l’obbligo del dono reciproco definisce l’asse dell’alleanza coniugale; se l’obbligo del non dare per conservare e trasmettere definisce l’asse della filiazione e della discendenza; se c’è l’obbligo ad arrestarsi nel dare aiuto sotto il punto in cui la cooperazione diventa “fagocitazione” delle altrui identità, queste tre dimensioni non possono essere lette come separate ma come strettamente legate tra di loro. Come? La trattazione qui esposta sulla parentela cercherà di dimostrarlo. 2. La profondità della lezione di Parsons: il (latente) problema telico L’interesse che porta Parsons a occuparsi del sistema parentale americano è mosso, come egli stesso precisa, da due scopi. Il primo è quello relativo allo studio e alla comprensione della famiglia nucleare e del suo posto all’interno della struttura sociale più ampia; il secondo è quello relativo al fatto che il sistema parentale nord-ame15


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ricano stesso è di grande utilità per analizzare il sistema e il funzionamento della parentela in generale. A livello generale, la parentela nord-americana (occidentale, potremmo dire) è un sistema aperto, coniugale e multilineare (open, multilineal, conjugal system) – i tre elementi fissati da Parsons. È un sistemo aperto perché – dal punto di vista della terminologia – non vi è alcuna differenza tra i “consanguinei” e gli “affini”: lo zio è tanto il fratello della madre quanto il marito della sorella della madre (lo zio acquisito). È multilineare perché – dal punto di vista della terminologia – non vi è alcuna differenza tra la linea di ascendenza-discendenza paterna e quella materna: il nonno è tanto il padre della madre quanto il padre del padre. È coniugale perché è un sistema fatto esclusivamente dal concatenamento di «coppie di famiglie coniugali ciascuna delle quali ha un membro in comune» (p. 63). A livello terminologico, quindi, le due parole più importanti e ricorrenti sono “famiglia”, per indicare l’unità coniugale, “parente”, per indicare, indistintamente, chiunque sia un parente. Lo studio che sviluppa Parsons non è un esercizio di pura analisi lessicale. È uno studio profondamente analitico che ruota tutto attorno a un elemento. Elemento che non è dato né dalla famiglia, né dal coniugio, né dalla terminologia. E neppure l’individuo è questo elemento. Qual è? Ego. Ego non è il semplice individuo della middle class nord-americana. Ego, nella teoria parsonsiana, è l’orientamento allo scopo del sistema della personalità, ossia è l’orientamento alla realtà17. Senz’altro, possiamo rappresentarci concretamente ego come una persona con due gambe, due braccia, che esce di casa per sposarsi e per far figli. Ma le analisi di Parsons sulla 16


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parentela si riferiscono non tanto a ego come un’individualità definita da una persona, quanto a ego come la capacità del sistema della personalità d’organizzazione rispetto al mondo esterno, inteso come ambiente, e alla cultura comune, la quale viene incorporata attraverso il processo di identificazione con gli oggetti18. È il simbolo del padre che rappresenta questa modalità di organizzazione regolare attraverso il proprio padre come modello di ruolo, un ragazzo impara successivamente a diventare un padre in un’altra famiglia. L’identificazione, pertanto, vuol dire internalizzazione del modello di ruolo generalizzato19.

Bisogna rammentarsi la seguente indicazione: per Parsons, il ruolo è il luogo dell’interpenetrazione tra la struttura della personalità individuale e il sistema sociale20 – questo punto ci servirà più avanti. Per rappresentare la struttura della parentela nordamericana, Parsons ritiene utile ricorrere alla metafora della cipolla: man mano che si procede verso gli strati più esterni, aumenta la “vaghezza” terminologica, l’indefinibilità come egli stesso la chiama. Il cuore della struttura, il cerchio più interno, non è costituito, come erroneamente si potrebbe credere, da una sola famiglia ma dalle due famiglie coniugali di ego: quella di origine, formata dai propri genitori e dall’eventuale fratria e quella di procreazione, formata dall’altro coniuge e dall’eventuale prole. Man mano che si va verso gli strati più esterni, nel nostro sistema parentale, il lessico parentale, pur potendo trovare, in linea di principio, illimitati strati della “cipolla”, non va oltre il cerchio più esterno formato dagli affini – i 17


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parenti del proprio coniuge ai quali è legato da vincoli di consanguineità e che si “acquisiscono” col matrimonio. Infatti, se per i membri del cerchio più interno, formato dall’intersecazione dei due nuclei coniugali ai quali ego appartiene, i termini non sono affatto equivalenti a quelli che servono per indicare ogni altro relative esterno a questo cerchio – il “fratello” non è il “cugino” maschio, il “padre” non è lo “zio”, la “madre” non è la “zia” – per gli strati più lontani e remoti, il nostro vocabolario della struttura parentale riconosce solo due elementi: nella linea di ascendenza/discendenza, il prefisso “bis” che viene reduplicato all’occorrenza (bis-bis-nipoti, bis-bis-bis nonni, etc.) e il “grado” con cui i “collaterali”, sono cugini (cugino di primo, secondo, terzo, n. grado). Ma, per Parsons, il cerchio più esterno non è affatto irrilevante nella struttura complessiva della parentela. Tutt’altro. È ciò che rende “aperto” il nostro sistema parentale: ogni unione coniugale unisce due gruppi parentali tra i quali, fino a quel momento, non vi era alcun vincolo parentale e che si ritrovano “parenti” tra di loro solo in quello specifico matrimonio. Ora, quindi, la centralità dell’unità coniugale nel pensiero parsonsiano sta diventando più chiara. Ego è – come scrive Parsons nell’articolo – «il solo membro comune di queste due famiglie» (p. 64). Perché è così importante? Perché – e per seguire il filo conduttore di questa nostra introduzione – il problema, detto in soldoni, è quello della fedeltà. A quale delle due famiglie devo dimostrare la mia fedeltà? A quella che mi ha fatto nascere e mi ha cresciuto o a quella che sto formando con la persona che, liberamente e per amore, ho scelto? In termini concreti, ciò vuol dire: devo dare la precedenza al mio lavoro col quale contribuisco 18


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al reddito della mia famiglia o devo rinunciarvi per poter accudire i genitori anziani? Posso continuare a farmi mantenere dai miei genitori all’alba dei quarant’anni e con una mia famiglia sulle spalle perché non ho ancora trovato un lavoro all’altezza delle mie aspettative, della mia preparazione? Questa questione della fedeltà non riguarda soltanto gli scambi, gli aiuti; tocca la stessa identità di ego. L’altra faccia del problema è (la lezione di Lévi-Strauss): l’eccessiva cooperazione tra soggetti porta a effetti contrari – alcune identità vengono meno. Nel senso: dov’è una moglie e madre se ella ha un sovraccarico di lavoro di cura rivolto ai propri genitori? A livello di sistema sociale, Parsons colloca la parentela e la famiglia nel sottosistema della latenza o del mantenimento del modello – il sistema fiduciario – perché le funzioni delle famiglia «vanno interpretate non come funzioni svolte direttamente nell’interesse della società, ma nell’interesse della personalità»21. Tale sottosistema è il sistema fiduciario. Il sistema fiduciario è la zona di interpenetrazione tra il sistema culturale e il sistema sociale ed esso comprende strutture d’azione e processi nei quali il sistema culturale si articola con specifiche funzioni del sistema sociale e «queste specifiche funzioni sono relative all’istituzionalizzazione di modelli culturali rilevanti nella società»22. E il sottosistema fiduciario è così strutturato:

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Presentazione Sistema costitutivo (religione civile) (l)

Comunità morale

Sistema della razionalità (funzioni cognitive) (a)

Sistema telico

(i)

(g)

Figura 1: Il sistema fiduciario (fonte: Parsons e Platt 1973, p. 20)

Tralasciando gli altri tre sottosistemi del complesso fiduciario, andiamo direttamente a quello telico perché è lì che Parsons colloca la parentela23. Scrive Parsons il sistema telico, dal lato del sistema culturale, riguarda il simbolismo espressivo. Laddove i modelli di valore sono concezioni o “modelli” del desiderabile, così da assumere rilevanza normativa per l’azione sociale, la dimensione espressiva interessa i desideri delle personalità individuali, degli organismi e anche delle collettività24.

Questi desideri hanno per oggetto gli oggetti di ogni dimensione della realtà – quella culturale, sociale, psicologica, organica, non-umana, fisica – e le relazioni degli attori umani con questi mondi. Le modalità espressive di questa simbolizzazione riguardano sia un significato negativo sia uno positivo: ciò che è temuto e ciò che è desiderato. Se il sottosistema fiduciario è il luogo primario e fondamentale dell’interpenetrazione tra il sistema sociale e quello culturale attraverso l’istituzionalizzazione dei valori, a sua volta «il sottosistema che noi chiamiamo telico 20


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è quello che attribuisce maggior enfasi all’ulteriore integrazione con la personalità individuale»25. Questa ulteriore integrazione si focalizza sulla funzione di raggiungimento della meta, funzione che è del sistema della personalità a livello del sistema generale d’azione. A livello del sistema sociale, tale funzione appartiene al sottosistema politico, cioè la modalità di organizzare le componenti rilevanti del sistema sociale relativamente a una delle sue funzioni fondamentali, l’efficacia dell’azione collettiva diretta al conseguimento degli scopi della collettività26. Non solo è importante sapere come i valori culturali vengono istituzionalizzati all’interno del sistema sociale, ma lo è anche sapere come avviene specificatamente l’articolazione tra quest’ultimo e quello della personalità. Per fare questo, Parsons riprende la teoria freudiana del “principio di realtà” riformulandola. Così facendo, per Parsons, il processo catettico è alla base della capacità dell’individuo di prendere parte a processi collettivi istituzionalizzati di raggiungimento di scopi: l’individuo impegna se stesso in performance che la società sanzionerà positivamente. Il primordiale focus – parole testuali di Parsons – della funzione telica nella società è stato il sistema di parentela, il quale provvede alla connessione con le motivazioni degli individui. Infatti i sociologi comunemente pensano che una funzione primaria della parentela e, soprattutto, della moderna famiglia nucleare, sia quella di ordinare le motivazione degli individui in relazione ai loro ruoli sociali27.

Inoltre, 21


Presentazione la direzione dello sviluppo della parentela, nella nostra società, è stata di “de-differenziazione”, quella che veniva chiamata parentela “estesa” si è ristretta e ha lasciato la famiglia coniugale relativamente isolata con relazioni di parentela lasche e allo stesso tempo molte funzioni sono state trasferite dalla famiglia ad altre agenzie28.

Pertanto, anche se si potrebbe sostenere che la famiglia non sia un sistema sociale vero e proprio ma solo una collezione di personalità interagenti noi crediamo che i caratteri distintivi della famiglia come sottosistema della società siano intimamente connessi alla sua peculiare relazione con la personalità e alle sue funzioni in favore di questa29.

La funzione è doppia: la stabilizzazione della personalità adulta nelle relazioni di ruolo-performance e di socializzazione, processo col quale i bambini interiorizzano il modello culturale della società arrivando ad assumere il ruolo di adulto integrato col resto della società stessa. Per gli adulti, il sistema telico garantisce «la gestione delle tensioni emotive che, altrimenti, metterebbero a rischio la prestazione di ruolo»30. Così, in questa prospettiva, un aspetto particolarmente significativo dell’isolamento della famiglia nucleare nella nostra società è, ancora, il fatto di accentuare la stretta distinzione di status tra i membri e i nonmembri della famiglia. In particolare, i coniugi sono spinti l’uno verso l’altro e, corrispondentemente, i loro legami con i membri delle rispettive famiglie di 22


Luca Guizzardi orientamento, soprattutto con i genitori e i fratelli e le sorelle adulti, risultano indeboliti. L’aspetto negativo, in quanto fonte di tensione, delle conseguenze che ne derivano, può vedersi nel fatto che la famiglia di procreazione e, in particolare, la coppia coniugale, si trovano in una situazione “strutturalmente priva di sostegno”. Nessuna delle due parti ha un qualsiasi altro parente adulto cui potersi, di diritto, “appoggiare per sostenersi” in modo paragonabile a quella che è invece la posizione del coniuge31.

E quest’affermazione racchiude proprio il senso telico della parentela quale complesso simbolico espressivo fornito alle azioni individuali. Agli occhi di Parsons, l’isolamento strutturale della famiglia coniugale rispetto alla rete parentale è un qualcosa di molto profondo: appartiene a quella sfera che tocca i delicatissimi meccanismi latenti del mantenimento del modello. Cercare di modificare ciò è andare a colpire la società nel suo profondo. È colpire la produzione culturale e simbolica e l’integrazione della personalità nel sistema sociale. Nella trattazione parsonsiana non c’è in discussione la semplice trama degli scambi tra parenti, ma la simbologia che c’è dietro e che va oltre l’atto dello scambio. La strumentalità di uno scambio di favori tra ego e un suo parente deve essere ricollegata alla simbologia espressiva che è latente. Non tutto può essere scambiato. Non tutto può essere dato. Ciò che non può essere dato dagli altri parenti è quanto ricade nel ruolo di ego: è il lavoro di ego che non può essere prestato. Fintanto che il sistema (sociale) è perfettamente integrato e funziona, ogni sottosistema è in grado di realizzare la propria funzione in modo positivo. Non a caso, verso la fine del suo artico23


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lo, Parsons si riferisce a un problema che avrà la società americana – ed è proprio nella capacità predittiva che si misura la cifra di uno studioso – e che deriva dalla condizione degli anziani. Ma, oggi, possiamo allargare questo problema al problema della conciliazione lavoro-famiglia, della protratta permanenza dei giovani in famiglia, della cura dei figli, etc. Per Parsons, non è una soluzione naturale il genitore anziano che va a vivere col proprio figlio e la sua famiglia. Ma, senza alcun dubbio, anche la famiglia lunga del giovane adulto non è una condizione naturale32. Non sono condizioni naturali perché è la stessa identità di ruolo a divenire incerta e, con essa, la capacità di gestire le tensioni emotive. Un esempio per tutti: la madre che deve dividersi tra la propria occupazione, il lavoro domestico, il lavoro di cura della propria famiglia, il lavoro di cura del proprio genitore anziano. Per risolvere il problema della fedeltà non basta la promessa d’amore (romantico) fatta al marito. Ciò che per Parsons era “interdetto”, oggi, è ricercato: una promessa e una prestazione di cura non anonima e non sistemica. La famiglia nucleare, perché possa essere autonoma e indipendente, deve isolarsi – secondo Parsons – e, di conseguenza, i rapporti parentali esterni alla singola unità coniugale non possono che essere laschi. Quello che Parsons, quindi, non era in grado di vedere, è proprio la possibilità di pensare ai rapporti parentali non con occhiali dicotomici o della logica binaria (sistemica, per l’appunto). L’isolamento e l’indipendenza della famiglia nucleare dal resto della parentela sono imperativi funzionali sistemici. La parentela non è più una categoria indefinita, indefinibile, ma è un sottosistema al quale la famiglia non può non rapportarsi perché ogni ego ha il suo 24


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sistema parentale alle spalle e ogni ego, col matrimonio, istituisce un nuovo sistema parentale. Ora, però, la sistematizzazione della sociologia della parentela operata da Parsons viene fatta nel solco del funzionalismo. La famiglia si privatizza così come la parentela. Entrambe si specializzano nelle loro funzioni – per la prima sono quelle di stabilizzazione della persona adulta e di socializzazione dei bambini mentre per la seconda riguarda, più in generale, il simbolismo espressivo connesso con le motivazioni individuali – ma perdono la capacità di fare altro perché ci sono altri sistemi con altre funzioni. Per esempio, la famiglia non è più in grado di produrre assistenza e cura non in modo occasionale. O quanto meno, la famiglia non dovrebbe farlo. La parentela si privatizza diventando sempre più una mera questione simbolicaespressiva. 3. Parsons ha scoperchiato il vaso di Pandora? 3.1. La querelle tra Mitchell e Murdock Grazie all’attenzione di Parsons rivolta al nostro sistema parentale occidentale e moderno, il dibattito in sociologia comincia a interessarsi alla parentela in modo più preciso. E i primi passi sono stati proprio di critica nei confronti delle analisi condotte da Parsons. Parallelamente, nelle altre scienze sociali, come l’antropologia e l’etnografia, il dibattito va articolandosi sempre più e Mitchell lo sintetizza così tradizionalmente, sono due i principali approcci allo studio del funzionamento della parentela: (1) lo stu25


Presentazione dio di gruppi parentali organizzati o “corporate”; (2) lo studio dei legami parentali dalla prospettiva sociale di Ego. Mentre il primo approccio esamina l’organizzazione e le inter-relazioni dei gruppi parentali “corporate”, come per esempio la famiglia estesa, il lignaggio, il clan, il secondo approccio esamina la natura e l’ampiezza delle relazioni di Ego con la parentela33.

Ma questo dibattito è segnato da una querelle molto importante tra Mitchell e Murdock, portata avanti sulle pagine della American Anthropologist e dalla quale la sociologia ha tanto da imparare. La mossa d’apertura è l’articolo di Mitchell da cui ho appena tratto la precedente citazione. L’idea di fondo di Mitchell con la quale egli si presta a criticare l’intera scuola antropologica anglo-sassone e, così, il suo maggior esponente, Murdock, è molto semplice: la nozione di parentela non dev’essere usata solo riferendosi alle strutture di parentela cognatica o più in generale a gruppi di parentela organizzati, ma dev’essere estesa a tutte le società in quanto la struttura di parentela è la rete di individui ego-centrata. Per chi segue il primo approccio, quello della parentela come “corporate group”, condividendo gli stessi avi e la stessa identità fisica (corporelle) e sociale, i membri di un lignaggio costituiscono tutti insieme una sorta di individuo collettivo, una sorta di “persona morale” secondo l’espressione di Meyer Fortes presa da Maine e da Max Weber, che agisce come individuo unico, un corporate group che “non muore mai” non soltanto 26


Luca Guizzardi perché i suoi membri sono rimpiazzati da altri ma perché possiedono terre, titoli, diritti che devono essere conservati e trasmessi intatti di generazione in generazione34.

Il secondo approccio allo studio della parentela riscontrato da Mitchell è quello che considera la parentela come ego-centrata. Seguire questo approccio evita di commettere due grossi errori – ci dice Mitchell – in cui gli antropologi cadono: lo studio della parentela limitato solo ai sistemi di tipo cognatico e ritenere ego ugualmente legato tanto al ramo paterno quanto a quello materno in termini di obbligazioni. I due approcci – o, come li definisce lo stesso Mitchell – i due sistemi di riferimento, quello del corporate group e quello della rete, sono complementari e non, come invece erroneamente hanno inteso la maggior parte degli studiosi, in competizione perché «lo studio delle relazioni parentali di Ego e quello dello studio della parentela come corporate group si riferiscono a differenti ordini di relazioni sociali»35. Si tratta, per Mitchell, di una distinzione analitica quella fra la parentela intesa come corporate group e quella intesa come rete ego-centrata. In realtà, lo sforzo di Mitchell è diretto soprattutto a criticare la teoria di Murdock – e vedremo tra poco le risposte di Murdock date alle questioni sollevate da Mitchell. Però, ciò non toglie che Mitchell contribuisca a delineare in modo molto chiaro e, soprattutto, attuale nonostante i cinquant’anni circa che ci separano, un modello alternativo a quello della corporate group. Per Mitchell la preziosa lezione che può essere presa da Murdock rileggendone il suo pensiero, è che la parentela più che essere uno specifico tipo di struttura sociale presente 27


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in certe società e assente in altre è «un termine generico che indica la rete ego-centrata di parentela»36. Ciò non vuol dire – precisa Mitchell – che il concetto di parentela non possa essere oggetto di formulazioni strutturali. D’altro canto, nota sapientemente Mitchell, gli stessi antropologi ci hanno dimostrato la possibilità di identificare sistemi di parentela attraverso l’approccio “di rete”. Ma, sfortunatamente, questi stessi antropologi hanno sempre lavorato con l’esplicita assunzione che i legami parentali siano caratteristica specifica dei sistemi di tipo cognatico e con l’implicita assunzione conseguente che Ego sia legato da obblighi parentali in modo uguale sia al ramo paterno sia al ramo materno37.

L’approccio che Mitchell avanza si fonda su cinque premesse o assunzioni basilari: i) la parentela è un tipo di struttura sociale che deriva dall’analisi delle relazioni parentali di ego; ii) la parentela è un approccio metodologico valido per ogni società; iii) la parentela non è solo questione di categorie lessicali o di termini linguistici ma è la modalità con cui ego prende parte al proprio gruppo parentale; iv) la parentela è un termine generico che può essere applicato a diversi tipi di struttura; v) la parentela come rete ego-centrata e la parentela come corporate group hanno differenti sistemi di riferimento ma non per questo sono reciprocamente incompatibili. Ora, una lettura frettolosa di Mitchell potrebbe indurre a ritenere che, per lui, la parentela sia ciò che ego decide essa sia scegliendo i propri parenti. Se il primo approccio può essere collocato nell’ontologia (sociale) del collettivismo, un’errata interpretazione dell’approccio di 28


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rete avanzato di Mitchell potrebbe indurre a collocarlo nel solco dell’ontologia (sociale) individualista. Mitchell non commette lo sbaglio di passare da un estremo all’altro: da “la parentela come gruppo pre-strutturato, predeterminato imposto a ego” – una sorta di conflazione verso il basso: la struttura socio-culturale che impone a ego la sua parentela – a “la parentela come gruppo scelto da ego” – una sorta di conflazione verso l’alto: ego sceglie individualmente i proprio parenti, magari includendo nella cernita anche individui con i quali non ha alcun rapporto parentale pre-visto38. Mitchell non rifiuta la concezione del “corporate group” per abbracciare ciecamente quella diametralmente opposta, “occasional group”. Sarà Murdock, incredibilmente, a farlo. Mi spiego. Nella brief communication di Murdock alle critiche sollevate da Mitchell e a lui indirizzate, Murdock fissa bene questa dicotomia: occasional kin groups – il parentado – in contrapposizione a corporate kin groups39. I primi, a differenza del clan e del lignaggio, non sono gruppi circoscritti e distinti ma sono caratterizzati dalla sovrapposizione e dall’accavallamento e l’appartenenza incrociata solleva un particolare problema nelle società con la discendenza bilineare e che quelle con discendenza unilineare non conoscono – cioè la gestione pacifica tra obblighi conflittuali quando è richiesta, da entrambi i gruppi, la partecipazione40.

Un altro modo per formulare il dilemma parsonsiano della fedeltà. Per Murdock, quindi, non c’è una via di mezzo. O la parentela è quella del corporate group, 29


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un’identità collettiva strutturata e stabile nel tempo, o la parentela non può avere un’altra forma perché – come Murdock spiega ne La struttura sociale – il parentado non può agire come una collettività: non può compiere una vendetta di sangue contro un altro parentado se essi vengono, per caso, ad avere membri in comune. Inoltre, un parentado non può essere proprietario di terra o di altri beni, e questo non solo perché non è un gruppo – salvo che dal punto di vista di un individuo particolare – ma anche perché non ha alcuna continuità nel tempo41.

Ciò che Murdock non è in grado di fare è osservare il parentado non con gli occhiali della teoria del corporate group. Rimanendo all’interno di questa ontologia, Murdock ritiene il parentado una sorta di equivalente strutturale e funzionale del lignaggio il parentado è paragonabile grosso modo al lignaggio, non soltanto per le dimensioni approssimativamente uguali, ma anche per il fatto che le relazioni genealogiche di ego con tutti i suoi membri sono note e riconosciute42.

Per cogliere la specificità del parentado occorre uscire da quell’ontologia – come propone per l’appunto Mitchell. Infine, la querelle ha un terzo momento conclusivo, la risposta di Mitchell alle obiezioni sollevate da Murdock: una brief communication nella quale Mitchell elabora ulteriormente la sua proposta con non poca lungimiranza sociologica. Mitchell riprende due punti che egli reputa 30


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essere i più importati e già esposti nel primo articolo. Pensare la parentela come rete ego-centrata fa della parentela stessa un concetto altamente generale che può essere riferito a tanti tipi strutturali di parentela. Ed ecco la prima argomentazione, la rete ego-centrata è condizionata da diverse variabili – questo punto era stato fissato nel primo articolo di Mitchell, ma in questo secondo lavoro viene indicato come il punto più importante. Queste variabili sono: i) fattori biologici (il sesso e l’età di Ego e quelli degli altri parenti in vita); ii) fattori ecologici e tecnici (la distanza geografica tra parenti, le modalità di comunicazione, etc.); iii) fattori sociali (la nomenclatura della parentela, la forza dei legami di mutuo sostegno, l’esistenza di norme e sanzioni, etc.); iv) fattori psicologici (i sentimenti di ego verso i vari parenti e la sua volontà o meno di assumersi responsabilità, etc.). Sono variabili di diversa natura: diverse realtà – quella sociale, quella biologica, quella culturale, quella psicologica – da cui emerge questa struttura reticolare della parentela. Indubbiamente, il realismo sociale qui andrebbe a nozze43! La parentela non può essere solo una realtà biologica (la sola discendenza, la sola filiazione, etc.) neppure una pura realtà sociale (come, invece, lo è per Durkheim). La parentela non può essere nemmeno solo realtà psicologica (i parenti che Ego nomina come tali). La rete parentale emerge proprio dalla combinazione di questi elementi, di queste diverse realtà. Rete parentale, non sistema parentale – da notare questa specificazione in quanto verrà ripresa tra poco. Il secondo punto è una conseguenza logica di questa posizione. La dicotomia di Murdock (o gruppo domestico o niente parentela, tutt’al più una forma contingente e occasionale, un actualized group) non può che essere rifiutata da Mitchell perché 31


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egli abbraccia una visione che non è assolutamente sistemica bensì reticolare. Mitchell, ed è bene chiarirlo, non nega affatto l’esistenza di questi gruppi occasionali o assemblaggi parentali ad hoc, ma così come la struttura della parentela intesa come gruppo domestico e la rete parentale ego-centrata sono due livelli di analisi differenti, allo stesso modo, questi gruppi indicano un altro livello di analisi44. Così come non possiamo comprendere la parentela tenendo in considerazione solo la dimensione strutturale, allo stesso modo «non possiamo comprendere il modello delle relazioni parentali del singolo individuo guardando semplicemente a con chi ha cenato la sera di Natale»45. Lo stesso principio di parentela è «un fattore di organizzazione nella creazione di gruppi sia permanenti sia temporanei per la realizzazione di attività economiche, sociali e rituali»46. Per una sociologia della parentela, la proposta antropologica di Mitchell è estremamente rilevante e da accogliere in pieno. Da accogliere e da sociologizzarla – se mi si passa questo brutto termine. Per studiare la parentela, anziché seguire un approccio collettivista o un approccio individualista, bisogna adottare il paradigma di rete47. È chiaro, almeno a me così sembra, che per Mitchell il concetto di rete parentale vada oltre il concetto di sistema parentale (il corporate groupe), in quanto la prima non deve coincidere naturalmente con il secondo, in quanto la rete parentale include il sistema parentale senza rischiare di essere, a sua volta, compresso a sistema. Cosa comporta, dunque, leggere il sistema parentale come una rete? Mitchell, implicitamente, ha già risposto a questa domanda: il sistema parentale, dal punto di vista della network analysis, è la dimensione analitica 32


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della rete stessa in quanto indica i nodi che uniscono e che allontanano e fissa i circuiti e i meccanismi attraverso i quali si esprime tutta la fenomenologia della parentela48. Per Mitchell, ed è un punto di notevole rilevanza sociologica, gli individui non dipendono solo dalle categorie della parentela ma appartengono a delle reti. Attraverso l’analisi della rete ego-centrata, è possibile cogliere realmente e concretamente come la struttura della parentela sia un vincolo e una risorsa, al contempo, rendendo possibile l’emergenza delle interazioni. C’è un punto, però, che Mitchell ignora completamente ma che, probabilmente, è il passo in più che potrebbe completare il suo paradigma di rete. Anziché ritenere ego, in quanto nodo della rete, un singolo individuo, ego è un individuo-in-relazione. Cioè, ogni nodo della rete, anziché essere ogni singolo individuo, è un fascio di relazioni. Questo punto che ritengo fondamentale, in realtà, potrebbe essere estrapolato nella parte finale della sua brief communication in quanto il corollario che Mitchell pone alla sua proposta va proprio in questa direzione. Il corollario è la prospettiva del life-cycle con cui “mappare” – come dice lo stesso Mitchell – cioè “strutturare” la stessa rete ego-centrata49. La rete, in questo modo, diventa un qualcosa di dinamico, non di statico, di aperto, non di chiuso. Sarebbe interessante accostare la mappatura della struttura della parentela che fa Parsons nel suo articolo con quella della rete che fa Mitchell a conclusione del suo articolo, perché dal semplice raffronto è possibile cogliere proprio tutta la diversità dei due approcci. Mi limito solo a un punto. Entrambi si riferiscono a ego. Ma entrambi hanno due “visioni” di ego ben diverse: sistemica quella di Parsons, umanistica quella di Mitchell. 33


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Inoltre, legare la rete della parentela a una prospettiva del ciclo di vita introduce un forte elemento costrittivo strutturale: non è un ego completamente libero da ogni qualsivoglia legame e di seguire ogni qualsivoglia desiderio nell’eleggere i propri parenti, ma è un ego costretto ad avere certi legami piuttosto che altri. Come poi la rete – non la struttura – dei suoi legami viene a prendere forma è questo che – non solo per Mitchell – è ciò che dev’essere studiato. In questo modo la struttura della parentela di un individuo comincia a prendere forma non appena scopriamo il numero e le posizioni genealogiche dei suoi 1) parenti in vita; 2) parenti vicini in termini spaziali; 3) parenti effettivi, cioè quelli con i quali egli mantiene qualche rapporto; 4) parenti più familiari, cioè quelli con i quali ha rapporti più frequenti; 5) parenti stretti, cioè quelli con i quali egli è in costante rapporto50.

Infine, e poi lasciamo Mitchell51 e la sua impressionante attualità sociologica, sollevando un ultimo punto sulla natura dei rapporti parentali «indagando su questioni più specifiche relative alle relazioni affettive, sociali ed economiche con i parenti è allora possibile delineare la struttura della parentela di Ego»52. L’analisi dei reticoli sociali non può prescindere dagli scambi e dalla circolazioni dei beni che avviene attraverso la rete stessa.

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3.2. Il sospetto dell’etnografia sulla realtà – sociologica – della parentela Mitchell, quindi, rompe con la tradizione antropologica ed etnografica anglo-sassone proponendo una prospettiva allo studio della parentela completamente originale e che non ha nulla in comune con i presupposti e i principi fino a quel momento predominanti. Ma qualche anno prima di Mitchell, un tentativo simile di rottura venne fatto da un etnologo, Freeman, il quale – per così dire – radicalizza l’idea di Murdock secondo cui il parentado è una forma contingente e occasionale priva di alcuna struttura. Nel suo articolo, tra l’altro premiato con un encomio del 1961, On the concept of the kindred, Freeman avanza l’ipotesi che il concetto di “kindred”non abbia alcuna validità sociologica, ossia non sia un gruppo nel senso sociologico del termine «ma piuttosto una categoria di parenti cognatici, un insieme (set) di persone che hanno in comune la caratteristica di essere tutti imparentati in vario grado con una stessa persona»53. Per Freeman, il parentado54 – perché è l’accezione che egli dà alla parentela – non è una realtà sociologica perché è una realtà puramente biologica – il legame di sangue – che fonda una realtà morale – e non sociale – di obbligazioni reciproche: «c’è un’obbligazione morale per i parenti cognatici di supportarsi reciprocamente, e su questa base alcuni tipi di gruppi temporanei di azione costituiscono la parentela (kindred) dell’individuo»55. Il problema qual è? È l’indeterminatezza e la vastità di questa categoria di “parenti cognatici”. Ecco perché i vari membri non riescono ad avere una percezione collettiva del gruppo; il gruppo stesso non è una unità discreta 35


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e autonoma – afferma Freeman. Anche laddove il parentado ha un riconoscimento giuridico, legale e formale «non accade che tutti i membri del proprio parentado emergano come gruppo-in-azione»56. Ma, qualora si faccia leva su quell’obbligo morale, ecco che l’indeterminatezza e la vaghezza si risolvono in determinatezza e azione. Il riconoscimento dei parenti cognatici a cui chiedere (o dare) aiuto viene fatto – dice Freeman – non tanto facendo ricorso a una linea genealogica dimostrabile, quanto a una presunzione di consanguineità per via, per esempio, dell’età, della memoria, della vicinanza. Quindi, si può scegliere tra tutti i propri parenti quelli a cui chiedere. È lecito supporre, pertanto, afferma Freeman, che tanto più i rapporti siano stretti e frequenti quanto più l’individuo tenda a fare affidamento ulteriore su questi per eventuali necessità o, semplicemente, a stringere ulteriormente i rapporti. Inoltre, ed ecco il punto più interessante, tale riconoscimento passa attraverso quella regola morale – naturale, mi verrebbe da definire seguendo Caillé57 – della reciprocità e che potremmo definire in chiave più moderna così: la reciprocità è un aiuto che concretamente Ego dà ad Alter, in un quadro di solidarietà nella consapevolezza che l’Alter farà lo stesso nel momento in cui Ego ne avrà bisogno58. Nuovamente, c’è la questione, annosa, dello scambio. 3.3. Il paradosso: nessuno è parsonsiano, tutti sono parsonsiani Accanto alla teoria – strutturalista – della parentela come corporate group, comincia a prendere forma e a diffondersi un approccio che fa della struttura della 36


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parentela non un qualcosa di pre-dato e pre-costruito rispetto all’individuo e che plasma l’agire dell’individuo stesso, ma una rete di interazioni intessuta dall’individuo59. La sociologia della parentela scoprirà la validità di questo secondo approccio soltanto circa quarant’anni più tardi! Ma perché è così importante il paradigma di rete? Perché è l’unico che permette di superare il paradigma della differenziazione (binaria, funzionale) sistema/ambiente – Parsons/o famiglia nucleare o parenti – e quello dell’autopoiesi dei sistemi – Luhmann/la parentela è rumore nell’ambiente del sistema-famiglia60. Il limite principale delle critiche che l’antropologia e l’etnologia britannica hanno indirizzato a Parsons61 deriva proprio dall’aver, implicitamente, rafforzato la visione dicotomica di fondo: parentela vs famiglia nucleare. Per esempio, anche il modello di “famiglia estesa” che Townsend riscontra diffusamente nel quartiere londinese di Bethnal Green – formata da tre generazioni, quella dei nonni, quella dei figli e quella dei nipoti – viene descritta ancora col riferimento alle “categorie” del paradigma strutturalista – come rileva saggiamente Déchaux62 – e, di conseguenza, molte delle questioni che essa solleva e che Townsend stesso non riesce a risolvere sono dovute al fatto che non si tratta più di corporate group fac-simile ma di reti. Un po’ più di spazio vuole essere riservato alle critiche a Parsons che provengono dalla sociologia. In ordine temporale, la primissima critica implicita e indiretta a Parsons è di Floyd Dotson, del 195163. Si tratta di uno studio empirico sulla famiglia della working-class del distretto urbano di New Haven volto a confutare la teoria secondo cui il processo sociale dell’urbanizzazione segna la progressiva perdita di importanza dei gruppi 37


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primari che viene, invece, acquisita dai gruppi secondari. Parsons non viene mai citato e neppure la sua teoria della parentela viene tirata in ballo. Ma le conclusioni a cui giunge Dotson sono una chiara smentita di questa, in quanto egli arriva a mostrare che per la maggior parte degli individui della working-class non sono le voluntary associations ma i parenti a fornire le occasioni di socialità e la risposta ai bisogni di compagnia e di svago64. Rivolgiamo la nostra attenzione, quindi, alle critiche realmente indirizzate a Parsons. Leggendo i soli titoli di alcuni di questi studi, The help pattern in the middle class family, Parental aid to married children: implications for family functioning, Kin family network: unheralded structure in current conceptualizations of family functioning65, Occupational mobility and extended family cohesion, Geographic mobility and extended family cohesion66, si ricavano già i tre principali argomenti attorno ai quali si vanno a strutturare le critiche a Parsons: gli scambi e gli aiuti, il superamento dell’isolamento della famiglia nucleare letta come scelta dicotomica “o famiglia o parenti” per andare verso una struttura più reticolare, un nuovo modello di famiglia, quello della famiglia estesa modificata. Ecco che, allora, le critiche che vengono mosse a Parsons partono proprio dalle preoccupazioni che Parsons stesso esprime negli ultimi capoversi del suo articolo qui tradotto. Se là Parsons esprime perplessità sulla tenuta della struttura telica qualora il problema della cura degli anziani diventasse (e lo diventerà, come ben sappiamo) sistemico e gravando in modo disfunzionale sulla tenuta e sulla solidarietà – nella sua accezione – della singola unità della famiglia nucleare, qua, in questi articoli, si cerca proprio di dimostrare che «la famiglia della middle class […] non è una unità indipendente e isolata come gene38


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ralmente si pensa. Legami affettivi ed economici uniscono ancora le famiglie generazionali e danno stabilità alle loro relazioni»67. Molto vicina alle idee di Mitchell e di Freeman, la famiglia estesa modificata di Litwak è il primo tentativo – e riuscito – sociologico della dimostrazione che l’isolamento della famiglia nucleare non è l’unica garanzia alla sua indipendenza e autonomia. La famiglia estesa, o allargata, tradizionale, quella fondata sulla prossimità geografica, sulla dipendenza economica dei suoi membri dall’autorità del capo famiglia, di solito il maschio, se bene si adatta alla pre-modernità, non si adatta alla moderna società industriale. Occorre modificarla – propone Litwak. In che modo? Anche se Litwak non lo fa consapevolmente in quanto è, alla fine dei conti, pur criticandolo, un parsonsiano-funzionalista, introducendo il concetto di “rete” o quello che con tale concetto solitamente si esprime. Infatti, la famiglia estesa modificata si differenzia da quella tradizionale per il fatto che «non pretende né la contiguità geografica, né la dipendenza economica, né una struttura gerarchica dell’autorità» e da quella nucleare isolata parsonsiana per il fatto che “attribuisce importanza e continuità all’aiuto”68. La famiglia estesa modificata è, allora, un insieme di famiglie nucleari legate tra di loro sulla base dell’uguaglianza e sulla rilevanza dei legami come valore in sé tra le quali intercorrono scambi e aiuti reciproci rilevanti e continui. In altre parole, la famiglia estesa modificata dà all’individuo le risorse e i mezzi per realizzare scopi sociali69. La prossimità geografica non è più un pre-requisito in quanto grazie alle moderne tecnologie di comunicazione, i parenti possono ugualmente avere frequenti contatti e – Simmel docet – essendo il denaro la forma principale 39


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dell’aiuto dato, esso “riduce” alquanto le distanze o le lontananze. Riprendendo alcuni punti della teoria parsonsiana, per Litwak la famiglia estesa modificata non ostacola più la mobilità professionale, in quanto il ruolo professionale ormai è indipendente dai caratteri ascrittivi e gli aiuti che vengono dati riguardano soprattutto il sostegno rivolto dai genitori ai figli alla loro formazione e realizzazione educativa e professionale. L’interrogativo di fondo che anima le ricerche di Litwak è quello di ricercare se nella società urbana e moderna vi siano ancora delle strutture che realizzano quelle funzioni proprie dei gruppi primari70. La famiglia estesa modificata realizza proprio questa funzione di integrazione – ecco perché prima ho detto che Litwak è, alla fin fine, parsonsiano – tra l’individuo e il sistema occupazionale attraverso gli scambi e i supporti che intercorrono. Se per Parsons, la trama degli scambi e degli aiuti dev’essere ridotta al minimo altrimenti entra in crisi l’intera struttura sociale, per Litwak questa trama non può non entrare in crisi perché è proprio ciò che è funzionale all’integrazione e all’ordine sociale. Litwak, però, non a differenza di Parsons, non è stato abbastanza sibillino, lungimirante, in quanto “incastrato” in questa visione squisitamente romantica-funzionalista: gli scambi non arriveranno mai a essere un problema del sistema e dell’individuo. È con il lavoro di Sussman che la sociologia della parentela subisce decisamente una svolta verso il paradigma reticolare dedicato «al funzionamento della rete parentale e familiare americana e alla matrice di aiuti e servizi tra i membri della parentela»71. Se la teoria sociologica enfatizza il carattere dell’isolamento della famiglia nucleare, in realtà molte ricerche empiriche rivelano 40


Luca Guizzardi l’esistenza e il funzionamento di un sistema parentale esteso della famiglia e bene integrato all’interno di una rete di relazioni e di reciproca assistenza tra le linee bilaterali parentali trasversale a più generazioni […]. Il ruolo della rete parentale della famiglia è di supporto, non coercitivo, nei suoi rapporti con la famiglia nucleare72.

In altre parole, la parentela è una struttura di opportunità, la cui base è la reciprocazione73, di famiglie nucleari che si scambiano favori e aiuti non tanto per “dovere” e “obbligo” fissati quanto per la libertà del dono74. La realtà empirica, non quella teorica, precisa Sussman, dimostra come sia la family network a essere il familismo urbano emergente. In generale, si tratta di un aiuto: i) liberamente e volontariamente dato per ragioni di affetto e non perché previsto da regole e da leggi; ii) prestato sia dai genitori ai figli che dai figli ai propri genitori; iii) rivolto a supportare e a sussidiare i membri della famiglia più che a influire direttamente con la carriera professionale e lavorativa; iv) destinato ad aumentare a causa delle trasformazioni verso cui la società stessa sta andando (allungamento della vita, un nuovo ruolo dei nonni, etc.)75. Non c’è più il corporate group che usa i suoi membri per la propria unità e la propria perpetuazione ma c’è una rete di legami, liberi e volontari. Non c’è più il corporate group ma famiglie nucleari legate tra di loro disinteressatamente interessate76. La definizione di parentela come “struttura di possibilità” a servizio dell’individuo e della sua famiglia nucleare, nonostante il tentativo, riuscito, di superare Parsons, fanno di Sussman un fortemente parsonsiano-funzionalista e che “maschera” come approccio pragmatico. 41


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Per Sussman, la parentela è valorizzata come strumento che permette il pieno sviluppo delle potenzialità delle sue unità77. Così Sussman il sistema della parentela lavora efficientemente all’interno del framework del complesso sistema burocratico ed economico col suo ethos rivolto a incoraggiare e favorire le abilità, la sua ideologia dell’uguaglianza, la sua aspettativa che gli individui “liberi come uccelli” vadano laddove ci siano le opportunità per migliorare se stessi lasciandosi dietro il loro ambiente familiare. La struttura contemporanea della parentela è una struttura di opportunità perché accetta le priorità della società burocratica e, senza porgli troppe richieste, offre all’individuo i mezzi per arrivare (achieve), il più velocemente possibile e nel modo più efficiente, a vedere ricompensati i successi dei propri sforzi nella società burocratica78.

Sussmann, al pari di Litwak, non si interroga sugli effetti negativi, sui mali, che questi scambi potrebbero causare per la stabilità dell’ordine sociale, ma ne vede solo la bontà. Se, per Parsons, la bontà dell’isolamento della famiglia nucleare è legittimata perché così l’individuo può risolvere funzionalmente il problema telico, per Sussman e per Litwak la bontà della rete parentale deriva dal fatto che, con la rete parentale, la famiglia nucleare si adatta meglio alla società e l’individuo realizza meglio le sue potenzialità. L’affermazione di Sussman secondo cui «la comprensione della famiglia come sistema sociale funzionale interrelato agli altri sistemi della società è possibile solo se si rigetta il modello della famiglia nucleare isolata»79 è 42


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giusta, ma viene sviluppata sempre all’interno del paradigma funzionalista della differenziazione sociale. Ora se si vuole seguire il paradigma reticolare80, non bisogna solo limitarlo alla famiglia ma alla società stessa. Salvare capre e cavoli – tenere il paradigma della differenziazione sistemica per la società e quello reticolare per la parentela – è un nonsense. Invece, per entrambi occorre cambiare paradigma e assumere quello della differenziazione relazionale per la società81. 4. Dopo Parsons: qualche punto per iniziare Con questa introduzione ho focalizzato la mia attenzione esclusivamente su Parsons e sul suo approccio. Riconosco che per cercare di delineare una sociologia della parentela82 – la speranza racchiusa nel titolo della presente introduzione – non sia sufficiente. Per esempio, occorre misurarsi con la teoria (della pratica) di Bourdieu, con la scuola di M.A.U.S.S.; occorre misurarsi con i processi di integrazione e di globalizzazione – la definizione dei legami parentali e il riconoscimento di strutture diverse dal (nostro) modello occidentale, il ruolo delle rete parentali transnazionali83; occorre misurarsi con le nuove forme di procreazione che aprono non solo a nuove forme familiari ma anche alla necessità di ridefinire le figure parentali coinvolte – basti pensare al caso di coppie lesbiche e gay incrociate per avere un figlio84; occorre misurarsi con le più generali trasformazioni che stanno avvenendo in seno alla famiglia (le famiglie ricostruite, la diffusione dei nuclei mono-genitoriali, la crescita dei single e delle convivenze) e che inevitabilmente ricadono sulla struttura parentale; occorre misurarsi con il “mon43


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do” nascosto della produzione di servizi di cura e con l’economia “invisibile” degli aiuti scambiati che ormai sono un’alternativa all’offerta pubblica istituzionale, alle soluzioni private di mercato e agli armonizzatori sociali soliti. E, prima ancora di tutto questo, bisogna misurasi con i “classici” del pensiero sociale e con i “fondatori” della sociologia venuti prima di Parsons: Engles, Durkheim, Weber, Simmel. Ma credo all’adagio, chi ben comincia è a metà dell’opera: occorre partire anche da un approccio che sia realmente valido e fruttuoso. Rimanere all’interno dell’approccio parsonsiano non serve: fintanto che si ragiona in termini dicotomici e sistemici, in termini della specializzazione funzionale e della chiusura delle singole sfere (la famiglia rispetto alla parentela, la parentela rispetto alla società), non si è affatto a metà dell’opera. Come definire, sociologicamente, la parentela? Azzardo la seguente ipotesi: la parentela è quel reticolo nel quale la famiglia è naturalmente inserita e che costituisce un’apertura simbolica che pone una mediazione strutturale fissando il posto di ego nella dinamica dei sessi, delle età e delle generazioni85. Molto brevemente, provo a sviluppare i vari punti: – reticolo…: la parentela non è un sistema sociale chiuso, atto o specializzato a svolgere solo determinate funzioni, ma è un insieme di relazioni intersecate in nodi (l’individuo con la sua famiglia); – …nel quale la famiglia è naturalmente inserita…: ogni famiglia non può prescindere da una rete parentale da cui proviene e una a cui dà vita; – …che costituisce un’apertura simbolica…: il riferimento di senso sia nelle relazioni intersoggettive – il nome di famiglia, quell’avo in comune, la casa 44


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di famiglia dove i bis-nonni sono nati, etc. – che fanno della parentela quel determinato gruppo (di mondo vitale), sia nelle relazioni strutturali cioè nelle relazioni con le sub-culture di appartenenza e con la società più in generale e che fanno della parentela un’istituzione sociale – per esempio, lo scontro tra la sub-cultura dei matrimoni pre-combinati dai parenti e la libertà di scelta del partner della società occidentale; – …che pone una mediazione strutturale: legami creati da aspettative reciproche – l’aiuto vicendevole nel badare ai propri figli, etc. – e dalle aspettative maturate dalle altre sfere sociali; – …fissando il posto di ego nella dinamica dei sessi, delle età e delle generazioni: il posto di ego, all’interno di questa rete, è una relazione dinamica con l’Altro. Questa definizione impedisce di: a) perdere la parentela in una definizione allargata di famiglia; b) pensare alla famiglia come la semplice contrazione della parentela; c) fare della parentela un fatto meramente strutturale o un fatto meramente individuale; d) mantenere un ordine tra la realtà sociale, quella naturale, quella simbolica senza ridurli l’uno nell’altro ma relazionalmente ordinati. In questo modo, non si deve più pensare al rapporto tra la famiglia, nodo della parentela (ma a sua volta rete), e la parentela, la rete (ma a sua volta nodo) in modo sistemico-binario-funzionale, ritenendo che l’una si definisca per la negazione dell’altra e per la propria prestazione sistemica. 45


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Se la parentela è rete, anche la società lo è. Cioè: seguire un approccio reticolare per la parentela e uno sistemico per la società non è una mossa corretta – come si è visto in riferimento al dibattito sociologico sorto attorno all’articolo di Parsons. Se si segue l’approccio reticolare, famiglia e parentela non vengono più assunte come due sfere “privatizzate” chiuse l’una verso l’altra, in quanto la seconda è una minaccia all’autonomia e all’indipendenza della prima, rimanendo, però, nel solco della società della differenziazione funzionale, si sposta il confine sistemico solo un po’ più in là: non più attorno alla famiglia ma attorno alla rete famiglia-parentela facendone sempre una questione privata, auto-referenziale, di chiusura affettiva. Invece è lo spazio, e il tempo, della rete, degli scambi che vengono attivati e di quelli che non vengono attivati, di quelli che possono o non possono essere attivati da ego86, tra la famiglia, la parentela e la società, a configurare la specializzazione di queste sfere. Ecco l’altra metà del lavoro che (mi) resta da fare.

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Luca Guizzardi NOTE 1 Ivi, p. 88. Colgo l’occasione per precisare che alcuni punti della lettura parsonsiana sono già presenti nella sociologia statunitense attraverso la descrizione fatta da Louis Wirth, nel 1938, dell’urbanesimo quale modo di vita, L. WIRTH, L’urbanesimo come modo di vita, Roma, Armando, 2009. 2 L.M. MORGAN, Systems of Consanguinity and Affinity of the Human Family, Washington, Smithsonian Institution, 1971. Come nota Godelier, Morgan ha attribuito all’antropologia uno dei suoi oggetti di studio più cari, la parentela, fornendole anche uno strumento di ricerca, il questionario sulla genealogia, e una prima serie di risultati scientifici relativi ai principi e alle regole seguite dalle società non europee per organizzare e stabilire i legami di discendenza e le alleanze tra gli individui e i gruppi. Con Morgan, quindi, si interrompe quella lunga tradizione fatta di studi etnografici eseguiti liberamente e in assoluta discrezionalità da missionari, militari, amministratori, commercianti residenti nelle colonie. Il principale limite di Morgan, evoluzionista, però è stato quello, presentando la famiglia nucleare, occidentale e monogamica come il modello razionale e lo stadio a cui non si può non giungere, di non considerare questa forma una modalità culturale etnocentrica al pari di tutte le altre, M. GODELIER, Métamorphoses de la parenté, Paris, Fayard, 2004. 3 Circa trent’anni dopo, attraverso la strada dell’analisi della terminologia parentale, Wordick arriva a concludere che il sistema parentale statunitense può essere considerato come un modello a sé stante grazie alle tre regole logiche su cui si fonda e che permettono di identificare lo status di alcuni gradi di parentela altrimenti indeterminabili, FRANK J.-F. WORDICK, Another View of American Kinship, in «American Anthropologist», 75, 1973, pp. 1634-1656. 4 G.P. MURDOCK, The Kindred, in «American Anthropologist», 66, 1, 1964, pp. 129-132. 5 Ivi, p. 130 (nostra trad.). 6 Ivi, p. 131 (nostra trad.). 7 C. LÉVI-STRAUSS, Le strutture elementari della parentela, Milano, Feltrinelli, 1969, p. 82. Godelier ritiene che quest’opera abbia

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Presentazione spostato l’intero discorso antropologico sulla parentela in una zona di alta turbolenza scientifica. 8 C. LÉVI-STRAUSS, The Family, in H.L. SHAPIRO (ed.), Man, Culture and Society, New York, Oxford University Press, 1960, p. 273. 9 C. LÉVI-STRAUSS, Le strutture, cit., p. 615. 10 Ivi, p. 616. 11 Ivi, p. 614. L’incesto, per Lévi-Strauss, non è tanto la regola che vieta di prendere quanto la regola che obbliga di dare: è la regola del dono per eccellenza. 12 Mi riferisco soprattutto a due scritti: Postface, in «L’Homme», 154-155, 2000, pp. 713-720 e a Apologue des amibes, in En substances. Textes pour Françoise Héritier, Paris, Fayard, 2001, pp. 493-496. Bisogna ammettere che l’idea esposta nell’Apologo è già presente ne L’uomo nudo (p. 652) ma è solo nell’Apologo che LéviStrauss riflette in un certo qual modo (che vedremo tra poco) sullo scambio. Sarebbe alquanto interessante leggere soprattutto le ultimi pagine de Il totemismo oggi, ove Lévi-Strauss, riprendendo il Trattato sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza di J.-J. Rousseau, pone come chiave del totemismo la pietà, l’identificazione in altri. 13 Ivi, p. 496 (nostra trad.). 14 M. GODELIER, Métamorphose…, cit., p. 458 (nostra trad.). 15 C. LÉVI-STRAUSS, Le strutture…, cit., p. 626. 16 M. GODELIER, Métamorphose…, cit., p. 458 (nostra trad.). 17 T. PARSONS, R.F. BALES, Famiglia e socializzazione, Milano, Mondandori, 1974, p. 436. 18 T. PARSONS (ed. or. 1952), The Superego and the Theory of Social Sytems, in Id., Social Structure and Personality, New York, The Free Press, 1964, pp. 17-33, p. 30. 19 T. PARSONS (ed. or. 1954), The Father Symbol: An Appraisal in the Light of Psychoanalytic and Sociological Theory, in Id., Social Structure and Personality, New York, The Free Press, 1964, pp. 3456, p. 47 (nostra trad.). 20 Per esempio, T. PARSONS (ed. or. 1958), Social Structure and the Development of Personality: Freud’s Contribution to the Integration of Psychology and Sociology, in Id., Social Structure and Personality, New York, The Free Press, 1964, pp. 78-111.

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Luca Guizzardi 21

T. PARSONS, R.F. BALES, Famiglia…, cit., p. 22. T. PARSONS, G.M. PLATT, The American University, Cambridge, Massachusetts, Harvard University Press, 1973, p. 18 (nostra trad.). 23 Per una spiegazione perfettamente articolata della complessa struttura sistemica della realtà rimando a P. DONATI, Teoria relazionale della società, Milano, FrancoAngeli, 1991 (cap. 4) e al saggio introduttivo di R. PRANDINI, Talcott Parsons e la cultura della società, in Id. (a cura di), Talcott Parsons, Milano, Bruno Mondadori, pp. 1-98. 24 T. PARSONS, G.M. PLATT, The American…, cit., p. 20 (nostra trad.). 25 Ibidem (nostra trad.). 26 T. PARSONS (ed. or. 1963), Sul concetto di potere politico, in Id., Classe, status e potere, Padova, Marsilio, 1970, pp. 87-138. Sulla categoria del sistema politico e sulla relazione tra sistema della personalità e sistema sociale come suo elemento di base, rimando al bello studio di M. BORTOLINI, L’immunità necessaria. Talcott Parsons e la sociologia della modernità, Roma, Meltemi, 2005, p. 155 e ss. 27 T. PARSONS, G.M. PLATT, The American…, cit., p. 21 (nostra trad.). 28 T. PARSONS, R.F. BALES, E.A. SHILS, Working Papers in the Theory of Action, Glencoe, The Free Press, 1953, p. 265 (nostra trad.). 29 Ibidem (nostra trad.). 30 T. PARSONS, G.M. PLATT, The American…, cit., p. 21 (nostra trad.). 31 T. PARSONS, R.F. BALES, Famiglia…, cit., pp. 25-26. 32 T. PARSONS, I giovani nella società americana, Roma, Armando, 2006. Sul fenomeno del giovane adulto rimando al primo studio che, nell’ambito sociologico italiano, l’ha analizzato in modo preciso, E. SCABINI, P. DONATI (a cura di), La famiglia “lunga” del giovane adulto. Verso nuovi compiti evolutivi, Milano, Vita e Pensiero, 1989. 33 W.E. MITCHELL, Theoretical Problems in the Concept of Kindred, in «American Anthropologist», 65, 2, April, 1963, pp. 343354, p. 346 (nostra trad.). 22

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Presentazione 34

M. GODELIER, Métamorphose…, cit., p. 128 (nostra trad.). W.E. MITCHELL, Theoretical…, cit., p. 346 (nostra trad.). 36 Ivi, p. 349 (nostra trad.). 37 Ibidem (nostra trad.). 38 Per le teorie conflattive rimando all’illuminante testo di M.S. ARCHER, La morfogenesi della società. Una teoria sociale realista, Milano, FrancoAngeli, 1997. 39 G.P. MURDOCK, The Kindred, in «American Anthropologist», 66, 1964, pp. 129-132. 40 Ivi, p. 131 (nostra trad.). 41 G.P. MURDOCK, La struttura sociale, Milano, Etas Kompas, 1971, p. 61. 42 Ibidem. 43 Intendo riferirmi soprattutto a quello critico relazionale, A.M. MACCARINI, E. MORANDI, R. PRANDINI (a cura di), Realismo sociologico. La realtà non ama nascondersi, Genova-Milano, Marietti, 2008. 44 Una simile tripartizione viene fatta anche da Shimizu nel suo tentativo di studiare il sistema parentale giapponese mostrando la necessità di superare i classici approcci antropologici della parentela come semplice corporate group, A. SHIMIZU, On the Notion of Kinship, in «Man», 26, 3, 1991, pp. 377-403. 45 W.E. MITCHELL, The Kindred and Baby Bathing in Academe, in «American Anthropologist», 67, 4, 1965, pp. 977-985, p. 981 (nostra trad.). 46 Ibidem (nostra trad.). 47 Per i successivi azzardi avanzati faccio riferimento in particolare modo alla formulazione del paradigma di rete sviluppato da P. DONATI, Teoria relazionale della società, Milano, FrancoAngeli, 1991, pp. 101 e ss. e a quello dell’interazionismo strutturale di M. FORSÉ, L. TRONCA, Interazionismo strutturale e capitale sociale, in Id., Capitale sociale e analisi dei reticoli, numero monografico di «Sociologia e politiche sociali», 8, 1, 2005, pp. 7-22. Collettivista, certamente, Mitchell non è. Indubbiamente, si potrebbe collocare Mitchell nel solco dell’individualismo e, in tal caso, e assumendo una terminologia più sociologica e più moderna, Mitchell pende decisamente più verso una microfondazione che verso una microriduzione come spie35

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Luca Guizzardi gazione (rimando a A. PANEBIANCO, L’autonomia e lo spirito. Azioni individuali, istituzioni, imprese collettive, Bologna, il Mulino, 2009, p. 27 e ss. ) – cioè è più per un individualismo debole che per un individualismo forte. Una spiegazione che fa della parentela un gruppo occasionale, un assemblaggio ad hoc, allora sì che si tratterebbe di un tentativo di ridurre completamente la struttura della parentela alla sommatoria delle azioni dell’individuo. 48 P. DONATI, Teoria relazionale…, cit., p. 103. 49 Qualcosa di simile è stato fatto da Cumming e Schneider studiando la sibling solidarity, in E. CUMMING, D.M. SCHNEIDER, Sibling Solidarity: A Property of American Kinship, in «American Anthropoligist», 63, 1961, pp. 498-507. 50 W.E. MITCHELL, The Kindred…, cit., p. 983 (nostra trad., nostro cor.). 51 Oltre alla critica di Murdock rivolta a Mitchell, ve ne sono state anche altre. Per esempio, B. Cox, per il quale Mitchell non approfondisce le funzioni attorno alle quali si crea le parentela, propone anche non solo di considerare il fatto che le funzioni della rete parentale ego-centrata varino in funzione delle caratteristiche di ego stesso, ma pure il fatto che il numero dei soggetti può variare in ragione delle funzioni, B. COX, Comments on Mitchell’s Concept of Kindred, in «American Anthropologist», 66, 1964, pp. 1177-78. 52 Ibidem (nostra trad.). 53 J.D. FREEMAN, On the Concept of the Kindred, in «The Journal of the Royal Anthropological Institute of Great Britain and Ireland», 91, 2, 1961, pp. 192-220. 54 Definibile come gruppo di parentela centrato su Ego e che include solo quei parenti cognatici che sono riconosciuti per scopi sociali, M. ARIOTI, Introduzione all’antropologia della parentela, Roma-Bari, Laterza, 2006, p. 133 e ss. 55 J.D. FREEMAN, On the concept…, cit. (nostra trad.). 56 Ivi, p. 202 (nostra trad.). 57 A. CAILLÉ, Y-a-t-il…, cit. 58 Così spiega P. Donati la reciprocità dello scambio di utilità e di equivalenti né di doni reciproci per riconfermare il senso di appartenenza a una comunità, in P. DONATI, La società delle opportunità e delle responsabilità nell’ottica di una governance sussidiaria, paper

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Presentazione presentato al seminario “Verso una società sussidiaria? Teorie e pratiche della sussidiarietà in Europa”, Bologna, 1-2 dicembre 2009. 59 Non è un caso che l’idea di reticolarità si sia diffusa all’interno dell’etnografia e dell’antropologia inglese e non in quelle francesi in quanto, a livello generale, lo strutturalismo di stampo britannico culmina proprio con l’analisi reticolare, mentre quello di stampo francese rimane più che altro un movimento intellettuale alquanto generale, A. MARYANSKI, J.H. TURNER, The Offsprings fo Functionalism: French and British Structuralism, in «Sociological Theory», 9, 1, 1991, pp. 106-115. 60 Per maggior precisione, ecco le parole di Luhmann: «le famiglie ora devono essere fondate daccapo a ogni generazione. Ciò che ora viene chiamato in un senso più scolorito “parentela”, viene visto piuttosto come disturbo potenziale, in ogni caso non come aiuto per il matrimonio e la condotta del matrimonio», in N. LUHMANN, Amore come passione, Trieste, Asterios Editore, 2001, p. 184. 61 Segnalo gli studi empirici più importanti: P. WILLMOTT, M. YOUNG, Family and Class in a London Suburb, London, Routledge & Kegan Paul, 1960 e Family and Kinship in East London; E. BOTT, Family and Social Network, London, Tavistock, 1957; P. TOWNSEND, The Family Life of Old People. An Inquiry in East London, London, Penguin Books, 1957. Una rilevantissima scoperta realizzata dalle indagini antropologiche, quelle di Willmott e Young in particolar modo, riguarda la centralità della figura della madre – non si tratta del matriarcato –: una sorta di struttura matri-focale. Una bella ricerca recente sulle famiglie ricostruite rileva come la figura della madre occupi il ruolo centrale nella mediazione, S. CADOLLE, Être parent, être beau-parent. La recomposition de la famille, Paris, Odile Jacob, 2000. 62 J.-H. DÉCHAUX, La parenté dans les sociétés occidentales modernes: un éclairage structural, in «Recherches et Prévision», 72, 2003, pp. 53-63. 63 F. DOTSON, Patterns of Voluntary Association Among Urban Working-Class Families, in «American Sociological Review», 16, 5, 1951, pp. 687-693. 64 Mi si potrebbe far rilevare che mentre Dotson si riferisce alla working-class, Parsons, nel suo articolo, si riferisce alla middle-class.

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Luca Guizzardi È un’obiezione che non solo accetto ma sono il primo a indirizzarmela. Non si tratta di una sottigliezza semantica in quanto successive ricerche hanno dimostrato proprio la differenza tra il modello di socievolezza della classe media e quello della classe operaria. Rimando a una delle prime, quella di G.A. Allan, la quale per l’appunto riscontra che se gli appartenenti alla classe media sviluppano le proprie amicizie con non parenti che essi incontrano in una varietà di contesti relativamente vasta, gli appartenenti alla classe operaia tendono a trovare gli amici soprattutto tra i parenti, G.A. ALLAN, Sociologia della parentela e dell’amicizia, Torino, Loescher, 1982. 65 Il primo di M.B. SUSSMAN, in «American Sociological Review», 18, 1, 1953, pp. 22-28; il secondo e il terzo di M.B. SUSSMAN, L. BURCHINAL e pubblicati entrambi in due numeri consecutivi della rivista «Marriage and Family Living» nel 1962 (24, 3, pp. 231-240 e 24, 4, pp. 320-332). 66 Questi ultimi due articoli sono per opera di E. LITWAK e apparsi in due numeri della «American Sociological Review» nel 1960 (25, 1, pp. 9-21 e 25, 3, pp. 385-394). 67 M.B. SUSSMAN, The help pattern…, cit., p. 28 (nostra trad.). 68 E. LITWAK, Occupational mobility…, cit., p. 10 (nostra trad.) 69 Così E. LITWAK in The Use of Extended Family Groups in the Achievement of Social Goals: Some Policy Implications, in «Social Problems», 7, 3, 1960, pp. 177-187. 70 E. LITWAK, I. SZELENYI, Primary Group Structure and Their Functions: Kin, Neighbors, and Friends, in «American Sociological Review», 34, 4, 1969, pp. 465-481. 71 M.B. SUSSMAN, L. BURCHINAL, Kin Family Network…, cit., p. 231 (nostra trad.). 72 Ivi p. 240 (nostra trad.). 73 M.B. SUSSMAN, The Urban Kin Network in the Formulation of Family Theory, in R. HILL, R. KÖNIG (eds.), Families in East and West, Paris-Le Haye, Mouton, pp. 481-503, p. 493 (nostra trad.). 74 Sulla discussione del perché la normativa stessa dovrebbe guardare ai legami familiari con gli occhi del ciclo del dono piuttosto che con quelli del ciclo dello scambio – come dice testualmente la Bartlett – rimando per l’appunto a K.T. BARTLETT, Re-Expressing Parenthood, in «The Yale Law Journal», 98, 1988, pp. 293-340. Ri-

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Presentazione mando anche a J. FINCH, J. MASON, Obligations of Kinship in Contemporary Britain: Is There Normative Agreement?, in «The British Journal of Sociology», 42, 3, 1991, pp. 345-367. 75 M.B. SUSSMAN, L. BURCHINAL, Parental Aid to Married Children: Implications for Family Functioning, in «Marriage and Family Living», 24, 4, 1962, p. 332. 76 La logica del dono, dell’incondizionailtà condizionale espressa bene da A. CAILLÉ, Il terzo paradigma. Antropologia filosofica del dono, Torino, Bollati Boringhieri, 1998 e da R. PRANDINI, Opening Gift. Offrire la fiducia. Riflessioni sulla possibilità del ‘legame’ sociale, in L. BOCCACIN, D. BRAMANTI, Dare, ricevere, fidarsi, numero monografico di «Sociologia e politiche sociali», 3, 2, 2000, pp. 79-118. 77 Parafrasando R. PRANDINI, M. BORTOLINI, Il diritto alla Privacy come diritto soggettivo. Semantica della neutralizzazione e struttura della società, in A.M. MACCARINI, R. PRANDINI (a cura di), Trasformazioni del diritto e soggettivizzazione del sociale, numero monografico di «Sociologia e politiche sociali», 4, 1, 2001, pp. 74-132. La bella lettura che i due autori fanno di Parsons mi serve per sviluppare queste mie considerazioni. 78 M.B. SUSSMAN, The Urban Kin…, cit., p. 494 (nostra trad.). Sarebbe molto interessante approfondire il parallelo tra Sussman e il Parsons che tratta delle motivazioni delle attività economiche, del super-ego, del simbolo del padre. 79 M.B. SUSSMAN e L. BURCHINAL, Kin Family Network…, cit., p. 240 (nostra trad.). 80 È anche l’idea sviluppata da Déchaux ma limitata alla sola dimensione epistemologica e della teoria sociale pratica anziché estenderla anche a quella più ontologica, J.H. DÉCHAUX, La parenté dans…, cit. 81 P. DONATI, Quale conciliazione tra famiglia e lavoro? La prospettiva relazionale, in Id. (a cura di), Famiglia e lavoro: dal conflitto a nuove sinergie, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2005, pp. 31-84 e Sociologia della riflessività. Come si entra nel dopo-moderno, Bologna, il Mulino, 2011. A una posizione simile penso si possa ricondurre il contributo dato alla sociologia della parentela da un antropologo, M. OTTENHEIMER, The Current Controversy of Kinship, in «Czech Sociological Review», 9, 2, 2001, pp. 201-210.

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Luca Guizzardi 82 Nel 2003, un numero del Journal of Cognition and Culture è dedicato alla discussione sulla caduta della parentela, così è intitolato l’articolo di P. Sousa che è stato l’oggetto dei vari contributi raccolti, P. Sousa, The Fall of Kinship. Towards an Epidemiological Explanation, in «Journal of Cognition and Culture», 3, 4, 2003, pp. 265-303. Qual è la posizione del concetto di ‘parentela’ all’interno dell’antropologia, è una categoria che ha una sua ragione di essere, che esiste nella realtà o no? La sociologia dovrebbe fare altrettanto e non dare per scontato la realtà sociale di questa categoria. Indubbiamente, i principi del realismo fissati da R. BHASKAR ne La possibilità del naturalismo, Genova-Milano, Marietti, 2010, possono fornire alla sociologia i punti per come articolare la discussione. 83 La bibliografia è sterminata su questo punto. Segnalo solo tre articoli recenti particolarmente interessanti: E. BECK-GERNSHEIM, Transnational Lives, Transnational Marriages: a Review of the Evidence from Migrant Communities in Europe, in «Global Networks», 7, 3, 2007, pp. 271-288; M. HERZFELD, Global Kinship: Anthropology and the Politics of Knowing, in «Anthropological Quarterly», 80, 2, 2007, pp. 313-323; N. FONER, J. DREBY, Relations Between the Generations in Immigrant Families, in «Annual Review of Sociology», 37, 2011, pp. 545-564. 84 A. CADORET, Genitori come gli altri. Omosessualità e genitorialità, Milano, Feltrinelli, 2008; E. GRATTON, L’homoparentalité au masculin. Le désir d’enfant contre l’ordre sociale, Puf, Paris, 2008. 85 Sviluppo questa definizione seguendo P. DONATI, Manuale di sociologia della famiglia, Roma-Bari, Laterza, 1998, p. 118 e ss. e R. PRANDINI, La famiglia italiana tra processi di in-distinzione e ri-distinzione relazionale. Perché osservare la famiglia come relazione sociale ‘fa la differenza’; P. DONATI (a cura di), Il paradigma relazionale nelle scienze sociali: le prospettive sociologiche, Bologna, il Mulino, 2006, pp. 115-158, p. 146 e ss. 86 Rimando a J. FINCH, J. MASON, Passing On. Kinship and Inheritance in England, Abingdon, Routledge, 2000, dove gli autori propongono il relazionismo riflessivo (reflexive relationism) anziché l’individualismo riflessivo per studiare come ego costruisce la propria rete parentale.

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