La libertà è più importante dell’uguaglianza

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Karl R. Popper

LA LIBERTÀ È PIÙ IMPORTANTE DELL’UGUAGLIANZA Pensieri liberali Introduzione di

Massimo Baldini

ARMANDO EDITORE


SOMMARIO

Introduzione

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Premessa - 1. I fondamenti epistemologici del liberalismo - 2. L’antistoricismo, l’antiperfettismo e l’antiutopismo - 3. Democrazia, libertà, tolleranza - 4. Conclusioni

La vita e le opere

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Nota di edizione

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PENSIERI LIBERALI

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Anarchismo Antimarxismo Antitradizionalismo Autorità Burocrazia Capitalismo Civiltà occidentale Classe operaia Collettivismo Compromesso Comunismo Conseguenze inintenzionali Corruzione Costituzione

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Democratico Democrazia Democrazia e ruolo della critica Destra-sinistra Dialettica Dittatore Dittatura Ecologisti Economia di mercato ed economia pianificata Elezioni Élite Entusiasmo morale Errore Fascismo e nazismo Futuro Guerra Ideali Ideologia Impiegati statali Individualismo Interventismo Intolleranza Istituzioni Liberalismo Libertà Marx (Karl) Marxismo Marxisti Meccanico sociale gradualistico Meccanico sociale olistico o utopistico Mercato (Libero) Nazionalismo Nonviolenza Opinione pubblica

34 34 42 43 43 45 45 45 46 46 46 47 47 49 49 50 50 51 51 51 52 53 54 57 59 62 69 72 74 76 77 79 80 80


Opposizione Pace Paradosso della democrazia Paradosso della libertà Paradosso della sovranità Paradosso della tolleranza Partiti politici Pianificatore olistico Politica Politica e denaro Politica e morale Politici Potere Potere economico Povertà Profeti Profezia storica Progresso Razionalismo Relativismo Responsabilità Rivoluzione Sistema maggioritario Società chiusa e società aperta Società imperfetta Società perfetta Sofferenza e felicità Sovranità (Teoria della) Stato Stato assistenziale Stato e cittadini Storia Storicismo Televisione

81 82 82 83 83 84 84 85 85 87 88 88 89 90 91 92 92 92 93 95 96 96 97 98 102 102 103 106 107 109 110 110 111 116


Teoria della cospirazione Terrorismo Tirannia Tolleranza Totalitarismo Tradizione Tribalismo Uguaglianza Utopismo Violenza Vox populi

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INTRODUZIONE

«Si dà il caso che io non sia solo un empirista e un razionalista di tipo particolare, ma anche un liberale, nel senso inglese del termine; ma proprio perché sono un liberale, credo che per un liberale poche cose siano più importanti del sottoporre le varie teorie del liberalismo ad un esame critico approfondito». Karl R. Popper

Premessa In tempi in cui tutti, a destra e a sinistra, si dichiarano liberali, in cui, per esempio, si sostiene che anche Gramsci è stato un pensatore liberale ed ex segretari del P.C.I. si vantano di non aver letto il Capitale di Marx e dichiarano di studiare da liberali, sarà utile soffermarsi su quelli che sono i tratti fondamentali dell’homo liberalis. E per prima cosa sarà utile individuare, sulla scia di Karl Popper, le premesse epistemologiche che stanno a fondamento di tale pensiero, in altre parole quale concetto abbia il liberale della ragione, della verità e dell’errore e quale ruolo, a suo avviso, assolva la discussione critica.

1. I fondamenti epistemologici del liberalismo Il liberale è, per dirla con Popper, un fallibilista, un razionalista critico. Egli cioè concepisce la verità come un ideale regolativo e 9


l’uomo come un cercatore e non come un possessore di verità. Già Tocqueville a proposito della verità aveva osservato: «Ho finito col persuadermi che la ricerca di una verità assoluta dimostrabile, al pari della felicità perfetta, fosse uno sforzo verso l’impossibile. Ciò non significa che non vi siano delle verità che meritano la convinzione totale dell’uomo. Ma sicuramente sono pochissime. Per l’immensa maggioranza di ciò che ci importa di conoscere non abbiamo che delle verisimiglianze e dei pressappoco. E il disperarsi del fatto che sia così, significa disperarsi del fatto di essere uomini. Perché questa è una delle più inflessibili leggi della nostra natura»1. E Mises da parte sua scrive: «Non v’è perfezione nella conoscenza e nelle conquiste umane. L’onniscienza è negata all’uomo. La teoria più elaborata che sembra soddisfare completamente la nostra sete di sapere può essere un giorno emendata e soppiantata da una nuova teoria. La scienza non ci dà una certezza assoluta e definitiva»2. Sulla scia di Tocqueville e di Mises, Popper ha affermato che «tutta la conoscenza scientifica è ipotetica e congetturale»3, che la verità è un ideale regolativo e che «sebbene non vi siano regole generali per riconoscerla [...] esistono tuttavia dei criteri per progredire verso di essa»4. Il liberale non crede che la verità sia manifesta o che solo pochi abbiano occhi per vederla. «La teoria che la verità è manifesta – visibile a tutti, solo che lo vogliano – è alla base – afferma Popper – di quasi ogni forma di fanatismo. Infatti solo la più depravata malvagità può rifiutarsi di vedere la verità manifesta; solo coloro che hanno ragione di temere la verità possono cospirare per sopprimerla. Ma la teoria che la verità è manifesta non solo educa fanatici, cioè uomini convinti che tutti coloro che non vedono la verità manifesta devono 1 Alexis de Tocqueville, L’amicizia e la democrazia, a cura di Massimo Terni, Roma, Edizioni Lavoro, 1987, p. 99. 2 Ludwig von Mises, L’azione umana. Trattato di economia, a cura di Tullio Ragiotti, Torino, UTET, 1959, p. 7. 3 Karl R. Popper, Problemi, scopi e responsabilità della scienza, in Id., Scienza e filosofia, Torino, Einaudi, 1969, p. 136. 4 Karl R. Popper, Congetture e confutazioni, Bologna, Il Mulino, 1972, p. 387.

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essere posseduti dal diavolo, ma può anche condurre, sebbene forse in modo meno diretto di quanto non possa fare una epistemologia pessimistica, all’autoritarismo»5. Il liberale è un avversario della teoria delle élites e di ogni concezione che prevede “scolte avanzate”, “illuminati”. Il liberale «prova disgusto a tenere gli uomini sotto tutela e soggiogati all’autorità»6, egli, infatti, odia la violenza e ritiene che questa possa essere limitata e posta sotto il controllo della ragione. Il liberale è una persona a cui importa più di imparare che di avere ragione e che, quindi, è pronto a imparare dagli altri, soprattutto dalle critiche che gli altri rivolgono alle sue proposte. In altre parole, il liberale è un uomo che ha fatto proprio «un atteggiamento di disponibilità a prestare ascolto ad argomenti critici e ad imparare dall’esperienza. È, in sostanza, l’atteggiamento di chi è disposto ad ammettere che “Io posso aver torto e tu puoi aver ragione”, ma per mezzo di uno sforzo comune possiamo avvicinarci alla verità»7. Il liberale, come ogni razionalista critico, «sarà sempre consapevole di quanto poco sa, e del semplice fatto che, qualsiasi facoltà critica o ragione possegga, egli ne è debitore ai rapporti intellettuali con gli altri. Sarà dunque portato a giudicare gli uomini fondamentalmente uguali, e a vedere nella ragione umana un legame che li unisce. La ragione per lui è esattamente il contrario di uno strumento di potere e di violenza: egli vede in essa un mezzo con cui sottomettere il potere, la violenza»8. Il liberale, dunque, ha fiducia nella ragione, ma non crede all’onnipotenza della ragione. Il liberale non solo tollera la critica, ma la sollecita, la favorisce. Egli sa che «il segreto dell’eccellenza intellettuale è lo spirito di critica, è l’indipendenza intellettuale»9, sa che l’approccio critico va considerato un dovere, sa che non esistono critiche distruttive e 5

Ivi, pp. 20-21. Ivi, p. 634. 7 Karl R. Popper, La società aperta e i suoi nemici, Roma, Armando, 1996, vol. II, p. 268. 8 Karl R. Popper, Congetture e confutazioni, cit., p. 615. 9 Ivi, p. 4. 6

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critiche costruttive, le critiche sono sempre costruttive. Esse, infatti, ci aiutano a scoprire gli errori che, essendo fallibili, possiamo aver commesso, esse ci fanno acquisire una miglior conoscenza del problema che stiamo cercando di risolvere. Il liberale sa che «la nostra conoscenza si accresce nella misura in cui impariamo dagli errori»10. Nella scienza come nella vita, nella politica come nel mercato vige il metodo di apprendimento dagli errori. «Il totalitarismo – ha scritto Luigi Einaudi – vive col monopolio; la libertà vive perché vuole la discussione fra la libertà e l’errore [...], Trial and error, possibilità di tentare e sbagliare; libertà di critica e di opposizione; ecco le caratteristiche dei regimi liberi»11. Il liberale sa che il politico più bravo è quello che sbaglia meno degli altri, infatti non esistono politici infallibili, “unti del Signore” che non commettono mai degli errori. Il liberale sa che il politico più bravo è quello che fa fiorire in saggezza i propri errori, che, cioè, è disposto a imparare da essi, che non fa finta di non vederli, che non ricorre per giustificarli alla teoria della cospirazione. Il liberale è un anticostruttivista e sa, per dirla con Popper, che «solo una minoranza delle istituzioni sociali sono volutamente progettate, mentre la gran maggioranza di esse sono venute su, “cresciute”, come risultato non premeditato di azioni umane»12. Egli sa anche che nella vita sociale mai nulla riesce precisamente nel modo stabilito, che cioè molte delle nostre azioni hanno spesso conseguenze inintenzionali, conseguenze non previste, e talora addirittura indesiderate (per esempio: se desidero comprare una casa, il mio stesso presentarmi sul mercato come compratore avrà come effetto non desiderato quello di farne alzare il prezzo) così anche molte delle azioni dei politici spesso determinano effetti inaspettati e indesiderati (per esempio: si può introdurre una riforma sanitaria che estenda a tutti i cittadini l’assistenza medica e avere, dopo la 10

Karl R. Popper, La società aperta e i suoi nemici, cit., vol. I, p. 172. Luigi Einaudi, Prediche inutili, Torino, Einaudi, 1969, p. 60. Cit. in Dario Antiseri, L’agonia dei partiti politici, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1999, p. 10. 12 Karl R. Popper, Miseria dello storicismo, Milano, Feltrinelli, 1975, p. 68. 11

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sua introduzione, come effetto inaspettato e indesiderato, un peggioramento generalizzato delle prestazioni sanitarie unitamente a un aumento del loro costo insostenibile per il bilancio statale). Ebbene, il politico che cerca di impedire che le sue proposte siano sottoposte a un esame critico, non solo sarà condannato a commettere molti più errori di colui che invece accetta il confronto critico, ma finirà anche con lo scoprirli molto più tardi del necessario. Le strutture di potere fortemente autoritarie che non solo non ricercano, ma addirittura proibiscono il dibattito critico sulle politiche governative sono condannate «a persistere nei propri errori, anche dopo che tali errori hanno cominciato a produrre conseguenze nefaste non previste. Tutto il modo di procedere caratteristico delle strutture fortemente autoritarie è anti-razionale. Il risultato è che le strutture autoritarie più rigide periscono con le loro false teorie o tuttalpiù (se sono fortunate e spietate) si cristallizzano; quelle meno rigide sono caratterizzate da un progresso contorto, costoso e lento più del necessario»13.

2. L’antistoricismo, l’antiperfettismo e l’antiutopismo La concezione che il liberale ha della ragione è, come abbiamo appena visto, quella di una ragione non onnipotente, né potente (a differenza degli illuministi o dei positivisti), il suo è un razionalismo critico. Il liberale è un fallibilista, ha cioè una visione ottimista della conoscenza, in quanto ritiene che ci si possa avvicinare sempre più alla verità, che si possa imparare dagli errori. Oltre che fallibilista però il liberale è anche antistoricista, antiperfettista e antiutopista. Egli, infatti, non ritiene di avere in tasca l’itinerario della Storia, né come afferma Röpke, di essere riuscito a «sbirciare le carte della Provvidenza». Anzi egli è convinto che non esistono leggi storiche. Per il liberale «il futuro è aperto. Esso non è 13

Bryan Magee, Karl R. Popper. Filosofo della politica e della scienza, Roma, Armando, 1994, p. 89.

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predeterminato. Di conseguenza nessuno può prevedere eccetto che per caso»14. Lo storicista, di contro, ritiene che il corso della storia umana per lui non abbia più segreti tanto che egli può fare infallibili previsioni storiche. Nonostante la sua arroganza intellettuale, lo storicismo, a detta di Popper, è una «falsa speranza e una falsa fede»15, e per di più è «insostenibile razionalmente»16 in quanto confonde interpretazioni e teorie, leggi e tendenze, previsioni e profezie. Una confutazione dello storicismo è data dalla seguente argomentazione che Popper presenta nelle prime pagine della sua Miseria dello storicismo: «Il corso della storia umana è fortemente influenzato dal sorgere della conoscenza umana [...]. Noi non possiamo predire, mediante metodi razionali o scientifici, lo sviluppo futuro della conoscenza scientifica [...] perciò, non possiamo predire il corso futuro della storia umana»17. Inoltre, il liberale non solo è antistoricista, ma è anche antiperfettista e antiutopista. Per Popper perfettismo e utopismo sono due pericolose trappole del pensiero. «Noi – scrive Popper – dovremo sempre vivere in una società imperfetta»18. E ha aggiunto: «Dobbiamo abbandonare il sogno di un mondo perfetto. Ciò non significa che dobbiamo cessare i nostri tentativi di fare il mondo migliore di quanto non sia, ma che dobbiamo impegnarci in questo compito con la dovuta umiltà: dobbiamo limitarci a combattere la miseria, l’ingiustizia, l’oppressione, la corruzione. In questo compito non dovremmo mai dimenticare ciò che vi è di impreciso e, forse, anche di imprevedibile nelle nostre azioni»19. Il liberale è un irriducibile avversario dell’utopismo in quanto mentre gli utopisti sono dei costruttivisti, egli è un anticostruttivista. 14

Karl R. Popper, Tutta la vita è risolvere problemi, Milano, Rusconi, 1996, p.

297.

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Karl R. Popper, La società aperta e i suoi nemici, cit., vol. II, p. 329. Ibidem 17 Karl R. Popper, Miseria dello storicismo, cit., pp. 13-14. 18 Karl R. Popper, La ricerca non ha fine, Roma, Armando, 1997, 3ª ed., p. 119. 19 Karl R. Popper, Miseria dello storicismo, cit., p. 10. 16

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In altre parole, mentre gli utopisti pensano che «tutte le istituzioni – il linguaggio, lo Stato, il diritto, la moneta, la religione, la città ecc. – sono esiti di piani intenzionali, realizzazioni di progetti esplicitamente elaborati da singoli e da gruppi»20, il liberale, di contro, ritiene che la società non sia una costruzione deliberata degli uomini tesa a un fine, che cioè le istituzioni non siano, sempre e comunque, esiti di espliciti e razionali progetti umani. A suo avviso, come la nostra conoscenza avanza lentamente per gradi e alcune arti e scienze richiedono l’esperienza di molte generazioni, così le istituzioni sono, in genere, il precipitato di tentativi ed errori, che si sono succeduti nel tempo e se si volessero vedere come il frutto di un intenzionale disegno umano molte di esse sarebbe incomprensibili. Ma c’è di più. Il liberale è antiutopista perché l’utopia implica sempre la violenza, perché l’utopismo, nonostante le apparenze, è un falso razionalismo anche in quanto esprime, per esempio con i filosofi-re di Platone, una «richiesta di potere in base a delle superiori doti intellettuali». Infine, è antiutopista in quanto l’utopia propone come ideale una società chiusa. Le comunità utopiche, infatti, sono mondi chiusi, sono poste lontane nello spazio o nel tempo, isolate dal mondo esterno, economicamente autosufficienti. Inoltre, la convinzione che è possibile la costruzione di uno stato perfetto apre la porta, come già abbiamo anticipato, alla violenza e al totalitarismo. Le proposte dell’utopista, di fatto, proprio in quanto presuppongono che sia possibile conseguire una volta per tutte le istituzioni sociali più perfette, non abbisognano, anzi non ammettono critiche e cambiamenti. Per l’utopista ogni cambiamento apportato al suo schema è, senza appello, un cambiamento in peggio, un inconcepibile errore. Ecco, quindi, che l’obiettivo primario di ogni utopista sarà l’eliminazione degli eventuali critici revisionisti, tanto pericolosi quanto inutili. In realtà, l’utopismo nonostante le sue false apparenze di pensie20

Dario Antiseri, Teoria della razionalità e scienze sociali, Roma, Borla, 1989, p.

77.

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ro progressista e rivoluzionario, pregia nascostamente l’autoritarismo, cosicché troppo spesso lo stato prospettato dall’utopista altro non è che l’immagine della più perfetta società repressiva. La città utopica è il sogno di un solo utopista e l’inferno di tanti piccoli e incolori uomini. I suoi abitanti sono soltanto, come causticamente scrive Molnar, dei burattini, dei semi-idioti. Non per niente la storia delle utopie è una storia senza nomi propri. Quasi tutte le utopie prevedono forme di limitazione nell’uso della proprietà e, talora, l’aboliscono del tutto, come pure viene sempre limitato (o soppresso) il commercio e il denaro. Comunismo dei beni (e talora delle donne), rifiuto dell’oro e dell’argento sono delle costanti delle società perfette e queste sono delle scelte il cui fine è quello di garantire il privilegiamento dell’uguaglianza rispetto alla libertà. Gli utopisti, infine, tendono a esagerare l’importanza e il ruolo delle istituzioni. Ai loro occhi le istituzioni appaiono come l’unica causa dei cambiamenti della società e non già l’effetto. Essi sono sostanzialmente degli «istituzionalisti ingenui»21, disposti sempre a sacrificare gli individui sull’altare delle istituzioni.

3. Democrazia, libertà, tolleranza Il liberale non si pone mai l’interrogativo: «Chi deve comandare?», interrogativo che invece si sono posti tutti i totalitari da Platone a Marx rispondendo a esso di volta in volta in modo diverso: i filosofi-re, il proletariato, una razza, i tecnici, ecc. La domanda che gli sta a cuore è tutt’altra: «Come controllare chi comanda?». Per lui tutti i problemi politici sono «problemi di struttura legale piuttosto che di persone»22 e le istituzioni migliori sono quelle che consentono ai governati di meglio controllare l’operato dei governanti. 21 Raymond Ruyer, L’utopie et les utopies, Paris, Presses Universitaires de France, 1950, p. 78. 22 Karl R. Popper, La società aperta e i suoi nemici, cit., vol. II, p. 191.

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Il liberale non attende né cerca sui sentieri della storia l’uomodella-Provvidenza, ma si impegna per migliorare le istituzioni esistenti, ben sapendo che «le istituzioni sono come le fortezze: raggiungono lo scopo solo se è buona la guarnigione, cioè l’elemento umano»23. Il liberale non è uno statalista (ai suoi occhi «lo stato è un male necessario. I suoi poteri non dovrebbero essere accresciuti oltre il necessario»)24, ma non è neppure un anarchico («l’anarchismo – scrive Popper – è una esagerazione dell’idea di libertà»)25. Il liberale ama la tolleranza, la libertà e la democrazia. Il suo amore per la tolleranza è la «necessaria conseguenza della convinzione di essere uomini fallibili»26. Tuttavia, egli è tollerante con i tolleranti, ma intollerante con gli intolleranti. La tolleranza, al pari della libertà, non può essere illimitata, altrimenti si autodistrugge. Infatti, la tolleranza illimitata, afferma Popper, porta «alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi»27. Inoltre, il liberale ama la libertà ben più dell’uguaglianza. Egli ritiene la libertà, per dirla con Popper, «più importante dell’uguaglianza» in quanto «il tentativo di attuare l’uguaglianza è di pregiudizio alla libertà; e [...] se va perduta la libertà, tra non liberi non c’è nemmeno uguaglianza»28. Tuttavia, il liberale non ama la libertà perché essa, per esempio, se applicata all’economia consente alla società di essere più ricca, più prospera, più opulenta; la ama per motivi sovraeconomici, per motivi etici e non materiali. Essa, infatti, «rende possibile l’unica forma di convivenza degna dell’uomo», 23 24

Karl R. Popper, Miseria dello storicismo, cit., p. 69. Karl R. Popper, Alla ricerca di un mondo migliore, Roma, Armando, 1989, p.

154.

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Karl R. Popper, Società aperta universo aperto, Roma, Borla, 1984, p. 26. Karl R. Popper, Alla ricerca di un mondo migliore, cit., p. 193. 27 Karl R. Popper, La società aperta e i suoi nemici, cit., vol. I, p. 346. 28 Karl R. Popper, La ricerca non ha fine, cit., p. 38. 26

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è «l’unica forma in cui possiamo essere pienamente responsabili di noi stessi»29. E la libertà, che è il più importante dei valori politici, va difesa con attenta assiduità perché non è un’acquisizione permanente, in quanto essa può sempre essere perduta. Il liberale sa anche che la libertà «distrugge se stessa se è illimitata. La libertà illimitata significa che un uomo forte è libero di tiranneggiare un debole e di privarlo della sua libertà. Questa è la ragione per cui chiediamo che lo stato limiti in qualche misura la libertà, in modo che la libertà di ciascuno risulti protetta dalla legge. Nessuno dev’essere alla mercé di altri ma a tutti si deve riconoscere il diritto di essere protetti dallo stato»30. Il liberale è un liberista, ritiene cioè che libertà politica e libertà economica non siano separabili e, ovviamente, è un critico impietoso dell’interventismo, sia perché lo stato intervenendo nell’economia accresce fatalmente il suo potere, ma anche e soprattutto perché mina la libertà economica e insieme a questa quella politica. Il liberale ama la democrazia poiché questa consente «il controllo pubblico dei governanti e il loro licenziamento da parte dei governati»31 senza spargimento di sangue. Inoltre, solo con la democrazia sono possibili riforme senza violenza e solo con la democrazia la politica diviene un esercizio della ragione. Essa, inoltre, consente, grazie alla critica, di meglio controllare le conseguenze sociali delle nostre azioni. In altre parole, le istituzioni democratiche consentono uno sfruttamento dell’errore migliore di quelle autoritarie. Il liberale vede nella democrazia non il toccasana, ma la «forma statale del male minore»32, tuttavia egli è anche ben convinto che quando la democrazia viene distrutta «tutti i diritti sono distrutti»

29

Karl R. Popper, Tutta la vita è risolvere problemi, cit., p. 160. Karl R. Popper, La società aperta e i suoi nemici, cit., vol. II, p. 146. 31 Ivi, p. 179. 32 Karl R. Popper, Alla ricerca di un mondo migliore, cit., p. 224. 30

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e anche se «fossero mantenuti certi vantaggi economici goduti dai governati, essi lo sarebbero solo sulla base della rassegnazione»33. Il liberale, infine, ama la tradizione, ma non è né un tradizionalista né un conservatore. Egli non vuole imbalsamare il presente nel passato. Il liberale entra con la tradizione in un rapporto critico, sa che essa assolve a importanti funzioni, sa che non possiamo mai liberarci completamente da essa, sa che il «cosiddetto processo di liberazione è in realtà soltanto il passaggio da una tradizione a un’altra»34, ma nonostante ciò non è mai disposto ad accettarla passivamente. Come scrive un grande amico di Karl Popper, Friedrich A. Hayek, «il conservatorismo vero e proprio è un atteggiamento legittimo, probabilmente necessario e, certo molto diffuso, di opposizione a drastici cambiamenti», ma «la caratteristica principale del liberalismo è che esso vuole muoversi, non stare fermo»35. In altre parole, il liberalismo «non è mai stato una dottrina retrograda. Anche nei periodi in cui gli ideali liberali furono pienamente realizzati, il liberalismo si è sempre preoccupato di migliorare ulteriormente le istituzioni. Il liberalismo non è avverso all’evoluzione e al cambiamento, e ove lo sviluppo spontaneo sia represso da controlli pubblici, vuole numerosi cambiamenti nella linea politica»36.

4. Conclusioni In breve, il liberale è, secondo Popper, un fallibilista, un razionalista critico, un uomo che non crede che la verità sia manifesta o che solo pochi abbiano occhi per vederla, e in altre parole, è un avversario della teoria delle élites e di ogni concezione che prevede “scolte avanzate”, “unti del Signore”. E ancora: il liberale ha fiducia nella 33

Karl R. Popper, La società aperta e i suoi nemici, cit., vol. II, p. 189. Karl R. Popper, Congetture e confutazioni, cit., p. 211. 35 Friedrich A. Hayek, La società libera, Firenze, Vallecchi, 1969, p. 441. 36 Ivi, p. 443. 34

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ragione, ma non crede alla onnipotenza della ragione. Inoltre, sollecita e favorisce la critica, sa far fiorire in saggezza i propri errori. Il liberale è un anticostruttivista, un antistoricista, un antiperfettista e un antiutopista. Il liberale, infatti, è convinto che non esistono leggi storiche e che il futuro è aperto. Il liberale ama la tolleranza, la libertà e la democrazia. Il liberale è un liberista e ama la tradizione, ma non è né un tradizionalista né un conservatore.

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