Guido Pesci
TEORIA E PRATICA DELLA PSICOMOTRICITÀ FUNZIONALE A scuola con Jean Le Boulch
ARMANDO EDITORE
Sommario
Introduzione Capitolo primo Concezione scientifica della psicomotricitĂ funzionale La corrente funzionale I metodi pedagogici I metodi di insegnamento
Capitolo secondo Funzioni e globalitĂ della persona La rete delle funzioni Dimensione educativa
Capitolo terzo Analisi funzionale Analisi della funzione di veglia Analisi della funzione di aggiustamento globale Aggiustamento su situazioni proposte Utilizzo dei test di percezione Considerazioni
7
11 12 18 23
29 30 33
37 38 40 42 54 61
Capitolo quarto Strategie di lavoro Stimoli efficaci I metodi ispiratori Metodi ausiliari
Capitolo quinto Orientamenti disciplinari e interventi di aiuto Molteplicità di soggetti e varietà di ambiti L’ampio spettro delle necessità
Capitolo sesto La Scuola “Jean Le Boulch” garante della professione Presupposti di una disciplina Formazione dello psicomotricista funzionale La formazione enunciata da Jean Le Boulch Programma della “Scuola Jean Le Boulch” Una consolidata professione
63 67 68 70
89 92 110
123 123 124 126 128 134
Capitolo settimo L’impronta di un congresso
137
Bibliografia
147
Indice analitico
171
Indice dei nomi
175
Introduzione
Teoria e pratica della psicomotricità funzionale. A scuola con Jean Le Boulch. Con questo titolo, il presente volume intende richiamare l’attenzione sull’importanza del contributo scientifico e metodologico dell’illustre Professore francese, padre della psicomotricità funzionale e fondatore della Scuola per Psicomotricisti Funzionali. Dalla prima all’ultima pagina, il lettore può avvertire la costante e vivace “presenza” del Maestro, ritrovandovi il suo stile d’insegnamento, i suoi preziosi suggerimenti e le sue riflessioni esposte durante le lezioni tenute nella Scuola di Firenze, che rendono autentica la sua disciplina. La Scuola “Jean Le Boulch”1, veicolo di saperi e di nuove prospettive scientifiche, assolve l’impegno di divulgare nel mondo la psicomotricità funzionale e promuovere la formazione di specialisti capaci di agire nel rispetto delle esigenze dell’individuo nella sua globalità e di soddisfarle attivando processi di sviluppo, motivazione e intenzionalità. Il progetto della scuola è sorto in seguito alla necessità, come ha affermato lo stesso Le Boulch, di una categoria di specialisti scientificamente e tecnicamente preparati. A tal fine egli l’ha voluta strutturata su un procedimento sistematico, con una formazione che, in osservanza dei suoi principi, si sostanzia di un programma caratterizzato da assunti teorici tradotti in una costante prassi. 1 La Scuola “Jean Le Boulch” si trova in Viale Europa, 185/b, 50126 Firenze. Tel/ Fax 0556531816, e-mail:info@isfar-firenze.it, www.isfar-firenze.it.
7
Nell’impegno di mantenere vivo tale progetto, la Scuola di Firenze diffonde ed accredita, per mezzo di professionisti che si distinguono per l’elevato grado di soluzioni offerte alla collettività, la scienza di Jean Le Boulch e i suoi saperi. I postulati e la prassi della psicomotricità funzionale si basano su principi e prove convalidate da risultati controllabili dal punto di vista scientifico, capaci di aiutare la persona a valorizzare le proprie risorse per mezzo del movimento in un insieme strutturato in modo da arricchirne lo sviluppo corporeo, modulare tutte le sue espressioni, accrescerne l’abilità e la stabilità emotiva. Ciò rappresenta un valido aiuto per tutti coloro che sono alla ricerca di uno sviluppo equilibrato e per altri, compromessi nelle loro funzioni motorie, sensoriali, cognitive e psico-affettive. Fin dalle prime pagine del volume è possibile riscontrare come il professore con i suoi “interventi” riesca a dipanare ogni dubbio e perplessità e, con semplicità di mestiere, ma ingegnosità di competenza, giunga a preziose considerazioni dal sapore scientifico. Il primo capitolo si sofferma sul contributo pluridisciplinare delle scienze biologiche o neuroscienze e delle scienze umane, e di queste in particolare della corrente funzionale e dei metodi pedagogici “attivi” e “attrattivi” che hanno ispirato i presupposti della psicomotoricità funzionale, rappresentando dei supporti fondamentali per affrontare con abilità e concretezza il processo di sviluppo della persona e le possibili difficoltà che essa può incontrare durante il suo percorso di vita. Nel capitolo seguente, sulle funzioni e globalità della persona, si considerano, in base al principio sistemico, la molteplicità e la fitta rete delle strutture e delle funzioni e della loro interazione; una disamina necessaria a comprendere le varie componenti da cui trarre consapevolezza per il dominio di una dimensione educativa. L’analisi funzionale è illustrata invece nel terzo capitolo, che apre ad una esposizione sul modo in cui realizzare un percorso 8
conoscitivo della persona e rilevare, oltre agli aspetti psicomotori funzionali specifici, lo sviluppo di una funzione energetica efficace, l’interesse, l’attenzione e il desiderio della scoperta. Il quarto capitolo indica le strategie di lavoro, individua le modalità che consentono, attraverso l’intermediario del movimento, la relazione con l’individuo e con l’ambiente. Si tratta di elementi significativi e di solido appoggio, che permettono di procedere ad un lavoro pratico, in un percorso psicomotorio funzionale integrato dai metodi ausiliari con lo scopo di agire sullo sviluppo funzionale della personalità. Gli ambiti in cui poter operare e i soggetti su cui intervenire sono illustrati nel quinto capitolo, dove vengono indicate le risposte operative per esercitare un’attività di aiuto in dinamica con il singolo e con il gruppo. Gli psicomotricisti funzionali sono specialisti che, nel rispetto dei principi e della prassi della psicomotricità funzionale, attuano interventi educativi in aiuto a soggetti di ogni età attenendosi alle reali esigenze della persona nella sua globalità e riconoscendola artefice della propria evoluzione. Il settimo capitolo è dedicato alla Scuola “Jean Le Boulch” ed espone il programma formativo che il Maestro ha scelto per rendere autentica la specializzazione, oggi garantita da formatori didatti da egli stesso riconosciuti. Una specializzazione che, grazie a saperi innovativi e ad una concezione egodinamica, ben conferma il suo prestigio in professionalità e risultati. Conclude il volume uno sguardo sul Congresso “Psicomotricità funzionale. Jean Le Boulch”, l’evento che, in occasione del decennale della scomparsa del padre della psicomotricità funzionale, ha visto riuniti, nella cornice di Palazzo Vecchio in Firenze l’8 ottobre 2011, i congiunti del professor Jean Le Boulch, i tanti psicomotricisti funzionali che operano in Italia e altrettanti specialisti che collaborano in un clima pluridisciplinare con questi professionisti. 9
Il Congresso ha consentito di rafforzare, dandogli una rinnovata e pi첫 vasta eco, il valido contenuto del messaggio leboulchiano e la sua straordinaria efficacia.
10
Capitolo primo
Concezione scientifica della psicomotricità funzionale
A partire dal 1986 Jean Le Boulch ha l’opportunità, durante la lunga attività didattica condotta a Firenze nella Scuola per Psicomotricisti, di continuare la sua ricerca e rielaborare quei principi e quelle modalità che lo condurranno a generare le teorie e le prassi che andranno a definire la scienza e la metodologia funzionale e che più tardi, grazie alla Scuola da lui fondata, assumeranno fama mondiale. A proposito della sua disciplina, egli dirà: […] è un procedimento globale che ha come base gli sforzi di aggiustamento motorio del soggetto chiamato a risolvere il problema in base ad una certa situazione, contribuendo all’organizzazione della condotta dell’atteggiamento umano, sia che essa sia strumentale o mentale poiché supporto dell’azione è sempre la motricità… se pur non utilizzata per interventi di rieducazione, di riabilitazione, terapeutici o psicoterapeutici o ridotta nell’impegno operativo in ragione dell’età dei soggetti con cui lavorare (Le Boulch, UPD).
La psicomotricità funzionale è una scienza in cui si sostanzia la «necessità di passare dal sintomo all’analisi funzionale del sintomo, di studiare il movimento come modo di espressione della 11
condotta globale del soggetto e di impiegare i valori che si ispirano alla corrente fenomenologica, all’azione e all’esperienza vissuta. Una scienza di esperienza, dunque, che dà significato allo sviluppo funzionale in stretta connessione con attività agite per mezzo del movimento, all’aspetto relazionale e all’evoluzione psico-affettiva» (Pesci, 2011, p. 104). Da qui l’importanza del corpo come supporto alle attività della persona, quel “corpo proprio” come sostiene M. Merleau-Ponty, apertura dell’Io al mondo, dimensione attraverso la quale “Io scopro” la complessità e la varietà dei rapporti che mi legano al mondo. Per sostenere i suoi studi rivolti al processo di sviluppo della persona evidenziandone ostacoli e difficoltà, Le Boulch fa ricorso alle scienze mediche, psicologiche e pedagogiche e tra queste ultime alla corrente funzionale, ai metodi educativi e di insegnamento.
La corrente funzionale Jean Le Boulch ha tenuto presenti quattro autori funzionalisti, lo svizzero É. Claparède, il suo contemporaneo J. Dewey, J. Piaget e N. Chomsky. Di Claparède ha accolto la concezione funzionale e in particolare l’importanza che essa pone ai bisogni del soggetto a cui sono richieste attività e sforzi da compiere per soddisfare le proprie coesistenti necessità biologiche e sociali; di Dewey ha condiviso il concetto di adattamento e il suo alto significato, ossia la capacità per un individuo di adattarsi all’ambiente sociale; i cognitivisti Piaget e Chomsky sono stati invece utili stimolatori di impulsi e riflessioni sul progresso delle neuroscienze e sulla necessità di quantificare e sperimentare. Le teorie di Claparède sull’educazione funzionale sono apparse in opere assai significative, quali Un Institut des sciences de l’édu12
cation et les besoins auxquels il répond (1912) e Les nouvelles conceptions éducatives et leur vérification par l’espérience (1919), in cui questi esprime la sua contrarietà verso chi considera il bambino alla stregua di un adulto e chi sostiene che le tappe evolutive dell’individuo siano distinte da bisogni ed interessi propri. Fonda la sua confutazione sul valore funzionale dell’infanzia, dimostrando come questa sia fondamentale per la preparazione alla vita adulta e indica le leggi che regolano la condotta, quando la si consideri dal punto di vista funzionale, rispondenti ad un principio: un essere in ogni momento dello sviluppo costituisce un’unità funzionale cioè le sue capacità di reazione sono appropriate ai suoi bisogni. Con questo assunto si può comprendere la grande differenza esistente fra il principio di base della condotta e quello del comportamento che, in opposto, non lascia tracce alla scatola nera. L’organismo non è un centro di risposta che ha vita propria, è un centro di iniziativa supportato da intenzionalità e con un fine da raggiungere, un centro in cui avviene un prodigio di intersecazioni ricche di espressioni, desideri e impulsi tali da spingere, ad esempio, un bambino di 7-8 mesi a muoversi con proposito per cercare l’oggetto scomparso. Questo parametro dell’intenzionalità è stato sostenuto anche da E. Tolman, il quale, contrario alla corrente comportamentista di J. B. Watson e B. Skinner, ha dato vita alla psicologia della condotta. L’individuo, secondo Tolman e Le Boulch, «ha sempre un fine da raggiungere ed ottiene diverse risposte a seconda della propria intenzionalità. Percezioni e movimenti trovano significato nell’intenzionalità rappresentata dal carattere espressivo del movimento, quell’intenzionalità che traduce ciò che il soggetto sente dentro di sé, e il movimento prassico in rapporto all’efficacia è visto come strumento dell’azione nel reale. Quindi, intenzionalità legata all’affettività, all’estetica, al movimento, parafrasata dalla condotta, osservata con un lavoro sistemico sulle funzioni e sulle funzionalità» (Pesci, 2011, pp. 109-110). 13
Dewey evidenzia soprattutto il concetto di adattamento e l’importanza che questo ha nella vita di un individuo in quanto capacità di adattarsi all’ambiente e in particolare all’ambiente sociale per affermarsi ed avere il ruolo che gli compete come cittadino di una società. Nel movimento pedagogico funzionalista, Dewey occupa un posto particolare, l’originalità di questo autore è il risalto che dà, nel processo educativo, alle situazioni problema che consentano l’applicazione di soluzioni, ossia di creare delle condizioni difficili a cui il bambino deve trovare risposte e più variano le situazioni, maggiori saranno le variabili di soluzione. Per Dewey, infatti, l’apprendimento è un procedimento di formazione e di sviluppo, non consiste nell’imparare una determinata cosa, bensì nell’esperienza che si evolve nel tentativo di risolvere un determinato problema. Ciò ci consente di capire perché la pedagogia di Dewey è stata utilizzata nei metodi di progetto didattico all’interno dei quali l’alunno o il gruppo di alunni definiscono da soli i compiti che vogliono svolgere e sono gli alunni stessi che stabiliscono un determinato procedimento per risolvere un dato problema. Idee legate alla concretezza della realtà e indirizzate alle cose pratiche perciò di una concezione assai condivisa anche da Jean Le Boulch, il quale ha sempre considerato fondamentale fare riferimento al concreto rendendo solide le conoscenze teoriche; questa è l’essenza straordinaria della sua metodologia di insegnamento, ben dimostrata durante le sue lezioni per la formazione di psicomotricista funzionale condotte con un alternarsi costante tra teoria e pratica. Riprendendo la teoria risoluzione-problema del Dewey, un altro valore indispensabile e indissociabile in un percorso educativo è la fiducia, egli ritiene che l’alunno deve avere fiducia in se stesso, ma perché ciò avvenga, deve aver risolto già felicemente determinati problemi, è la pedagogia del “successo” o della riuscita che va a 14
consolidare sempre più lo stato di sicurezza. Anche questa teoria del confidare in se stessi è stata ripresa e tenuta in considerazione da Le Boulch nei suoi studi sulla funzione di aggiustamento, espressa quando il soggetto si trova a doversi confrontare con una molteplicità di situazioni a cui deve rispondere con efficacia ed efficienza. Il problema non è quello di metterci noi educatori al posto del soggetto e risolvergli noi il problema perché abbia una riuscita, al contrario è quello di proporgli situazioni che sono adatte al suo livello e che dovrà essere in grado di risolvere. All’educatore il compito di valutare quindi correttamente le reali possibilità del soggetto. Noi educatori dobbiamo essere in grado di scegliere il livello in funzione delle possibilità reali del soggetto con cui si lavora, ed è proprio quello che proponiamo per quanto riguarda la scelta delle varie situazioni di aggiustamento (Le Boulch, UPD).
Gli altri elementi fondamentali della pedagogia funzionale deweyana sono lo sviluppo dell’iniziativa, l’indipendenza di pensiero e il rispetto dell’intenzionalità oltre alla necessità della socializzazione come oggi viene definita e che non si può scindere dal processo educativo quasi fosse un momento particolare dell’educazione da insegnare. Per Dewey l’adattamento all’ambiente sociale comincia dalla nascita, non è solo un obiettivo da raggiungere ma è una condizione necessaria per lo sviluppo del soggetto. Si può dire che egli va d’accordo con la concezione fenomenologica: la persona si sviluppa partendo dal proprio programma genetico, dalle proprie capacità personali, partecipando l’ambiente, molto presto con la complicità dell’ambiente sociale e poi per l’influenza dei dati socio-culturali dell’epoca in cui vive. Questa attenzione focalizzata sullo sviluppo in cui sono implicate necessariamente la partecipazione e l’azione concreta sull’am15
biente si ritrova anche nei concetti di accomodamento del Piaget e nelle leggi di assimilazione che puntualizzano come tutti i dati che l’ambiente fornisce si integrino alle caratteristiche personali a cui poi segue lo sforzo individuale che porta a modificare l’ambiente. È una pedagogia che permette di educare futuri cittadini attivi nella società, perciò rispondente appieno ai principi di Dewey sulla visione che egli ha della scuola come immagine di una società democratica. Due teorie complementari tra loro, la corrente funzionalista americana del Dewey rivolta ad una concezione sociologica che individua nella società stessa il compito di chi deve permettere all’individuo di affermarsi in quanto persona con il ruolo che gli compete, cioè essere cittadino di una società, e il dominante interesse dello svizzero Claparède verso il bisogno della persona di raggiungere il suo scopo (Pesci, 2011, p. 106). La corrente funzionalista riconosce un posto importante a Piaget e Chomsky per avere respinto le concezioni behavioriste che alimentavano le strategie della pedagogia istruttiva. Tale fenomeno è assai simile a quello emerso fin dall’inizio del secolo nella scienza biologica che, tradotta in una visione meccanicistica del movimento nella considerazione del corpo umano come macchina alla quale applicare le leggi della meccanica dei solidi, dette origine alla scienza biomeccanica, ostacolando e frenando il senso educativo del movimento umano. I concetti espressi dalla pedagogia istruttiva e dalla biomeccanica che si basano sul postulato comportamentista e atomista, vogliono vedere scomposte le nozioni da imparare in una disgregazione delle acquisizioni, per un apprendimento che, solo se conforme all’intenzionalità, può essere ricompensato. La concezione funzionalista, al contrario, considera la persona come una unità globale e attiva, con leggi che esprimono delle relazioni costanti tra determinate forme di condotta e determinate situazioni, in vista di “migliorare la fun16
zione”. «Si dimostrano in questo modo le difficoltà che i metodi funzionali hanno avuto per imporsi, così come i grandi principi a fondamento della psicomotricità funzionale, basati proprio sulla concezione globale della persona intesa come una unità, fisica e mentale» (Le Boulch, UPD). Il principio dell’unità e della globalità della persona che non ha realtà per se stessa, ma nella misura in cui è in relazione con un ambiente che l’accoglie, viene formulato, sviluppato e realizzato dalle ideazioni fenomenologiche, secondo le quali il movimento, l’attività corporea e i fenomeni mentali collegati ad essa rappresentano il mezzo per potersi adattare. La fenomenologia, perciò, con i suoi assunti espressi e rappresentati dai molti autori diventa base e fondamento della psicomotricità funzionale. Tra i sostenitori della corrente fenomenologica che maggiormente hanno contribuito a stimolare le ricerche e consolidare i costrutti di pensiero di Jean Le Boulch rispetto al problema del corpo, si trova F.J. Buytendijk, autore di Attitudine e movimento (Buytendijk,1949), K. Goldstein con La struttura dell’organismo (Goldstein, 1951) e M. Merleau Ponty che scrive La struttura del comportamento (Merleau Ponty, 1942) e l’interessante volume La fenomenologia della percezione (Merleau Ponty, 1945), in cui sviluppa e analizza il concetto di schema corporeo e di immagine del corpo. Questi importanti apporti scientifici hanno rappresentato una sicura base per concretizzare e sostenere i valori epistemologici della psicomotricità funzionale di Jean Le Boulch a cui, come da lui stesso dichiarato, se ne devono aggiungere altri. E questo non è assolutamente tipico dell’approccio scientifico. Per trattare il problema psicomotorio funzionale non ci limitiamo a lavorare soltanto in questa materia e specializzazione, abbiamo bisogno di riferimenti complessi e complementari. Se qualcuno vuol utilizzare il movimento come rapporto educativo non può limitarsi 17
al concetto funzionale, deve sostanziarlo delle scienze umane, interessarsi all’approccio biologico e avere dei punti di riferimento nelle neuroscienze, poiché solo ricollegando la motricità al mentale è possibile affrontare il problema del movimento dell’individuo. Nel condurre una analisi funzionale e un conseguente lavoro psicomotorio dobbiamo dire che siamo più fortunati degli autori che ci hanno preceduto, ad esempio, il grosso problema che ha avuto Freud è quello di possedere pochi e rudimentali dati biologici, non sufficienti per dare validità alle sue teorie. A quell’epoca non era conosciuta in neurologia la reticolare e quindi la teoria freudiana non aveva supporti concreti ed egli si è dovuto accontentare di dare validità alle sue tesi solo dal punto di vista psicologico. Attualmente il problema è completamente diverso visto che le neuroscienze sono molto progredite e su queste ci possiamo basare per poter fare una analisi funzionale efficace, che trova solide complementarietà (ibidem).
I metodi pedagogici Appellandosi alle scienze umane e al potenziale intrinseco dell’uomo, Le Boulch non dimentica il grande valore della pedagogia e perciò potenzia la sua teoria, e la sua pratica in particolare, facendo propria ogni esposta preziosità desunta dall’analisi critica dei vari metodi pedagogici. Primo fra questi quello del tedesco F. Fröebel, sostenitore della concezione naturale dell’educazione, che lascia grande spazio alla necessità e ai desideri del bambino, offrendogli l’opportunità per mezzo dei “giochi educativi”, di agire e di produrre, per poter soddisfare così i propri bisogni senza limiti e costruire le basi del processo di formazione che lo porterà alla edificazione della propria personalità. 18
Un autore che si è basato sull’attività motorio-corporea, perciò si può dire è un precursore della psicomotricità funzionale perché veramente ha dato molta importanza allo stimolo che un oggetto può dare al bambino per mettere in funzione l’aggiustamento motorio e permettere attraverso la scelta degli oggetti, di confrontarsi con i dati dell’ambiente. L’intento era di portare il bambino a utilizzare con una serie di giochi educativi, tutte le sue risorse e sviluppare l’intelligenza sensorio-motoria, di passare dal concreto all’astratto, partire dall’intelligenza che Piaget definisce delle operazioni concrete e perseguire la rappresentazione mentale dell’azione. Senza entrare nei dettagli, come si vede, Fröebel aveva già abbozzate le idee di Piaget ed è stato il precursore di quello che Piaget ha approfondito in seguito (Le Boulch, UPD).
Inoltre Fröebel pone in risalto l’importanza dello sviluppo funzionale che si realizza fra i 3 e gli 8 anni, un periodo di orientamento indispensabile allo sviluppo futuro, da cui dipenderanno le acquisizioni successive, tale attenzione anticipa quella che de Ajuriaguerra più tardi definirà “Strutturazione dello schema corporeo”, suddivisa in stadi, lo stadio del corpo vissuto, del corpo percepito e del corpo rappresentato, un periodo assai intenso di esperienze che anche Fröebel ritiene degno di attenzione educativa in cui si sviluppa l’organizzazione della personalità del bambino. «Una intuizione, quella di Fröebel, poiché ai suoi tempi il concetto di schema corporeo era sconosciuto, ma che oggi convalida in maniera scientifica la conoscenza sull’evoluzione percettiva che avviene fra i 3 e gli 8 anni e che riguarda la strutturazione dello schema corporeo che da incosciente passa a cosciente, e la strutturazione dello spazio e del tempo. È da questa organizzazione percettiva che dipenderà la futura evoluzione intellettiva del bambino» (ibidem). A tal proposito Le Boulch suscita il nostro interesse con alcune interessanti riflessioni: 19
Ci sono autori che fanno delle intuizioni sorprendenti, per esempio l’intuizione di Freud che ha scoperto la funzione energetica senza allora poterla convalidare con dati neurologici, e questo autore, Fröebel, che ha capito che c’era qualcosa di fondamentale in quel tratto di età che si andava strutturando per l’unità della persona. Due aspetti importanti sollevati da questi autori e che se non seguiti a sufficienza possono avere forti ripercussioni nella scolarizzazione. Elementi funzionali di base senza i quali l’apprendimento non è realizzabile, nonostante ciò oggigiorno si pretende di insegnare a leggere e a scrivere a bambini che non hanno queste basi di riferimento e poi ci si meraviglia delle difficoltà che dimostrano negli apprendimenti. E ciò è vero per bambini senza difficoltà, a maggior ragione per i soggetti non sufficientemente abili, che per portarli pressoché tutti ad un certo livello di apprendimento e di scolarizzazione bisogna assolutamente passare attraverso lo sviluppo funzionale ed evitare i così detti metodi comportamentisti (Le Boulch, UPD).
Tra i vari metodi pedagogici a cui Le Boulch fa riferimento nella sua vasta ricerca non manca quello montessoriano, che interessa la stessa fascia di età di soggetti del metodo Fröebel e che ha influenzato notevolmente tutti i metodi educativi della scuola dell’infanzia per la particolare attenzione rivolta anche ai soggetti disabili, inseguendo soprattutto i principi dell’educazione sensoriale e le esperienze psicomotorie, preludio di tutta la strutturazione percettiva. La Montessori, coadiuvata da J. Cervellati, ha creato un materiale speciale adatto all’educazione sensoriale, caratterizzato da una serie di oggetti di qualità diversa, finalizzato alla sollecitazione dei sensi per garantire allo sviluppo del bambino la strutturazione percettiva. Su questo metodo, pur riconosciuto di una certa utilità, Le Boulch afferma: «[…] sì è un po’ stereotipato, sicuramente la causa è del materiale, perché quando c’è un materiale così ben 20
classificato e strutturato, l’applicazione costante e rigida di questo comporta la ripetizione automatica e la stereotipia. Importante è rendersi conto delle opportunità che offre questo materiale, ma soprattutto di mettere in funzione la fantasia per fare questo stesso lavoro di tipo percettivo utilizzando oggetti diversi e tenendo conto dell’evoluzione del materiale pedagogico, perché ora questo dà infinite possibilità di lavoro e quindi è meglio utilizzare materiale attuale, piuttosto che andare a riprendere quello esistente da lungo tempo. Fondamentale nel fare le scelte è cercare un materiale adatto a sollecitare l’insieme dei sensi senza dimenticare l’udito, perché troppo spesso si pensa solo alla vista e al tatto» (ibid.). Al tipo di educazione sensoriale metodica nel metodo Montessori si aggiunge lo studio delle varie fasi dello sviluppo, con particolare attenzione e una costante ricerca mirata all’evoluzione dell’interrelazione fra le funzioni psicomotorie e le funzioni cognitive collegate al linguaggio. Ciò dimostra che la Montessori non dà solo la priorità all’educazione sensoriale, bensì si interessa anche al movimento, pur se di questo si limita ad un esclusivo movimento manuale, che con l’utilizzazione di determinati oggetti, sviluppa in modo particolare tutti gli aspetti della destrezza, ma non anche l’aggiustamento globale. Ciò spinge Jean Le Boulch ad affermare che essa «parla di movimento, ma si riferisce al movimento più intellettivo, non anche al lavoro riguardante l’aggiustamento globale fatto sui riflessi e sull’equilibrio in genere, è questa sollecitazione globale della motricità del bambino che deve essere introdotta nel lavoro di base della Montessori. E inoltre, in prospettiva degli apprendimenti delle materie curriculari, senza dubbio la Montessori ha avuto idee particolari per l’apprendimento della lettura e della scrittura, tra cui associare i fonemi ad una certa forma delle lettere usando dei cartoncini con lettere mobili e ha utilizzato, prima di Piaget, i metodi di classificazione e seriazione, oltre ad avere introdotto l’enumerazione di oggetti e l’elaborazione per il calcolo. 21
È stato un lavoro abbastanza notevole perché parte dall’educazione strettamente sensoriale, seguita dalla verbalizzazione associata all’attività manuale e quindi motoria. Un altro punto apprezzabile per quanto riguarda il metodo Montessori è il valore dato all’affettività, all’opportunità di creare un ambiente affettivo valido e una positiva relazione fra insegnante e allievo realizzata in un clima calmo e sereno e per questo ha insegnato il gioco del silenzio, inconciliabile con il metodo educativo efficace» (ibid.). Altri suggerimenti sono giunti a Le Boulch dal metodo di C. Freinet il quale, oltre alla redazione del giornale di classe con l’utilizzo dei caratteri a piombo per insegnare a leggere e a scrivere ed accedere ad altre complesse elaborazioni, si è reso pioniere dei lavori di gruppo, chiamando gli allievi a svolgere un ruolo specifico e riconosciuto e ad interagire tra loro nella consapevolezza di dipendere l’uno dall’altro e di condividere gli stessi obiettivi e gli stessi compiti. Il gruppo assume così una configurazione che genera rapporti e relazioni in cui l’evoluzione e la maturazione in conoscenza ed esperienza diventano significative per il compimento dei traguardi. Contemporaneo a Freinet e stimolatore di interessanti riflessioni è R. Cousinet, il cui indirizzo pedagogico è ritenuto da Le Boulch assai corrispondente perché utilizza come stimolo l’attività cooperativa, una pedagogia della cooperazione che, «se vogliamo si può paragonare alla psicomotricità funzionale, in cui come sapete nel nostro lavoro, in una certa fase dell’aggiustamento si utilizzano situazioni di gruppo con esperienze assolutamente non competitive, “giochi con regole” il cui obiettivo è di imparare in un clima di cooperazione con gli altri partner» (ibid.).
22
I metodi di insegnamento In merito ai cosiddetti metodi “tradizionali”, in cui l’insegnamento viene eseguito per materie con un programma imposto dall’insegnante che deve svolgere e attentamente rispettare ed il soggetto deve assimilare, Le Boulch afferma che sono «un processo insidioso da cui traspare che quanto ha sostenuto Rousseau non è servito a niente e a niente sono serviti i principi e gli orientamenti della Montessori, assistiamo così che quanto si impara in tutte le facoltà di pedagogia non viene mai messo in pratica» (Le Boulch, UPD). L’insidia è presente anche quando è l’educazione motoria a divenire materia scolastica, senza dei collegamenti con le altre discipline, mantenendo vivo il metodo “tradizionale” dell’insegnamento per materie. Se si parte dalla materia il problema è insolubile, è a partire dall’individuo che possiamo trovare le risposte a come le esperienze motorie possano servire realmente all’apprendimento, allo sviluppo intellettivo. Ragionando in questi termini e per risolvere questo problema nasce la psicomotricità funzionale, concretizzata nei metodi educativi “attivi” che considerano l’individuo e le leggi di equilibrio di Piaget con l’obiettivo educativo di far sviluppare nel soggetto le capacità necessarie affinché possa giungere con i suoi tempi all’acquisizione delle diverse materie. Per favorire e migliorare lo sviluppo dell’individuo, corporeo e mentale, occorre fare l’analisi del problema non a partire dalle materie ma dall’evoluzione del soggetto e accogliere l’insorgere di un nuovo orientamento: la psicomotricità funzionale, supporto fondamentale del processo pedagogico (ibidem).
23
«La psicomotricità funzionale si differenzia dai modelli che studiano solamente il movimento anziché l’interfunzionalità e l’interrelazione delle diverse manifestazioni; essa ha il compito di precisare le funzioni su cui intervenire utilizzando il movimento, conoscere i punti di forza e i punti deboli per creare i presupposti per un’esperienza di sviluppo e per risvegliare ogni nuova capacità di adattamento all’ambiente. Per questo la psicomotricità funzionale impone un’analisi funzionale complessa, rivolta oltre che all’analisi del movimento, all’analisi psicologica e biologica della condotta, tenendo conto della fitta rete delle funzioni biologiche, neurologiche e psico-affettive» (Pesci, 2011, pp. 110-111). Il compito e lo scopo di tutto ciò è il compimento dello sviluppo nel confronto con l’ambiente, realizzato nel miglior modo possibile, nella consapevolezza che, se la pedagogia rimarrà solo a livello intellettualistico, non solo non potrà contribuire allo sviluppo del soggetto, ma anzi lo manterrà in una condizione di disequilibrio. In opposizione ai metodi istruttivi considerati noiosi o poco stimolanti, Le Boulch affianca ai metodi attivi, che sviluppano le attitudini funzionali, anche quelli attrattivi basati sul gioco, combinando così sia l’aspetto piacevole che la possibilità di accrescere il senso dello sforzo e mobilizzare perciò l’energia presente. Oggi sappiamo bene che lo sviluppo della persona deve tener conto delle sue capacità fondamentali e che ciò è possibile solo e grazie alla relazione che essa ha con l’ambiente circostante; in tale ottica non si possono considerare educativi i metodi puramente “narcisistici”, ma occorre ugualmente considerare come essi potranno essere utilizzati nella struttura metodologica, dal momento che in psicomotricità funzionale il gioco viene adoperato come insostituibile supporto. Per poter situare questi metodi nel campo della psicomotricità funzionale, bisogna fare riferimento alla parte iniziale del quadro dell’analisi funzionale, in cui si specifica la condizione della rela24
zione nelle differenti fasi costituenti il rapporto dell’individuo con l’ambiente, cioè il riferimento duale, dei bambini fra di loro, interpersonale, e quasi contemporaneamente il rapporto con lo spazio, cui segue, cronologicamente, quel tipo di legame più strutturato che corrisponde all’integrazione di un bambino all’interno di un gruppo e che viene definito “socializzazione cooperativa”. La dinamica interpersonale è già presente spontaneamente nei bambini che frequentano l’asilo nido; in questo periodo si assiste ad un effetto cronologico della strutturazione sociale, è frequente vedere bimbi che si scelgono in base ad una attrazione, in genere si tratta di strette relazioni per lo più non stabili, che poi alla fine della scuola dell’infanzia si consolidano caratterizzandosi, per una maturata disponibilità relazionale, perfino in gruppi. Se predomina l’aspetto affettivo, l’evoluzione di questi rapporti si può prolungare fino all’età adulta, altrimenti è possibile riscontrare il passaggio da una cooperazione di tipo affettivo ad una di tipo razionale, maturando anche la capacità di lavorare insieme a persone non troppo amate, realizzando così una evoluzione della relazione sociale e della socializzazione. L’analisi funzionale chiede dunque di studiare quelle funzioni a livello cognitivo ed energetico-affettivo rintracciate nel supporto neurologico, nella formazione reticolare e nelle strutture limbiche, che dipendono dall’organizzazione della persona e che le permettono l’adattamento alle condizioni dell’ambiente, determinando una certa capacità di agire, nell’intento di soddisfare i propri bisogni garantiti soprattutto da una attività ludica. Il gioco, dunque, in psicomotricità funzionale è collegato al bisogno biologico che un individuo ha di agire, di esercitare un’attività che corrisponda alle proprie necessità ed è su questo che deve poggiare l’azione educativa, poiché traduce le caratteristiche individuali e personali di ciascuno. 25
È chiaramente il gioco che permette al soggetto di manifestare la propria attività personale, spontanea e intenzionale indispensabile alla dinamica dello sviluppo, perciò bisogna evitare operazioni di tipo istruttivo e lasciare spazio alla funzione energetica, far vivere al bambino il piacere del gioco spontaneo, in modo che rinforzi la propria iniziativa, la propria autonomia, e promuova e sviluppi l’intenzionalità (Le Boulch, UPD).
Il gioco entra perciò nella metodologia funzionale, e in particolare si inserisce in quelle funzioni, energetica e operativa, che concorrono per stabilire, con espressioni motorie e verbali, una valida comunicazione con l’ambiente. Esse sono corredate dalla funzione di aggiustamento, che rappresenta l’efficacia dell’adattamento di un individuo all’ambiente; questi, nel recepire una reale libertà, ne riconosce limiti e imperfezioni. A tal proposito Le Boulch afferma: Nella psicomotricità funzionale è attraverso l’intermediario del corpo e del movimento che abbiamo la possibilità di agire come equilibratori del nostro sistema energetico e si conferma che un gioco non si può sviluppare all’infinito in maniera anarchica, caotica, ma deve essere canalizzato, orientato, tenendo conto, ovviamente, sia degli interessi che delle motivazioni del soggetto, e per mezzo di esso avviare il processo di aggiustamento, quindi dal gioco fantasmatico dovrà passare a quello che gli consentirà di meglio inserirsi nella realtà. Ed è proprio su questo punto che ci separiamo dalla psicanalisi poiché essa ritiene invece che lo sviluppo fantasmagorico continuo del gioco permette il raggiungimento di un certo equilibrio individuale. Noi riteniamo che il gioco fantasmatico come lo intende la psicanalisi contribuisca a rinchiudere sempre di più il soggetto nei suoi problemi, per tale motivo si ritiene indispensabile il contatto con il concreto e perciò riportare l’azione alle 26
funzioni operative che generano un adattamento determinato anche dall’intervento sistematico dell’educatore. Forse con la terapia psicanalitica si otterrà un miglior equilibrio affettivo del soggetto ma, un equilibrio può esistere allorquando si permette all’individuo di avere un contatto normale con la realtà, un impegno sul concreto, perciò oltre all’indispensabile attività ludica è bene confidare anche sui metodi attivi che consentono, sempre a partire da questa energia orientata e controllata, di realizzare esperienze che richiedono uno sforzo personale di adattamento (Le Boulch, UPD).
La combinazione dei vari metodi di insegnamento attivi e attrattivi garantisce una crescita personalogica, a conferma del valore che assume il “fare” e nel fare lo stato di piacere che ne deriva, alimentando e consolidando l’integrazione tra affettivo e mentale.
27