Memorie dal Futuro. Katja Loher e Dario Tironi

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Katja Loher Dario Tironi

Memorie dal Futuro Katja Loher e Dario Tironi

A cura di Marina Pizziolo

In copertina

Katja Loher, Transparent Treshold, 2023

Dario Tironi, Senza titolo, 2021

Progetto grafico

Romano Ravasio

Impaginazione

Francesca Benetti

Fotografie

Jairo Trimeloni, Irisdesign.it

Simone Montanari (pp. 65-68)

Kurt McVey (p. 60)

Jhony Robayo (pp. 59 e 62)

Andrea Grasso (p. 63)

Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore.

© 2023 EdiXion, Dubai

Tutti i diritti riservati

Finito di stampare nel mese di agosto 2023 a cura di EdiXion, Dubai

Printed in Italy

www.edixion.ae

Memorie dal Futuro

Katja Loher e Dario Tironi

Castello Scaligero, Malcesine

22 aprile – 29 ottobre 2023

Mostra a cura di Marina Pizziolo e Romano Ravasio

In collaborazione con Artconsulting.net

EdiXion

Kromya Art Gallery, Verona

Ufficio Stampa CSArt

Coordinamento

Livio Concini, vice sindaco di Malcesine

Ufficio Turismo di Malcesine

Traduzioni

Isobel Butters

Performance Katja Loher

Francine Hoenner

Assicurazioni

Itas Mutua

EdiXion pubblica libri digitali fatti di idee, non di carta.

Sono state stampate solo 200 copie di questo libro e in cambio abbiamo piantato un albero insieme ai bambini di Malcesine. Speriamo che quest’albero cresca con loro, per ricordare che insieme possiamo fare la differenza.

In occasione della chiusura della mostra verranno coniati 10 NFT.

Ringraziamenti

Roberto Bertuzzi

Giorgio Ferrarin

Alessia Giglio Zanetti

Francine Hoenner

Luisa Marangoni

Andrea Romani

Chiara Serri

Riccardo Steccanella

Tutto il personale del Comune di Malcesine

che ha in vario modo collaborato alla mostra.

Katja Loher desidera ringraziare il suo Team

Architetture: Andrea Liberni

Audio Design: Juan Pablo Beltran

Glass Artist: Michiko Sakano

Testi poetici: Gian-Maria Annovi

Fabbricazione sculture: Luca Stella

Filmati subacquei: Jhony Robayo

Filmati al microscopio: Katja Peijnenburg

Assistente: Colin Bedertscher

Coreografie: Sylvie Chen e Lukas Bisculm

Danza contemporanea: Francine Hoenner, David Dragan e Antoinette Berta

Costumi: Manon Niffeler

Styling e Make Up: Silja Scheuring

L’Amministrazione Comunale ha accolto con entusiasmo la proposta di allestire al Castello Scaligero di Malcesine un’installazione immersiva realizzata da Katja Loher e nove grandi sculture di Dario Tironi, per la loro attualità e sensibilità alla questione ambientale. Le opere di questi artisti invitano a riflettere sul nostro futuro minacciato dal comportamento irresponsabile dell’uomo che sta intervenendo profondamente sui cicli dell’intera biosfera.

Il Castello Scaligero, luogo ricco di storia, rappresenta la cornice ideale per accogliere opere d’arte volte al futuro, perché il tempo è una linea continua e sta a noi, donne e uomini del presente, lavorare insieme per costruire un futuro migliore.

Livio Concini

Assessore alla Cultura del Comune di Malcesine

Comune di Malcesine

Marina Pizziolo 17 Memories from the Future

Marina Pizziolo

Opere

Katja Loher

Dario Tironi

Apparati 58 Katja Loher

Nota biografica, autoritratto, principali mostre 64 Dario Tironi

Nota biografica, autoritratto, principali mostre

Memorie dal Futuro

Ogni giorno assistiamo allo stesso delitto, che si ripete a ogni notiziario: l’uccisione della storia. La trasmissione in tempo reale di quello che succede in ogni angolo del mondo uccide la storia, che è racconto ragionato del passato. Perché se non c’è una pausa tra il fatto e la notizia, se non c’è spazio per il ricordo, che è filtro necessario per riuscire a leggere ciò che è stato, il passato mantiene la stessa trama disordinata del divenire. È un po’ quello che succede con le migliaia di fotografie che si accumulano nei nostri cellulari. Una volta l’album di fotografie ci restituiva la storia della nostra vita, di quella della nostra famiglia, oggi fotografiamo tutto, ma non ricordiamo più niente. Allo stesso modo, la continua pioggia di notizie ci impedisce di tessere il filo della successione degli accadimenti in preziosa filigrana, capace di farci cogliere il disegno di quello che è stato: indispensabile premessa per tentare di disegnare quello che sarà. Un duplice assassinio, perché non è solo la storia a essere uccisa: anche il futuro non è più quello di una volta. Il futuro non è più il territorio del sogno, dell’ignoto, oscuro spazio da divinare. È diventato la fitta trama di previsioni scientifiche. Un mare solcato da troppe navi per lasciare spazio a un tuffo nella profondità delle cose.

La scienza continua a urlare di fermarci. Ormai sembra che non ci siano più dubbi, stiamo per raggiungere il punto in cui l’alterazione dell’equilibrio del nostro ambiente sarà irreversibile. La cosa dovrebbe preoccupare anche i più strenui negazionisti di questa catastrofe annunciata, perché in realtà non stiamo distruggendo la terra, stiamo distruggendo la nostra possibilità di vivere sulla terra. Perché il pianeta azzurro potrà magari cambiare colore, ma continuerà a esistere. L’aria potrà perdere ossigeno, ma si arricchirà di qualcos’altro: anidride carbonica, azoto o argon. Siamo noi che non potremo più respirare. Eppure continuiamo la nostra corsa irresponsabile, continuiamo a comprare cose che non ci servono o di cui potremo fare facilmente a meno. Continuiamo a sperperare, contaminare: distruggere. Nell’illusione che tanto il punto di non ritorno sia sempre un po’ più in là. Non oggi, domani, in quel futuro che non è mai stato così prossimo. Gli scienziati gridano, ma forse proprio per questo non riusciamo più a sentirli. Aggrediti dalle loro minacce, dalle loro invocate apocalissi, ci sentiamo legittimati a far finta di niente. Ogni anno, ogni cittadino europeo produce in media mezza tonnellata di rifiuti. Ma noi, nascosti nel migliore dei casi dietro l’alibi di una meticolosa raccolta differenziata, continuiamo a comportarci come se i rifiuti, una volta buttati fuori delle nostre case, smettessero magicamente di esistere. Ci hanno fatto vedere isole di plastica alla deriva negli oceani. Ci hanno spiegato che lo scioglimento delle calotte polari farà scomparire migliaia di chilometri di costa, comprese intere città. Ci hanno dimostrato che lo sterminio delle api provocherà una catastrofe alimentare. Non è bastato. C’è una terza vittima, dopo la storia e il futuro, il nostro buon senso, ucciso dal fuoco amico della raffica di informazioni.

Marina Pizziolo

Ecco perché il lavoro degli artisti è diventato ancora più importante. Gli artisti non minacciano, non dimostrano, non spiegano. Eppure riescono a comunicare con noi attraverso la potenza delle loro suggestioni, capaci di risvegliare la nostra sensibilità. Creano opere servendosi dei materiali più eterogenei, seguendo solo la trama delle loro emozioni, dei loro pensieri, senza ubbidire a nessuna necessità produttiva. E così ci raccontano delle storie. Ed è grazie a queste storie che improvvisamente torniamo a sentire: il rumore delle montagne di rifiuti che crescono attorno a noi, il canto segreto delle cose, la meraviglia di vite invisibili, ma non per questo meno importanti della nostra.

È solo dalla rivoluzione impressionista che gli artisti hanno rivendicato la loro libertà espressiva, che non si sono più accontentati di raccontare le storie dei potenti, del cielo o della terra, e hanno rivendicato finalmente il diritto di raccontare le loro storie. Sono saliti sulle barricate della modernità per difendere le loro idee e dare loro forma programmatica nella novità dei manifesti che si sono succeduti lungo i dossi della prima metà del Novecento. Poi, dopo le catastrofi ideologiche che hanno ammantato di nero il mondo, c’è stata l’abiura degli ideali, anche estetici, e l’arte si è rifugiata nella silenziosa esplorazione della forma. Ma anche questi potenti scandagli sono stati presto accantonati. L’accelerazione del tempo collettivo e individuale ha portato a un andirivieni tra passato e futuro, il nomadismo espressivo è diventata libertà di contaminare e citare, in un vuoto ideale rivendicato come spazio di sperimentazione. Ma se è vero che i sogni collettivi sono pericolosi, è anche vero che un artista che non sa sognare è già morto. Il mondo ha bisogno dell’arte come del più potente degli afrodisiaci, capace di farci ancora innamorare della vita.

I lavori di Katja Loher e Dario Tironi sono perfette macchine poetiche, generatrici di storie che sanno parlare alla parte più innocente di noi, a quello che una volta, senza vergogna, si chiamava cuore. In un affascinante corto circuito temporale, le opere di Katja Loher e Dario Tironi sono potenti “Memorie dal Futuro”. Un futuro al quale gli scienziati guardano con apprensione, ma che possiamo ancora modificare con le nostre scelte e i nostri comportamenti, trasformando l’allarme scientifico in un presagio smentito.

La mostra al Castello di Malcesine è articolata in due parti. Negli spazi esterni del castello e nella Casermetta veneziana sono collocate nove grandi sculture di Dario Tironi, mentre la Sala Labia accoglie un’installazione immersiva realizzata da Katja Loher. La mostra è anche una metafora del diverso modo, maschile e femminile, di affrontare lo spazio. Le sculture di Dario Tironi si avventurano sui bastioni del castello, preparano agguati imprevisti, sfidano la maestosità del paesaggio. Katja Loher invece crea nella Sala Labia un ambiente uterino, dove pulsa la vita invisibile del mare.

La difesa dell’ambiente assume nei lavori di Katja Loher le forme di un’ispirata magia. Partendo da verità scientifiche, l’artista riesce a dare vita a opere d’arte che si servono di un linguaggio estetico magnetico e suggestivo, capace di farci scivolare in un mondo di stupefacente bellezza. Loher ci conduce in un viaggio incantato alla scoperta delle meraviglie della natura, di forme di vita invisibili ai nostri occhi, ma capaci di racchiudere in sé un mondo caleidoscopico, un “miniverso” onirico e ipnotico.

Per sentire non bisogna capire, la comprensione viene dopo. Vivere un’emozione significa accettare di farsi bagnare da un’onda che ha la forza di trascinarci in acque lontane. “Let’s drift” è il

Katja Loher

Transparent Threshold, 2023

Fermoimmagine da uno dei video

richiamo dell’artista: lasciamoci trasportare. Un’emozione si fissa nella nostra mente, ci costruisce, diventa parte di noi. Non è ricordo di un’idea, ma epifania, rivelazione. È la forza dei sogni. Non a caso Katia Loher definisce la sua arte “architettura dei sogni”. Un’architettura che affonda i suoi pilastri nella scienza, nello studio di elementi naturali sui quali grava una crescente minaccia. Il lavoro di Katja Loher è visionario e collettivo, istintivo e programmatico. Per farci scivolare nel sogno crea ambienti sinestetici, dove suoni, odori e immagini costruiscono un’esperienza multisensoriale. Le sue installazioni immersive sono frutto di un grande lavoro d’equipe, dove scienziati, danzatori, musicisti e tecnici lavorano insieme, seguendo la regia ispirata dell’artista. Un lavoro visionario e collettivo. Si può sognare insieme? Katja Loher ci riesce. Per dare forma alle sue opere parte dall’osservazione di immagini scientifiche, fotografie e visioni al microscopio, alle quali sovrappone complesse coreografie. I corpi di uomini e donne, ripresi dall’alto, danno vita a una danza che simula il movimento di elementi microscopici, fluttuanti e vivi. In Transparent threshold, soglia trasparente, l’installazione creata al Castello di Malcesine, Loher mira a svelare lo splendore e la complessità di forme di vita marine invisibili a occhio nudo. L’opera offre l’esperienza di un viaggio in un mondo sottomarino minacciato, alla scoperta della bellezza e dell’importanza fondamentale del plancton, la galassia di microorganismi animali e vegetali che nella sua lenta deriva sostiene gli ecosistemi oceanici, fungendo da base della catena alimentare e producendo una quantità di ossigeno simile a quella di tutte le foreste del mondo messe insieme. Loher ci rivela la bellezza dell’invisibile, donandoci l’emozione della scoperta. All’improvviso quella cosa che si muove nell’acqua ci guarda, rivelandoci un viso, che è il luogo dell’identità, unica e quindi preziosa. Geometrie astratte, che sbocciano e si richiudono come corolle meccaniche, si rivelano a un tratto mani e braccia e gambe: non più forme anonime, ma donne e uomini. Un lavoro istintivo e programmatico. L’impegno dell’artista è militante difesa dell’ambiente. Il Plankton Manifesto, che Loher ha lanciato nel 2021, unisce “artisti visivi, musicisti, designer, architetti, pescatori, nutrizionisti, biologi marini, scienziati e molti altri” che attraverso le loro

conoscenze, competenze ed esperienze, condividono la visione e la missione di preservare la vita sottomarina. Ma il lavoro di Katja Loher non si esaurisce in questo assunto razionale, è anche istinto, invenzione formale che si traduce in magia estetica. I video che compongono l’installazione al Castello di Malcesine sono proiettati su sette sfere sospese: Loher li chiama “video-pianeti”. Un pianeta è singolare possibilità di vita, ambiente a sé stante, eppure immerso in un ecosistema condiviso. Ogni video-pianeta racconta una storia diversa, che però dialoga con quella degli altri. Fino a che le immagini fluiscono dall’uno all’altro: mondi distanti, sospesi, eppure attraversati dallo stesso flusso vitale. La bellezza del mare diventa il tremolio dei riflessi nell’acqua, la trama del corallo, la danza zigzagante di pesci colorati. Poi lo zoom ci trasporta ancora più vicino, dentro la vita, tra gli arabeschi fluttuanti di legami chimici belli come cristalli di neve, che si formano e si rompono in un’esplosione serena e ineluttabile. Intanto su un altro video-pianeta i corpi dei performer, obbedendo a una coreografia corale, si intrecciano creando una fluida successione di lettere. Dalla danza affiorano parole, ci ritroviamo a leggere lentamente un messaggio che ha attraversato il buio per arrivare fino a noi. “Let’s gather to learn a lesson from the invisible: the teaching of water and silence of fluorescent darkness. Let us drift. Let’s gather to learn a lesson from the essential: the teaching of oxygen and carbon of billions of life cycles. Let’s drift”. Riuniamoci per imparare una lezione dall’invisibile: l’insegnamento dell’acqua e del silenzio dell’oscurità fluorescente. Lasciamoci trasportare. Riuniamoci per imparare una lezione dall’essenziale: l’insegnamento dell’ossigeno e del carbonio di miliardi di cicli vitali. Lasciamoci trasportare

La musica del compositore colombiano Juan Pablo Beltran è il fluido che allaga l’ambiente, unendo i vari elementi del racconto video in esperienza multisensoriale. Il respiro lento della risacca, il tamburellare della pioggia, il canto degli uccelli, lo scandire di alcune campane, il pianto di un bambino si fondono a voci e musica strumentale in un coro suadente che ci invita a fermarci e ascoltare. Il suono ci avvolge mentre ci muoviamo per la sala: siamo entrati in una dimensione altra, dove c’è spazio per un tempo ritrovato, fatto di stupore e meraviglia.

Avanzando nella sala scopriamo la grande proiezione di un video, a terra, che fa affondare i nostri occhi in un illusorio specchio d’acqua. Ci fermiamo al bordo di quel cerchio per scoprire la vita che pulsa al suo interno: lo stesso caleidoscopio di immagini che si muove sui pianeti sospesi. Il primo impulso è di non oltrepassare quella soglia, come fosse l’orlo di un pozzo. Ma poi entriamo e il video si disegna sulla nostra pelle. Siamo diventati parte della storia, siamo in una favola che è quella che si ripete ogni giorno, dall’alba al tramonto. Siamo nella meraviglia della vita, ne siamo parte consapevole finalmente.

Ma la video arte di Loher non è solo installativa. L’artista racchiude il suo “miniverso” anche in raffinate video-sculture realizzate in vetro soffiato. È quello che accade nell’opera If our Food is like Bubbles Rising up from the Sea, una bolla d’aria affiorante in superficie, al cui interno la danza visionaria di performer racconta le meraviglie del plancton. Una bolla che è cristallizzazione dell’attimo, poetico tentativo di fermare il tempo per proteggere la vita che si muove al suo interno. Infine, nell’opera Videoportals, un video proiettato su un monitor ci permette di affacciarci a due oblò virtuali del sommergibile che ci ha portati alla scoperta del mondo sottomarino. Il nostro viaggio si conclude così.

L’arte di Dario Tironi è un’originale poesia delle cose che, nell’immaginario comune, rappresentano l’antitesi della bellezza e del desiderio: i rifiuti. Tironi sa ascoltare la poesia delle cose che

decidiamo di allontanare da noi e buttare via, perché usate, consumate, ormai prive della giustificatrice necessità della loro funzione, spesso a dire il vero superflua, esaurita la quale si ritrovano a non avere il minimo valore, perché il materiale di cui sono costituite non vale in sé, non è legno, avorio o metallo, ma plastica. Ossia trasformazione di sostanze organiche – petrolio, carbone, gas o sale – in una forma effimera, anonima e scadente, risultato di una produzione seriale. Eppure, quello stesso oggetto di plastica solo poco tempo prima era irresistibilmente desiderabile, ambito simulacro del nuovo, chiamato a sostituire un analogo oggetto, condannato all’oblio solo perché appartenente all’edizione precedente. Ormai basta un numero per decretare una condanna inesorabile. Il tre cancella il due. Se esce il quattro il tre è spacciato, è solo questione di tempo: poco, anzi sempre di meno.

Se è solo la funzione a giustificare l’esistenza degli oggetti, è chiaro che scatta la necessità della loro sostituzione quando smettono di funzionare. Ma di quale funzione parliamo? Perché non ci stiamo riferendo solo a quella fragile operatività, risultato di una programmata obsolescenza dettata dal profitto, che spesso ci costringe a cambiare uno strumento dopo un tempo inverosimilmente breve. Ci stiamo riferendo a qualcosa che è ancora più fragile, sottile: all’emanazione di senso, il nostro, affidata al possesso delle cose. All’affermazione della nostra identità sociale unicamente come consumatori capaci di spesa, ossia avvalorati dal valore dalle cose che usiamo. Un pericoloso circolo vizioso, che ci farà finire soffocati dai nostri stessi rifiuti, sepolti dai precoci tecno-fossili che l’accelerato ritmo di produzione bolla come tali. Un circolo vizioso che Dario Tironi riesce a spezzare con un’ardita inversione di marcia, facendoci scoprire la bellezza del dismesso, dello scarto, dell’inutile, facendoci scoprire la vita segreta di quegli oggetti che in un’esfoliazione silenziosa continuano ad accumularsi attorno a noi, fino a creare campi e montagne o, addirittura, intere isole alla deriva. Gli oggetti più disparati – elettrodomestici, giocattoli, contenitori – composti in un mosaico tridimensionale che ripercorre le forme della statuaria classica, diventano nasi, bocche, braccia e gambe. La nuova bellezza collettiva di questi oggetti riscatta l’imperfezione del singolo elemento, riassegnandogli una funzione altra. È un’operazione demiurgica, che dona finalmente un’anima alle cose. Tecnologico Arcimboldo, semplicemente accostando oggetti diversi, Tironi dà vita a una forma autonoma, crea una sovra-identità. Non è un’operazione meramente estetica, ma politica e sociale. La bellezza della scultura creata riscatta la bruttezza del rifiuto, la sua inesorabile connotazione di vecchio, sporco, rotto. Tironi ci fa sentire il dolore dell’abbandono, ci dà coscienza della sofferenza delle cose, fatta non solo della fatica e del dolore necessari per acquistarle, ma anche di quello che è servito per produrle. Ci restituisce una consapevolezza abitata dalla solidarietà e dall’attenzione verso l’altro, dalla compassione per le ferite inferte all’ambiente.

La memoria del futuro è l’anima delle sculture di Dario Tironi, le sue figure provengono dal dopo che seguirà fatalmente il nostro compulsivo accumulo di oggetti. In un inesorabile processo di antropogenesi le nostre scorie si aggregano silenziosamente, fino ad assumere forme organiche destinate a prendere il nostro posto. Robot malinconici raccontano una catastrofe che è stata, si ergono come erme a monito di una salvezza ancora possibile. Sublimando le discariche in miniere di materiale artistico, Tironi esprime la sua fede nell’umanità e approda a una nuova estetica, dove colore e forma annunciano la possibilità di un riscatto grazie alla cultura. È un procedimento che, elevando lo scarto a oggetto museale, rivela infinite possibilità di declinazione. Nella Bagnante contaminata diventa il corpo di una donna che sembra fatto d’acqua, all’interno del quale sono racchiusi svariati oggetti di plastica, gli stessi che galleggiano sui nostri mari. L’acqua è mobile,

spostandosi con ciclicità passa anche attraverso gli esseri viventi, collegando fisicamente tutta la biosfera in un unico organismo. Ecco perché contaminare l’acqua significa contaminare noi stessi. Ma un conto è sapere che è così e un conto è vedere dentro il corpo di una donna, ridotta a contenitore di rifiuti. In The ancient plastic society due enormi maschere realizzate con paraurti di automobili raccontano di una civiltà soffocata dai suoi stessi scarti: reperti fanta-archeologici di una società destinata a scomparire, la società della plastica. In un processo di antropogenesi, le scorie si sostituiscono a noi, consumatori bulimici e irresponsabili.

I titoli delle opere di Tironi sono spesso dichiarativi. Relics è una serie di sculture realizzate con varie tipologie di scarti industriali, parti di automobili, elettrodomestici e altri elementi, assemblati in un’unica forma inglobante. Una massa in trasformazione, caotica e imprevedibile. Il titolo racchiude il doppio significato di reliquia e relitto: reliquia dell’ideologia che crede nel consumismo come unico modello di sviluppo e relitto di una realtà recente ma già passata, essendo composta da scarti. Gli stessi che si accumulano vertiginosamente in un carrello della spesa, all’interno del quale cresce lo skyline di una città inquietante: modifica irreversibile del volto del nostro pianeta, eppure a noi ancora invisibile, impegnati come siamo in una corsa ai consumi che non ha fine.

L’arte di Tironi usa toni suadenti e ironici. In The dream catcher il titolo richiama gli acchiappasogni che nelle culture indigene del nord America venivano appesi alle culle per vegliare sul sonno dei bambini. Reinterpretato nella contemporaneità, con il suo groviglio di cavi sospesi allo scheletro di una peccaminosa alcova, questo elemento ci ricorda la nostra vulnerabile condizione di consumatori compulsivi e irresponsabili, il nostro regredire allo stadio infantile nel desiderio di possedere dispositivi tecnologici sempre all’avanguardia e quindi subito superati.

Siamo sempre di più e siamo sempre più soli. Soft Isolation è un insolito ritratto che richiama le forme della Maya desnuda, realizzato accostando centinaia di cover di cellulare. La cover vorrebbe personalizzare uno strumento che è diventato quasi protesico. La cover protegge, ma isola: come il cellulare, che ci relega in un mondo di solitaria iperconnessione. Mentre il nostro corpo viene cancellato, ridotto ad anonima silhouette dal fatto che tutti desideriamo e possediamo le stesse cose.

Katja Loher e Dario Tironi, con linguaggi diversi, combattono la stessa appassionata battaglia per la difesa dell’ambiente. Senza sit-in aggressivi, senza incursioni vandaliche, riescono a farci sentire che l’arte non è l’oggetto da imbrattare, il simulacro da violentare per ottenere più che altro i quindici minuti di notorietà profetizzati da Warhol, ma un canto prezioso che l’umanità può ancora elevare per raccontare la vita e il suo mistero. Il Castello scaligero di Malcesine è “il promontorio estremo dei secoli” dal quale un uomo e una donna, insieme, cantano un futuro che non sarà. Ora dipende da noi.

Il mito dell’efficienza ci spinge a pianificare ogni momento della giornata, in una corsa frustrata dal tentativo di raggiungere traguardi impossibili, che alimenta la nostra sete inestinguibile di cose. Ma Katja Loher e Dario Tironi, con le loro opere, ci indicano un’altra possibilità. Non dobbiamo più correre per raggiungere l’orizzonte, quella linea visibile, eppure immaginaria. Possiamo fermarci a guardare, ad ascoltare. Possiamo prendere in mano la linea dell’orizzonte e lanciarla in alto, vederla roteare nel cielo come uno stelo leggero che riuscirà a fiorire cadendo un po’ più in là. Perché ci sarà tempo per noi e per quelli dopo di noi, in un gioco meraviglioso che potremo continuare a chiamare vita.

Dario Tironi
The dream catcher, 2019
Particolare

Every day, we witness the same crime, repeated with every news broadcast: the killing of history. The live transmission of events from all corners of the world kills history, which serves as a deliberate record of the past. If there is no pause between factual events and news updates, if there is no space for recollection, an essential filter for comprehending the past, then the past remains in the same chaotic state of constant change as the present. It is a little what happens with the thousands of photographs that accumulate on our mobile phones. Once, it was the photo album that conveyed the significance of our personal and familial journeys. Nowadays, we capture countless images, yet we struggle to retain meaningful memories. Similarly, the incessant deluge of news inhibits our ability to connect the dots and weave a cohesive narrative of past events. This precious watermark is the essential basis for any attempt at shaping the future. It is a dual murder, as both history and the future are being killed. The future, once the realm of dreams and the unknown, an enigmatic territory to be deciphered, has metamorphosised into a labyrinth of scientific projections. It is a sea crossed by too many ships to leave room to plunge into the profundity of things.

The scientific community keeps on shouting at us to stop. The evidence has become overwhelming, leaving little doubt that we are rapidly approaching a point where the damage to our environment will become irreparable. This realisation should concern even the staunchest deniers of this impending catastrophe, as we are not merely destroying the Earth itself, but rather our own ability to inhabit it. While the blue planet may change in colour, it will however continue. The atmosphere may lose oxygen but it will be enriched with something else: carbon dioxide, nitrogen or argon. It is we who will struggle to breathe. Despite this knowledge, we persist in our irresponsible race to consume unnecessary goods and squander resources, heedless of the destruction we cause. We delude ourselves into thinking that the point of no return is always just a little further into the future. Today is not the day, tomorrow maybe, in a future that has never felt so close.

Scientists raise their voices, but perhaps that is precisely why we fail to hear them. Overwhelmed by their warnings and apocalyptic predictions, we feel legitimised to turn a blind eye. Every European citizen produces an average of half a tonne of waste annually, yet we continue to behave as if once discarded, it magically ceases to exist, hiding, in the best-case scenario, behind the pretext of meticulous waste separation. We have been shown plastic islands drifting in the oceans and told that the melting polar ice caps will result in the disappearance of vast coastlines, and even entire cities. We have been warned of the dire consequences of bee extinction and the subsequent food crisis. However, even this evidence is not enough. After history and the future, there is a third casualty in this tragedy, our common sense, which has been slain by the friendly fire of information overload.

That is precisely why the role of artists has gained even greater significance. Artists do not resort to threats, demonstrations or explanations. Yet, they possess the ability to communicate with us on a profound level through the power of imagery with the capacity to awaken our sensitivity. They create works employing diverse materials, guided solely by the narrative of their emotions and thoughts, free from any imposed production constraints. Through their art, they tell us stories. It is through these stories that we once again become attuned to the sound of the mountains of waste piling up around us, the hidden song of objects, and the marvel of lives that though invisible are no less valuable than our own.

It was only with the advent of the Impressionist movement that artists asserted their freedom of expression. They no longer contented themselves with depicting the narratives of the powerful, whether celestial or earthly, and instead claimed the right to tell their own stories. They scaled the barricades of modernity to defend their ideas and declare them for the first time through a succession of manifestos that characterised the first half of the 20 th century. However, following the ideological catastrophes that cast a dark shadow over the world, there came a renunciation of ideals, including those relating to aesthetics. Art sought solace in the silent exploration of form. Yet even these potent explorations were soon cast aside. The acceleration of collective and individual time prompted a pendulum-like swing between the past and the future. Expressive nomadism became a freedom to merge influences and references, creating an ideal vacuum that served as a space for experimentation. While collective dreams can indeed be perilous, it is equally true that an artist devoid of the capacity to dream is already lifeless. The world needs art as the most potent aphrodisiac, capable of reigniting our passion for life.

The artworks of Katja Loher and Dario Tironi serve as exquisite poetic machines, generating narratives that touch the most innocent part of us, the part that was once, unashamedly, referred

Dario Tironi Things, 2023 Particolare

to as the heart. In a captivating temporal paradox, their works are forceful “Memories from the Future”. This future elicits apprehension from scientists, yet it can be modified through our choices and behaviours, transforming scientific alarms into disproved omens.

The exhibition held at Malcesine Castle is divided into two parts. The outdoor spaces of the castle and the Casermetta veneziana host nine large sculptures by Dario Tironi, while in the Sala Labia Katja Loher creates an immersive installation. This exhibition also serves as a metaphor for the distinct approaches men and women adopt when engaging with space. The sculptures by Dario Tironi audaciously interact with the castle’s ramparts, springing unexpected surprises and challenging the grandeur of the surrounding landscape. In contrast, in the Sala Labia, Katja Loher creates an immersive installation that fosters a uterine environment, pulsating with invisible marine life.

The preservation of the environment takes on forms of enchanting magic in Katja Loher’s production. Starting from scientific truths, the artist breathes life into artworks that employ a captivating and evocative aesthetic language, transporting us to a world of astonishing beauty. Loher takes us on an enchanted journey, unveiling the marvels of nature and revealing life forms that remain invisible to our eyes. Yet, within these hidden entities lies a kaleidoscopic realm, a dreamlike and hypnotic “miniverse”.

Feeling is not necessarily understanding, comprehension comes later. Experiencing an emotion entails willingly allowing oneself to be carried away by a wave with the power to transport us to distant waters. “Let’s drift” is Loher’s call. An emotion imprints itself on our minds, shaping us and becoming an intrinsic part of our being. It is not the memory of an idea, but an epiphany and a revelation. It embodies the potency of dreams. It is no coincidence that Katja Loher labels her art “dream architecture”, an architecture that firmly grounds its pillars in science, and in the study of natural elements threatened by an ever-growing danger.

Loher’s work is visionary and communal, instinctive and purposeful. To immerse us in the realm of dreams, she creates synesthetic environments where sounds, scents and visuals harmonise to construct a multisensory experience. Her immersive installations are the result of dedicated teamwork, involving scientists, dancers, musicians, and technicians collaborating under the inspired guidance of the artist.

Katja Loher’s work is visionary and communal. Can we dream together? Katja Loher can. In shaping her artworks, she begins by observing scientific images, photographs, and microscopic views, upon which she overlays intricate choreographies. Through the lens of an aerial perspective, Loher breathes life into a dance that emulates the movements of microscopic elements, evoking a sense of buoyancy and vitality. Her installation, Transparent Threshold, created at Malcesine Castle, aims to unveil the splendour and intricacy of marine life forms that remain invisible to the naked eye. The artwork provides an immersive journey into the threatened underwater realm. It reveals the captivating beauty and essential significance of plankton, the galaxy of microorganisms, both animal and plant, that drifts slowly and sustains the ecosystems of the oceans, serving as the foundation of the food chain and generating an amount of oxygen comparable to that produced by all the world’s forests combined. Loher unveils the magnificence of the invisible, granting us the thrill of discovery. Suddenly, the thing that moves mysteriously in the water is looking at us: it is a face, the seat of individual identity, unique and therefore precious. Abstract

Loher If our Food is like

Bubbles Rising up from the Sea, 2021

geometries, which unfurl and close like mechanical corollas, unexpectedly reveal themselves to be hands, arms, and legs; no longer anonymous forms but women and men.

Instinctive and purposeful. The artist’s commitment is militant defence of the environment. The Plankton Manifesto, which Loher launched in 2021, unites “visual artists, musicians, designers, architects, fishermen, nutritionists, marine biologists, scientists and many others” who, through their knowledge, skills and experience, share the vision and mission to preserve underwater life. But Katja Loher’s work goes beyond rational deliberation. By encompassing intuition and creative invention, it produces aesthetic enchantment.

In the installation at Malcesine Castle, the videos are projected onto seven suspended spheres, which Katja Loher refers to as “video-planets”. A planet represents a distinct possibility of life, an independent environment despite a shared ecosystem. Every video-planet narrates a unique story yet engages in dialogue with the others. That is, until the images seamlessly shift from one video-planet to another: distant yet interconnected worlds, all traversed by the same vital flow. The beauty of the sea manifests through shimmering water reflections, the intricacies of coral and the zigzagging dance of coloured fish. Then, zooming even closer, we are plunged into the very fabric of life, amidst the undulating arabesques of chemical bonds resembling exquisite snow crystals, continuously forming and breaking in a pacific and inevitable explosion. Meanwhile, on another video-planet, the bodies of performers engage in a collective choreography, intertwining and shaping a fluid succession of letters. Words emerge from the dance, as we find ourselves slowly deciphering a message that has traversed the darkness to reach us. “Let’s gather to learn a lesson from the invisible: the teaching of water and the silence of fluorescent darkness. Let us drift. Let’s gather to learn a lesson from the essential: the teaching of oxygen and carbon of billions of life cycles. Let’s drift”.

The music composed by Colombian artist, Juan Pablo Beltran, serves as the fluid that permeates the environment, binding together the various elements of the video narrative to create a multisensory experience. The composition embraces the slow breath of the undertow, the rhythmic patter of raindrops, the song of birds, the tolling of bells, the crying of a child. These sounds blend harmoniously with voices and instrumental music, forming a compelling chorus that urges us to pause and listen. The sound accompanies our progression through the exhibition space: now we are in another realm where time unfolds with a renewed sense of awe and wonder.

As we continue through the room, we encounter a large video projection on the floor, where we sink our gaze into an illusory pool of water. We stand at the edge, observing the vibrant life pulsating within: an evocative kaleidoscope of imagery reminiscent of the suspended video-planets. Our instinct tells us not to trespass over the well-like edge. However, we do step forward and the video becomes etched on our skin. We become active participants in the story, part of a fairytale that repeats itself daily, from dawn to dusk. We find ourselves immersed in the wonder of life, and finally conscious of our place within it.

Yet Katja Loher’s video work extends beyond installation art. The artist also encapsulates her “miniverse” within exquisite video sculptures crafted from hand-blown glass. An example of this is the artwork titled If our Food is like Bubbles Rising up from the Sea, where an air bubble rises to the surface, housing within it the visionary dance of performers, narrating the marvels of plankton. The bubble acts as the crystallisation of a fleeting moment, a poetic attempt to suspend time and protect the vibrant life taking place inside. Finally, in the work of art Videoportals, a video

Katja

projected onto a monitor allows us to look out of two virtual portholes of the submarine that took us on our discovery of the underwater world. This is how our journey ends.

Dario Tironi’s art is concerned with the poetics of things: things that are typically perceived as the antithesis of beauty and desire. It is concerned with what we call waste. He captures the inherent poetry within things that we choose to discard. These objects have fulfilled their purpose, become worn out and devoid of the justifying necessity of their function. Often superfluous, if truth be told, they lose all value once consumed. This loss of value is intensified by the fact that these objects are made from plastic, a material that lacks intrinsic worth, unlike wood, ivory or metal. They are the transformation of organic substances – oil, coal, gas or salt – into an ephemeral and anonymous form, through the process of mass production. Yet, these very same plastic objects were once highly desirable and sought after as coveted simulacra of the new, destined to replace predecessors that quickly fade into oblivion. A mere number or edition is enough to degree an inexorable condemnation. The launch of three cancels out the relevance of two, and when four emerges, three is doomed. It becomes a matter of time, and that time is diminishing rapidly.

If it is only function that justifies the existence of objects, they must be replaced when they cease to function. But what function are we talking about? Because we are not only referring to that fragile functionality imposed by planned obsolescence dictated by profit, which often forces us to replace a device after an unreasonably short lifespan. We are referring to something that is even more fragile, and more nuanced, the affirmation of our social identity solely as consumers defined by our ability to spend, and validated by the value of the objects we possess. This dangerous vicious circle leads us down a path where we are suffocated by our own waste, buried by the premature techno-fossils branded as such by the accelerated pace of production. Dario Tironi, however, breaks this vicious circle, executing a daring U-turn by revealing the beauty within discarded, useless objects. He reveals the secret life of these silent remnants that continue to accumulate around us, and eventually create fields and mountains or even entire drifting islands. The most disparate objects – electrical appliances, toys, containers – compose a three-dimensional mosaic that echoes classical statuary, to become noses, mouths, arms and legs. The new collective beauty of these objects redeems the imperfection of their individual elements, reassigning them another purpose. This demiurgic operation finally gives objects a soul. Like a technological Arcimboldo, Tironi assembles different items, giving life to an autonomous form and creating a super-identity. This process is not purely aesthetic, but political and social. The beauty of the sculptures Tironi creates redeems the ugliness of waste and its inherent associations with age, dirt, and disrepair. Tironi compels us to feel the pain of abandonment and gives us an awareness of the inherent suffering of objects, not just the effort and pain required to acquire them, but also the toll of their production. He restores our consciousness, imbued with solidarity and care for others, and fosters compassion for the wounds inflicted on the environment. The memory of the future lies at the heart of Dario Tironi’s sculptures. His figures come from a future shaped by the consequences of our relentless accumulation of objects. In this fatal process of anthropogenesis, our waste silently gathers, eventually taking on organic forms that will supplant our own existence. Melancholic robots serve as herms, bearing witness to a catastrophe that has already occurred, while also serving as a reminder that salvation is still within reach. By elevating landfills to the status of mines of artistic material, Tironi expresses his faith in humanity

and presents a new aesthetic where colour and form signify the possibility of redemption through culture. By transforming waste into museum-worthy objects, this procedure reveals infinite shapes and forms. In The Contaminated Bather, waste becomes intertwined with the human form. In this sculpture, a woman’s body, seemingly made of water, houses various plastic objects of the type that float on our seas. Water, fluid and cyclical, connects all living beings, fusing the biosphere into a single organism. To contaminate water is to contaminate ourselves. But it is one thing to know it and it is another to see into the body of a woman reduced to a waste container. In The Ancient Plastic Society, two enormous masks crafted from car bumpers symbolise a civilisation suffocated by its own waste: sham-archaeological finds portray a society doomed to disappear, the plastic society. In this anthropogenic process, waste replaces us bulimic and irresponsible consumers.

The titles of Tironi’s works often carry declarative messages. Relics, for example, features sculptures composed of various industrial waste materials, car parts, household appliances, and other elements assembled in a single encompassing form. This chaotic and unpredictable mass represents both a relic of an ideology that believes consumerism is the sole model of development and a relic of a recent yet already past reality, as it is composed of waste. Among the Relics is a shopping cart accumulating waste that creates the skyline of a disconcerting city: an irreversible change to the face of our planet, still invisible to us as we remain engaged in our endless race for consumption. Tironi’s art employs persuasive and ironic tones. In The Dream Catcher, the title refers to objects that in the indigenous cultures of North America were hung in cradles to watch over the sleep of children. Reinterpreted in the contemporary world, with its tangle of cables suspended from the skeleton of a sinful alcove, this element reminds us of our vulnerable condition as compulsive and irresponsible consumers, regressing to an infantile desire to possess constantly evolving technological devices that quickly become obsolete.

Our numbers are increasing, yet we are more and more alone. Soft Isolation offers an unconventional portrait recalling the form of the Maya Desnuda, composed by placing hundreds of mobile phone covers side by side. The cover aims to personalise a device that has become almost an extension of ourselves. It covers but also isolates us, much like the mobile phone itself, relegating us to a world of solitary hyperconnection. Meanwhile, our body is erased, reduced to an anonymous silhouette, as we are all left desiring and possessing the same things.

Katja Loher and Dario Tironi, using different languages, fight the same passionate battle for the defence of the environment. Without confrontational sit-ins and without vandalism, they demonstrate that art is not something to be defiled to obtain those fifteen minutes of fame prophesied by Warhol, but a precious song that humanity can still use to convey the beauty of life and its mystery. The Malcesine Castle is “the extreme promontory of the centuries”, from where a man and a woman together sing of a future that will not be. Now it is up to us. The myth of efficiency, where every moment is meticulously planned in the relentless pursuit of unattainable goals, fuels our insatiable thirst for material possessions. But the works of Katja Loher and Dario Tironi show us an alternative path. We no longer need to rush towards the distant horizon, towards that visible yet non-existent line. We can pause, observe, and listen. We can grasp the line of the horizon in our hands and toss it into the air, watching it spin like a delicate stem able to blossom by falling a short distance away. Because there will be time for us and for future generations, in a wondrous game we can continue to call life.

Katja Loher Dario Tironi

Transparent Threshold, 2023

Installazione immersiva: video proiezione su sfere sospese e pavimento, composizione video a 8 canali 8:08 minuti in loop, 7 palloni meteorologici diametro 80 - 220 cm, 4 proiettori laser, lettori multimediali.

Progetto audio JP Beltran

Transparent Threshold, 2023

Particolari

Katja Loher

Transparent Threshold, 2023

Particolare

Katja Loher

Transparent Threshold, 2023

Particolare

Katja Loher

Transparent Threshold, 2023

Particolare

Katja Loher

Transparent Threshold, 2023

Particolare

Katja Loher

If our Food is like Bubbles Rising up from the Sea, 2021 Composizione video a un canale 7:20 minuti in loop, scultura in vetro soffiato a mano, schermo video incastonato in un involucro acrilico bianco, 28 x 51 x 38 cm

If our Food is like Bubbles Rising up from the Sea, 2021

Katja Loher
Particolare
Katja Loher, Videoportals, 2021

Katja Loher, Videoportals, 2021

Composizione video a due canali con audio, 9:30 minuti in loop, mediaplayer, SD card collegata a monitor TV, dimensioni variabili

Transparent Threshold, 2023

Particolare

Katja Loher

Francine Hoenner in un momento della performance Plankton, in occasione dell'inaugurazione della mostra

The ancient plastic society, 2014

Acciaio, paraurti e vernice, 75 x 190 x 135 cm

Dario Tironi

The ancient plastic society, 2014

Acciaio, paraurti e vernice, 135 x 165 x 130 cm

Dario Tironi
Dario Tironi
Senza titolo, 2021
Particolare
Dario Tironi
Senza titolo, 2021
Carrello, materiali vari e vernice, 210 x 110 x 70 cm
Dario Tironi
Bagnante contaminata, 2020

Bagnante contaminata, 2020

Rifiuti plastici e resina epossidica, 180 x 60 x 50 cm

Dario Tironi
Dario Tironi Relics, 2023

e

Dario Tironi Relics, 2023
Acciaio, materiali vari
vernice, 125 x 110 x 60 cm
Dario Tironi Things, 2023
Acciaio, materiali vari e vernice, 178 x 45 x 55 cm
Dario Tironi
Things, 2023
Acciaio, materiali vari e vernice, 182 x 50 x 62 cm
Dario Tironi
The dream catcher, 2019
Particolare
Dario Tironi
The dream catcher, 2019 Struttura in acciaio, cavi e dispositivi elettrici, 330 x 225 x 142 cm
Dario Tironi Soft Isolation, 2019
Smartphone covers e vernice, 127 x 210 cm

Katja Loher

Nota biografica, autoritratto, principali mostre

Biographical notes, self-portraits, main exhibitions

Nota biografica | Biographical note

Katja Loher è nata a Zurigo, in Svizzera, nel 1979. Vive e lavora a New York e Menorca, spostandosi continuamente per il mondo. Ha studiato in Svizzera, all’Accademia di Belle Arti di Ginevra e Basilea. Ha un notevole curriculum espositivo, che include personali e collettive in musei non solo in Europa, ma in Russia, Giappone, Stati Uniti, Brasile e Cina. Le sue opere sono conservate in numerose collezioni internazionali, private e pubbliche. Nel 2021 ha lanciato il “Plankton Manifesto”, un programma d’arte che mira a creare una coscienza collettiva per la salvaguardia della vita marina.

Katja Loher was born in Zurich, Switzerland, in 1979. She lives and works in New York and Menorca, while travelling tirelessly around the world.

She studied at the Academy of Fine Arts in Geneva and Basel in Switzerland. She has an

impressive exhibition record, including solo and group exhibitions in museums not only in Europe, but in Russia, Japan, the United States, Brazil and China. Her works are held in numerous international private and public collections. In 2021 she launched the “Plankton Manifesto”, an art project that aims to create a collective consciousness for the preservation of marine life.

Autoritratto | Self-portrait Credo che si nasca artisti, non è qualcosa che si può imparare. Decidiamo di fare l’artista quando diciamo sì a questo percorso, ci fidiamo e allora possiamo imparare gli strumenti per fare arte.

La mia infanzia è stata un alveare di creatività. Nel seminterrato della nostra casa c’era una stanza per il bricolage, dove passavamo ore a creare. A più o meno diciotto anni sono andata a Barcellona per conto mio. Girando per la città, sono rimasta affascinata dalla sua

luce, dai suoi colori e dalla sua architettura. Mi ha ispirata a scattare molte foto e presto ho preso i colori e ho iniziato a dipingere. Quando sono tornata in Svizzera, ho trovato uno studio molto bello nella parte vecchia della mia città, Sciaffusa, dove ho iniziato a creare, giorno e notte. Un anno dopo ho presentato domanda d’iscrizione all’Accademia d’Arte di Ginevra, sono stata accettata e da allora non ho più smesso. Dopo la laurea, sono venuta a New York a trovare alcuni amici e mi si sono aperte tutte le porte per continuare la mia carriera qui. Il Jungle Loft a Williamsburg, Brooklyn, è diventato la base delle mie creazioni per i quindici anni successivi. All’inizio della mia carriera ho capito che parte della mia pratica consiste nel creare un ponte tra la natura e la città. Ho viaggiato per quasi la metà del tempo, ottenendo residenze d’artista e dedicandomi a produzioni video, mostre e progetti internazionali.

Le mie produzioni sono orchestrate attraverso un processo organico di azione collettiva.

New York può essere un palcoscenico con possibilità illimitate e questa città sostiene quelli che sognano in grande. Mi piace definirla un’isola nel cosmo, dalla quale possiamo fare uno zoom e avere una visione a volo d’uccello di noi stessi.

Pratico l’arte della vita. Se ascoltiamo, l’arte cresce da noi. Per me l’arte è il tremolio di una foglia o il movimento dell’universo, una vibrazione e un portale per espandersi.

Avete notato che la parola Earth (Terra) ospita

Art (Arte) al centro? Siamo strumenti di consapevolezza e agenti di cambiamento sostenibile. La fusione quasi perfetta tra il tecnologico e l’organico offre un mondo digitale di magia. I danzatori assumono la forma di creature zoomorfe in un gioco multicolore di prospettiva e scala che nobilita l’esistenza di piccoli esseri. I performer si intrecciano per formare lettere, parole e domande, mentre i danzatori in costume, vestiti da api, plancton, farfalle e altre creature, imitano la comunicazione somatica o sonar propria delle diverse

specie. L’uso di una prospettiva a volo d’uccello per ogni video simula la visione che potremmo ottenere guardando attraverso un microscopio, un telescopio o un caleidoscopio. La moltiplicazione simmetrica dei corpi in movimento in costellazioni che cambiano continuamente produce un collettivo ritmicamente pulsante. Il pianeta Terra è un organismo complesso e se noi umani interferiamo, gli elementi si sbilanciano (perdono il loro equilibrio) e il ciclo diventa distruttivo. Credo che la vita non sia altro che un sogno. Possiamo creare la nostra vita e il nostro sogno diventa un capolavoro d’Arte. Con le mie mostre e i miei manifesti, creo bellissimi spazi che diventano il palcoscenico di esperienze multisensoriali e collettive. Desidero stimolare sogni, empatia e consapevolezza che ci ispirino a cercare risposte da un altro punto di vista, per preservare la bellezza e la complessità della natura per le generazioni a venire.

I believe we are born artists, it’s not something we can learn. The decision comes when we say yes to this path and trust it and then we can

learn the tools to practice art. My childhood was a hive of creativity. There was a craft room in the basement of our house, where we spent hours creating. When I was around eighteen, I went to Barcelona on my own. Going around the city, I was fascinated by its beautiful light, colors and architecture. I was inspired to take photos and soon I got colors and started to paint, and when I returned to Switzerland, I found a really cool studio space in the old part of my hometown, Schaffhausen, where I started to create, day and night. A year later I applied for the Art Academy in Geneva, got accepted and since then I’ve never stopped.

After my graduation, I came to New York to visit some friends and all doors opened for me to continue my career here. The Jungle Loft in Williamsburg, Brooklyn, became the base for my creations for the following fifteeen years. I realized early in my career that part of my practice is to bridge the nature and the city. I traveled almost half of the time, undertaking artist residencies, video productions, international exhibitions and projects.

My productions are orchestrated through an organic process of collaborative action. New York can be a stage for unlimited possibilities and this city supports those who dream big. I like to call it an island in the cosmos, from which we can zoom out and get a bird’s eye view of ourselves.

I practice the art of life. If we listen, art grows out of us. For me, art is the trembling of a leaf or the movement of the universe, a vibration, and a portal to expand.

Have you noticed that the word Earth hosts Art in the center? We are instruments of awareness and agents of sustainable change. The nearly seamless fusion of the technological with the organic reflects a digital world of magic.

Dancers take on the form of zoomorphic creatures in a multi-colored game of perspective and scale that ennobles the existence of tiny beings. Performers intertwine to form letters, words and questions, while costumed dancers dressed as bees, plankton, butterflies, and other creatures, mimic the somatic or sonar communication inherent to different species. The use of a bird’s eye perspective for each video simulates the effect of looking through a microscope, telescope, or kaleidoscope. The symmetrical multiplication of moving bodies in constantly changing constellations produces a rhythmically pulsating collective. Planet Earth is a complex organism and if we humans interfere with it, the elements get off balance (lose their balance) and the cycle becomes destructive.

I believe that life is nothing but a dream. We can create our life, and our dream becomes a masterpiece of Art. With my exhibitions and Manifestos, I create beautiful spaces that become the stage for multi-sensorial and collective experiences. I wish to stimulate dreams, empathy and awareness that inspire us to look for answers from another viewpoint, to preserve the beauty and complexity of nature for generations to come.

Mostre personali | Solo exhibitions

2023

New York, USA, Latchkey Gallery, “Why do the waves repeat the questions I ask them?”.

2022

Zermatt, Svizzera, Kunsträume, “Plankton Manifesto”.

Miami, USA, Untitled Art Miami, “Crossing to the Unlimited Ocean”.

Alba, Teatro Giorgio Busca, “Migliaia di Sistemi Tutti si Riuniscono”.

Menorca, Spagna, P-Lab, Sa Mesquida, “Plankton Manifesto”.

New York, USA, Boat House Central Park. 2021

Zurigo, Svizzera, Bulgari, “The Five Elements of Nature”.

Zurigo, Svizzera, Shin Michelin Star Omakase Restaurant, “Plankton Manifesto”. Altdorf, Svizzera, Kunstdepot, Permanent Museum Exhibition, “Are The Droplets on the Web playing…?.

2020

Houston, USA, Anya Tish Gallery, “What happens to the swallows who are late for Spring?”.

New York, USA, C24 Gallery Online Exclusive, “Element / Tell”.

2019

Beijing, Cina, The Opposite House, Artist in Residence at the House CollectiveEncounters Across Cultures, “Seeds of Life I”. Hong Kong, Cina, Upper House, Artist in Residence at the House CollectiveEncounters Across Cultures, “Seeds of Life II”.

Shanghai, Cina, Middle House, Artist in Residence at the House CollectiveEncounters Across Cultures, “Seeds of Life III”.

Chengdu, Cina, Temple House, Artist in Residence at the House CollectiveEncounters Across Cultures, “Seeds of Life IV”.

Coteau Raffin, Mauritius, Green Village, Nou Le Morne Festival, “Bee Aware Pavilion”.

New Delhi, India, The India Habitat Center, Photosphere, “How Can Birds Dream in a Land Without Roots”.

New York, USA, Jungle Loft, “Bang Bang Manifesto”.

2018

New Delhi, India, Swiss Embassy, “Will the doves nestle on the moon?”.

Zurigo, Svizzera, Gallery Andres Thalmann, “Will doves rise from the turbans when the Indian train whisper?”.

New York, USA, C24 Gallery, “What is the Color of Scent?”.

2017

Houston, USA, Anya Tish Gallery, “The Trembling of a Leaf or the Movement of the Universe?”.

Ibiza, Spagna, Aiwa Festival, “The Rising Rainbow Way”.

New York, USA, Core Club, “Does the Honey Taste Like Fear When the Bees Are Under Siege?”.

2016

Zurigo, Svizzera, Gallery Andres Thalmann, “Where do Things in Dreams go?”.

New York, USA, C24 Gallery, “Vuela vuela”. Miami, USA, Art Miami, Gallery Andres Thalmann.

2015

Houston, USA, Anya Tish Gallery, “Where does Time Begin?”.

New York, USA, Interplanetary Orchestration on 11.11.

New Britain, USA, New Britain Museum of American Art, “How Can We Cool Down

the Gilded Sun Beams?”. Savannah, USA, Telfair Museum, “Beeplane”. 2014

Santo Domingo, Lyle O.Reitzel Gallery, “Interplanetary Kisses, with José Bedia”.

New York, USA, C24 Gallery, “Bang Bang”. Davenport, USA, The Figge Art Museum, “Videoplanet-Orchestra”.

New York, USA, VOLTA, C-24 Gallery. San Paolo, Brasile, SP-Arte, Galleria Lourdina Jean Rabieh.

2013

New York, USA, C24 Gallery, “Other Voices”.

Altdorf, Svizzera, Art Museum Uri, “Miniverse”.

Zurigo, Svizzera, Galerie Andres Thalmann, “Will the Moon...?”.

Louisville, USA, LOT, “Land of Tomorrow”. Houston, USA, Anya Tish Gallery, “Who Collects Clouds in the Sky?”.

Beijing, Cina, C-Space, “How Blue Can Smoke Be?”.

Houston, USA, Houston Art Fair, Anya Tish Gallery.

2012

San Paolo, Brasile, MuBE, Museu Brasileiro da Escultura, “Interplanetary Constellations”.

New York e Miami, USA, Pulse, Scaramouche Gallery, “Impulse”.

2011

Salerno, Galleria Tiziana Di Caro, “Miniverse”.

Houston, USA, Anya Tish Gallery, “Multiverse”.

Colorado Springs, USA, Colorado Springs Fine Arts Center, “Why Did the Bees Leave?”.

Tel Aviv, Israele, Braverman Gallery, “Where was Green Born?”.

Praga, Repubblica Ceca, Vernon gallery, “Why Did the Bees Leave?”.

Roma, Contemporary Art Fair, Tiziana di Caro Gallery, “Out of Range Section”. Singapore, Marina Bay Sands, “Art Stage Singapore”.

Praga, Repubblica Ceca, Vernon Gallery. 2010

Zurigo, Svizzera, Galerie Andres Thalmann, “Sculpting in air”.

Zurigo, Svizzera, Kunst 10, Galerie Andres Thalmann.

Basilea, Svizzera, VOLTA, “Lightbox”, Vernon Gallery.

Praga, Repubblica Ceca, Vernon Gallery, “Lightbox”.

2009

Salerno, Galleria Tiziana Di Caro. Houston, USA, Anya Tish Gallery, “Sculpting in Time”.

Verona, Art Verona on Stage.

2008

Berlino, Germania, Substitut, “A.I.R. ONE”.

2007

Senones, Francia, Planêtre, “Scène2°”.

Basilea, Svizzera, Tony Wuethrich Galerie, “Zwischen der Sonne und den Orangen”.

Liestal, Svizzera, Kunsthalle Palazzo, “Les Jeux sont Faites”.

2006

Schaffhausen, Svizzera, Forum Vebikus, “A view to the Planets”.

Dublino, Irlanda, Dublin Fringe, “Schachfeld”.

New York, USA, The Artist Network Gallery, “Where Ever You May Be”.

2005

San Pietroburgo, Russia, Museo Hermitage, “Love.com”.

Lucerna, Svizzera, Rose D’Or Festival, “Objects in the Rearview Mirror are…”.

Principali mostre collettive | Main group exhibitions

2022

Milano, The Flat Massimo Carasi, “Altered Perceptions”.

2021

Dubai, Emirati Arabi Uniti, Word Trade Centre, Gitex Global, Art in Space. Savannah, USA,Telfair Museum, “Curators’ Choice”.

2020

Houston, USA, Anya Tish Gallery, “Sine Sole Sileo”.

Shangai, Cina, West Bund Art & Design Fair, Crossing Art Gallery

Miami, USA, Art Palm Springs, Kavachnina Contemporary.

Parigi, Francia, Grand Palais, Art Paris, Andres Thalmann Gallery.

2019

New York, USA, Pen + Brush gallery, “Furies, Fairies, Visionaries”.

Miami, USA, Art Miami, C24 Gallery. 2018

New York, USA, C24 Gallery, “Core Sample”.

Houston, USA, Anya Tish Gallery, “In Control”.

Zurigo, Svizzera, Andres Thalmann Gallery, “Artists of the Gallery”.

Parigi, Francia, Art Paris, Art Fair, Gallery Andres Thalmann.

Miami, USA, Art Miami, C24 Gallery.

Seattle, USA, Art Seattle Fair, C24 Gallery. 2017

Neuchâtel, Svizzera, WhiteSpaceBlackBox, “Widerstand”.

Seattle, USA, Art Seattle Fair, C24 Gallery. Istanbul, Turchia, Art Fair, C24 Gallery.

2016

Beijing, Cina, Today Art Museum, “The 3rd China International Art Forum & Exhibition on Installation Art”.

Houston, USA, Anya Tish Gallery, “XX Part Two: 20th Anniversary Exhibition”.

2015

Bogotá, Colombia, Casa Calle 78, Color Art Coiris”.

West Palm Beach, USA, Outdoor Museum Exhibition, “Canvas”.

Parigi, Francia, mi Gallery, “Identite reve(l)ee”.

New Britain, USA, New Britain Museum of American Art, “ART TODAY: 2000- Present”. Houston, USA, Anya Tish Gallery, “Pool Party”.

2014

Shanghai, Cina, Long Museum, “Exhibition & Forum for Installation Art”.

Cedar Falls, USA, University of Northern Iowa Gallery of Art, Artworks for Change, “Nature’s Toolbox Art and Invention”. Schaffhausen, Svizzera, Vebikus, “Werkstoff Glas”.

2013

San Jose, USA, San Jose Museum of Art, “Around the Table”.

Mexico City, Messico, Museo de la Ciudad de Cuernavaca, “Mexico Artport”.

Salt Lake City, USA, The Leonardo, “Nature’s Toolbox”.

Wichita, USA, Ulrich Museum of Art, “Nature’s Toolbox”.

2012

Chicago, USA, The Field Museum, “Nature’s Toolbox”.

Netanya, Israele, Municipality Gallery

Netanya, “Augmentations”.

2011

San Paolo, Brasile, Lourdina Jean Rabieh Gallery, “Dialogicos”.

Chicago, USA, Martha Schneider Gallery, “Photography as Object”.

2010

Roma, Museo MAXXI, “NETinSPACE”. Venezia, XII Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, “Collapsoscope”.

Shanghai, Cina, United Nations Pavilion at the Shanghai Expo, “Nature’s Toolbox”. Los Angeles, USA, Armory Center for the Arts, “New Sculptural Media”. Padova, Porsche Center, “Collapsoscope”.

2009

Yokohama, Giappone, Convention Centre Pacifico Yokohama, “Siggraph Asia 2009”.

Chongqing, Cina, Chongqing International Exhibition Centre “First Chongqing Biennale for the Young Artists”.

Liestal, Svizzera, Kunsthalle Palazzo, “Dialogue of the Generations”.

2008

Copenhagen, Danimarca, Galleri Christoffer Egelund, “Summertime 08”.

Perth, Regno Unito, Threshold Art Space, “Primacy”.

Istanbul, Turchia, Tershane Gallery, “Art Is My Playground”.

2007

New York, USA, Flux Factory, “New York City Panorama”.

Istanbul, Turchia, Tershane Gallery, “Biennale Parallel”.

Beijing, Cina, 798 Area, “Dashanzi Art Festival”.

Beijing, Cina, 798 Area, “NO1 Artbase”. 2006

Basilea, Svizzera, Kunstraum Riehen, “Iaab Choices”.

Basilea, Svizzera, Villa Wenkenhof, “Alexander Clavel Fundation Prize”. 2005

Mosca, Russia, M’ARS Centre of Contemporary Arts, “Art Digital 2005”.

Nota biografica, autoritratto, principali mostre

Biographical notes, self-portraits, main exhibitions

Nota biografica | Biographical note

Dario Tironi è nato a Bergamo nel 1980 e vive e lavora a Stezzano, in provincia di Bergamo.

Dopo la laurea in scultura conseguita a Milano nel 2006, all’Accademia di Belle Arti di Brera, prende parte alla formazione di due associazioni attive nella promozione di artisti emergenti e nella creazione di eventi in collaborazione con altre realtà. Ha collaborato a campagne ed eventi di sensibilizzazione sulle tematiche ambientali con numerose associazioni, enti pubblici e aziende, tra cui Enel, Assicurazioni Generali, Unipol, Havas, QC Terme e Nexion. Le sue opere si trovano in numerose collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero.

Dario Tironi was born in Bergamo, Italy, in 1980 and lives and works in Stezzano, in the province of Bergamo.

After graduating in sculpture from the Brera Academy of Fine Arts in Milan in 2006, he helped establish two associations engaged in promoting emerging artists and in creating events

along with others. He has worked on campaigns and events to raise awareness on environmental issues with numerous associations, public agencies and companies, including Enel, Assicurazioni Generali, Unipol, Havas, QC Terme and Nexion. His works appear in numerous public and private collections in Italy and abroad.

Autoritratto | Self-portrait Ho deciso di fare l’artista perché da ragazzo sono sempre stato attratto e incuriosito dalle forme di espressione non verbali, le immagini e la musica in particolare. In un certo senso ho sempre creduto di essere portato per queste cose, non tanto di essere capace di crearle, ma di saperle esperire intensamente, di esserne emozionato. Diventando adulto e prendendo più consapevolezza di me stesso questa strada appariva sempre più chiaramente l’unica possibile e sensata per me. Ovviamente è stato un percorso lungo, tortuoso e non privo di sbandamenti. Durante e dopo l’università ho avuto diverse esperienze lavo-

rative molto utili, nel senso che mi hanno dato ancora di più la certezza di quello che avrei voluto fare nella mia vita. Per me l’arte è qualcosa che per sua natura sfugge a una facile classificazione, qualcosa che non si può definire all’interno del linguaggio verbale, comprendendo tutte quelle forme espressive e linguaggi che vanno oltre la comunicazione diretta, la funzionalità, la razionalità e la logica. La sua stessa indeterminatezza è uno delle caratteristiche intrinseche che la rendono tale. L’arte è un ambito in cui c’è molto spazio per fare esperienza della quasi totale libertà, di pensiero e di azione. Una libertà che ormai si trova raramente negli altri aspetti della vita, delimitata da codici e leggi, censure, regole morali, etiche, comportamentali e manipolazione mediatica. È un ambito in cui teoricamente non esistono regole o meglio dove ognuno può inventarne delle nuove, dove sperimentazione, trasgressione e rottura con il passato entrano a far parte del gioco, riflettendo un mondo in rapida trasformazione.

Ovviamente questa emancipazione si è vista in gran parte solo a partire dalle avanguardie storiche, perché l’ipotetica definizione di arte è cambiata durante i secoli ed è in continua trasformazione, essendo interconnessa e sviluppandosi parallelamente a eventi socio-politici, tendenze, tecnologie, dinamiche economiche e soprattutto essendo fatta da attori che cambiano costantemente. Credo che bisogna tornare a credere nei propri sogni, coltivare le passioni, dare voce e forma alle nostre idee e i nostri sentimenti, nonostante tutti gli impedimenti, i problemi e limiti, siano essi interiori che dell’ambiente in cui viviamo. Ha senso e vale la pena spendere la nostra breve esistenza alimentando questi aspetti che sono forse gli unici vera-

mente importanti, perché ci permettono di lasciare una traccia, donare un contributo, cambiare il mondo in meglio anche se in minima parte. L’arte inoltre ci fa entrare in connessione con le percezioni, l’oscuro, l’inconscio e le tensioni che altrimenti non troverebbero spazio nella nostra vita. Trovare noi stessi implica una lotta contro le omologazioni e le convenzioni, contro la routine e la tranquillità della dimensione quotidiana, che assorbe il nostro tempo e le nostre energie. Siamo su un pianeta che corre a velocità inimmaginabile alla deriva di uno spazio sconosciuto in una sorta di missione suicida e al tempo stesso a volte siamo così impauriti dalla novità, restii anche ai piccoli cambiamenti e diffidenti verso gli altri, scettici verso

nuove idee e fermi sulle nostre ideologie, aggrappati alle nostre abitudini e stile di vita. Il mio sogno è che l’umanità si possa evolvere in un modo diverso da quello che stiamo prefigurando, diventando più attenta alle diversità, alle disparità, alle ingiustizie e diventando più protettiva verso il bene che ci accomuna tutti, l’ambiente naturale.

I decided to become an artist because as a kid I was always drawn to and fascinated by and nonverbal forms of expression, images, and music in particular. In a certain sense, I’ve always believed myself to have a talent for these things. It’s not so much that I was able to create them but that I experienced them profoundly and they moved me. As I grew up and became

more self-aware, I realised with increasing clarity this was the only possible way forward for me. Of course, the road was long and winding and not without its ups and downs. During my time at university, I had several work experiences that were extremely useful because they made me even more certain about what I wanted to do with my life. For me art is something that by its very nature escapes any simple categorisation. It is something that cannot be defined in words. It comprises all those forms of expression and languages that go beyond direct communication, functionality, rationality, and logic. Its very indeterminacy is one of the intrinsic characteristics that render it so. Art is an area in which there is ample space to liberally experiment with thoughts and actions. This kind of liberty is hard to find in other aspects of life, circumscribed as they are by rules and laws, censorship, moral, ethical, and behavioural codes, and manipulation by the media. It is a field where theoretically there are no rules, or rather where anyone can invent new ones, where experimentation, transgression and breaking with the past become part of the game, reflecting a rapidly changing world. Obviously, this emancipation has largely only been seen since the historical avant-gardes because the supposed definition of art has changed through the centuries and is in continuous transformation. Its definitions are interconnected and develop side by side along with so-

cial and political events, trends, technologies, economic developments and above all because art is made up of constantly changing players.

I think we need to go back to believing in our dreams, nurturing our passions, and giving voice to our ideas and feelings, despite all the obstacles, problems, and limitations, whether they be imposed by us or the environment. It makes sense and it is worth spending our brief existence cultivating these aspects, which are perhaps the only ones that really matter, because they enable us to leave a trace, make a contribution and change the world for the better, even if only marginally. What is more, art brings us into connection with our perceptions, with the obscure, the unconscious and the tensions that otherwise wouldn’t find space in our lives. Finding ourselves implies a battle against standardisation and convention, against routine and the quiet of the everyday world, which sucks up our time and energy.

We are on a planet running adrift at breakneck speed in an unknown space, on a sort of suicide mission. Yet, at the same time we are often so frightened by the new, unwilling to accept even minor changes and wary of others, sceptical of new ideas. We stick to our ideologies and cling to our habits and lifestyles.

My dream is for humanity to evolve differently from what we are envisaging, becoming more attentive to diversity, inequality, and injustice and more protective of the very resource that connects us all, the natural world.

Mostre personali | Solo exhibitions

2023

Bergamo, Ex Ateneo di Lettere Scienze e Arti, “Facing our waste”.

Torino, Palazzo Reale, “Earth day 2023”.

2022

Brescia, Galleria Gare 82, “Digital meditation”.

Cannes, Francia, Cannes Lions Festival of creativity, in collaboration with Havas, “Face our waste”.

2021

Milano, Padova, Verona e Bologna, in collaborazione con Enel, “#Enelincircolo”.

2020

Milano, Domux home Torre Galfa, “Things”.

2019

Bologna, SimonBart Gallery, “Anatomie di consumo”.

Brescia, Gare 82 Gallery, “Dario Tironi Solo show”.

2018

Bologna, Ateneo, Collezione Luigi Cattaneo, “Figure furìturibili”.

2017

Porto Cervo e Poltu Quatu, SimonBart Gallery, “Plastic Beauty”.

Brescia, Azimut, “Oggetti rimediati”.

Gardone, Il Vittoriale degli Italiani, “Ho cercato l’armonia”, installazione permanente.

2016

Pietrasanta, Piazza del Duomo, “Monument to mankind”.

2013

Roma, Galleria Angelica, “Game of cultures”.

Milano, Museo della Scienza e della Tecnica Leonardo da Vinci, “Da cosa nasce cosa”, installazione permanente.

2011

Savona, Fortezza del Priamar, “Human constructions”.

2010

San Gimignano, Galleria Gagliardi, “Realtà oggettiva”.

Casole d’Elsa, Museo Civico Archeologico e della Collegiata, “Variazioni estetiche”.

Principali mostre collettive | Main group exhibitions 2023

Bergamo, Galleria Duepuntozero, “Non (so)stare”.

Ferrara, Castello Estense, “IX Premio Fondazione VAF”.

Chioggia, Museo Civico, “Il fantasma della forma. La scultura contemporanea”.

Roma, Centro espositivo La vaccheria, “Riscarti”.

2022

Chioggia, Museo Civico, “Appropriation”.

Ankara, Turchia, CSO Presidential Symphony Orchestra Concert Hall, “Valuable scrap”. Kiel, Germania, Stadtgalerie, IX Premio Fondazione VAF, “Aktuelle positionen italianischer kunst”

2021

Milano, Dap Art Park, in collaborazione con Unipol e Overart, “La rinascita”. Verona, Bastione delle Maddalene, “Nel respiro del mondo”.

Rimini, Part, “Natura Umana”.

2020

Vienna, Austria, Kunstlerhaus, “Wasteart”.

2019

Caserta, Reggia di Caserta, “Il dialogo dei contrapposti”.

Milano, Palazzo Cusani, “The room”.

Doha, Qatar, Souq Waqif, “Scrap Art”.

2018

Bangkok, Thailandia, Duke contemporary art space, “Contemporary trasformations”.

2017

Firenze, Parco della Gherardesca, Four Seasons, “Dialogue 2”.

Singapore, MAD Museum of art and design, “Superfuture”.

2016

Gualdo Tadino, Polo Museale, “Dalla terra al cielo”.

Roma, Università La Sapienza, “Neuro art”.

2015

Varedo, Villa Bagatti Valsecchi, “ExpoArteContemporanea”.

Edolo, Municipio, “Contexto”.

Padova, Museo Nazionale Atestino, “Impatto 2.0”.

2014

Firenze, Parco della Gherardesca, Four Seasons, “Dialogue”.

Montecarlo, Monaco, Galerie Carré Doré, “Face to face”.

2013

Baku, Azerbaijan, Gala State historical ethnographic Reserve, “2nd International From Waste To Art Exhibition”.

Spoleto, Albornoz Palace Hotel, 56° edizione Festival dei due mondi “Arte in terapia, diagnosi d’artista”.

2012

Roma, Biblioteca Nazionale Centrale, “Cultura + Legalità = Libertà”, L’arte contro le mafie. Lonigo, Palazzo Pisani, Festival delle arti audio visive, “New generation”.

2011

Tortona, Palazzo Guidobono, “Waste”. Venezia, Tese dell’Arsenale, “Premio Arte laguna”.

Torino, Museo delle Scienze Naturali, “Cultura + Legalità = Libertà”, L’arte contro le mafie.

Bologna, Accademia delle Belle Arti, “IV Premio Fabbri per l’Arte”.

2010

Venezia, Lido, Esposizione Internazionale “Open 13”.

Venezia, Tese dell’Arsenale “Premio Arte laguna”.

Katja Loher e Dario Tironi , con linguaggi diversi, combattono la stessa appassionata battaglia per la difesa dell’ambiente. Senza sit-in aggressivi, senza incursioni vandaliche, riescono a farci sentire che l’arte non è l’oggetto da imbrattare, il simulacro da violentare, ma un canto prezioso che l’umanità può ancora elevare per raccontare la vita e il suo mistero. Il Castello scaligero di Malcesine è “il promontorio estremo dei secoli” dal quale un uomo e una donna, insieme, cantano un futuro che non sarà. Ora dipende da noi.

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