Organo Ufficiale dell’Associazione Regionale Pugliesi
Anno V Num. 10 Iscritta all’Albo delle Associazioni e delle Federazioni dei Pugliesi nel Mondo della Regione Puglia e all’albo delle Associazioni della Prov. di Milano
Sede: Via Pietro Calvi, 29 - 20129 MILANO - e-mail: arpugliesi@tiscali.it - www.arpugliesi.com - gruppo Facebook “Terre di Puglia”
Una fitta rete di passioni, visioni, condivisioni... ...questa è la nostra Terra.
Saluti del Presidente Estate, tempo di vacanza, tempo di ritorno in Puglia, nei propri paesi di origine. Nostalgia, emozioni di incontri, riproposizione di vecchie tradizioni ma… anche un nuovo sguardo ai risvolti economici che il turismo e il rientro dei fuori sede porta al Sud. E questo non è un ritorno solitario. I fuori sede portano con sé familiari, amici e conoscenti che si affidano all’”indigeno” per un soggiorno più “sicuro” in località delle quali conoscono la fama ma in cui non sanno come muoversi. Tante migliaia di arrivi nelle nostre terre corrispondono – scusate la venalità del discorso – a milioni di euro che trovano canalizzazione nei divertimenti e nel soggiorno pugliese. E’ un discorso pratico, ma questo richiedono i tempi: un sano pragmatismo da collocare intorno al romanticismo che giustamente sempre pervade questi rientri. Le particolari contingenze economiche, invece, questa volta denotano la necessità di una visione economica del turismo a tutto vantaggio di un territorio che avverte, forse più di altri, il periodo di crisi. Il mio occhio di operatore del settore coglie la difficoltà del momento, l’acuita crisi in quel territorio, e una boccata di ossigeno data da queste risorse che grazie ai figli lontani si riversano sul territorio. Quali per noi i risvolti pratici? Innanzitutto continuare a “portare” e a suggerire la Puglia a quanta più gente possibile. Non ne resterà delusa. E poi creare le condizioni per una buona accoglienza del turista, ancorché emigrante, senza dare “fregature”, senza approfittare della sua transitorietà, senza mancare di garbo e cortesia che sono i nostri strumenti migliori che vanno ad aggiungersi ai luoghi paesaggistici pittoreschi e ai monumenti storici oltre che all’enogastronomia. Uno sforzo in tal senso lo sta facendo il Salento tramite gli operatori turistici e gli enti pubblici. La grande attenzione mediatica ha portato un grande afflusso di visitatori che l’ha reso una delle mete maggiormente ambite da italiani e non. Infatti sono in forte aumento anche i visitatori stranieri che, incantati dal mare, dal paesaggio naturale, dalla cultura, dalla tradizione culinaria e dai suoi sapori, scelgono questo territorio non solo per una vacanza, ma anche per una pausa di tranquillità e serenità. Qui lo sforzo degli operatori del settore è nel superare alcune criticità al fine di garantire uno standard competitivo di servizi e potenziare lo sviluppo del territorio. Il tema fondamentale è sempre quello di una maggiore necessità di fare squadra e di creare sinergie tra attività di accoglienza, esercizi commerciali, associazioni pro loco, assessorati vari per far sì che le competenze si integrino vicendevolmente, senza sovrapposizioni e latitanze, dando vita ad un clima di accoglienza in condizioni ottimali per tutti. E’ quindi importante l’aspetto “umano” ma anche l’esigenza di innovarsi dal punto di vista tecnologico, poiché oggi l’immediatezza dei canali di comunicazione consente di unire il mondo in un istante, e quindi deve essere utilizzata per divulgare le peculiarità del territorio, rendendolo accessibile agevolmente. In tal senso è altresì opportuna la collaborazione e il fattivo intervento degli enti pubblici statali sotto forma di agevolazione del turista nel raggiungere il Sud. Spiace constatare e cogliere i disagi che si sono acuiti negli ultimi anni dal punto di vista dei trasporti a causa di cancellazione di treni (soprattutto notturni), dimezzamento dei voli aerei, autostrade in dissesto, a fronte di costi sempre maggiori. E’ giusto dire queste cose perché i politici e gli amministratori locali si attivino non solo per un atto di considerazione verso il Sud (e la Puglia) ma anche per rendere un servizio che in fin dei conti torna utile anche all’economia e … alle casse dello Stato. Buona ripartenza. A presto rivederci. Cav. Dino Abbascià Presidente Associazione Regionale Pugliesi
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Sommario
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Expò 2015
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Una vita ...in rete!
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14-15 16
S.O.S. - Salviamo il Salento
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Forza Gargano!
Storia
La Controra
18-19 8-9 padre
Tutto su mio
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V ediz. Saperi, sapori, musiche e ... colori di Terre di Puglia
10-11
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12
22-23
La semplicità delle piccole cose
con...
Conversando
Gli Italiani di Crimea
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Due sogni che uniscono
Santa Scorese Recensioni
Hanno Collaborato: Ornella Bongiorni, Michele Bucci, Adele Buffa, Rosario Tornesello, Giuliana de Antonellis, Francesco Lenoci, Maurangelo Rana, Paolo Rausa, Antonia Scarciglia, Alfredo Traversa anno V, n.10 Supplemento a “Il Leuca”
Camminare nella
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Foto di copertina: National Geographic
Aut. Trib. di Lecce n. 999 del 9 settembre 2008
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Editore: Associazione Regionale Pugliesi Presidente: Dino Abbascià Direttore Responsabile: Agostino Picicco Fondatori e co-direttori: Giuseppe Selvaggi e Giuseppe De Carlo
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di Agostino Picicco L’Expo 2015 è ormai vicino. La grande kermesse dell’Esposizione universale che si svolgerà a Milano da maggio ad ottobre 2015 e avrà come tema Nutrire il Pianeta. Energia per la Vita, è stata caricata della grande responsabilità di essere lanciata (giustamente) non solo come evento lombardo ma come manifestazione che coinvolge l’intero Paese. E’ previsto infatti che i milioni di visitatori attesi da tutto il mondo non giungano solo a Milano ma colgano l’occasione del lungo viaggio per visitare, oltre all’Expo, anche altri luoghi significativi dell’Italia, non necessariamente classici e conosciuti, e quindi che possano godere di un periodo di turismo, di svago, di degustazione di prodotti tipici, di conoscenza dei numerosi gioielli artistici, monumentali, paesaggistici d’Italia. In questo contesto anche la Puglia avrà tanto da mostrare (e promuovere) ai visitatori internazionali. In ogni caso la città che costituirà la prima interfaccia di accoglienza, il biglietto da visita dell’Italia e dell’Expo, è proprio Milano. E per questo dovrà mostrare il suo aspetto migliore. Numerosi sono i lavori di rifacimento del look della città preventivati da tempo. Purtroppo sono partiti un po’ tardi. E ora, a circa un anno dall’inizio della grande kermesse, la città sta rifacendo il suo look, tutto in una volta, a ritmi serrati, ed è diventata un grande cantiere, a partire dalle zone centrali per finire a quelle più periferiche. Transenne in cemento e legno, impalcature, ruspe in continuo movimento, ormai fanno parte integrante dello scenario della città. Nel campo delle opere
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pubbliche è previsto il rifacimento degli impianti, l’adeguamento delle aree pedonali, la riqualificazione delle piazze, la modifica delle facciate. Muoversi per la città diventa complicato e disagevole: numerosi tram sono stati deviati, hanno cambiato le fermate, alcuni tratti anche lunghi si possono fare solo a piedi, i percorsi, più stretti, sono guidati da transenne e occorre destreggiarsi tra gli altri pedoni con cani, biciclette, monopattini che corrono per recuperare i tempi dei lunghi tratti a piedi,. Ormai è sempre più difficile parcheggiare, i tempi di spostamento si sono allungati più del solito, occorre rivedere su google maps i trasferimenti più idonei. Si stringono i denti sperando che si tratti di pochi mesi, coincidenti per lo più con i mesi estivi, nei quali tali disagi, magari in modo ridotto, erano già preventivati visto che sempre in estate un po’ di lavori di ristrutturazione e di rifacimento sono previsti.Si spera comunque nei benefici dell’Expo: per l’economia, per il turismo, per la cultura, per la novità che rappresenta. Ci auguriamo davvero che l’impianto di riflessione, il coinvolgimento internazionale, l’arrivo di tanti visitatori, porti - come auspicato negli intenti della kermesse – ad una prospettiva di confronto, di accoglienza, di attenzione alle loro necessità, di conoscenza di nuovi stili di vita, di quelle che sono le prospettive per la sussistenza del pianeta, i valori da considerare, le priorità, le sinergie planetarie, le componenti esistenziali, ecc.. Solo così varrà la pena di aver subito tanti disagi prima e forse anche durante, sperando che il frutto di tante opere porti benefici effetti per il futuro con nuovi servizi ora in allestimento, dei quali tutti possano usufruire a lungo, soprattutto di coloro che ne hanno più bisogno.
Editoriale
Una vita... in rete! di Giuseppe De Carlo
Il titolo di questo editoriale può trarre in inganno: non parliamo di una vita 2.0 o di social network, parliamo di relazioni, esperienze e scambi. Con l’avvento dei social network, grazie a queste piccole grandi piazze virtuali si è sempre più convinti che sia sufficiente un click su un “mi piace”, un commento ad una foto o una semplice condivisione di un elemento per sentirsi in contatto con qualcuno. Una dolce illusione che ci fa sentire sempre protagonisti di un mondo che tentiamo disperatamente di controllare. Così in base al numero dei “retweet” cresce la nostra stima personale e la nostra convinzione di essere connessi con il mondo. Una vita, dunque, spesa a cercare frasi d’effetto, foto particolari o selfie improbabili. Avere centinaia di amici su Facebook, centinaia di seguaci su Twitter o una condivisione di un articolo su Linkedin riesce veramente a farci sentire parte del tutto? I vari mezzi di comunicazione ci permettano di accorciare le distanze e di interagire in larga scala con passato e presente, tuttavia allo stesso tempo talvolta innalzano enormi barriere di esclusione sociale, tra chi si definisce “nativo digitale”, tra chi si è adeguato al cambio dei mezzi di comunicazione e chi invece ne resta fuori per scelte personali, per limiti economici o culturali. Lo schermo sfalsa i rapporti, le relazioni. Crescono a dismisura gli incontri su internet, perché è più facile relazionarsi se protetti da milioni pixel. È più semplice scegliere tra svariati smiles per raccontare le emozioni piuttosto che tremare, arrossire, provare rabbia o vergogna, restare senza fiato o senza parole davanti al volto dell’altro. I silenzi così importanti nella comunicazione non verbale face to face lasciano spazio a immagini, punteggiature, frasi di altri. Le emozioni autentiche vengono felicemente ignorate. Quando all’improvviso per un caso la gelosia, la rabbia, la paura, l’imbarazzo fanno capolino nella nostra vita rea-
le, non sappiano riconoscerle, non sappiamo come gestirle o controllarle. La consequenzialità tra sentire, pensare e agire si capovolge dando spesso origine a numerosi episodi di cronaca nera. “Non siamo capaci di ascoltarli” scriveva lo psicologo Paolo Crepet, riflettendo sul rapporto genitori –figli. Oggi dobbiamo constatare che la generazione “dal dito pollice più veloce” comunica poco e male e soprattutto non è capace di ascoltarsi, requisito fondamentale dell’ascolto e del rispetto dell’altro. L’uso intelligente critico e consapevole dei social comporta che questi debbano essere considerati un mezzo, non un traguardo. Essi possono offrire ulteriori modalità di apprendimento e conoscenza, ma non l’unica. La vita vera si vive offline. È fatta di successi, fallimenti, crisi, gioie, perdite, dolori, paure, emozioni, che vanno vissute ed elaborate al di fuori dello schermo. Tessere dei rapporti è come tessere una rete. Più essi saranno solidi, più la rete sarà solida. E, se per caso un fortuito incidente resetta il pc non dobbiamo disperare. È l’occasione giusta per affacciarci alla finestra come Palomar di Calvino e osservare la vita che c’è dietro le piccole cose, è scoprire che il mondo è bellissimo se impariamo ad ascoltarlo con tutti i cinque sensi. Le storie di uomini e donne comuni e allo stesso tempo straordinari ci passano davanti, ma noi non sempre prestiamo attenzione, perché presi a scrivere su un blog che probabilmente nessuno realmente leggerà mai. Nulla di peggiore di vedere il proprio amico di Facebook, che dopo aver messo una miriade di “mi piace” alle tue foto estive, incontrandoti, ti chieda dove tu abbia trascorso le vacanze, o peggio, passandoti di fianco neppure ti saluta. Amicizia 2.0!
IN VISTA DELL’EXPO 2015 Martedì 23 settembre 2014, alle ore 17,30, a Milano, Cafè MIB di Piazza Affari (Via Gaetano Negri 10) ospiterà l’Incontro con il professor Francesco Lenoci, Docente presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e Vicepresidente dell’Associazione Regionale Pugliesi di Milano, dal titolo “Storie di Creazione di Valore: Milano e la Puglia in vista dell’EXPO 2015”. L’Incontro è organizzato dalla Banca Popolare di Puglia e Basilicata (Area Territoriale Nord BPPB) e dall’Associazione Regionale Pugliesi di Milano. Interverranno: il dottor Michele Stacca, Presidente della Banca Popolare di Puglia e Basilicata, il cavalier Dino Abbascià, Presidente dell’Associazione Regionale Pugliesi di Milano, il dottor Franco Bossola, Direttore Area Territoriale Nord di BPPB e il dottor Giuseppe Saracino, Direttore di Staff Area Territoriale Nord di BPPB.
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LA CONTRORA Si ha il tempo per pensare quando ci si estranea dalla ordinata e ordinaria quotidianità della metodica vita di chi vive in “alta Italia”. Al nord non si usa, nel mio sud si usa ancora. Non sono sicuro che un non-meridionale possa capire che cosa sia la controra. È l’ora del silenzio, in cui ogni rumore echeggia amplificato, come in una scatola vuota.Dopo mangiato, quando arriva il tempo del nulla, chi può si butta senza remore nelle braccia di Morfeo. Nei nostri paesi di
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di Giuseppe Selvaggi
origine dovrebbe essere portato agli onori degli altari come “Santa Controra” e adorato in processione come i Santi veri. Sono stato ultimamente a “casa”, quella vera, al paese. I pomeriggi il mio anziano genitore ha mantenuto l’abitudine del riposo, io non dormo, chi ci riesce? Nella mia testa continuano a girare domande senza risposte. Quest’ora è sacra, caro figlio, io vado a riposare. La controra (dal latino contra horas, cioè ore contrarie) richiama alla mente la “siesta”, parola derivante
dal latino s e x t a hora cioè l’ora sesta degli antichi Romani. Chiamare qualche amico che non è occupato diventa un’impresa, la risposta sarebbe: “a quest’ora? dai ci vediamo a una certa ora questa sera”. Provo a leggere, provo tutte le più strane posizioni da kamasutra del riposo, nulla. Alla fine mi decido, esco. Devo dire che a Milano per consolidata abitudine dedico, quando lavoro, la pausa pranzo al riposo, sempre, anche d’inverno. Un rito, un’abitudine a cui non ho voluto rinunciare e che suscita nei miei colleghi e collaboratori una certa invidia e curiosità. Come fai, mi chiedono. Qualcuno ha provato a imitarmi, il sonno breve è il risultato di una ereditarietà genetica e di una filosofia di vita antica e per certi versi saggia. Come spiegare a chi non è nato al sud cosa rappresenti per noi l’idea della Controra. E’ un termine dialettale che indica le prime ore del pomeriggio, soprattutto quello estivo, dedicato dai salutisti dell’anima e del corpo al riposo. In questo spazio si ha la possibilità di riflettere e di lasciarsi andare all’otium, il silenzio è inteso non come conseguenza, ma come uno stato di attesa, di ricarica, una sorta di pre-occupazione che segue a questa interruzione. E’ un rito, una adesione quasi religiosa alla estraneazione dalla frenesia della giornata, è una dilatazione del giorno conseguente all’esigenza di rallentare o cessare ogni attività, il tempo sembra non andare così in fretta come dicono,
se si pratica questa disciplina. La controra è il momento in cui cessa il tempo delle occupazioni e inizia quello della libertà dal tutto, è quando ti ritrovi solo con te stesso. E’ una pratica che per chi è nato al Nord è percepita come qualcosa di strano ed estraneo, forse perché si troverebbero ad affrontare l’horror vacui del “e adesso che faccio?” Come dicevo, esco, sono le tre del pomeriggio, un pomeriggio di pre estate decisamente caldo, mi accoglie una città semideserta, pochi i bar aperti e tutt’intorno l’indolenza della provincia meridionale. E’ un momento cruciale della giornata, poche le macchine, pochissimi i passanti, un gatto si striracchia al sole e mi guarda stupito, nella sua piccola testa avrà pensato: “questo è “frastiero”, a quest’ora dove và? È tutto chiuso”, è il dopopranzo, tutto apparentemente si ferma, una voce fuori campo mi convince che poi non sono solo. Arrivo in pochi minuti alla villa comunale, le uniche presenze sono i mezzi busti marmorei di illustri eroi e grandi del passato. Davanti a un’associazione di ex combattenti, fermi, quasi immobili statue viventi, due anziani si guardano senza parlare, a un tratto come a parlarsi addosso uno dice: “ a quest’ora a casa di mio figlio è tutto tranquillo”.Una bottega di barbiere è aperta, lo conosco, entro lo saluto e gli chiedo: “maestro a quest’ora a bottega”, non si scompone, mi guarda e mi risponde: “sono aperto, ma sono chiuso”, maa!. Passo oltre, l’obiettivo è arrivare al Porto, li voglio godermi il rientro delle barche e andare sino in fondo al molo nuovo per sentirmi in mezzo la mare, infine, lontanissimo, il Gargano, che nelle giornate più limpide si mostra in tutta la sua magnificenza. Mentre cammino spedito, fotografando come farebbe un turista angoli del mio
paese, passo davanti ad antichi Palazzi che pure ho frequentato e penso: “chi sa se Don ….. è ancora vivo e le figlie che proprio Veneri non erano, si saranno sposate, ma certo che si con quel patrimonio di famiglia si saranno sicuramente accasate. E’ la controra, forse dorme anche una consolatrice di cuori solitari che un tempo esercitava la più antica arte. Mi fermo davanti ad un’edicola votiva, dentro i nostri tre Santi protettori, una lucina e fiori di plastica, percorro le antiche vie e viuzze del Borgo Antico, non tutto è in ordine, dai bassi arrivano odori di ogni genere, musiche esotiche e sulle cassette postali nomi da altri luoghi del pianeta raccontano di come convivano nuove e vecchie storie di povertà; Moruccio, Lillino, Marì, Sergin …. sono rimasti in pochi
ad abitare le vecchie pietre, hanno avuto la casa popolare o sono emigrati. Sulla parte alta della città vecchia che si affaccia sul porto c’è ancora e non potrebbe essere diversamente un gradino in pietra dove io e alcuni altri amici ci appiattivamo il fondo schiena a parlare del nulla per interi pomeriggi. Vedo il mare e riacquisto il buon umore, la controra non dura in eterno, tra qualche mezzora il paese sarà tornato più vivo e animato di una grande metropoli che già alle sette di pomeriggio comincia ad abbassare le cler dei negozi mentre da noi allora si aprono, le urla da muezzin che ascolto passando dal mercato del pesce mi avvisa che il paese si è ridestato e che tra non molto mi sottoporrò al rito dello struscio serale. Un altro mondo. Pagina 7
TUTTO SU MIO PADRE di Adele Buffa* e RosarioTornesello
Ha fatto la storia. Lo diciamo subito e ci togliamo il pensiero. Un capitolo particolare, e fondamentale, di questa zona d’Italia. Poteva andare male, malissimo. La criminalità tracimava, il sangue scorreva, i negozi saltavano... Occorreva alzare un argine. È andata bene. Non è solo fortuna. È storia, storia di uomini. E di sacrifici. Ora che si approssima il tempo del riposo, forse darà un ripasso anche alla geografia. Sono pochi i monumenti che hanno la fortuna di camminare sulle proprie gambe. Lui lo è. Ammesso che gli risalga la voglia di viaggiare. Nato in Calabria, approdato a Lecce; estate a Gallipoli, buen retiro a Roma (zona Trastevere, effluvi magici se non fosse che lui odia la confusione, il frastuono, il caos capitolino, anche se d’estate gli tocca sorbirsi quello gallipolino). Un moto perpetuo, insomma. Consumato molto, quasi tutto, all’interno del proprio ufficio: mattina, p o m e r i g gi o, sempre lì. Il 13 gennaio compirà 75 anni. Quel giorno riporrà la toga. Mario Buffa raccontato dalla figlia Adele e dal figlio Francesco è un’iperbole. Un giudice visto da una Cancelliera e da un altro giudice: si sfiora il cortocircuito logico, un frontale interpretativo. Una generazione che riflette l’altra e l’attualizza, la prosegue. La proietta nel futuro. Il primo è stato presidente della Corte d’appello di Lecce, Brindisi e Taranto: il più anziano in ruolo in Italia se si esclude Carnevale, il ben noto Cor-
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rado Carnevale, processato, assolto e tornato in servizio per recuperare gli anni di sospensione. Altra storia. La seconda è Cancelliera alla Procura della Repubblica di Milano ed è secondogenita; Il fratello Francesco, è giudice di Cassazione, sezione Lavoro, dopo esser transitato dal Massimario della Suprema Corte e, per un anno, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo. Il loro ciuffo ribelle è segno distintivo. Non ci vuole poi molto, del resto, a intuire il vincolo di discendenza diretta. Chi è il più bravo fra i tre??? Francesco dice «Io lo so chi è più bravo tra me e lui e ho sempre evitato, opportunamente, il confronto. Un giorno il vecchio presidente del
Consiglio dell’Ordine degli avvocati Gaetano De Mauro disse a me e suo figlio Antonio, professore universitario ed avvocato cassazionista, una frase che ancora ricordo: “Ne ati mangiare ancora friseddre”. E aveva ragione...». In attesa che le “friselle” finalmente finiscano, il nutrimento è condito da affetto filiale: «Ho sempre adorato il suo stile di scrittura: semplice, perché la sua idea è che le parti e non solo gli avvocati debbano comprendere la decisione, e diretto, evitando
di perdersi tra cavilli e disquisizioni. Ma lui ha una dote in più: è un grande organizzatore. Dirigere l’ufficio è altro mestiere rispetto a scrivere belle sentenze». Osiamo? È decisionista, ma un tantino accentratore... Giusto un po’, ecco. «Io lo direi senza “un po’...”», rincara il figlio. Oggi a tavola faranno i conti. Anche perché Buffa junior cala il sovrappiù: «Per dirla tutta, a volte è pure un po’ brusco, visto che non tutti vogliono lavorare quanto lui. Ma quando ci mette le mani, le cose funzionano. È un capo che lavora e che sprona con l’esempio. Certo, pretende molto. Ma difende a spada tratta i suoi giudici. E chi fa questo mestiere sa quanto è facile restare soli ed esposti...». Cinquantuno anni in magistratura, un po’ di civile e tantissimo penale. Sua la prima sentenza sulla presenza di un’associazione mafiosa nel Salento. Sua la guida del secondo maxiprocesso alla Sacra Corona Unita in Corte d’assise, quello degli omicidi (46 in sei anni, dall’86 al ’92) e degli attentati (al palazzo di giustizia, nel ’91; all’Espresso Lecce-Zurigo, il 5 gennaio ’92): tre anni di dibattimento, quasi trenta ergastoli distribuiti fra gli oltre settanta imputati. Tutto filato via liscio. Perché lui dirige, organizza, giudica, ma al momento giusto gigioneggia. Tra l’ironico e il sarcastico, la battuta che stempera. Fin qui, visto da fuori. Perché “lato figlio” le doti sono anche altre: «Modesto, sincero, per nulla invidioso. Con una spiccata sensibilità verso umili ed emarginati: in un convegno raccontò la compassione provata verso un povero cristo che vide cercare cose molto economiche
alla Standa e che aveva dovuto giudicare qualche giorno prima. E poi protettivo verso la famiglia: ha vissuto per anni sotto scorta e ha sempre taciuto o minimizzato le minacce ricevute per non farci stare in pensiero». Manifestazioni d’affetto poche, ma grandi slanci di generosità: «Ne ricordo due. Il primo, un viaggio notturno a Roma per confortare mia sorella Adele, che si era trasferita da poco nella capitale e aveva paura di notte nella grande metropoli. Il secondo, la rinuncia a un incarico presso il Consiglio superiore della magistratura per restare vicino a mia madre, a Lecce». Il protocollo prevede la sosta forzata nell’area dei difetti. Francesco ci prova. Riflette ed enumera: «Difetti? Due». Vabbè, è pur sempre il figlio... «La fiducia eccessiva nel prossimo, con quel suo “tout comprendre, tout pardonner”, e il troppo rigore che a volte riserva ai familiari: se gli mostro una mia sentenza, particolare e impegnativa, per farmi bello, lui subito la critica e la corregge. Ma è per non concedersi alle smancerie: le manifestazioni d’affetto le reputa un po’ sdolcinate». Il lavoro ha imposto a Buffa senior di sacrificare gran parte del tempo destinato ai suoi affetti. Ha compensa-
Mario Buffa: una vita trascorsa nell’amministrare e far ruotare la complessa e difficile macchina della giustizia. A 75 anni, molti dei quali vissuti da magistrato, Mario Buffa lascia la toga e la magistratura, congedandosi dal ruolo di presidente della Corte d’Appello. Calabrese d’origine ma salentino d’adozione, il presidente Buffa è tornato a Lecce nel 2008 dopo un’assenza di circa nove anni. Per oltre cinque, invece, è stato a capo della Corte d’appello del capoluogo sato con la tolleranza: motorino, orari di rientro... Risvolti molto apprezzati dai ragazzi. «Papà è stato molto attento agli aspetti pratici, meno a quelli psicologici. Molto esigente nel pretendere impegno a scuola, mi ha insegnato ad approfondire le cose in modo analitico, a comprendere le ragioni degli altri, a non essere forte con i deboli e debole con i forti, a privilegiare sempre e comunque la conoscenza alle conoscenze». Il tempo si annuvola. I ricordi si affastellano. Una vita da stringere in poche
lentino, cui fanno capo anche i distretti di Brindisi e Taranto. A Lecce Mario Buffa ha trascorso gli anni più bui della storia della penisola salentina, quelli della lotta alla Sacra corona unita, protagonista dei maxi processi alla quarta mafia, tra gli anni ottanta e novanta. Tanti gli ergastoli inflitti ai boss della Sacra Corona Unita. Tante ancora le polemiche sollevate e le critiche che negli anni ha mosso, senza mai risparmiare nessuno, come solo un grande magistrato può e sa fare. immagini, da confezionare e consegnare al racconto: le sciate assieme, a Bormio; i viaggi in roulotte, in giro per l’Europa. «A quel tempo, sul finire degli anni ’70, si viveva in un clima di grande libertà. Poi la roulotte l’abbiamo data ai terremotati dell’Irpinia». E infine le grandi “scoperte” trasmesse per contatto, per induzione, per simpatia: il “Mistero buffo” di Dario Fo, i primi dischi di Giorgio Gaber, il Neorealismo, Truffaut e la nouvelle vague, il computer Vic 20. E ancora: le poesie di Brel, i testi di Calamandrei, i romanzi russi. «Chiude la sua lunga esperienza in magistratura con amarezza: non è il mondo che immaginava da ragazzo. Lo indigna la corruzione dilagante; lo mortifica la difficoltà ad amministrare la giustizia». Cosa farà, smessa la toga? «Spero non faccia altri lavori. Spero possa regalare ai suoi familiari la cosa più preziosa che ciascuno di noi ha: il tempo. Spero possa dedicarsi all’educazione dei suoi due nipotini, 11 e 10 anni. Lui stravede per loro». E loro per lui. Mario, il più grande, stesso nome: «Il nonno è come uno spartano: non si arrende mai». E Gabriele, il più piccolo: «Semmai è come gli ateniesi: vincono anche con i persiani». *Cancelliera presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano
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La semplicità delle piccole cose di Giuseppe De Carlo Ho letto questo volume tutto d’un fiato: ogni parola, ogni frase ed ogni luogo hanno fatto riaffiorare in me, usanze e tradizioni, e riscoprire cose semplici, svilite ora dal consumismo e che, invece, costituiscono un patrimonio di saggezza. Spezzoni di vita vissuta, profumi, suoni e sapori emergono nel volume del caro amico Agostino Picicco; in esso c’è tutto quello che posso ricor-
dare anche del mio passato; molte cose le avevo dimenticate, altre non le ricordavo più come una volta, nitide e splendenti. Più che un semplice saggio è un manuale di vita, una vita non così lontana e che molti di noi conservano
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nell’anima, chiusa in uno scrigno. Scorrendo le pagine mi si presentano squarci di vita pugliese ed avverto le emozioni di un bambino ormai uomo, che mantiene saldamente le radici nel passato, proiettandosi nel futuro. Il tempo che cambia, le mode, le stagioni: tutto sintetizzato in maniera armonica. Ciò che colpisce e trascina però sono le emozioni, quelle di una vita vissuta in un periodo sicuramente più bello, privo degli agi a cui ora siamo abituati, ma un periodo vero, intenso, non corroborato da amicizie virtuali, fatto di marachelle e confidenze, di paure e di sogni, tutte rigorosamente reali. L’autore con quest’opera ha voluto mettere in risalto la creatività e l’originalità di un tempo, ormai lontano, in cui tutto era più genuino e spontaneo perché, se oggi l’individuo gode di una tecnologia avanzata, la quale offre più stimoli rispetto ad un tempo, questi però sono quasi tutti pre-costituiti. Nei vari paragrafi si alternano le sensazioni vere, appartenenti ad una vita fatta di piccole cose, capaci di offrire soddisfazioni e gioie grazie alla loro semplicità. Lo scrittore prova ad osare, a vincere delle paure, quelle stesse che hanno accompagnato la nostra infanzia e valorizza la
vita che molti di noi hanno condotto fino a qualche tempo fa, sempre a contatto diretto con la natura, con giochi semplici, molto diversi da quelli attuali. Il ricordo diventa, quindi, il filo conduttore che lega il passato al presente, così ricco di tradizioni, ma soprattutto di valori. L’uomo, nel corso della sua vita, progredisce di continuo ma, ad un certo punto, si accorge che nonostante i vantaggi che il progresso e l’evoluzione gli offrono, nel contempo gli tolgono quelle piccole gioie di cui sono state intessute la sua infanzia e la sua giovinezza, ricche di valori e tradizioni che oggi, man mano vanno svanendo nel nulla. L’autore, attraverso questa sorta di autobiografia comune a tanti, ripercorre gli anni migliori vissuti da ciascuno di noi, quelli fatti di piccole cose, a stretto contatto con le persone più care, che permettevano di vivere straordinari momenti affettivi, e che aiutano l’uomo a crescere, allontanandosi man mano da quel “fanciullino” che è sempre dentro di noi. Quest’opera di Agostino Picicco servirà non solo da sprone, per conservare ancora viva quella cultura, in cui affondano le nostre radici, ma anche per AMARE, TUTELARE e VALORIZZARE tutto ciò che fa parte del nostro passato.
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Conversando, tra gli altri, con Agostino Picicco, Dino AbbasciĂ , Francesco Lenoci, Giuseppe Selvaggi, Rossella Ivone sui temi delle tradizioni, usi e consuetudini delle genti di Terre di Puglia
Festival del libro possibile - Polignano a Mare
Terrazza di Palazzo Margiotta - Martina Franca
Festival del libro - CittĂ di CantĂš
La Vedetta del Mediterraneo - Giovinazzo
Volti delle donne di un tempo, Poppiti e Li fiuri della Pathria in scena nel Salento Pagina 12
V ediz. Saperi, sapori, musiche e … ...colori di terre di Puglia di Antonia Scarciglia Il 14 settembre, in concomitanza alla riapertura delle attività dell’ Associazione Regionale Pugliesi di Milano, si è svolta la V edizione dell’evento organizzato dagli amici dell’Associazione Pugliesi di Sesto San Giovanni alla quale abbiamo partecipato con una numerosa delegazione come dalla prima edizione per condividere il piasa provenienza. Oggi è avvertibile l’esigenza di un recupero del valore aggregativo della festa, intesa come spazio/ambiente dell’anima, luogo di riflessione e confronto culturale e interculturale, tramite l’organizzazione associazionistica di volontariato culturale, dove le attività e i laboratori creativi per il recupero storico, ambientale del territorio favoriscano l’incontro, attraverso valori condivisibili. Nell’associazionismo è possibile ricostruire il momento comunitario se ogni singolo conquista la consapevolezza di una significativa appartenenza alla comunità, di una partecipazione nella condivisione di valori, significati e ideali dettati dall’esperienza. cere della Festa che quest’anno ha avuto come ospite d’onore la cantante Rossana Fratello. Sagre popolari, feste di origini contadine e popolari che risalgono alla notte dei tempi, manifestazioni in piazza ... da sempre animano la vita delle città e trovano le loro radici nel mondo rurale,agreste. Quella di Sesto San Giovanni, città di arrivo nel secolo scorso di tante braccia provenienti dalle nostre terre, è una rivisitazione delle tradizioni di aggregazione nella città del lavoro e delle fabbriche quale è stata siano a pochi decenni addietro la città di Sesto San Giovanni, laboratorio naturale di integrazioni tra genti di diverPagina 13
S.O.S. - SALVIAMO IL SALENTO Acciaio e cemento sotto una morbida spiaggia bianca del Salento. 1.900 ulivi divelti. I vigneti del negroamaro sventrati da un tubo di acciaio e cemento del diametro di due metri per due. Il rischio incombe sul Salento, il territorio divenuto la prima meta del turismo in Italia, scelto per l’approdo di un mega-gas dotto che dovrebbe portare gas all’Europa dai pozzi dell’Azerbajjan. Alla Fiera del Levante inaugurata da Renzi 40 sindaci del Salento, con il sindaco di Melendugno Marco Potì in testa, hanno manifestato contro, alzandosi in piedi e applaudendo quando il presidente della Regione Nichi Vendola ha ribadito che la Puglia non è la pattumiera degli altri. Renzi ha detto che si può ancora discutere sull’approdo, ma il
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di Carmen Mancarella* ministro dell’Ambiente Galletti, che ha da poco approvato il rapporto di Valutazione impatto ambientale, ha detto che l’approdo è ormai stato deciso. Il ministero dei Beni culturali ha espresso parere contrario. Il gasdotto dovrebbe approdare su un’incantevole spiaggia la Caciulara San Basilio, a San Foca, una delle cinque marine di Melendugno, sul Mare Adriatico, insignita per ben quattro volte della Bandiera blu e Le cinque Vele di Legambiente e distante appena un chilometro e mezzo dalla riserva naturale di interesse internazionale Le Cesine. Siamo in una zona ad alta intensità turistica, dove i giovani si sono inventati
un lavoro puntando sul turismo e sulla tutela delle risorse naturali, tra numerosi siti di interesse comunitario e un sito archeologico di straordinaria bellezza, Roca Vecchia, la Micene del Salento. Su appena 500 metri di arenile, che viene puntualmente segnalato dalle riviste di turismo nazionali tra le spiagge più belle della Puglia, ci sono ben tre stabilimenti balneari. E poco distante sorge un residence albergo, Punta Cassano. Tra le dune depongono le uova le ormai rare tartarughe di mare, caretta caretta. Qui la TAP AG ha progettato l’approdo di un gasdotto che parte dall’Azerbajian, risparmia, giustamente, le bellissime coste della Grecia, attraversa le montagne a 1.990 metri di altitudine, per ar-
rivare in Albania dalla cui costa dovrebbe immettersi in mare, poggiandosi per 111 chilometri sui fondali del Canale d’Otranto, un mare, avvisano gli esperti, particolarmente esposto alle correnti e a forte rischio sismico. Il gasdotto approda poi sulla spiaggia La Caciulara San Basilio a San Foca. Ma, siccome anche l’occhio vuole la sua parte il tubo di acciaio ricoperto da cemento armato si immergerà sotto la sabbia e le dune con un microtunnel a una profondità di 18 metri. La voragine scavata nei fondali per ottenere l’immersione del gasdotto sarà ricoperta da cemento armato e malta. Lo spiegano in un controrapporto presentato sin dal novembre dello scorso anno al Ministero del’Ambiente, ben 25 esperti tra architetti, ingegneri, geologi, chimici, medici e avvocati, chiamati a mettere a disposizione le loro competenze dal Comune di Melendugno e cooordinati dal professore del Politecnico di Bari ingegner Guido Borri. Allo stato attuale il ministero dell’Ambiente ha approvato il rapporto di Valutazione Impatto Ambientale presentato dalla società Tap con 58 prescrizioni, il ministero dei Beni Culturali lo ha bocciato. Parla chiaro il controrapporto presentato sin dal novembre dello scorso anno dal Comune di Melendugno al Ministero dell’Ambiente: “Abbiamo convocato gli esperti“, spiega il sindaco di Melendugno, Marco Potì, “perché potessero liberare il Comitato No Tap e il territorio dall’accusa di campanilismo o sindrome Nimby. C’è un lavoro serio dietro le osser-
vazioni presentate, non potranno dire che siamo degli estremisti incompetenti, ci sono dei grandi professionisti tra le firme del contro-rapporto che svela tutti i punti più controversi del progetto”. Il gasdotto dopo essere riemerso in pineta, che sarà praticamente rasa al suolo per due ettari, si snoderà via terra. Per consentirne il passaggio e creare le zone di sicurezza e la viabilità di emergenza intorno, saranno divelti 1900 ulivi secolari, in un paese che vanta di
dustrializzata, fatta di masserie e uliveti che caratterizzano il tipico paesaggio salentino. Non si indica nel progetto dove si andrebbe ad attingere l’acqua necessaria a far funzionare l’impianto con il grave rischio di prosciugare il già delicato equilibrio delle falde freatiche salentine. A meno che, non ci arrivi volando, il gasdotto attraverserà poi anche i vigneti di Negroamaro del Nord Salento per arrivare ad immettere il gas nella centrale SNAM di Mesagne. Tutta questa opera sarà dimessa tra 50 anni o poco più, avvertono gli esperti. La società che intende realizzarla la considera “opera persa”. I tubi di acciaio ricoperti di cemento armato per un diametro di tre metri, saranno abbandonati in balia delle correnti del mare e degli agenti meteorologici, lentamente corrosi e mai smaltiti da alcuno. “Un bel regalo per le generazioni future, i bambini di oggi, per i quali i loro genitori stanno lavorando con grandi sacrifici, inventandosi attività turistiche, nella speranza di consegnare a loro una terra migliore!, commenta il direttore responsabile della rivista di turismo e cultura del Salento, Spiagge, Carmen Mancarella. Alcuni giornalisti nazionali esperti di turismo e tour operator internazionali sono stati ricevuti dai sindaci di Melendugno e di Guagnano sulla spiaggia dell’approdo e hanno commentato e già postato sui loro profili facebook: “Questo è il paradiso, sarebbe un vero peccato distruggerlo”.
detenere il 4 per cento della produzione di olio, a livello regionale. A Melendugno, poi, in località Masseria del Capitano dove ci sono i dollmen preistorici Placa e Gurgulante sarà realizzata la centrale di depressurizzazione, con camini alti dieci metri per smaltire i fumi. Intorno il deserto: 12 ettari di terreno, vasto quasi quanto 24 campi di calcio, dove non sarà ammessa alcuna attività. La centrale servirà per riportare la temperatura del gas ad un valore di almeno tre gradi centigradi. I Consiglio comunali dei Comuni interessati hanno peraltro dichirato con delibere del 14 ottobre 2013 inidoneo il luogo destinato a ospitare la Centrale di depressurizzazione perché si trova molto vicino ai centri abitati di Melendugno, Vernole e Calimera e *Direttore della rivista Di turismo perché sorge in una zona non in- e cultura del Salento “Spiagge” Pagina 15
l’incitazione, la vicinanza e l’augurio degli amici dell’Associazione Regionale Pugliesi di Milano
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CAMMINARE NELLA STORIA di Ornella Bongiorni 1914-1918 “La meta è nel passo il tuo passo” dice Paolo Rumiz e io di passi ne ho fatti tanti percorrendo quelle 52 gallerie scavate nella roccia per poter arrivare alle Porte del Monte Pasubio versante Trentino e raggiunse i luoghi della Grande Guerra 1914 -1918. E se il cammino è il racconto di un viaggio ecco il mio: partenza da Milano 7,30 con un gruppo affiatatissimo di camminatori, gente esperta e appassionata di montagna ma soprattutto del buon cammino. Arriviamo dopo tre ore di macchina a Passo di Xomo, Bocchetta Campiglia dove inizia il sentiero delle 52 gallerie. Siamo pronti e convinti che questo non è un percorso qualunque ma un viaggio nel tempo dove la maestria dell’uomo fu usata per sopravvivere a una guerra fatta tutta in salita. E su questa salita ci incamminiamo per ben 6 km, attenti a non perderci nelle miriadi di gallerie costruite dal 33° corpo dei minatori Italiani. Una dopo l’altra, ci sembrano non finire mai, una targa ci ricorda il numero di quella che stiamo percorrendo e quella che arriverà. Una diversa dall’altra, gallerie corte, lunghissime, con aperture verso il lato della montagna chiamati pozzi di luce e dopo un pò ti chiedi come abbiano potuto adattarsi degli uomini in queste condizioni: buio, freddo, umidità, solitudine, malattie, fame, sofferenza, morte. Su questo monte pensate, trasportando morti e feriti lo scrittore Ernest Hemingway scriverà il romanzo “Addio alle armi” pubblicato nel 1929. Percorro questi buchi come una talpa dentro a un dedalo di cunicoli attenta a non perdersi in questa montagna addomesticata e ridotta ad un pezzo di groviera. Verso la fine del percorso ho quasi l’impressione di sentire le voci di chi per anni abitò questi luoghi, ma è solo il gioco del vento che entrando a forza nelle gallerie produce mille suoni incomprensibili ma che ti fanno rabbrividire. Cerco l’uscita dall’assurdo che li ha creati in un clima uggioso dove una nebbia fitta appesantisce i nostri abiti e pene-
tra indisturbata nelle nostre ossa. Superata la 52esima galleria arriviamo finalmente alle Porte del monte Pasubio e ci avviamo al rifugio Achille Papa 1926 mt dove un camino acceso asciugherà i nostri vestiti bagnati e una tazza di tè bollente riscalderà le nostre ossa. Il gruppo si prepara al meritato riposo in attesa di gustare l’ottima cena preparata dal gestore del rifugio. Una notte senza stelle ci accompagna al sonno. Ci svegliamo presto e il sole albeggiando sui monti del Pasubio ci offrirà un panorama nascosto che non ci era stato dato di vedere e tutta la vallata si mostra nella sua bellezza e la pace che senti ti riempie l’anima. Ci incamminiamo lungo i percorsi di guerra quelli veri lungo le trincee chiamati: dente degli Italiani e dente degli austriaci. Arriviamo dopo due ore di cammino a 2200 mt e qui, “fischia il vento e infuria la bufera”, dentro una nebbia fitta e un vento freddo che non ci permette di vedere chi ci precede, attraversiamo i cimiteri italiani e austriaci in quella che oggi è chiamata la strada della pace. Un percorso segnato da molte croci dove morirono circa 800 uomini al giorno sui diversi fronti di guerra. Soldati che si fronteggiavano trovandosi ad una distanza di 220 mt. Si uccidevano per conquistare una roccia di giorno e perderla di notte per un costo di 8000 morti. Restiamo li impressionati ed esausti, vediamo fili spinati rimasti raccolti in gomitoli, pezzi di ferro usati come sportelli ad uso dei cecchini e leggiamo cartelli che ci raccontano la nostra tragedia Europea. Ripartiamo, affrontando una discesa di 1100 mt. che metterà a dura prova i miei muscoli stanchi. Scendendo al piano tutto si ridimensiona, ci allontaniamo dalla storia per entrare nella nostra quotidianità. Arriviamo alle macchine appagati e contenti di avercela fatta e salutandoci affettuosamente percorriamo la strada del ritorno a Milano convinti di aver arricchito il nostro zaino di storie da raccontare.
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Gli Italiani di Crimea al Ministero degli Affari Esteri: fra attese, speranze e delusioni
‘Com’è andato a Roma? Ci sono le promesse vere?’ Anna Fedorova, fra le più attive nell’Associazione ‘Il CERKIO’ degli Italiani di Origine a Kerch, in Crimea, sull’istmo fra il Mar Nero e il Mar d’Azov, con queste domande tocca il cuore del problema che riguarda la condizione degli Italiani di Crimea, deportati per ordine di Stalin il 29 gennaio 1942 e privi tutt’ora del riconoscimento dello status a differenza degli altri popoli, i tedeschi, gli armeni, i greci, i bulgari e i tatari. Sul monumento che ricorda nella piazza della stazione di Kerch le deportazioni manca il riferimento agli italiani. Eppure è da anni ormai che l’Associazione il CERKIO continua ad accumulare documenti e testimonianze grazie all’incessante l avo ro della presidente Giulia Giacchetti Boiko, sostenuta in Italia dal prof. Giulio Vignoli, docente universitario di diritto internazionale, e da numerose Associazioni e cittadini che riconoscono in questa tragedia un diritto violato, quello alla dignità di una popolaPagina 18
di Paolo Rausa zione, proveniente per lo più dalle località rivierasche della Puglia, da Bari, Bisceglie, Molfetta, Trani, ecc. in diverse ondate, negli anni ‘20 e ‘40 e ’70 dell’Ottocento, che qui aveva costituito una fiorente comunità di almeno 5.000 abitanti. Aveva costruito una Chiesa e assunto incarichi di primo piano nella società. Di questa presenza umana ora restano i figli o i nipoti dei sopravvissuti. Si parla di un numero ridotto ormai a 300 individui. Da qui siamo partiti nell’incontro del 14 maggio con gli Alti
Dirigenti del Ministero degli Affari Esteri per porre fine a questa ingiustizia. E’ vero che le responsabilità del fatto che la situazione non sia stata risolta ricadono sul passato, ma il problema persiste e quindi occorre – è stato ribadi-
to dalla delegazione convenuta – riprendere a tal fine l’azione nei confronti delle Autorità Ucraine e Russe. Sappiamo, come ci è stato chiarito se ce ne fosse bisogno, che la situazione in Crimea è molto difficile e che la diplomazia italiana e internazionale non riconoscono l’avvenuta annessione della Russia, illegittima benché mascherata da un referendum svolto sotto la ‘protezione’ del suo esercito. La delegazione degli Italiani di Crimea era rappresentata direttamente dalle allieve che partecipano ai corsi di lingua e cultura italiana presso la Società Dante Alighieri, qui giunta con un funzionario, da una ex allieva che è rimasta in Italia e ha svolto l’opera preziosa di interprete dal russo in italiano, da un figlio di profughi con tanto di certificato rilasciato dal Governo Facta al nonno che nel 1920, all’indomani del Congresso di Losanna, aveva perso le speranze di una dissoluzione della Russia e aveva preferito abbandonare la Crimea per ritornarsene a Genova, e da una rappresentanza dell’Associazione Regionale Pugliesi di Milano, che da quattro anni con convegni, cerimonie di
ricordo e partecipazione alla cerimonia di Kerch segue la vicenda, perché nell’Associazione c’è la componente in piccolo degli emigrati pugliesi in Crimea. Inoltre le questioni trattate sono state molte altre: la cittadinanza italiana, la cui concessione è subordinata a richieste singole e prevede che non ci sia stata interruzione di godimento, mentre dalle testimonianze raccolte dai libri curati da Giulia Giacchetti e da Giulio Vignoli risulta che i deportati furono privati dei passaporti su cui era riportata l’indicazione della loro cittadinanza italiana; le borse di studio – la domanda scade il 28 maggio - che pur continuando ad essere erogate per la comunità degli italiani di Crimea con riferimento all’Ambasciata di Kiev, si avranno dei problemi ad usufruire perché la Crimea è stata annessa e
fa parte di un altro Stato, la Russia – con chi si relazioneranno gli studenti per i permessi?; l’aspetto culturale molto importante delle biblioteche da inviare in Crimea;
l’organizzazione dei corsi direttamente a Kerch per permettere la partecipazione del maggior numero possibile dei cittadini di origine italiana; programmi predisposti dalla Regione Puglia che coinvolgano gli anziani in uno scambio in modo che possano rivedere le sponde da cui partirono i loro nonni, anche se la Regione
inspiegabilmente non ha assunto finora la vicenda su di sé; infine la raccolta di materiale documentario, librario e visivo da consegnare al Museo delle Migrazioni aperto di recente all’interno dell’Altare della Patria. Tutte cose importanti che richiedono l’intervento del Parlamento per una legge deroga che allarghi il diritto alla cittadinanza a questa nostra comunità che conserva nel sangue e nel cuore una italianità eroica, come si può ben vedere dalla bandiera e dalla carta geografica dell’Italia appese sulle pareti del locale posto in un seminterrato, la loro scuola! Non possiamo tradire la loro fiducia e le loro speranze! Perciò è necessario che i mille rivoli di solidarietà si riuniscano per fare la dovuta pressione verso le Autorità, cosicché accolgano questi fratelli, vittime di sventure della storia ma non della nostra dis/umanità!
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SANTA SCORESE di Alfredo Traversa
Nasce in via Dante a Bari nel febbraio 1968. E’ la seconda figlia di Piero Scorese (poliziotto alla Questura di Bari) e di Angela D’Achille, la sorella maggiore si chiama Rosamaria. Sin da piccola è la peperino della casa. Per via del suo nome il parroco scherza sempre con lei auspicandole un futuro da santa. Santa si forma nella Chiesa del Redentore con i Salesiani di Bari. E’ attiva nella Croce Rossa, nell’Azione Cattolica nel movimento “I focolari”. A Bari frequenta il liceo classico ‘Orazio Flacco’. Ad un certo punto della sua giovane esistenza non le basta più dedicarsi al volontariato, sente la necessità di una scelta radicale. Nel 1988 riunisce i familairi e comunica la sua decisione di farsi suora e di entrare nella Milizia dell’Immacolata di Padre Kolbe. Per queste ragioni, oltre alla Comunità presente a Bari Pagina 20
va spesso a Bologna nella sede centrale delle missionarie. Nel contempo frequenta l’Università a Bari, si iscrive a Pedagogia. Da alcuni anni Santa sta scrivendo un diario personale (lo si scoprirà solo alla sua morte), un diario particolare perché è un vero e proprio epistolario tra lei e Dio. La sua attività e presenza nei movimenti di preghiera e di volontariato non passa inosservata. Purtroppo un uomo che ha la fissa di farsi prete (è stato già allontanato da diverse parrocchie) imbratta le vie di Bari con scritte e frasi sconcie su Dio, la Madonna... Quest’uomo pedina Santa, la segue dovunque per ben tre anni. La ragazza racconta tutto in famiglia ed il padre la porta in Questura, ma le denunce non portano nessun risultato. La famiglia si trasferisce in un paese vicino Bari, a Palo del Colle. L’uomo prende il treno e la segue anche qui. Gli amici della giovane sempre accompagnano Santa nelle attività quotidiane o all’Università. Una
sera però dopo la catechesi Santa torna a casa da sola. Ad aspettarla nascosto c’è quest’uomo che vedendola la ferisce a morte con tredici pugnalate. Piero, che è affacciato al balcone, vede tutta la scena e corre giù per soccorrere la figlia, ma invano. Portata al policlinico di Bari morirà poche ore dopo. L’allora Arcivescovo di Bari, Mons. Mariano Magrassi, dopo la lettura attenta del diario e la testimonianza di oltre cento testimoni dichiara Santa Scorese ‘serva di Dio’ e trasmette gli atti ed il diario presso la Congregazione per le Cause dei Santi in Vaticano. Anche il Vescovo Mons. Luciano Bux interviene e scrive una preghiera ufficiale per Santa. L’opera di testimonianza sulla vita di Santa è ricca di occasioni e di incontri, in Italia ed all’estero la sua incredibile vicenda è nota e diversi sono i gruppi di preghiera e di comunità giovanili che riflettono annualmente su questa giovane pugliese.
DUE SOGNI CHE SI UNISCONO di Francesco Lenoci A Milano, nel 1947, due ragazzi di 26 e 28 anni, Giorgio Strehler e Paolo Grassi, inventarono un sogno: il Piccolo Teatro di Milano. Al loro fianco c’era una ragazza: Nina Vinchi. Strehler, Grassi, Vinchi, un sodalizio a tre che ha fatto la storia del teatro, a Milano, in Italia, nel Mondo, che ha saputo fare della sala di via Rovello uno dei maggiori centri culturali europei. A Martina Franca, nel 1975, un gruppo di appassionati musicofili, capeggiati da Alessandro Caroli, con il determinante supporto di Franco Punzi, allora Sindaco della Città Pugliese e di Paolo Grassi, all’epoca sovrintendente del Teatro alla Scala, inventarono un altro sogno: il Festival della Valle d’Itria. È proprio vero (e non mi stancherò mai di ripeterlo): “Se non si sogna, non si progetta. E se non si progetta, non si realizza”. È incredibile a dirsi ma, ogni anno, nel ricordo di Paolo Grassi, i due citati sogni annullano i 1.000 km che li separano e si uniscono. Ciò avviene ogni anno, senza soluzione di continuità, al punto che Sergio Escobar è solito dire: “Il Festival della Valle
d’Itria è una costola del Piccolo Teatro di Milano. E il Piccolo Teatro di Milano è una costola del Festival della Valle d’Itria”. È un pensiero che arriva dritto al mio cuore, facendomi emozionare. Così come mi fa emozionare la strategia del Festival. “Tempi di crisi e di paure diffuse, di necessaria prudenza e di rinunce forzose, ma per un Festival che sente l’alto richiamo del servizio pubblico alla Cultura arretrare e chiudersi in difesa è una soluzione semplicemente non percorribile. Il Festival della Valle d’Itria accetta la sfida, nella con- vinzione che l’unica risposta possibile, per una società smarrita, sia stringersi intorno ai propri valori. E quindi rilancia, scommettendo sulla curiosità e qualità del suo pubblico, trovando coraggio nelle proprie radici e cercando di trasformarsi con sempre maggior convinzione in un laboratorio pubblico di idee, creatività, emozioni, dibattito”. Ciò, nonostante lo straordinario monito di Paolo Grassi, ricordato da Alberto Triola, Direttore Artistico del Festival della Valle d’Itria il 21 maggio 2014 presso il Piccolo Teatro di
Milano: “Un’idea di fare teatro, in un modo diverso dagli altri, non vi servirà molto. Anzi, vi farà soffrire di più. Ma sarà anche il segno del vostro orgoglio. Portate con voi l’esempio di una moralità teatrale per un mondo migliore e più buono. Non dimenticatevi: in epoche oscure anche le luci più tenui brillano come stelle. E ricordatevi anche che, nonostante tutto, il Mondo non finisce qui. Che il Teatro non finisce qui”. Martina Franca, la Città che - dal 18 luglio al 3 agosto 2014 - porterà i protagonisti e il pubblico del Festival della Valle d’Itria, grazie a programmi di musica vocale spirituale, mottetti e madrigali, a scoprire le sue chiese, i suoi chiostri e dintorni in fasce orarie inedite: il mezzogiorno domenicale (All’ora sesta), tutti i sabati alle ore 18,00 (I concerti del sorbetto) e nella suggestiva atmosfera notturna (l’inizio di Canta la notte è fissato a mezzanotte). Sia lode e gloria al Festival della Valle d’Itria, un sogno pugliese-milanese che da 40 anni inorgoglisce ed emoziona nel nome della Cultura.
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Pietre preziose Devi tornare dai luoghi lontani dove le pietre hanno un altro aspetto e sono nel cuore di chi incontri. Devi tornare a calpestare pietre e zolle, in un luogo abitato solo dalla natura. Devi tonare a incontrarti solo con te stesso e poi farti accompagnare da un antico motivo
appena accennato. Conosco la strada, ogni passo è già stato fatto. Strada pietrosa muretti a secco pigre lucertole al sole ulivi argentati giganteschi carrubi. Il sentiero della nostra vita dalla nascita in poi è piena di pietre su cui inciampiamo, pietre con le quali costruiamo muri intorno a noi altre che lastricano la strada aiutando
il cammino. Da ragazzo raccoglievo sassi di diversi colori, li nascondevo credendoli un tesoro. Ora cerco quel tesoro nascosto, le pietre colorate della vita sono un dono, ormai sono tutto quello che rimane del mio spirito bambino. G.S.
Andrea Virgilio Emi edizioni CUCINA A 2 PIAZZE. INSIEME AI FORNELLI: LA RICETTA DELLA COPPIA FELICE Recensioni a cura di Agostino Picicco Questo primo volume di Andrea Virgilio, che nella vita fa il ristoratore, coniuga il cibo e la cucina alla sua esperienza di vita. Non è un libro di cucina o di ricette, ma un libro di vita. Di vita buona. Mi sembra ben riuscito l’amalgama, sulla trama della sua biografia, dei vari contenuti del volume: i ricordi del passato, gli antichi sapori, la saggezza dei consigli, le esperienze di vita (positive e negative, ma tutte produttrici di nuova linfa e di sviluppi risolutivi), i valori che ne sono alla base, la filosofia di vita, il rapporto con se stesso, la ricerca e l’individuazione della felicità, l’attenzione agli altri. Insomma emerge il percorso di vita dell’autore attraverso il cibo e la cucina. In qualche modo il cibo diventa la chiave interpretativa della sua vita. La chiave del suo successo professionale e personale. L’ingrediente alla base dello stupore che sempre lo accompagna, della passione per il lavoro, della sofferenza che pure ha col-
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pito la sua vita ed è diventato motivo di riscatto ed elemento di maturazione. E’ bello notare come Virgilio descriva la cucina in relazione all’amore e al matrimonio, il cibo quale motivo di aggregazione, di allegria, di compagnia, e anche di aiuto, di sostegno morale, di consolazione. Interessante il cibo allo snodo tra Sud e Nord d’Italia in relazione alla sua esperienza di emigrante. L’importanza che ogni cibo abbia i suoi riti e i suoi tempi, come accade in quei contesti rurali in cui la vita è scandita dal ritmo delle stagioni e dai riti stabiliti dai padri, proprio come ci descrivevano i libri delle scuole elementari di cinquant’anni fa. Insomma mi è molto piaciuto il voler comunicare in questo libro il senso di una vita, bella e buona, nel contesto del lavoro e della famiglia, che diventano asse portante della felicità. Insieme al cibo e alla cucina, beninteso!
“A MEMORIA D’UOMO” DI OTELLO CONOCI (Ed Insieme) Serravecchia, città immaginaria della zona salentina, offre lo scenario per l’ambientazione di vicende e racconti che Otello Conoci dà alle stampe tirandoli fuori dai cassetti della sua scrivania (scampoli di opere già edite), della sua memoria, del suo passato. Tre le chiavi di lettura dalle quali partire per interpretare i racconti, (e più ancora in filigrana) l’animo e il pensiero dell’autore: la caratterizzazione ambientale, le emozioni, il ricordo (volutamente al singolare). La caratterizzazione ambientale, nella sua precisa illustrazione, offre un contesto di paese della metà del secolo scorso, lontano anni luce dall’attuale contesto globalizzato: un mondo di vicende familiari, intrecci, chiese, piazze, strade, monumenti, campi, dove si svolge la vita di tante famiglie, placida nello scorrere del tempo ma animata da passioni, talvolta intrighi, animosità, impeti di generosità e abnegazione. Immagini che riportano vecchie storie, cronache di paese, paesaggi che riscaldano il cuore, frutto dell’amore dell’autore per il suo paese, la sua terra, il suo passato, le sue tradizioni. Le emozioni sono quelle dell’autore che emergono dal racconto di episodi e storielle che hanno puntellato il suo vivere e ne hanno in qualche modo forgiato il pensiero e il sentimento. Un mondo rurale, ricco di tradizioni e usi locali, che ha altresì forgiato
il carattere e la vita dei suoi abitanti. Il ricordo - inteso più come memoria del passato che come insieme di singole vicende - è l’humus che consente all’autore di ritrovarsi – o di riconciliarsi? – con il passato della sua terra e della sua storia. Un mondo ormai scomparso ma vivo e carico di valori, reso significativo dalle singole storie di vita dei semplici e degli umili, dalle quali traspare una ricca umanità e il calore delle cose buone. Storie fatte di piccoli interessi, ma anche di bontà, di collaborazione, di buon vicinato. Storie di amori, di miserie, di riscatti. Scenette curiose, con personaggi di paese, e piccole lezioni di vita. La memoria storica porta l’autore ad inquadrare, in modo discreto, anche il suo presente e a intravedere il suo futuro. La metafora la fa da padrona nell’individuare i percorsi dell’esistenza e nel dare un giudizio (se così si può dire) al passato, talvolta venato da tristezza e da qualche solitudine, da un’aspirazione mancata, da un passo indietro, da una fuga. Talvolta la conclusione di una storia è affidata più alla immaginazione del lettore, c’è un “dire-non dire”, una sfumatura di grigio, che a chi non è allenato alla metafora esistenziale potrebbe sembrare addirittura pessimismo o stanchezza. Magari non c’è un lieto fine a tutti i costi ma un anelito di speranza è lecito coglierlo nell’intreccio delle vicende. E alla fine il lettore si accorge, o quanto meno così è parso a me, che l’illustrazione del tempo che fu, delle storie antiche tramandate dalla tradizione orale, della vita nascosta di Serravecchia, non sono che una scusa – o l’artificio letterario - dell’autore per parlare di quel tempo che è la sua vita, di quel ricordo che gli scalda il cuore, per lasciare ai posteri un po’ delle sue emozioni e una traccia definita della memoria del passato, che nella sistematica dello scritto continuerà ancora a vivere. A memoria d’uomo, appunto!
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Imprenditoria Giovanile...
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