Pubblicazione Gratuita / Bimestrale / Anno IV / Numero 21
Time out. N째21 novembre/dicembre 2014
Il tempo è a m l’i m gine mobile dell’ e t e rnità. (Platone)
L’editoriale
di Olga Gambari e Annalisa Russo
Facile parlare di tempo. A partire dal fatto che ognuno ha il proprio, e che spesso dipende dal momento della vita, dall’ora della giornata, dal luogo in cui ci si trova. E considerando che il tempo è una condizione assolutamente soggettiva, mentre invece viene accettato come convenzione comune.
Quindi, quale tempo, quanti tempi? C’è il tempo che non passa mai o che passa troppo in fretta, il tempo sprecato...quello rubato, quello ritrovato...quello reale, quello interiore.... quello necessario, quello imposto, quello desiderato…quello che… Dalla notte dei tempi – cioè da quando Zeus e i suoi fratelli sconfissero loro padre, il crudele titano Cronos (che a sua volta aveva spodestato il padre, Urano, dio del cielo) e così il tempo iniziò a scorrere per gli uomini - il conto risulterebbe una lista infinita, sempre aperta. Come il tempo, che non si sa quando sia iniziato nè quando finirà. Le antiche filosofie buddista e indiana ritenevano che il tempo fosse ciclico, seguisse cioè i cicli della natura, come lei rinnovandosi, passando dalla nascita alla morte, dalla fioritura all’appassimento. Anche la fisica quantistica concepisce il tempo come circolare: la teoria del Multiverso, ad esempio, suppone l’esistenza di centinaia di migliaia di universi, teoricamente infiniti, che nascono, hanno un tempo di vita, muoiono e rinascono, in un eterno divenire di energia e materia. Nell’esperienza quotidiana invece il tempo appare lineare: lo misurano i secondi, i minuti, le ore. Lo misura il corpo che cambia, le esperienze, i ricordi, lo misura la vita. Tuttavia nel corso di una vita -o anche di un solo giorno - il tempo sembra avere porte di ingresso e di uscita che si aprono e si chiudono all’improvviso. Forse allora è un labirinto il tempo, che fa un unico impasto con lo spazio in cui scorre.
BIMESTRALE / Anno IV / Numero 21 Novembre/Dicembre 2014
Direttore Editoriale Annalisa Russo
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Direttore Responsabile Olga Gambari
Immagini che sono immaginari. Diapositive orfane, trovate in giro, sconosciute perché abbandonate. Pezzi di vita negati, dimenticati. Silvia Margaria le cerca, le raccoglie, le studia, le ascolta. Poi sovrappone per scelta empatica e poetica le diapositive, due a due, fondendo le loro visionarietà, ormai perse nel tempo, in situazioni altre, surreali, poetiche. Si determina uno straniamento che produce uno scarto. Corpi che sono paesaggi, decori che celano figure. Questo prendersi cura è un creare dei nidi, dei rifugi in cui trovare riparo, in cui ancorarsi nel mare in tempesta del tempo. Si tratta di Nidificare (2014).
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Come contarli, nominarli, catalogarli tutti questi tempi? Dedicare un numero a un tema come il tempo vuol dire solo provare a raccontare delle storie, ad ascoltare, a scoprire, perché il tempo è una di quelle questioni a cui si crede per fede, per fascinazione, per speranza, per paura. Per folgorazione anche. Abbiamo pensato di fare una declinazione anomala di tempo, scegliendo tempi tutti molto diversi tra loro, senza una gerarchia di importanza: ci è sembrato fosse il modo migliore per sottolineare come il tempo sia indisgiungibile da qualsiasi questione umana. E per dialogare con i testi abbiamo scelto immagini di opere di artisti che riflettono sul tempo, lo prendono da angolazioni plurime, e suggeriscono, così, altri tempi ancora. Questi tempi li raccontiamo, ma come sempre è solo l’inizio di un racconto a capitoli, potenzialmente interminabile, che cerca sviluppo nei tempi di chi leggerà, in quelli che si aggiungeranno, una catalogazione continua. Viaggiare nel tempo, il tempo che si fa musica nei tronchi degli alberi, il tempo del piacere femminile, oltre il femminismo. E la banca del tempo, che in qualche modo si specchia nella banca della memoria. Nell’arte il tempo è compresenza, un circolo che si autoalimenta, in cui passato e futuro sono contemporanei. L’arte c’è, come per incantesimo, e le opere che contengono questa magia sono davvero senza tempo, contemporanee naturalmente ed evidentemente. Mentre quelle che ne sono prive sono vecchie e senza vita, anche se appena nate. Risulta evidente nei musei, nelle mostre storiche, in cui opere famosissime appaiono morte, passate, e allora se ne notano il colore crepato, la forma sgraziata, la sensazione di anacronismo che le avvolge. Mica vero che tutti i cosiddetti grandi artisti reggono il tempo. E’ proprio il tempo ad attuare una naturale scrematura.
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Art direction e progetto grafico Christel Martinod Hanno collaborato Anna Li Vigni, Gian Luca Favetto, Monica Stambrini, Giuliano Torrengo, Valentina Vaio
Testata giornalistica registrata. Registrazione numero N°55 del 25 Ottobre 2010 presso il Tribunale di Torino Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione n°20817 Tutti i diritti riservati: nessuna parte di questa rivista può essere riprodotta in alcuna forma, tramite stampa fotocopia o qualsiasi altro mezzo, senza autorizzazione scritta dei produttori.
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Il Tempo dell’Arte Te sto di An n a Li Vig n i*
Non c’è domanda più urgente, per l’essere umano, di quella che interroga il tempo e la sua natura. L’arte è capace, forse ancor più della filosofia, di trovare sempre nuove domande su nuove idee di tempo. Dai dipinti di Giorgio De Chirico, alla fotografia, arte temporale per eccellenza che – come nota Roland Barthes – non dice nulla sull’oggetto rappresentato, ma dice molto sul fatto che esso “è stato” e sul preciso momento in cui è stato. Fino all’istallazione The Clock, di Christian Marclay, che ha vinto la 54ma edizione della Biennale di Venezia: un filmato di 24 ore, nato dal montaggio di centinaia di spezzoni di film famosi, in cui ogni minuto viene inquadrato un orologio che indica l’ora, in perfetta sincronia con il tempo reale dello spettatore. Si tratta di un grande omaggio al cinema, l’arte che più di ogni altra ha scardinato il tempo, liberandolo, come afferma Gilles Deleuze, dalla mera narrazione per restituirlo alla sua vera dimensione, quella interiore, quella infinitamente estendibile della coscienza. I tanti orologi ironicamente inquadrati nell’istallazione di Marclay perdono la loro consistenza cronografia per assumere, in realtà, il valore degli «orologi molli» del dipinto La persistenza della memoria (1931) di Salvador Dalì. Lo splendido volume dell’Enciclopedia delle Arti contemporanee, curato da Achille Bonito Oliva, e dedicato a Il tempo interiore, è un’articolata e filosofica interrogazione sul tempo a partire dall’esperienza delle arti
– Musica, Architettura, Arti Visive, Cinema, New Media, Teatro, Fotografia, Letteratura – che per natura loro sono «forme temporali» (Maurice Merleau-Ponty), perché catturano il ritmo della Storia individuale e collettiva e lo trasformano, o lo deformano, in qualcosa di diverso, di fondamentalmente interiore. Nel tempo dell’arte le immagini non possono essere spiegate, acquistano un senso in virtù della loro enigmaticità: «L’opera dell’artista – afferma Bonito Oliva – non è regolata da un movimento tendente a un unico bersaglio, quello del significato, ma si dischiude verso derive aperte. (…) L’opera d’arte corrisponde al puro interrogare». L’arte contemporanea è dunque capace di capovolgere letteralmente il tempo, di realizzare quella che Rella definisce, nella sua bella introduzione ispirata all’estetica di Walter Benjamin, la «rottura del tempo lineare» progressivo e unidirezionale: rottura dalla quale scaturisce un risveglio improvviso della coscienza dello spettatore, lo choc di un’immagine che balena improvvisa e, provenendo dal passato o dal futuro, è capace di liberare. Come accade nella scena finale del romanzo di Don DeLillo, Cosmopolis, in cui il video-orologio del protagonista rappresenta, con un anticipo di qualche istante, la sua morte. O come avviene nella musica di Gérard Grisey, un autore che riesce a “spazializzare” la melodia, contraddicendo l’idea che la musica sia solo incarnazione di un tempo astratto senza luogo: nei suoi Quatre chantes pour franchir le souil, infatti, egli materializza musicalmente la “soglia” che determina il passaggio dalla vita alla morte. Nella megalopoli contemporanea, poi, l’architettura è invitata, laddove possibile, a contrastare la grande fobia che scaturisce dalla labirintica assenza di un cetro: «in essa – così Hans Sedlmayr – il tempo interiore del soggetto si incrocia
Ventiquattr’ore di orologi, di ore, di tempi. The clock è un lunghissimo montaggio che attraversa la storia del cinema prendendo e montando insieme, in maniera consequenziale, inquadrature e sequenze estratte da centinaia di film che contenevano riferimenti al tempo. Con quest’opera Christian Marclay è stato premiato alla Biennale di Venezia del 2011 con il Leone d’Oro. L’artista americano ha decostruito e ricostruito il linguaggio e la dimensione cinematografica, creando una nuova narrazione e un tempo altro. Un collage surreale che però sviluppa una narrazione logica reale e naturale.
e combina con ritmi pubblici e privati modellandosi sulla metropoli; un tempo scandito da accelerazioni, sospensioni, fughe in avanti e indietro». L’arte dei nuovi media, infine, contrasta criticamente l’onnipotenza mediatica della postmodernità, che dissolve il tempo in un eterno presente, inducendo una sorta di “cronofobia” che azzera la profondità storica per ridurre la realtà a fittizio surrogato di un vasto immaginario pubblicitario. Interrogarsi sul tempo è uno degli esercizi filosofici più difficili. Forse, suggerisce DeLillo, l’uomo contemporaneo ha bisogno di «una nuova teoria del tempo». O forse ha bisogno solo di tornare a esperire dentro di sé – come ai tempi di Seneca e Agostino – le infinite forme del tempo. In questo l’arte può aiutarlo. © RIPRODUZIONE RISERVATA Enciclopedia delle Arti contemporanee. Il tempo interiore, a cura di Achille Bonito Oliva, introduzione di Franco Rella, postfazione di A. B. Oliva, Electa, pagg. 428, € 75,00
estratto dell’articolo de Il Sole 24 ORE del 14 luglio 2013
* Anna Li Vigni, studiosa di Estetica e Teoria delle Arti, da dieci anni collabora col supplemento culturale “Domenica” de IlSole24ore dove pubblica recensioni di libri di Estetica, e con il Touring Club Editore per il quale ha curato diversi volumi d’arte. E’ dottore di ricerca in “Estetica e teoria delle arti” e anche in “Scienze Cognitive” e vive e lavora a Palermo. Oltre a essere curatrice di mostre di arte contemporanea, si interessa di arte e neuroscienze e studia il fenomeno dell’embodiment nella percezione delle opere d’arte. Presto uscirà il suo saggio Immagin-Azione, dedicato proprio al tema dell’embodiment nella letteratura.
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Viaggiare nel Tempo
Misurare il Tempo
Te sto di Giulian o Torre n g o*
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Teoria della relatività generale: il tempo non è assoluto, ma dipende dalla velocità e dal riferimento spaziale che si prende in considerazione: per questo è più corretto parlare di spaziotempo che di tempo. Questo viene modificato dai campi gravitazionali, che deflettono la luce e rallentano il tempo.
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TT (tempo terrestre) = TAI (tempo atomico internazionale) + 32,184 s.
Tempo Atomico Internazionale (TAI) è una scala temporale accurata e stabile, definita come il tempo mantenuto da molti orologi al Cesio dislocati in oltre 70 laboratori nazionali in varie parti del mondo ed è disponibile dal 1955.
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t Tempo Universale (UT dall’inglese Universal Time) è una scala dei tempi basata sulla rotazione della Terra. Deriva dal Greenwich Mean Time (GMT), cioè dal giorno solare medio sopra il meridiano di Greenwich.
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Quando David, il bambino protagonista di I supergiocattoli durano tutta l’estate, chiede al suo orsacchiotto-robot come si faccia a distinguere le cose reali dalle cose non reali, si sente rispondere che le cose reali sono quelle buone. Se il tempo sia buono, e quindi reale, è una domanda però a cui è difficile rispondere. Il tempo è l’unica cosa (se di una “cosa” si tratta) che ci è tanto indefinitamente amica quanto irrimediabilmente ostile. È il terreno su cui germogliano tutte le possibilità che abbiamo, il campo da gioco delle nostre scelte e delle nostre responsabilità. Ma è anche ciò che rende inaccessibili i nostri errori e ci separa dai nostri successi, che sigilla le conseguenze tanto delle opportunità colte quanto di quelle perse. Grazie al tempo — o per colpa del tempo, se risultasse essere un male — gli unici atteggiamenti che possiamo avere di fronte alle decisioni che abbiamo preso sono i fossili della soddisfazione, del rimorso o del rimpianto.
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Tempo Coordinato Universale (tempo civile), è il fuso orario di riferimento da cui sono calcolati tutti gli altri fusi orari del mondo. Esso è derivato dal tempo medio di Greenwich.
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Tempo di Planck: (~ 5,4 × 10−44 s) è l’unità naturale del tempo. È considerato, ad ora, il più breve intervallo di tempo tecnicamente misurabile.
Tempo Terrestre è la scala di tempo utilizzata nel calcolo delle orbite e si calcola attraverso il TAI.
Nella fisica moderna, il tempo è definito come distanza tra gli eventi calcolata nelle coordinate spaziotemporali quadridimensionali.
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Queste stranezze insite nel tempo sono il motivo per cui esiste la filosofia del tempo e anche, più modestamente, il motivo per cui ho sempre trovato interessante riflettere sul tempo. Quando ho iniziato a lavorare al mio libro “I viaggi nel tempo. Una guida filosofica”, credevo di aver scelto un tema esotico, che mi avrebbe permesso di affrontare le questioni tradizionali della filosofia del tempo da un punto di vista insolito. In un certo senso è stato così. L’idea di poter muoversi “liberamente” nel tempo, di poter visitare quelle aree del tempo che normalmente ci sono precluse, come il passato o un futuro troppo lontano da poter essere raggiunto, ci presenta subito scenari che sono molto diversi dalle nostre esperienze quotidiane. Il pensiero, ad esempio, di poter incontrare un se stesso più giovane, anche solo di qualche anno, e di dargli consigli su ciò che verrà o — in maniera ancora più inquietante — di metterlo in guardia contro un pericolo imminente, è uno di quelli che facilmente ci può togliere il fiato. Eppure l’idea di un viaggio nel tempo coglie anche qualcosa di estremamente familiare nel nostro modo di pensare quotidiano. Cosa facciamo, del resto, nella nostra vita, se non
viaggiare nel tempo continuamente, sempre nella stessa direzione e sempre alla stessa velocità? A ben vedere, è proprio perché siamo spinti in un viaggio di cui non possiamo cambiare né direzione né velocità che il tempo ci è tanto amico quanto nemico. Senza la spinta continua verso il futuro, le nostre scelte sarebbero vacue, la realizzazione dei nostri desideri, anche i più semplici, impossibile; ma dal momento che quella spinta porta con sé l’immutabilità del nostro movimento, e quindi l’impossibilità di tornare indietro o di saltare in avanti, le nostre scelte smettono di essere nostre non appena le abbiamo portate all’esistenza. Siamo così abituati a pensare al tempo nei termini di un percorso obbligato (una freccia o un fiume che ci trascina) che facciamo fatica a immaginare che sia possibile cambiare la velocità e direzione del nostro viaggio — ossia di realizzare un “viaggio nel tempo” vero e proprio. Certo, si tratta di una possibilità di cui non facciamo mai esperienza, se non con l’immaginazione, nei sogni, o con l’aiuto della fantascienza. E forse rimarrà una possibilità solo nel senso astratto o “metafisico”, come dicono i filosofi, anche se la fisica contemporanea non sembra escludere, in linea di principio, la sua realizzabilità. Ma è una possibilità su cui vale la pena riflettere. Pensare ai viaggi nel tempo significa mettere alla prova la nostra dimensione temporale, porla davanti a sfide che chiunque sia incuriosito dal problema di capire che cosa sia il tempo (e, come David, se sia qualcosa di buono o no) coglierà. E forse vedere come reagiamo davanti a tali sfide può dirci qualcosa anche su di noi. Io, ad esempio, non sono mai stato molto attratto dall’idea di poter cambiare le cose accadute nel passato. Ogni passato ha un suo presente, che a sua volta ha un passato immutabile e un futuro dove possiamo tentare di realizzare ciò che vogliamo. Desiderare di “spostare indietro il presente”, anche se è una tentazione di cui probabilmente chiunque ha sentito il fascino almeno una volta, significa togliere fiducia alla nostra capacità di intervenire nel futuro che ci capita di avere, cercando una scorciatoia tutto sommato poco onesta. D’altro canto, sono sempre stato attratto dall’idea di poter tornare indietro nel tempo, anche solo di poche ore, per non avere vincoli di puntualità; essendo quindi disposto a invecLa vita è un lungo tempo, un viaggio attorno al mondo. Riccardo Paratore un viaggio attorno al mondo l’ha fatto, da ovest verso est, interessato a quel tempo sospeso che costituisce la dimensione propria dei voli, degli aeroporti. Ne è nato il video Like a gram of sand (2014). Cosa fa il tempo quando ci si sposta viaggiando a centinaia di chilometri orari, racchiusi in una capsula pressurizzata che sfreccia sopra le nuvole? In poche ore si va avanti nel tempo, oppure si torna indietro. Si precede il giorno, si torna nella notte. Eppure, a guardarli da sotto, gli aerei sembrano andare lentissimi, mentre disegnano scie sul foglio del cielo.
chiare un po’ più in fretta pur di disporre di quanti minuti, ore o giorni mi capita di volere da dedicare a qualcosa senza per questo perdermi occasioni interessanti. Non saprei dire perché questa forma di disonestà mi sembra più accettabile di quella di chi vorrebbe un passato nuovo. Ma penso che questa differenza nelle mie preferenze dica qualcosa di me, anche se non so bene cosa. C’è però un aspetto del desiderio di cambiare il passato che ho sempre trovato affascinante. È il desiderio di essere in un posto che ci sembra più giusto, per noi e forse per tutti. Il desiderio del gatto che per tutto l’inverno guarda “la porta verso l’estate”, come nel titolo di un romanzo sui viaggi nel tempo di R. Heinlein. Cosa farei, ad esempio, se mi trovassi improvvisamente e involontariamente nel passato, davanti all’apparente possibilità di rettificare una mia scelta sbagliata, o impedire un’azione dalle conseguenze disastrose? Certo, dal punto di vista filosofico, se abbia senso tentare di cambiare il passato o no dipende da quante linee temporali abitano il nostro universo. Se sono molte, viaggiando indietro nel tempo posso in un certo senso cambiare il passato, creando una linea in cui le cose vadano diversamente. Se la linea del tempo è una sola, però, allora quello che farò nel passato l’ho già fatto, e quindi i miei tentativi di cambiarlo risulteranno per forza vani. Anzi potrebbero essere nient’altro che le cause scatenanti degli eventi che avevo intenzione di alterare. Come in vecchio episodio di Ai Confini della Realtà, potrei andare indietro nel tempo e sostituire nella culla il figlio dei genitori di Hitler, per scoprire poi, tornato al presente, che sarà proprio il bambino che io ho messo in quella culla a diventare il futuro Hitler. Ma da un altro punto di vista, ponendo di essere all’oscuro sul numero di linee temporali del nostro universo, la domanda da porsi è “cosa farei?”. Proverei a cambiare il passato, anche se sapessi di non poter tornare al mio presente, nel caso ci riuscissi? Se l’estate dietro la porta è davvero un posto migliore, allora forse anche chi non è interessato a cambiare il passato, a questa domanda potrebbe rispondere di sì. * Giuliano Torrengo è ricercatore all’Università Statale di Milano. Ha ottenuto il dottorato in Filosofia del linguaggio presso l’Università del Piemonte Orientale, ed è stato ricercatore al centro Logos dell’Università di Barcellona. Ha passato molti periodi di studio in università estere, tra cui la Columbia University di New York e l’Institut Jean Nicod di Parigi. Ha pubblicato articoli di filosofia in volumi internazionali e in riviste come Synthese, Philosophical Studies, Analysis e Philosophia. Il suo ultimo libro, I viaggi nel tempo. Una guida filosofica, è pubblicato da Laterza.
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La Banca del Tempo Testo d i Gian Lu ca Fav etto *
Una banca del tempo è anche una banca della memoria, una banca che dà spazio a quello che sei e a quello che sai. Non potrebbe essere diversamente. E non è soltanto un luogo, prima di tutto è un modo d’essere, una predisposizione, qualcosa di più mentale che fisico, di più produttivo che conservativo. Ci si rivolge alla banca del tempo per scambiare tempo, per condividerlo, per mettere a frutto saperi, capacità, esperienza. Le banche del tempo si presentano come istituti di credito in cui si depositano ore e disponibilità invece che denaro. Funzionano come centri di raccolta della domanda e dell’offerta di tempo. Sono le prime vere banche etiche, banche del territorio e della comunità. Favoriscono qualcosa che è più di un baratto. I soci si scambiano reciprocamente prestazioni e impegno offrendo ciò che sono in grado di fare e ricevendo ciò di cui hanno bisogno. Accompagnamento dei bambini, ripetizioni, piccoli aiuti domestici, lavori manuali, cucito e maglieria, informatica, lezioni di inglese, di italiano, di musica, attività sportive, piccole riparazioni, pittura, restauro, giardinaggio, creazione e aiuto di grafica, creazione e montaggio di oggetti, semplice compagnia: offri e puoi ricevere. Si tratta di cooperare e aiutarsi a vicenda, dimostrando di essere comunità, società civile. Hai a disposizione un libretto di assegni, in cui risultano le ore prestate e quelle ricevute. La banca fornisce un estratto conto periodico. L’unica unità di misura è il tempo, uguale per tutti, senza distinzioni. Non c’è un lavoro che vale più di un altro, ora. Valgono tutti sessanta minuti. Equi e solidali. * Gian Luca Favetto è scrittore, giornalista, drammaturgo. Collabora con “La Repubblica” e RadioRai. Ha ideato il progetto Interferenze fra la città e gli uomini, www.interferenze.to.it. Di narrativa ha pubblicato, fra gli altri: A undici metri dalla fine, Se vedi il futuro digli di non venire, Italia provincia del Giro e La vita non fa rumore (Mondadori), il romanzo Le stanze
di Mogador (Verdenero-Edizioni Ambiente), le poesie Mappamondi e corsari (Interlinea), il racconto Diventare pioggia (Manni), l’audiolibro I nomi fanno il mondo (Il Narratore), Se dico radici dico storie (Laterza), Un’estrema solitudine (Effatà). Per Add ha tradotto Elogio delle frontiere di Regis Debray.
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Il Tempo che Suona
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Memoro, ovvero la banca della memoria Intervista a Valentina Vaio a cu ra d i Annalisa Ru sso
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Com’è nato il progetto Memoro e com’è stato sviluppato?
Ogni anno gli alberi producono un anello di accrescimento, visibile nella sezione trasversale del tronco: ogni cerchio rappresenta dodici mesi di vita dell’albero, formando nel tempo una sorta di disco fatto di solchi concentrici.
E se questi solchi, come un vero vinile, si potessero tradurre in note, facendo “suonare” il tempo?
E’ questa l’idea che anima il progetto Years, realizzato da Bartholomäus Traubeck: l’artista tedesco ha creato un macchinario che riesce a far suonare i tronchi degli alberi su un giradischi, trasformando i cerchi in note musicali. Tramite un complesso sistema di algoritmi e sensori, le tracce lignee vengono convertite in note di pianoforte, andando a creare un album musicale che riproduce, a tutti gli effetti, il suono del tempo che passa. Non solo: la musica cambia a seconda della specie lignea, per cui ogni tipo di albero produce sonorità diverse. Il suono di frassino, abete, quercia, acero e molti altri alberi si può ascoltare su Bandcamp, al link:
A million times, il progetto del giovane duo svedese Humans since 1982, è una riflessione sul tempo tra sincronia e diacronia, tra “tempo” e “tempi”: decine, centinaia di orologi segnano tempi diversi, fino a comporre ciclicamente un’orario comune. Il tempo che scorre è diverso per ciascuno, ma in fondo - sembra suggerire il lavoro- è il medesimo il tempo a cui tutti devono sottostare.
Memoro nasce principalmente da una passione che univa me e gli altri tre fondatori del progetto (Luca Novarino, Lorenzo Fenoglio e Franco Nicola): quella di trascorrere il tempo con gli anziani, ascoltandoli mentre raccontano i famosi “tempi che furono”. E così, da questa passione, è nato quello che all’inizio era un hobby e pian piano si è trasformato in un lavoro: costruire Memoro – la banca della Memoria, il più grosso archivio web di audio e video racconti di persone nate prima del 1950 (www.memoro.org). Una banca, appunto, dove mettere al sicuro questo patrimonio di ricordi, registrando, condividendo e salvaguardando le memorie delle persone nate prima del 1950, affinché non vadano perse. In 6 anni il progetto è cresciuto moltissimo in Italia e all’estero: sono state intervistate quasi 3000 persone e abbiamo lavorato con Regioni, Province, scuole e grandi Enti, sempre andando alla ricerca di storie e memorie che potessero aiutarci ad approfondire temi di interesse storico – culturale. Abbiamo creato sul territorio nazionale quello che noi chiamiamo il nostro esercito di “cercatori di memoria”, ovvero persone, che in maniera totalmente volontaria, realizzano interviste a loro amici o parenti che poi caricano sul nostro portale: finora oltre 250 persone hanno collaborato al progetto, caricando nel tempo almeno un’intervista; ad oggi le pagine del nostro sito sono state visualizzate oltre 13 milioni di volte... la seconda guerra mondiale appare inevitabilmente come uno dei elementi ricorrenti nei racconti; quali sono gli altri temi/eventi che, secondo la vostra esperienza, sono rimasti impressi nella memoria collettiva e individuale?
http://traubeck.bandcamp.com/album/years Bartholomäus Traubeck, Years (2011) taken at schmiede hallein, Austria.
La nuova guida della città.
Sì, la guerra è un tema spesso ricorrente nei ricordi degli anziani, ma cerchiamo sempre anche di farci raccontare altri aspetti della loro vita, perché riteniamo siano
Enrico Tealdi si occupa di foto orfane, quelle che galleggiano nel tempo, non sono più di nessuno, non si sa da quali storie arrivino. Sono memorie sospese. Tealdi immagina per loro piccoli fili che facciano proseguire quelle storie, ridà loro un tempo, con ipotesi poetiche che diventano segni grafici, leggeri, in connessione con la dimensione fotografica. Diventano serie: Figure, Landscapes, Equilibristi e Funamboli, Air Balloons, Conversazioni. Fotografia e disegno s’impastano in una materia artistica intima ed evocativa, realizzata con una lunga tecnica mista che fa decantare l’immagine fotografica fino a trasformarla in pittura.
ugualmente interessanti e forse anche meno conosciuti dalle generazioni più giovani. Per esempio, i giochi dell’infanzia, così come i divertimenti del tempo libero da ragazzi: le sale da ballo e i cinema parrocchiali - dove si incontravano gli amici o si conoscevano le ragazze - sono “protagonisti indiscussi” nelle nostre interviste, così come anche i racconti sul lavoro. Mettersi in ascolto, conservare, trasmettere i ricordi per creare la memoria del futuro, ma prima ancora per interpretare il presente. Può essere questa una chiave di lettura del vostro progetto?
E’ molto difficile dare una sola chiave di lettura al nostro progetto, perché essa cambia tantissimo in base a chi e come ci si avvicina ad esso. Per alcuni dei nostri utenti (quelli più giovani) è un modo per scoprire il passato, una specie di enciclopedia vivente, dove imparare dalle voci di chi le esperienze le ha vissute in prima persona. Per altri (per la generazione degli adulti, per esempio) è un modo per riscoprire le proprie origini e ritrovare in qualche modo se stessi. Per chi sta facendo una ricerca può essere fonte di spunti e scoperte, da approfondire successivamente. E infine, non
scordiamo che per un’ampia fetta dei nostri utenti (un buon 25% supera i 65 anni) è semplicemente un modo per fare un salto indietro nella propria giovinezza e ritrovare ricordi dimenticati!
Memoro è una mappatura dei ricordi, anche a livello geografico: su memoro.org una mappa dell’Italia indica quante testimonianze sono state raccolte nelle diverse Regioni. Quanto tempo è stato impiegato per raccogliere il materiale in tutta la penisola e con quali modalità?
Nei primi anni del progetto, è innegabile che le interviste venissero realizzate principalmente da noi e che quindi spessissimo ci trovassimo a zonzo per la nostra penisola, per raggiungere persone che ci avevano contattato e che volevano essere intervistate. Purtroppo, con la crescita del progetto, il tempo da dedicare a questa attività (sicuramente la più appassionante) è diminuito: per fortuna, però, nel tempo siamo riusciti a coinvolgere tante persone su tutto il territorio italiano che continuano a realizzare le interviste e a caricarle sul sito, permettendo così a Memoro di continuare a crescere.
Memoro è un progetto partito dall’Italia per diventare
internazionale, annoverando
oggi contributi provenienti da Francia, Inghilterra, Polonia, Grecia…una banca della
memoria europea? Quali sono i futuri sviluppi di Memoro?
Memoro è oggi attivo in 14 paesi nel mondo, in 4 continenti su 5 …e proprio in questi mesi stiamo lavorando alla creazione del sito australiano! Non neghiamo che uno dei nostri sogni è quello di riuscire presto a dar vita alla “Banca della Memoria Europea”, perchè riteniamo che sarebbe fondamentale per l’Europa costruire un archivio che ne possa in qualche modo ricostruire la storia comune e far incontrare le varie culture e tradizioni. Inoltre, stiamo cercando anche di far decollare Memoro negli Stati Uniti: siamo convinti che il progetto lì potrebbe davvero trovare sbocchi molto interessanti. Proprio in questi giorni, Luca e Lorenzo sono a Washington al convegno della National Italian American Foundation per presentare Memoro: chissà che non possa essere il primo passo verso questa direzione.
Come si diventa “cercatori di
memoria” e quali sono i canali per seguirvi ed eventualmente partecipare al progetto?
Diventare cercatore di memoria è semplicissimo: basta iscriversi al sito e caricare un video o un audio di una persona anziana che racconta qualcosa del suo passato. Oppure si possono caricare fotografie storiche, associandole ai video già presenti sul nostro portale. O ancora si possono creare percorsi tematici, che racchiudono più video che trattano lo stesso tema. Per seguirci, invitiamo tutti a iscriversi alla nostra pagina Facebook Memoro – la Banca della Memora o seguire il nostro profilo Twitter @MemoroItalia .
THECA GALLERY | CONTEMPORARY ART 2014 shows list
Jonathan Guaitamacchi_MY HOME GLACIER, Budapest_THE OLDEST ONES AMONG US ARE THIRTY YEARS OLD (1961-1991), Vilnius_ I WAS USED TO BE THERE: AN UNFORGETTABLE STAY, Bruxelles_ GAMES THAT PEOPLE PLAY, Bergamo_ VOYAGE EN ITALIE, Mendeni+Kalinka_WHY NOT?, Fabrizio Parachini_COLORE PRIVATO: L’ATTESA, SULLA SOGLIA, Ohya Masaaki_ NATURE: BEYOND TIME AND SPACE, ICON {a short retrospective on contemporary iconography concept}, Carlo Buzzi_CORPI SPECIALI, Lugano_WHITE LIGHT | WHITE HEAT.
2013 shows list
Mohsen Taasha Wahidi_MAIN D13 | ONE KABUL (…) TWO TESSIN [THE RIVERS], Marco Mendeni_DECEPTIVE PERCEPTIONS, Debora Barnaba_UNTITLED SHOW, Marco Mendeni_ARTIFICIALIA: UN MONDO DIS-SIMULATO, Carlo Buzzi_ANTOLOGIA PUBBLICA (OPERE SCELTE 1990-2013), Albetti | Dulcis_CO-NAISSANCE, Marco Mendeni_ KENELL GAME OVEr, Federico de Leonardis_ARCIPELAGO, Claudia Scarsella_WABE: A LONG WAY BEYOND, Budapest_ MEMORIAE OF A COLLECTION, Venezia_CARLO BUZZI: RABDOMANTE, Milano_ A CONTRIBUTION TO ANONYMOUS HISTORY.
gallery@theca-art.com
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Il Tempo del Piacere Femminile I n t erv i s ta a M o n i c a Sta m b ri n i a c ura di Olga Ga m b a ri
In genere è difficilissimo per una donna esprimere le proprie “fantasie”, quelle reali, e non quelle sfumate per diplomazia, dette a metà, sia a livello sociale sia a livello di coppia, perché ci si immagina la donna comunque sempre secondo stereotipi. Invece, essere messi di fronte al fatto che una donna sogni e desideri in maniera forte, libera, oltre le convenzioni, è una possibilità che va a cozzare contro un ideale comunque romantico, al massimo erotico. È un atto inaspettato, sovversivo, imbarazzante. Qualcosa che suscita spesso giudizi come femminista, ninfomane, puttana, lesbica, e che diventa un elemento inibente all’interno della relazione stessa, perchè quella confidenza blocca invece che avvicinare. Confidenza che vuol dire essere libere, avere diritto di dire e chiedere, di essere se stesse.
Un gruppo di registe ha dato vita al progetto Le ragazze del porno, che riprende esperienze già attive in Francia e Svezia da anni. Sono Monica Stambrini, Regina Orioli, Emanuela Rossi, Roberta Torre, Tiziana Lo Porto, Industria Indipendente, Slavina, Lidia Ravviso, Titta Cosetta Raccagni, Anna Negri. Un progetto che è un manifesto, un’azione politica, un gesto di grande consapevolezza e coraggio, gestito anche con molta ironia. Un progetto che ha un bellissimo manifesto, dove si parla di bellezza, corpo, amore, ma anche di cinema come medium di tutto ciò, e quindi dell’arte e della società come linguaggi responsabili dell’evoluzione di una società.
Un progetto delicato, da proteggere, perché facile offenderlo.
Chi sono le ragazze del porno?
Le ragazze del porno è un progetto che riunisce più filmmaker donne italiane accomunate dalla voglia e l’urgenza di rappresentare la sessualità (anche femminile ma non solo) senza censure. In questi anni abbiamo lavorato alla scrittura di un cortometraggio a testa e abbiamo cercato in Italia dei produttori interessati.
E’ arrivato il tempo del piacere femminile?
Dopo vari tentativi abbiamo capito che il progetto suscitava sì l’interesse di alcuni produttori ma che poi non sapevano come realizzarlo, ovvero come trovare i soldi e come venderlo. Evidentemente è sì il tempo del piacere femminile, ma non ancora da un punto di vista di rischio imprenditoriale.
Allora quali mezzi avete trovato e messo in campo per produrre i cortometraggi?
Abbiamo allora deciso di uscire allo scoperto e di rivolgerci direttamente al pubblico, anche con l’aiuto del nostro ufficio stampa Studio Puntoevirgola. Questo è successo questa primavera. La prima iniziativa di crowdfunding è stata Art for porn, una vendita di opere d’arte di artisti più e meno famosi che si è svolta a Roma allo Studio di Marco Delogu. In contemporanea abbiamo aperto un crowdfunding sulla piattaforma Indiegogo - con il fine di raccogliere almeno 15.000 euro per realizzare (a bassissimo costo)
almeno 2 cortometraggi. Con art for porn e con indiegogo siamo riuscite a raccogliere quasi 15000 euro, non di più. Ma il nostro progetto ha avuto molta eco e ha sollevato molto interesse. Questo ci ha dato la carica e ci ha messo in contatto con molte persone, facendoci anche capire la portata politica e culturale del progetto.
Come procedete nel lavoro?
I nostri cortometraggi sono importanti da girare, infatti abbiamo cominciato la preparazione dei primi due. Io sto cominciando i casting per il mio, mentre Regina che ha già il cast, lo girerà ad ottobre. I soldi che abbiamo a disposizione non sono molti e saremo costrette ancora una volta a chiedere a noi stesse e ai nostri collaboratori artistici di lavorare senza retribuzione economica. Questo lo dico perchè a volte non è chiaro quanto sia impegnativo economicamente girare anche solo un cortometraggio. Ma in contemporanea con la preparazione dei corti stiamo cercando di creare altri eventi. A fine maggio abbiamo fatto una serata al Teatro Valle Occupato in cui abbiamo proiettato un bellissimo film porno degli anni 70, Behind the Green Door dei fratelli Mitchell. E’ stata un’esperienza incredibile: vedere un film porno in un teatro con più di 400 persone non lascia indifferenti. Per fine novembre stiamo preparando un altro ART FOR PORN a Milano. Abbiamo girato uno spot che ci è stato commissionato dalla società 42K sulla violenza di genere e vogliamo realizzare dei tutorial con Valentina Nappi sulla sessualità.
Quali i tempi?
Vogliamo vedere e fare film in cui Betty Blue, Ophelia e Thelma & Louise alla fine non devono morire. Dietro al lavoro The first day of good weather (50 fotografie, 2013) c’è una storia, fatta di un prima e di un dopo. Un ragazzo italiano incontra una ragazza giapponese a Parigi. Nasce una relazione, un amore che poi finisce perché un incidente spezza una vita. Parte da qui un racconto fotografico che nasce da
Non siamo tante a lavorare volontariamente all’associazione, quindi a volte i nostri tempi sono un po’ lenti. Ma l’entusiasmo e l’accoglienza che abbiamo ricevuto dalle persone più varie, donne e uomini, ci sta incoraggiando a fare sempre più cose e anche a comunicare con più mezzi, non solo con i cortometraggi. La nostra esperienza ci dice che è sì il tempo del piacere femminile e che è importante che venga allo scoperto perchè chissà quante cose abbiamo ancora da scoprire, avendo appena cominciato a mettere a fuoco l’argomento e a parlarne a voce alta. C’è da chiedersi com’è che la scienza è ancora così ignorante o muta a riguardo. Una settimana fa ero a Bruxelles e sono andata a vedere una mostra sull’avanguardia femminista degli anni 70... Francesca Woodman, Cindy Sherman, Valia
Export e molte altre, tutte artiste che mettevano in scena il corpo femminile, il piacere, il sesso, i ruoli della donna... - se stesse. Era un’urgenza evidentemente, perchè comunicavano tutte in modo molto simile. Non mi sembra ci sia stato un movimento così da allora, e mi chiedo perchè. Ma di sicuro credo che il momento del movimento del piacere femminile sia arrivato. Penso a Mia Engberg, la regista svedese che ha raccolto altri corti di registe svedesi nel film Dirty Diaries. Il nostro manifesto arriva infatti da lei, e noi che abbiamo vi abbiamo aderito. E penso poi a Erika Lust, alle registe francesi di XFemmes, a tutte le registe americane, alla scena di Barcellona (di cui fa parte Slavina, una di noi) e a Milano Rosario Gallardo... Insomma, non siamo sole, anzi. E ancora una volta arte e porno anticipano i tempi. http://www.leragazzedelporno.org
una perdita personale, quella del fratello scomparso di cui Vittorio Mortaretti cerca le tracce fino in Giappone, e trova una terra ancora ferita dallo tsunami, a due anni di distanza. C’è un tempo presente e un tempo passato che dialogano, uno sconfinamento che si aggrappa ai dettagli che l’artista ritrae.
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ONE TORINO Qual è il tempo di Torino? E’ un contemporaneo intriso di passato, che gira gli occhi attorno a sé, non ancora sicuro di instaurare contatti, teletrasporti biunivoci. Questa intuizione è quella che Maurizio Cattelan ha avuto pensando a un progetto su Torino per la mostra One Torino, che Artissima presenta parallelamente alla fiera. Una mostra fortemente voluta da Sarah Cosulich Canarutto, con l’idea di estendere il respiro della fiera, creare un collegamento con la città, proporre altri spunti ai visitatori. C’è sempre più bisogno di materiali solidi e di contenuti che mantengano il legame con il pubblico, che provino a esercitare con responsabilità quel ruolo culturale che l’arte, comunque, dovrebbe avere. Alla sua seconda edizione One Torino si concentra a Palazzo Cavour, lo occupa, lo riapre, resuscitandolo da un destino ormai di battenti chiusi. L’anno scorso, invece, era una mostra diffusa tra sedi varie, che mettevano in rete i luoghi dell’arte contemporanea torinese, tra Rivoli, Gam, Fondazione Merz e Sandretto, ma forse la fruizione durante i giorni di fiera risultava difficile e complicava troppo la vita del pubblico dell’arte, che, come si sa, per riuscire a seguire tutto, durante i grandi eventi collettivi in cui ci si dà appuntamento (e ormai la settimana di Contemporary Torino, che ruota attorno ad Artissima, è entrata nei calendari ufficiali internazionali) dovrebbe essere ubiquo e senza necessità fisiologiche, oltre che dotato di una capacità intellettiva smisurata. Per Cattelan è un ritorno sulla scena dopo che tre anni fa aveva dichiarato di voler lasciare per sempre il mondo dell’arte. Ed è un ritorno anche a Torino, perché proprio al Castello di Rivoli aveva debuttato nella sua prima mostra in un museo. Insieme alle giovani curatrici Myriam Ben Salah e Marta Papini, Cattelan è andato in giro per Torino, ha chiesto, studiato, curiosato, rimanendo affascinato dalla cortese riservatezza sabauda, come ha dichiarato. Ha visitato, oltre le linee direttive della cultura più ufficiale, cercando nelle retroguardie museali, nelle eccentricità di collezioni che la città offre come chicche segrete, che te le godi se le conosci, se no niente. E ce ne sono molte, ognuna rappresentativa di un pensiero eccentrico che in questo luogo, nei secoli, si è sviluppato. Sarà per questo che l’empatia è stata immediata tra l’artista per eccellenza che gioca sulla figura del personaggio, prendendo di mira vizi e vezzi del sistema pur godendone i benefici di chi conosce perfettamente i meccanismi, e una città anomala, dalle mille anime. Nelle sale di Palazzo Cavour di fatto il visitatore si troverà di fronte a una collezione bizzarra di opere e reperti, messi insieme produttivamente per raccontare storie che si allargano per la città e poi fino ad angoli sperduti di mondo. Shit and Die, così si intitola la mostra (prendendo in prestito il nome di un lavoro di Bruce Nauman del 1984, One Hundred Live and Die, che aveva sintetizzato in un gruppo di neon alcune azioni umane quotidiane, necessarie e automatiche, in forma di slogan sulla condizione umana ineluttabile, tra cui appunto, shit and die) è una raccolta di tracce trovate tra l’unità residenziale Talponia della fu Olivetti a Ivrea, il Museo di Antropologia Criminale “Cesare Lombroso”, il Museo di Anatomia Umana “Luigi Rolando”, Casa Mollino, il Museo del Risorgimento, la Collezione La Gaia, la GAM, la Fondazione MUSEION/Collezione Enea Righi, la Fondazione Ettore Fico e la Fondazione Aldo Mondino.
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shit and die.
PREMIO ILLY al CASTELLO d i RIVOLI
Insieme ci sono opere di cinquanta artisti internazionali, tra nomi affermati e giovani emergenti, tra cui Lutz Bacher, Davide Balula, Lynda Benglis, Guy Ben Ner, Valerio Carrubba, Martin Creed, Enzo Cucchi, Eric Doeringer, Valie Export, Stelios Faitakis, Roberto Gabetti e Aimaro Oreglia d’Isola, Tim Gardner, Rokni e Ramin Haerizadeh, Petrit Halilaj, Jonathan Horowitz, Dorothy Iannone, Ewa Juszkiewicz, Myriam Laplante, Natalia LL, Sarah Lucas, Tala Madani, Pascale Marthine Tayou, Alessandro Mendini, Carlo Mollino, Aldo Mondino, Florian Pugnaire and David Raffini, Carol Rama, Dasha Shishkin, Roman Signer, Alexandre Singh, Andra Ursuta, Maurizio Vetrugno, Julius von Bismarck, Alexandra Waliszewskla. Questo percorso spurio è scandito da temi che amalgamano le presenze e propongono ipotesi di lettura e riflessione al pubblico, ma nulla è didascalico o impositivo. Vengono fuori alcune figure eccellenti di torinesi, da Carol Rama e Aldo Mondino a Carlo Mollino (sulla cui ecclettica opera l’artista Yuri Ancarani anche ha realizzato un documentario, in collaborazione con il Museo Casa Mollino, che prende la forma di una seduta spiritica) e la Contessa di Castiglione (che Cattelan paragona a una Cindy Sherman ante litteram), ma ci sono pure il Conte Camillo Benso di Cavour, Nietsche, Adriano Olivetti (la cui utopia è ricordata con la ricostruzione di un monolocale tipo di quelli dove abitavano gli operai Olivetti). E poi il sensitivo Rol, il gallerista Guido Costa, ma anche Alba Parietti e Rita Pavone. I piani sono mescolati, tra sacro e profano, tra cultura alta e bassa, con ironia, intelligenza e il rischio della pochade: storia, aneddoto, tempi cronologici, luoghi diventano un unico racconto dentro cui perdersi, alla fine, seguendo ciascuno il proprio pensiero e istinto. Basta andarsene portandosi via qualcosa di speciale in tasca. Anche il catalogo restituisce questo spirito, realizzato come un compendio di visioni, punti di vista e contributi molto diversi, non esaustivi, assolutamente liberi, proposti da artisti, accademici e scrittori.
Contessa di Castiglione
All copyrights owned by Fatma Bucak © FATMA BUCAK Untitled IV Stills from video documentation of the soundscape I must say a word about fear, 2014 Fatma Bucak ©
L’altra mostra curatoriale parallela ad Artissima è una doppia personale al Castello di Rivoli, che concretizza il premio Illy Present Future assegnato durante la passata edizione della fiera ex equo a due giovani artiste: Caroline Achaintre e Fatma Bucak. Opere inedite presentate nelle sale storiche del Castello.
Artiste contemporanee che in qualche modo legano il tempo in corso, il presente, al tempo passato, alla memoria, con lavori poetici ed evocativi, dalle radici antropologiche e sociali. Artiste che sono state premiate individuando in loro un promessa per il futuro. Ed eccolo di nuovo un gioco nel tempo.
Fatma Bucak, nata nel 1982 in Turchia, è un’artista che Torino la conosce molto bene, perché ha frequentato l’Accademia Albertina di Belle Arti e da qualche anno ha anche qui la sua galleria di riferimento, Alberto Peola, che ha creduto in lei sin dai tempi in cui era studentessa. Fatma ora però vive la maggior parte dell’anno a Londra, città di adozione ormai, ma l’anno scorso è stata a lungo a Il Cairo. Per storia familiare Bucak è sempre attenta ai conflitti sociali, spesso di natura politica e culturale, che connotano città e nazioni. Lei ne cerca le tracce nelle persone, se ne fa testimone, archivista. Poi le rielabora e trasforma in opere fortemente simboliche, di grande ricerca visiva, in cui ci si muove tra ambito pittorico della composizione e azione performativa della narrazione.
Anche Caroline Achaintre, nata in Francia nel 1969, ora vive a Londra, ed era stata presentata ad Artissima 2013 dalla galleria inglese Arcade. L’artista lavora sulle pratiche artigianali tradizionalmente riferite all’ambito femminile. In questo caso le tecniche utilizzate sono quelle della tessitura e della ceramica. In mostra presenta una grande installazione di arazzi a parete e oggetti ceramici. Li espone dentro volumi, solidi geometrici spaccati, aperti come se fossero forme disegnate in rappresentazioni grafiche. Quei piani diventano strutture espositive delle sue opere, manufatti che lei realizza artigianalmente. Sembrano spesso maschere, armature, oggetti dalla foggia primitiva e rituale e dalle linee antropomorfe e zoomorfe stilizzate.
A Il Cairo l’artista ci è andata grazie a una residenza vinta nell’ambito del progetto Resò promosso dalla Fondazione per l’Arte CRT. Lì ha voluto lavorare sulle esperienze del trauma e della paura, sentimenti legati indissolubilmente, in un circolo vizioso dove uno richiama l’altro, tenendo sempre la vittima dentro a una spirale. In questi incontri, in genere di due persone, l’artista creava un dialogo, un confronto su esperienze traumatiche vissute dai partecipanti. Ognuno raccontava di sé, attraverso un’azione interpretata, di cui era importante soprattutto il gesto e il suono prodotto, e che dava forma alla sua storia. Poi c’erano gli oggetti, scelti simbolicamente per rappresentarla. Ne è venuto fuori un lungo racconto visivo, azioni in cui le figure non mostrano mai il volto e si relazionano con cose e materiali. Figure fatte di corpi animati, cose che si stagliano come icone. È un coro polifonico, una Symphony of Fear (Sinfonia della paura) come recita il titolo.
E questi riferimenti, mai manifesti o didascalici ma sempre di sapore surreale e straniante, li si rintraccia anche nei titoli, in cui l’artista gioca con il linguaggio. Tie man, Birdssss, Zibra, Eagle, Moustache, Africana, Frogg. Modernismo e primitivismo, tradizione popolare e contemporanea insieme. Si leggono riferimenti organici e fisiologici, così come omaggi alla storia dell’arte novecentesca. Caroline dipinge anche, bellissimi inchiostri su carta, in cui le sue forme si aprono, diluiscono, scappano verso i bordi del foglio trasformandosi in colore puro, in pensiero libero. Tra figurazione e astrazione. Un po’ come fa soprattutto con gli arazzi, altre forme di pittura che riflettono sul l’idea di quadro e di matericità. È un lavoro sulla dimensione femminile nella storia che allarga però lo sguardo alla società intera e ai meccanismi culturali e produttivi.