Intervista al Gruppo A12 IL CONTESTO L’edizione 2008 di Cantieri d’Arte si prefigge di affrontare il tema della città nel suo aspetto urbanistico e architettonico dal punto di vista della visione chiedendo agli artisti una risposta che non sia necessariamente di mimesi ma piuttosto di rappresentazione. Non essendo mai stati prima a Viterbo qual è stato il vostro impatto con la città? Dovendo lavorare in un luogo fortemente “tipicizzato” (è completamente assente l’asetticità e la neutralità del whitecube) quale è stato il problema del rapporto tra il tuo lavoro e il contesto? Essendo architetti, per formazione e di professione, l’operare all’interno dei contesti urbani è una condizione del tutto consueta.
In questo caso specifico l’approccio è stato particolarmente “dolce”, la città ci era
sconosciuta, ma presentava caratteristiche comuni a molti centri Italiani. Viterbo ci è stata “raccontata” da Antonello Ricci nel corso del nostro primo sopralluogo e in qualche modo siamo stati accompagnati verso il tema del lavoro piuttosto che raggiungerlo grazie ad operazioni di lettura più o meno complesse come quelle che ci è capitato di compiere in altre occasioni. Si può dire che il progetto per Viterbo sia nato dal luogo stesso. E’ il contesto, fisico e sociale, a dare senso ad un manufatto che, spostato dalla sua collocazione nello spazio e nel tempo, perderebbe del tutto il proprio significato. LA VISIONE Cantieri d’Arte è un progetto d’arte pubblica che opera nei luoghi più disparati e disomogenei della città. Ciò significa che gli spettatori sono potenzialmente 60.000 (numero degli abitanti di Viterbo), ma che non tutti hanno il medesimo grado di interesse rispetto al lavoro degli artisti. Qual è stato il vostro approccio al lavoro sapendo che avreste lavorato nel cuore della città in uno degli snodi più importanti del “traffico” (pedonale e non) cittadino? Questo è un po’ il problema di fondo dell’arte pubblica in epoca contemporanea, da un lato si vuole far uscire l’arte dai contesti espositivi per andare incontro ad un pubblico più vasto, dall’altro ci si scontra con il problema della comprensione del linguaggio dell’arte da parte di un pubblico di non addetti ai lavori. E’ una questione complessa che rischia di essere banalizzata. Sicuramente il pubblico dei cittadini è mediamente poco preparato rispetto alla fruizione dell’arte contemporanea, specialmente in Italia dove c’è una sorta di rifiuto per la contemporaneità a tutto tondo. Ciononostante la nostra impressione è che spesso si tenda a sottovalutare la capacità di comprensione da parte delle persone ed a sopravvalutare l’importanza di una comprensione universale delle opere inserite nello spazio pubblico. Il lavoro che abbiamo installato in Piazza dei Caduti comunica su diversi livelli. E’ un oggetto dalla forma evocativa. Forse per qualcuno potrà anche apparire ambiguo, incomprensibile o insensato, ma fa riferimento al territorio ed alla memoria locale, all’esperienza quotidiana di tutti e si alimenta con energie rinnovabili. Possono pertanto essergli attribuiti significati semplici, alla portata di chiunque lo osservi, a prescindere dal fatto che si conosca o meno la storia della città a cui è direttamente riferito.
IL PROGETTO “-14,86” è il titolo della vostra installazione (permanente) nel capoluogo della Tuscia. L’opera ha diversi livelli di lettura: è un richiamo alla quota da terra sotto la quale scorre l’Urcionio (fiume che prima dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale fluiva in superficie), è un invito ad ascoltare le acque del fiume e a riscoprire la recente storia locale. Quanto è importante per voi essere a conoscenza della storia del luogo in cui lavorate? Quanto è importante – se lo è – l’interazione con il pubblico? Non siamo appassionati di aneddotica né di storia locale, la consapevolezza del passato è utile per comprendere il presente. Ci interessa comprendere le tracce che la storia lascia sui luoghi fisici su cui interveniamo, perché ciò rende il nostro lavoro più efficace, inserendolo in un flusso di eventi e trasformazioni che non inizia e non finisce con il nostro progetto. E’ stato interessante scoprire in rete un documentario sul corso sotterraneo dell’Urcionio. L’interramento di un fiume che attraversa una città è un po’ come un processo di rimozione. La storia è parte integrante della cultura di un luogo e connota fortemente, spesso più di quanto non possa sembrare in apparenza, il carattere delle persone che lo abitano e che sono gli interlocutori diretti del nostro lavoro. Qualunque cosa avvenga nello spazio pubblico non può che entrare in relazione, interagire, con chi vi si trova, anche qualora questo rapporto non sia l’obiettivo principale dell’autore. Anche per quanto riguarda l’interazione con il pubblico, il nostro atteggiamento è fortemente condizionato dalla nostra formazione. Abbiamo maturato una concezione dell’architettura per la quale è impossibile prescindere dalle persone che abitano gli spazi.