Organo Ufficiale dell’Associazione Regionale Pugliesi
Anno III Num. 8 Iscritta all’Albo delle Associazioni e delle Federazioni dei Pugliesi nel Mondo della Regione Puglia e all’albo delle Associazioni della Prov. di Milano
Sede: Via Pietro Calvi, 29 - 20129 MILANO - e-mail: arpugliesi@tiscali.it - www.arpugliesi.com - gruppo Facebook “Terre di Puglia”
Dinamica lentezza...
In Puglia per riappropriarsi del tempo!
BUONE VACANZE IN PUGLIA!!!
Carissimi amici, con l’estate ormai iniziata, è tempo di bilanci, che per me che ho responsabilità d’impresa rappresentano un momento importante. Un altro anno “lavorativo” si è concluso e ci ha visti nuovamente protagonisti nel mondo culturale e non, milanese. L’evento che sicuramente ha rappresentato il fulcro della nostra attività è stato il premio Ambasciatore Terre di Puglia, che ha visto premiati Lino Banfi, l’ente Festival della Valle d’Itria e l’imprenditore Quarta Caffè, in rappresentanza delle diverse “anime” della Puglia. Tuttavia non meno importanti sono state le iniziative in favore degli Italiani di Crimea, in occasione del 70° della deportazione, ma anche la conferenza sulle tradizioni nella nostra terra. Iniziative che ci hanno consentito di ottenere notevoli riconoscimenti ai più alti livelli istituzionali. A questo proposito come dimenticare la medaglia ricevuta dal Presidente della Repubblica per il nostro interesse per gli italiani di Crimea! Ora noi tutti ci apprestiamo a goderci le meritate vacanze. Molti di noi come tutti gli anni torneranno nella nostra amata Puglia, per rivedere i propri cari e ricaricare le pile per affrontare un altro anno con la grinta e l’operosità che contraddistingue la pugliesità nella variegata realtà milanese. Per molti questo è uno dei momenti più belli, perché, oltre al riposo, si ha la possibilità di tornare nei posti che ci hanno visto giocare a piedi nudi, facendo ogni anno il confronto con l’anno e gli anni precedenti, commentando i cambiamenti non necessariamente con nostalgia o rimpianti, ma anche con la speranza di notare dei miglioramenti in quella che rimane sempre casa nostra. E’ anche l’occasione ideale per salutare coloro che come noi hanno deciso di rappresentare la nostra terra ai quattro angoli del mondo, i quali anche loro scelgono questo periodo per tornare, magari cercando di far coincidere il periodo delle ferie con la festa patronale o le centinaia di feste e sagre che in questo periodo animano la “madrepatria”, facendoci sempre riscoprire le nostre origini, così eterogenee all’interno della stessa Puglia, al punto di essere a volte a noi stessi sconosciute. Le ferie nella propria terra sono quindi un modo per mantenere sempre viva la fiamma delle nostre origini che arde sempre nel nostro cuore, che ci consente poi di farci conoscere e ammirare ovunque come pugliesi. Ps, non ostinatevi a mettere in risalto quelle poche o tante cose che nelle nostre città non dovessero funzionare come vorremmo (il mare, le spiagge, la pulizia delle strade, il traffico, ecc, ecc,) ma fate in modo di migliorarle attraverso costruttivi suggerimenti agli amministratori e soprattutto dando l’esempio. Pertanto l’invito e l’augurio che faccio a tutti voi e quello di godervi ogni singolo momento che trascorrerete nella vostra e nostra terra, che sempre ci fa sentire fieri. Buone vacanze a tutti e arrivederci a settembre, pronti ad affrontare una nuova stagione (mi sia consentito il riferimento calcistico) con sempre maggior carica. Con una “sporta” di affetto, il vostro Dino Cav. Dino Abbascià Presidente Associazione Regionale Pugliesi
La Striscia
di Alessandro Guido
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Armandone, giovane trentaquattrenne tarantino studente di economia e commercio, un po’ fuori corso, un po’ no, riflette tanto su temi di attualità tarantina e non, spesso sfocia nel mondiale, ma comunque senza mai preoccuparsi troppo essendo in ogni caso vicino a mammà con la quale vive quotidianamente, condivide riflessioni e proiezioni, e soprattutto, la PASTA AL FORNO past a u furne.
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Sommario 4
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Una vacanza all’inCosa mettere in segna delle feste e della valigia... tradizione ... cosa lasciare a casa!
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Festival della Valle d’Itria: un sogno che inorgoglisce, emoziona e commuove
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Uno sguardo su angoli inusuali del Salento per l’occhio di un “viaggiatore curioso”
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Un grazie da Quarta Caffè
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C’e’ ancora la Piazza?
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L’asino di Martina
”La Primavera di Casanova”
L’”eroe delle volanti” ha la Puglia nel cuore
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Premio Ambasciatore di terre di Puglia
anno III, n.8
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La leggenda delle Diomedèe orgoglio delle Isole Tremiti
Il mare pugliese è sempre più blu
Hanno Collaborato: Ornella Bongiorni, Michele Bucci, Giuliana de Antonellis, Stanilao De Guido, Alessandro Guido, Flavia Iandoli, Francesco Lenoci, Giacomo Metta, Franco Presicci, Paolo Rausa, Antonio Ricco, Antonia Scarciglia.
La direzione declina ogni responsabilità al contenuto degli articoli firmati, poiché essi sono diretta espressione del pensiero degli autori. La direzione si riserva di rifiutare qualsiasi collaborazione o inserzione di cui non approvi il contenuto. Foto e manoscritti, anche se non pubblicati, non verranno restituiti. La collaborazione a questo giornale è a titolo gratuito.
Supplemento a “Il Leuca” Aut. Trib. di Lecce n. 999 del 9 settembre 2008
arpugliesi@tiscali.it info: 347 4024651 - 392 5743734
Editore: Associazione Regionale Pugliesi Presidente: Dino Abbascià Direttore Responsabile: Agostino Picicco Fondatori e co-direttori: Giuseppe Selvaggi e Giuseppe De Carlo
Foto di copertina: National Geographic
Stampa: Studio Pixart S.r.l. Quarto d’Altino (Ve)
Realizzato in collaborazione con:
Redazione e Sede Legale: Via Pietro Calvi, 29 - Milano Pagina 3
UNA VACANZA ALL’INSEGNA DELLA FESTA E DELLE TRADIZIONI di Agostino Picicco Sono sempre tante le aspettative di chi torna per l’estate in Puglia. E’ palese il desiderio di vivere vacanze che siano costituite da rilassamento, mare possibilmente pulito, cibi semplici e gustosi, voglia di rivedere gli amici, di tuffarsi nelle tradizioni, di partecipare alle sagre, alle manifestazioni culturali, religiose, folcloristiche, di organizzare gite fuori porta, di passeggiare la sera nel centro storico o in riva al mare, degustando gelati dai gusti originali magari seduti nei locali caratteristici in posizione panoramica. Il relax vacanziero trova i suoi riti che scandiscono l’arco della giornata. La mattina si può dormire di più, se proprio non si ha voglia di fare un giro in bicicletta o di andare a correre o di fare colazione con fichi e frutta fresca presso la campagna di qualche amico. La possibilità di usare abiti leggeri, agevola le passeggiate in paese tra negozi e bancarelle del mercato per selezionare e acquistare la saporita e variegata frutta dell’estate. Una nota di merito va ai prodotti da forno dolci e salati che consentono di iniziare la giornata nel modo più sostanzioso e piacevole, e che per gli emigranti sono uno dei motivi più accattivanti per impreziosire la vacanza, riconciliandosi con i sapori paesani. Terminate queste attività si può andare al mare. La spiaggia favorisce la socializzazione, la tonificazione del corpo tramite il nuoto e l’abbronzatura mentre ci si rilassa o si legge. La presenza degli amici è anche motivo per rinverdire qualche scherzo. Dopo un pranzo quasi frugale (il concetto del “quasi” è relativo), segue l’immancabile pennichella che tutela dal solleone pomeridiano e poi, appena il sole inizia a calare, scatta il caffè pomeridiano
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o il gelato in uno dei tanti esercizi con la veduta sulla piazza o sul mare. In serata, poi, il passeggio in piazza o sul lungomare, per proseguire nei tanti locali del centro storico o per usufruire delle manifestazioni che le tante associazioni cittadine, insieme alle Amministrazioni comunali, propongono. Soprattutto nelle ore serali la città assume una sua veste “da cerimonia”: luminarie, orchestra, palchi, mostre, conferenze, presentazioni, luci, colori, fuochi d’artificio, concerti di bande musicali. Tutte occasioni per favorire l’uscita, l’incontro, quella che possiamo chiamare una mondanità paesana fatta di tradizioni, di riti dal sapore antico che si prolungano nell’oggi per essere arricchiti da un nuovo senso. E l’amalgama del tutto è dato proprio dal clima che si crea: di festa, di entusiasmo, di serate in piazza, di compagnia. La festa ha sempre rappresentato il tempo del popolo e nell’antichità era animata da contadini, artigiani, pescatori che partecipavano alle manifestazioni e così ritempravano lo spirito. Notevole è la funzione sociale operata dalla festa, soprattutto quando trasforma la devozione popolare in arte e cultura. Così, attraverso i secoli, si è costituito un patrimonio storico delle nostre tradizioni che interpella tutti, e come tale va tutelato, promosso e riproposto nella sua ricchezza e valenza. Tornare in Puglia durante le vacanze vuol dire anche questo: essere parte attiva nella valorizzazione di questo patrimonio, vivere da protagonisti tale presenza, contribuire secondo le proprie possibilità. Un tornare alle radici per riassaporare la ricchezza emozionale del proprio passato, ma anche ritrovarne il patrimonio affettivo, sociale, culturale che ricarica e fortifica. In un contesto di esodo e mobilità, il ritorno è legato al turismo, a una dimensione umana di vacanza, alla riscoperta delle piccole gioie della fanciullezza che pensavamo perdute o soffocate dal tempo e dalla maturità.
Cosa mettere in valigia... ...cosa lasciare a casa! di Giuseppe De Carlo
La stagione estiva, tra “Scipione”,“Caronte” e “Minosse” è arrivata puntuale, e ormai non resta che terminare le ultime fatiche lavorative e preparare le valigie. Si torna a casa, nella nostra amata Puglia, chi per pochi giorni, chi per qualche settimana. Dimenticandoci della velocità e della frenesia operosa della capitale meneghina, riscopriamo la lentezza del sud fin dal lungo viaggio in auto, in treno o in aereo, tra traffico e ritardi che, in vacanza, ci toccano un po’ meno. Il paesaggio cambia e, man mano ci avviciniamo, riconosciamo i colori che da sempre ci appartengono. Il tempo magicamente rallenta mentre le emozioni gradualmente si amplificano. Chissà se sono stati questi i sentimenti che hanno accompagnato i nostri antenati emigranti che tornavano a casa per l’estate dopo mesi di lavoro, di affetti strappati e con i soldi nelle scarpe. Chissà se quei grossi lacci che quasi sempre tenevano le vecchie valigie di cartone, contenenti pochi stracci, stringevano anche le storie e i ricordi di partenze, addii e sogni di un futuro migliore, pregustando la festa del ritorno. Così quello che all’andata era il treno del-
la malinconia, al ritorno diventava il treno del sole, del mare, della gioia, della spensieratezza. Una cosa è certa, per loro come per noi, emigranti moderni, il ritorno è sempre un evento. Si lascia il Nord e si arriva in Puglia con la voglia di godersi ogni istante della propria terra natia, amici d’infanzia, luoghi della memoria e i profumi di casa, dimenticandoci per un po’ dell’Area C, delle preoccupazioni del fisco e dell’IMU, della batosta agli europei e degli ennesimi scandali del calcio, e di tutte le amarezze di un inverno che non ha risparmiato nessuno. Con il nostro inseparabile ultraleggero trolley, strapieno di costumi colorati ed infradito, ci apprestiamo a godere della tranquillità del Sud che comincia fin dalla storica colazione al mattino, di fronte al mare, o all’ombra degli ulivi, magari davanti ad una buona “frisa” con pomodoro fresco e basilico, o con un aperitivo con i ricci, sapori inconfondibili che ci resteranno nel cuore insieme all’acqua ancora cristallina, al sole e al calore degli amici più cari. A me non resta che augurare buona Puglia a tutti!
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UNO SGUARDO SU ANGOLI INUSUALI DEL SALENTO PER L’OCCHIO DI UN “VIAGGIATORE CURIOSO” A cura di Giuliana de Antonellis La Puglia è di solito nell’immaginario collettivo una regione ove il mare la fa da padrone, non solo perché l’abbraccia, ma anche per il suo essere accogliente, trasparente e cristallino. Ma essa non è solo mare è anche “terra”: una terra ricca e feconda che dà ai suoi abitanti doni che il mondo invidia. Il turista che viene in Puglia è alla ricerca dei sapori, degli odori e dei colori, che poi lo accompagneranno nel ricordo, ma ancor prima di esso egli va alla ricerca di luoghi non contaminati, di difficile individuazione e che siano in grado di emozionarlo. Di seguito un susseguirsi di fotografie, come pietre miliari di un viaggio, che vuol invitare all’osservazione e alla scoperta di angoli inusuali. L’improvviso apparir di un campo di meloni e sullo sfondo una tipica masseria ci riempie l’animo di un senso di desolazione e abbandono, e straniti vorremmo capire il perché di questo stato di incuria.
Foto di Flavia Iandoli La tipicità di questo territorio si interrompe improvvisamente da un paesaggio quasi extraterrestre, che ritroviamo addentrandoci per un sentiero. Rimaniamo quindi abbagliati dai riflessi cromati di un antico giacimento di bauxite, che con le sue cangianti sfumature rosse sembra un lago di “sangue”.
I colori di questa zona accompagnano il turista sino alla costa ove su un promontorio si erge ”fiero” un torrione, forse un tempo adibito a difesa del territorio.
Anche la grandiosità di un ulivo cattura la nostra attenzione in mezzo a una terra bruna e arida: ma egli è fecondo, e i suoi rami hanno e danno frutti che l’uomo trasforma da secoli in “oro verde”.
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Risalendo verso il paese incontriamo una curiosa sequenza di sedie che si arrampicano sul castello aragonese, e gli conferiscono un’espressione onirica e surreale, ma non è nient’altro che il residuo di una mostra su Dalì.
All’imbrunire è piacevole ammirare dall’alto il bruli- ...oppure un insieme di pietre che sembrano dispochio dei turisti che si aggirano tra i vicoli alla ricerca ste lì per caso, ed invece, allungando lo sguardo, si di cibo e ristoro. scopre che sono la testimonianza di un grande passato romano.
Una bifora, un davanzale, un cesello attraggono Due verdi rami di foglie di fico d’india che si abbracl’occhio e mettono in luce un esempio di barocco ciano lasciano intravedere un suggestivo paesaggio leccese fuori via... costiero.
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Le mura di difesa di una città si aprono in un corri- .... cosi come il balcone cesellato che si propende doio che le accompagna e nascondono chissà quali sulla via e i cui scuri celano l’intimità della “familia”. segreti..
Una finestra ornata fa alzare lo sguardo e stupisce Il bianco delle mura riflette la luce di una calda estal’osservatore.... te e il vicolo con la sua penombra accoglie il viandante alla ricerca di una bottega artigiana, dove trovare qualche ricordo da portare a casa.
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Allo stesso modo, in uno dei tanti vicoli, è possibile Al bianco candore delle pareti esterne si contrappotrovare il proprio angolo di sosta lontano dalla ca- ne il grigio perla delle “chiancole; che contraddistinlura. guono uno dei luoghi più caratteristici della terra salentina.
E sulla strada del ritorno scorgiamo la “città bianca”, Ora non resta altro che andare alla scoperta di “queche si distingue per il candore abbagliante degli sta” puglia segreta colta dall’occhio di una giovane edifici intonacati a calce e per l’architettura medi- fotografa. BUON VIAGGIO terranea delle case che ricorda un presepe.
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L’asino di Martina di Franco Presicci Fu Franco Carrozzo, all’epoca comandante dei vigili urbani di Martina Franca, a dire all’amico d’infanzia giunto da Milano: “Se vuoi, un giorno ti porto alla masseria Russoli a vedere gli asini”. “Sì, grazie, ne ho sentito parlare spesso e so che sono dei veri campioni. Mi hanno detto che sono conosciuti in tutto il mondo, se non quanto Lino Banfi, quasi. Vedi, quando approdavo a Martina, mezzo secolo fa, osservavo sui sentieri erbosi tanti asini portarsi sul dorso il vecchio contadino o il carico di fascine destinate alla cucina monacale. Oggi i ragli sono soltanto un ricordo che
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genera malinconia. L’asino posso ammirarlo in cartolina: all’ombra dei trulli, quelle case con il tetto a cono di gelato e i palmenti trasformati in salottini; o legati al tronco di un ulivo saraceno, che sembra una colonna tortile. Ne ho visti due, che, separati dal muro a secco, si baciavano come innamorati”. Arrivò il giorno della visita. Macchina fotografica appesa al collo, pantaloncini, camicia bianca, una specie di parasole per cappello, occhiali scuri (accipicchia, che caldo!), c’infilammo nell’auto del comandante e via per la masseria, dove ci attendeva il guardiano. Si può anche non
credere, ma alla vista del primo asino, il capo, in prossimità del cancello aperto su uno spiazzo, provammo una certa emozione. Onore all’asino martinese. Persino gli stranieri riconoscono le sue virtù Nel giugno del ’97, il “The Mule Quartely Journal”, autorevole trimestrale della “British Mule Society”, che tra i soci vanta persino Carlo d’Inghilterra, ne pubblicò la storia. Da noi, esperti e appassionati riempiono pagine e pagine, con la preoccupazione per il rischio di estinzione che questo animale corre. Qualcuno, forse per invidia, potrà obiettare: “In Europa le razze asinine
apprezzate sono parecchie, perché parlare tanto di quella martinese?”. “Perché – risponde chi se ne intende – è al di sopra di tutte. Non per nulla veniva richiesta da ogni parte: dalla Bulgaria alla Polonia; dalla Cecoslovacchia all’India, all’Argentina, al Kenia…”. Qualche dato? Nel 1894 partirono per gli Usa una quarantina di esemplari; nel 1921 altrettanti per il Brasile. L’emigrazione continuò sostenuta negli anni successivi. Il tedesco Hagenbeck ai primi del ‘900 acquistava 20 asini all’anno. I francesi li preferivano a quelli del Poitou. Considerando le virtù di questo animale, il ministero dell’Agricoltura e Foreste, in collaborazione con quello della Guerra, decise di organizzarsi per controllare l’esportazione dei migliori elementi in Asia e in America. Nel ’26 vennero aperte stazioni di monta selezionate e fu istituito il Libro genealogico. E per incoraggiare la produzione di buoni stalloni sorsero rassegne con premiazioni e compravendite. Dal ’56 Martina ha la propria, che richiama un pubblico foltissimo da varie parti d’Italia e dall’estero. Animali di altissima qualità, dunque, rigorosamente selezionati. Vengono allevati allo stato semibrado nella settecentesca masseria Russoli, nei pressi di Crispiano – nel Tarantino – dove, con una convenzione tra la Regione Puglia, titolare della struttura, e la Forestale, venne inaugurato nell’80 il Centro per la conservazione genetica dell’asino di Martina Franca, proprio perché, dalla fine degli anni 70,
l’avvenire di questa progenie destava non pochi timori, anche per colpa della crisi del mercato scaturita dalla meccanizzazione delle campagne, che aveva messo a tappeto quasi tutti gli allevatori più significativi. La cura fu affidata, oltre che alla Forestale, a una commissione tecnica. Risultato: oggi l’allevamento conta un centinaio di elementi, che, iscritti al Registro anagrafico di razza, fanno bellissima figura nelle principali mostre del settore: a Verona, Città di Castello, Parigi. La masseria Russoli – 192 ettari tra boschi e macchia mediterranea - è spesso mèta di turisti soprattutto svizzeri. Fa loro da guida Anna De Marco, della Biblioteca “C. Natale” di Crispiano, che conosce bene le caratteristiche del prestigioso quadrupede: la resistenza alla sete, alla fame e al freddo; la sua probabile derivazione dalla stirpe Catalana, l’habitat, il temperamento piuttosto vivace, le doti morfologiche (altezza al garrese: 135 i maschi, 127 le femmine), la fronte piatta, il collo muscoloso, la groppa lunga e larga, il petto ampio, il mantello morello. La
femmina produce un latte che per la sua composizione si avvicina a quello umano e trova impiego anche nella cosmesi e nella confezione di alcuni insaccati. Una curiosità: il mulo della Prima guerra mondiale era il frutto dell’incrocio dell’asino di Martina con la cavalla murgese. All’amico d’infanzia il comandante Franco Carrozzo chiese un commento; mentre il guardiano, cappello di paglia, canotta nera, brache al ginocchio, faccia tonda, baffi discreti, si puntellava a un albero dal fusto biforcuto. “Ti faccio una confessione – la risposta -. Io amo l’asino; e mi dispiace sentire il suo nome affibbiato alle persone poco dotate. Perché l’asino è intelligente, infaticabile, tenace, servizievole. Si ribella quando non ha voglia di lavorare? Bene, compie un atto di dignità. Lo fanno gli uomini, perché non può farlo l’asinello?. Dedichiamogli un monumento. Se lo merita”. Carrozzo accarezzò un esemplare solitario, che ricambiò toccandolo con la bocca. “Sono mansueti, socievoli e belli”. Viva l’asino di Martina. Pagina 11
VIIa Edizione ECCELLENZE DI PUGLIA
Premio Ambasciatore di terre di Puglia 2012 di Agostino Picicco
La settima edizione del Premio Ambasciatore di Terre di Puglia, organizzata dall’Associazione Regionale Pugliesi con il patrocinio degli enti pubblici territoriali pugliesi e lombardi, e svoltasi a Milano il primo sabato di maggio, è stata un crescendo di emozioni, sfociate per tanti in evidente commozione. Il Premio, che costituisce un’occasione tanto attesa per vivere il trionfo della pugliesità a Milano e che migliora di anno in anno dal punto di vista organizzativo e qualitativo, questa volta ha avuto un netto salto di qualità. Abbandonata la pizzica, si sono esibiti sul palco i ballerini del Teatro La Scala con le coreografie del balletto “Emotion love” curato da Andrea Forte Calatti. Nello scenario suggestivo dei giardini della Provincia di Milano sono poi saliti sul palco i premiati di quest’anno: per la sezione economia, l’imprenditore salentino Quarta Caffè; per la cultura l’ente Festival della Valle d’Itria rappresentato dal Presidente Franco Punzi e dal direttore artistico Alberto Triola; per lo spettacolo l’attore Lino Banfi. A fare da corona ai premiati, circondati da numeroso
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pubblico in una mescolanza di diversi dialetti pugliesi e ripresi dalle telecamere di Telenorba, c’era un parterre di prima grandezza costituito da rappresentati degli enti territoriali, quasi un “abbraccio istituzionale” che le autorità hanno voluto tributare a questi emigranti tanto ben inseriti nel tessuto culturale, sociale ed economico di Milano. Presentati dalla giornalista televisiva Nicla Pastore, introdotti da Giuseppe Selvaggi, accolti da Dino Abbascià e da Annamaria Bernardini de Pace, sono saliti sul palco a presentare i premiati, tra gli altri, Livia Pomodoro presidente del Tribunale di Milano, Camillo de Milato, governatore del Forum delle Associazioni, l’attore Gerardo Placido, il pianista Sante Palumbo, i proff. Francesco Lenoci, Giacomo De Laurentis e Giancarlo Martella, il responsabile della comunicazione Giuseppe de Carlo, il presidente della Provincia di Milano Guido Podestà, il vice presidente Novo Umberto Maerna, per il comune di Milano l’assessore di origine pugliese Cristina Tajani, per la Regione Lombardia l’assessore Alessandro Colucci, Paolo Malena
segretario del Forum della Solidarietà, la giornalista Ornella Bongiorni e tutto il direttivo dell’Associazione Regionale Pugliesi. Articolati messaggi di saluto sono stati inviati dal Sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, e dall’Assessore della Regione Puglia per i Pugliesi nel mondo, Elena Gentile, che hanno evidenziato come la comunità pugliese sia una delle più numerose e antiche della città, degna di nota per una presenza che ha costituito, e continua a costituire, un elemento vivo e dinamico del tessuto produttivo e culturale cittadino e della regione d’origine. Poi, proprio per non dimenticare nessuno, dal prof. Paolo Rausa è stato ricordato l’attore Carmelo Bene, nel decimo anniversario della morte, e Giuseppe Girolamo, il batterista della nave Concordia, tragicamente scomparso durante il naufragio dell’isola del Giglio per cedere il suo posto sulla scialuppa di salvataggio a una bambina. Un gesto di dedizione, generosità ed altruismo che ha meritato un ricordo affettuoso. Ovviamente il premiato più atteso è stato Lino Banfi, accolto da una interminabile standing ova-
tion. Il Lino nazionale ha svolto un intervento a 360 gradi in un mix di grandi concetti tatticamente alternati a battute e barzellette: ha ripercorso le sue origini andriesi-canosine, gli anni della povertà e poi del successo. Ha ricordato il padre Riccardo, contadino ma ricco di saggezza e di buon cuore, e la madre che firmava con la croce. Ha ricordato gli anni a Milano. L’esperienza della fame, fame vera, gli ha fatto dire: “Per i bocconi che non ho mangiato, quasi a titolo di risarcimento, l’Università Bocconi dovrebbe darmi la laurea honoris causa”. Ha ribadito che i pugliesi rispetto agli altri meridionali hanno una marcia in più: sono tenaci e hanno grande flessibilità e capacità di adattamento. A dare conferma di ciò ha citato il fatto che il pugliese, rispetto alle altre pur nobili regioni, è in grado di parlare bene il dialetto milanese anche nelle sue espressioni più impronunciabili. Così il pugliese risulta ben inserito nel tessuto sociale della città: ha svolto l’acronimo UPIM come Unione Pugliesi Inseriti a Milano. Ha illustrato i suoi valori,
ha parlato della malattia della figlia, del valore dell’amicizia, della solidità della famiglia, del matrimonio. Significativo e commovente il racconto sull’udienza da lui avuta col papa per il cinquantesimo di matrimonio (a questo proposito ha fatto presente che anche lui lo scorso anno ha festeggiato i 150 anni: 50 di residenza a Roma più 50 di carriera più 50 di matrimonio). Ha detto delle seduzioni effimere del mondo dello spettacolo e del fatto che le ha sempre allontanate con serietà e rispetto per la famiglia e i figli. Poi ha ricevuto il Premio dalle mani dell’avv. Annamaria Bernardini de Pace e dal cav. Dino Abbascià, rispettivamente Presidente del Premio e della Giuria, premio raffigurante il faro di Santa Maria di Leuca, “luogo di incontro dei due mari pugliesi, vedetta di una terra protesa verso altre terre, simbolo della vocazione dei pugliesi all’accoglienza”, opera dell’artista pugliese Nande, ideatore e realizzatore del manufatto. Un’occasione unica aver premiato un Ambasciatore noto per l’umanità e il calore che lo ren-
dono indimenticabile protagonista del mondo dello spettacolo e simbolo di una pugliesità verace che ha contribuito a far conoscere nel mondo la nostra Regione. Negli intenti dell’organizzazione del Premio vi era quello di dimostrare che nelle difficoltà personali, nello smarrimento delle crisi di sistema c’è chi riesce a far emergere talenti, potenzialità, eccellenze, cercando di focalizzare obiettivi e indirizzi chiari verso cui tendere, avendo il coraggio di essere protagonisti del proprio futuro e impegnandosi a costruirlo in termini di conoscenza, crescita culturale, capacità di giocare bene le proprie carte.
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Pagina2012 15 Premio Ambasciatore di terre di Puglia
FESTIVAL DELLA VALLE D’ITRIA: UN SOGNO CHE INORGOGLISCE, EMOZIONA E COMMUOVE di Francesco Lenoci A Milano, nel 1947, due ragazzi di 26 e 28 anni, Giorgio Strehler e Paolo Grassi, inventarono un sogno: il Piccolo Teatro di Milano. A Martina Franca, nel 1975, un gruppo di appassionati musicofili, capeggiati da Alessandro Caroli, con il determinate supporto di Franco Punzi, allora Sindaco della Città Pugliese e di Paolo Grassi, all’epoca sovrintendente del Teatro alla Scala, inventarono un altro sogno: il Festival della Valle d’Itria. È proprio vero: “Se non si sogna, non si progetta. E se non si progetta, non si realizza”. È incredibile a dirsi ma, ogni anno, nel ricordo di Paolo Grassi, i due citati sogni annullano i 1.000 km che li separano e si uniscono. Ciò avviene ogni anno, senza soluzione di continuità, al punto che Sergio Escobar è solito dire: “Il Festival della Valle d’Itria è una costola del Piccolo Teatro di Milano. E il Piccolo Teatro di Milano è una costola del Festival della Valle d’Itria”. Il momento più significativo di tale unione si celebra in occasione della presentazione del Cartellone del Festival della Valle d’Itria, che da 38 anni avviene presso il Piccolo Teatro di Milano. Quest’anno la presentazione è avvenuta il 24 maggio. Tanti soci
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dell’Associazione Regionale Pugliesi, appassionati del Teatro d’Opera, erano lì ad ascoltare i messaggi lanciati da Franco Punzi e Alberto Triola, rispettivamente, Presidente e Direttore Artistico del Festival. Due volti a noi ben noti, anche perché la sera del 5 maggio l’Associazione Regionale Pugliesi di Milano ha consegnato nelle loro mani il Premio 2012 “Ambasciatore di Terre di Puglia” con la seguente motivazione: “La qualità delle proposte artistiche e l’elevato livello professionale e organizzativo fanno del Festival della Valle d’Itria una manifestazione di interesse internazionale contribuendo nei campi dell’arte, della musica e della cultura a far conoscere e apprezzare la Puglia ben oltre i confini nazionali”. E veniamo ai messaggi: ne scegliamo 3. Il primo messaggio, indirizzato alle nostre menti, ci ha fatto inorgoglire. “Gabriele Lavia inaugurerà il Festival 2012, curando la regia della prima opera in cartellone: l’Artaserse. Grandi ritorni, inter alia, quelli di Tiziana Fabbricini, Paolo Coni, Franco Fagioli e Edgardo Rocha. Tanti i debutti quest’anno a Martina Franca,tra cui spiccano i nomi di Jessica Pratt, Sonia Prina, Maria Grazia Schiavo e Simone Alberghini. Sul podio Corrado Rovaris, Jordi Bernàcer, Giacomo Sagripanti e Daniel Cohen. Attesi gli spettacoli di Roberto Recchia, Rosetta Cucchi e Fabio Ceresa, come pure il violino contemporaneo di Francesco D’Orazio e due promesse importanti: Saioa Hernandez, attesa protagonista di Zaira e Carlo Goldstein, direttore de L’Orfeo”. È di tutta evidenza che delle performance di tali artisti si parlerà in tut-
to il mondo. Il secondo messaggio è arrivato dritto ai nostri cuori, facendoci emozionare. “Tempi di crisi e di paure diffuse, di necessaria prudenza e di rinunce forzose, ma per un Festival che sente l’alto richiamo del servizio pubblico alla Cultura arretrare e chiudersi in difesa è una soluzione semplicemente non percorribile. Il Festival della Valle d’Itria accetta la sfida, nella convinzione che l’unica risposta possibile, per una società smarrita, sia stringersi intorno ai propri valori. E quindi rilancia, scommettendo sulla curiosità e qualità del suo pubblico, trovando coraggio nelle proprie radici e cercando di trasformarsi con sempre maggior convinzione in un laboratorio pubblico di idee, creatività, emozioni, dibattito”. A questo messaggio abbiamo associato in via immediata il pensiero di un grande Toscano, Cesare Brandi: “Martina Franca, capitale del rococò, è unica nel suo genere, con le sue decorazioni, con i suoi fregi, che la rendono un piccolo miracolo appartato e tranquillo, il riflesso tutto di fantasia d’una cultura per sentito dire, come fosse polline venuto da lontano, portato dal vento e lì caduto. C’è un clima che rende tutto possibile, persino incontrare in piazza qualche celebre musicista, come Paisiello o Mozart”. Il terzo messaggio ha riempito di gioia le nostre anime, facendoci commuovere. “Dal 14 luglio al 2
agosto 2012, nelle meravigliose cornici di Martina Franca, Cisternino e Noci, diciannove serate proporranno diversi scenari di incontro tra civiltà, in un caleidoscopio di aspetti e dimensioni, che esemplificano il tema del 38° Festival della Valle d’Itria “Il confine con l’Altro” con il linguaggio del teatro, della musica, della lirica e dell’emozione accostando: Contemporaneo e Barocco, Nord e Sud, Islam e Cristianesimo, Oriente e Occidente, Uomo e Donna. Ne dà testimonianza il meraviglioso manifesto del 38° Festival della Valle d’Itria, realizzato da Rafal Olbinski, che cerca di ricomporre parti del volto umano, diverse per razza e sesso”. A questo messaggio abbiamo associato il pensiero di un grande Pugliese, di un prossimo Santo, don Tonino Bello: “Il terzo millennio deve diventare il millennio dell’altro, di ogni altro, di tutti gli altri a cominciare da quelli del Sud del mondo, di ogni Sud, comprese le donne, compresi i giovani, compresi i bambini”. Sia lode e gloria al Festival della Valle d’Itria, un sogno pugliese-milanese che da 38 anni inorgoglisce, emoziona e commuove nel nome della Cultura. Anche nel terzo millennio è la Cultura che cambia il mondo, crea nuova mentalità, favorisce un nuovo stile. La Cultura rappresenta un obiettivo per realizzare il talento delle persone, dei giovani in particolare. Pagina 17
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RECENSIONE A CURA DI PAOLO RAUSA
“La primavera di Casanova”
il romanzo di Andrea Forte Calatti
“Il nostro Casanova è un essere perfetto, il cui impegno nel mondo è diffondere amore”: l’esordio di Andrea Forte Calatti, di professione creativo e regista. La presentazione “sensoriale” del libro avviene in un luogo e con modalità originali, una palestra. “Perché il movimento è la parte che smuove i sensi” – aggiunge, mentre il video di un balletto ritrae due ballerini che mimano l’eterno gioco dell’amore. Al termine la donna mangia delle ciliege, allusione al detto: “Le donne sono come le ciliege, più le mangi e più ne desideri mangiare”. Il gesto della donna è doppiato da Andrea Forte con l’offerta di chicchi d’uva caramellati in omaggio ai sensi della vista e del gusto. Le idee innovative non si fermano qui. Colpisce innanzitutto la rivisitazione del personaggio, che nel romanzo è donna, perché “il Casanova settecentesco corrisponde allo stereotipo della donna attuale”, alle sue qualità e ossessioni. Ma prima ancora l’autore vuole farci entrare nel personaggio “sensoriale”, facendoci assaporare i suoi gusti nelle prelibatezze culinarie: i gamberi sgusciati e crudi, le afrodisiache ostriche, servite con un calice di brut millesimato bianco, il paté abbinato al rasteau d’annata. I sensi si inebriano percorsi da un fremito di piacere, quando accostiamo alle narici un bastoncino intriso dal profumo di orchidea. Ora siamo pronti per entrare nel libro. Aprite ora i rubinetti dei sensi – stimola Andrea Forte -, predisponendovi ai successivi stati d’animo, alle sensazioni, ai sentimenti e alle emozioni. “Casanova era un maestro nell’aprire i sensi al piacere” – aggiunge. Tra un assaggio e l’altro le letture del romanzo ci riportano le avventure sentimentali delle due giovani
protagoniste, Sofia e Poline, belle e innamorate della vita fino allo stordimento dei sensi, che assistono all’opera di Guillame Apollinaire “Le Casanova parodique”. Il poeta scrisse il testo appena tornato dal fronte dopo la prima guerra mondiale e lo presentò al concorso del Municipio di Parigi, senza successo, perché giudicato troppo frivolo e vivace per quei tempi. La loro vita insegue il sogno casanoviano di vivere all’insegna della libertà nel pensiero e del libertinaggio nei costumi. Si amano e immaginano incontri peccaminosi nell’ambiente ovattato di un bagno turco. La nebbia offusca la mente e apre agli stimoli dell’amore totalizzante e selvaggio. I piani del racconto si sovrappongono in una sorta di gioco, tipico del metateatro, dove la rappresentazione guida i loro passi alla ricerca della pienezza vitale, estetica e sensuale, in un intreccio con la genesi dell’opera. Sono alla ricerca di un’ipotetica scenografia preparata dal pittore Salvator Dalì per la prima rappresentazione, peraltro mai avvenuta. Non mancano i colpi di scena. Bellino è in realtà Bellina, conquistato/a da Casanova, “perché Casanova non fa distinzione, per lui l’amore non ha sesso e non ha prigioni che lo incatenino!”. “Je suis fou, de plus fou!” – canta Casanova e quella passione d’amore esalta Poline. Sofia sente il profumo di orchidea che aleggia nell’aria, mentre Poline la seduce. “Il fiore di Casanova – pensa – un fiore ermafrodito…” Il Casanova cui aspirano le due giovani donne è un essere perfetto, il cui impegno nel mondo è diffondere amore e non sofferenza. E allora non resta che godere, “bere il senso della vita che la natura offre a chi le sa dimostrare di conoscere l’amore”. “Noi – esse si esaltano – siamo le Casanova dell’eternità!” Casanova era un goloso, non si faceva mancare i cioccolatini – ci riporta alla realtà Andrea Forte -, offrendoci al termine della presentazione, originale e suggestiva, il dolce ricordo dell’avventuriero che ha sedotto le giovani e belle protagoniste di questo libro, e ricordando che la libertà e il libertinaggio sono ancora oggi la cifra delle nostre aspirazioni smarrite. La primavera di Casanova, di Andrea Forte Calatti, La Memoria del Mondo Libreria editrice, Magenta, pp. 149, € 12,00.
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C’è ancora la Piazza?
Nulla sembra cambiato, ma tutto è diverso. di Giuseppe Selvaggi C’è ancora quello spazio dove la gente si incontrava, discuteva, litigava. Quando torno alla mia Bisceglie, la piazza è li apparentemente immutata. Cambia a seconda delle ore e dei suoi frequentatori. Diversa ogni volta agli occhi di chi per “cambio di residenza” la guarda avendo perso la memoria dei sui ritmi vitali. La piazza del mio paese e grande e vasta, ancora oggi gli anziani quando qualche giovinastro misericordioso lascia loro libere le panchine siedono a raccontarsi una vita, i bambini scorazzano e giocano felici ignorando l’immancabile cartello “vietato calpestare le aiuole” o “il decoro dei giardini è affidato all’educazione dei cittadini”, mamme distratte e incuranti lasciano fare e se qualcuno “fastidioso” eccepisce qualcosa immancabilmente viene fuori il classico : “sono pambbbbini” e poi se scocciate “nan si stot creatir pur ti, nan t arrcourd” (non sei stato bambino anche tu,non ti ricordi), a questo punto che dire …Quando ero ragazzo due signori in bicicletta e in divisa curavano che nessuno compisse atti di vandalismo
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e richiamava noi ragazzi al rispetto delle regole, li temevamo, erano la “legge” , oggi prenderebbero solo pernacchi. Da ragazzi ascoltavamo in religioso silenzio i discorsi dei vecchi, senza interromperli, i grandi dibattevano con i più giovani, fuori dai caffè ci si confrontava sulla superiorità calcistica,sulle storie dei padri e dei figli, sulle guerre dei nonni e le bravate dei nipoti. Poi, certo, ognuno passava la maggior parte del tempo con i suoi coetanei, ma i vasi erano ancora comunicanti. I nonni, che erano la saggezza e la memoria della comunità raccontavano per la centesima volte le loro antiche vicende, i nipoti ascoltavano, sbadigliavano, imparavano, e poi tra padri e figli si litigava di brutto su questioni politiche, sui principi, sulle scelte fondamentali. Con il tempo, crescendo e con una distorta idea di democrazia e libertà i giovani cominciarono ad ascoltare meno, dovevano dimostrare al vecchio di saperne di più, di volare più in alto, e si incrociavano i fioretti e le clave, la piazza diventava un campo di battaglia dove bisognava farsi onore. Le generazioni si mescolavano, parlavano con argomenti diversi la stessa lingua, si urtavano e si condizionavano
a vicenda. Tutti avevano qualcosa da insegnare e ognuno era convinto di non avere nulla da imparare. Oggi le piazze sono popolate da altri, genti nuove che occupano gli spazio che abbiamo lasciato, spesso disertate perché altri sono i luoghi di incontro sempre più spesso virtuali. La frattura tra generazioni sembra insanabile, i ventenni hanno la loro musica, i loro libri, le loro ossessioni, le loro fobie, i loro discorsi; i trentenni ne hanno completamente altri, i quarantenni altri ancora, e ognuno sembra voler vivere in una dimensione che comunica attraverso meccanismi escludenti. Ogni casa ha più di un televisore, e ognuno si chiude nel suo angolo a vedere il suo telefilm, il suo dibattito, i suoi cartoni, i suoi video musicali. Il confronto arretra, la solitudine avanza. Un amico, che ha una cattedra in una prestigiosa università estera, passando da Milano mi è venuto a trovare. Mi ha raccontato che gli era venuta voglia di soggiornare qualche giorno nel nostro paese d’origine, la sera ha fatto un giro in piazza convinto di incontrare qualche amico; vecchie care abitudini di quando non si sfuggiva al rito dello struscio. Ha visto in giro tanti giovani, tanta gente, tanti “estranei”, sconsolato mi ha riferito di aver incrociato lo sguardo in una vetrina
di qualcuno che gli ricordava qualcuno … era la sua immagine riflessa senza contorni ….. allora si è chiesto: la nostra generazione dove si è rifugiata? Caro amico, se ti fermi un po’ di più ti accorgi che in fondo non è cambiato nulla, siamo cambiati noi, siamo noi che siamo andati via, la piazza è rimasta li, ad attenderci. La prossima volta fai qualche telefonata e vedrai che amici panzuti e incanutiti non perderanno l’occasione per un “come eravamo”.
La Piazza del Borgo Questa piazza, così grande da essere tutto il mondo di giochi e di sogni, è qui con la corona di querce intorno, così uguali, da sembrare figlie di un solo seme, piena di volti senza tempo, figli della memoria, ai quali la ragnatela dei giorni, ha lasciato solo lo sguardo che illumina il ricordo dei nomi e delle ore senza ritorno. Questa piazza, dove gli sguardi si incrociano per amore, odio, invidia; dove la parola diventa la scure che divide o il filo che unisce; dove i figli seguono le orme dei padri segnando un solco di tradizione e di speranza, è la culla di tutte le delusioni che il tempo trascina verso la morte. E questi volti, spenti dal lavoro della terra sotto un sole patrigno, bagnati dal sudore e dalle lacrime, hanno già sembianze di ombre e anelano ad un riposo senza ritorno da quei cieli, azzurri, anche nell’ultimo sogno! Taranto, 15 – 16 Luglio 1992 Antonio Ricco Pagina 21
L’ ”eroe delle Volanti” ha la Puglia nel cuore Anche per il commissario Silvano Gattari è arrivato il momento della pensione. Lui sarebbe rimasto ancora al suo posto, continuando a prodigarsi per risolvere i problemi della gente; ma quando scoccano i sessant’anni bisogna lasciare. Lui lo ha fatto con malinconia. Incoraggiato da centinaia di colleghi, in divisa e in borghese, non solo di Milano, arrivati in via Fatebenefratelli all’ora stabilita per i saluti. In testa il questore Alessandro Marangoni e il prefetto Paolo Scarpis. Il questore di Brescia, Lucio Carluccio, come tanti altri, impossibilitati a venire per gli impegni legati al lavoro, ha inviato una lettera affettuosa. Il cronista Alberto Berticelli, del “Corriere della Sera”, ha parlato del festeggiato, del coraggio e dello zelo che ha dimostrato in tutte le occasioni, anche le più difficili e a volte pericolose. La sicurezza dei cittadini prima di tutto, anche a costo della propria vita. Era il motto di Silvano Gattari, uomo cordiale, colto, ottimo conversatore, professionalmente rigoroso, inflessibile e sempre schivo di vanterie. I fatti contavano per lui, non le parole. “Con i fatti e con l’esempio, si fanno osservare le regole”. Gattari la storia di Milano l’ha attraversata per quarant’anni. Ha conosciuto tante brave persone, ma anche criminali dalla scorza dura, pronti a sparare per uno sgarro o per sfuggire alla cattura. Ha ancora vivo il ricordo del 17 novembre ’76, quando, durante un tentativo di rapina in piazza Vetra, che nelle intenzioni doveva superare quelle di via Osoppo e del treno Glaskow-Londra, i banditi fecero fuoco all’impazzata, uccidendo il brigadiere Giovanni Ripani, appena sceso da un’auto della Volante con i colleghi Dante Romano e Domenico Fraina, mentre uno gridava: “Sbirro! Stavi cercando me? Sono qui, girati, sbirro!”. Quella mattina in piazza Vetra c’era anche Gattari, che della vittima era compagno di stanza. “Mi morì tra le braccia”, dice commuoPagina 22
di Franco Presicci vendosi. Erano anni violenti: le “binde” (rapine a mano armata) all’ordine del giorno, e gli omicidi pure. Parecchie le “gang”, capeggiate da uomini duri, spalleggiati da gregari ansiosi di fare carriera. Erano gli anni dei sequestri di persona: imprenditori, professionisti, commercianti sorpresi per strada, magari sottocasa, e tenuti prigionieri per mesi in camere
blindate. Le indagini erano estenuanti, richiedevano prudenza, acume, solida esperienza. In quegli anni si doveva inoltre fronteggiare il terrorismo, che era spietato, vigliacco. Rivediamo gli occhi sbarrati di Michele Tatulli, che la mattina dell’8 gennaio ’80 guidava la volantina del commissariato Ticinese sotto il ponte di via Schievano (con Tatulli i brigatisti crivellarono Antonio Cestari e Rocco Santoro). Il 27 gennaio ’69 una bomba era scoppiata davanti all’ufficio spagnolo del turismo in via Del Don, a Milano; il 5 aprile una carica esplosiva aveva danneggiato la galleria d’arte Gian Ferrari, in via Gesù, sempre nel capoluogo lombardo; e poi, oltre a mille altre distruzioni, scontri, agguati, rapimenti, gambizzazioni, omicidi. Dalle Br, Silvano Gattari, come altri, ricevette minacce. Temeva di essere una vittima designata. Poi i poliziotti arrivarono al
covo di via Lorenteggio e il telefono della sua abitazione si placò. Sono stati tanti i momenti di paura per Gattari. Un giorno un uomo deciso a togliersi la vita gli puntò la pistola al petto, disposto a premere il grilletto. Avere paura non vuol dire essere codardi. Quanto lavoro e quanto entusiasmo, quante notti passate a vegliare sulla città. “Si correva anche quando la chiamata sembrava poco credibile”. La strada era la sua casa. Mai un giorno di malattia. Nell’85 passò alla centrale operativa. Mentre la mala e la società cambiavano, e le bande venivano quasi tutte eliminate, i grandi “boss” rinchiusi in cella. Si fecero largo i cani sciolti, con le mani sporche di droga. Le banche si fortificavano, le oreficerie pure, e le batterie di “duristi” (rapinatori senza scrupoli) si attrezzavano a loro volta. Nato a Tolentino, la “Tolentinum” romana, in provincia di Macerata, il commissario Silvano Gattari ha detto addio alla questura lasciando dietro di sé il nomignolo che gli avevano affibbiato: “l’eroe delle Volanti”. Ma non si è messo in pantofole. Lavora alla Civis, vigilanza privata, e si occupa di sicurezza. Quando può torna alla sua culla o esplora la Puglia, che gli sta nel cuore. E’ un viaggiatore instancabile, attento agli usi e ai costumi dei luoghi che visita, ai paesaggi che ristorano lo spirito. “I nostri panorami sono tra i più belli del mondo”. Ama i castelli di Federico II, le viti che imperlano le nostre campagne, i cascinali, le masserie, i contadini che rivoltano le zolle, la pioggia che le disseta. Domanda: “Gattari, rimetterebbe la divisa?”. “La divisa inorgoglisce, certo, indossarla è un onore. Ma chi agisce per la legge non ne ha bisogno. Deve sentirsi, poliziotto. Sin da bambino volevo esserlo. Quello del poliziotto non é un mestiere, ma una missione”. Aveva 23 anni quando approdò alle Volanti. In via Fatebenefratelli. Oggi ne ha 61. Trentasei anni a Milano, che adora. Il cavalier Silvano Gattari è uscito dalla questura con il solito sorriso amabile, spontaneo, che questa volta mascherava un’emozione forte.
La leggenda delle Diomedèe orgoglio delle Isole Tremiti di Giacomo Metta
Con l’arrivo dell’estate, puntuale si ripresenta la voglia di vacanza, che ci consentirà di lasciarci alle nostre spalle, sia pure per qualche giorno, lo stress della città, la crisi economica, l’alto tasso di inflazione e di disoccupazione, l’alto costo della vita e soprattutto della spesa pubblica. Le occasioni non mancano. Anzi. E ciò vale non solo per i classici itinerari con destinazione località di mare o montagna o paradisi tropicali. Senza andare tanto lontano, una ghiotta prospettiva ci viene fornita dalle nostre isole Tremiti, nonostante la modesta richiesta di un euro, come tassa di sbarco, avanzata dall’attuale neo sindaco, Antonio Fantini. Avemmo già a scrivere di un nostro breve soggiorno su queste isole al nostro rientro da una fantastica vacanza sulla splendida costa ionica, un tempo fiorente striscia di terra di quella che fu la Magna Grecia. Vacanza, ancora oggi, tutta da ricordare per la sua aria che sa di rosmarino, di liquirizia e di finocchio selvatico, in cui ben si amalgama il frinire delle cicale proveniente dagli ulivi e dalle odorose ginestre; per il grecale che puntualmente ogni giorno, portando messaggi di terre lontane, viene a diluire la caligine delle ore più calde; per il mare di un verde smeraldo e di un azzurro intenso; per le assolate spiagge, prese oggi d’assalto da un turismo di massa; per il pesce freschissimo e per la cucina dai sapori antichi. Alle isole Tremiti, dette anche Diomedèe, vi giungiamo nelle prime ore del pomeriggio dopo un’ora circa di aliscafo, che ci deposita sul molo dell’isola di san Nicola, dove l’insegna che indica la mitica tomba di Diomede cattura subito la nostra attenzione. Diomede?! Si,si proprio lui, l’eroe acheo, figlio di Tideo, re dell’Etolia. L’eroe, al quale Omero dedica il quinto libro, forse uno dei più belli, dell’Iliade. L’eroe dalla figura poderosa, che come un torrente in piena si abbatte con furia selvaggia, dove più arde la battaglia, facendo strage di Troiani. L’eroe che con la sua lancia ferisce persino la dea Afrodite accorsa in aiuto di suo figlio Enea, e lo stesso dio Marte, che “colpito sot-
to il cinto dell’epa”, è costretto a salirsene dolorante all’Olimpo dopo aver emesso un urlo tale da gettare lo scompiglio tra le fila greche e troiane. L’eroe, che tornato a casa, dopo la distruzione di Troia, è costretto a riprendere, esule per sempre, la via del mare con i suoi fidi compagni d’armi, per sfuggire alla congiura omicida tramatagli da sua moglie Egialea e dal di lei amante, Comete. L’eroe, che dopo lungo peregrinare, approda - così ci tramanda Plinio - sulla nostra costa pugliese, stabilendosi sulle isole Tremiti, che in seguito accoglieranno la sua mitica sepoltura. Ecco poi l’isola di san Domino, Capraia, Cretaccio ed alcuni scogli che ne formano un mini arcipelago. E tutte, al nostro sguardo attonito, si rivelano subito in tutta la loro bellezza col fascino selvaggio della frastagliatissima costa, rupestre e a picco sul mare, orlata di amene spiaggette e di bellissime grotte, denominate delle Viole, del Bue Marino, delle Rondinelle, e col fascino suggestivo dei pini d’Aleppo, i
cui tortuosi rami, protesi nel vuoto, rilucono nel pulviscolo dorato dell’ultimo raggio di sole. Una meravigliosa scena che immerge il paesaggio in un tripudio di colori pastellati, anticipando il blu della notte. Ma la fama delle Tremiti non è legata soltanto a questa loro selvaggia bellezza o all’abbazia eretta dai Benedettini intorno al Mille, ricca di notevoli testimonianze storiche e politiche, bensì al mito di Diomede e alla presenza delle Diomedèe: grossi uccelli acquatici palmipedi dell’Ordine dei procellariformi, aventi livrea bianca sul petto e nerastra
blu sul dorso. Questa nostra rarissima e caratteristica specie (diomedea exulans o albatros urlatore), a differenza di altri uccelli della stessa Famiglia, che nidificano in colonie sulle isolette oceaniche dell’Emisfero australe, ha trovato qui il suo habitat naturale. Nidifica in colonia nella parte più alta e impervia della costa a picco sul mare dell’isola di san Domino. Si nutre di pesci e di notte riempie la scogliera di lamenti simili ai vagiti di un neonato. Non li udiamo in quella occasione. Maggiore fortuna l’abbiamo avuta quando ci siamo ritornati. E ciò, grazie a Federico Greco, un isolano doc, figlio del guardiano del faro, nonché grande conoscitore delle Tremiti e delle Diomedèe. Chi meglio di lui può condurci per mano nel loro fantastico mondo? E’ quasi mezzanotte. Sopra di noi incombe un cielo stellato senza luna. Condizione ideale per udire il loro canto. Lasciato a un certo punto il fuoristrada, con la nostra eccezionale guida ci inoltriamo nella fitta macchia mediterranea, che ci riporta il piacevole profumo del rosmarino, del finocchio selvatico e delle ginestre della vacanza ionica. Percorriamo un lungo impervio sentiero, incespicando tra i cespugli, alla luce incerta di una torcia, gestita da Alessandro, figlioletto del signor Greco. Eccoci finalmente sull’orlo di un precipizio. La costa in questo punto è alta un centinaio di metri. E’ a picco sul mare. Spenta la torcia, ci acquattiamo. Quasi trattenendo il respiro. Uno...due...tre...mille gemiti, simili a vagiti di neonati, lacerano il silenzio che ci circonda. La scogliera ne è piena. Pare che questa dia asilo a tanti, tantissimi neonati, quivi abbandonati da madri snaturate. E invece sono loro che si lamentano: le Diomedèe, sotto le cui sembianze si celano, per volere di Afrodite, i fidi compagni d’armi dell’eroe greco Diomede, quivi prematuramente scomparso. E questi, nelle notti senza luna, continuano a piangerlo, vegliandone il sonno eterno. Sono sensazioni che catturano la fantasia e ti proiettano in un mondo in cui il mito si mescola alla leggenda ed allora ci si perde in svolazzi di memorie omeriche.
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Il mare pugliese è sempre più blu di Antonia Scarciglia
La Bandiera Blu è un riconoscimento internazionale, istituito nel 1987 Anno europeo dell’Ambiente, che viene assegnato ogni anno in 41 paesi, inizialmente solo europei, più recentemente anche extra-europei, con il supporto e la partecipazione delle due agenzie dell’ONU: UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente) e UNWTO (Organizzazione Mondiale del Turismo) con cui la FEE ha sottoscritto un Protocollo di partnership globale. Anche quest’anno, la Puglia ha ottenuto gli ambiti riconoscimenti che si attendeva. Grazie al suo impegno a livello ambientale per la tutela del mare, la Puglia può sventolare le sue bandiere, che quest’anno sono dieci. Una in provincia di Foggia, Rodi Garganico, e una tarantina, Ginosa-Marina di Ginosa. Due sono le premiate baresi (Polignano
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a Mare, Monopoli-Lido Rosso/Castello S.Stefano/ Capitolo); due brindisine (Fasano e Ostuni); tre le leccesi (Melendugno, Salve e Castro). Tutte conferme, fatta eccezione per Monopoli, new entry del 2012. Tra i criteri di giudizio utilizzati per l’assegnazione dei riconoscimenti priorità assoluta ha avuto quello dell’educazione ambientale e gestione del territorio. Tra gli indicatori la presenza di impianti di depurazione funzionanti, la gestione dei rifiuti con particolare attenzione alla raccolta differenziata e al ciclo dei rifiuti pericolosi, gli accessi al mare per tutti e la cura dell’arredo urbano. Il mare è sempre più blu come il colore delle bandiere che certificano la bontà delle nostre spiagge. L’ambito riconoscimento è la conferma di come in Puglia si sia ormai delineata una vera e propria strategia turistica il cui elemento qualitativo è in costante crescita, per ottenere un maggiore appeal presso i turisti stranieri, le cui presenze sono ancora al di sotto del notevole potenziale. Da notare che, con l’assegnazione delle Bandiere Blu 2012, Monopoli ottiene per la prima volta l’ambito riconoscimento, mentre Polignano ottiene conferma per il quinto anno consecutivo. Amici, diciamolo tra di noi, la Puglia merita di più.