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curiosar(t)e: la luce nei dipinti di casey Weldon

la luce nei dipinti di casey Weldon

Dario Ferreri

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“Un tra viaggio i luoghi e nonluoghi fisici ed emozionali dell' arte ”contemporanea

“Solo la luce che uno accende a sé stesso, risplende in seguito anche per gli altri”

Arthur Schopenhauer

«Non ho particolari talenti, sono soltanto

appassionatamente curioso» Albert Einstein

C U R I O S A R ( T ) E

Casey Weldon, classe 1979, è un artista americano nato nel sud della California, dove ha trascorso la maggior parte della sua vita giovanile, sino alla laurea all'Art Center College of Design di Pasadena nel 2004. Dopo aver gestito uno studio fuori Las Vegas, Weldon si è trasferito a New York, poi in California ed ora a Seattle, dove lavora come artista full time. La sua arte raffinata, intrisa di una sontuosa qualità illustrativa, è stata da alcuni definita come surrealista post-pop ed accostata, per talune caratteristiche, a quella di André Breton e René Magritte. Le sue opere, difatti, si ispirano all'icono-

grafia della cultura popolare di oggi e di ieri e mirano a risvegliare sentimenti di nostalgia e malinconia, spesso con un tocco di humor. L’artista, che in più occasioni si è dichiarato naturalmente incline al “lato oscuro” , per compensarlo utilizza una tavolozza ipercromatica, brillante e vibrante, e sovrappone, con cura, strati di colore “al neon” per far vivere nei suoi dipinti fonti di luce piccole e super luminose e creare un bagliore soprannaturale e drammatico, quasi come se il dipinto fosse illuminato dall'interno: il risultato è una narrazione cinematografica che coinvolge nella storia e che fa esplodere i bagliori del neon all’interno di ambientazioni più cupe.

I protagonisti delle opere di Casey Weldon 48

sono gatti e gattini dagli occhi multipli, ragazze fashion che brillano di potere e luci al neon, ritratti di Bill Murray, riflessioni a tema cinematografico alla Wes Anderson, ecc: a prescindere dal tema, il suo uso del colore e della luce diventa magnetico per qualsiasi spettatore, attira e fa interrogare sul cosa e sul perché delle sue specifiche storie visive, in grado di comunicare l'esperienza simbiotica di amare e temere qualcosa allo stesso tempo; gatti con quattro occhi che sembrano spaventosi ma anche così incredibilmente carini; giovani donne attraenti ma in contesti dark ed illuminate da strane luci: queste immagini possono rappresentare così tanto e così poco a seconda di chi le guardi. Dinanzi alle sue opere, l’osservatore è come se stesse vivendo lucide, strane réveries surreali a colori, con luminosità e narra-

zioni fantastiche, nelle quali anche la flora e la fauna interagiscono con una vitalità surreale ma intenzionale: Casey Weldon è un creatore di sogni e immaginazione. Weldon ha esposto ed espone il suo lavoro in gallerie negli Stati Uniti, in Europa ed Australia e i suoi dipinti ora si trovano in collezioni di tutto il mondo. Weldon ha anche dipinto e animato a mano il video musicale dei Black Camaro per la

loro canzone Zebraska. Hanno scritto di lui riviste Beautiful quali Bizarre Magazine, Hi-Fructose, Juxtapoz, ecc. Per seguirlo sui s o c i a l https://www.instagram.com/caseywel don/ (oltre 200.000 followers) ; https://www.facebook.com/caseywel d o n a r t , http://caseyweldon.com/

taranto con Gli occhi dei baMbini tra Mito e realtà

Antonio Giannini

G tra “ irovagando suggestioni letterarie e storie di mare”

“Oggi mi sento greco” . Così diceva mio padre quando sceglieva il passaggio da Taranto, in alternativa alla strada interna che ci conduceva all’allora borgo silenzioso di Porto Cesareo sullo Ionio, per trascorrere le vacanze estive. Ed uno di noi altri ragazzini accucciati sul sedile posteriore della bianca e lucente Lancia , che profumava ancora di nuovo, chiese il significato di quelle parole. Mio padre non aspettava altro ed in un impeto di classicheggiante nostalgia ci parlava della Magna Grecia, della colonizzazione di molti posti del meridione e della unica colonia Spartana, quella di Taras appunto, il piccolo isolotto posto tra due mari. Quelle storie raccontate con tanta partecipazione ci coinvolgeva al punto, che l’attraversamento di della città si prospettava come un momento solenne ed indimenticabile. L’Aspettativa cresceva alquanto già dal curvone in alto prima di scendere dalla Murgia, dove si apriva alla nostra vista, meravigliosa, la pianura divisa a scacchiera dagli appezzamenti coltivati, prima che lo sguardo annegasse nel blu screziato dai riflessi argentei e abbaglianti del mare. Appena scesi a valle, poi, una esplosione di bouganvillae ed oleandri multicolore ci sembravano come fuochi d’artificio alla festa di San Rocco. Fiori e file enormi di fichi d’india straripavano dai guard rail, dai muri di tufo e sulle pareti di capannoni e fabbriche scalcinate le quali, nell’avanzare, diventavano sempre più numerose, e alla emozione di quello spettacolo cromatico subentrava lentamente ma inesorabile la delusione. La sensazione sempre più netta era di avvicinarci al confine di una terra sconosciuta

dove vigeva un altro ordine, dove la natura ingaggiava una lotta sempre più aspra con mostri alieni fin quando, passato Massafra, masserie abbandonate e l’Hotel Tritone, la lotta diventava impari e quella vegetazione spettacolare doveva soccombere definitivamente nell’attraversamento di quella terra desolata dell’allora Italsider, Eni e Cementir, passando sotto nastri trasportatori lungo un intrigo di metallo e ciminiere a strisce rosse e bianche dalle quali, senza posa, fuoruscivano braccia fluttuanti e grigie di fumo che sembravano imprecare vendetta al cielo, proprio come nell’eterna lotta tra il bene ed il male delle storie lette a scuola. Questo viaggio, il primo di una lunga serie, mi ricordo, ci richiamò alla memoria il racconto del Re Leone quando Simba si inoltra nel territorio

desolato e spoglio dove Skar gli tende un agguato, e quella associazione non è più andata via dalle nostre menti di ragazzini. La terra desolata terminava dopo Porta Napoli quando si arrivava al primo ponte che immetteva alla città vecchia, ed il senso di oppressione era finalmente liberato anche grazie alla frotta sciamante di ragazzini, forse della nostra età, in costume da bagno, che dal parapetto, a turno, si tuffavano in mare suscitando in noi allegria ed ammirazione mista ad un filo di invidia. Prima di prendere il secondo ponte e costeggiare tutta la città nuova verso il Salento, le due colonne se ne stavano li “uniche superstiti di un grande tempio dorico di Poseidone” , diceva mio padre quasi declamando, “a simboleggiare la grandezza delle origini della Città”; e questa unica testimonianza, unita al racconto affascinante dei miti greci, aveva impresso definitivamente le nostre menti come un marchio indelebile. Il viaggio doveva proseguire e non c’era mai tempo di fermarsi ed inoltrarsi nel centro antico dove chissà quali storie e quanti personaggi attuali si nascondevano. A vederlo da fuori il centro antico, l’isola, sembrava una casba inaccessibile dove entrarci, ci sembrava, sarebbe stato come violare i confini di un territorio abitato da uomini, donne, bambini di un’altra stirpe. Ma era quello un motivo per cui la città vecchia, appartata e guardinga allo stesso tempo, ci attraeva ed accendeva la nostra fantasia. Ad una ventina di chilometri più avanti, lungo la strada che costeggiava lo Ionio, c’era una baia con tutt’intorno una cresta di pini ed

era bello vedere il bianco della sabbia, il blu del mare e il verde della pineta. Era Lido Silvana, e ci piaceva allora pensare che il precedente attraversamento di quella zona d’ombra lungo tutto il tratto di statale che fiancheggiava l’Italsider, era il prezzo imposto da Poseidone dio del mare, delle onde, dei terremoti, del vento e delle tempeste oceaniche, per farci accedere in questo paradiso terrestre. E poi ancora, come in un crescendo che pareva non finisse mai c’era Campo Marino, San Pietro in Bevagna, Torre Lapillo ed in fine la nostra Porto Cesareo di cui allora ignoravamo sarebbe diventata un pezzo importante della nostra vita, quando Edipo avrebbe ceduto finalmente il passo ai sentimenti adolescenziali. Ma quella è un’altra storia.

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