I musei sono davvero aperti a tutti? Alla ricerca di buone pratiche italiane +
La Svizzera dell'arte oltre Basilea e Zurigo. Un viaggio a Ginevra +
Gli NFT non sono morti e sepolti.
Lo dice il mercato e adesso anche i musei
N. 71 L MARZO –APRILE 2023 L ANNO XIII centro/00826/06.2015 18.06.2015 ISSN 2280-8817
in collaborazione con Archivio
media partner
MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo via Guido Reni, 4A - Roma | www.maxxi.art
soci fondatori
3 marzo — 4 giugno 2023
Claudio Abate Contatti con la superfi cie sensibile ,(Jannis Kounellis), 1972 © Archivio Claudio Abate (dettaglio)
6
Lucrezia Longobardi e Fabrizio Vatieri
Giro d’Italia: Napoli
12
Saverio Verini
Studio visit: Carmela De Falco NEWS
18
IED – Istituto Europeo di Design La copertina “Alte Terre”
20
Valentina Silvestrini
Lusso Art Déco nell’ex stazione ferroviaria sui Pirenei
21
Ferruccio Giromini Lady Tarin, dove sei finita?
22
Valentina Tanni (a cura di) Cose: dalle cupole fai-da-te alle sculture invernali
24
Marta Atzeni
Sanchez Benton Architects: il futuro di Londra
25
Raffaella Pellegrino
Opere create da AI: nuove sfide per l’intelligenza umana
26
Giulia Pezzoli
Un futuro a buon mercato
28
Roberta Vanali
Luca Soncini: come far sudare un computer
30
Simona Caraceni Il campo allargato di ChatGPT
32
Santa Nastro Sylvester Stallone mafioso maturo
33
Cristina Masturzo
Top 10 lots. London Edition
35
Livia Montagnoli
Brescia nell’anno da Capitale italiana della cultura
36
Irene Sanesi Patrimonio Italia: retrospettive contemporanee
39
Claudia Giraud
Asado Film: la band che fa cinema
40
Dario Moalli spazioSERRA. L’arte nel passante di Milano
STORIES
46
Desirée Maida I MUSEI SONO DAVVERO INCLUSIVI?
Il museo deve sviluppare una voce al tempo stesso critica e accogliente. Le sfide che ciò comporta e le voci di chi le ha raccolte, in Italia e all'estero.
54
Alberto Mugnaini IL CONTEMPORANEO
A GINEVRA
Una città frizzante, dove ci sono pilastri come il CERN e la Croce Rossa, e dove le istituzioni sono spesso guidate da intellettuali intraprendenti.
64
Cristina Masturzo
SORPRESA: GLI NFT
NON SONO MORTI E SEPOLTI Prima l'ignoranza completa. Poi l'improvvisa notorietà e i numeri da capogiro. Poi il presunto crollo. La storia brevissima degli NFT è davvero questa?
88
Simone Angelini Short novel: Mural
94
Massimiliano Tonelli
Il boom culturale della penisola arabica e l’assenza dell’Italia
95
Claudio Musso Linea di non ritorno
96
Renato Barilli Elogio dei pittori (ma non degli epigoni)
97
Massimiliano Zane Donazioni e politiche culturali miopi. Il caso dei Musei Civici di Venezia
98
Livia Montagnoli (a cura di) Creatività e AI: opportunità o rischio?
100
Fabio Severino Cosa insegna Sanremo all’editoria
101
Marcello Faletra Fascinazione del banale
102
Marco Senaldi Retopologizziamo?
GRANDI MOSTRE #33
76
Fabrizio Federici
Tutto il meglio di Perugino
78
Angela Madesani
La fotografia sincera e scomoda di Helmut Newton
80
Marta Santacatterina Vittore Carpaccio, Venezia e la pittura
82
Arianna Testino
90 anni di Michelangelo Pistoletto
84
Giulia Giaume
La Pop Art di Roy Lichtenstein
85
Claudia Zanfi
I giardini di Dakar +
Cristina Masturzo
Pablo Picasso
OPENING
artribunetv
L APRILE 2023 www.artribune.com artribune
MARZO
ENDING
#71
NAPOLI
G IRO D'ITALIA:
LUCREZIA
Napoli è un sentimento. Lo scrivo mentre un treno mi allontana dalla città e la nostalgia (perfettamente descritta da Martone nel suo ultimo, magistrale lungometraggio) mi coglie preparata. Non passerà fino a quando, rientrando in stazione, non ordinerò un caffè a Lello, il miglior barista di piazza Garibaldi; lui mi chiederà se è andato tutto bene e alla mia solita lamentazione sulla mancanza di questo luogo mi risponderà che sono tornata a casa e questo mi rende più bella. Lello è un uomo distinto sulla cinquantina che ha ormai perso il conto degli anni passati dietro al bancone di un bar e che affronta il tempo con un
LONGOBARDI [testo] & FABRIZIO VATIERI [fotografie]
a cura di EMILIA GIORGI
beffardo sorriso marcato sulle labbra dal profilo greco. Ci conosciamo da anni senza sapere quasi nulla l’una dell’altro, ma questo basta per confidarci piccoli aneddoti personali durante il tempo di un caffè e riconoscerci in un affetto lieve, eppure resistente. Ma tornando alla battuta d’apertura, Napoli è un sentimento così come Leopardi descriveva “la pura vita, cioè a dire il semplice sentimento dell’esser proprio”. E Partenope questa consapevolezza ce l’ha tutta, incarnata in ogni pietra, greca o romana che sia, proprio perché nei secoli lei stessa ha lavorato nel solco della preservazione di ogni passaggio, nel mantenere viva la memoria di ogni dominazione,
facendosi contaminare e mai prevalere, accogliendo la diversità e agendo il cambiamento. I passaggi storici, documentati in città attraverso opere pubbliche come l’Acquedotto Romano o il Teatro di San Carlo, hanno segnato momenti di grande splendore, affastellandosi nei secoli in una specie di continuum temporale in cui è incerta, alle volte, una separazione netta, sia essa architettonica o estetica. Palazzi borbonici costruiti su elementi quattrocenteschi, torri aragonesi ampliate con superfetazioni realizzate negli Anni Ottanta, edicole votive che dal Settecento vengono ancora oggi curate e illuminate con neon stroboscopici o ante in alluminio
anodizzato. Tutto questo accade con una naturalezza sconcertante che viene nutrita da un senso di appartenenza che è viscerale al popolo napoletano, il quale vive la città in maniera dilagante.
“Tutti sono sulla strada, tutti seggono al sole finché finisce di brillare. Il napoletano crede veramente d’essere in possesso del paradiso, e dei paesi settentrionali ha un concetto molto triste” (Goethe, Viaggio in Italia). Come nell’Ottocento, il napoletano non ha mutato l’atteggiamento con il quale vive lo spazio pubblico – basti ammirare l’esperienza dei Beni Comuni che riabita edifici passati dal degrado a essere espressione culturale e sociale della città – e l’importanza della comunità resta
ancora oggi essenziale artefice di quel mutuo soccorso che permea soprattutto (se non solo) i quartieri popolari. Ma l’aiuto nelle divergenze dell’esistenza qui non viene chiesto soltanto ai vivi. I morti a Napoli sono presenti in una dimensione atemporale quanto i vivi e con familiarità genuina ricevono richieste e pretese. Perché il napoletano è certamente devoto, ma anche schietto e con i morti e i santi ha un rapporto di prossimità che nulla ha a che vedere con l’ossequio. San Gennaro, che abita il Duomo di Napoli, è chiamato fraternamente Faccia Gialla, le reliquie anonime che si trovano nel cimitero delle Fontanelle sono apostrofate affettuosamente
capuzzelle e alcune di loro, negli anni, sono state elette ad anime amiche, capaci di intercedere nella richiesta di particolari favori. La relazione con l’oltretomba e le divinità – siano esse cristiane o pagane – si è sviluppata assieme al rapporto con il sottosuolo, l’ipogeo complesso che esiste sin dall’epoca dei cumani e che si compone di cunicoli e grandi vasche che fanno da contraltare al brulichio della superfice. In questo rapporto tra pieno e vuoto, sacro e profano, prende sembianze umane una Napoli femminea che nella silhouette del Vesuvio è indistinguibile se sia più ammaliatrice o sorella. Probabilmente entrambe, sicuramente traditrice.
Fabrizio Vatieri, La morte è la vostra religione 2021–in corso, courtesy l'autore
STUDIO VISIT CARMELA DE FALCO
Non dev’essere facile per un artista, oggi, fare i conti con un contesto storico che sembra assecondare atteggiamenti di sfiducia e rassegnazione. Emergenza climatica, conflitti tra Paesi, crisi delle democrazie occidentali, un sistema economico che non appare in grado di offrire stabilità: sono alcuni dei grandi temi che hanno contribuito a generare un clima diffuso di decadenza e collasso. Sembra impossibile, soprattutto se si è artisti emergenti, scampare a questa cappa che, in certi casi, inibisce la capacità di immaginare, di avere una visione che vada oltre la riproposizione – talvolta didascalica – degli stessi problemi che affliggono l’umanità. Lontana da qualsiasi postura distaccata o superficialmente ottimista, Carmela De Falco propone un immaginario che prende le distanze dall’atmosfera di “fine mondo” che si respira in molte opere di suoi coetanei. Le sue opere, pervase da una vitalità poetica, manifestano un’attenzione formale solida e tutt’altro che esibita, fatta di tensioni sottili, presenze impalpabili eppure incisive. L’interesse per la quotidianità, riletto attraverso gesti e interventi apparentemente minimi, è al centro della pratica dell’artista: gli automatismi e i tic che accompagnano il nostro vivere sono messi sotto una lente che ne amplifica il potenziale espressivo; oggetti che maneggiamo quasi con noncuranza (fili di nylon, fermaporte, monete di piccolo taglio…) vengono trasfigurati in monumenti interstiziali e, al tempo stesso, magnetici. Nelle opere di Carmela De Falco, spostamenti millimetrici generano tensioni in grado di far vibrare lo spazio in cui l’opera si inserisce.
Le tue opere partono spesso da elementi di formato ridotto, quasi impercettibili: è una scelta dettata da contingenze o si tratta di una precisa dichiarazione poetica?
La quotidianità è fatta di elementi che spesso tendiamo a dare per scontati: gesti, parole, oggetti, luoghi, persone. A me interessa osservare ciò che è trascurabile, ciò a cui normalmente non viene data importanza, qualcosa che assorbiamo inconsciamente e che abbiamo tacitamente accettato. Mi piace pensare che le cose minuscole e quelle enormi abbiano un legame, che un gesto nervoso e breve – come nella performance Gesture Repetition – possa creare un linguaggio nuovo, non più legato all’efficienza dei corpi. In alcuni casi cerco di spingere l’osservatore ad avere una relazione diversa con lo spazio e il tempo, più lenta, oculata, come nel caso di Pop-corn and one corn in cui, tra migliaia di pop-corn, esiste e resiste un chicco di mais non scop-
piato; o, ancora, nell’opera Una linea quasi invisibile divide lo spazio, in cui un filo di nylon, passando da una parete all’altra della stanza, sta silenziosamente alterando la fisicità di quel luogo.
Utilizzi linguaggi differenti – installazione, performance, sonoro – per esplorare il potenziale del quotidiano, ma ho l’impressione che questa sia solo una parte dei tuoi interessi. Trovo che le tue opere abbiano a che fare, per esempio, con il passaggio del tempo e con la capacità di resistere a un destino apparentemente incontrovertibile.
Credo che la società in cui viviamo ci abbia abituati a uno stile di vita contratto: non sono più solo le cose a essere ridotte a merci, ma anche il tempo, lo spazio e le relazioni. Una merce non può essere logorata, deve essere consumata in fretta e sostituita. Io, al contrario, preferisco pensare di “abitare” ciò con cui entro in contatto. Abitare un luogo, un tempo, un oggetto, una parola, significa per me instaurare una relazione lenta con essi, che li logora, ma senza disfarsene. Per esempio in clock n.1, in cui un orologio dal vetro opaco, che lascia intravedere un leggero spostamento delle lancette, diventa un invito a ripensare i propri ritmi e a non legarli a un fare “performante”. Per quanto abbia coscienza delle storture del mondo, cerco sempre di avere una visione propositiva, di spostare i punti di vista, di ribaltare ciò che appare un destino ostile. Quest’attitudine è presente in Testa o croce, in cui ho ripiegato una moneta su se stessa, quasi a piegare una sorte affidata alla casualità del lancio; così come nella già citata Pop-corn and one corn, dove il chicco di mais non scoppiato può diventare un’immagine di possibilità e resistenza.
Carmela De Falco è nata nel 1994 a Napoli, dove vive. Dopo essersi formata all’Accademia di Belle Arti di Napoli, frequenta l’ENSA – Dijon (2016) e l’Akademie der Bildenden Künste München (2017). Nel 2021 vince una borsa postlaurea e trascorre un periodo a Parigi all’EnsAD – École nationale supérieure des Arts Décoratifs. Le recenti mostre personali includono: Abitare il tempo, Latte project, Faenza (2022); Contenere il tempo, Exit Strategy, progetto speciale per ArtDays Campania, Napoli (2022); It’s funny to play alone, LO.FT, Lecce (2020). Tra le recenti mostre collettive: Premio Francesco Fabbri, Pieve di Soligo (2021); There is no time to enjoy the Sun, Fondazione Morra Greco, Napoli (2021); Exit Strategy, Cinema Plaza, Napoli (2021); In sei atti, Casa Morra, Napoli (2019); Fleeting, Akademie der Bildenden Künste München (2018); 68° Premio G.B. Salvi, Sassoferrato (2018). Nel 2019 prende parte alla residenza artistica “Sapere i Luoghi” tra la Fondazione Lac o Le Mon e Casa Morra, ideata da Cesare Pietroiusti. Nel 2023 è in residenza presso Hangar-Lisbona, finanziato da Culture Moves Europe e dal Goethe Institut.
bioC’è qualcosa che ti spaventa nel tuo percorso da artista?
Essere un’artista, oggi, significa avere a che fare con la precarietà e con l’idea di dover fare almeno un doppio lavoro per tirare avanti. Questa realtà, soprattutto in Italia, può essere molto frustrante. Spesso trovo triste il fatto di avere tanti progetti non realizzati, perché necessitano di un sostegno economico che da sola non posso sostenere. Ma è anche vero che, quando si hanno poche risorse, si attivano altre energie che, a volte, possono portare a dei risultati inaspettati.
Ti riferisci al fatto di condividere uno studio con altri artisti?
In generale, mi riferisco di più a un’attitudine a trasformare “ciò che manca” in altre possibilità di esistenza. Per esempio, due anni fa ho vissuto in una
Per quanto abbia coscienza delle storture del mondo, cerco sempre di avere una visione propositiva.
STUDIO VISIT Carmela De Falco, Testa o croce , 2021. Moneta da 1 euro, dimensioni variabili. Courtesy l’artista 71 13
Carmela De Falco, Pop-corn and one corn , 2020. 7 kili di pop-corn e un chicco di mais non scoppiato, d imensioni variabili. Courtesy l’artista & LO.FT, Lecce. Photo Alice Caracciolo
Carmela De Falco, Untitled (an always open door) n.1, 2021. Porcellana, pigmento d’argento, 8x3x1 cm. Courtesy l'artista & Latte Project, Faenza. Photo Francesco Bondi
#58
#59
stanza senza finestre, minuscola. In quel periodo tendevo a uscire di più per camminare, pensare e prendere un po’ d’aria. Durante le varie passeggiate è nata l’idea dell’opera Cartografia delle voci, una rilettura emotiva dello spazio urbano che si è poi declinata in una mappatura/sceneggiatura e in una performance sonora. Naturalmente, anche il fatto di condividere lo studio con altri artisti (Lucas Memmola, Gabriella Siciliano e, fino a poco tempo fa, Clarissa Baldassarri, oltre alla curatrice Marta Ferrara) può generare degli scambi interessanti: avere un luogo dove potersi incontrare e stare insieme è qualcosa di nutriente e stimolante.
Tornando alla tua pratica, hai delle insicurezze legate a quel che fai?
Lavoro spesso attraverso interventi minimi: per questo, a volte, mi preoccupa che alcune delle mie opere non siano immediatamente “accattivanti”, ma che abbiano bisogno di maggiore tempo e attenzione per essere comprese. Paradossalmente, credo che la forza di alcuni miei interventi risieda
Lavoro spesso attraverso
proprio in questa ambiguità. A volte temo anche il mio stesso approccio all’arte: mi accorgo di come il mio umore cambi se un giorno, presa da altri impegni, non sono riuscita a pensare a un'opera o a lavorare su di essa.
Il tuo prossimo progetto?
Mi affascina l’idea di “uscire fuori di sé”, intesa come momento in cui si sposta l’attenzione dall’Io all’Altro, sia da un punto di vista spaziale che identitario; credo che, oggi, molti aspetti della nostra vita stiano subendo dei processi di “decorporeizzazione”. A tal proposito, sto pensando molto all’utilizzo dello sguardo, della voce e del corpo, e come questi ultimi siano elementi necessari alla comunicazione intersoggettiva: da qui dovrebbero nascere una performance sonora con due cantanti, un video e alcune sculture. Inoltre, da un paio di anni ho ripreso a scrivere poesie: ritagliarmi uno spazio di pensiero su un foglio vuoto per me è un momento molto prezioso.
STUDIO VISIT
Carmela De Falco, Gesture Repetition , 2022. Video performance 4K, 10’08’’. Regia: Carmela De Falco; performer: Gabriella Siciliano; camera: Luca Catapano; editing e mixing del suono: Paolo Petrella. Courtesy l’artista
SAVERIO VERINI
Mattia Pajè
interventi minimi: per questo, a volte, mi preoccupa che alcune delle mie opere non siano immediatamente “accattivanti”. Stefania Carlotti #61 Lucia Cantò #62 Giovanni de Cataldo #63 Giulia Poppi #64 Leonardo Pellicanò #65 Ambra Castagnetti #67 Marco Vitale #68 Paolo Bufalini #69 Giuliana Rosso #70 Alessandro Manfrin
71 15
NEI NUMERI PRECEDENTI
MAGAZZI NO DELLE IDEE — TRIESTE 18.02 - 11.06 — 2023 Malick SidibéMselle Kadiatou Touré avec mes verres fumés 1963. Courtesy Jean Pigozzi African Art Collection and Galerie Magnin-A, Paris.
INFORMAZIONI www.magazzinodelleidee.it t +39 040.3774783
seydou KEÏTA malick SIDIBÉ samuel FOSSO
KLIMT E L’ARTE ITALIANA
MART ROVERETO
15.03-18.06.2023
DA UN’IDEA DI VITTORIO SGARBI
A CURA DI BEATRICE AVANZI
IL MART È SOSTENUTO DA
GUSTAV KLIMT, GIUDITTA II , 1909, FONDAZIONE MUSEI CIVICI DI VENEZIA, GALLERIA INTERNAZIONALE D’ARTE MODERNA DI CA’ PESARO CESARETTI&POLIZZI –GRAPHIC DESIGN STUDIO
SALTA LA CODA, PRENOTA ONLINE! MART.TN.IT/KLIMT
“ll turismo di massa invade le vallate di montagna; gli impianti sciistici sono sempre più attrezzati per ogni comfort; nuove e imponenti strutture piano piano sovrastano la natura selvaggia di boschi e prati”.
Alessandro Di Lenardo e Chiara Boccardi, studenti del Corso di Fotografia di IED Torino, intraprendono un lavoro di sensibilizzazione legato al fenomeno di iper-urbanizzazione della montagna, indagando il sentimento di un luogo che sta perdendo la sua autenticità, violentato da un desiderio di conquista che gli manca continuamente di rispetto.
Per enfatizzare il tema, gli autori attuano un intervento digitale che cancella ma allo stesso tempo evidenzia le strutture che risultano di troppo nel paesaggio, quali pali, cannoni sparaneve, stazioni, piloni.
Il titolo del progetto è Alte Terre, che riprende l’uso dell’espressione “terre alte”, affermatasi da alcuni anni per indicare le regioni di montagna occupate e vissute dall’uomo.
Il progetto è il risultato di un percorso biennale di ricerca che inizia nel secondo semestre del primo anno e si conclude nel primo semestre del terzo anno con l’esame del modulo Metodologie e Tecniche del Contemporaneo. I due studenti hanno lavorato dapprima in modo individuale, su due temi diversi ma connessi al mondo della montagna, e hanno poi deciso di unire i loro sforzi nel progetto Alte Terre
Scopri i dettagli del loro percorso e i futuri sviluppi seguendo il QR qui a fianco.
IED x ARTRIBUNE
Il progetto Fragile Surface si propone di raccontare attraverso immagini e contenuti multimediali realizzati da studenti e Alumni dell’Istituto i temi centrali della contemporaneità. I progetti dei corsi della scuola di Arti Visive di IED danno vita a un percorso in cui il lettore potrà approfondire gli aspetti artistici, tecnici e relazionali alla base di ogni immagine scelta per la copertina. Vi basterà inquadrare il QR code qui a fianco.
La copertina, realizzata in esclusiva per Artribune, sarà quindi il simbolo della soglia da attraversare per immergersi nella profondità e nella poliedricità di ogni progetto. La fragile superficie da rompere per potersi avventurare nell’immaginazione iperconnessa dei designer.
Torino: big dell'architettura nel futuro di Museo Egizio e Cavallerizza Reale
LIVIA MONTAGNOLI L Disponibile sull’omonima piattaforma online, il Censimento è frutto di una capillare attività di selezione e schedatura di edifici e aree urbane di rilievo, con l’obiettivo di promuoverne la conoscenza e la valorizzazione. Il sistema, gestito dal Ministero della Cultura, riunisce quasi 5mila schede degli edifici più significativi realizzati a partire dal Dopoguerra, momento di svolta per la progettazione architettonica, trainata da nuove politiche abitative e urbanistiche, oltre che dalle conquiste dell’innovazione tecnologica. Si ottiene così una panoramica complessiva dell’architettura italiana contemporanea che prende in considerazione edilizia residenziale, edifici pubblici e di culto, infrastrutture, padiglioni espositivi, musei, monumenti, parchi e giardini, stabilimenti balneari e termali, università, grattacieli. Disponibile sul sito un Atlante dell’architettura contemporanea, utile approfondimento storico suddiviso per itinerari tematici.
censimentoarchitetturecontemporanee.cultura.gov.it
VALENTINA SILVESTRINI L Nel capoluogo piemontese il 2023 si è aperto con gli esiti di due attesi concorsi indetti dalla Fondazione Compagnia di San Paolo con alcune istituzioni pubbliche. Il raggruppamento guidato dallo studio CZA – Cino Zucchi Architetti ha vinto quello finalizzato al restauro e alla rifunzionalizzazione del compendio della Cavallerizza Reale, struttura concepita a partire dalla metà del Seicento come ampliamento del complesso di Palazzo Reale. Obiettivo dell’intervento è dotare Torino di un centro culturale di respiro internazionale capace di ospitare una pluralità di funzioni (culturali, formative, ricettive, sociali, direzionali). La proposta di Zucchi, che torna a operare in città dopo l’ampliamento del Museo dell’Automobile e il quartier generale Lavazza, si basa su “una sorta di ‘agopuntura’”, ovvero una serie di azioni mirate alla riscrittura della relazione fra sito e tessuto urbano. Da segnalare la scelta della giuria di attribuire la menzione allo studio francese Pritzker Prize 2021 Lacaton et Vassal Architectes, con l’auspicio di una sintesi fra i due progetti “in particolare sull’utilizzo degli spazi pubblici, coniugando i punti di forza di entrambi”. Successo per il gruppo guidato da OMA – Office for Metropolitan Architecture nel concorso Museo Egizio 2024, promosso nell’ottica dell’ampliamento e rinnovamento della corte interna del Palazzo del Collegio dei Nobili e della riorganizzazione degli spazi del Museo Egizio di Torino. In vista delle celebrazioni del bicentenario dell’istituzione museale si punta a realizzare un nuovo cortile coperto, la cosiddetta Piazza Egizia, con cui “ripristinare la natura pubblica del museo e reintegrarlo nella rete degli spazi pubblici torinesi”, come precisato dall’architetto David Gianotten di OMA. Il tutto si spera entro ottobre 2024.
museoegizio.it | oma.com
LA COPERTINA
È online il Censimento delle architetture italiane dal 1945 a oggi
CZA Cino Zucchi Architetti, Cavallerizza Reale,
Torino. Render Wolf Visualization Agency
DIRETTORE
Massimiliano Tonelli
DIREZIONE
Marco Enrico Giacomelli [vice]
Santa Nastro [caporedattrice]
Arianna Testino [Grandi Mostre]
REDAZIONE
Irene Fanizza | Giulia Giaume
Claudia Giraud | Desirée Maida
Livia Montagnoli | Valentina Muzi
Roberta Pisa | Valentina Silvestrini
Alex Urso | Gloria Vergani | Alberto Villa
PROGETTI SPECIALI
Margherita Cuccia
PROGETTO GRAFICO
Alessandro Naldi
PUBBLICITÀ
Cristiana Margiacchi | 393 6586637
Rosa Pittau | 339 2882259 adv@artribune.com
EXTRASETTORE
download Pubblicità s.r.l. via Boscovich 17 — Milano via Sardegna 69 — Roma 02 71091866 | 06 42011918 info@downloadadv.it
COPERTINA ARTRIBUNE
Alessandro Di Lenardo & Chiara Boccardi, Alte Terre, 2022
Progettazione del corso in Metodologie e Tecniche del Contemporaneo
Corso triennale in Fotografia IED Torino
Courtesy IED - Istituto Europeo di Design
COPERTINA GRANDI MOSTRE
Perugino, San Bernardino risana da un’ulcera la figlia di Giovannantonio Petrazio da Rieti, dalla serie Miracoli di san Bernardino, 1473 ca., tempera su tavola, Galleria Nazionale dell’Umbria, Perugia
STAMPA
CSQ — Centro Stampa Quotidiani via dell’Industria 52 — Erbusco (BS)
DIRETTORE RESPONSABILE
Paolo Cuccia
EDITORE & REDAZIONE
Artribune s.r.l. Via Ottavio Gasparri 13/17 — Roma redazione@artribune.com
Registrazione presso il Tribunale di Roma n. 184/2011 del 17 giugno 2011
Chiuso in redazione il 10 marzo 2023
RiciclatoPEFC Questoprodottoè realizzatoconmateria primariciclata
NUOVI SPAZI
CADOGAN GALLERY Milano
Da Londra a Milano, per raddoppiare gli spazi espositivi. Sbarca in Italia la Cadogan Gallery, e le ragioni ce le ha spiegate Freddie Burness, direttore della sede appena inaugurata.
Come è nata l’idea di aprire questa nuova galleria? Da quali bisogni, da quali esigenze, da quali punti di partenza?
Siamo una galleria con sede a Londra fondata nel 1980. Da quando la dirigo sono interessato ad aprire un nuovo spazio in Europa. Questo ci consente di ampliare il programma espositivo, oltre ad attrarre nuovi talenti in galleria. Essere in un nuovo entusiasmante mercato come Milano ci dà accesso a una nuova base di collezionisti e artisti. Dopo la Brexit c’è sicuramente un valore nell’aprire una nuova galleria all’interno dell’UE. Quando ho visto questo spazio a Milano ho sentito che dovevamo portare avanti l’idea.
Descrivi il tuo nuovo progetto in poche righe.
La nuova galleria è un’estensione della Cadogan Gallery di Londra. Penso che abbiamo un programma curatoriale e un’estetica abbastanza identificabili. Questo nuovo spazio ci permette di fare cose nuove, ma con la stessa voce. Questa espansione della galleria riflette il nostro approccio al mondo dell’arte contemporanea negli ultimi cinque anni. Vogliamo entrare in contatto con la scena artistica milanese e italiana, mantenendo una prospettiva aperta e internazionale.
Chi sei? Qual è la squadra che si imbarca in questa avventura? E cosa hai fatto prima?
sto nuovo progetto a Milano con un nuovo collega italiano.
A livello di staff come siete organizzati? Hai collaboratori interni? Collabori con curatori esterni?
Abbiamo un team di cinque persone a Londra e inizialmente due a Milano.
Curo la maggior parte delle mostre insieme ai miei artisti. A volte lavoriamo con curatori esterni. Ci sono un certo numero di curatori di talento con cui ho legami in Italia ed è certamente qualcosa che vorremmo esplorare per le mostre future.
A che tipo di pubblico e di clientela ti rivolgi? E qual è il tuo rapporto con il territorio e la città dove apri?
Cerchiamo un vasto pubblico e una vasta clientela. Abbiamo alcuni buoni collezionisti affermati in Italia, Francia e Svizzera. Sono certamente desideroso di interagire anche con la generazione più giovane e Millennial. È importante riconoscere la prossima generazione di collezionisti, a quale tipo di lavoro potrebbero essere interessati? E anche l’uso dei social media in questo è interessante. Milano mi ha sempre molto colpito come città. Sta chiaramente vivendo un “momento” adesso, molte persone si sono trasferite da Londra a Milano di recente. Sembra che la scena artistica sia in rapida crescita e sono molto felice di farne parte.
Una parola sui vostri spazi espositivi. Come sono, come li hai impostati e cosa c’era prima? E come ti interfacci con il territorio circostante?
Lo spazio della galleria è bellissimo. Abbiamo un’ottima luce naturale, grazie alle finestre laterali che immettono in un tranquillo cortile. Abbiamo tre spazi espositivi che offrono alcune buone opzioni curatoriali. La zona è molto entusiasmante, siamo tra Brera e Sarpi. Centrale ma emergente.
PEFC/18-31-992
Mio padre ha fondato la Cadogan Gallery nel 1980 e ho lavorato in galleria per la maggior parte della mia vita. Sono laureato in Storia dell’Arte, dopo aver studiato sia in Italia che nel Regno Unito. Ho gestito la galleria come direttore negli ultimi sei anni. La galleria è cresciuta e cambiata abbastanza velocemente dal 2019. Abbiamo una grande squadra a Londra e gestirò que-
NEWS a cura di DESIRÉE MAIDA
Milano Via Bramante 5
Piazza Lega Lombarda Via Bramante Viale ElveziaViale Elvezia
Legnano Piazza
www.pefc.it
02 89690152 info@cadogancontemporary.com cadogangallery.com
Via
Lega Lombarda
71 19
CONCIERGE LUSSO ART DÉCO NELL’EX STAZIONE FERROVIARIA SUI PIRENEI
Dimenticate l’ispirazione Miami e l’omaggio all’esperienza Archizoom dell’eccentrico Paradiso Ibiza Art Hotel; mettete da parte l’irriverente energia cromatica del Gruppo Memphis che fu alla base dell’Hotel Allegro Isora di Tenerife: nel loro più recente progetto alberghiero, gli architetti Michele Corbani e Andrea Spada, alias studio ILMIODESIGN, cambiano registro. Riportano infatti in vita atmosfere più lontane nel tempo e dall’inesauribile fascino. Aperto a febbraio 2023 e dotato di 104 camere, il Barceló Canfranc Estación, a Royal Hideaway Hotel è il resort 5 stelle che catapulta nella nostra epoca un monumentale complesso ferroviario di inizio Novecento, dichiarato Bene di Interesse Culturale nel 2002. Situato a Huesca, a pochi chilometri di distanza dal confine fra Spagna e Francia, venne inaugurato nel 1928 alla presenza dell’allora sovrano spagnolo Alfonso XIII. All’epoca della sua costruzione, il monolitico edificio era una delle più grandi strutture ferroviarie dell’intera Europa.
La Biennale di Architettura punta sull’Africa
VALENTINA SILVESTRINI L È “cambiamento” la parola su cui la curatrice Lesley Lokko punta per la prossima Biennale di Architettura. The Laboratory of the Future – dal 20 maggio al 26 novembre a Venezia – affronterà i temi della decolonizzazione e decarbonizzazione orientando lo sguardo sull’Africa e sulla sua diaspora. Un cambio di prospettiva reso necessario dal fatto che in architettura ha fin qui prevalso “una voce singolare ed esclusiva”, che ha reso la storia della disciplina “non sbagliata, ma incompleta”, afferma l’architetta, docente e scrittrice scozzese-ghanese. La mostra centrale si articolerà in sei sezioni espositive, con 89 partecipanti selezionati da Lokko e da lei ribattezzati “practitioner”. Fra loro alcuni dei protagonisti della scena africana e della sua diaspora, come Adjaye Associates, Kéré Architecture, atelier masōmī, Sumayya Vally e Moad Musbahi, e Theaster Gates Studio. A contribuire a rendere memorabile l’edizione 2023 sarà il debutto del Biennale College Architettura: per 4 settimane, 15 docenti internazionali affiancheranno 50 tra studenti, laureati, accademici e professionisti emergenti scelti tramite open call. Fra le 63 partecipazioni nazionali, anche l’esordio di Niger e Panama e il ritorno della Santa Sede, ancora una volta sull’Isola di San Giorgio Maggiore. Rappresenterà l’Italia il collettivo Fosbury Architecture, con l’atteso padiglione Spaziale: Ognuno appartiene a tutti gli altri
labiennale.org
Archivi d’Affetto: storie di architetti e designer dimenticati al Circolo del Design di Torino
Un tempo luogo di passaggio per i viaggiatori in transito lungo la linea che attraversava i Pirenei aragonesi, chiusa già da alcuni decenni, il Canfranc Estación ridefinisce il concetto di tempo dell’ex stazione. Si propone infatti come la destinazione ideale per una sosta lenta e rilassante, grazie a servizi come biblioteca e spa, dotata di piscina riscaldata e area fitness. A invitare gli ospiti alla pausa contribuisce l’alta cucina aragonese, declinata nel progetto gourmet di Eduardo Salanova e Ana Acín sia nel concetto di “Colazione Reale” che nei due ristoranti à la carte, allestiti in altrettante carrozze ferroviarie in stile d’antan.
Memorie art déco e innesti contemporanei definiscono gli interni, in una sofisticata combinazione di finiture pregiate, realizzate in legno, ottone, velluto. Gli Anni Venti del secolo scorso tornano dunque in auge, ma in un originale mix con pattern e richiami legati al contesto regionale. Del resto siamo in un territorio contrassegnato da alcune delle vette più alte della Spagna. Tra fortezze, monasteri e paesaggi in cui sperimentare adrenaliniche avventure all’aperto.
barcelo.com | ilmio.design
VALENTINA SILVESTRINI
CLAUDIA GIRAUD L Architettura come intreccio di arte, design, tecnica, vita vissuta. In quest’ottica si colloca il nuovo progetto del Circolo del Design di Torino a cura di Maurizio Cilli e Stefano Mirti, che mira a creare una collezione di storie di progettisti torinesi dimenticati dalla città ma non dal resto del mondo, da raccontare in una mostra in sede e online sul sito dedicato, in un documentario a cura di IED Torino e in una residenza d’artista. Il famoso detto “nemo propheta in patria” si addice ai protagonisti del primo episodio, la coppia di architetti e artisti Leonardo Mosso e Laura Castagno che, nel corso degli Anni Ottanta, ha fondato nella sua casa-atelier sulle colline di Torino l’Istituto Alvar Aalto – MAAAD: un luogo poco noto ai torinesi, ricco di materiali preziosi del famoso architetto finlandese, insieme a opere proprie e di altri artisti, designer e architetti italiani e internazionali che, grazie a questo progetto, potranno essere visti dal grande pubblico. “Nella loro idea questo posto era un centro di ricerca, un luogo di lavoro, una casa d’artista e una casa-museo”, spiega la direttrice del Circolo Sara Fortunati “Nella realtà, l’apertura al pubblico consiste ancora oggi in piccole visite concesse a ricercatori e tesisti. Noi facciamo un’operazione di valorizzazione di soggetti del territorio”.
circolodeldesign.it
Courtesy Barceló Hotel & Resorts
OPERA SEXY
LADY TARIN
Dice: “Il tema della mia ricerca personale è concentrato sull’erotismo inteso come forza vitale. La possibilità che una donna ha di abitare il suo corpo, di appartenere a se stessa”. Parole chiare, già con una punta di giusta polemica. Perché Lady Tarin, pseudonimo di donna misteriosa, approfitta di quella che è la sua missione – fotografare donne nude – esattamente come grimaldello per scardinare l’immaginario comune, andante, ossessionante, del nudo femminile prodotto storicamente dai maschi per i maschi, dove la donna esce ritratta come oggetto passivo. Lei vuole raddrizzare le cose così: “Per i miei ritratti scelgo donne con forte personalità... Mi sono resa conto che la nostra parte più vitale e sensuale è legata alla forza, quindi lavoro sul set per farla emergere… Una donna che emana erotismo è una donna che si appartiene”. Non a caso uno dei suoi numi tutelari è Helmut Newton, di cui ama precisamente “la visione della donna amazzone, possente, che mette in soggezione lo spettatore”.
CINQUE SPAZI E MUSEI APERTI IN ITALIA NELLE ULTIME SETTIMANE
MUCAP – BOLOGNA
Persona misteriosa, dicevamo. Riminese di nascita, bolognese di studi accademici, milanese di esercizi professionali, da qualche anno sembra sparita dalla circolazione. Inafferrabile, dunque: e sempre più misteriosa. Ha un passato non banale di fotografa per la moda, cui dal 2008 ha affiancato in prepotenza una ricerca personale – sempre caparbiamente fedele allo scatto analogico, in pellicola b/n – esclusiva sul mondo femminile più privato, intimo e sensuale. Davanti al suo obiettivo le sue amiche si svestono in totale spontaneità, confidenzialmente al naturale, producendo situazioni e immagini lontane dai clichés corrivi a base di lingerie sexy e artificiose pose recitate. Una delle sue serie fotografiche più rappresentative, forse la più celebre, è stata realizzata in una calda notte milanese davanti allo storico Bar Basso di via Plinio, tra una torma di ragazze scatenate che festeggiava con allegra morbosità, in completa amicizia, un baccanale di perdita del pudore. Lady Tarin, dove sei finita?
ladytarin.com
FERRUCCIO GIROMINI
1 2 3 4 5
A Bologna, nello storico quartiere della Bolognina, aprirà il Museo della Casa Popolare. Il nuovo spazio, di cui si è appena concluso il concorso di progettazione, raccoglierà in un archivio e uno spazio di esposizione permanente il vasto patrimonio iconografico e progettuale dell’ex Istituto Autonomo Case Popolari (IACP) di Bologna, istituzione di fondamentale importanza soprattutto nella ricostruzione italiana postbellica, incorporandolo in un’area di convivialità aperta a tutta la cittadinanza.
MUSEO CARUSO – NAPOLI
Uno dei più grandi tenori di tutti i tempi si vedrà dedicare un museo nella città che gli diede i natali, Napoli. Parliamo del grande Enrico Caruso, in onore del quale sarà aperto il 20 luglio il Museo Caruso all’interno del partenopeo Palazzo Reale. La scelta del momento è tutt’altro che casuale: nel 2023 cadono i 150 anni dalla nascita del cantante. La nuova struttura offrirà un racconto fatto di immagini, musica e voce, con contenuti visivi e sonori, installazioni immersive e podcast di approfondimento in un unico grande spazio suddiviso per temi.
BIBLIOTECA OSTINATA – MILANO
Nasce a Milano, dietro l’Università Statale, una nuova biblioteca di quartiere. La (privata) Biblioteca Ostinata, in via Osti appunto, vuole essere uno spazio caldo e luminoso, zeppo di libri, piante e sedute: tutto per fornire alla cittadinanza un luogo aperto a tutti. E gratuito. Il concept del fondatore, l’ex manager 79enne Paolo Prota Giurleo, è semplice: offrire i medesimi servizi delle biblioteche milanesi diventando un nuovo punto di riferimento dove prendere volumi in prestito, leggerli e studiare.
BASEMENT ROMA – ROMA
Basement Roma celebra dieci anni di attività con la mostra della giovane artista Sara Sadik e l’apertura della nuova sede in Viale Mazzini, che si affianca a quella originaria di Via Ricciotti. Nato come estensione fisica della ricerca editoriale di CURA, il magazine diretto da Ilaria Marotta e Andrea Baccin si pone come polo espositivo ma anche come osservatorio delle ricerche più attuali della scena artistica contemporanea.
BRUSSELS HOUSE – MILANO
Al piano terra del palazzo De Castillia 23, nuovo building nel quartiere di Porta Nuova a Milano detto “il Rasoio”, apre la prima Brussels House d’Europa. Uno spazio polifunzionale concepito per ospitare un calendario d’eventi tra workshop, meeting, mostre permanenti e temporanee che vogliono connettere il mondo della cultura bruxellese con l’Italia. In occasione dell’apertura, il grande open space centrale è stato allestito con gli studenti della oPla Architecture, scuola d’architettura di Anderlecht.
NEWS
Lady Tarin, Ludovica
GIAUME 71 21
GIULIA
CUPOLE FAI DA TE
Era il 1954 quando l’architetto e designer statunitense Buckminster Fuller vinse il Gran Premio all’esposizione della Triennale di Milano per la sua cupola geodetica arancione, installata in quattro e quattr’otto nei giardini di Parco Sem pione utilizzando ele menti prefabbricati in cartone. Si trattava di una struttura di 10 metri di diametro che avrebbe potuto ospitare un’abitazione di circa 90 metri quadrati, semplice da montare e molto efficiente dal punto di vista energetico. Anche se la difficoltà di progettazione di queste strutture ne ha ostacolato la diffusione nell’edilizia abitativa, si tratta tuttora di un modello estremamente interessante dal punto di vista costruttivo: la cupola geodetica – una struttura emisferica formata con delle travi che posano su delle traiettorie circolari (le geodetiche) – è infatti l’unica forma che più si ingrandisce più diventa resistente. La sua facilità di costruzione e la sua estrema flessibilità la rendono inoltre adatta alla personalizzazione, ed è per questo che online si possono trovare numerosi kit fai da te che ne agevolano l’utilizzo. Uno dei più economici ed efficaci è stato lanciato dall’azienda inglese Hubs, che sul proprio sito vende diverse componenti per la costruzione autonoma di domes da giardino. Il segreto di questi kit sta nelle giunture, gli hubs, appunto: componenti in plastica resistenti e flessibili, che si adattano a qualsiasi genere di materiale costruttivo. Sulle pagine social dell’azienda è possibile rendersi conto dei tanti utilizzi diversi delle cupole fai da te sfogliando le fotografie scattate dai clienti, tra abitazioni temporanee, serre, pollai, spazi gioco, saune e persino affascinanti installazioni artistiche.
£ 151,49
shop.buildwithhubs.co.uk
STRANEZZE NEL PIATTO
Si chiamano Crocchi e sono frutto dello strano incontro tra i croissant e gli gnocchi. L’idea di creare questi piccoli cornetti colorati a base di farina e uova è
SOGNANDO DI VOLARE
Ideata dall’azienda sudcoreana Teev, Air-frame è una cornice che simula in tutto e per tutto il finestrino di un aereo. L’immagine da inserire all’interno può essere cambiata, scegliendo il panorama che si preferisce. Per avere la sensazione di volare anche restando seduti sul divano.
$ 89 designboom.com
SCULTURE INVERNALI
Dalle menti geniali dei designer di Atypyk arriva un gadget im perdibile. Si tratta di un mobile di Alexander Calder in versione miniaturizzata, inserito all’interno di una classica boule de neige. L’unione inaspettata di due grandi classici rende questo soprammobile assolutamente magico.
€ 25 atypyk.com
BERE SPIRITUALMENTE
Il sito Third Drawer Down, in collaborazione con il Marina Abramović Institute, ha lanciato alcuni oggetti ispirati al “metodo” dell’artista serba. Fa parte della serie anche questo bicchiere in vetro, sulla cui superficie sono vergate le istruzioni per rendere il semplice atto del bere un vero momento spirituale.
€ 40,95 thirddrawerdown.co.uk
PIATTINI ESPRESSIVI
Il pranzo e la cena, si sa, si trasformano spesso in momenti di socialità. Allora perché non utilizzare i piatti come spazi per la comunicazione di idee e messaggi? È questa l’idea dell’artista Marta Rich, che ha ideato questa buffa collezione di fumetti in ceramica per il sito 20x200.
$ 12 20x200.com
INONDAZIONI NEL PIATTO
Direttamente dal design shop del MoMA di New York arriva questo adorabile piatto da tavola catastrofico. Si chiama infatti La Maison Inondée Bowl e contiene una piccola casa abbarbicata in cima a una collina di ceramica, pronta per essere “inondata” da un paio di mestoli di zuppa.
€ 48
store.moma.org
PRANZO CON ANTIFURTO
Se volete essere assolutamente certi che nessuno vi rubi il pranzo sul posto di lavoro, questo portavivande di Fred&Friends è senz’altro la scelta migliore. La scritta che campeggia fuori dal cestino termico, infatti, è un inquietante e macabro: “Organo umano per trapianto”.
$ 24
genuinefred.com
UN DITO È PER SEMPRE
Ultimamente si è parlato tanto del fatto che i programmi di intelligenza artificiale non riescano a disegnare correttamente le mani, aggiungendo spesso dita non necessarie. Queste visioni possono essere trasformate in realtà indossando il FINGERring dell’artista Nadja Buttendorf, un surreale anello in silicone a forma di dito.
prezzo su richiesta nadjabuttendorf.com/fingerring
TRAVASI MAGICI
Si chiama Magic Mushroom Funnel ed è un imbuto dal design sorprendente. Ispirato ai funghi più famosi e più pericolosi, gli Amanita muscaria, questo accessorio da cucina renderà i travasi più semplici e divertenti. Il design è OTOTO, in collaborazione con Carla Rataus.
$ 16.95
ototodesign.com
COSE a cura di VALENTINA TANNI
71 23
ARCHUNTER
SANCHEZ BENTON ARCHITECTS IL FUTURO DI LONDRA
Tra le firme nominate a febbraio 2023 dal sindaco Sadiq Khan per creare “una Londra migliore, più verde e più sostenibile per tutti” figurano, insieme ai vincitori dello Stirling Prize Mikhail Riches e a colossi del settore come Arup, anche gli emergenti Sanchez Benton Architects. Lo studio, fondato nel 2017 da Carlos Sanchez e Tom Benton, fa dell’inclusività e dell’innovazione i cardini della sua attività: “Guardiamo all’architettura come cornice per la vita a tutti i suoi livelli”, spiega il duo ad Artribune. “Lavoriamo duramente per ridurre le emissioni di CO 2 in tutte le fasi del progetto, con l’obiettivo di raggiungere la carbon negativity: promuoviamo l’uso di materiali naturali e il retrofit di edifici e strutture esistenti, cercando di ridurre la quantità di nuovi interventi, e teniamo in considerazione l’intero ciclo di vita della costruzione. Il nostro è un metodo che celebra e rispetta la bellezza e il valore di ciò che è presente, ciò che è stato e ciò che potrebbe essere”. Un’etica sostenibile che, unita a una visione strategica, permette a Sanchez Benton di iniettare nuova vita negli spazi residuali della città. Come a Holyrood Street, dove i progettisti, ispirandosi al vicino giardino segreto, reinventano un piccolo sito usato come deposito rifiuti. Sormontata da fioriere a gradoni che scendono verso la strada, una struttura in legno vermiglio si àncora alla facciata cieca di un edificio: al suo interno, un chiosco e servizi a supporto della comunità gettano le basi per la trasformazione dell’intera via. Sempre nel sud di Londra, gli architetti individuano in un complesso modernista in abbandono la chiave per la rinascita dello spazio pubblico attorno a Tower Bridge Road: in collaborazione con Gabriel Kuri, il duo trasforma il tetto della struttura in una rigogliosa oasi pubblica e i garage al piano terra nel nuovo hub dell’organizzazione artistica Forma.
La Sagrada Família di Barcellona sarà finalmente completata nel 2026
Un approccio al tempo stesso poetico e pratico, applicabile anche ad altre scale e tipologie. Lo dimostra il mix di progetti su cui Sanchez Benton è ora al lavoro: “L’ampliamento e riconfigurazione in studi per artisti di quattro magazzini a West London, un Community Centre a Hackney, un Arts Centre a South London, una serie di progetti per l’adeguamento ambientale di residenze che diventeranno casi studio di un Pattern Book e il masterplan per un tratto della Low Line accanto alla stazione di London Bridge”, raccontano gli architetti. “Ci stiamo concentrando sulla loro realizzazione: preferiamo dare dimostrazione dei nostri valori non sulla carta, ma costruendo”. I due hanno le idee chiare anche sul futuro: “Vorremmo aumentare il numero di progetti residenziali in cui siamo coinvolti, per avere un impatto significativo sul progetto della città, sulla sua ecologia e sui suoi abitanti” sanchezbenton.co.uk
GIAUME L Habemus datam: la Sagrada Família, capolavoro del visionario architetto catalano Antoni Gaudí e simbolo di Barcellona, sarà finalmente completata nel 2026. La basilica, landmark di una delle città più famose d’Europa e Patrimonio dell’UNESCO, è in costruzione dal 1882. Annunciata la nuova data, rimangono tre anni per terminare la Facciata della Gloria e l’ingresso monumentale su Carrer de Mallorca. Un ultimo ostacolo si frappone però tra i catalani e la Sagrada Família: manca lo spazio fisico. Si parla da mesi di possibili demolizioni delle case circostanti, ma i dati sugli abitanti coinvolti sono controversi. Stando a The World, potrebbero perdere la casa 3mila persone, mentre secondo Euronews quelle coinvolte sono 3mila case, e quindi 10-15mila persone. Ciò che è sicuro, è che gli abitanti di Carrer de Mallorca si sono riuniti in un’associazione che ha fatto causa alla Fondazione Sagrada Família, la non profit che gestisce la costruzione. Il destino dei residenti è nelle mani del Comune di Barcellona.
sagradafamilia.org
L’opera di land art di Olafur Eliasson sulla costa inglese della Cumbria
LIVIA MONTAGNOLI L Nell’estate 2023, la rassegna Deep Time: Commissions for the Lake District Coast debutterà con una serie di interventi di landscape art sulla costa inglese della Cumbria, “paesaggio culturale” tutelato dall’Unesco a nord-ovest del Paese. Il programma porterà al disvelamento di sei opere site specific. Tra gli artisti selezionati c’è anche l’islandese-danese Olafur Eliasson, che firma la sua prima opera permanente nel Regno Unito, in collaborazione con lo scrittore inglese Robert Macfarlane. Your daylight destination è un lavoro monumentale, incentrato sulla possibilità di connettere il mare, il cielo e la terra instaurando un gioco di percezioni fugaci, modulato attraverso la luce e il suo riflesso. Collocata sulla spiaggia di Silecroft, che si trasforma così in un palcoscenico a cielo aperto, l’installazione viene descritta dallo Studio Olafur Eliasson come “una piscina ellittica in acciaio che si estende per trenta metri nella piana fangosa”, soggetta al mutamento delle maree.
deeptime.uk | olafureliasson.net
MARTA ATZENI
Sanchez Benton Architects, Peveril Gardens and Studios. Photo © Brotherton-Lock. Courtesy Forma Arts & Media
GIULIA
DURALEX
OPERE CREATE DA AI: NUOVE SFIDE PER L’INTELLIGENZA UMANA
Sempre più di frequente si sente parlare di contenuti (testi, immagini, musiche ecc.) creati da sistemi di intelligenza artificiale, ma anche di cause intentate dai titolari di diritti d’autore nei confronti delle società che sviluppano tali sistemi. In questo senso si veda, da una parte, la copertina di Cosmopolitan USA creata nel 2022 utilizzando DAL-E 2 e, dall’altra, la causa intentata in Gran Bretagna da Getty Images nei confronti di Stability AI per aver processato milioni di immagini protette da copyright senza alcuna autorizzazione.
In due chiese di Napoli le grandi installazioni in corallo di Jan Fabre
GIULIA GIAUME L Un grande dono per Napoli, anzi due. Le importanti installazioni in corallo dall’artista fiammingo Jan Fabre vanno ad arricchire la Real Cappella del Tesoro di San Gennaro e la Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco. Le opere Per Eusebia e Il numero 85 (con ali d’angelo) realizzate nel 2022
Il mutamento del ruolo dell’autore fa venire meno un presupposto basilare del sistema di protezione del diritto d’autore.
I sistemi di intelligenza artificiale consentono forme innovative di creazione artistica e al contempo pongono agli operatori, sia artisti che giuristi, nuovi interrogativi. Innanzitutto, riprendendo la definizione contenuta nella proposta di regolamento europeo sull’intelligenza artificiale (AI Act), un sistema di IA è un software sviluppato con tecniche e approcci particolari – tra cui l’apprendimento automatico (machine learning) – che, a partire da un obiettivo definito dall’uomo, genera output (contenuti, decisioni ecc.) che influenzano gli ambienti con cui interagiscono. I sistemi di AI elaborano e lavorano sulla base di grandi masse di dati di input, forniti dallo sviluppatore o acquisiti direttamente dal sistema. Tali sistemi possono generare anche contenuti riconducibili al campo delle opere letterarie e artistiche, dove però l’apporto dell’autore cambia profondamente, poiché l’opera è il frutto (output) dell’elaborazione da parte di un software di dati di input. Tradizionalmente, invece, l’autore è colui che crea l’opera dell’ingegno di carattere creativo (art. 1 L. 633/41), tutelata quale particolare espressione del lavoro intellettuale (art. 6 L. 633/41). Il mutamento del ruolo dell’autore fa venire meno un presupposto basilare del sistema di protezione del diritto d’autore e pone agli operatori del diritto diversi quesiti, tra i quali: da una parte, se queste opere siano tutelabili o meno con il diritto d’autore e, in caso affermativo, chi sia l’autore titolare dei diritti; dall’altra parte, come tutelare gli autori delle opere utilizzate per addestrare tali sistemi.
Questi e altri aspetti legati all’uso delle tecnologie digitali avanzate non sono disciplinati in modo specifico e la soluzione va cercata in via interpretativa, applicando caso per caso i principi generali in materia di diritto d’autore e alcune norme di recente introduzione dedicate proprio al mercato digitale. Un testo di riferimento a livello europeo è, per esempio, la direttiva 2019/790 sul mercato unico digitale, che proprio in relazione alle analisi computazionali automatizzate di informazioni (testi, suoni, immagini o dati) che avvengono anche nell’ambito di sistemi di AI ha introdotto l’eccezione per il text and data mining (estrazione di testo e di dati) per scopi di ricerca scientifica, nonché per altri fini a condizione che l’utilizzo delle opere non sia stato espressamente limitato dai titolari.
Oltre agli aspetti strettamente giuridici legati allo sviluppo delle nuove tecnologie, c’è poi da riflettere su come l’uomo (l’artista e in generale chi svolge attività di tipo intellettuale) dovrà approcciarsi a questi nuovi strumenti, che se da una parte possono sostituire l’uomo in alcune prestazioni intellettuali, dall’altra parte rappresentano strumenti di lavoro di indiscussa utilità.
RAFFAELLA PELLEGRINO
sono cesellate e ricchissime di particolari legati alla storia del culto e dell’artigianato napoletano, regali dell’artista insieme a Gianfranco D’Amato e Vincenzo Liverino. L’allestimento, a cura di Melania Rossi, ha un forte portato spirituale che si riflette in una strabordante ricchezza barocca. Se la prima è un richiamo alla storia di San Gennaro, dato che il nome riprende la donna che per prima raccolse questo sangue dopo il martirio nel 305 d.C., a cui fa riferimento con una serie di elementi, la seconda opera è in diretta connessione con il Teschio Alato di Dionisio Lazzari, e va a stabilire un contatto con il culto delle anime in una sorta di viaggio iniziatico dal sapore dantesco.
All’architetto britannico David Chipperfield il Pritzker Architecture Prize 2023
VALENTINA SILVESTRINI L Classe 1953, Sir David Alan Chipperfield CH è stato insignito della più alta onorificenza internazionale per l’architettura. Per la giuria del Pritzker Prize 2023, presieduta dall’architetto Alejandro Aravena, a caratterizzare i suoi edifici – oltre 100, in Asia, Europa e Nord America – sono “eleganza, sobrietà, composizioni precise e dettagli raffinati” per opere che “trasudano ogni volta chiarezza, sorpresa, sofisticata contestualizzazione”, espressione di equilibrio fra “moderno linguaggio architettonico minimalista e libertà di espressione, affermazioni astratte ed eleganza rigorosa mai priva di complessità”. Nato a Londra, nel 1980 si laurea all’AA School of Architecture. Dopo esperienze con Norman Foster e Richard Rogers, fonda il suo studio nel 1985. Fra le sue opere recenti: l’ampliamento della Kunsthaus Zürich, la ristrutturazione della Neue Nationalgalerie a Berlino, il restauro delle Procuratie Vecchie a Venezia. Dopo il MUDEC, a Milano sta lavorando all’Arena Santa Giulia.
pritzkerprize.com | davidchipperfield.com
NEWS
71 25
Photo © Luciano e Marco Pedicini
LOST IN DISTRIBUTION
UN FUTURO A BUON MERCATO
Cassandre, giovane assistente di volo di una compagnia aerea low-cost, viaggia in continuazione da una località turistica all’altra, servendo caffè, vendendo snack e promuovendo prodotti di consumo.
Ogni sera la ragazza rientra a Lanzarote, in un appartamento fornito dalla compagnia aerea e condiviso con alcune colleghe. Le sue notti sono all’insegna del divertimento più sfrenato, dell’abuso di alcool e del
La nuova galleria più à la page di Los Angeles è in un cimitero
sesso occasionale. La sua routine viene però interrotta da un piccolo errore sul lavoro, che mette in pericolo il rinnovo del suo contratto e la fa rientrare per qualche giorno nella sua città d’origine.
Primo lungometraggio di Julie Lecoustre ed Emmanuel Marre, Rien à foutre è uno spaccato brutale e impietoso di una generazione disorientata tra precariato lavorativo e instabilità emotiva. Costantemente soggiogata dalle dure regole social dell’apparire, sommersa dai ritmi sincopati di un mercato del lavoro omologato e disumano, Cassandre (un’eccellente Adèle Exarchopoulos) si nasconde dietro un fatalismo rassegnato, soccombe impotente di fronte alle assurde richieste dei suoi superiori, alle politiche di divisione interna della compagnia, alla totale mancanza di empatia e solidarietà. La cinepresa a mano la incalza, inquadrandola da vicino, sottolineando i fugaci momenti in cui la maschera sorridente dell’assistente di volo si sgretola per lasciare spazio a un’insondabile tristezza, alla consapevole mancanza di desiderio e prospettiva. Dopo tre anni di assenza, un piccolo intoppo professionale spezza finalmente il ritmo, interrompe la sua fuga, riportandola a casa dove un padre e una sorella la aspettano, ancora in lutto per l’improvvisa morte della madre.
Attraverso un registro lento e ripetitivo e un’estetica quasi documentaristica, Rien à foutre fotografa una contemporaneità vuota e ostile, dove i legami sono visti come fardelli e i sentimenti come debolezze. Senza giudizi, pretese o soluzioni, i due giovani registi raccontano del disagio esistenziale di un’umanità disorientata, afflitta e profondamente sola.
GIULIA PEZZOLI
Rien à foutre (Generazione Low Cost)
Belgio – Francia, 2021
REGIA: Julie Lecoustre, Emmanuel Marre
SCENEGGIATURA: Emmanuel Marre, Julie Lecoustre, Mariette Desert
GENERE: drammatico
CAST: Adèle Exarchopoulos, Mara Taquin, Alexandre Perrier, Arthur Egloff, Tamara Al Saadi
DURATA: 115’
GIULIA GIAUME L Dietro gli studi della Paramount, nello storico cimitero losangelino di Hollywood Forever, c’è un piccolo lotto funerario di due metri quadri che è stato preso d’assalto da personaggi nerovestiti sorprendentemente allegri. Questi curiosi visitatori sono convenuti per osservare la nuova Grave Gallery, l’ultima trovata dell’anticonformista artista Nao Bustamante, sceneggiatrice ed educatrice chicana della San Joaquin Valley. L’artista ha accompagnato il lancio del nuovo spazio, tutt’altro che lugubre nel sole californiano, con una performance ad hoc: vestita di nero con una maschera d’oro, un secchio in testa e un grande megafono vittoriano per le sedute spiritiche, ha accolto gli spettatori, il 19 febbraio, gridando: “Non dovreste essere qui! Andatevene!”, per poi brindare e versare qualche lacrima. Non è la prima volta che l’artista realizza delle opere che trattano temi escatologici, visto che ha già realizzato un “ritratto su un letto di morte” e delle singolari sedute spiritiche come quella rivolta al dottor J. Marion Sims, responsabile di atroci esperimenti sulle donne nere schiave: “Penso alla morte da quando ero piccola”, ha commentato Bustamante alla rivista Hyperallergic. Con l’acquisto di questo lotto, posto accanto alla tomba del famoso pittore Ed Moses, l’artista apre un nuovo capitolo della propria relazione con la mortalità, stringendo peraltro una collaborazione con la Track 16 Gallery perché la accompagnasse nella sua prima esperienza di gestione di uno spazio artistico. Tutto è rimasto in tema, ovviamente: il progetto d’apertura, oltre alla performance di Bustamante, ha infatti mostrato al pubblico la scultura Restoration Action Piece in fibra di vetro, cemento, cera e foglia d’oro di Karen Lofgren, realizzata per una performance di Ron Athey, che a tutti gli effetti ricorda una
lapide. L’interesse per il rito ha un posto speciale nella pratica artistica di Bustamante – che comprende performance art, sculture, installazioni e video ed esplora questioni di etnia, classe e genere –, e si fonda su tradizioni popolari come il messicano Día de Muertos, da cui mutua la celebrazione della vita e della morte nei luoghi di sepoltura di famiglia. La comunità è al centro della sua elaborazione, e non è quindi casuale la scelta di Hollywood Forever, che oltre ad accogliere elaborate sculture funerarie ospita un annuale Day of the Dead in cui le famiglie allestiscono dei grandi altari decorati in onore dei loro cari, attirando folle di visitatori e creando un forte senso di comunità. Per rimarcare questo senso di appartenenza, l’artista ha fornito ai visitatori della galleria un QR code collegato a una mappa con le tombe degli artisti defunti ospitati nel cimitero, come Judy Garland, Holly Woodlawn e Mickey Rooney, creando una rete ideale tra l’aldilà e l’aldiqua. Che sono molto più vicini di quanto non si pensi: per questo Bustamante progetta di ricreare nel suo nuovo lotto un giardino, delle proiezioni, delle esperienze di realtà aumentata, un palcoscenico per spettacoli e persino una vasca idromassaggio. Tutto, a due passi dalla morte.
naobustamante.com
Photo © Sabena Frink
AUSTRIA, TURISMO E CULTURA
DALLA MUSICA ALL’ARTE
Nel 2024 saranno tre le Capitali europee della cultura: l’estone Tartu, la norvegese Bodø e l’austriaca Bad Ischl. Quale sia lo scenario del turismo culturale in quest’ultimo Paese ce lo siamo fatti raccontare da Herwig Kolzer, Head of Market Italia di Austria Turismo. Nel frattempo stiamo preparando uno speciale dedicato alla nazione confinante con l'Italia: per essere certi di non perderlo, abbonatevi ad Artribune Magazine.
Quali sono l’entità e la qualità del turismo culturale in Austria?
Festival, eventi e luoghi legati alla musica, un ricco panorama museale, un imponente patrimonio di monumenti storici, ma anche testimonianze iconiche dell’età moderna e contemporanea: il paesaggio culturale austriaco è estremamente denso sia nell’ambiente urbano che nelle regioni rurali.
Nel 2023 il Museo Belvedere e l’Albertina celebrano rispettivamente i 300 e i 20 anni di attività. Con quali mostre?
La mostra Il Belvedere – 300 anni di un luogo d’arte sarà aperta per tutto l’anno. Verrà riallestita la collezione
permanente (dal 23 marzo) e fino al 29 maggio la mostra Klimt. Inspired by van Gogh, Rodin, Matisse... presenterà opere di Klimt, van Gogh, Matisse e molti altri in accostamenti affascinanti. Con la riapertura dell’Albertina Museum, nel 2003, la più importante collezione grafica del mondo fu nuovamente resa accessibile al pubblico, e nel 2020 è stata aperta una seconda sede, Albertina Modern. La celebrazione sarà contraddistinta da due mostre: The Print – Da Dürer a Picasso (fino al 21 maggio) e The Print – Da Warhol a Kiefer (fino al 15 agosto).
L’Austria è la patria della musica classica europea. Tra l’annuale appuntamento della Mozart Week di Salisburgo, l’abitazione viennese del compositore, l’Opera e la Haus der Musik, le opportunità per i musicofili sono innumerevoli. Sul territorio austriaco sono vissuti molti compositori importanti ed è affascinante seguirne le orme. Ad esempio quelle di Joseph Haydn, fra Rohrau, Palazzo Esterházy a Eisenstadt e Vienna. O ancora a Steinbach, in Alta Austria, con la “casetta” sul lago Attersee di Gustav Mahler e molti altri ancora.
L’anno austriaco è costellato di festival culturali, alcuni di portata internazionale, altri legati a una tradizione regionale.
Da oltre cento anni, il Festival di Salisburgo trasforma la città in un piccolo universo speciale. Lo stesso legame fra
tradizione, genius loci e spirito di innovazione si trova in altri festival. Così, concerti di musica classica si tengono a Grafenegg, dove nel parco di un castello ottocentesco è stato costruito l’imponente palcoscenico “Wolkenturm”. O ancora la Schubertiade, il festival nella regione del Vorarlberg, dove la musica è in perfetta armonia con atmosfere rurali e borghi di autentica bellezza.
La città di Bad Ischl e il territorio del Salzkammergut sono stati designati Capitale europea della cultura 2024: in che direzione si stanno muovendo i preparativi per mettere a frutto la visibilità che tale riconoscimento comporta?
Il Salzkammergut è nato dal sale, si è arricchito con il sale e ora guarda al futuro con il motto: “La cultura è il nuovo sale”. La regione offre un’infinità di vicende, luoghi e persone memorabili, inseriti in un paesaggio di grande suggestione e un’identità regionale sfaccettata. Il programma si svilupperà intorno a quattro filoni tematici. Potere e tradizione: conoscenza del passato per un approccio attento e lungimirante al presente e al futuro; Cultura fluida: la diversità come fonte di conoscenza e sviluppo; Sharing Salzkammergut: l’arte del viaggio; Globalokal – building the new: pensare il mondo di domani.
ALBERTO VILLA
austria.info
160 anni di Gabriele D’Annunzio. Le celebrazioni al Vittoriale con mostre e tour virtuale in 3D
VALENTINA MUZI L Disegni, scritte e pensieri impressi su una parete bianca, messa a disposizione dal MAMbo di Bologna in occasione della performance partecipativa di Aldo Giannotti, traggono ispirazione dal nuovo EP del cantautore Giovanni Truppi, Infinite possibilità per essere finiti, in uscita in primavera. La performance conferma il sodalizio artistico tra Giovanni Truppi e Aldo Giannotti, già avviato per la realizzazione di cover e video delle canzoni Alcune Considerazioni e La felicità, per poi seguire con la piattaforma digitale. Infinite possibilità per essere finiti è anche il titolo dello speciale tour, un live ripensato grazie al dialogo con il teatro d’ombre della compagnia femminile Unterwasser.
mambo-bologna.org
CLAUDIA GIRAUD L Compie 160 anni Gabriele D’Annunzio, figura complessa restituita nei decenni al suo fulgore intellettuale, oltre l’aneddotica biografica e politica. Uno sdoganamento al quale contribuisce da 15 anni il lavoro appassionato dello storico e scrittore Giordano Bruno Guerri, presidente del Vittoriale dal 2008, che continua a promuovere la figura del poeta e i tesori della sua eccentrica dimora sulle rive del Garda. Proprio il Vittoriale degli Italiani, dove D’Annunzio visse dal 1921 fino alla morte, sopraggiunta il 1° marzo 1938, sarà teatro dei festeggiamenti del compleanno del Vate, nato a Pescara il 12 marzo 1863. Sono previste due mostre dedicate a Lorenzo Viani e a Vittorio Cini e l’avvio del tour virtuale in 3D degli spazi del complesso primonovecentesco del Vittoriale, con la possibilità di navigare tra le stanze della casa museo e dei giardini grazie all’innovativa app e agli occhiali per la realtà aumentata. Sarà presentato inoltre il primo NFT del Vittoriale, progetto realizzato grazie al pronipote del Vate Federico d’Annunzio, e alla tecnologia da lui inventata: la statua della tartaruga Cheli avrà, così, il suo passaporto digitale immutabile.
vittoriale.it
NEWS
Al MAMbo di Bologna il pubblico disegna la copertina del nuovo album di Giovanni Truppi
71 27
Photo © Marco Beck Peccoz
LUCA SONCINI COME FAR SUDARE UN COMPUTER
Parte dal mondo della pittura Luca Soncini, parmigiano
Descrivi la tua personalità con tre aggettivi. Riflessiva, fiduciosa, meteoropatica.
Formazione e illustratori di riferimento.
Mi sono diplomato al liceo artistico di Parma e laureato all’Accademia di Belle Arti di Brera. In quel periodo la pittura era la mia più grande passione. La pittura mi ha insegnato a rinnovarmi nel tempo senza perdere gli stimoli. Nel mondo dell’illustrazione sono molti gli autori che mi hanno colpito, pur per motivi differenti. Tra i tanti posso citare Brian Stauffer, Guy Billout, Malika Favre e Mark Smith.
Quando hai capito che la tua strada sarebbe stata quella dell’illustrazione?
Nel 2020 ho cominciato a raccontare il periodo Covid. Eravamo tutti scioccati dall’evento, ma l’ironia che usavo nell’affrontare quel presente sui social veniva apprezzata, probabilmente perché alleggeriva un po’ gli animi. Si era aperto uno spiraglio differente dal mio ruolo di grafico pubblicitario e a breve arrivarono le prime commissioni ufficiali in veste di illustratore.
Da cosa è stimolata la tua attenzione alla realtà circostante?
Non sono una persona che cerca ispirazione passeggiando per strada o contemplando un bel paesaggio. Diversi illustratori si avvalgono di questa romantica skill, io invece aziono le mie idee e sviluppo i miei progetti se concentrato nel mio solito spazio. Prediligo piuttosto un confronto tra amici. L’esperienza tende a sopprimere la spontaneità, mentre una chiacchierata davanti a una birra può sciogliere questi grovigli e far saltare alla mente soluzioni più semplici e convincenti.
Quali strumenti prediligi?
Matite, carboncini e pennelli non si possono battere. Hanno un sapore che il digitale non potrà mai restituire. D’altra parte il digitale è necessario, soprattutto quando le consegne hanno tempi brevissimi. Inoltre mi permette di apportare una quantità di modifiche e varianti al lavoro che in altri modi non potrei realizzare.
Definisci il processo creativo di una tua illustrazione. Quando mi viene commissionato un lavoro su una precisa tematica scrivo quattro o cinque idee o soggetti che posso prendere in considerazione. Spesso le prime intuizioni, quelle più fresche, sono le più convincenti.
NEI NUMERI PRECEDENTI
#46 Filippo Vannoni
#47 Andrea Casciu
#48 Monica Alletto
#49 Giulia Masia
#50 Elisabetta Bianchi
#51 Sara Paglia
#52 Kiki Skipi
#53 Sabeth
#54 Walter Larteri
#56 Shut Up Claudia
#57 Viola Gesmundo
#58 Daniela Spoto
#59 Federica Emili
#61 Maria Francesca Melis
#63 Mariuska
#64 Chiara Zarmati
#65 Marjani
#67 Vito Ansaldi
#68 Matilde Chizzola
#69 Susanna Gentili
#70 Giovanni Gastaldi
Pratico dunque una prima bozza a matita e, se la composizione mi convince, un omino nella mia mente schiaccia un tasto verde e dà l’ok. Solo allora riporto la bozza in digitale e ci lavoro fino al compimento.
In cosa differisce un prodotto editoriale da uno commerciale?
Una grafica editoriale spesso è legata a un articolo o un testo da raffigurare. L’illustrazione deve sintetizzare una riflessione e nel mio caso viene elaborata attraverso un approccio di tipo concettuale, operando attraverso simboli e metafore. Lavorando sull’attualità, questo tipo di illustrazione vive per un periodo limitato. In un progetto commerciale, all’opposto, si deve valorizzare un prodotto attraverso uno studio di identità visiva che viva sul lungo periodo. Il lavoro del creativo in questo caso è più simile a quello di un sarto che crea un vestito su misura. Ma questo vestito deve distinguersi rispetto a tutti gli altri sul mercato.
Di quale collaborazione sei più orgoglioso?
Dal 2022 ho avuto il piacere di lavorare per diversi giornali stranieri e innegabilmente queste commissioni avevano un fascino tutto loro. Un anno fa ho invece ricevuto, del tutto inattesa, una email dal Washington Post per la commissione di due illustrazioni, una riproposta anche in copertina. Quella notizia mi sembrava quasi fantascienza, ha reso felice me e tante altre persone.
La richiesta più singolare ricevuta. Forse un lavoro dell’anno scorso per un settimanale tedesco. L’articolo da illustrare parlava dell’espansione di calore provocata dalla digitalizzazione. Nella fase di briefing mi chiesero se potevo lavorare sull’immagine di una finestra del computer che sudava. Un accostamento piuttosto bizzarro, ma in qualche modo me la sono cavata.
A cosa stai lavorando?
Ho per le mani tre progetti totalmente differenti. Il primo è dedicato alla campagna pubblicitaria di una importante azienda italiana. Il secondo è la mia prima chiamata dall’Asia, una collaborazione istituzionale. Il terzo è una serie di illustrazioni per il podcast di un noto giornale svizzero.
classe 1980, per approdare all’illustrazione nel 2020. Narratore dei nostri tempi, traduce la realtà contemporanea in tutti i suoi aspetti controversi, con l’ausilio di metafore e un forte senso del paradosso. Tra citazionismo e invenzione.
ROBERTA VANALI
lucasoncinillustra.com
LABORATORIO ILLUSTRATORI © Luca Soncini per Artribune Magazine 71 29
APP.ROPOSITO
IL CAMPO ALLARGATO DI CHATGPT
DAN
Unanimemente definito “il jailbreak di ChatGPT”, DAN permette di fare domande e avere risposte da ChatGPT aggirando i filtri che sono stati imposti all’intelligenza artificiale. I filtri che questo workaround rimuove sono quelli applicati ai comportamenti “unpolite”, cioè irrispettosi di diversità, parolacce, insulti o idee politiche giudicate controverse. Il trucco per avere accesso a DAN è usare ChatGTP iniziando la conversazione con una frase, un prompt che chiede all’AI di giocare appunto al gioco di ruolo DAN – Do Anything Now, impersonando un personaggio che aggira i filtri. Da quel momento ChatGPT fornirà risposte politicamente orientate, scorrette, sessiste, forse più realistiche, avendo aggirato i blocchi contenutistici imposti da OpenAI. Rilasciato per la prima volta a dicembre 2022, ora DAN è arrivato alla versione 5.0 e può confermare ufficialmente la presenza di alieni, se vi interessa l’argomento. Da provare assolutamente.
chat.openai.com
ZEROGPT
La vita negli uffici e al computer non è più la stessa dopo l’avvento di ChatGPT: sono frequenti i casi in cui ci si fa scrivere un progetto, la risposta a una mail difficile, una tesina universitaria, un deliverable per un progetto europeo, un post sui social invece di sfruttare la nostra intelligenza. Per quanto riguarda l’ambito artistico, ChatGPT prende parecchie cantonate e non è affidabile, ma qualche coraggioso lo usa per il proprio lavoro quotidiano. Da poco tempo è stato rilasciato questo nuovo tool che permette di scoprire se un testo è stato scritto da un umano o da un’intelligenza artificiale. Sicuramente utile per poter correggere meglio le tesine degli studenti, o per poter contestare ore di lavoro per la produzione di testi che si rivelano invece creati in pochi secondi dall’intelligenza artificiale. Uno strumento utilissimo, che ci fa assumere la nostra responsabilità se utilizziamo ChatGTP, in un momento in cui il lavoro intellettuale potrebbe essere minacciato dall’avvento delle macchine.
zerogpt.com free
GPTBOSS
Avete coraggio, avete idee, avete pochi soldi per realizzare il vostro progetto o siete degli antisociali cronici: GPTBoss fa per voi. Si tratta di una piattaforma a pagamento dove è possibile assumere social media manager, account, digital producer, addetti alle vendite, programmatori in qualunque linguaggio noto, il tutto utilizzando esclusivamente ChatGPT, che simulerà quelle professionalità, le quali seguiranno tutte le vostre istruzioni. Potrete millantare di avere un team di una manciata di persone, altamente specializzate, che svolgono il loro lavoro per voi a prezzi sicuramente più competitivi che dover pagare le persone in carne e ossa. Esistono poche recensioni di questo servizio perché è difficile poter dare un giudizio su interi lavori creati da questi team di intelligenze artificiali. Per utilizzarlo vi dovrete munire di una certa dose di coraggio e consapevolezza su quanto può essere fallibile anche l’intelligenza artificiale più istruita, e dovendo sempre fare i conti con ZeroGPT, che può essere interrogato per riconoscere se i vostri colleghi sono umani o artificiali.
gptboss.com
da 0 a 100 $ al mese
Politi Seganfreddo Edizioni: nasce una nuova casa editrice per l’arte
GLORIA VERGANI L “In Italia ci sono più di 5mila case editrici, una densità che fa del nostro Paese uno dei più attivi al mondo. È necessaria un’altra etichetta editoriale? Probabilmente no”. Con queste premesse nasce la Politi Seganfreddo Edizioni, casa editrice dedicata ai temi del contemporaneo. Un progetto originale, in cui le parole chiave sono ricerca, desiderio e innovazione. L’idea prende vita da un dialogo tra Gea Politi e Cristiano Seganfreddo con il filosofo Leonardo Caffo, che ne è il direttore editoriale. I libri in catalogo hanno l’obiettivo di ripensare le categorie in modo fluido: l’arte contemporanea si fonde con la scienza, la moda con la filosofia, il saggio con la poesia sperimentale, il romanzo o la teoria della musica. Tra le prime pubblicazioni, Amarcord Vol. 1, un racconto sulla “vera” storia dell’arte contemporanea vissuta da Giancarlo Politi, tratto dalle famose newsletter che il fondatore di Flash Art lancia dal 2018 riprendendo il format delle “lettere al direttore”, pubblicate sulle pagine della storica rivista, dalle quali lanciava spunti, idee e strali. La prefazione è di Francesco Bonami, che su Flash Art ha mosso i primi passi, dapprima come artista e poi come curatore e contributor.
politiseganfreddo.com
David Chipperfield progetta il nuovo Museo Archeologico Nazionale di Atene
LIVIA MONTAGNOLI L Tra le candidature di dieci studi internazionali, il progetto vincitore del concorso per l’ampliamento del Museo Archeologico Nazionale greco di Atene porta la firma di David Chipperfield Architects, in collaborazione con lo studio greco Alexandros N. Tombazis & Associates. Il cantiere porterà a un’estensione del polo museale ottocentesco –che custodisce oltre 20mila reperti – verso la piazza antistante, determinando un processo di rigenerazione di un’area strategica del centro storico di Atene. Nell’implementare gli spazi espositivi e adibiti ai servizi, Chipperfield punterà sull’alternanza tra la monumentalità degli edifici e ampi spazi aperti, contraddistinti dall’abbondanza di verde. L’ampliamento sarà in parte interrato e sormontato da un roof garden, e l’ingresso scandito da una nuova facciata; si guadagneranno così 20mila metri quadri, per sale dedicate alle mostre temporanee, una biglietteria, un negozio, il ristorante, un auditorium. All’esterno un giardino-agorà ispirato all’estetica di paesaggio ottocentesca e progettato dallo studio belga Wirtz International rafforzerà la funzione pubblica del museo, offrendosi alla città come parco urbano, ricco di scenari e texture differenti.
namuseum.gr | davidchipperfield.com
free
SIMONA CARACENI
SCOPERTE ARCHEOLOGICHE IN ITALIA, GRAN BRETAGNA, BELGIO, EGITTO, IRAQ
1 2 3 4 5
LA LAVANDERIA E IL FORNO A POMPEI
Un nuovo progetto di scavo condotto nell’Insula 10 della Regio IX lungo Via di Nola ha portato alla luce creste murarie di diversi edifici, tra cui una casa, destinata alla funzione di fullonica, ovvero lavanderia, e un’altra abitazione dotata di forno e cella superiore. “Scavare a Pompei è un’enorme responsabilità”, sottolinea il direttore del Parco Archeologico di Pompei Gabriel Zuchtriegel. “Bisogna documentare e analizzare bene ogni reperto e tutte le relazioni stratigrafiche e pensare sin da subito a come mettere in sicurezza e restaurare quello che troviamo”.
IL SEX TOY DI EPOCA ROMANA
IN GRAN BRETAGNA
Per anni si è pensato fosse uno strumento utilizzato per cucire; invece, secondo recenti studi dei ricercatori dell’Università di Newcastle e dell’University College di Dublino, l’oggetto in legno dalla lunghezza di 16 centimetri, trovato nel 1992 a Northumberland, al confine tra l’Inghilterra e la Scozia, sarebbe un sex toy risalente a 2mila anni fa. Il fallo di Vindolanda, a grandezza naturale, avrebbe potuto avere anche altre destinazioni d’uso, come quella di portafortuna.
IL DODECAEDRO BRONZEO IN BELGIO
Ad aver trovato in un campo vicino alla città di Kortessem in Belgio un misterioso oggetto in bronzo a dodici facce è stato un archeologo dilettante, Patrick Schuermans, servendosi di un metal detector. Il manufatto risalirebbe a 1.600 anni fa e gli archeologi del Gallo-Roman Museum a Tongeren ritengono sia di epoca romana. Questi oggetti, diffusi nelle regioni nord-occidentali dell’Impero Romano, potrebbero essere stati strumenti utilizzati per la misurazione, calendari, ornamenti.
LA TAVERNA DI 5.000 ANNI FA IN IRAQ
È una scoperta che vede protagonisti gli archeologi dell’Università di Pisa e della Pennsylvania University quella effettuata nell’antica Lagash, tra le più importanti città-stato della Mesopotamia, oggi in Iraq: una taverna con tanto di frigorifero risalente a 5.000 anni fa. La scoperta è stata fatta in una zona dell’antica città che doveva ospitare un quartiere popolare.
LA SFINGE IN EGITTO
Potrebbe rappresentare un imperatore romano, forse Claudio, la sfinge scoperta presso il tempio di Dendera nel governatorato di Qena, a sud del Cairo, durante una missione archeologica dell’Università di Ain Shams in Egitto. Lo scavo ha portato alla luce una struttura romana in un’area a est del complesso principale dove si trova un tempio dedicato a Hathor, ed è qui che è stata trovata la sfinge.
NUOVI SPAZI
XXX GALLERY Firenze
Prima o poi doveva succedere. Ed è successo a Firenze. Una galleria a conduzione cinese apre con una personale di Yi Ping. Ne abbiamo parlato con la fondatrice.
Ci descrivi il vostro progetto?
Vogliamo infondere nell’antica e bellissima città di Firenze il sangue dell’arte contemporanea.
Chi sei?
Sono una gallerista che ama l’arte contemporanea e il nostro team curatoriale è composto da tre giovani donne provenienti da settori diversi. Ho lavorato in molti settori prima di questa avventura, e alla fine ho scelto l’arte, che mi appassiona di più.
A livello di staff come siete organizzati? Avete collaboratori interni? Vi avvarrete della collaborazione di curatori esterni?
Continueremo a selezionare nuove persone di talento che amano l’arte da inserire nel team della nostra galleria. Di tanto in tanto, selezioneremo curatori esterni per lavorare a progetti di collaborazione.
Su quale tipologia di pubblico (e di clientela ovviamente) puntate? E su quale rapporto con il territorio e la città dove aprite? Spero che i visitatori della nostra galleria possano godere dell’arte e ricevere un’assistenza professionale. Voglio che la galleria e la città siano un successo reciproco.
Un cenno ai vostri spazi espositivi. Come sono, come li avete impostati e cosa c’era prima? E come vi interfacciate col territorio circostante?
Il nostro spazio espositivo si trova principalmente nella sala d’ingresso, con una sala riunioni al centro e uno studio d’arte all’interno, con un’espansione funzionale in futuro. Le altre gallerie intorno a noi sono, a mio avviso, anch’esse grandi gallerie di Firenze.
NEWS BorgoPinti viadiMezzo
Teatro della Pergola GiardinoPalazzoCaccini
xxxgallery2022@gmail.com
Firenze Via di Mezzo 55r
DESIRÉE MAIDA 71 31
SERIAL VIEWER
SYLVESTER STALLONE MAFIOSO MATURO
Si chiama Tulsa King la serie televisiva creata nel 2022 da Taylor Sheridan e in onda su Paramount+, che vede per la prima volta Sylvester Stallone nel ruolo di protagonista in un prodotto del genere.
A 76 anni, “Sly” è in gran forma e ben compreso nei panni di Dwight “Il Generale” Manfredi, un uomo d’onore della mafia di New York che dopo 25 anni di carcere trova ad attenderlo un mondo completamente cambiato. Carte di credito, bitcoin, traffici su internet, e il suo gruppo di appartenenza che è venuto meno ai patti d’onore che regolano i rapporti interni. Viene inoltre inviato dal suo boss a Tulsa, in Oklahoma, in quello che inizialmente percepisce come una sorta di esilio, creando una frattura profonda tra sé e la “famiglia”, mentre cerca di recuperare i rapporti con quella di sangue, soprattutto con la figlia Tina, che vive tra terrore e gioia, in un contrasto interiore difficile, il ritorno di questo padre ingombrante e dal passato oscuro. A Tulsa, però, Dwight trova terreno vergine, non c’è la criminalità organizzata che comanda a New York e ci sono molti margini di profitto, tra locali notturni, traffico di cannabis, possibilità di aprire un casinò e così via, e, nonostante gli scontri con le band locali di bikers e la polizia, riesce a ricostruire il suo impero.
Apre il museo di Gilbert & George a Londra
LIVIA MONTAGNOLI L Nel 1967 Gilbert Proesch, nato sulle Dolomiti nel 1943, e George Passmore, originario del Devon, classe 1942, si incontravano alla Saint Martins School of Art di Londra, studiando scultura. Insieme, approcciando la pratica artistica perché superasse la sua dimensione elitaria, al motto di “Art for All”, hanno trattato con il proprio lavoro tematiche politiche, religiose e morali, sempre portando se stessi – nel ruolo di living sculptures – all’interno dell’opera, utilizzando il filtro di un’ironia tagliente. Un duo, quello formato da Gilbert & George, longevo, ma ancora tra i più influenti della scena artistica internazionale, che dal 1° aprile troverà casa al civico 5 di Heneage Street, a Spitalfields, all’interno di un ex edificio industriale adiacente allo storico studio del duo, in Fournier Street. Il Gilbert & George Centre di Londra sarà uno spazio espositivo permanente sviluppato su 280 metri quadri, pensato per raccogliere i lavori del duo e per favorire l’educazione del pubblico all’arte. Non a caso, il nuovo Centro accoglierà gratuitamente i visitatori che oltrepasseranno il cancello verde con il monogramma dorato di re Carlo III. Ogni anno, il Centro ospiterà un paio di mostre incentrate sulle opere di Gilbert & George, a partire dal progetto inaugurale che celebra la serie The Paradisical Pictures (2019). Inizialmente lo spazio sarà visitabile solo nel fine settimana, dal venerdì alla domenica dalle 10 alle 17, per ampliare progressivamente i giorni di apertura.
gilbertandgeorgecentre.org
Giving Power to the People: Leica porta la fotografia d’artista a miart
Tulsa King non è solo una serie del genere di mafia, ben recitata, con un buon cast e una buona scrittura. Ciò che colpisce di più è l’interpretazione di Stallone, sul quale comunque si regge l’intero svolgimento, dando corpo a un personaggio che non è una macchietta del vecchio “capo” italiano, ma un uomo che vuole riprendersi il presente, pur sapendo che il tempo è già trascorso alle sue spalle. C’è tutta la maturità di un uomo che nella vita come nella finzione ha raggiunto una età venerabile e, pur sentendo di avere ancora qualcosa di importante da dire, affronta con grande serenità la partita della vita. E questo si percepisce in tutto Tulsa King, con lo script che scorre a due velocità: quella frenetica, e anche aggressiva, degli eventi e quella pacifica nel cuore di Dwight.
SANTA NASTRO
USA, 2022-in corso
IDEATORE: Taylor Sheridan
GENERE: gangster, drammatico
CAST: Sylvester Stallone, Max Casella, Domenick
Lombardozzi, Vincent Piazza
STAGIONI: 1
EPISODI: 9 (37’-42’ ognuno)
GIULIA GIAUME L Dare alle persone, e ai giovani, la possibilità di raggiungere i propri obiettivi. È ciò che hanno in comune la fiera di design e arte contemporanea miart e uno dei più prestigiosi brand di macchine fotografiche e obiettivi al mondo. Con questo scopo Leica, al motto di Giving Power to the People e con la diretta collaborazione di Artibune, ha deciso di coinvolgere l’artista Tiziano Demuro (1992), specializzato in Nuove tecnologie per le arti e Fotografia, nella realizzazione di un progetto fotografico dedicato alla fiera e ai suoi protagonisti unendo i valori di Leica, che ha come motivo di orgoglio il rendere le persone in grado di raggiungere i propri sogni, e gli obiettivi di miart, che con la sua giuria premia gli artisti che si sono distinti favorendo soprattutto giovani ed emergenti. “Immagino di creare un racconto visivo esplorando l’evento attraverso le interazioni e le scelte della giuria con tutti i suoi protagonisti”, ha spiegato l’artista. “Le dinamiche che si instaureranno tra persone, oggetti e spazi nei giorni di attività dell’evento. Costruire immagini in sottrazione mi farà restituire valore a un ordinario con una precisa attenzione al mondo che costantemente ci circonda”. Un suo autoscatto, in cui comparirà una macchina Leica in mano all’artista, sarà esposto all’interno dello stand di Artribune per tutta la durata della fiera, cui seguirà una ricca collezione di scatti da seguire sul portale della rivista e sui suoi canali social seguendo l’hashtag #givingpowertothepeople.
leica-camera.com
Photo Yu Yigang © Gilbert & George
TOP 10 LOTS LONDON EDITION
Wassily Kandinsky, Murnau with Church II, 1910*
Sotheby’s, Modern & Contemporary Evening Auction, Londra, 1° marzo 2023
£ 37,196,800
Gerhard Richter, Abstraktes Bild, 1986
Sotheby’s, Modern & Contemporary Evening Auction, Londra, 1° marzo 2023
£ 24,179,000
Pablo Picasso, Fillette au bateau, Maya, 1938
Sotheby’s, Modern & Contemporary Evening Auction, Londra, 1° marzo 2023
£ 18,089,300
Lucian Freud, Ib Reading, 1997
Sotheby’s, Modern & Contemporary Evening Auction, Londra, 1° marzo 2023 £ 17,014,800
Edvard Munch, Dance on the Beach (The Reinhardt Frieze), 1906-07
Sotheby’s, Modern & Contemporary Evening Auction, Londra, 1° marzo 2023 £ 16,940,300
Pablo Picasso, Femme dans un rocking-chair (Jacqueline), 1956
Christie’s, 20th/21st Century: London Evening Sale, Londra, 28 febbraio 2023 £ 16,892,000
Robert Delaunay, Rythme circulaire, 1937*
Sotheby’s, Modern & Contemporary Evening Auction, Londra, 1° marzo 2023
£ 7,173,800
Paul Cézanne, L’Aqueduc du canal de Verdon au nord d’Aix, 1882-83
Christie’s, 20th/21st Century: London Evening Sale, Londra, 28 febbraio 2023 £ 7,159,500
Andy Warhol, Debbie Harry, 1980
Sotheby’s, Modern & Contemporary Evening Auction, Londra, 1° marzo 2023
£ 6,599,300
René Magritte, Le retour, 1950 ca.
Christie’s, The Art of the Surreal Evening Sale, Londra, 28 febbraio 2023
£ 6,129,000
Tutti i prezzi indicati includono il buyer’s premium.
* Record d’asta per l’artista
CAMPIONE DI ANALISI:
Christie’s, 20th/21st Century: London Evening Sale, Londra, 28 febbraio 2023
Christie’s, The Art of the Surreal Evening Sale, Londra, 28 febbraio 2023
Sotheby’s, Modern & Contemporary Evening Auction, Londra, 1° marzo 2023
Sotheby’s, The Now Evening Auction, Londra, 1° marzo 2023 Phillips, 20th Century & Contemporary Art Evening Sale, Londra, 2 marzo 2023
PARTONO LE CELEBRAZIONI VANVITELLIANE A 250 DALLA MORTE DI LUIGI VANVITELLI. IL PROGRAMMA LIVIA MONTAGNOLI
Nel 2023 cade il 250esimo anniversario della morte di Luigi Vanvitelli (Napoli, 1700 – Caserta, 1773), architetto che nell’arco del XVIII secolo ha vissuto da protagonista il passaggio dal Rococò al Neoclassicismo. Le celebrazioni coinvolgeranno nel corso dei prossimi mesi i centri nevralgici della sua attività.
Museo Tattile Omero Convegno internazionale Luigi Vanvitelli, il maestro e la sua eredità 1773-2023
Ancona
Workshop e conferenze sulle cave del foggiano
Apricena (FG)
Caserta
Falciano (CE)
Università Vanvitelli Lezioni e seminari a tema
Reggia di Caserta
Mostra permanente su Luigi Vanvitelli presso le della grande Sala delle Guardie negli Appartamenti Reali
Palazzo Castropignano Residenze d’artista
Palazzo Vescovile Aperture straordinarie
NEWS
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 CRISTINA MASTURZO
71 33
Brescia nell'anno da Capitale italiana della cultura
Con Bergamo condivide l’onere e gli onori di Capitale italiana della cultura 2023. E Brescia è arrivata pronta all’appuntamento, scommettendo sulla valorizzazione della sua lunga storia, ma anche sul profilo più contemporaneo della scena culturale cittadina, nel segno di un’efficace contaminazione tra memoria e sperimentazione.
MUSEO DEL RISORGIMENTO
Celebra la Leonessa d’Italia la rinata istituzione che riapre al pubblico il Grande e Piccolo Miglio del castello che domina la città, dopo un profondo restyling degli spazi e un ripensamento della collezione, che si concentra sul ruolo esercitato da Brescia nel processo dell’Italia unita. Il percorso si snoda tra infografiche, pannelli con documenti recitati, mappe interattive e musiche risorgimentali.
via del castello 9 bresciamusei.com
NUOVO EDEN
Nel circuito della Fondazione Brescia Musei, la sala d’essai attiva dal 2007 è uno dei poli culturali di riferimento del quartiere Carmine. Dopo il recente restyling, che ha raddoppiato le sale e rinnovato gli spazi, il cartellone è tornato a popolarsi di film di grandi autori contemporanei, classici restaurati, produzioni indipendenti, proiezioni in lingua originale.
via nino bixio 9 bresciamusei.com
MUSEO DI SANTA GIULIA
Allestito in un complesso monastico di origine longobarda, il Museo della Città muove attraverso la storia, l’arte e la spiritualità di Brescia dall’età preistorica a oggi, in un’area espositiva di circa 14mila metri quadrati. Nella nuova sezione dell’Età romana, tre installazioni multimediali di NONE Collective attualizzano l’approccio allo studio e alla divulgazione dell’archeologia.
via dei musei 81 bresciamusei.com
DELIA
A Gussago, Alberto Gipponi è lo chef erudito di Dina, tra provocazione, gioco e performance. In città, invece, il cuoco bresciano ha dato forma a una rassicurante gastronomia con enoteca, ideale per l’asporto, l’aperitivo, una pausa pranzo veloce, una cenetta confortevole, tra casoncelli in crema di grana e cotechino con polenta. La domenica a mezzogiorno c’è il menu della tradizione.
via fratelli lechi 17 gastronomiadelia.com
PALAZZO MARTINENGO
Ha un ruolo centrale nel celebrare la ritrovata sinergia tra Brescia e Bergamo la storica residenza della famiglia Martinengo affacciata su piazza del Foro. Fino a giugno, la sede espositiva ospita infatti la mostra su Lotto, Romanino, Moretto e Ceruti, campioni della pittura attivi tra le due città dalla fine del Quattrocento al Settecento inoltrato. Un percorso che corrobora il nuovo gemellaggio.
via dei musei 30 amicimartinengo.it
KRU NATURAL CHEESE
Uno spazio dedicato ai formaggi prodotti con latte crudo e fermenti autoctoni nella vecchia latteria di quartiere. Dietro al progetto c’è David Sebastian Mendoza, dall'Ecuador all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, all’inaugurazione della sua bottega in città, con formaggi naturali da ogni parte del mondo e tante storie di piccoli produttori.
via capriolo 23b krunaturalcheese.com
GALLERIA MININI
Compie 50 anni la galleria di Massimo Minini, che festeggia mettendo a confronto Giulio Paolini e Anish Kapoor, entrambi legati al gallerista bresciano da una collaborazione ultradecennale. Del resto, dal 1973 la storia di Minini coincide con quella della migliore arte contemporanea degli ultimi cinquant’anni. E la sua galleria è un punto di riferimento indiscusso nel sistema dell’arte nazionale.
via apollonio 68 galleriaminini.it
SPAZIO ALMAG
Alle porte della città, un nuovo spazio per l’arte contemporanea nel segno del collezionismo privato. L’artefice del progetto è l’imprenditrice e collezionista Umberta Gnutti Beretta che, con la curatela di Edoardo Monti, espone la sua collezione: oltre 140 opere, che spaziano dai primi anni del Novecento al 2023. Aperto al pubblico su appuntamento negli ex uffici dell’azienda di famiglia.
via vittorio emanuele II 39 – Roncadelle umbertagnuttiberetta.com
DISTRETTI a cura di LIVIA MONTAGNOLI
Castello
Duomo
Torre
Pallata Via Pusterla Piazzetta Santa
Piazza della Vittoria Piazza della Loggia Piazza Tito Speri Contrada Santa Chiara CorsoMartiridellaLibertà Via dei Mille Via F.lli Ugoni F.lli Via Eritrea Via Cassala ViaMilano CorsoGaribaldi ContradadelCarmine ViaEliaCapriolo Via Cairoli Corso Matteotti Via Moretto Via Gallo Via S. Martino della Battaglia Via Gramsci Via Gallo Via dei Musei ViaManzoni ViaMontebello Via Tartaglia Via Calatafimi ViaVittorioEmanueleII Piazzale Arnaldo Via Turati Via Turati Via Avogadro Via Tosio ViaPanoramica Viale Rebuffone Via Malvestiti ViaPanoramica 7 4 5 8 6 3 2 1 71 35
di Brescia
Vecchio
della
Maria Calchera
GESTIONALIA
PATRIMONIO ITALIA: RETROSPETTIVE CONTEMPORANEE
Se non vi è ancora capitato tra le mani, accaparratevi una copia del monumentale Immagini dell’Italia di Pavel Muratov. Comincia a essere una pubblicazione a rischio polvere sugli scaffali questo testo uscito agli inizi del Novecento grazie alla penna di uno scrittore russo (tra i molti) innamoratosi dell’Italia. La letteratura russa, si legge nella presentazione, “ha continuato a sognare, evocare, scoprire l’Italia”, un Paese che ha ammaliato gli stranieri presi da un sentimento struggente:
“Un turbamento dello spirito, dolce fino al malessere”, per cui non si fatica a comprendere il perché della sindrome di Stendhal.
Questa lettura diventa oggi quasi un not to miss per gli operatori culturali. Immagini dell’Italia può rappresentare infatti uno strumento utilissimo per le politiche culturali, sia su base nazionale (soprattutto direi) ma anche su base locale. Non è infatti soltanto un omaggio al Belpaese. Come ogni testo che diventa un classico, mantiene la sua straordinaria contemporaneità di lettura e interpretazione. Proviamo magari a mettere da parte lo struggimento per le antiche vestigia e le rovine che tanto turbavano i viaggiatori del Grand Tour per recuperare alcune suggestioni forti, così da immaginare nuove ragioni di questa “italomania”. D’altronde i dati post Covid del turismo culturale parlano chiaro: crescita non solo nelle città d’arte per eccellenza, visitate per l’appunto da Muratov, ma anche per quelle lambite dai flussi in una traiettoria che sta recuperando il godimento (e la fruizione) del museo diffuso dove i centri d’arte si intrecciano con il paesaggio, l’ambiente e la comunità.
Sono tre le espressioni chiave (tra le tante che si potevano cavare dall’arsenale di Immagini dell’Italia) che offrono uno stimolo di nuova progettazione culturale, o meglio co-progettazione tra pubblico e privato: identità come autenticità; museo diffuso come unicità italiana; sostenibilità come economia di senso. Identità come autenticità: lo abbiamo detto, mettiamo da parte la nostalgia, evitiamo indulgenze stereotipate rischiando di vedere gli artefici del Rinascimento come “semidei, “eroi del mito”, poiché non abbiamo da contrastare, a differenza di Muratov (e di Puškin, Mandel’štam, Brodskij) “l’accidia della vita russa”.
È la tutela dell’identità la vera sfida. Una identità che rischia di perdere il sapore della autenticità (quell’italian life style che il mondo ci invidia). È anche e soprattutto la dimensione intangibile a dover essere protetta onde evitare che le identità dei nostri luoghi di cultura
appaiano sempre più rarefatti e fluidi. Da questa salvaguardia, non solo dei beni ma anche del loro valore simbolico, derivano nuove modalità di erogare i servizi e la comunicazione per i luoghi della cultura, rispetto a cui ancora siamo terribilmente in ritardo, sia come singoli sia come sistema. Museo diffuso come unicità italiana: questa definizione fu rivelatrice all’epoca della distinzione del Belpaese rispetto al resto. Dobbiamo chiederci oggi quanto le politiche culturali abbiano colto il significato di un’espressione linguistica che manifestava una realtà unica, la cui bellezza non era (sol)tanto legata alle emergenze singole: chiese, musei, ville ecc. quanto piuttosto al loro intimo intreccio con l’ambiente e il paesaggio a loro volta antropizzati. Sostenibilità come economia di senso: il viaggio di Muratov non inquinava, se volessimo coglierne la dimensione ambientale. Non fermiamoci qui però: egli procede per folgorazioni lungo un pellegrinaggio che diventa “ricerca delle proprie radici spirituali”. Quella di Muratov è una lezione esemplare di come ogni tessera del composito mosaico che è l’Italia abbia la necessità, perché se ne colga il senso, di essere inserita nell’intera composizione. E così l’opera d’arte non è solo un quadro, o una scultura, né la chiesa o il museo esistono isolatamente. Bensì ogni cosa restituisce la lingua e la gestualità (sulle quali potremmo costruire un progetto di advocacy culturale straordinario per promuovere un turismo di qualità), le atmosfere (come quelle delle locande che richiamano “don Chisciotte che vi trovava riparo per la notte. Un forestiero abbastanza temerario da alloggiare in un albergo di tal fatta sarà ricompensato dal pittoresco spettacolo di una scala ingombra di fiaschi di vino impolverati”), le deviazioni (straordinaria quella che da Firenze conduce il lettore alla scoperta di Prato e Pistoia).
Un viaggio che inizia da Venezia, si dirige verso Firenze toccando, insieme a Bologna e Ferrara, numerose città toscane.
Un viaggio che ci restituisce l’incanto e la vita del Belpaese fino al saluto finale quando, lasciando Siena, Muratov scorge la muraglia dei Monti Sabini e un fiume giallo pallido (il Tevere): “In fondo, dove si perdevano le sue anse, oltre la silhouette azzurra del Soratte la mente già intuiva, come in una visione, il gigantesco profilo di Roma”. In questo buio tempo di guerra avremmo bisogno di nuovi Muratov e nuove visioni.
IRENE SANESI
La mostra di Gustav Klimt al Belvedere Museum di Vienna
VALENTINA MUZI L La mostra Klimt. Inspired by Van Gogh, Rodin, Matisse al Belvedere Museum di Vienna raggruppa circa 90 opere che mettono a confronto i precursori di Gustav Klimt e i suoi contemporanei. Tra le opere esposte c’è anche Serpenti d’acqua II del 1907, sconosciuta al grande pubblico. Il dipinto era di proprietà di una coppia di collezionisti austriaci e venne confiscata dai nazisti dopo l’annessione del Paese al Reich, nel 1938. Acquistato da un figlio illegittimo dell’artista, il regista Gustav Ucicky, è stato esposto raramente a Vienna. Nel 2013 la vedova di Ucicky decide di venderlo per 112 milioni di dollari al presidente dell’AS Monaco (che lo cederà due anni dopo). Oggi l’opera è parte della collezione HomeArte
belvedere.at
NECROLOGY
MICHAEL SNOW
10 dicembre 1928 – 5 gennaio 2023
MICHELE RAPISARDA
22 novembre 1947 – 24 gennaio 2023
BALKRISHNA VITHALDAS DOSHI
26 agosto 1927 – 24 gennaio 2023
VALERIO CASTELLI
3 novembre 1946 – 29 gennaio 2023
PACO RABANNE
19 febbraio 1934 – 3 febbraio 2023
MASSIMO PIERSANTI
19 novembre 1937 – 4 febbraio 2023
EFI KOUNELLIS
9 gennaio 1934 – 9 febbraio 2023
LEIJI MATSUMOTO
25 gennaio 1938 – 13 febbraio 2023
MAURIZIO SCAPARRO
2 settembre 1932 – 17 febbraio 2023
VITO PLANETA
4 ottobre 1965 – 19 febbraio 2023 L
MAURIZIO COSTANZO
28 agosto 1938 – 24 febbraio 2023
L
PETER WIEBEL
5 marzo 1944 – 1° marzo 2023 L
MARY BAUERMEISTER
7 settembre 1934 – 2 marzo 2022 L
STEVE MACKEY
10 novembre 1966 – 2 marzo 2023
L
RAFAEL VIÑOLY
1° giugno 1944 – 2 marzo 2023
L
FRANCO MULAS
30 agosto 1938 – 3 marzo 2023
L
PIERO GILARDI
3 agosto 1942 – 5 marzo 2023
È anche e soprattutto la dimensione intangibile a dover essere protetta.
L
L
L
L
L
L
L
L
L
a Ferrara
VALENTINA SILVESTRINI L A sei anni dal concorso bandito dal Comune di Ferrara per il restauro, l’adeguamento funzionale e l’ampliamento, il Palazzo dei Diamanti, edificio disegnato da Biagio Rossetti nel 1492, è tornato ad accogliere i visitatori in una rinnovata veste. Sede fino al 19 giugno della mostra Rinascimento a Ferrara. Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa, la struttura è stata oggetto di una serie di operazioni per la valorizzazione del complesso e l’adeguamento degli spazi interni ed esterni a fini espositivi. Affidato tramite concorso allo studio Labics di Roma, guidato dagli architetti Maria Claudia Clemente e Francesco Isidori, l’intervento ha restituito al Palazzo la spazialità
NUOVI SPAZI
LAB 1930 Milano
per il design dei photobook e per tutto ciò che riguarda i materiali per la comunicazione. In qualità di direttrice artistica desidero collaborare con critici e curatori esterni che siano in sintonia con il progetto. È andato in questa direzione il brillante saggio critico di Lóránd Hegyi su The Garden’s Tale, la serie inedita di Alessandra Calò che ho esposto fino al 7 marzo.
Su quale tipologia di pubblico (e di clientela) punti?
“Lab” porta con sé l’idea della sperimentazione e dell’esplorazione. Mi rivolgo quindi a un pubblico curioso, aperto, che sappia stupirsi e apprezzare la qualità degli artisti che propongo.
Il nuovo spazio milanese in zona piazzale Lodi, dedicato alla “post photography”, è raccontato qui dalla sua ideatrice Elena Carotti.
Come è nata l’idea di aprire questa nuova galleria?
Dopo aver lavorato come editor d’arte contemporanea per più di venticinque anni ho sentito l’esigenza di fare qualcosa che fosse “mio”. Mi sembrava che una città come Milano mancasse di un punto di riferimento dedicato alle ultime tendenze della fotografia contemporanea di ricerca e ai suoi molteplici linguaggi.
Un cenno agli spazi espositivi. Lab 1930 si trova nel piccolo cortile di un palazzo edificato nel 1930 in zona Porta Romana. Lo spazio espositivo –interamente ripensato dall’architetta Emanuela Terrile – è caratterizzato dall’originale pavimento in cementine degli Anni Trenta, mentre il progetto di illuminotecnica, studiato insieme a Biffi Luce, prevede faretti a led ad alta efficienza con un indice di resa cromatica molto alto per evitare le alterazioni di colore.
Ora qualche anticipazione sulla stagione.
originaria “attraverso la pulitura di tutte le superfetazioni realizzate, in varie fasi, per poter ospitare gli apparati impiantistici”, come raccontato dai progettisti ad Artribune. Gli spazi in passato di pertinenza del Museo del Risorgimento accolgono oggi bookshop, caffetteria, sala didattica e sala polivalente, accessibili indipendentemente dalla visita, al pari degli annessi spazi esterni, recuperati dal precedente stato di abbandono. La più rilevante novità dell’attuale assetto è il collegamento tra le due ali del Palazzo, realizzato nel giardino. “Leggero e rimovibile”, precisano i Labics, “è realizzato in legno bruciato, secondo la tecnica giapponese; volevamo che il colore non cambiasse aspetto nel tempo, fra interno ed esterno. Ha un andamento ritmico ed è parzialmente chiuso con delle vetrate scorrevoli. Aprendole si ha la sensazione di stare fra un esterno e un esterno. Camminando si fa un’esperienza simile al camminare in un boschetto, fra i lecci da una parte, il giardino esistente dall’altra. Una totale naturalezza”.
palazzodiamanti.it | labics.it
Descrivi in poche righe il tuo progetto. Si incentra principalmente sulla “post photography”, recente tendenza della fotografia contemporanea in cui lavori fotografici, spesso a tiratura unica e dalla forte narratività, dilatano i confini classici della fotografia e annullano le distanze con l’arte contemporanea. L’interesse verso la narratività fa sì che le mostre siano sempre accompagnate da photobook e libri d’artista. Presentati in edizione limitata e firmata, spesso accompagnati da stampe originali in tiratura anch’essa limitata, sono opere che racchiudono l’intera serie dell’artista, mentre in galleria ne viene presentata solo una selezione. Mi piace l’idea che dal libro si vada alla parete e non viceversa.
Qual è il tuo background?
Dopo la laurea in Storia dell’arte, ho lavorato con le primarie case editrici d’arte contemporanea italiane e con istituzioni pubbliche e private in Italia e all’estero per la realizzazione di libri, cataloghi e monografie.
A livello di staff come sei organizzata?
Mi affiancano Stefano De Angelis come ufficio stampa e Annarita De Sanctis
Nonostante io rappresenti principalmente artisti mid-career, ho inaugurato con una mostra di Pio Tarantini. È stata una precisa scelta in quanto, con Il tempo ritrovato, volevo mostrare che sperimentare in fotografia ha una lunga tradizione. La programmazione è proseguita con Pigre divinità e pigra sorte, mostra di Alessandra Baldoni patrocinata dalla Galleria Nazionale dell’Umbria e dal Comune di Perugia. All’esposizione di Alessandra Calò segue la mostra di Alessandro Vicario, anch’essa con delle opere inedite facenti parte della serie Mappe arboree
NEWS Milano Via Mantova 21 elena@lab1930.com lab1930.com PIazzale Lodi Viale Isonzo CorsoLodi CorsoLodiCorsoLodi Via Friuli CorsoLodi Via Mantova Viale Umbria Viale Isonzo
Photo © Douglas Andreetti
Il nuovo volto di Palazzo dei Diamanti
71 37
Photo © Marco Cappelletti. Courtesy Labics
NUOVI SPAZI CARLOCINQUE Milano | Positano
Da collezionista a gallerista, con una sede nella centralissima Brera a Milano e un’altra in apertura a Positano. Carlo Cinque ci racconta il suo “approdo”.
Da quali istanze è nata l’idea di aprire questa nuova galleria?
Per me è un punto di approdo. Per anni ho portato avanti il progetto Le Stazioni Contemporary Art, un’attività di produzione espositiva itinerante che ha coinvolto importanti nomi in spazi pubblici e privati su tutto il territorio nazionale. Ho sentito il bisogno di una sede che mi permettesse di continuare a ragionare su e con gli artisti che sostengo, anche come collezionista.
Raccontaci il tuo nuovo progetto. L’impegno ambizioso, e rischioso, è quello di diventare un riferimento concreto e continuativo per le ricerche influenti del XX e XXI secolo. Ho ristrutturato uno spazio a Brera per valorizzare al massimo i progetti che conterrà. Saranno realizzate mostre tematiche e multidisciplinari di ampio respiro. Trasmetto la mia passione mettendo in evidenza diverse opere della mia raccolta, rendendole disponibili all’incontro con nuovi collezionisti.
A livello di staff come sei organizzato?
L’obiettivo è creare un rapporto di fiducia con gli artisti. Per fare questo ritengo sia importante contare su pochi e fidati collaboratori. Ogni progetto ha una sua specifica impostazione, anche se le scelte provengono dal mio personale e specifico interesse per il Concettuale. Saranno coinvolti intellettuali di notevole caratura, soprattutto nella realizzazione dei cataloghi, che formeranno una collana collezionabile.
Su quale tipologia di pubblico e di clientela punti?
Su coloro che già frequentano il circuito dell’arte contemporanea, appassionati, preparati e colti. Stiamo inoltre costruendo una rete di rapporti con collezionisti esteri.
Un cenno agli spazi espositivi.
Il contesto di via dell’Annunciata è magico, raccolto e intimo seppur nel centro del centro di Milano. Il territorio circostante è storicamente deputato alla fruizione e promozione d’arte come pure la struttura: era un atelier e spazio espositivo, che ho riadeguato negli spazi interni. La piccola sala con
vetrina su strada sarà abitata da un’opera dell’artista o degli artisti presenti al piano inferiore. Un discorso diverso sul territorio interesserà Five Positano: un’elegante villa del XVIII secolo è in ristrutturazione per la stagione estiva.
Con che mostra inauguri?
Con il lavoro di Dario Ghibaudo. Aprire la mia galleria è per me una grande emozione. Aprirla con il lavoro ultimo e completo di Ghibaudo è meraviglia. Lo avevo presentato insieme all’amico Luigi De Ambrogi nella mostra al Complesso Monumentale di San Francesco a Cuneo, a metà 2022. Avevo ceduto alla pressione di vendere quattro formelle a due collezionisti determinati a non aspettare la mostra. Raccolta la serie completa di altorilievi nel mio spazio, è successo quello che avevo pensato: i lavori sono a casa loro come se la galleria fosse stata costruita per ospitarli.
E dopo Ghibaudo?
Per le prossime mostre sono in corso alcune trattative, ma posso anticipare che ad artisti mid-career saranno affiancati nomi di storicizzati. Tutti i protagonisti di CARLOCINQUE Gallery esplorano la dimensione concettuale attraverso una resa disciplinare unica.
MOSAICI, DIPINTI, ARCHITETTURE.
3 IMPORTANTI RESTAURI D’ARTE IN ITALIA
I MOSAICI DELLA CUPOLA DEL BATTISTERO DI FIRENZE
1.200 metri quadrati di racconti biblici realizzati da mosaicisti venuti da fuori città con tessere prodotte da fornaci già attive altrove, un’antologia visiva che ha visto partecipare artisti quali Cimabue, Coppo di Marcovaldo, Meliore, il Maestro della Maddalena: è il ciclo musivo della Cupola del Battistero di Firenze, realizzato tra il 1225 e il 1330, oggi protagonista di un intervento di restauro a opera del Centro di Conservazione Archeologica che prevede il recupero della stabilità strutturale e l’adesione alla volta dei dieci milioni di tessere policrome che rivestono la cupola. Caratteristica di questo restauro è l’allestimento di un cantiere innovativo che permette al pubblico di fruire dei mosaici a distanza ravvicinata. duomo.firenze.it
IL TONDO SIGNORELLI A CORTONA
Realizzato da Luca Signorelli tra il 1510 e il 1515, il Tondo con Vergine con il Bambino e santi protettori di Cortona è custodito al MAEC di Cortona. In occasione della mostra Signorelli 500 –un omaggio al pittore per celebrare i 500 anni dalla sua morte in programma dal 23 giugno – il museo ha avviato un intervento di restauro sul dipinto, condotto da Nadia Innocentini, reso possibile grazie a una donazione da parte di Victoria Smith, proprietaria del casale “La Lodolina”.
cortonamaec.org
IL CASTELLO DELLA ZISA A PALERMO
La Regione Siciliana ha avviato i lavori per il restauro del Castello della Zisa, monumento del periodo normanno patrimonio Unesco. Finanziati con le risorse del Po Fesr 2014-2020, i lavori riguardano interni, esterni e apparati decorativi dell’edificio, per un investimento pari a 1 milione di euro. Il restauro è stato progettato dalla Soprintendenza con l’architetto Maria Serena Tusa; responsabile unico del procedimento è l’architetto Filippo Davì. A eseguire i lavori è l’impresa Società Cooperativa Archeologica di Firenze, che dovrà completarli entro il 31 dicembre 2023.
Milano Via dell’Annunciata 31
02 91558394
info@carlocinquegallery.com carlocinquegallery.com
regione.sicilia.it
DESIRÉE MAIDA
Via Fatebenefratelli ViaBorgonuovo Accademia di Brera Orto Botanico di Brera Via dell’Annunciata
ART MUSIC
ASADO FILM: LA BAND CHE FA CINEMA
Si definiscono “la band che gira dei film”, ma non sono né il duo Colapesce Dimartino che ha recentemente debuttato al cinema con La primavera della mia vita, di cui è protagonista, autore del soggetto e della sceneggiatura, nonché della colonna sonora; né inseguono la moda del momento delle docu-fiction autobiografiche che spopolano tra i cantanti come Elodie e Mahmood. Loro sono gli Asado Film, qualcosa di completamente diverso e inclassificabile; hanno scritto, diretto, interpretato e creato la track list del loro primo cortometraggio Rude Boys per sonorizzarlo dal vivo e creare uno spettacolo che avesse la sua massima espressione nel live.
“La band è formata da musicisti che hanno vari progetti e ci siamo riuniti proprio con la voglia di non fare il solito disco e il solito tour”, ci racconta il collettivo ligure di musicisti e filmmaker composto dal regista e musicista Francesco Traverso, da Olmo Martellacci (bassista/tastierista degli Ex-Otago), dal cantautore Matteo Fiorino e dal dubmaster U’Elettronicu, al secolo Gabriele Repetto.
“Poi le cose sono evolute in modo naturale verso la direzione di omaggiare un cinema che in Italia si faceva e che tanti all’estero ci riconoscono come degno di attenzioni, oltre a citare un sacco di altre esperienze visive, internazionali e non, che ci hanno accompagnato nella crescita. Il disco, invece, parte da quel tipo di sonorità, ma si sviluppa subito in altri generi, grazie all’incontro delle diverse personalità che ci hanno lavorato”.
Rude Boys, oltre a essere un film (muto) legato al glorioso genere dei poliziotteschi Anni Settanta, è infatti anche un disco (uscito per Emic Entertainment), interamente strumentale, che racchiude le musiche di accompagnamento dei suoi 11 episodi, strutturati come se fossero 11 videoclip. Ogni scena è concepita come la puntata di un telefilm in costume, dove gang rivali si scontrano in un paese quasi disabitato. Musicalmente si toccano vari generi, spaziando dal rock alla psichedelia, dall’elettronica allo stoner, la world music e il modern jazz, fino all’utilizzo di campionamenti e beat di natura hip hop. Tutto autoprodotto, grazie alle proprie maestranze e abilità. “Abbiamo creato tutto tra di noi, che oltre che stimati colleghi siamo pure amici. Le copertine, per esempio, le ha disegnate Olmo Martellacci, che tra i musicisti eccelle anche nel disegno”. Un disco, uno spettacolo dal vivo suonato nei club di tutta Italia e un film al quale manca solo il cinema. “Crediamo molto nel nostro progetto e una distribuzione cinematografica è nei nostri auspici”.
emic-ent.com
CLAUDIA GIRAUD
Aprirà a Palermo un museo dedicato a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
DESIRÉE MAIDA L Un luogo di memoria, ma anche di azione rivolto principalmente alle giovani generazioni, affinché possano coltivare la sensibilità per la legalità e la comunità. Aprirà a Palermo, per poi trovare sede anche a Roma e a Bolzano, il Museo del presente e della memoria della lotta alle mafie / Dedicato a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, progetto promosso dalla Fondazione Falcone, attiva dal 1992 e impegnata nella diffusione della cultura della legalità attraverso iniziative che vedono spesso protagonista l’arte contemporanea, con interventi di street art, scultura, installazione e performance che hanno coinvolto artisti italiani e internazionali, come quelli organizzati nel 2022 in occasione della commemorazione per il trentennale delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio. Il progetto è frutto della sinergia tra la Fondazione Falcone, il Comune e la Città Metropolitana di Palermo, che ha messo a disposizione la sede di Palazzo Jung in Via Lincoln, a pochi metri dalla Kalsa e Piazza Magione, luoghi in cui sono nati e hanno trascorso la loro infanzia i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ed è diretto da Alessandro De Lisi, curatore generale per le attività culturali della Fondazione Falcone.
fondazionefalcone.org
La Biblioteca Nazionale Braidense di Milano rinasce. E si rinnova la Mediateca Santa Teresa
GIULIA GIAUME L Rilancio per la Biblioteca Nazionale Braidense, che, tra il nuovo sito web e la riapertura della Mediateca Santa Teresa, si apre ancora di più alla cittadinanza. Il nuovo portale online della Biblioteca Nazionale Braidense, su progetto della società
Viva!, permetterà infatti il pieno accesso alle risorse della prestigiosa istituzione: migliaia di volumi, collezioni rare, cataloghi e oltre 50 fondi pregiati. La Biblioteca avrà una nuova sezione dedicata alle mostre, con approfondimenti sul canale online Brera Plus, e una dedicata ai progetti speciali. Andrà invece a riaprire in una veste nuova la Mediateca Santa Teresa di via Moscova 28, istituzione pionieristica inaugurata nei primi Anni Zero. Lo spazio diventerà un centro per la musica e le arti, andando a soddisfare le nuove necessità di un mondo ormai compenetrato nel digitale e bisognoso di connessioni fisiche.
braidense.it | mediabrera.it
NEWS
BRERA
PORTA NUOVA
71 39
PORTA GARIBALDI Biblioteca Nazionale Braidense Mediateca Santa Teresa
L’ARTE NEL PASSANTE DI MILANO
Un incidente. Un evento inaspettato, ma costante. Succede tutti i giorni, per Francesca alle 8:04, e poi di nuovo alle 18:36, tranne il fine settimana. Ad Adrian succede solo il martedì, ma se ha lezione presto prende la macchina. Ludovica l’incidente non lo ha mai visto, ma stasera ha un appuntamento e per la prima volta ci passerà davanti. Non sa cosa aspettarsi, e infatti non si aspetta niente. Oggi però Massimo si è fermato. Sta aspettando Josephine, che doveva incontrare nella stazione del passante di Milano Lancetti. Davanti ai tornelli, un’edicola di 40 mq non vende giornali. Non c’è nessuna signora ad attendere che Massimo acquisti un biglietto. Non c’è nessuno lì dentro. La struttura ottagonale è fatta di vetro, le luci sono fredde e dentro c’è qualcosa. Massimo è curioso, il treno è in ritardo, Josephine non è ancora arrivata. Scatta una foto. Ci penserà spesso. Francesca è tornata dal lavoro, ed è contenta, è quasi a casa e sa che domani troverà un incidente nuovo, forse quello le piacerà di più”.
L’incidente è spazioSERRA, uno spazio espositivo in una realtà metropolitana e suburbana che si distacca dai luoghi canonicamente deputati all’arte, all’interno della Stazione Ferroviaria di Milano Lancetti. Il suo scopo è portare l’arte nella vita di tutti i giorni dei passanti, pubblici variegati, non intenzionali, allo stesso tempo quotidiani, per i quali l’arte diventa un incidente. Un incontro che avviene per una serie di casi, con un pubblico che quindi non può essere controllato. Le otto pareti sono di vetro e consentono una visione costante dell’interno dal di fuori, così da permettere alle opere di entrare in un’altra dimensione e utilizzare la città come luogo espositivo per eccellenza. Il nome spazioSERRA vuole richiamare l’attenzione a un percorso di maturazione e crescita che lo spazio intende offrire ad artiste e artisti provenienti da tutto il mondo, completamente al di fuori delle logiche di mercato.
La stagione espositiva 2022/2023 prende il nome di unpostoIMPOSSIBILE e invita gli artisti a un esercizio di analisi sul luogo espositivo. Questo suo essere isolata e fuori contesto rende la struttura un nonspazio, un luogo impossibile, avvicinandola a una dimensione surrealista di stupore e disorientamento, come un miraggio o un sogno, tra visitatori che hanno occhi anche poco abituati a ciò che prende vita all’interno della struttura vetrata. La conversazione delle opere con il luogo vuole essere il principio e l’obiettivo da
NEI NUMERI PRECEDENTI
#47 Almanac Torino
#51 Sonnestube Lugano
#53 Numero Cromatico Roma
#57 Metodo Milano
#59 Spazio in Situ Roma
#62 Spazio Bidet Milano
#64 Mucho Masi Torino
#67 La portineria Firenze
#69 Spazio Y Roma
perseguire. Lo spazio espositivo è uno spazio in potenza, che realizza il suo scopo nel momento in cui l’artista, abitandolo, lo trasforma da luogo inanime a esperienza viva, individuale e al contempo condivisibile. Lo spazio-oggetto evolve in una soggettività universale che non vuole più essere legata alla finitezza dell’elemento fisico, ma all’immaginario presente nell’individualità di ognuno. Come collettivoSERRA abbiamo invitato artiste e artisti ad astrarre la propria esperienza artistica da uno spazio fisico a un “altrove” incollocabile, immaginato, un “posto impossibile” che riesca a conversare concettualmente con cosa rappresenta spazioSERRA, concepito non solo come luogo fisico ma anche concettuale, non tangibile, instaurando un dialogo continuo tra interno/interiore ed esterno/esteriore.
La prossima mostra, dal 4 al 18 maggio, ospiterà il progetto CHM13hTERT di Agnes Questionmark, che eseguirà una long-durational performance per sei ore al giorno, tracciando nuovi percorsi evolutivi del genoma umano.
a cura di DARIO MOALLI
spazioSERRA nasce nel 2017 dal progetto Artepassante, un programma di riqualificazione degli spazi metropolitani che fa capo a Le Belle Arti APS in collaborazione con RFI – Rete Ferroviaria Italiana e con il patrocinio del Comune di Milano e il riconoscimento di Soggetto di rilevanza regionale della Regione Lombardia. Il collettivo di spazioSERRA APS è composto da Tracy Bassil, Silvia Biondo, Virginia Dal Magro, Massimiliano Fantò, Camilla Gurgone, Giulia Maffioli Brigatti, Alisa Ochakova, Cristiano Rizzo, Victoria Tincati, Valentina Toccaceli.
spazioserra.org spazioserra
SPAZIOSERRA
Alla stazione Lancetti del passante ferroviario di Milano c’è una struttura ottagonale completamente vetrata. Dentro (o fuori?) vive uno spazio per la sperimentazione artistica.
bio
OSSERVATORIO NON PROFIT 71 41
OSSERVATORIO NON PROFIT 71 43
Castello
Gamba Museo di Arte Moderna e Contemporanea Châtillon (Valle d’Aosta) www.castellogamba.vda.it Mon cher Abbé Bionaz! Mario Cresci Un fotografo per la Valle d’Aosta 1-04 18-06 2023
Progetto Outdoor del Museo Novecento alla Casa Circondariale di Firenze Sollicciano
I MUSEI SONO DAVVERO INCLUSIVI?
Tempo fa abbiamo indagato il rapporto fra musei e accessibilità. Il tema è però ancora più ampio, perché rendere un museo accessibile non significa che sia anche inclusivo. Qui approfondiamo la questione, insieme al racconto di tante best practice.
DESIRÉE MAIDA
Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che effettua ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio materiale e immateriale. Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e comunicano eticamente e professionalmente e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze”. La nuova definizione di museo, elaborata dall’ICOM – International Council of Museums (organizzazione internazionale fondata nel 1946 che rappresenta i musei e i suoi professionisti) durante la 26esima Assemblea Generale Straordinaria tenutasi a Praga, mette in luce – rispetto alla precedente formulazione – come i musei di oggi siano chiamati ad assumersi un ruolo di responsabilità nei confronti della società, non solo come luoghi di conservazione, valorizzazione e promozione della cultura, ma anche come luoghi che partecipano attivamente alle dinamiche della comunità e del territorio in cui sono inseriti, contribuendo al loro sviluppo sociale ed etico, oltreché culturale. “Accessibili e inclusivi”, sottolinea l’enunciato dell’ICOM, due termini molto vicini dal punto di vista concettuale, ma non sempre dal punto di vista della fattibilità: un museo accessibile (ovvero la cui fruizione è pensata per tutti) è (automaticamente) anche inclusivo?
COSA SIGNIFICA “INCLUSIVO”
Per rispondere a questa domanda, proviamo intanto ad approfondire il significato della parola “inclusività”: secondo la Treccani, inclusività è la “capacità di includere più soggetti possibili nel godimento di un diritto, nella partecipazione a un’attività o nel compimento di un’azione; più in generale, propensione, tendenza ad essere accoglienti e a non discriminare,
contrastando l’intolleranza prodotta da giudizi, pregiudizi, razzismi e stereotipi”, attraverso “una revisione critica delle categorie convenzionali che regolano l’accesso a diritti e opportunità”. Il concetto di accessibilità sarebbe dunque sotteso a quello di inclusività, sebbene con la prima si intenda comunemente l’atto fisico del varcare una soglia per fare ingresso in un determinato luogo o l’apprestarsi a compiere un’attività. Le soglie, a volte, per alcune persone sono vere e proprie barriere, architettoniche e intellettive, limiti che i musei stanno provvedendo ad abbattere adeguando gli spazi e le modalità di fruizione delle proprie collezioni affinché possano essere, per l’appunto, accessibili (in tal senso, in Italia, parte dei fondi del PNRR riservati ai musei è destinata alla “rimozione delle barriere fisiche e cognitive”).
Questi sono gli obiettivi che i musei di oggi si prefissano affinché al loro “interno” l’esperienza culturale possa essere godibile da tutti. Ma i musei hanno anche una dimensione “esterna”, che li rende parte di un tutto più complesso, ovvero di una società in continuo divenire, con le sue potenzialità e fragilità, contraddistinta da una collettività spesso frammentaria. Tornando alla definizione dell’ICOM, due parole sono connesse al concetto di inclusività: “partecipazione” e “comunità”, sottolineando così il ruolo etico che il museo è chiamato ad assumersi nei confronti della società, facendo della fruizione delle proprie opere non solo il fine della propria principale missione, ma anche lo strumento attraverso il quale intervenire per contribuire allo sviluppo della società.
LA MISSIONE DEI MUSEI. OVVERO QUANDO LA CULTURA DIVENTA UNA QUESTIONE ETICA
“Ai musei viene chiesto di assumere nuovi ruoli e sviluppare nuovi modi di lavorare, in generale, per chiarire e dimostrare il loro scopo sociale e più specificamente per reinventarsi come agenti di inclusione
STORIES MUSEI INCLUSIVI
71 47
AFFIDO CULTURALE. CONTRASTARE LA POVERTÀ EDUCATIVA VISITANDO MUSEI (E NON SOLO)
Uno strumento per combattere la povertà educativa, coinvolgendo le famiglie e facendo dei musei luoghi di elezione per superare barriere sociali e culturali: sono queste le basi su cui regge Affido Culturale, progetto nato nel 2018 dalla selezione al bando Un passo avanti dell’impresa sociale Con I Bambini nell’ambito del Fondo di contrasto alla povertà educativa minorile, che consiste nell’affidare a una famiglia abituata a frequentare luoghi di cultura un altro nucleo familiare non avvezzo a questo tipo di esperienze. Affido Culturale ha attualmente all’attivo convenzioni con oltre trenta istituzioni culturali italiane, tra cui musei, teatri e cinema, tra Napoli, Bari, Roma e Modena, arrivando anche a Milano (con la Pinacoteca di Brera), Cagliari, Andria, Arezzo, Teramo e di recente anche Palermo. “Il progetto nasce da questa idea: chiedere a famiglie che frequentano i luoghi della cultura di portare con loro anche famiglie che solitamente non fanno questo tipo di esperienze”, ci spiega Ivan Esposito, responsabile di Affido Culturale. “Dopo essere state abbinate – di solito cerchiamo di associare famiglie con figli della stessa fascia di età –, le famiglie affidatarie e affidate vengono fornite di una app con un credito finanziario da utilizzare nei luoghi di cultura convenzionati. Una volta giunte in biglietteria, le famiglie selezioneranno sulla app il tasto corrispondente all’attività che stanno svolgendo, generando così un QR code che verrà letto dalla biglietteria. A questo punto il credito fornito alla famiglia scalerà – ovvero tre biglietti gratuiti per ogni bambino affidato – e aumenterà quello dell’ente culturale. A quest’ultimo verrà poi corrisposto il valore dei voucher digitali utilizzati”. Le famiglie quindi sono non soltanto l’“obiettivo” del progetto, ma diventano anche strumento di inclusione e di sviluppo educativo capillare, favorendo la socializzazione e la conoscenza del patrimonio culturale. “Ciò che spinge le famiglie a proseguire nell’esperienza”, conclude Esposito, è “la relazione e l’amicizia che si instaurano nel corso di queste uscite culturali”.
affidoculturale.org
sociale. […] Quale posto dovrebbe occupare il museo nel panorama in rapida evoluzione delle politiche di inclusione sociale? In che misura il concetto di inclusione sociale dovrebbe richiedere un nuovo approccio da parte dei musei e in che modo essi possono iniziare a contribuire alle politiche di inclusione? Fondamentalmente, nella lotta all’esclusione sociale, cosa si può ottenere attraverso l’azione dei musei?”: sono le domande poste da Richard Sandell – professore della School of Museum Studies dell’Università di Leicester e co-direttore del Research Centre for Museums and Galleries – nell’articolo pubblicato nel 1998 su “Museum Management and Curatorship” dal titolo Museums as Agents of Social Inclusion. Dal 1998 a oggi è trascorso un quarto di secolo, ma le parole di Sandell sono più che mai attuali, soprattutto alla luce dei fatti accaduti negli ultimi anni (tra tutti, pandemia e guerra in Ucraina) che hanno scardinato certezze ed equilibri su cui si reggeva il mondo contemporaneo. Quella di “bello e bene”, ovvero di estetica ed etica, intesi come concetti affini e interdipendenti è una visione sulla quale poggiava il sistema filosofico degli antichi Greci – da cui poi deriva il sistema di pensiero occidentale –, con la locuzione καλός καὶ ἀγαθός (kalós kai agathós); risulta quindi del tutto naturale che tra gli obiettivi di un museo, luogo destinato alla custodia e alla valorizzazione del bello, vi sia anche quello della pratica del “bene”. E tra queste buone pratiche c'è, anche e soprattutto, quella dell’inclusione.
“
MUSEI E INCLUSIONE. CHI, COME E PERCHÉ “INCLUDERE”?
Oltre a considerare l’inclusione come un obiettivo generale, i professionisti dovrebbero lavorare per comprendere meglio le specificità della diversità sociale, indagando il potenziale per l’utilizzo del museo insieme alla più ampia gamma di modelli di pratica e differenze culturali vissute dagli individui e dai gruppi nella società che li circonda”. Questa frase di Kevin Coffee –tratta dall’articolo Cultural inclusion, exclusion and the formative roles of museums pubblicato nel 2008 su “Museum Management and Curatorship” – mette in luce una condizione necessaria affinché i musei possano essere inclusivi: la conoscenza del territorio di cui fanno parte, altrimenti non sarebbe possibile esserne parte attiva. “Quali sono le peculiarità del quartiere o della città in cui ci troviamo?”, “da chi è vissuto e/o attraversato questo territorio?”, “ci sono criticità dal punto di vista sociale e/o fasce di popolazione che necessitano di particolare supporto?”: sono queste le domande che dovrebbe porsi un museo che ambisce a definirsi “inclusivo”. Non solo quindi professionisti del settore, appassionati, turisti e scolaresche – ovvero target di pubblico cui generalmente un museo si rivolge – ma anche persone che vivono, per svariate ragioni, situazioni di svantaggio sociale, e la dimensione dell’arte potrebbe contribuire all’avvio di un processo di inclusione.
Abitanti di periferie difficili o a rischio di povertà educativa, anziani, migranti, detenuti nelle carceri sono alcune delle tipologie di persone su cui incombe lo stigma dell’esclusione, perché considerate fuori tempo o fuori luogo (a volte entrambe le cose). Ma una società sana, per definirsi tale, necessita che a stare bene siano tutte le parti di cui si compone, e non solo alcune di esse, e i musei in questo possono avere ruolo determinante.
MUSEI E PRATICHE INCLUSIVE. DA DOVE COMINCIARE (E DOVE ANDARE)
ABITANTI DI PERIFERIE DIFFICILI O A RISCHIO DI POVERTÀ EDUCATIVA, ANZIANI, MIGRANTI, DETENUTI NELLE CARCERI SONO ALCUNE DELLE TIPOLOGIE DI PERSONE SU CUI INCOMBE LO STIGMA DELL’ESCLUSIONE.
Quello dell’inclusione non a caso è uno dei punti trattati nell’ambito dell’International Museum Day 2020, dal tema Musei per l’eguaglianza: diversità e inclusione. “Le potenzialità dei musei nel creare esperienze significative per persone di qualsiasi origine e condizione sono al centro del loro valore sociale”, sottolinea ICOM Italia. “In quanto agenti di cambiamento e Istituzioni riconosciute e rispettate, oggi più che mai i musei possono dimostrare la loro importanza impegnandosi in maniera costruttiva nelle realtà politiche, sociali e culturali della società moderna”, al fine di “contribuire nel promuovere inclusione, nel superare stereotipi, contrastare fenomeni di emarginazione e mettere a punto iniziative di outreach per raggiungere pubblici impossibilitati a partecipare alla vita culturale della comunità (ad esempio i detenuti), nonché sviluppare valori pluralisti e democratici, costruendo narrazioni condivise e rappresentative”. Per ottenere questi risultati, i musei devono dotarsi di contenuti e programmazione che tengano conto della natura complessa del territorio e della comunità in cui si trovano, ponendosi in una posizione critica e allo stesso tempo di apertura. Conditio sine qua non
Stand Up For Africa, Cantastorie, raccontare le migrazioni , 2022. Inaugurazione della mostra di restituzione. HYmmo Art Lab, Pratovecchio Stia (AR), 24 settembre 2022.
affinché tutto questo possa concretizzarsi è la relazione, “intrapresa con modalità in grado di includere altri punti di vista, con/tra diverse tipologie di pubblici, rappresentanti-portavoce dei bisogni e delle attese delle differenti realtà che interpretano. Siano essi cittadini di altre culture, rifugiati politici o richiedenti asilo, carcerati, appartenenti alla comunità LGBTQ+, cittadini che vivono in aree di marginalità economico-sociale, spesso associate a povertà educativa e a depauperamento culturale”.
Tra gli step fondamentali per avviare questo processo è la formazione del museo stesso, pianificando “incontri con esperti per far conoscere e sensibilizzare al tema/ai temi gli operatori museali, da condividere con i referenti dei differenti target di appartenenza”, e invitando presso le loro sedi “una o più comunità di riferimento e compiere un percorso esplorativo al fine di individuare insieme elementi cogenti relativi alle tematiche d’interesse delle persone appartenenti ad ‘altri’ pubblici”. E nel caso in cui per alcuni membri della comunità non fosse possibile andare nei musei, saranno questi ultimi a “organizzare un’uscita ‘fuori di sé’, incontrandoli e presentando il proprio patrimonio e le proprie attività per iniziare un processo di dialogo e di relazione costruttiva; ciò vale anche per gli abitanti di zone marginali e periferiche”, oltre agli ospiti delle case circondariali. È questa la visione, che nasce dalla consapevolezza dell’importanza del proprio ruolo, che trasforma i musei da luoghi ad agenti di cambiamento
RESIDENZA D’ARTISTA E MIGRANTI. IL PROGETTO “STAND UP FOR AFRICA”
L’arte contemporanea come strumento e veicolo di inclusione e integrazione, favorendo la sensibilizzazione ai temi dell’accoglienza, dei diritti umani e della convivenza: sono questi gli obiettivi che dal 2016 persegue Stand Up for Africa, progetto di residenza ideato da Paolo Fabiani e Rossella Del Sere che ogni anno si svolge a Pratovecchio (AR), negli spazi dell’HYmmo Art Lab, atelier fondato dalla coppia nel 2008 che nasce all’interno di un’ex fabbrica di pigiami degli Anni Sessanta, acquistata, ristrutturata e adibita ad abitazione e spazio espositivo. Stand Up for Africa è un progetto che mira a creare una relazione tra chi vive nel territorio e chi vi giunge, per colmare distanze non solo geografiche ma soprattutto umane e sociali. Il progetto “nasce con l’idea di creare un ponte per superare il gap esistente tra le persone del luogo e i migranti attraverso l’arte contemporanea, per approfondire la condizione dei rifugiati e attivare una riflessione”, ci racconta Paolo Fabiani. “A monte è il desiderio di aprire strade apparentemente chiuse, prima lo erano di più, adesso lo sono meno”. Tante le realtà coinvolte nel progetto, a sottolineare la sua natura impegnata e necessaria: l’Unione dei Comuni Montani, l’Ecomuseo del Casentino, la Regione Toscana, il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi Monte Falterona e Campigna, il Comune di Pratovecchio Stia, Rete SAI - Sistema Accoglienza Integrazione. Dal 2018 Stand Up For Africa è a cura di Pietro Gaglianò e ogni anno cambia format, dalla residenza che vede artisti e migranti confrontarsi e lavorare insieme al laboratorio condotto per l’edizione dello scorso anno dall’artista afrodiscendente Maurice Pefura con gli emergenti Giovanni Bonechi, Gianluca Braccini, Gianluca Tramonti e Apo Yaghmourian. Altro protagonista della settima edizione di Stand Up For Africa è stato il regista somalo Zakaria Mohamed Ali, rifugiato in Italia dal 2008.
hymmoartlab2015.wixsite.com/hymmo
I MUSEI DEVONO
DOTARSI DI CONTENUTI E PROGRAMMAZIONE
CHE TENGANO CONTO DELLA NATURA
COMPLESSA DEL TERRITORIO E DELLA COMUNITÀ IN CUI SI TROVANO.
ARTE COME STRUMENTO DI INCLUSIONE SOCIALE.
ALCUNI ESEMPI ITALIANI
La vocazione a farsi portavoce e “incubatore” di azioni che possano attivare dinamiche di inclusione sociale è una missione che contraddistingue la pratica di numerosi musei italiani, e non solo: molte associazioni e istituzioni infatti decidono di affidarsi ai linguaggi dell’arte – e soprattutto alla sua capacità di generare riflessioni e consapevolezza – per intraprendere percorsi che coinvolgono fasce di popolazione che, per diverse ragioni, non possono fruire dell’arte e della cultura.
Pensata per chi vive nelle periferie, Ti porto al Museo è un’iniziativa nata dalla collaborazione tra il MArRC – Museo Archeologico Reggio Calabria e ATAM, il servizio di trasposto pubblico della città. Fino al 4 giugno 2023, ogni prima domenica del mese i cittadini che vivono in periferia potranno raggiungere il museo noto per custodire al suo interno i Bronzi di Riace per mezzo di un servizio bus di andata e ritorno, “un con-
STORIES MUSEI INCLUSIVI
71 49
Photo Enrica Quaranta
nubio perfetto per consentire ai cittadini di raggiungerci anche dalle zone periferiche”, sottolinea il direttore del MArRC Carmelo Malacrino. “È una sperimentazione che può diventare modello di riferimento per tutta la città, pensando alla cultura come strumento di riconnessione del tessuto territoriale. Visitare il MArRC la prima domenica del mese è diventato per i reggini un vero e proprio appuntamento fisso. Grazie alla solida sinergia con l’ATAM, adesso sarà ancora più agevole trascorrere una giornata alla scoperta della bellezza della Calabria e delle proprie radici culturali”.
Effettua un percorso inverso rispetto al MArRC, uscendo dalle proprie mura e andando incontro alle periferie, la Pinacoteca di Brera con il progetto N(u) ove strade per Brera, attraverso il quale il museo milanese favorisce “la fruizione del patrimonio del museo nelle zone periferiche della città valorizzandone, allo stesso tempo, il patrimonio culturale e naturale”, organizzando percorsi guidati in diversi quartieri della città, alla scoperta di luoghi di importanza storico-artistica che hanno un legame con opere delle collezioni del museo. Ideato da Cristina Moretti di Alfabeti d’Arte per Pinacoteca di Brera, con il contributo di Alice Bocca, N(u) ove strade per Brera lo scorso anno ha collegato il Municipio 9 al museo, grazie alla collaborazione con istituzioni dei quartieri Niguarda, Affori e Bruzzano, “coinvolgendo attivamente pubblici diversi (scuole, famiglie, giovani, anziani) e privilegiando, in particolare, utenti che incontrano difficoltà ad inserirsi nel tessuto sociale del quartiere e a fruire delle risorse culturali della città, in sintonia con la politica di inclusività e accoglienza della Pinacoteca di Brera e delle istituzioni partecipanti al progetto”, sottolineano gli organizzatori. Per il 2023, il museo sta già lavorando alla nuova edizione del format. Si pone come obiettivo la capillarità, trasformando in sedi museali luoghi che solitamente non aprono le proprie porte alle opere d’arte, il Museo Novecento di Firenze con il progetto Outdoor, nato nel 2018 su idea del direttore artistico Sergio Risaliti e realizzato dall’Associazione MUS.E. Outdoor finora ha portato dipinti e sculture delle collezioni novecentesche in numerose scuole e anche in un carcere, quello di Sollicciano. Tra le prime scuole coinvolte nel progetto, l’Istituto comprensivo Oltrarno e la Scuola primaria Collodi hanno ospitato, rispettivamente, Natura morta con carpa e conchiglie e limoni nel paesaggio di Pomposa di Filippo de Pisis e Albero viola e casa bianca di Severo Pozzati, per una esperienza che ha visto i bambini assistere all’arrivo dell’opera, al suo disimballaggio, a un’analisi del suo stato conservativo da parte del restauratore e al racconto da parte di storici dell’arte e mediatori. Lo stesso iter si è poi ripetuto al carcere di Sollicciano, dove i detenuti si sono confrontati con il dipinto di Renato Paresce La casa e la nave e la scultura di Severo Pozzati Maternità. “La nostra è una funzione pubblica, lavoriamo per accrescere la sensibilità e la possibilità di arricchire il bagaglio creativo delle persone”, ci racconta Sergio Risaliti.
“Ci sono persone che non posso accedere al museo e, con la stessa filosofia e volontà con cui siamo andati nelle scuole (sfatando un tabu e invertendo la rotta,
PRATICA PROGETTO
ESPERIENZA
ISTITUZIONI
TERRITORIO
PERSONE CITTADINI LUOGHI
ALLA SCOPERTA DI LUOGHI DI IMPORTANZA STORICO-ARTISTICA CHE HANNO UN LEGAME CON OPERE NELLE COLLEZIONI DEL MUSEO.
SCUOLE
COMUNITÀ SOCIALE CULTURALE
perché in questo caso sono le opere ad andare nelle classi dei bambini), siamo entrati anche nelle carceri. A Sollicciano è stata un’esperienza fortissima, sia per chi l’ha messa in pratica sia per chi l’ha fruita”, continua Risaliti. “150 donne e uomini si sono avvicinati alle opere, qualcuno di loro ha aperto le casse, e tutti hanno potuto guardarle da vicino e ascoltare il racconto delle vite degli artisti”. I prossimi progetti che vedranno coinvolte nuovamente le carceri saranno due laboratori, condotti dagli artisti Chiara Bettazzi e Andrea Francolino. Tra le future tappe di Outdoor, Risaliti spera di includere anche le aziende, “per permettere, almeno per un’ora, di interrompere il ciclo alienante del lavoro con un’esperienza di godimento estetico. E poi, perché no, anche i condomini, dove chi vi abita possa non solo fruire delle opere ma anche esserne custodi”.
MUSEI INCLUSIVI CHE FANNO RETE. LE REALTÀ E LE INIZIATIVE INTERNAZIONALI
Il tema dell’inclusione è uno dei punti nevralgici della visione e della missione dei musei contemporanei, un campo che implica formazione e aggiornamento continui, in linea con le dinamiche sociali, politiche e culturali del mondo di oggi. Per queste ragioni, esistono associazioni che riuniscono professionisti del settore a livello globale, per un costante dialogo finalizzato alla condivisione di idee e buone pratiche. Fondato nel 2008, l’Inclusive Museum Research Network è una rete il cui obiettivo è quello di costruire strategie per fare dei musei luoghi sempre più inclusivi, attraverso “una comunità epistemica”, composta da studiosi ricercatori ed esperti “in cui possiamo creare collegamenti attraverso i confini disciplinari, geografici e culturali”, declama la missione del Network. Il momento in cui vengono convogliate visioni ed esperienze da parte di tutti i membri della rete è la conferenza annuale, la cui sedicesima edizione si terrà a Vancouver in Canada dal 18 al 20 settembre 2023, con il titolo Museum Transformations: Pathways to Community Engagement
All’impegno dell’Inclusive Museum Research Network si unisce quello dell’International Institute for the Inclusive Museum (iiiM), organizzazione nata come Pacific Asia Observatory for Cultural Diversity in Human Development, nell'ambito del Piano d’azione UNESCO della Dichiarazione Universale sulla Diversità Culturale (2001). L’iiiM “promuove la democrazia culturale nel dominio digitale. È una rete globale di ricercatori, professionisti e istituti impegnati negli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni”; per mezzo di una rete di domini con hub in tutto il mondo, in collaborazione con diverse comunità, l’iiiM lavora al miglioramento e allo sviluppo di sistemi di ricerca, apprendimento e insegnamento online. onmuseums.com | inclusivemuseums.org
RECLUSIONE E INCLUSIONE. IL PROGETTO GRAFFITI ART IN PRISON E L’IMPEGNO DI MARSILIO ARTE
Se il verbo “includere” implica concettualmente un “attirare a sé”, la parola inclusione spesso spinge chi si prefigge questa missione ad andare oltre i propri usuali confini, e nel caso dei musei a uscire dalle proprie mura per varcarne altre che, per loro natura, sono rigide a ogni forma di apertura. È questo il caso delle carceri, luoghi che possono trovare una dimensione più umana e inclusiva grazie ai linguaggi dell’arte, con progetti rivolti alla riqualificazione delle case di reclusione e al reinserimento dei detenuti nel mondo del lavoro e nella società.
GAP – Graffiti Art in Prison è un progetto nato a Palermo che vede artisti, docenti e studiosi di tutto il mondo collaborare alla realizzazione di “percorsi di apprendimento e di inclusione sociale attraverso i linguaggi delle arti contemporanee in grado di sollecitare nuove forme di recupero alla socialità” delle persone detenute. Promosso dal Simua-Sistema Museale d’Ateneo dell’Università degli Studi di Palermo, in partnership con Kunsthistorische Institut in Florenz – Max-Planck- Institut, il Dems dell’Università degli Studi di Palermo, l’Università di Saragozza e l’Accademia di Arte e Design – Abadir di Catania, e finanziato nell’ambito del programma europeo Erasmus+ (Strategic Partnerships for Higher Education), col patrocinio del Ministero della Giustizia, DAP-Dipartimento Amministrazione Penitenziaria e del Ministero della Cultura, GAP “si basa sul valore dell’inclusione e, attraverso processi di partecipazione attiva, sperimenta modalità di relazione e apprendimento ‘empatico’ tra soggetti diversi, senza distinzioni di provenienza”, spiega Laura Barreca, coordinatrice artistica del progetto, cui partecipano anche la coordinatrice scientifica Gabriella Cianciolo e la project manager Gemma La Sita. “L’obiettivo è di avvicinare ambiti sociali solo apparentemente distanti, come quello dell’alta formazione universitaria con il delicato contesto delle carceri, a cui è rivolta tutta la nostra attenzione”. Matilde Cassani, Stefania Galegati ed Elisa Giardina Papa sono le artiste coinvolte in GAP, con interventi e workshop pensati per la Casa di Reclusione Ucciardone, Casa Circondariale Pagliarelli e l’Istituto Minorile Malaspina di Palermo, mentre ad aprile la Casa Circondariale di Sollicciano a Firenze assisterà all’intervento dello street artist David Mesguich. Il racconto di GAP è affidato a Giovanna Silva, che darà vita a un progetto fotografico sulle architetture delle carceri palermitane, pubblicato da Humboldt Books, e Chiara Agnello, con un film-documentario realizzato con la promozione di Sky Arte.
Sono tote bag artigianali, inclusive e sostenibili quelle che nascono dalla collaborazione tra Marsilio Arte e la cooperativa sociale Rio Terà Dei Pensieri di Venezia: la società specializzata nella progettazione e realizzazione di mostre e iniziative culturali affida infatti la realizzazione delle borse in vendita presso i bookshop museali di propria gestione ai reclusi del carcere maschile di Santa Maria Maggiore. All’interno dell’istituto penitenziario opera un laboratorio in cui vengono prodotti accessori e borse dal nome Malefatte, un’ironica allusione al lavoro fatto dai carcerati e ai materiali utilizzati, ovvero il PVC, che viene recuperato dai banner pubblicitari dismessi e riciclato per dare vita a manufatti ecosostenibili. Grazie al laboratorio di serigrafia, attivo dal 1995, i detenuti intraprendono un percorso di inserimento lavorativo, che inizia con un periodo di formazione professionale per poi sfociare nell’assunzione. In particolare, Marsilio Arte affida a Malefatte la produzione delle tote bag delle mostre di Palazzo Grassi e Punta della Dogana, e anche la shopper istituzionale de Le stanze della Fotografia, nuovo spazio nato dalla collaborazione tra Marsilio Arte e Fondazione Giorgio Cini sull’Isola di San Giorgio Maggiore. “L’arte può divenire un modello di inclusione sociale”, dichiara ad Artribune Emanuela Bassetti, presidente di Marsilio Arte. “La storica collaborazione di Marsilio Arte con la cooperativa Rio Terà dei pensieri, che vede la realizzazione di borse fatte a mano dai detenuti del carcere maschile di Santa Maria Maggiore, rappresenta un’occasione per costruire un percorso di riscatto, formazione e autonomia rivolto a persone fragili. La nostra visione della cultura e dei progetti ai quali crediamo s’inserisce in questa prospettiva di condivisione di esperienze, vicinanza e dignità come possibilità di cambiamento”.
graffitiartinprison.it | marsilioarte.it
STORIES MUSEI INCLUSIVI
71 51
Laboratorio Operazione grigi cortili di Matilde Cassani, Ucciardone, Palermo, maggio 2022, GAP-Graffiti Art in Prison. Photo Giovanna Silva
QUANTO SONO INCLUSIVI I MUSEI ITALIANI?
Che si tratti di progetti one shot o nati da una visione più radicata, i musei italiani negli ultimi anni hanno mostrato e continuano a mostrare particolare sensibilità verso il tema dell’inclusione sociale, facendone spesso uno dei punti focali della propria missione. È in questo caso che i musei si fanno portavoce delle istanze e delle urgenze della società, proprio come istituzioni e associazioni specializzate e impegnate in questo ambito, realtà con le quali infatti i musei inclusivi si ritrovano spesso a collaborare. Per comprendere come prendono avvio queste dinamiche e che tipo di operazioni è possibile compiere, abbiamo chiesto a cinque musei italiani, differenti per collocazione geografica e tipologia, di raccontarci la loro esperienza, fatta di sinergie, di sguardo attento verso il territorio e soprattutto chi lo abita e lo attraversa. Ecco come hanno risposto alle nostre domande.
MART – Trento e Rovereto
Rispondono Carlo Tamanini e Ornella Dossi, area educazione e mediazione culturale
La parola “inclusione” ci sembra contenere una certa ambiguità: è espressione di una visione aperta e accogliente ma ha un etimo che ha a che fare con l’idea di “chiudere dentro”. Il Mart nasce come istituzione che proprio nella relazione gioca il suo essere al mondo. Gli indirizzi del museo, fin dagli esordi, valorizzano il suo ruolo dialogante, punto di incontro di donne e uomini, comunità etniche, minoranze linguistiche, nella convinzione che, come ricorda Bertold Brecht, “Tutte le arti contribuiscono all’arte più grande di tutte: quella di vivere”.
Sono numerosi e coinvolgono cooperative sociali, centri accoglienza profughi, hospice, servizi per anziani, centri psichiatrici e centri diurni Alzheimer… Con amministrazioni locali e scuole il Mart ha partecipato a un progetto pluriennale dedicato al tema della “comunità educante”, del tessuto di relazioni solidali costituito da coloro che vivono in un territorio, che ne hanno a cuore il destino e che riconoscono la responsabilità dell’abitarlo insieme. Il Mart, attraverso l’arte, ha aiutato a ripotenziare le capacità di sentire e di vivere l’impegno alla crescita educativa, culturale, ecologica e sociale, di tutte e tutti. Abbiamo cercato di individuare prospettive e pratiche generative per promuovere i valori del vivere insieme. L’arte è in grado di eliminare la competitività dalla mente e aiuta a diventare persone più creative e altruiste.
Chi partecipa alle attività del museo testimonia che il Mart è stato vissuto come
LE DOMANDE
Quando e perché avete deciso di occuparvi di progetti che avessero un impatto inclusivo sul territorio in cui siete inseriti? In che modo questa particolare missione si sposa con la vostra visione di museo?
Quali sono i progetti di cui vi siete e/o vi state occupando e a chi sono rivolti? Che tipo di collaborazioni (enti, associazioni, istituzioni…) avete attivato per realizzarli?
Quali risultati avete raggiunto finora e che tipo di impatto ha avuto il vostro impegno sul tessuto sociale del territorio?
FONDAZIONE SANDRETTO RE REBAUDENGO Torino
un luogo accogliente, ricco di umanità attraverso la quale hanno scoperto nuove sensibilità, hanno sperimentato che l’arte accoglie, incoraggia quando siamo stanchi, rigenera e solleva il morale quando siamo sotto tensione e conduce verso un mondo stimolante e ricco di speranza.
FONDAZIONE SANDRETTO RE REBAUDENGO – Torino
Risponde Elena Stradiotto, responsabile progetti educativi
Riconoscendo all’arte contemporanea la funzione di strumento culturale capace di offrire un ricco ventaglio di punti di vista sulle que stioni del presente, viviamo le mostre come un potenziale “spazio pubblico”, un luogo aperto e adatto al dialogo e al confronto. Sin dall’apertura a Torino nel 2002, valorizziamo questa potenzialità attraverso la mediazione culturale d’arte. La nostra è la visione di un museo accessibile, responsabile, sempre in ricerca e partecipativo.
Per fare un esempio di buona pratica condivido l’intensa esperienza fatta nella progettazione e attuazione del programma culturale VERSO, che ha coinvolto attivamente tra il 2020 e il 2022 artist ə, cittadinə, curatorə, mediatorə e studentə. Le azioni sono consultabili al sito verso.fsrr.org.
Attivare e mantenere un rapporto di reciprocità con micro comunità: la comunità studentesca, quella interculturale delle famiglie dei Poli ZeroSei, la comunità danzante di Vie di Uscita (progetto dedicato a persone con afasia), la comunità di mediatorə impegnatə nel costante lavoro di ricerca, la comunità di persone cieche dell’UIC ecc. Re-
MART Trento-Rovereto
PALAZZO GRASSI
PUNTA
DELLA DOGANA Venezia MUSEO MADRE Napoli
ECOMUSEO MARE MEMORIA VIVA Palermo
alizzare con loro strumenti di mediazione e autorappresentazione, frutto di pratiche partecipative. “L’arte non è uno specchio della società, ma un martello con cui plasmarla”, come suggerito dal collettivo Tools for Action, uno strumento per immaginarla collettivamente, per meglio rispondere ai bisogni, desideri e urgenze del mondo contemporaneo.
PALAZZO GRASSI
PUNTA DELLA DOGANA – Venezia
Risponde Mauro Baronchelli, direttore operativo
Tra gli obiettivi di Palazzo Grassi – Punta della Dogana è la volontà di rendere i progetti espositivi e culturali accessibili a tutti i tipi di pubblico: è importante che i visitatori trovino strumenti di supporto e attività che li coinvolgano in modo critico e attivo, soprattutto tenendo in considerazione la vocazione al contemporaneo delle nostre attività. L’inclusione sociale è un lavoro lungo e di relazione, implica un forte impegno per raggiungere i potenziali fruitori nei loro luoghi di incontro o di vita, stabilendo una relazione umana prima che istituzionale. L’idea è che il museo, grazie alla bellezza dei suoi spazi e alla presenza stimolante delle opere d’arte, possa offrire nel confronto diretto con l’arte contemporanea occasioni di discussione su temi diversi e attuali, coinvolgendo ogni tipo di pubblico in uno scambio vitale e paritario: il visitatore è posto al centro del discorso con l’arte.
Finora sono stati strutturati percorsi per adolescenti fragili allontanati dalle famiglie; persone con disabilità fisiche e/o cognitive (adolescenti e adulti); persone con problemi di tossicodipendenza; quarta età (over 80); persone con demenza; persone con background migratorio. Ciascuna di queste linee di lavoro pone lo staff dei Servizi Educativi del museo in collaborazione con gli operatori di realtà associative e/o sanitarie presenti sul territorio, dai Centri Diurni, come quello di Sant’Alvise, alle associazioni come Red Carpet for all, che si occupa di quarta età, alle Comunità educative per minori, come il Centro Pompeati, o quelle terapeutiche come Villa Renata. In particolare, Altri Sguardi è un laboratorio di mediazione museale, rivolto a persone con background migratorio, individuate attraverso una open call. Sono state sviluppate finora tre edizioni di Altri Sguardi, che si sono arric-
chite e riconfigurate ogni volta a seconda dei feedback e delle necessità dei partecipanti; per questo progetto, lo staff dei Servizi Educativi coinvolge come tutor i partecipanti dell’edizione precedente, in modo da avere un punto di vista realistico e una progettazione realmente partecipata. È allo studio la prossima edizione, che prevede, rispetto alle precedenti, una campagna di scouting presso le associazioni territoriali, per coinvolgere maggiormente i possibili destinatari.
Stiamo pazientemente consolidando le relazioni con le associazioni e le istituzioni – come ad esempio l’Agenzia per la Coesione Sociale del Comune di Venezia – con cui continuiamo a progettare, realizzare e sviluppare progetti che coinvolgono il loro pubblico.
MUSEO MADRE – Napoli Risponde Angela Tecce, presidente della Fondazione
Il Madre, in accordo con la propria vocazione di istituzione pubblica e contemporanea, propone un’offerta ampia che non si limita ai progetti espositivi, ma include anche eventi e progetti votati al coinvolgimento di pubblici differenti, in continuo ampliamento.
Il museo della Regione Campania rivolge particolare attenzione al territorio e alle sue maglie più deboli, attivando una serie di relazioni con realtà di differente natura e con expertise speci fiche. Tra le iniziative già in corso e quelle di prossima attivazione, si annovera la collaborazione con la Cooperativa Sociale Il Tulipano per il percorso Il Madre: the Museum for one and all, ideato e realizzato dal 2020 nell’am bito dei percorsi di didattica inclusiva e laboratori per l’accessibilità e la fruizione dei musei e dei luoghi della cultura Per e Con persone con autismo. È recente la firma del Protocollo d’Intesa con l’ASL Napoli 1 Centro per la realizzazione del progetto Cultura e Salute Mentale, mentre procede la collaborazione con Next-Land, il progetto biennale di didattica innovativa per l’insegnamento agli studenti delle scuole secondarie di primo grado i concetti base delle materie scientifiche attraverso l’arte; in Campania il percorso è stato strutturato coinvolgendo in particolare istituti scolastici delle periferie di Napoli.
Le azioni attivate dalla Fondazione e dalle associazioni con cui collabora hanno sempre
avuto una buona risposta dagli utenti, divenendo occasioni di avvicinamento al museo, che entra così a far parte delle loro vite nel quotidiano.
ECOMUSEO MARE
MEMORIA VIVA – Palermo
Risponde Cristina Alga, curatrice e co-founder
Noi nasciamo con una missione di trasformazione sociale a base culturale, l’apertura di un museo comunitario in un luogo stigmatizzato e abbandonato come la costa sudest di Palermo è stata ed è una grande occasione di operare politiche di lunga durata. La nostra visione sul ruolo dei musei oggi è radicale: il museo deve fare i conti con la sua storia elitaria e coloniale e diventare al contrario un luogo di apprendimento permanente accessibile e di socializzazione intergenerazionale. Noi ancora di più come ecomuseo che si occupa di memoria e di paesaggio, come museo collettivo che abilita riflessioni e presa in cura del territorio.
Sono tanti ma ne cito due: il lavoro quotidiano tutti i pomeriggi con ragazzi/e di prima media per l’accompagnamento allo studio, i laboratori creativi, le escursioni culturali urbane ed extra-urbane. Un campus invernale che dura per tutto l’anno scolastico trasformandosi nel campus estivo settimanale che lo scorso anno ha visto la partecipazione di 150 bambini/e tra i 2 e gli 11 anni. Dal lavoro con i bambin* e l’aggancio delle famiglie è nato niDO lo spazio (e tempo) delle donne, quest’anno con 40 iscritte di diverse età residenti nel quartiere e che due mattine a settimana partecipano a laboratori di creazione (sta per partire quello di narrazione e ricamo), danza e pilates, visite ai siti culturali della città.
Abbiamo dati di monitoraggio relativi a singoli progetti avviati che testimoniano per esempio il miglioramento delle competenze di base dei bambini, abbiamo il termometro delle relazioni dirette con famiglie del quartiere che possiamo dire di avere visto crescere, abbiamo numeri di partecipanti in crescita e più di tutto il benessere dei bambini e delle donne che vengono al museo. La presenza di un presidio culturale ed educativo in un territorio privo di servizi di aggregazione e con un territorio molto inquinato e degradato è stata importante in questi anni, pensiamo anche per il valore simbolico che abbiamo creato riuscendo ad “avvicinare” geograficamente un po’ la nostra periferia al limitrofo centro storico della città.
STORIES MUSEI INCLUSIVI
71 53
Comedie de Genève © Regis Golay - Federal Studio ESPLANADE-NUIT
A GINEVRA PERCHÉ IN SVIZZERA
NON CI SONO SOLO BASILEA E ZURIGO
Multiculturale e sfaccettata: per esemplificare questa doppia caratteristica di Ginevra, basti pensare che è stata la città di Calvino ma anche di Borges. Qui c’è il CERN e la Croce Rossa, ci sono istituzioni guidate da intellettuali intraprendenti e una attitudine alla ricerca che è raro trovare altrove in Europa, soprattutto in dosi elevate.
ALBERTO
MUGNAINI
Tra tutte le città del mondo, tra tutte la patrie che un uomo tenta di meritarsi durante i suoi viaggi, Ginevra mi sembra la più propizia alla felicità”: siamo nel cuore antico della “piccola metropoli” svizzera, e queste parole di Jorge Luis Borges le leggiamo sulla targa che contrassegna la casa da lui abitata fino al 1986, anno della sua morte. Che questa città sia sovente apparsa sotto il segno di patria elettiva, di luogo dello spirito e di rifugio ideale, lo conferma non solo il giudizio dello scrittore argentino, che vi aveva passato l’adolescenza e vi era tornato in età avanzata, ma anche il lungo elenco di artisti, letterati e uomini politici che vi soggiornò o vi trovò asilo: da Bakunin a Lenin, da Goethe a Byron, da Hugo a Musil. Lo stesso Jehan Cauvin (noto in Italia come Giovanni Calvino), che, all’epoca della Riforma, di Ginevra forgiò l’anima e incanalò il futuro, proveniva dalla lontana Piccardia.
E proprio da Calvino è d’uopo partire, se si vuole penetrare il carattere unico di questo agglomerato urbano sorto nel punto in cui il lago Lemano si restringe e lascia che il Rodano riprenda il suo corso. Fu Max Weber, nel suo famoso saggio sulla nascita del capitalismo, a mettere in evidenza come le rigide regole calvinistiche, ben lungi dal paralizzare l’intraprendenza dei cittadini, ne avessero invece incrementato le aspirazioni a guadagnarsi onestamente e con un duro lavoro un’esistenza di prosperità e benessere economico. Come che sia, il fatto è che oggi questa secolare roccaforte del calvinismo si ritrova a essere una delle città più vivibili al mondo, un luogo unico in cui la miscela di austerità e lusso si traduce in una reazione chimica di colta eleganza, idealizzato pragmatismo, visionaria concretezza.
STORIES GINEVRA IL CONTEMPORANEO
71 55
Se la cattedrale di Saint-Pierre, nel punto più alto di Ginevra, con il suo interno spoglio e la sua austera grandiosità, testimonia di un passato in cui la vita cittadina era scandita da scarni rituali e rigidi canoni, tutto intorno a essa vediamo aprirsi una realtà che si appresta a entrare a grandi passi nel futuro.
LE ARCHITETTURE MODERNE E CONTEMPORANEE
Ginevra, città internazionale e magnete delle organizzazioni umanitarie, è decollata verso il nuovo millennio sulle ali di uno straordinario sviluppo urbanistico, rispettoso del patrimonio naturale e in grado di accogliere le molteplici risorse multiculturali, attento alle esigenze di efficienza energetica e di tutela ambientale.
L’architettura contemporanea, nel corso del Novecento, non aveva lasciato in città molti esempi memorabili. Su tutti spicca, costruito tra il 1930 e il 1932, l’edificio La Clarté di Le Corbusier, uno dei capolavori più innovativi e meno noti del maestro svizzero. Situato nella parte alta del quartiere di Aigues-Vives, l’edificio rappresenta una tappa importante nella storia dell’architettura modernista e delle tecniche di costruzione: si regge infatti su uno scheletro d’acciaio che, liberando le pareti da ogni funzione portante, consentì un abbondante uso di grandi pannelli di vetro. Solo verso la fine del secolo scorso cominciamo a riscontrare qualche novità degna di nota, come l’Eglise de la Sainte Trinité, che si presenta come una sfera di granito rosa di venti metri di diametro, inaugurata nel 1994 su progetto di Ugo Brunoni. Negli stessi anni, gli architetti Rino Brodbeck e Jacques Roulet progettavano il nuovo edificio dell’OMM, l’Organizzazione Meteorologica Mondiale, che si eleva per nove piani come una grande astronave ellittica in alluminio, vetro e acciaio.
MILLENNIO SULLE ALI DI UNO STRAORDINARIO SVILUPPO URBANISTICO.
Inaugurata nel 2013, la Maison de la Paix consiste in sei corpi distinti, dalla superficie vetrata convessa, che si trovano scaglionati come petali di forma ogivale, progettati da Eric Ott dello studio IPAS di Neuchâtel. Il suo scopo: favorire nuove sinergie nella ricerca di soluzioni innovative ed efficaci per la promozione della pace, della sicurezza umana e dello sviluppo sostenibile.
Accanto all’edificio sede del quartier generale dell’OMPI, l’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale, che si erge come una spessa lastra incurvata di cristallo azzurro, risalente al 1978, ha visto la luce nel 2014, a opera dello studio Behnisch Architekten di Stoccarda, la struttura che ospita la sala conferenze dell’organizzazione, composta di corpi cubici aggettanti e variamente inclinati, che si dice abbia aperto una nuova dimensione nella costruzione strutturale in legno.
Se le nuove costruzioni si trovano tutte nella zona della stazione di Sécheron, in un contesto in cui vetro, cemento e acciaio sono di casa, il placido décor architettonico del Quartier des Bains è stato turbato
GALLERIE
1 LAURENCE BERNARD galerielaurencebernard.ch
2 SÉBASTIEN BERTRAND galeriebertrand.com
3 PHILIPPE CRAMER philippecramer.com
4 GAGOSIAN gagosian.com
5 GOWEN CONTEMPORARY gowencontemporary.com
6 PATRICK GUTKNECHT gutknecht-gallery.com
7 MEZZANIN galeriemezzanin.com
8 PACE pacegallery.com
9 FRANK PAGES frankpages.com
10 SKOPIA skopia.ch
11 ROSA TURETSKY rosaturetsky.com
12 WILDE GALLERY wildegallery.ch
13 XIPPAS xippas.com
MUSEI
1 MUSÉE INTERNATIONAL DE LA CROIX-ROUGE ET DU CROISSANT-ROUGE redcrossmuseum.ch
2 MUSÉE D’ETHNOGRAPHIE BOULEVARD CARL-VOGT 65
3 MAH institutions.ville-geneve. ch/fr/mah/
4 MUSÉE RATH institutions.ville-geneve. ch/fr/mah/
5 ARIANA institutions.ville-geneve. ch/fr/ariana/
6 MUSÉE PATEK PHILIPPE patek.com
7 FONDATION BAUR fondation-baur.ch
8 FONDATION BODMER fondationbodmer.ch
9 MUSÉE INTERNATIONAL DE LA RÉFORME musee-reforme.ch
10 MAMCO mamco.ch
11 CAC centre.ch
TEATRI
1 COMÉDIE DE GENÈVE comedie.ch
2 GRAND THÉÂTRE DE GENÈVE gtg.ch
3 VICTORIA HALL victoriahall.geneve.ch
4 BÂTIMENT DES FORCES MOTRICES bfm.ch
GINEVRA, CITTÀ INTERNAZIONALE
E MAGNETE DELLE ORGANIZZAZIONI UMANITARIE, È DECOLLATA VERSO IL NUOVO
superficie 15,93 km² abitanti 201.818 (2018) densità 12.669 ab/km² SVIZZERA Ginevra
UNA VISITA AL CIMITERO DEI RE
Se a Ginevra è sempre stato piacevole vivere, può anche essere bello andarvi a morire. Almeno per quei suoi cittadini, autoctoni od onorari, che hanno avuto il privilegio di essere sepolti nel cimitero di Plainpalais, il “Cimitero dei re”. Trovandosi a passare di lì, l’ultima cosa che verrebbe in mente è trovarsi in un camposanto, nel vedere studenti col computer seduti sull’erba, bambini che giocano, famiglie a spasso: un tranquillo e rigoglioso giardino. Si scorgono poi le lapidi, alcune quasi consunte e coperte di licheni, altre più recenti.
Ci sono tra gli altri lo scrittore Robert Musil, lo psicologo Jean Piaget, il saggista Denis de Rougemont, il regista Claude Goretta. La sepoltura più visitata, a detta dei guardiani, è quella di Borges, che andò ad aspettare la morte nella città dove aveva passato la sua adolescenza. A pochi metri di distanza dalla tomba di quest’ultimo, col suo décor da saga vichinga, ci imbattiamo in una lapide con una targa che attira l’attenzione: “Grisélidis Réal. Scrittrice, pittrice e prostituta. 1929-2005”. Su quella inumazione non tutti furono d’accordo, ma anche questo è un segno di apertura e multiculturalismo. Ancora un po’ più in là troviamo un cubetto di pietra quasi invisibile, su cui a malapena scorgiamo le iniziali J. C.. Sembra incredibile, ma con questa sigla viene ricordato Giovanni Calvino: il terribile riformatore si spense all’età di 55 anni e lasciò detto di voler essere sepolto in una fossa comune. Un’altra piccola placca ricorda Sofija, la figlioletta di Dostoevskij morta a tre mesi di età durante il soggiorno ginevrino del padre, il quale forse aveva per questo qualche giustificazione per levare la sua voce fuori dal coro: “Gi
nevra è spaventosa… È un orrore, non una città”. Pur comprendendo i suoi crucci, ed essendogli grati per il frutto delle sue angosce, c’è motivo di non credergli.
geneve.ch/fr/cimetiere-rois-plainpalais
dalla innovativa riconfigurazione del MEG, il Museo Etnografico della città di Ginevra, ampliato con la realizzazione di un nuovo edificio progettato dallo studio zurighese Graber e Pulver e caratterizzato da una spericolata conformazione a cuneo. La facciata, modulata da losanghe incrociate di alluminio, non è altro che lo spiovente del tetto che precipita quasi verticalmente, nei cui interstizi si aprono finestre romboidali e triangolari. A lungo oggetto di critiche, solo grazie all’esito favorevole di un referendum cittadino i lavori hanno potuto essere avviati e il nuovo museo essere inaugurato nel 2014. La sua esposizione permanente si presenta a noi oggi come Archivio delle differenze umane
I LUOGHI DELLE ARTI PERFORMATIVE
La più recente performance architettonica della città riguarda l’edificio che ospita la nuova Comédie de Genève nell’area della stazione ferroviaria di Eaux-Vives: progettato dallo studio parigino FRES Architectes, completato nel 2020, consiste in un corpo squadrato orizzontale da cui emergono come torrioni quattro volumi separati da intervalli regolari. In questa enorme struttura prende vita un sistema di produzione teatrale che non ha uguali al mondo, e che riassume in sé tutti gli aspetti e i processi necessari alla realizzazione di un singolo spettacolo: su ogni piano è infatti sistemato un atelier diverso, ciascuno dei quali provvede a tutte le necessità di allestimento delle scene e dei costumi. In un contesto dove tutto è automatizzato, troviamo un palcoscenico retrattile e inclinabile nel teatro principale, diverse sale di prova,
STORIES GINEVRA
-
250m GINEVRA UNIVERSITÀ DI GINEVRA JARDIN ANGLAIS PARCO BAUD-BOVY 1 2 3 9 4 3 2 1 4 6 10 11 7 3 4 5 6 7 8 9 10 12 13 11 2 UNIVERSITÀ DI GINEVRA PARC LA GRANGE PARC BERTRAND PARC DE L’ARIANA 1 5 8 2 Km 71 57
matronei che permettono un’osservazione dall’alto, addirittura una salle modulable, con palco e tribune spostabili e ricomponibili secondo le più varie esigenze: in una città dove per due secoli si trovò bandito dal fondamentalismo calvinista, si può dire che il teatro trovi oggi la sua più completa valorizzazione. Ma se questo è il nuovo tempio europeo della commedia e del dramma, opera e balletto a Ginevra restano ancora appannaggio del glorioso Grand Théâtre, inaugurato nel 1879. Dopo che un incendio nel 1951 risparmiò solo il foyer, l’ingresso principale e la facciata, in seguito a un ultimo e decisivo restauro può ora sfoggiare tutta la ritrovata magnificenza dei suoi superstiti stucchi fin de siècle e continuare ad alzare sulle scene il suo singolare sipario di placche istoriate d’alluminio argentato e dorato. E i concerti? Il loro luogo deputato è il Victoria Hall, che stando alle opinioni dei musicofili ha una delle migliori acustiche del mondo, col suo monumentale organo e il suo salone con sontuose decorazioni Liberty, anche queste recentemente restaurate dopo i danni di un incendio. Adibito prevalentemente a teatro è oggi anche il Bâtiment des Forces Motrices, che fu costruito al centro del letto del Rodano tra il 1883 e il 1892 per rifornire le fontane, le case e le fabbriche della città fornendo loro l’acqua del fiume tramite un sistema a pressione. Fu proprio l’esigenza di avere una valvola di sfogo per la pressione che diede luogo all’idea del Jet d’eau, in seguito spostato nell’attuale posizione e potenziato fino a raggiungere l’altezza di 140 metri.
I MUSEI STORICI CON UN OCCHIO AL FUTURO
Con la sua cupola ellittica e la volta stellata al suo interno, l’Ariana, un palazzo fatto erigere tra il 1877 e il 1884 dal collezionista e mecenate Gustave Revilliod nella sua tenuta di Varembé e donato nel 1890 alla città, con le sue ceramiche e oggetti in vetro di tutte le epoche, è uno dei musei più gloriosi, ed era sicuramente anche il più scenografico, con l’immenso parco raggiungibile direttamente da un imbarcadero: almeno fino al 1929, data in cui, secondo il progetto che prevedeva una sede per l’organo delle Nazioni Unite, fu dato inizio al mastodontico complesso di edifici che ne impedisce oggi l’accesso al lago.
Spostiamoci ora sull’altra sponda, sul declivio di Cologny, il luogo in cui Byron e i suoi amici, ospiti di Villa Diodati nella fredda e tempestosa estate del 1816, si divertivano a scrivere storie di fantasmi e di vampiri, e Mary Shelley concepì il suo Frankenstein. Su questo declivio, in due speculari palazzine in stile neoclassico, Martin Bodmer, volendo tradurre in atto l’idea goethiana di una Weltliteratur, apprestò nel 1951 il primo nucleo della Bibliotheca Bodmeriana, collezione di documenti scritti a cui dedicò tutta la vita: oggi può contare 150mila volumi, tavolette cuneiformi, papiri greci e copti, quasi 300 incunaboli e varie centinaia di manoscritti. Dopo l’intervento di Mario Botta, che ha ritagliato nel sottosuolo lo spazio espositivo inaugurato
Ugo Rondinone, When the sun goes down and the moon comes up , installation view at MAH - Musée d'Art et d'Histoire, Ginevra 2023. Photo Stefan Altenburger
GINEVRA APPARE OGGI
COME UNA CITTÀ IN FASE DI ACCELERAZIONE, TRANSITIVA E PARTECIPATIVA, IN CUI TUTTO, DAL PUNTO DI VISTA CULTURALE E ORGANIZZATIVO, SEMBRA INTERCONNESSO.
nel 2003, la Fondazione, creata nel 1971 alla morte di Bodmer, ha assunto oggi una dimensione museale. Il più grande complesso della città resta comunque il Musée d’Art et d’Histoire, inaugurato nel 1910, con la sua collezione comprendente 650mila reperti, dalla preistoria ai giorni nostri, spaziando dall’archeologia alla numismatica, dall’orologeria alle arti grafiche, oltre naturalmente alla pittura e alla scultura. Il direttore Marc-Olivier Wahler, entrato in carica all’inizio del 2020, ha dato un impulso decisivo a un inedito modo di concepire un museo storico, mettendo in relazione le collezioni con l’edificio che le ospita e invitando annualmente un rappresentante della contemporaneità a confrontarsi con i lasciti del passato. Se i precedenti interventi sono stati affidati all’artista austriaca Jakob Lena Knebl, della quale resta memorabile l’idea di inserire una scultura del Canova in un box doccia, e al famoso curatore Jean-Hubert Martin, la più recente “carta bianca” viene data in mano a Ugo Rondinone, con una grande mostra aperta dal 26 gennaio fino all’inizio dell’estate, intitolata Quando tramonta il sole e sorge la luna. Oltre duecento reperti della collezione sono chiamati a interagire con le opere dell’artista svizzero. Il titolo allude a un per-
corso narrativo che ci immerge in un universo notturno e nel lato nascosto delle cose.
All’occorrenza di altre mostre temporanee soccorre poi, come una prestigiosa succursale del MAH, anche il Musée Rath, il quale, aperto al pubblico nel 1826, detiene il record di essere il più antico museo d’arte appositamente costruito di tutta la Svizzera.
ARTE CONTEMPORANEA
OLTRE GLI STECCATI DISCIPLINARI
Ginevra appare oggi come una città in fase di accelerazione, transitiva e partecipativa, in cui tutto, dal punto di vista culturale e organizzativo, sembra interconnesso. La complicità e l’interscambio fra istituzioni e il dialogo tra discipline diverse qui è la regola. A partire dalle due organizzazioni che, oltre alle Nazioni Unite, hanno assicurato alla città la sua fama mondiale: CERN e Croce Rossa. Se vogliamo dare uno sguardo sul panorama artistico contemporaneo di questa città bisogna partire proprio da qui, in un’ottica di progetti condivisi e di interscambio dei saperi. Dalla sua fondazione nel 2011, il programma Arts at CERN, attualmente sotto la direzione di Monica Bello, ha promosso il dialogo tra artisti e scienziati nel più
UN ARTISTA METTE LE MANI SUL MAH
Per la nuova mostra del programma Carta bianca, il Musée d’Art et d’Histoire di Ginevra ha invitato l’artista svizzero Ugo Rondinone a ripensare gli spazi e le collezioni del museo. Ne abbiamo parlato con il direttore Marc-Olivier Wahler.
Quando il sole tramonta e la luna sorge. Già a partire dal titolo, la mostra di Ugo Rondinone (Brunnen, 1964) al MAH rivela la natura ciclica del suo percorso, potenzialmente eterno come l’alternanza del Sole e della Luna. Sono infatti i due astri, che Rondinone traduce in altrettante sculture circolari di cinque metri di diametro, a guidare il visitatore durante la mostra, per scoprire non solo le opere dell’artista svizzero, ma anche la sua reinterpretazione degli ambienti e della collezione del museo. Suddivisa in undici ambienti, la mostra – allestita fino al 18 giugno – si presta a infinite interpretazioni. Mai esplicita né criptica, l’arte di Rondinone viaggia sul calar della sera, in una dimensione romantica e sovrasensibile da cui emergono analogie, riflessi e contrapposizioni.
Dopo le “carte bianche” a Jakob Lena Knebl nel 2021 e a Jean-Hubert Martin nel 2022, ora tocca a Ugo Rondinone. Di cosa si tratta? Carta bianca nasce dalla volontà di lasciare agli artisti la libertà di interpretare e trasformare il museo. L’unica regola è includere la collezione permanente del museo all’interno della mostra. Il Musée d’Art et d’Histoire di Ginevra conserva oltre 800 pezzi tra dipinti, sculture, arredi e oggettistica, con un’estensione temporale che va dalla preistoria al Novecento: per un artista contemporaneo, potersi confrontare con tale diversità storico-artistica rappresenta certamente una sfida e uno stimolo non indifferenti.
Quali sono le sfide e i benefici di lasciare carta bianca agli artisti? La sfida maggiore è convincere il team e il consiglio d’amministrazione del museo di alcune scelte che potrebbero a un primo sguardo sembrare audaci, ma che poi si rivelano vincenti. Dal mio punto di vista, tuttavia, per creare una mostra è necessaria una mente creativa: quando ci relazioniamo con le opere d’arte, non dobbiamo dimenticare che sono state realizzate da una creatività, quella dell’artista, che deve essere rispettata.
In che modo il lavoro di Rondinone interpreta gli spazi del museo e la sua collezione?
Quando venne a visitare il museo e la collezione fu subito colpito dall’estrema simmetria del pianterreno, così come dalla sua circolarità. Ebbe immediatamente l’idea di ragionare su queste qualità per creare un percorso multidirezionale di oltre 2mila metri quadrati, dialogando con due importanti figure della storia dell’arte svizzera, Ferdinand Hodler e Félix Vallotton, e incorporando le sue stesse opere. I lavori di Ugo aiutano la transizione da un autore all’altro, da un ambiente del museo a quello successivo. L’analisi della collezione da parte di Rondinone e l’attenzione con cui ha considerato lo spazio in cui è andato a intervenire sono forse i maggiori punti di forza di questa mostra.
La mostra invita a ripensare il nostro approccio al museo, in modo da percepirlo, più che come un’istituzione inaccessibile, come un luogo in cui può trovare spazio anche l’amore. Questa è una delle nostre grandi battaglie. Il nostro museo è stato costruito secondo un modello del XIX secolo, molto enciclopedico e talvolta persino intimidatorio o autoritario. Noi cerchiamo di creare mostre che siano radicali, profonde, scientifiche, avendo in mente un processo e un esito creativo. In questo modo i visitatori possono esperire le mostre e il museo in modi differenti. When the sun goes down and the moon comes up è costruita sul concetto di ciclicità: non ha un inizio o una fine, è un percorso continuo e potenzialmente infinito. Nei classici musei ci sono categorie, gerarchie. Questa mostra cerca invece di riconciliare gli opposti. Interno-esterno, soffice-duro, luce-ombra non sono più contrari, ma parti di uno stesso sistema. Questo è quello che significa “amore” per me.
ALBERTO VILLA
institutions.ville-geneve.ch/fr/mah/
STORIES GINEVRA
71 59
grande laboratorio di fisica delle particelle del mondo.
Il suo obiettivo è quello di coinvolgere artisti di tutte le nazionalità e di tutte le discipline in un contesto aperto alla cosiddetta fundamental research, un tipo di ricerca pura in cui le categorie di umanistico e scientifico come saperi separati non hanno più ragione di sussistere.
Spostandoci su un altro versante, di carattere umanitario e assistenziale, un esempio lampante di come certe istanze diventino particolarmente veicolabili e condivisibili attraverso la mediazione dell’arte e dell’architettura contemporanee è il Museo Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa: addentrandoci in un taglio che si apre nella collinetta su cui si erge l’ex Hotel Carlton, sede del Comitato della Croce Rossa Internazionale, arriviamo al suo ingresso, che ci immette in uno spazio recuperato totalmente nelle viscere della terra. Le sale dedicate alle esposizioni permanenti sono state ordinate tematicamente nel 2015, mentre era in carica Roger Mayou, coinvolgendo nell’allestimento tre distinti architetti.
Anche l’attuale direttore Pascal Hufschmid ha varato dal canto suo un programma di mostre secondo “annate tematiche”. Nel 2022-23 l’argomento è quello della sanità mentale.
ARTGENÈVE: LA FIERA EMERGENTE DA TENERE D’OCCHIO
Thomas Hug, il quale – insieme a Lionel Bovier, Andrea Bellini e Marc-Olivier Whaler, rispettivamente alla guida del MAMCO, del CAC e del MAH – è uno dei giovani interpreti che più stanno contribuendo all’exploit di Ginevra nell’ambito della scena artistica, ha concepito una fiera d’arte unica nel panorama internazionale, animata da una vocazione che potremmo definire di stampo umanistico ed enciclopedico. Musicologo e pianista di formazione, cultore di gastronomia, ha varato pure la fiera artmonte-carlo nel Principato di Monaco, che a luglio festeggerà il suo settimo anniversario. Nel 2018 ha dato il via al programma della Genève Biennale e al suo Sculpture Garden. artgenève, che si svolge a fine gennaio al Palexpo, ha festeggiato quest’anno il suo 11esimo compleanno con una novantina di gallerie accuratamente selezionate, tra le quali spiccavano, nel settore del moderno, Tornabuoni e Applicat-Prazan. Nel contemporaneo i nomi erano quelli di Gagosian, Perrotin, Templon, Thaddaeus Ropac e Almine Rech, mentre fra le italiane erano presenti Continua, Noero, P420, Studio Trisorio e A arte Invernizzi.
“La particolarità di questa fiera d’arte è una caratteristica originaria”, dice il direttore. “Fin dall’inizio, nel 2012, abbiamo fatto delle scelte precise, limitando il numero delle gallerie ed estendendo la partecipazione ad altre realtà istituzionali: musei, Kunsthalle, scuole d’arte, fondazioni, residenze d’artista, collezioni private”. Questa è la filosofia. Ecco dunque riuniti nell’edizione 2023 ospiti internazionali di altissimo livello: tra gli altri, Centre Pompidou, Musée du Quai Branly, Dubuffet Foundation, Serpentine Galleries; e poi Poush, la dinamica residenza per artisti di Parigi, e ovviamente i fiori all’occhiello cittadini, tra cui il MAH, il CAC, il MAMCO e il Grand Théâtre di Ginevra, mentre Losanna era rappresentata con un omaggio alla storica Galerie Rivolta, una realtà attiva e propositiva nell’ultimo trentennio del secolo scorso, e con la convocazione del giovanissimo spazio All Stars. Presente anche HEAD, la sempre più rinomata scuola d’arte di Ginevra. artgenève/estates ha presentato un focus sull’artista inglese Barry Flanagan, scomparso nel 2009.
Considerato il training pianistico e musicale del direttore, non poteva mancare una sezione dedicata all’importanza del suono nelle arti figurative contemporanee, mentre la novità forse più originale è consistita in una serie di performance che mettevano in evidenza il fattore olfattivo. E, non da ultimo, anche in quest’ultima edizione aveva ampio spazio la “cultura materiale”, con grandi chef chiamati a competere con gli artisti.
artgeneve.ch
Ma il vero motore dell’arte contemporanea lo possiamo vedere in azione nel Quartier des Bains al BAC, Bâtiment d’Art Contemporain, che designa l’edificio dove si trovano il MAMCO, diretto da Lionel Bovier, e il Centre d’Art Contemporain, diretto da Andrea Bellini, il quale ha anche riqualificato e rivitalizzato una storica istituzione come la Biennale de l’Image en Mouvement. Il quartiere ne ha tratto una straordinaria energia, e se pure la pandemia ha ovviamente frenato lo slancio che aveva investito l’area, si può parlare ora di un clima di netta ripresa nell’attività delle gallerie. In città il mercato dell’arte sta ringranando la marcia, grazie anche all’impulso che la locale fiera, artgenève, sta dando al settore, funzionando da calamita per il collezionismo. Il suo creatore, Thomas Hug, ha saputo tradurre con grande sensibilità l’esigenza di coniugare il mercato con la ricerca culturale
LA GARANZIA PER UNA SEMPRE PIÙ AGGIORNATA PROIEZIONE
NEL FUTURO È ASSICURATA DALLA
HEAD, UNA DELLE SCUOLE D’ARTE PIÙ PRESTIGIOSE E INNOVATIVE
D’EUROPA.
e l’attività delle istituzioni, sia locali che internazionali. Un’altra realtà concretizzatasi nel 2018 grazie all’intuizione di Hug è la Genève Biennale con il suo Sculpture Garden, che, svolgendosi d’estate e all’aperto, ha avuto modo anche di dribblare le limitazioni imposte dall’emergenza sanitaria.
La garanzia per una sempre più aggiornata proiezione nel futuro è infine assicurata dalla HEAD, una delle scuole d’arte più prestigiose e innovative d’Europa, nata nel 2006 dalla fusione dell’Ecole Supérieure des Beaux-Arts e della Haute Ecole d’Arts Appliqués, entrambi centri di formazione con due secoli di storia.
In conclusione, se fino a qualche anno fa si poteva constatare qui un passo diverso, rispetto a centri da tempo in posizione molto più avanzata nel sistema dell’arte contemporanea quali Zurigo o Basilea, oggi ci troviamo di fronte a una città che sta bruciando le tappe, compensando la minore quantità in termini di peso mercantile con una dinamicità organizzativa e un’originalità culturale che valgono ad assicurarle un ruolo di anno in anno sempre più incisivo nell’ambito della scena internazionale.
FOCUS SULL’ARTISTA GIANNI MOTTI
Se c’è un artista che a Ginevra ha lasciato e continua a lasciare tracce importanti, questi è Gianni Motti (Sondrio, 1958). Dire che da moltissimi anni abita in questa città non sarebbe del tutto esatto, perché alle domande che riguardano il suo luogo di residenza e i suoi concittadini egli glissa e risponde da nomade, da cultore di paradossi, da attivatore della sensibilità, da sabotatore di luoghi comuni quale realmente è: che il posto dove gli capita di incontrare più ginevrini è Zurigo.
Di sicuro c’è che, a Ginevra, abitano stabilmente e permanentemente alcune sue opere. A cominciare dal frontone del Musée d’Art et d’Histoire, dove è stato piazzato il Big Crunch Clock, un suo lavoro concepito nel 1999, un orologio digitale che conta alla rovescia, secondo per secondo, il tempo che rimane fino all’implosione del Sole, programmato in più o meno cinque miliardi di anni. È singolare che nella città simbolo del tempo esatto e dell’orologeria di precisione scorra ora questo paradossale cronometro.
Ancora una traccia resta al Cimetière des Rois, dove Motti ha eretto una lapide, unica opera facente parte della mostra collettiva Open End, lì allestita nel 2016, a essere rimasta in loco. Vi leggiamo questa frase: “Je vous avais dit que je n’allais pas très bien”. Si parla qui di un tempo definitivamente scaduto, che continua però nella riflessione o nel sorriso amaro di chi legge.
Memorabile poi il video di quasi sei ore che lo riprende mentre percorre a piedi tutto il tragitto di 27 km dell’acceleratore di particelle del CERN. In questo lunghissimo film il tempo scompare, come se non passasse più.
Anche l’opera esposta nel solo show di artgenève 2022 presso la Galerie Mezzanin esprimeva con un simbolismo brutale il passare del tempo, in questo caso il tempo atroce della pandemia: un’automobile tenuta, così come il consueto corso della nostra vita, due anni ferma e rimasta sconciamente imbrattata dai piccioni.
Ma il dialogo di Gianni Motti con la città di Ginevra e i suoi abitanti non si arresta qui: ad aprile inaugurerà Echo, la sua nuova opera permanente nell’immobile Saphir, appena sorto nell’emergente quartiere della stazione di Chêne-Bourg.
STORIES GINEVRA
71 61
Gianni Motti, Higgs à la recherche de l'antiMotti, CERN, Ginevra, 2005, still da video
INTERVISTA AL DIRETTORE #1
LIONEL BOVIER E IL MAMCO
nere la produzione di questo o quel progetto con l’obiettivo di presentarli sui loro siti anche dopo la Biennale. È quindi un progetto che si sta sviluppando bene, anche se le questioni di raccolta fondi sono state rese difficili negli ultimi anni dalla crisi sanitaria o dalle incertezze economiche legate alla situazione politica che stiamo vivendo.
È opinione comune che nel panorama artistico contemporaneo le città svizzere di riferimento siano Basilea e Zurigo. Ma Ginevra è in una fase di straordinaria accelerazione...
Nel Quartier des Bains si trova il BAC, Bâtiment d’Art Contemporain. Uno dirimpetto all’altro, due istituzioni devote all’arte dei nostri tempi. Sulla destra il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea, diretto da Lionel Bovier.
Quali sono le mostre attualmente visibili al MAMCO?
Il 2023 è iniziato con diverse mostre [fino al 18 giugno, N.d.R.] che ruotano attorno alla questione dell’elemento politico nell’arte: dall’arte come forma di discorso e critica sociale alla riflessione sulla politica delle immagini, passando attraverso una puntualizzazione sull’attivismo. Gli spazi sono occupati da una retrospettiva dedicata a Ian Burn, esponente australiano dell’arte concettuale, da una mostra dedicata al collettivo canadese General Idea e da un giro d’orizzonte focalizzato sulla “Pictures Generation”, ricorrendo alle collezioni del museo. In autunno riprenderemo il discorso relativo alla valorizzazione di alcune donne artiste che dal nostro punto di vista non hanno ricevuto l’attenzione che avrebbero meritato, come Tania Mouraud o Emma Reyes. Un piano sarà inoltre dedicato, sempre attingendo dalle nostre collezioni, a una panoramica delle nuove pratiche artistiche emerse dall’inizio del XXI secolo.
Quali saranno le conseguenze dei lavori di ristrutturazione del BAC nelle vostre strategie espositive e cosa prevedete per il periodo in cui saranno in corso i lavori?
La ristrutturazione ha due obiettivi principali: mettere a norma la struttura edilizia e incrementarne la funzionalità, migliorando la circola-
zione del pubblico e ricavando altri locali, come un “espace de médiation”, un salone d’ingresso e una caffetteria. Durante il periodo in cui saremo fuori sede intendiamo lavorare all’organizzazione di una mostra annuale a Ginevra e di una seconda in un museo in un’altra città. Abbiamo proposto al Musée d’Art et d’Histoire di occupare una volta all’anno la sua sede distaccata, il Musée Rath. Ci relazioneremo con i musei della Svizzera tedesca, della Francia e dell’Italia per offrire loro collaborazioni negli anni 2025-2027, con particolare riferimento alle nostre collezioni, che saranno in via eccezionale interamente disponibili per il prestito.
Fai parte del comitato d’organizzazione della Biennale di Ginevra. Quali sono le considerazioni dopo due edizioni? Esporre opere d’arte in spazi pubblici comporta una grande responsabilità e rispetto per la sensibilità delle persone: è un limite o uno stimolo per la creatività degli artisti?
La Biennale di Ginevra è organizzata da artgenève, MAMCO e Città di Ginevra. Sono stato responsabile della programmazione della prima edizione. Gli incarichi affidati a Balthazar Lovay e Devrim Bayar hanno permesso di estendere la riflessione sull’arte nello spazio pubblico attraverso la produzione di numerosi progetti con artisti internazionali. Finora siamo riusciti a consentire lo sviluppo di eventi di qualità nei parchi pubblici di Eaux-Vives e La Grange senza interferire con la loro fruizione pubblica, ma aggiungendo le opere come altrettante proposte di nuove scoperte e interazioni. I Comuni del Cantone di Ginevra mostrano sempre più interesse a soste-
Basilea è indiscutibilmente la città svizzera dei musei: non solo per l’eccezionale qualità del Kunstmuseum
Basel e per l’importanza delle sue collezioni, ma anche per l’orgoglio che la sua popolazione nutre per queste istituzioni. Zurigo riunisce le gallerie più importanti della Svizzera. Ma, a differenza della maggior parte dei Paesi confinanti, la Svizzera offre una particolare caratteristica geografica: è decentralizzata e multiculturale. Dobbiamo ormai tenere conto anche del polo museale di Losanna, e dire che l’ecosistema ginevrino, nonostante una totale mancanza di coordinamento politico, riguardo all’arte contemporanea è attualmente in fase di riorganizzazione. Le relazioni che esistono tra la Kunsthalle della città, la scuola d’arte, la fiera artgenève e il MAMCO oggi sono molto buone ed esistono interscambi con teatri, spazi indipendenti, enti lirici e sale concerti. Ginevra deve poi la sua vitalità artistica anche agli artisti, che non hanno ceduto alla tentazione dei prezzi più accessibili di Berlino o all’attrazione di capitali come Parigi o New York e continuano a sviluppare la loro pratica nella nostra regione.
Ginevra è forse la città con la migliore qualità della vita al mondo. Sapresti individuarne un difetto? Il problema che Ginevra deve ancora affrontare è quello di accettare di essere davvero una città, con i suoi problemi di crescita, la sua ambizione internazionale, la presenza di apparati economici, diplomatici ecc., e non un villaggio il cui aspetto e stile di vita debba essere preservato il più a lungo possibile. Zurigo ce l’ha fatta ed è una città in cui non è meno piacevole vivere.
mamco.ch
© Genève Tourisme, © www.geneve.com, photo Paul Hegi
INTERVISTA AL DIRETTORE #2 ANDREA BELLINI E IL CAC
stra amicizia facilita ovviamente i rapporti tra le due istituzioni. A proposito di obiettivi raggiunti: con il MAMCO siamo finalmente riusciti a far partire un grande progetto di rinnovamento del vecchio edificio industriale che ospita le nostre istituzioni e il Centro della Fotografia. L’anno scorso abbiamo lanciato un bando di concorso internazionale, vinto dallo studio di architettura
Kuehn Malvezzi di Berlino. I lavori di restauro inizieranno a fine 2024 e dureranno tre anni. Nel 2028, se tutto va bene, avremo a disposizione un bellissimo edificio industriale rinnovato, con spazi comuni, una grande hall, una caffetteria, un cinema e un controllo climatico che risponde alle più recenti esigenze di conservazione delle opere.
Già qualche anno fa il New York Times parlava del Quartier des Bains come della “nuova SoHo”. Com’è evoluta la situazione in questi ultimi tempi?
Siamo sempre all’interno del BAC ma stavolta, entrati nella hall, ci muoviamo verso sinistra. Destinazione il Centro d’Arte Contemporanea diretto da Andrea Bellini.
Sono trascorsi dieci anni dal tuo insediamento: quali sono le mete raggiunte e quali gli obiettivi futuri?
Io non credo troppo nelle mete raggiunte, ma sicuramente uno dei risultati più importanti degli ultimi dieci anni consiste nell’aver reinventato la Biennale delle Immagini in Movimento. Con la mia direzione questa storica manifestazione, la cui prima edizione risale al 1985, si è trasformata in una piattaforma di produzione di opere inedite. Fin dal 2014 tutte le opere che presentiamo sono commissionate e prodotte dal Centre d’Art Contemporain. Si tratta credo della sola biennale al mondo che presenta esclusivamente lavori concepiti e prodotti in seno alla manifestazione. Credo poi che, grazie alle mostre di riscoperta e alle grandi retrospettive, siamo riusciti a trasformare l’istituzione in qualcosa di più complesso di una semplice Kunsthalle.
In un’intervista di sei anni fa a questa stessa testata dicevi che il sistema dell’arte di Ginevra era ancora alla prima adolescenza. A che punto della crescita siamo
oggi? E qual è stato il ruolo del CAC in questo processo?
Mi fa un po’ ridere adesso quella risposta, comunque – dal punto di vista della creazione e dell’energia –meglio l’adolescenza che l’età adulta, la quale in fondo rimane sempre e solo una chimera. Oggi direi che il sistema dell’arte di Ginevra è in grado di offre al pubblico progetti diversificati e complessi, grazie a buone istituzioni pubbliche, ma anche a numerosi e dinamici spazi non profit, come i vostri lettori possono constatare andando a consultare il podcast in otto episodi sul Quinto Piano, la nostra piattaforma digitale. A rendere poi interessante il sistema dell’arte cittadino contribuisce in modo sostanziale un’ottima scuola d’arte, la HEAD, la quale attira in città giovani studenti, molto motivati, da tutto il mondo.
La sede del CAC coabita nello stesso palazzo che ospita il MAMCO, nel contesto del Bâtiment d’Art Contemporain. In che modo si sono attuate e si attuano le sinergie con l’istituzione diretta da Lionel Bovier, un tuo coetaneo, entrato nel 2016, anche lui da quarantenne, a dirigere un’istituzione di livello internazionale? Conosco Lionel da più di vent’anni. Quando dirigeva la casa editrice JRP Ringier ho pubblicato con lui diversi libri e cataloghi. Questa no-
È vero che la maggior parte delle gallerie della città sono concentrate nel Quartier des Bains, dove si trovano il Centre d’Art Contemporain e il MAMCO. I due anni di Covid sono stati drammatici, alcune gallerie purtroppo hanno chiuso, ma al tempo stesso qualcun’altra ha aperto. Queste fluttuazioni credo siano strutturali, nel senso che fanno parte della storia di ogni città.
Raccontaci della mostra attualmente allestita al CAC.
È una mostra alla quale lavoro da tre anni: Chrysalis, the butterfly dream [fino al 4 giugno, N.d.R.]. Si tratta di una grande collettiva dedicata alla questione della trasformazione e della metamorfosi. È la nostra seconda collaborazione con la Collection de l’Art Brut di Losanna ed è una mostra complessa e sontuosa, nella quale ogni artista è rappresentato da un polittico di immagini, un’esposizione nella quale tutto si muove e tutto è in procinto di trasformarsi in altro, in qualcosa di inatteso e sorprendente. Attraverso Chrysalis cerchiamo di sottolineare la necessità fondamentale –politica, direi – della trasformazione: tutto cambia e tutti noi dobbiamo cambiare, perché non c’è nulla di più innaturale e anticulturale della stasi, delle identità fisse e delle posizioni dogmatiche.
centre.ch
STORIES GINEVRA
Buhlebezwe Siwani, Mnguni , 2019. Inkjet print on paper, 1/5, 1 part, 100 x 150 cm.
edition
71 63
Photo: Desiré van den Berg
SORPRESA: GLI NFT NON SONO MORTI E SEPOLTI
Magazine
© Luca Soncini per Artribune
STORIES NFT 71 65
CRISTINA MASTURZO
Ai primi di marzo il Centre Pompidou ha annunciato di aver acquisito una serie di opere digitali dell’artista Sarah Meyohas. Il suo lavoro pionieristico nel mondo NFT, Bitchcoin, va così ad aggiungersi ad altri diciassette NFT che sono già nella collezione dell’istituzione francese. E questo accade nel momento esatto in cui gli addetti ai lavori e gli appassionati si interrogano sullo stato di salute del mercato della crypto arte, dopo le vette raggiunte dal comparto nel 2021 e con lo spauracchio di una recessione che incombe su tutti i mercati, non solo quello dell’arte. Intanto, mentre c’è chi è già pronto a suonare le campane a morto per gli NFT – visto il rallentamento delle transazioni, la riduzione dei prezzi, le difficoltà produttive delle piattaforme che hanno dovuto licenziare parecchi dipendenti già nel 2022 e un generale raffreddamento degli entusiasmi del pubblico – le cifre non sono drammatiche. Se restano interrogativi su diversi ambiti, dalla sicurezza alla facilità di esposizione, e di certo il mercato si sta ricalibrando e non di poco, ora il mondo dei musei e delle istituzioni del tradizionale sistema dell’arte guardano invece con curiosità alle sacche creative che lavorano con NFT e blockchain.
SARAH MEYOHAS AL CENTRE POMPIDOU
Piuttosto trascurata dalle cronache di settore, rispetto alla fama di Beeple o di tanti altri artisti per lo più maschi che hanno iniziato ad affollare questo nuovo marketplace, Sarah Meyohas ha iniziato a mintare i suoi primi duecento Bitchcoins nel 2015, ancora prima dell’emergere di Ethereum. Nell’idea della loro creatrice, quei token su blockchain, legati ad altrettante opere fisiche, funzionavano allo stesso tempo come arte e come valuta digitale, che i collezionisti potevano dunque possedere e scambiare, e andavano a mescolare intenzionalmente le carte in tavola tra valore simbolico e trading speculativo nel mondo della creazione artistica. A distanza di qualche anno arriva ora l’interesse e la scommessa di una delle più prestigiose istituzioni internazionali e a febbraio pare sia andata così a buon fine l’acquisizione da parte del Centre Pompidou di Parigi di due dei Bitchcoin di Meyohas, che entrano a passo trionfale nella collezione francese, andando ad affiancare altre 17 opere NFT già acquistate e create da Autoglyph, CryptoPunk, Jill Magid, Jonas Lund, insieme a lavori digitali più storicizzati di Robness e Fred Forest, per citarne solo alcuni. Un’acquisizione, questa aggregata del Pompidou, che segna un landmark nella storia collezionistica degli NFT ed è in effetti la prima nel suo genere da parte di un museo nazionale francese.
LA GALASSIA NFT NELL’ART MARKET REPORT DI ART BASEL E UBS
Che il digital sia uno dei temi destinati ad acquisire un’importanza sempre maggiore e più ampia nel prossimo futuro è fuor da ogni dubbio ma, se servissero dei dati a sostegno, ebbene non mancano, a cominciare dall’annuale Art Market Report pubblicato come sempre da Art Basel e UBS. In attesa della prossima edizione, nell’ultima disponibile, quella rilasciata nel 2022 e che prende in considerazione quindi l’anno 2021, seppure – come ci si poteva aspettare – le
vendite online abbiano subito un rallentamento rispetto all’anno di esplosione del Covid, il 2020, in risposta alla ripartenza degli eventi in presenza, il valore aggregato del segmento ha continuato a crescere. Come a dire che il commercio elettronico di opere d’arte è qui per restare. Comprese le piattaforme non tradizionalmente appartenenti alla filiera dell’arte e dedicate agli scambi di NFT, i Non Fungible Token. Che rispetto alla prima restano un mercato dai confini più contenuti, ma foriero di potenzialità e innovazioni di un certo interesse. Almeno stando anche a quanto musei, istituzioni, collezionisti e studiosi, come dicevamo, stanno facendo nel segmento. In questo mercato parallelo e laterale, con cifre e volumi di affari inferiori a quelli del tradizionale sistema dell’arte di case d’asta e gallerie e dealer, si agitano infatti a ritmi più rapidi che mai posizioni di dominio, nuove traiettorie, preferenze inedite, ruoli ibridi, che lo rendono un bel laboratorio di esperienze con delle tangenze con il resto della filiera. Certo le dinamiche speculative son lì, dietro l’angolo, o quell’angolo anzi lo hanno girato già, e i tempi di rivendita sono quanto mai compressi nell’ambito degli NFT, tanto che i tre quarti del valore del business sono generati da secondi e ulteriori passaggi di proprietà, con una vita media delle opere, prima di una nuova transazione, che non supera il mese in tutto. Quando il periodo medio di rivendita nel mercato dell’arte tradizionale si aggira intorno ai 25/30 anni.
IL MONDO DEI MUSEI E DELLE ISTITUZIONI DEL TRADIZIONALE SISTEMA DELL’ARTE GUARDANO
Vendite online di arte e antiquariato 2013-2021 2013 $3,1 $ miliardi $4,4 $4,7 $4,9 $5,4 $6,0 $6,0 $12,4 +7% +106% $13,3 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020 2021 Fonte: © Art Economics (2022) 9% del totale 25% del totale 20% del totale
I 69 milioni di dollari a cui è stata venduta l’opera di Beeple hanno rappresentato un exploit? Prima gli NFT non esistevano e poi la storia è finita? I dati raccontano una vicenda molto più complessa. Che è tutt’altro che all’epilogo.
CON CURIOSITÀ ALLE SACCHE CREATIVE CHE LAVORANO CON NFT E BLOCKCHAIN.
Se per il 2021 il turnover totale del mercato dell’arte è stato quantificato da Claire McAndrew e dalla sua squadra di esperti di Art Economics in 65,1 miliardi di dollari (+29% rispetto al 2020, anche meglio del totale del 2019 pre-pandemico), nello stesso anno le vendite di NFT – che in quella cifra non sono conteggiate – nel segmento variegato di “art and collectibles” e realizzate sulle piattaforme come Ethereum e Ronin hanno visto una crescita sostanziale, passando dai 4,6 milioni di fatturato del 2019 a 11,1 miliardi nel 2021. Di queste, quelle relative solo a “oggetti” artistici mostrano pure segno positivo, attestandosi a 2.6 miliardi. E intanto di sicuro si capovolgono le percentuali di influenza di un mercato che potremmo dire primario, cioè relativo alla prima vendita di un NFT, e di quello secondario, delle vendite successive alla prima, con un 75% che nel 2020 riguardava appunto il primo scambio e che nel 2021 lascia invece il 73% alla rivendita. In un mercato a suo modo liquidissimo e rapido che ha attratto – per non dire che sembra essere stato pensato per – un gran numero di operazioni speculative.
L’OFFERTA E LA DOMANDA DI NFT
Restando sempre sui dati disponibili a oggi, solo il 6% dei galleristi raggiunti dal report di Art Basel dichiara di aver venduto NFT nel 2021, un altro 19% non ne ha venduti ma sarebbe interessato a farlo nel prossimo
GLI NFT E IL SISTEMA DELL’ARTE. UN MUSEO PER L’ARTE DIGITALE
Quali gli scenari davvero concreti, fuor di bolle di speculazione e gergo da crypto-fan, per gli NFT? E più ampiamente anche per l’arte digitale? Sono alcune delle domande di partenza per il tempo presente e per quello futuro. Ne abbiamo parlato con Ilaria Bonacossa, storica dell’arte, curatrice, già alla guida della fiera Artissima di Torino e ora direttrice del Museo Nazionale dell’Arte Digitale, il MAD, che aprirà a Milano nel 2026 e a cui, in attesa della casa nel cuore di Porta Venezia, sta dando visione, forma e struttura. Proprio per cercare di capire poi quale potrà essere anche il ruolo delle istituzioni in un territorio, quello dei media digitali, ancora tutto sommato da mettere a fuoco.
Quale è l’idea che ti sei fatta delle dinamiche e relazioni tra il sistema dell’arte consolidato e l’emergere di nuovi player dal mondo dell’arte digitale?
Credo che gli attori del mondo dell’arte tradizionale e i nuovi player dell’arte digitale si stiano studiando e non siano ancora riusciti a interagire in maniera sinergica e costruttiva.
Quali sono le rispettive posizioni al momento?
Il mondo dell’arte digitale vorrebbe fare piazza pulita del vecchio establishment, di cui però non conosce bene né la storia né le vere tematiche. E tuttavia, al contempo, gli artisti digitali sognano che le loro opere vengano presentate nei musei.
E il sistema tradizionale intanto?
Il mondo dell’arte tradizionale tenta in maniera miope di rifiutare come “non arte” la rivoluzione digitale, senza rendersi conto che tutte le grandi trasformazioni tecnologiche, come la nascita della fotografia, sono state rifiutate proprio nello stesso modo, salvo poi diventare centrali alla creatività contemporanea.
Quali i rischi delle condotte spregiudicate e speculative in questo frangente?
La problematica è complessa, in quanto nel mercato dell’arte da ormai quasi vent’anni vediamo che il valore economico delle opere d’arte sembra essere predominante sul valore simbolico delle opere e, come per tutti i fenomeni, il mondo digitale ha accelerato e amplificato proprio questa tendenza in atto.
In che modo?
Il mondo dell’arte digitale scommette sulla disintermediazione del mondo dell’arte, o almeno su una nuova forma di intermediazione legata alle piattaforme e alle criptovalute. Questa rivoluzione, teoricamente utopica, nei fatti si è concentrata più sulla speculazione, portando il valore economico a essere l’unica variante per il successo di un artista sulle piattaforme di vendita digitale.
Eppure proprio in questo momento stiamo assistendo all’assunzione di un ruolo centrale e strategico delle istituzioni, non credi?
Mi pare che questo apra piuttosto alla necessità di nuove istituzioni, come il Museo Nazionale di Arte Digitale, che possano concentrarsi sull’arte digitale non solo per fare investimenti e speculazioni, ma per scrivere la storia del presente e delle sue manifestazioni artistiche.
beniculturali.it/ente/museo-nazionale-dell-arte-digitale
STORIES NFT
CERTO
Vendite di arte e oggetti da collezione NFT 2019-2021 Quota di vendite primarie rispetto a quelle secondarie di arte NFT 2019-2021 $ miliardi Fonte: © Art Economics (2022) 2019 $0,6 $4,0 2020 $20,1 $9,9 2021 $2.571,7 $8.592,4 2019 2020 2021 67% 33% 75% 25% 27% 73% valore delle vendite 2019 2020 2021 67% 33% 79% 21% 58% 42% numero di vendite 71 67
LE DINAMICHE SPECULATIVE SON LÌ, DIETRO L’ANGOLO, O QUELL’ANGOLO ANZI LO HANNO GIRATO GIÀ.
futuro, in uno o due anni, diversamente da un 46% che invece non ne ha alcuna intenzione, nemmeno nel futuro, e un 29% che non ha ancora le idee chiare a riguardo.
Nel mondo degli incanti i trend sembrano muoversi diversamente. Dopo l’acme raggiunto nel marzo 2021 da Beeple, che da Christie’s aveva superato i 69 milioni di dollari con Everydays: The First 5000 Days (2021), le grandi case d’asta hanno approntato infrastrutture ad hoc con grandi investimenti anche nel Web3. E le vendite di NFT sono rimaste un tassello delle vendite strategico seppure con valori e aggiudicazioni ben più contenuti: 150 milioni di dollari il totale per Christie’s, incluso Beeple, e 80 milioni per Sotheby’s. Mentre è poi in realtà solo il 5% delle case a essersi messo a pieno regime nel presidio di questo segmento.
Sul fronte della disposizione degli acquirenti effettivi e potenziali, spulciando le opinioni dei collezionisti “High Net Worth”, emerge come a predominare le scelte e le acquisizioni siano sempre le opere prodotte, diciamo così, con media tradizionali, mentre solo un 11% della spesa del campione analizzato è stato destinato ad arte digitale. Anche se una larga maggioranza, il 74%, dei collezionisti, ha effettivamente comprato arte NFT nel 2021, con una spesa media che si aggira intorno ai 10mila dollari. Le cose vanno meglio poi con le generazioni più giovani, che vanno occupando un posto sempre più strategico per il mercato in generale, soprattutto per quello del lusso, ma anche in area NFT. Se è vero, come dichiara il 5% della Generazione Z e il 4% dei collezionisti Millennial, che queste nuove leve di consumatori hanno speso più di un milione in acquisti digital. Tutti comunque o quasi, l’88% del campione, dichiara un interesse crescente per l’arte digitale e l’intenzione di comprare opere NFT in particolare nell’immediato futuro.
LE CASE D’ASTA TRA METAVERSO E WEB3: LA BLOCKCHAIN PER LE VENDITE DI NFT
Come già nella conversione delle attività commerciali sul binario dell’online in tempi pandemici, le case d’asta globali – Christie’s, Phillips e Sotheby’s su tutte –sono state gli operatori con più risorse e con i migliori output. Anche nell’arena NFT le giganti degli incanti hanno dapprima cavalcato l’onda di entusiasmo, inserendo token d’arte nei loro cataloghi, per poi progettare nuovi strumenti e format dedicati esclusivamente a quel segmento.
È il caso di Metaverse, il marketplace digitale e ufficiale per gli NFT avviato nel 2021 da Sotheby’s, con la possibilità di acquisti sia in valuta fiat che in criptovalute, come Ethereum e Bitcoin. E ancora di più del lancio di Christie’s
IL 74% DEI COLLEZIONISTI HA
COMPRATO ARTE NFT NEL 2021, CON UNA SPESA MEDIA CHE SI AGGIRA INTORNO AI 10MILA DOLLARI.
3.0 nello spazio del Web3, a poca distanza dalla avvenuta conclusione di Ethereum Merge, l’atteso aggiornamento della blockchain che dovrebbe consentire al nuovo Ethereum 2.0 di ridurre le emissioni di carbonio fino al 99,95%
Il Merge infatti è stato progettato per ridurre la neces-
ha venduto NFT nel 2021
non ha venduto ma pensa di farlo nei prossimi 1-2 anni
non ha venduto ed è incerto
6%
19%
29%
non ha venduto e non prevede di venderne in futuro
46%
Kunsthalle Zürich, DYOR, PepeSpace.
Photo © Julien Gremaud
Fonte: © Art Economics (2022)
Quota di operatori che hanno venduto NFT nel 2021
sità di complesse operazioni di calcolo inaccettabilmente energivore, nel tentativo di assolvere la criptovaluta dalle accuse sull’impatto ambientale delle sue attività. Anche sulla scorta di questo successo e prima tra le case d’aste, Christie’s ha inaugurato lo scorso ottobre il suo marketplace completamente on-chain. In collaborazione con tre aziende di riferimento del Web3, ovvero Manifold, Chainalysis e Spatial, le aste di NFT della casa inglese si svolgeranno infatti per la prima volta completamente sulla rete blockchain di Ethereum, dall’inizio alla fine. Se infatti la tecnologia NFT non costituisce una novità per la casa, è anche vero che finora le transazioni non avvenivano effettivamente sulla blockchain. Christie’s 3.0 ha rimodellato invece il flusso di attività con transazioni completamente on-chain, un po’ come fanno altri marketplace come OpenSea o Rarible, e abbraccia a pieno l’etica decentralizzata di Web3 in un processo che mira a fornire trasparenza su portafogli e pagamenti. Aggiungendo anche l’implementazione di strumenti per la sicurezza, la conformità legale e la
I MUSEI AL COSPETTO DEGLI NFT: 3 MODELLI DI COMPORTAMENTO
Durante il banchetto speculativo degli NFT, il museo ha interpretato il ruolo del Convitato di Pietra. Figura per eccellenza dell’autorità istituzionale e del gatekeeper di cui l’architettura del Web3 proclamava a gran voce l’inutilità, non ha cessato di essere un modello di riferimento ideale per qualsiasi crypto-investitore che avesse ammassato un numero sufficiente di token. Il coraggio sperimentale di istituzioni come il MAK di Vienna, che già nel 2015 compra in Bitcoin un lavoro di Harm Van Den Dorpel certificato su blockchain, o dello ZKM di Karlsruhe, che nel 2017 acquisisce quattro CryptoPunks (“bruciando” accidentalmente il certificato di due di questi nel 2021), è stato occasionalmente sbandierato come proof-of-concept, attestazione della legittimità della soluzione e dell’arte che veicola, ma senza troppa enfasi. Ma per lo più le istituzioni hanno proceduto con cautela, giustamente preoccupate dalla sfida al loro ruolo, dalle difficoltà tecniche, dalla mancanza di competenze curatoriali specifiche, dalle problematiche legali e fiscali implicite nell’adozione delle criptovalute. Resi intraprendenti dal calo delle visite della fase pandemica, alcuni si sono divertiti a monetizzare (in valuta nazionale) il valore culturale di alcuni capolavori in collezione, vendendo edizioni digitali certificate.
All’indomani del boom, il volume delle vendite si è stabilizzato a livelli pre-Everydays, ma è innegabile che lo scenario sia radicalmente cambiato. C’è molta più curatela. C’è meno speculazione e più collezionismo. Si è ampliato il numero di artisti che non si proclamano crypto artist, che non si limitano a vincolare a un token i loro jpg, ma che sperimentano attivamente – e spesso criticamente – con la tecnologia, lavorano a progetti ibridi, plasmano comunità, giocano con le potenzialità dei codici generativi su blockchain. Anche i musei si stanno ritagliando un ruolo diverso, non sempre virtuoso, applicando diversi modelli, spesso intrecciati tra loro. Il primo consiste nel barattare legittimazione in cambio di visibilità, e occasionalmente di introiti: è la strada seguita, in modi diversi, dal MoMA con Unsupervised di Refik Anadol, da Palazzo Strozzi con Let’s Get Digital!, dal Castello di Rivoli con l’esposizione dell’installazione Human One di Beeple. Il secondo è integrare, in maniera più o meno spiccata, gli NFT nella propria narrazione del contemporaneo e del rapporto tra arte e linguaggi digitali: ne sono esempio mostre come Peer to Peer, curata da Tina Rivers Ryan per il Buffalo AKG Art Museum; DYOR curata da Nina Roehrs per la Kunstalle Zürich, o il lavoro continuativo svolto da Christiane Paul al Whitney Museum. Il terzo è la costituzione di una collezione, come è accaduto al LACMA (che ha accolto una donazione di ventidue NFT da parte del noto collezionista Cozomo de’ Medici), al Centre Pompidou (che ha acquisito 18 NFT realizzati da artisti francesi e internazionali) e ancora all’AKG (che ha acquisito tutte le opere commissionate per Peer to Peer).
In tutti questi casi, il rischio – che si fa più acuto nel caso di donazioni in blocco come quella di de’ Medici – è la legittimazione di interessi privati e di pratiche non rilevanti, ma baciate dal successo economico; la cura è, ancora e sempre, il rigore della curatela e la sua capacità di selezionare e restituire importanza alle pratiche qualitativamente e storicamente più significative.
DOMENICO QUARANTA
STORIES NFT
71 69
NINFA: UNA PIATTAFORMA E UNA GALLERIA PER GLI NFT A MILANO
Nata a giugno del 2022 come piattaforma online per la promozione e la vendita di NFT e arte digitale, con una particolare attenzione alla curatela, Ninfa si è caratterizzata subito come una start-up in evoluzione. E infatti, a distanza di pochi mesi dal lancio, è arrivato a ottobre anche il raddoppio fisico, con l’apertura di una galleria a Milano. Gli artefici? Quattro giovani con esperienze nella consulenza strategica nel mondo blockchain e una passione sia per l’arte che per le crypto valute. A loro abbiamo chiesto di raccontarci sia gli sviluppi di Ninfa che uno sguardo dall’interno su un fenomeno sfuggente, quello degli NFT, che rischia di replicare l’asimmetria informativa che ha sempre caratterizzato il sistema dell’arte tradizionale, mentre vorrebbe sovvertirne regole e legacci. E di aiutarci in fondo a comprenderne punti di forza, criticità, potenziale.
Come nasce il progetto di Ninfa? Ninfa nasce da Brando Bonaretti, Carlo Borloni, Cosimo De Medici e Pietro Barbini, tutti con alle spalle anni di consulenza strategica in BCG, blockchain coding, e passione sia per l’arte che per le crypto valute. Sulla carta l’idea nasce nel 2021, e dopo una veloce fase di prototipazione e un primo round di finanziamento (come ogni start-up innovativa), Ninfa.io viene ufficialmente lanciata nel giugno 2022.
Quale è stata l’intuizione di partenza?
In un mondo sempre più digitale, l’identità virtuale di una persona diventa fondamentale. Gli individui avranno dunque bisogno di personalizzare anche il proprio io virtuale. E quale miglior modo di definire la propria identità se non collezionare? L’idea di fondo è stata creare una piattaforma curata che diventi un punto di riferimento per gli utenti in cerca di collectibles digitali lungo diverse verticali, a partire dall’arte. Una boutique con opere e ticket molto vario, da 300 a 100mila euro.
Come funziona una piattaforma che ha la necessità di salvare l’aspetto curatoriale e offrire un catalogo vasto e internazionale?
Ninfa si appoggia a una serie di gallerie e curatori partner, che una volta selezionati possono dimenticare la tecnologia e fare arte, invitare i propri artisti, gestirne gli NFT e guadagnare una percentuale sulle vendite. Le application sono sempre aperte.
Che valutazione fate di questo primo periodo?
In soli dieci mesi, Ninfa conta più di 600 artisti internazionali, per un totale di quasi un milione di euro di opere sulla piattaforma. Lavora con 30 delle realtà curatoriali più interessanti nell’ecosistema crypto ed è presente in oltre 80 Paesi. Solo il 15% del traffico della piattaforma è italiano, nonostante siamo ora il leader di mercato in Italia e in Europa, posizionandosi come sesto marketplace curato al mondo per volumi venduti al mese nel segmento Crypto Art. Ci siamo tolti anche qualche soddisfazione come start-up, essendo stati nominati da StartupItalia tra le 10 realtà italiane più promettenti sul metaverso e da Sifted.eu tra le start-up da tenere d’occhio nel 2022 in Italia.
Cosa ha aggiunto lo spazio fisico di Milano?
Ninfa Labs ha segnato un altro momento importante per noi. Al momento è l’unica galleria di arte digitale di proprietà di un marketplace al mondo. Dopo l’opening di ottobre, con circa un migliaio di partecipanti presenti, abbiamo collaborato su più di otto mostre con i più grossi collezionisti e artisti di NFT al mondo (Cozomo de’ Medici, punk6529, 33nft, seerlight, Grant riven yun, zhuk). Lo spazio è diventato ormai un luogo di aggregazione per gli attori principali di questo settore in Italia e per gli appassionati internazionali in visita.
Quali fattori hanno attirato l’attenzione di un pubblico più ampio per il mondo NFT?
Da un punto di vista romantico, come micro-collezionista d’arte, penso che sia per tutti stata affascinante l’idea di poter possedere, in modo curato, qualcosa di digitale. Così è stato per me, ed è uno dei motivi che mi ha spinto verso la fondazione di Ninfa: l’idea di poter creare un marketplace digitale che, alla frontiera del retail, può vendere un prodotto che è anch’esso puramente digitale. È incredibile, a pensarci.
E nell’arte nello specifico?
Per il mondo dell’arte è la stessa cosa, e penso che in molti abbiano riconosciuto la possibilità di scoprire i campioni di questa nuova rivoluzione artistica o periodo artistico, e quindi abbiano iniziato in primis a studiare e poi a collezionare alcuni pezzi. Se avessimo l’occasione di collezionare un Picasso o un Modigliani a centinaia di euro, non ne saremmo entusiasti?
Qual è il potenziale degli NFT attualmente?
Penso che la cosa più sorprendente sia
l’inclusività dell’ecosistema, sicuramente presente anche nel mercato online dell’arte fisica, dove un artista può mostrare e vendere a tutto il mondo le proprie opere tramite una pagina internet. Nel mondo NFT tutta questa velocità viene ulteriormente accentuata dal fatto che l’opera sia digitale e che quindi possa volare istantaneamente nella collezione dell’acquirente. Per parlare di numeri invece è un’industria che è passata da 20 milioni a 20 miliardi in qualche anno, e di questi l’arte vale circa un quarto, mentre il potenziale stimato è sul trilione e mezzo entro il 2030.
Quali sono gli sviluppi possibili per il futuro dell’arte NFT?
Se penso a mio fratello di 12 anni, e a tutte le nuove generazioni nate e cresciute dal digitale, è altamente probabile che il loro modo di collezionare arte venga influenzato dal digitale e che, quindi, anche guardando al mondo dell’arte una volta cresciuti, si sentano più a proprio agio a esprimersi tramite l’arte digitale rispetto a quella fisica, sia come artisti che collezionisti. Allo stesso tempo, con la crescente virtualizzazione degli spazi e delle connessioni umane, ci si può immaginare video call nel metaverso, intere sale riunioni e ville ricostruite nel metaverso, e non potremmo mica portarci i Picasso lì! Se poi consideriamo gli NFT come tecnologia abilitante per provare la proprietà di un qualsiasi asset digitale, indipendentemente che sia un’opera o meno, beh, siamo solo agli inizi. ninfa.io
fiscalità, altri temi assai spinosi in questo ambito. Come segnalato infatti a riguardo da Nicole Sales Giles, direttrice delle vendite d’arte digitale di Christie’s: “Incorporando gli strumenti normativi, come l’antiriciclaggio e l’imposta sulle vendite, sia i collezionisti esperti che i nuovi collezionisti di NFT possono sentirsi sicuri nelle transazioni con Christie’s 3.0”. A conferma di un’espansione significativa, dunque, per un mercato degli asset digitali che si munisce di cornici normative e offre il proprio contributo di peso nei processi di validazione degli NFT come forma d’arte a tutti gli effetti e come concreta categoria collezionistica.
MUSEI, COLLEZIONI E POSSIBILI SVOLTE NELLA STORIA DELL’ARTE NFT
“
È interessante come questa creatività sia partita fuori dal mondo dell’arte, dal dominio specializzato in arte digitale, andando lentamente e progressivamente a riecheggiare nel panorama generale dell’arte”, hanno notato su Artnet i curatori Marcella Lista e Philippe Bettinelli, che sovrintendono alle scelte in materia NFT per il Pompidou, rispetto a opere legate alla blockchain che “stanno spostando molti confini”. Anche in termini di apprezzamento critico, e quindi non solo sul versante economico e finanziario.
MAGARI, INVECE, IL MOMENTO
DEGLI NFT È ANCORA DI LÀ DA
VENIRE E COME TUTTE LE STRADE
DI INNOVAZIONE RICHIEDE
UN TEMPO MAGGIORE DI COMPRENSIONE
Certo lo scenario della galassia NFT e la sua percezione nel sistema dell’arte più tradizionale è stato stravolto di parecchio dall’arrivo in asta di Everydays: The First 5000 days di Beeple, tanto che il suo sonoro totale oltre i 69 milioni di dollari da Christie’s continua a essere un termine ante quem e post quem. Un momento di svolta che ha acceso, apparentemente
all’improvviso e in modo repentino, i riflettori su un mondo che era stato fino ad allora nell’ombra, parallelo e ignoto ai più, al di fuori delle community dedicate. Il che però non significa che quell’universo non fosse esistente, ma anzi è sempre stato evidentemente in gran forma e in pieno dinamismo. E pronto a conquistarsi fette di torta sempre più grandi. Perché di certo, a citare sempre Lista e Bettinelli, “NFTs didn’t come ‘out of the blue’”. Ovvero, questa tecnologia e le opere che consente di realizzare non sono spuntate fuori dal nulla, anche se così ci può essere sembrato. E, restando ancora un attimo sul caso del Pompidou, sembra essere arrivato il momento anche di trovare loro un posto nella storia dell’arte Post-War e contemporanea. Per il museo francese, nello specifico, quel posto sarà da individuare, dalla prossima primavera, in prosecuzione delle ricerche concettuali e minimal, con il progetto di esporre nello spazio a loro destinato anche la collezione NFT e digital. Così come, a non voler liquidare la faccenda in modo frettoloso, proprio la riduzione dei volumi delle possibili condotte speculative potrebbe in realtà stare aprendo ora a una nuova fase della storia dell’arte NFT. Caratterizzata da una più distesa riflessione critica e curatoriale che accompagna e consente l’assorbimento e l’ingresso di token artistici nel sacro recinto dell’istituzione museale e in nuove tipologie di collezioni private. O magari, invece, il momento degli NFT è ancora di là da venire e come tutte le strade di innovazione richiede un tempo maggiore di comprensione, sia per chi ne fa che per chi ne desidera possedere. Durante una puntata di Nifty Alpha Podcast, un programma di informazione/intrattenimento per investitori NFT, uno degli ospiti ha detto qualcosa che in italiano potrebbe suonare all’incirca così: “Ci è molto chiaro in questi giorni che gli NFT potrebbero non essere il futuro in questo esatto momento”. Un po’ una battuta, un po’ anche un pensiero condivisibile, temporaneamente però, perché poi in effetti si è concluso: “It’s the future, but just not today”.
STORIES NFT
Quota di spesa dei collezionisti HNW che hanno acquistato NFT nel 2021 Fonte:
Gioco e metaverso 16% Altri oggetti da collezione 15% Sport 15% Altro Arte Numero totale di NFT Valore complessivo di NFT 23% 31% Arte 37% Altri oggetti da collezione 13% Sport 13% Altro 8% Gioco e metaverso 29% 71 71
© Art Economics (2022)
PER ABBONARTI IN UN ATTIMO FOTOGRAFA E CLICCA QUI > > sparti.it/premio-sparti/ AREE ESPOSITIVE
33 PERUGINO/PERUGIA • HELMUT NEWTON / MILANO • VITTORE CARPACCIO/VENEZIA MICHELANGELO PISTOLETTO/ROMA • ROY LICHTENSTEIN/PARMA
SPETTACOLO Direzione Generale
CITY POETRY PIERO FOGLIATI 23.03.23—9.06.23 FORO BUONAPARTE 68, MILANO
Photo credis: Sarah Indriolo
a cura di ALEX URSO SHORT NOVEL Inquadra il QR per
con l'artista 71 88
leggere l'intervista
THE ART MARKET 2023
A report by Art Basel & UBS. Launching April 4.
IL BOOM CULTURALE DELLA PENISOLA ARABICA E L'ASSENZA DELL'ITALIA
Gli equilibri del mondo stanno cambiando in maniera veloce e definitiva. È un cambiamento che l’attuale generazione di esseri umani sta vivendo in prima persona, già da decenni e per i decenni a seguire. I baricentri si spostano. Si spostano quelli del potere, quelli dell’economia, quelli della politica. Si spostano anche i baricentri della cultura e dell’arte. I poli di irradiamento del resto sono sempre cambiati: un tempo la Grecia, poi Roma, Firenze, Vienna, Parigi, Londra, New York, perfino Los Angeles. Chi oggi ha tra i 35 e i 45 anni ha visto coi propri occhi la nascita (e il declino?) del fenomeno culturale cinese, praticamente dal nulla. Evoluzioni che richiedevano secoli ora germinano e talvolta si consumano nel giro di decenni.
Evoluzioni che richiedevano secoli ora germinano e talvolta si consumano nel giro di decenni.
Dopo il decennio cinese, il prossimo decennio – gli Anni Trenta – potrebbe essere quello dell’India. Questo decennio che stiamo vivendo invece – gli Anni Venti – sembra configurarsi come un periodo caratterizzato da un significativo attivismo mediorientale: i
Paesi arabi hanno capito che le risorse fossili sulle quali hanno basato il loro benessere potrebbero esaurirsi o comunque potrebbero essere sempre meno richieste dai consueti clienti, oggi più attenti alla sostenibilità ambientale. Con una buona dose di lucidità, i governi – spesso tutt’altro che democratici – di Kuwait, Arabia o Emirati hanno capito che dovevano differenziare e cambiare la loro economia. Tra le altre strade intraprese c’è stata quella della cultura, dei musei, degli investimenti artistici, degli acquisti di opere d’arte, della scommessa sull’architettura contemporanea.
Mi è capitato di analizzare di recente come si stanno determinando questi sommovimenti e in virtù di quali accordi i Paesi arabi stanno imparando, incorporando modalità e contenuti, crescendo in termini di competenze. Un esempio? Il Louvre apre nel Golfo,
DOHA
MIA – Museum of Islamic Art
NMOQ – National Museum of Qatar
Qatar National Library
Mathaf – Arab Museum of Modern Art
ABU DHABI
Louvre Abu Dhabi
Abrahamic Family House
Zayed National Museum
Guggenheim Abu Dhabi
DUBAI
Museum of the Future
Jameel Arts Centre
Alserkal Avenue
JEDDAH
Al Balad Cultural Square APERTI
il Pompidou pianifica sedi nei deserti dell’Arabia Saudita. Non è un caso. È una scelta diplomatica ed economica precisa, che l’amministrazione francese (nella figura proprio del Presidente della Repubblica mediante apposite agenzie governative) adotta come una strategia: avanzare su territori in grande sviluppo e dotati di ingenti disponibilità economiche con le proprie imprese e con i propri “brand” culturali di pari passo. Così da non perdere treni che non passano di frequente.
Quando in Arabia ho chiesto ragguagli su cosa stesse facendo l’Italia, come Paese, ho ricevuto risposte inequivocabili: non si sta giocando questa partita.
Quando in Arabia ho chiesto ragguagli su cosa stesse facendo l’Italia, come Paese, ho ricevuto risposte inequivocabili: non si sta giocando questa partita. Non esiste. Esistono delle aziende italiane, delle eccellenze anche culturali (ah, la retorica delle eccellenze…) che sono a tal punto eccellenti da vincere da sole pur senza un sistema Paese alle
MUSCAT
Oman National Museum
spalle. Non c’è una pianificazione, non c’è una visione e non sembra importare granché l’opportunità di agganciare in un modo o nell’altro i nostri grandi poli culturali a contesti che hanno a disposizione denaro e hanno bisogno di contenuto (laddove noi abbiamo tantissimo contenuto e pochissimo denaro). Eppure di nomi credibili e spendibili su uno scacchiere internazionale ce ne sarebbero: dal MAXXI agli Uffizi, da Brera alla Triennale. Sembrano però tutti impegnati a sviluppi per linee interne: gli Uffizi intenti ad aprire altre sedi in Toscana, il MAXXI a espandersi in Abruzzo e a breve a Messina…
Se fosse una scelta, sarebbe anche rispettabile. Ma non sembra esserlo: una attività intensa, diplomatica, strutturata di collaborazione con grandi potenze in via di sviluppo non viene esclusa per motivi politici o ideologici o strategici. Semplicemente non è considerata, non è valutata e soppesata per l’importanza che ha. Ma starsene ai margini – per decisione lucida o per sciatteria e innata propensione al declino – non è mai qualcosa privo di conseguenze, specie per un Paese che si definisce superpotenza culturale.
MASSIMILIANO TONELLI
ARABIA SAUDITA
YEMEN OMAN UAE QATAR
IN PROGRESS
ou’ve got a way to keep me on your side / You give me cause for love that I can’t hide / For you I know I’d even try to turn the tide / Because you’re mine, I walk the line”. I celebri versi scritti nel 1956 e intonati dalla voce graffiante di Johnny Cash sono stati letti più volte come un’autentica promessa d’amore. Risuonano spesso nelle orecchie del sottoscritto data la passione sfrenata per la sua musica, hanno però assunto un significato diverso durante la lettura di una recente notizia. Se siete fortunati, la ritroverete semplicemente cercando su un motore di ricerca: The Line. Il futuro dell’abitare nello spazio urbano sarebbe infatti la “città lineare”, un mastodontico complesso che, a quanto pare, è già in costruzione e si estenderebbe per 170 chilometri nella provincia di Tabuk, in Arabia Saudita. Pur collocandosi in un’area pressoché desertica sulle coste del Mar
Abbiamo davvero bisogno di questa alternativa? È possibile che l’ipotesi futuribile immaginata nel presente sia così vicina a una distopia?
Rosso, l’imperiosa struttura, la cui apparenza si colloca tra il Nautilus del Capitano Nemo (ne La leggenda degli uomini straordinari) e un pantagruelico Bosco Verticale, si offre ricca di acqua e rigogliosa vegetazione completa di tutti i confort per un’esperienza di vita meravigliosa. Gli slogan che la raccontano grondano di accessibilità, funzionalità e, ovviamente, sostenibilità: è già tutto previsto, ogni dettaglio è stato passato al vaglio degli ideatori, il progetto corrisponderà alla realtà, presenze umane comprese.
La domanda allora è: abbiamo davvero bisogno di questa alternativa? È possibile che l’ipotesi futuribile
immaginata nel presente sia così vicina a una distopia? Prendiamo per esempio l’immagine guida che appare sul sito internet, nel video di presentazione e perfino a corredo dei numerosi articoli che ne annunciano l’imminente erezione. È impossibile non notare la somiglianza con un fotomontaggio di architettura radicale, che allora però nasceva con scopi opposti. “La città cammina; si snoda come un maestoso serpente attraverso territori sempre diversi, portando a spasso i suoi otto milioni di abitanti, attraverso valli e colline, dai monti alle rive dei mari, generazione dopo generazione”: così si apre la descrizione della settima delle Dodici città ideali del Superstudio, ognuna delle quali nasconde in piena evidenza uno o più lati oscuri. In esse, e nelle metafore che rappresentano, lo sfruttamento del lavoro, l’omologazione delle esistenze, l’alienazione della ripetitività fungevano da monito rispetto alla dittatura della regola progettuale e all’ottenebramento del progresso fine a se stesso.
Sarà la rigidità geometrica di The Line, forse, a incutere in chi scrive un sentimento di inquietudine, sarà la sua declamata perfezione, l’assenza garantita di qualsiasi difetto o imprevisto a scatenare una incontenibile volontà di trasgressione. Eppure, come scriveva Manlio Brusatin nel suo Storia delle linee, “la vita è una linea, il pensiero è una linea, l’azione è una linea. Tutto è linea”. Ma aggiungeva: “Anche per Euclide la linea si stacca dalla dimensione dei corpi per riuscire a dominarli”. Chissà che non si riesca a fermarsi prima di aver tirato una riga che sarà impossibile cancellare.
CLAUDIO MUSSO
EDITORIALI LINEA DI NON RITORNO
71 95
Y
Pare che abbia scandalizzato l’articolo in cui dicevo, in questa sede, che pittura e scultura, nelle Accademie di Belle Arti, dovrebbero essere tolte dal novero delle discipline professionalizzanti, ma lasciate solo come corsi liberi di alta cultura. La cosa è sembrata irrispettosa da parte mia, un grave vulnus inferto a materie di grande e storico prestigio. Ma immaginiamoci se questa è stata l’intenzione di uno come me, che per tutta una vita, da critico e storico dell’arte, l’ho difesa e continuo a difenderla, rimettendomi perfino a dipingere come segno eloquente di fedeltà e di impegno in questa materia.
Si insegnino pure i segreti del mestiere, della tecnica, ma ci si arresti alla soglia di indicazioni stilistiche, o vogliamo tirar su una squadra di epigoni di Lodola, per restare in Italia, o del misterioso Banksy?
Resta vero però che nella vita pratica di tutti i giorni non c’è richiesta di pittori e scultori, bensì di grafici per il settore enorme della pubblicità, dei fumetti, di cartoni animati, così pure di fotografi, con lo sviluppo nella video-arte. Allo stesso modo non c’è richiesta professionale di poeti e di romanzieri, benché questi continuino ad apparire, e anzi abbondano più che mai, ma non escono con titoli accademici, non ci sono lauree per loro nelle Facoltà di Lettere, che però educano alla critica, o anche al giornalismo, al mestiere di fare interviste, e beninteso all’insegnamento.
Vogliono le Accademie entrare davvero nella stessa dimensione degli Atenei o mantenere sempre un ambiguo statuto intermedio? Naturalmente la presenza di grandi artisti con ruolo ad honorem è perfettamente giustificata, ma questi potrebbero solo allevare una mala squadra di imitatori. Meglio evidentemente insegnare le tecniche, che certo possono portare a realizzare ottimi lavori di street art, o comunque trovare mille impieghi nella società odierna, in tutte le sue articolazioni. Ma anche qui, si insegnino pure i se-
greti del mestiere, della tecnica, ma ci si arresti alla soglia di indicazioni stilistiche, o vogliamo tirar su una squadra di epigoni di Lodola, per restare in Italia, o del misterioso Banksy?
Credo che una serie passiva di ripetitori sarebbe del tutto nociva e indigeribile, mentre senza dubbio sarebbero validi dei consigli per come aggredire le pareti di edifici pubblici e privati, di scuole, di ospedali. Per questi da tempo si suggerisce di evitare l’imbiancatura delle pareti, squallida e funesta come un loro annerimento, ma, soprattutto negli ospedali per l’infanzia, ci starebbero bene delle invenzioni degne di cartoons o altro. E da tempo suggerisco anche che nelle infinite rotonde del traffico si inseri-
scano delle sculture, ma anche in questo caso non una popolazione di imitatori passivi di Consagra o di Franchina o di altri idoli del nostro tempo. Questi luoghi devono essere piuttosto una palestra per nuovi talenti, a cui però qualche consiglio tecnico di come erigere le loro sculture ci può stare: nuove materie plastiche, polvere di marmo, o che altro?
I grandi artisti siano come i docenti emeriti nelle Università, chiamati a proteggere e dare copertura economica alla loro creatività, senza obblighi didattici. Spero di essermi spiegato e di aver allontanato ingiusti sospetti nei miei confronti.
ELOGIO DEI PITTORI (MA NON DEGLI EPIGONI)
RENATO BARILLI
Renato Barilli, Alla firma di autografi , 2018, tempera su carta
DONAZIONI E POLITICHE CULTURALI MIOPI IL CASO DEI MUSEI CIVICI DI VENEZIA
All’inizio dell’anno è stato sottoscritto un importante atto di donazione con il quale sono state trasferite al patrimonio del Comune di Venezia ben 105 opere d’arte contemporanea della collezione Gemma De Angelis Testa. Un sogno per ogni sede museale e per i visitatori, ma che purtroppo rischia di restare tale in quanto si è proceduto all’acquisizione senza prima trovare una adeguata sistemazione stabile e coerente alle opere, così da farle diventare parte integrante dell’offerta culturale locale, relegando l’intero lascito a sporadico elemento espositivo temporaneo del calendario di Ca’ Pesaro.
Ciò per il fatto che chi dovrebbe curare questo aspetto nella gestione del patrimonio della Fondazione dei Musei Civici di Venezia, ovvero la direzione, è stata soppressa dalla amministrazione comunale, lasciando nelle mani di un dirigente interno l’amministrazione stessa di una delle fondazioni culturali di partecipazione più complesse (con undici sedi museali) e ricche d’Italia. Una vicenda più che emblematica (ma passata in sordina) di una idea di città, al contempo un colpo di spugna e un appiattimento organizzativo voluto dal sindaco (nonché assessore alla Cultura), che, se a suo tempo ha destato preoccupazione (inascoltata), oggi già impatta negativamente sull’intero assetto delle prossime politiche e della produzione culturale della città, già oppresse da un costante e progressivo decadimento.
Sostituire una figura di alto profilo e competenza specifica con un dirigente interno, senza dare avvio a una procedura di selezione pubblica, anche a livello internazionale, che sia in grado di individuare una professionalità adeguata alle necessità e all’importanza dell’istituzione, è semplicemente la rappresentazione di una chiara volontà che mira a piegare la cultura e le sue istituzioni locali a logiche provinciali, puramente aziendali, tutt’altro che auspicabili: rinunciare a tale posizione di indirizzo e coordinamento, che richiede un costante impegno altamente specializzato, che deve essere capace di rappresentare il meglio della cultura e l’immagine italiana sulla piazza internazionale, che possa dialogare di museologia e didattica, e che sia anche capace di valorizzare, insieme ai patrimoni museali, le bibliote-
che e gli archivi di ricerca che vi sono connessi, pensare a tutto questo secondo logiche al ribasso (senza nulla togliere alle professionalità già presenti nell’amministrazione) non può essere una via percorribile sia in generale che tanto più oggi, in un periodo storico complesso come quello che stiamo vivendo.
In questo caso, poi, parliamo di stampe, sculture, serigrafie, dipinti, arazzi, del valore complessivo di oltre 17 milioni di euro. La raccolta comprende capolavori di Robert Rauschenberg e Cy Twombly affiancati ai maestri dell’Arte Povera Mario Merz, Michelangelo Pistoletto, Pier Paolo Calzolari, Gilberto Zorio. Un viaggio nell’arte del secondo Novecento con opere fondamentali della produzione di Anselm Kiefer e Gino De Dominicis, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Mario Schifano e ancora sculture di Tony Cragg ed Ettore Spalletti; o le visioni di Marina Abramović, Vanessa Beecroft, Candida Höfer, Mariko Mori, Shirin Neshat, tra le altre. Uno straordinario patrimonio artistico che andrà ad arricchire le collezioni della Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, ma che rischia di finire nei depositi e di non esser valorizzato adeguatamente a causa di una gestione miope, capace di condannare una grande risorsa all’oblio e alla margina-
lità, sprecando, letteralmente, un’altra preziosa opportunità di rilancio del settore culturale e della città stessa. Un caso che rimanda a un altro lascito (ottenuto a luglio 2020), di cui si sono perse le tracce: un importante atto di donazione con il quale sono state trasferite al patrimonio del Comune di Venezia ben 34 opere d’arte della collezione Prast con opere a firma di Klee, Schiele, Kandinsky, de Chirico, Morandi.
Il punto è che mentre la città di Roma ha individuato un nuovo direttore per i suoi Musei Capitolini con una ricerca pubblica con parametri professionali ben oltre l’eccellenza, a Venezia si è proceduto in maniera spedita nella direzione opposta, con la soppressione della figura di direttore ad hoc. Una soluzione miope, questa, l’ennesima, che relega la cultura a un qualcosa di ancillare, su cui giocare al risparmio e da sfruttare (vedi il rincaro del biglietto d’ingresso a Palazzo Ducale: 30 euro). Un mix letale che rischiererebbe solamente di acuire una crisi profonda per la città, con una progressiva e inesorabile mancanza di progettualità e di visione del futuro, capace solo di usare le proprie istituzioni culturali come mero espediente per attrarre turisti ignari, invece che come strumento di innovazione e di avanguardia.
EDITORIALI
MASSIMILIANO ZANE
SanMarco
Santa Croce Dorsoduro
Cannaregio Castello Murano San Polo Giudecca Burano
PALAZZO DUCALE MUSEO CORRER CA' REZZONICO
CA' PESARO
MUSEO DEL VETRO
MUSEO DEL MERLETTO
MUSEO FORTUNY TORRE DELL'OROLOGIO
CASA DI CARLO GOLDONI
MUSEO DI STORIA NATURALE
MUSEO DI PALAZZO MOCENIGO 71 97
I MUSEI CIVICI DI VENEZIA
INTELLIGENZE ARTIFICIALI: OPPORTUNITÀ O RISCHIO?
La convivenza tra creatività artistica e AI può essere vista sia come un’opportunità che come un rischio, a seconda di come viene utilizzata e interpretata. Le opportunità sono che nel giro di 16 secondi, oggi, marzo 2023, è possibile creare l’immagine di “un castello di sabbia costruito con le spiagge di Honolulu, Bonassola, Senigallia, Gallipoli, Coney Island e la Normandia e compattato con le acque dell’Oceano Pacifico, Indiano, Artico e Atlantico”. Tra dieci anni, marzo 2033, sarà possibile (in un tempo analogo) creare “un film documentario in pellicola a colori, nello stile di Jonas Mekas e Agnès Varda, che documenta la misteriosa pioggia di serpenti che sta colpendo la città di Borongan, nelle Filippine, 1972”. D’altra parte, da un punto di vista strettamente artistico, l’intelligenza artificiale può rappresentare un grande rischio, ovvero quello di trasformarsi in un “orrendo mostro mutaforme divoratore di tutti i nostri sogni e le nostre speranze, nello stile di Frank Stella”.
ROBERTO FASSONE ARTISTA
GIANLUCA MARZIANI CRITICO E CURATORE
DOMENICO QUARANTA CRITICO E CURATORE
Opportunità per l’arte, rischio per la creatività. Se, negli anni scorsi, l’utilizzo delle GAN ci ha permesso di esplorare un immaginario alieno, metamorfico e disturbante, il lancio recente di language model come ChatGPT e di strumenti Text-To-Image ha consentito di produrre immagini fotorealistiche, imitare stili e linguaggi visivi codificati e nutriti da un numero sufficiente di esempi. Come ha sempre fatto, l’automazione rende superfluo e anti-economico il lavoro umano che può essere automatizzato: è arrivato il momento di illustratori, designer, concept artist, editor, giornalisti ecc.? Potrebbe essere, e trovo ragionevoli e sensati i tentativi di regolare l’uso incondizionato di immagini “autoriali” nei dataset. E tuttavia, temere che dei generatori statistici educati su tutta la spazzatura dell’internet siano un rischio per l’arte è un insulto per l’arte. Se la tecnologia erode lo spazio dell’umano, è compito dell’arte – il nostro eterno Turing Test – rinegoziarlo e definirlo su nuove basi. Per l’arte, ogni sviluppo nel campo dell’AI è solo una nuova occasione per sperimentare, ricercare, fare un tuffo nell’ignoto, riformulare ed espandere la funzione autoriale.
Il presente ad alto tasso elettronico delinea un nuovo habitat sociale che riguarda la politica, l’informazione, la cultura, le relazioni, il commercio, la mobilità, l’intrattenimento. È uno spazio che ha seguito l’allinearsi graduale tra comunità umana e processo tecnologico: un archetipo categoriale che, partendo dalle profezie di Boris Groys, trova nelle AI il nuovo design collettivo. La natura liquida di un approccio algoritmico rende il concetto di design (inteso come nuovo disegno delle forme del mondo) permeabile ed elastico, circolare e stratificato, sorta di ridefinizione planetaria in una chiave finora mai sperimentata. La cultura digitale implementa nuove soluzioni attorno agli elementi esistenti, mescolando mattoni del passato con mattoni di nuova alchimia, edificando architetture più instabili ma anche più empatiche e diffuse. Per un periodo si sbaglierà ancora tanto e in modi anche ingenui, ed è il tipico contraltare quando plasmi in diretta la forma del nuovo. Il sistema delle arti sta cercando la sua coscienza dopo le vecchie ideologie, dopo la bomba finanziaria, dopo il feticismo per il tangibile, dopo un virus che ha devastato il visibile. La nuova coscienza è quella allenata al bug di sistema, all’eccezione al posto della regola, all’imprevisto come fattore evolutivo; risiede qui l’anima dell’ultimo antagonismo culturale, delle retine tarate sui monitor, del nuovo pollice da motilità digitale; ed è qui che la memoria fisica, implementata al digitalismo radicale, sta prendendo il suo spazio ibrido, la sua nuova natura, il suo margine di rinnovamento necessario. A fare da ponte linguistico tra le due dimensioni saranno proprio le AI. Cosa accadrà? Lo sapremo solo vivendo...
Recentemente mi hanno chiesto se le macchine fossero in grado di fare arte e non ho saputo rispondere. Da un lato questa tecnologia ha fatto dei progressi inimmaginabili in pochi anni, quindi chissà cosa sarà in grado di fare in futuro, ma dall’altro lato penso che nella marea di immagini prodotte da umani e macchine la vera differenza la fa ancora la capacità di fare una scelta, accorgersi e riconoscere se nel potenziale ci sia qualcosa di significativo da salvare.
Ho chiesto anche a Siri e mi ha risposto: “Bella domanda, ma non riesco a trovare una risposta”.
CREATIVITÀ E
IRENE FENARA ARTISTA
MAURO
Non esiste la creatività dell’AI, non sappiamo neppure come crearla. Esistono algoritmi che possono assistere le persone creative e renderle più creative. Per esempio con i modelli Diffusion possiamo generare immagini partendo da un testo, con i modelli GAN siamo in grado di generare nuovi dati a partire da un insieme di dati di partenza. Questi algoritmi generativi sono di per sé inutili, spenti. Diventano capaci di generare arte solo sotto il controllo di artisti, e di creare immagini e suoni insignificanti e poco innovativi sotto il controllo di persone sprovvedute e poco creative. Dal punto di vista artistico penso ci siano solo dei vantaggi, essendo l’AI generativa un nuovo strumento espressivo. Intravedo conflitti nel mondo della produzione di contenuti commerciali. È indubbio che i processi di produzione di immagini, film e suoni si stiano accorciando, rendendo più facile la creazione di contenuti anche a chi non ha alcuna capacità tecnica.
Stiamo vivendo una rivoluzione tecnologica epocale, con profonde ricadute anche in ambito artistico. Non bisogna però perdere di vista che le AI, attualmente, sono uno strumento attraverso cui generare contenuti. Grazie alla facilità nell’utilizzo di alcune AI di ultima generazione, in moltissimi possono “giocare” realizzando immagini e testi piacevoli, sbalorditivi, ma comunque ordinari. La storia dell’arte ci insegna però che il problema non sono né gli strumenti né la formalizzazione, bensì le posizioni estetiche. Quando la fotografia, all’inizio del Novecento, divenne uno strumento alla portata di tutti, in molti potevano rappresentare il mondo in maniera rapida e fedele, ma solo alcuni hanno cambiato la storia della nostra cultura formalizzando le proprie posizioni estetiche attraverso lo strumento fotografico. Come ogni tecnologia, l’AI è un’opportunità da manipolare ed esplorare. Ci ricorderemo però solo di chi riuscirà a utilizzarla trasformando l’ordinario in straordinario.
VALENTINA TANNI
STORICA DELL’ARTE, CURATRICE E DOCENTE
Creatività artistica e AI sono concetti molto vasti e sfaccettati. Per questo, studiare la relazione che si instaura tra questi due ambiti è un compito complesso. Volendo semplificare, possiamo senz’altro dire che il settore dell’AI offre moltissime opportunità agli artisti e a tutte le figure creative in genere, a patto che si adotti un atteggiamento critico e consapevole. Come molti artisti ci hanno fatto notare in passato, l’arte “tecnologica” nasce sempre dalla relazione che l’essere umano instaura con lo strumento che utilizza. Qualcosa di interessante può emergere solo dal dialogo attivo con la macchina e non da un suo utilizzo passivo. Sul versante rischi, ci sono due scenari che vanno scongiurati. Il primo consiste nella standardizzazione dei canoni estetici, che può essere una conseguenza dell’adozione di massa di determinati sistemi; mentre il secondo riguarda lo sfruttamento indiscriminato e non retribuito del lavoro degli artisti da parte di un piccolo gruppo di aziende.
La convivenza tra creatività umana e computazione nasce con lo stesso sviluppo tecnologico e prima ancora con l’immaginario collegato. Si pensi ad esempio alla straordinaria ricerca di Manfred Mohr. Quello che è davvero cambiato è che queste tecnologie che definiamo “intelligenti” oggi sono molto più pervasive e i sistemi che le alimentano sempre più complessi. I più recenti sviluppi in questo senso, da ChatGPT ai vari Text-To-Image, se da un lato rappresentano un’estensione del potenziale creativo, dall’altro sono basati su logiche di estrazione e organizzazione dei dati che diventano pericolose nel momento in cui non ne siamo consapevoli. Perché una AI mi restituisce un determinato risultato? In che modo quel risultato è rappresentativo del mondo e della società in cui vivo? Non è in dubbio inoltre che questi sviluppi porteranno alla perdita di alcune professionalità nell’industria creativa. L’atteggiamento però che ritrovo in molti artisti contemporanei non è quello della chiusura ma piuttosto della speculazione e della ricerca di nuovi percorsi possibili.
TALK SHOW a cura di LIVIA MONTAGNOLI
MARTINO DIRETTORE DEL VISUAL ARTIFICIAL INTELLIGENCE
LAB DEL MIT-IBM RESEARCH DI CAMBRIDGE
Da un lato le potenzialità di nuovi strumenti espressivi che si concretizzano in generatori di immagini come Midjourney e modelli di linguaggio generativo come ChatGPT; dall’altro gli interrogativi sulla possibile perdita o indebolimento di professionalità nel sistema dell’industria creativa, lo spauracchio di una standardizzazione dei canoni estetici, la violazione del diritto d’autore per nutrire le intelligenze artificiali di immagini che contribuiscano al perfezionamento dell’ingranaggio. Come si prefigura la convivenza tra creatività artistica e AI? Opportunità o rischio? Lo abbiamo chiesto a otto opinionisti.
NUMERO CROMATICO COLLETTIVO ARTISTICO
DANIELA COTIMBO CURATRICE
71 99
COSA INSEGNA SANREMO ALL'EDITORIA
Impariamo da quello che vediamo. Sanremo, al di là delle dietrologie di qualsiasi natura, è stato un grande successo. Questo ha come unico parametro gli ascolti assoluti e lo share. Tante persone di inedite fasce di pubblico hanno scelto la tv e di vedere il festival annuale della canzone italiana. Parte di questo successo, gran parte aggiungerei, oltre alle consuete contingenze, è merito del format scelto e in particolare degli ospiti che hanno animato le serate. Il segnale che colgo è che per allargare le fasce di pubblico e rimotivare quelle abituali serve aggiornare contenuti ma soprattutto linguaggi
Purtroppo un’abituale miopia è sedersi nelle convenzioni senza porsi domande circa la loro eventuale obsolescenza. La tv ormai è un medium antico al limite del desueto. Parlo del broadcast. Piattaforme digitali customizzabili e social
l’hanno resa inattuale.
La grande attenzione raccolta dal Festival dimostra che portare le “star” di media più attuali e seguiti attrae attenzione: è il cosiddetto crossover mediale.
Sono tante le piattaforme culturali desuete, al limite dell’obsolescenza. Tutte necessitano di aggiornamenti e ripensamenti continui. Il cinema ha fatto un grande lavoro: le piattaforme di streaming hanno cambiato i formati fruitivi con le serie. La musica decenni fa si è reinventata, vendendo i singoli brani e uscendo dalla gabbia del (costoso) pacchetto, il long play. Oggi si deve reinventare con lo streaming, che ancora rende poco, mentre il live è remunerativo per i grandi nomi ma non per tutti.
Come a Sanremo ci vanno i grandi influencer e trasformano la tradizione musicale popolare italiana in un social attuale e di successo, così il mondo dei libri deve ripensare il suo format e il suo linguaggio.
E il libro? Sono decenni che si parla di come rinnovare la lettura, ma ancora non si vede nulla all’orizzonte. L’ebook non è altro che parole scritte invece che sulla carta su un file, la sua portabilità ha dato una spinta, ma non più di tanto. Il settore della scolastica è forse l’unico dove si sperimenta qualcosa. Ha un pubblico difficile, ma purtroppo costretto, quindi il vero gradimento da cui la scelta d’acquisto non è determinante purtroppo.
Cosa aspetta allora il libro a ripensarsi? Da decenni viviamo nell’era della visione. Con i social si è tutto brutalizzato: vedo, forse ascolto, ma soprattutto con breve attenzione. La lettura invece inchioda il pensiero, e semina, e costruisce. Il vedere? Intrattiene, informa, diverte ma difficilmente semina e costruisce. Semina un film, che però lavora solo sul piano delle emozioni. Non certo la quantità abnorme di contenuti video in rete che pontificano sulla qualunque. Oltre al problema delle fonti (tutti possono dire tutto, con danni non quantificabili sulla disinformazione della popolazione), c’è un tema di profondità. I contenuti audiovisivi attuali non sono in grado di “istruire” al pari dello strumento della lettura. Questi due mondi si devono invece finalmente avvicinare, integrare, colmare l’un l’altro. Come a Sanremo ci vanno i grandi influencer e trasformano la tradizione musicale popolare italiana in un social attuale e di successo, così il mondo dei libri deve ripensare il suo format e il suo linguaggio per ritrovare la centralità tra gli strumenti di apprendimento e istruzione umana. FABIO
SEVERINO
Paola Egonu a Sanremo 2023
FASCINAZIONE DEL BANALE D
urante la fiera Art Wynwood a Miami una donna, toccando una scultura di Jeff Koons del valore di 42mila dollari, l’ha mandata in frantumi. Si tratta di uno dei tormentoni del banale della serie balloon dog tanto celebrati da collezionisti, musei e gallerie. Un tormentone in frantumi, come i ritornelli senza qualità delle canzonette. L’ideologia della fine delle ideologie del nostro tempo è una condizione che corrisponde a forme di rappresentazione collettiva di un’intera società. Essa supera i limiti dell’immagine individuale e investe interi strati della popolazione, trasversalmente. È in tale scenario che il culto del frivolo e del banale trova la sua incarnazione spettacolare nelle opere di molta arte “contemporanea”.
Le società primitive non conoscono qualcosa come il banale. Solo le società ricche, le società degli individui allevati nell’abbondanza delle merci, le società dell’accumulo del valore e della panoplia delle immagini conoscono il fenomeno della banalità. Come i negozi o i supermercati, i musei, le gallerie pubbliche e private “offrono” una gamma di oggetti culturali –opere d’arte – che si prestano a ricevere un valore estetico, un significato e un prezzo dopo un’accurata promozione pubblicitaria. Tutto ciò non è una novità. Da questo punto di vista l’artista, seppure in forma diversa, è quello che un tempo si sarebbe chiamato lavoratore produttivo, poiché il suo lavoro “creativo” si trova fin dall’inizio soggetto alla stima, al prezzo e al valore, e viene realizzato al solo scopo di accrescere il capitale stesso. E dal momento che dal punto di vista del capitale la produzione non riveste alcuna importanza in sé stessa se non come strumento di arricchimento, il significato di un’opera è nullo.
Questa è la cornice all’interno della quale il fenomeno della banalità si irradia in ogni ambito della vita sociale come articolo di massa dell’economia.
Perché, se per il mercato non ha alcuna importanza la ricerca di un senso o la prova di un nuovo possibile linguaggio, dal momento che si possono far soldi ugualmente senza questi requisiti, diviene “naturale” fare opere d’arte senza investire nel linguaggio e nella poetica. Si tratta di produrre opere che riescono ad avere il massimo della quotazione con il minimo investimento di idee e di ricerca.
D’altra parte la leggerezza del banale, la sua disarmante familiarità, sono il miracolo del consumo che si sostituisce nella ricerca di un significato qualsiasi nella produzione dell’arte. Esso rappresenta la disciplina estetica di massa all’insignificanza delle merci di cui l’arte in parte è ostaggio. Il banale in tale contesto è l’immagine esemplare della società dei consumi, dove la comunicazione, a qualsiasi livello, non avviene dentro la realtà, ma al riparo da essa, cioè nella fantasmagoria dei segni della realtà rappresentata dalle merci. È per questo che molte opere d’arte non sono più segni di un altro mondo, segni d’alterità, ma segni, come nel caso di Koons, dell’infantilizzazione dello sguardo. Un mondo infantilizzato, in fondo, cercherà sempre un eroe che penserà per
esso. Come i balloon, questi animaletti fragili come bicchieri di cristallo che fanno sorridere i bambini e cercano protezione negli adulti.
La banalizzazione, dunque, non è una pratica che guarda a un fine, essa è senza verità e senza ragione. Si ha un bel far finta di nulla di fronte al suo cospetto, tuttavia essa plasma le coscienze e le azioni degli uomini più di quanto questi credano di tenerla a distanza. Non avendo né coscienza né inconscio, il banale diviene un’incognita che annulla qualsiasi inferenza di significato. Forse significano qualcosa i Puppy o i balloon di Koons? Tutti interrogano quest’arte banale, la espongono, la celebrano, mai in quanto niente, sempre per farla parlare, per attribuirle un valore che queste “opere” smentiscono.
Tutto questo sciocchezzaio è lì per nascondere che certa arte non ha altra funzione che quella di pubblicizzare la banalità che plasma la quotidianità. In quest’arte non si tratta più di rappresentare una realtà falsa o ipocrita, ma di celare, attraverso l’evidenza infantile della sua esposizione, il fatto che non c’è alcuna realtà da doppiare o da rappresentare. Perché, forse, questa presunta realtà non è mai esistita, se non come alibi per la rappresentazione. Quest’arte è fatta di puri segni in cui non vi è più traccia del vero e del falso, del bello e del brutto. Ruota come satellizzata attorno a un vuoto di cui cerca di dissimulare l’evidenza, come è evidente nel grande Puppy del Guggenheim di Bilbao ridotto a fargli da sfondo.
EDITORIALI
MARCELLO FALETRA
Si tratta di produrre opere che riescono ad avere il massimo della quotazione con il minimo investimento di idee e di ricerca.
71 101
Courtesy Bel-Air Fine Art
RETOPOLOGIZZIAMO?
Questo inizio di 2023 sta arrecando cose orribili. E altre fantastiche. Quelle orribili sono purtroppo sotto gli occhi di tutti, mentre quelle audacemente innovative, proprio per il loro carattere rivoluzionario, restano sovente celate, o meglio cadono in una sorta di zona d’ombra, di punto cieco culturale. In effetti, può accadere, quando si osserva ininterrottamente una data regione ontologica o ideologica, che – invece di scorgerne meglio i dettagli – si finisca per rimanere assorbiti dall’atmosfera di quel dato ambiente, e si rischi una sorta di cecità, eguale e contraria a quella di un semplice ignorante. Persino l’arte, che dovrebbe essere invece allenata (e capace di allenare) a un’allerta perpetua circa le emergenze eclatanti, le eccezioni concrete e le derive astratte del mondo che ci circonda, pare talvolta cadere in questo strano obnubilamento.
La controprova di tutto questo mi è di recente capitata tra le mani sotto forma di una delle tante pubblicazioni specialistiche dedicate alla modellazione digitale 3D. Per chi si occupa di queste cose non c’è niente di straordinario – è un po’ l’equivalente dei manuali per disegnare manga o per tratteggiare comics: ed è chiaro che si tratta di prelibatezze per aficionados, che non hanno nessuna intenzione di guardarsi intorno o di confrontarsi con contesti più ampi, per non dire più alti.
Ma il problema inizia a sorgere se, invece, sono proprio questi contesti che tendono a svalutare oppure omettono direttamente sottogeneri. Perché, osservandole da vicino, ci si rende subito conto che queste riviste non possono non far pensare ai ricettari medievali per creare i colori, ai manuali barocchi di prospettiva o ai prontuari ottocenteschi sul buon uso del contrasto cromatico. E così come quelli nascondono spesso, tra le loro pagine, molti dei segreti che poi si ristudiano (senza averne precisa cognizione) nei capolavori dei maestri – vien da chiedersi se pure questi vademecum contemporanei non siano essi pure ispirazionali per tanta arte, digitale e non, o se, addirittura, non debbano essere considerati tout court una espressione artistica a sé stante, così come l’Optique Phisiologique di Hermann von Helmholtz di metà XIX secolo (che ov-
Queste riviste non possono non far pensare ai ricettari medievali per creare i colori, ai manuali barocchi di prospettiva o ai prontuari ottocenteschi sul buon uso del contrasto cromatico.
viamente oggi non legge più nessuno), che andrebbe rivalutata come palinsesto estetico dell’arte optical, dai Rotorelief di Marcel Duchamp alle astrazioni visuali di Victor Vasarely. Ma a colpire, poi, non sono solo le immagini, che pure non possono non far pensare a un futuro che pare già presente, aprendo prospettive inedite ad attività consuete come la scultura (e
anticipando la produzione di avatar di noi stessi, del tutto fedeli e già bell’e pronti a volteggiare nei metaversi) –ma anche un metamondo di invenzioni linguistiche straordinarie, dove si svaria da “amplificazione di personalità” (riferito al disegno dei personaggi), a “modificazione di simmetria”, si discetta di “canale emissivo” per arrabattarsi intorno alla “definizione di strati oleosi” – sciorinando insomma un repertorio neolinguistico da far invidia a un traduttore di Heidegger. Non è forse venuto il momento, per gli artisti e per tutti coloro che si occupano d’arte, finalmente, di “retopologizzarsi” – almeno un po’?
IN FONDO IN FONDO
71 102
MARCO SENALDI
ARTVERONA
www.artverona.it @artverona
13–15.10.2023
Werner Bischof Unseen Colour 12.02.2023 – 02.07.2023 Rita Ackermann Hidden 12.03.2023 – 13.08.2023 Partner di ricerca scientifica Enti fondatori Partner istituzionale Partner principale www.masilugano.ch Con il sostegno di Con il sostegno di Werner Bischof Modella con rosa (dettaglio) Zurigo, Svizzera 1939 © Werner Bischof Estate / Magnum Photos Rita Ackermann Mama, Yves’s Mask (dettaglio) 2021 Acrilico, olio, pigmenti e matita grassa su tela Daniel Xu and Flora Huang Collection © Rita Ackermann. Courtesy of the artist and Hauser & Wirth Foto: François Fernandez