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NORMATIVA

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MONDO ASSOCIAZIONE

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IL CONTROLLO A DISTANZA DEI LAVORATORI TRA VIDEOSORVEGLIANZA E SISTEMI DI LAVORO AUTOMATIZZATI

NELL’ERA DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE, IL BILANCIAMENTO TRA IL POTERE DI CONTROLLO DEL DATORE DI LAVORO CHE AFFONDA LE PROPRIE RADICI NELLA LIBERTÀ DI INIZIATIVA ECONOMICA E LA NECESSITÀ CHE QUESTO SIA ESERCITATO IN UN’OTTICA SOLIDARISTICA DI TUTELA DEL LAVORATORE ANCHE NEL RISPETTO DEL CODICE

PRIVACY, HA SUBÌTO FORTI STRAVOLGIMENTI A SEGUITO DELL’INTRODUZIONE, NEL MODO DELL’IMPRENDITORIA, DI TECNOLOGIE SEMPRE PIÙ AVANZATE. IN PARTICOLARE, DUE CASI GIUDIZIARI RECENTI HANNO AFFRONTATO IL TEMA DEL CONTROLLO A DISTANZA DEI LAVORATORI.

E. PIERONI

Una prima pronuncia affronta il tema della sussistenza appalto genuino (o, al contrario, di interposizione di manodopera), quando l’indice della subordinazione diventa quello macchina-uomo.

Il Giudice del lavoro del Tribunale di Padova, in una recente sentenza del 16 luglio scorso, è entrato nel merito delle modalità di gestione dei magazzini di logistica e dei “picker” (gli addetti alla movimentazione della merce e dei carichi) con i nuovi moderni strumenti elettronici e software che nel corso degli anni hanno modificato radicalmente il modo di operare. Nel caso di specie, alcuni lavoratori, pur essendo formalmente assunti alle dipendenze di una A. NETTI

cooperativa, chiedevano il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato in capo alla committente, che impartiva le direttive sia attraverso un terminale mobile di cui disponevano i lavoratori sia a voce, tramite un collegamento mediante cuffie e microfono.

Il Giudice non ha ritenuto sufficiente un regolare contratto di appalto, in quanto il sistema informatico del committente ed i relativi controlli e dati forniti da detti strumenti di fatto avevano determinato l’inserimento dei lavoratori in appalto di logistica nell’organizzazione imprenditoriale dell’impresa committente. “Risulta dalle prove assunte che l’organizzazione del lavoro era in tutto

automatizzata e il software attraverso il quale si realizzava tale automazione era nella disponibilità esclusiva del Committente. (…) Un concetto di subordinazione che si imperni sulla nozione di eterodirezione del lavoro deve inevitabilmente tenere conto dell’evoluzione tecnologica, che ha reso in molti settori obsoleta la relazione da superiore a subordinato, rimettendo alle macchine di guidare il processo produttivo”. Inoltre, il Committente “non ha allegato alcuna policy interna che specificasse le ragioni per le quali si disponeva di tali dati (le asserite ragioni contabili potendo essere soddisfatte anche mediante la registrazione in anonimo delle operazioni), le funzioni direttive interne autorizzate ad acquisirle, i modi e i tempi della loro conservazione, né ha allegato di avere dato comunicazione a Popular (Appaltatore), o tramite essa agli stessi lavoratori, della disponibilità di tali dati, attinenti alla loro prestazione lavorativa. Tantomeno si è preoccupata di richiedere a Popular di munirsi di un’autorizzazione sindacale o amministrativa al trattamento dei dati”.

Ancor più di rilievo, anche per il settore del vending, è il secondo caso, che affronta il tema della videosorveglianza.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con la sentenza del 17 ottobre 2019 sul caso Lòpez Ribalda e altri contro Spagna (ricorsi 1874/13 e 8567/13), ha respinto il ricorso presentato da cinque lavoratori spagnoli, i cui licenziamenti erano stati considerati legittimi dal giudice nazionale sebbene basati sulle registrazioni di telecamere nascoste. Il datore di lavoro -un supermercato spagnolo- avendo rilevato ammanchi considerevoli di magazzino per circa 80mila euro, aveva installato alcune telecamere nascoste, senza preventiva autorizzazione amministrativa e senza che i lavoratori interessati -addetti alle casse e alle vendite- ne fossero informati. Per la Corte europea, le decisioni del Tribunale non hanno leso i diritti al rispetto dei lavoratori. In altre parole, sarebbero stati attentamente bilanciati i diritti dei dipendenti sospettati di furto e quelli del datore di lavoro, i cui ragionevoli sospetti rendevano legittimo l’utilizzo di impianti di controllo a distanza senza notifica preventiva. Nel caso di specie, ha osservato la Grand Chamber, la misura adottata dal datore di lavoro risultava proporzionata alla tutela della privacy che un dipendente poteva ragionevolmente aspettarsi, la quale è molto elevata nei luoghi di natura privata ma è grandemente inferiore in luoghi aperti al pubblico e con un contatto permanente con i clienti. Inoltre, l’estensione temporale della misura era stata molto breve ed era cessata non appena i dipendenti responsabili erano stati identificati. Ben più prudente e ancorata al caso concreto è la posizione del Garante della Privacy italiano, il quale - pur condividendo i principi espressi nella sentenza- ha riaffermato il principio di proporzionalità come requisito essenziale di legittimazione dei controlli in ambito lavorativo. L’utilizzo di telecamere nascoste sul luogo di lavoro è stata infatti ritenuta ammissibile dalla Corte solo perché, nel caso che le era stato sottoposto, ricorrevano determinati presupposti: vi erano fondati e ragionevoli sospetti di furti commessi dai lavoratori ai danni del patrimonio aziendale, l’area oggetto di ripresa era circoscritta, le videocamere erano state in funzione per un periodo limitato, non era possibile ricorrere a mezzi alternativi e le immagini captate erano state utilizzate solo ai fini della prova dei furti commessi. In definitiva, ha dichiarato il Garante, “la videosorveglianza occulta è ammessa solo in quanto extrema ratio, a fronte di gravi illeciti e con modalità spazio-tem porali tali da limitare al massimo l’incidenza del controllo sul lavoratore”. È lecito domandarsi, a questo punto, quali potrebbero essere le ricadute della sentenza della Corte EDU nel nostro Paese.

Come noto, con l’entrata in vigore del Jobs Act il controllo a distanza dello svolgimento dell’attività dei lavoratori e il legittimo utilizzo del trattamento dei dati vengono disciplinati a seconda dello strumento di acquisizione dei dati utilizzato. Si tratta di vincoli posti all’attività di vigilanza del datore di lavoro, fra il potere di controllo e la disciplina della privacy. L’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, rubricato Impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo, prevede al primo comma che gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale, previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. Il secondo comma pone una deroga alla necessità della preventiva autorizzazione agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze. Anche alla luce del nuovo testo, quindi, è possibile sostenere che la finalità di tutela del patrimonio aziendale menzionata dal nuovo primo comma sia da intendersi come necessità generica di protezione nei confronti di una generalità di atti illeciti e di soggetti che possano commetterli.

Cosa succede, invece, quando tramite un impianto di videosorveglianza il Datore di Lavoro viene in possesso di dati ulteriori, ad esempio relativi a propri dipendenti che pongono in essere condotte illecite? Si andrebbe oltre il principio di finalità di protezione dei dati personali, sulla base del quale la finalità del trattamento va resa nota all’interessato prima della raccolta dei dati attraverso una completa informativa. Ciò in quanto l’impianto di videosorveglianza verrebbe utilizzato non tanto e non solo ai fini della tutela del patrimonio aziendale ma per il controllo a distanza dei lavoratori e magari anche per avviare nei loro confronti procedure disciplinari. A maggior ragione, quando si tratta di un luogo dove il Datore di Lavoro non ha precedentemente installato telecamere ma, come nel caso spagnolo, ha intenzione di installarle successivamente ai fini dell’accertamento di condotte illecite.

Nell’ambito del vending, in particolare, pensiamo proprio al caso in cui il Datore di Lavoro abbia acquisito elementi (segnalazioni, dati contabili ecc.) che legittimano il sospetto che un proprio Dipendente sia responsabile di ammanchi di denaro nei distributori automatici da rifornire presso la clientela. In tale ipotesi, ci insegna la sentenza CEDU richiamata che l’esigenza di bilanciamento dei diritti del Datore di Lavoro e i diritti dei Lavoratori, potrebbe astrattamente ipotizzarsi attraverso l’installazione di telecamere mirate, in aree riservate dei distributori automatici che riprendano esclusivamente la cassetta de gli incassi e per un arco di tempo ristretto, strettamente necessario all’accertamento della condotta. In conclusione, quel che è certo anche alla luce degli ultimi approdi giurisprudenziali, è che quando parliamo di tutela della proprietà e di diritti del lavoratore non possono fornirsi soluzioni generalizzate o interpretazioni estensive bensì, una possibile soluzione va attentamente ponderata al caso concreto.

il 2020 sarà un anno critico per molte gestioni del vending con sfide sempre più impegnative da superare: • IPERAMMORTAMENTO INDUSTRIA 4.0 • RIDUZIONE DEI MARGINI OPERATIVI • PROBABILE AUMENTO IVA SUI CORRISPETTIVI • BANDO O RIDUZIONE DI ALCUNI PRODOTTI MONOUSO IN PLASTICA • ALIMENTI E BEVANDE SENZA ZUCCHERO NELLE SCUOLE

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TRANSIZIONE 4.0 ARRIVA IL CREDITO D’IMPOSTA. COME CAMBIA L’IPERAMMORTAMENTO NEL 2020

I DATI A CONSUNTIVO DEL PIANO IMPRESA 4.0 (SUL 2017) HANNO RIVELATO NUMEROSE CRITICITÀ E ALCUNI LIMITI. A FRONTE DI UN VALORE COMPLESSIVO DEGLI INVESTIMENTI IN BENI MATERIALI E IMMATERIALI PARI A CIRCA 13,3 MILIARDI DI EURO, DI CUI 10 MILIARDI D’INVESTIMENTI IN BENI MATERIALI E 3,3 MILIARDI IN BENI IMMATERIALI, I PRINCIPALI

BENEFICIARI DEGLI INCENTIVI 4.0 SONO STATE LE MEDIE E GRANDI IMPRESE ITALIANE CON UNA QUOTA PARI AL 64%; SOLO 95 IMPRESE IN ITALIA HANNO EFFETTUATO INVESTIMENTI IN BENI MATERIALI DI VALORE SUPERIORE AI 10 MILIONI DI EURO E SOLAMENTE 233 IMPRESE HANNO INTRAPRESO PROGETTI DI R&S DI VALORE SUPERIORE AI 3 MILIONI DI EURO.

IL PIANO TRANSIZIONE 4.0 Si è quindi pensato di attuare un nuovo assetto degli incentivi 4.0, secondo una proposta emersa dal tavolo “TRANSIZIONE 4.0” tenutosi fra il MISE e le associazioni imprenditoriali.

Le misure agevolative per le imprese delineano una politica industriale nazionale ispirata a nuove direttrici: maggiore stabilità tramite una programmazione pluriennale degli incentivi, ampliamento della platea dei soggetti beneficiari a favore delle piccole e medie imprese e attenzione ai temi dell’ecosostenibilità ambientale.

Il disegno di Legge di Bilancio 2020, approvato in via definitiva dalla Camera alla fine di dicembre, ridefinisce quindi la disciplina degli incentivi fiscali previsti dal Piano nazionale Impresa 4.0 al fine di sostenere più efficacemente il processo di transizione digitale delle imprese anche di piccole dimensioni, con un focus sull’ecosostenibilità ambientale.

Gli obiettivi del Piano Transizione 4.0 sono: • programmazione della revisione delle misure in ottica pluriennale, così da garantire alle imprese una pianificazione degli investimenti 4.0 di medio-lungo periodo;

• modifica dei canali di accesso al mondo 4.0, attribuendo al credito d’imposta R&S un ruolo principale; • estensione della platea delle imprese beneficiarie verso le Pmi e accelerazione dei tempi di fruizione, tramite trasformazione dell’iper e super ammortamento in crediti d’imposta; • incremento della quota di investimenti in beni immateriali, tramite aumento dell’intensità dell’iper ammortamento e tramite eliminazione del vincolo di subordinazione all’acquisto di un bene materiale agevolabile; • valorizzazione del made in Italy, attraverso una maggiore attenzione all’innovazione, agli investimenti green e alle attività di design; • attribuzione di un ruolo di primo piano ad innovazione sostenibile, ricerca, sviluppo e formazione.

L’INCENTIVO 2020 PER IL VENDING

Ecco nel dettaglio quali modifiche alla disciplina degli incentivi fiscali previsti dal Piano nazionale Impresa 4.0 contiene il disegno di Legge di Bilancio 2020.

• Trasformazione dell’iperammortamento da variazioni fiscali a credito d’imposta

La novità prevede il riconoscimento di un credito d’imposta per le imprese che effettuano investimenti in beni strumentali nuovi destinati a strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato a partire dal 01.01.2020 fino al 31.12.2020, con proroga al 30.06.2021 a condizione che l’ordine risulti accettato dal fornitore e che sia versato un acconto pari ad almeno il 20% del costo di acquisizione. L’agevolazione non consiste più in un incremento delle quote di ammortamento dei beni, ma in un credito d’imposta utilizzabile in compensazione tramite modello F24. Hanno accesso al credito d’imposta sia gli investimenti in beni materiali (distributori automatici), sia gli investimenti in beni immateriali nuovi strumentali all’esercizio d’impresa (software, sistemi, piattaforme, applicazioni). L’incentivo ha sostituito la precedente disciplina dell’iperammortamento che riconosceva una maggiorazione del costo di acquisizione, permettendo una maggiore deduzione di quote di ammortamento e canoni di leasing. La misura dell’agevolazione è diversa a seconda della tipologia dei beni oggetto dell’investimento:

1) per i beni materiali funzionali alla trasformazione tecnologica e digitale delle imprese secondo il modello “Industria 4.0” (i distributori automatici), il credito d’imposta è pari • al 40% del costo per investimenti fino a 2,5 milioni di euro • al 20% del costo, per la quota eccedente e fino al limite massimo di 10 milioni di euro

2) per i beni immateriali connessi a investimenti in beni materiali “Industria 4.0”, il credito d’imposta è pari al 15%, nel limite massimo di 700 mila euro di costi ammissibili per singola impresa (in pratica anche il superammortamento per i beni immateriali viene trasformato in credito d’imposta). 3) per beni diversi da quelli di cui ai due punti precedenti, il credito d’imposta è pari al 6% del costo, nel tetto di 2 milioni di costi ammissibili.

Il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione, in cinque quote annuali di pari importo (ridotte a tre quote annuali di pari importo per gli investimenti in beni immateriali) e non può essere ceduto o trasferito, neppure all’interno del consolidato fiscale. La fruizione può avvenire a decorrere dall’anno successivo a quello dell’avvenuta interconnessione dei beni al sistema aziendale di gestione della produzione o alla rete di fornitura, per gli investimenti in beni “Industria 4.0”. Dall’anno successivo a quello di entrata in funzione dei beni, per gli investimenti in beni diversi da quelli “Industria 4.0”. Le imprese sono tenute a produrre una perizia tecnica semplice rilasciata da un ingegnere o da un perito industriale iscritti nei rispettivi albi professionali o un attestato di conformità rilasciato da un ente di certificazione accreditato, da cui risulti che i beni possiedono caratteristiche tecniche tali da includerli negli elenchi degli ormai noti allegati A e B annessi alla legge n. 232 del 2016 e sono interconnessi al sistema aziendale di gestione della produzione o alla rete di fornitura per i beni di costo unitario di acquisizione superiore a 300.000 euro (in precedenza il limite era di 500.000 euro).

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