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per il ciclo
Sentire l’Arte
Il Gioco
nei Dipinti Antichi
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carte e dei dadi, la rappresentazione del gioc all’astuzia e all’inganno, nonché l’intento mor al limite del caricaturale dei due personaggi ris più ambiguo e dai tratti marcati è messo a co e inesperto, probabilmente già vittima di un b dalla tesa del cappello dell’avversario, a simbo gruzzoletto di monete suddivise in primo pian il giocatore più anziano. L’ambiente esterno personaggi a “disturbare” l’intensità dell’espe tono pacato, quasi intimista della scena, che del gioco stesso della morra, generalmente gr
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Fig. 1: Pietro Ricchi (Lucca, 1606 - Udine, 1675), I giocatori di morra, olio su tela, 76 x 111 cm
La nostra nuova proposta per il ciclo Sentire l’Arte è incentrata sull’intrigante tema del gioco, che può avere innumerevoli declinazioni. Grazie ai dipinti antichi esposti, lo indagheremo soprattutto come spazio e tempo ludico di evasione, ma anche come rituale sociale. La particolare connotazione legata al gioco d’azzardo e ai bari, alla quale ci rimandano spesso i dipinti antichi, è strettamente legata all’idea della manipolazione e della morale dove ritroviamo diversi tipi umani a confronto: scaltrezza e ingenuità, raggiro e buona fede si fronteggiano. Un ottimo esempio è dato da I giocatori di morra (Fig. 1) del pittore toscano Pietro Ricchi (Lucca, 1606 - Udine, 1675). Artista dalla formazione poliedrica e dalla estrema varietà di suggestioni culturali, in questo dipinto ambientato in un oscuro interno di osteria egli è particolarmente debitore all’opera dei caravaggeschi francesi. L’utilizzo della piccola lampada a olio come fonte luminosa fa emergere con grande pathos le figure dei protagonisti dallo sfondo buio. L’utilizzo enfatico del chiaroscuro in un notturno a lume di candela e i volti dei personaggi rischiarati dal basso ci restituiscono un’atmosfera quasi surreale e sospesa nel tempo e nello spazio. Il tema del gioco al tavolo è molto amato da Ricchi; conosciamo diverse versioni di giocatori di carte (di cui i Bari sono la più celebre, eredi della fortunata tradizione portata in voga dal Caravaggio), giocatori di dadi e giocatori di tric-trac. Meno diffusa delle
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i di morra, olio su tela, 76 x 111 cm
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carte e dei dadi, la rappresentazione del gioco della morra ne condivide le tematiche legate all’astuzia e all’inganno, nonché l’intento moralistico sotteso. Anche la scelta delle fisionomie al limite del caricaturale dei due personaggi risponde a questo proposito. Il vecchio popolano, più ambiguo e dai tratti marcati è messo a confronto con il giovane signorotto più ingenuo e inesperto, probabilmente già vittima di un baro e forse per questo con gli occhi adombrati dalla tesa del cappello dell’avversario, a simboleggiarne la cecità metaforica. A giudicare dal gruzzoletto di monete suddivise in primo piano, la partita sembrerebbe volgere al meglio per il giocatore più anziano. L’ambiente esterno è completamente annullato e non ci sono altri personaggi a “disturbare” l’intensità dell’esperienza vissuta dai due. Interessante è notare il tono pacato, quasi intimista della scena, che parrebbe contrastare con il carattere intrinseco del gioco stesso della morra, generalmente gridato e dalla gestualità esasperata. Ancora un gioco “da tavolo” e di strada, ma in un contesto completamente differente è quello che ritroviamo nei Soldati che giocano a carte (Fig. 2) di Giacomo Ceruti (Milano 1698-1767), grande maestro della cosiddetta pittura della realtà lombarda. In un ambiente esterno diurno, un eterogeneo e caratteristico gruppo di soldati è colto in un momento di riposo e di svago; possiamo intuire dal contesto e dalle espressioni dei protagonisti che si tratti di una magra consolazione rispetto alla condizione che stanno vivendo. Gli uomini improvvisano un tavolo con il tamburo militare e giocano a carte, probabilmente una mano di scopa con un mazzo di carte trevigiane-venete. Questo e molti altri dettagli nel dipinto ci aiutano ad individuare l’area geografica e quindi anche i protagonisti di questo interessantissimo “ritratto collettivo” di genere. Già ad un primo sguardo, infatti, non sfugge la singolare foggia, nonché la diversità
rte è incentrata sull’intrigante tema del gioco, zie ai dipinti antichi esposti, lo indagheremo evasione, ma anche come rituale sociale. La ardo e ai bari, alla quale ci rimandano spesso ea della manipolazione e della morale dove altrezza e ingenuità, raggiro e buona fede si
orra (Fig. 1) del pittore toscano Pietro Ricchi mazione poliedrica e dalla estrema varietà di entato in un oscuro interno di osteria egli è eschi francesi. L’utilizzo della piccola lampada grande pathos le figure dei protagonisti dallo o in un notturno a lume di candela e i volti ono un’atmosfera quasi surreale e sospesa nel è molto amato da Ricchi; conosciamo diverse la più celebre, eredi della fortunata tradizione adi e giocatori di tric-trac. Meno diffusa delle
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delle uniformi vestite dai cinque uomini, i cu riportano ai cosiddetti Oltremarini o Schiavo veneziano, ma erano assegnati alle truppe di fr Si tratta dei grenzer, soldati-contadini proven della Dalmazia dei Balcani, che venivano asso territorio. Non avendo ancora un’uniforme u etnie, ecco perchÊ distinguiamo costumi differe anche dai caratteristici tratti somatici degli uom Oltre alle carte, le divise - accomunate dai degli Oltremarini - e la spada schiavona por indirizzano in territorio veneto e nei domini senz’altro la possibilità di vedere molti di questi spesso ( ad esempio nel Ritratto di fumatore de Il Sergente Generale Salimbeni nel 1785 d resistenti alle intemperie, abili con le armi m sembrano rispecchiare alla perfezione questa d il copricapo di pelliccia e il soldato sullo sfondo stanche e provate; il loro aspetto da soldati di prediletta da Ceruti.
Fig. 2: Giacomo Ceruti (Milano 1698 - 1767), Soldati che giocano a carte, olio su tela, 196 x 143 cm
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giocano a carte, olio su tela, 196 x 143 cm
delle uniformi vestite dai cinque uomini, i cui elementi e la cui fattura piuttosto casalinga ci riportano ai cosiddetti Oltremarini o Schiavoni, che non solo riempivano le file dell’esercito veneziano, ma erano assegnati alle truppe di frontiera asburgiche fin dall’inizio del Settecento. Si tratta dei grenzer, soldati-contadini provenienti da diverse aree geografiche, perlopiù slave della Dalmazia dei Balcani, che venivano assoldati a protezione di vaste aree periferiche del territorio. Non avendo ancora un’uniforme unica, essi vestivano le divise tipiche delle loro etnie, ecco perché distinguiamo costumi differenti. Tali provenienze sembrerebbero confermate anche dai caratteristici tratti somatici degli uomini. Oltre alle carte, le divise - accomunate dai copricapi di origine dalmata e dal colore rosso degli Oltremarini - e la spada schiavona portata dal personaggio in piedi in primo piano ci indirizzano in territorio veneto e nei domini della monarchia asburgica. Ceruti aveva avuto senz’altro la possibilità di vedere molti di questi soldati tra Lombardia e Veneto, infatti li ritrasse spesso ( ad esempio nel Ritratto di fumatore della Galleria Nazionale d’Arte Antica.) Il Sergente Generale Salimbeni nel 1785 descriveva gli Oltremarini come uomini forti, resistenti alle intemperie, abili con le armi ma poco inclini alla disciplina. I nostri soldati sembrano rispecchiare alla perfezione questa descrizione: il clima è rigido come testimoniano il copricapo di pelliccia e il soldato sullo sfondo che si avvolge nel mantello rosso, le espressioni stanche e provate; il loro aspetto da soldati di ventura ben si concilia con la tematica realistica prediletta da Ceruti.
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L’opera è databile alla metà degli anni Trenta del Settecento, il linguaggio dell’artista è già maturo, indugia sugli elementi decorativi e utilizza squillanti effetti coloristici. Il gioco delle carte godette di grande fortuna in pittura, spesso utilizzato in chiave moralistica quale esempio negativo di ozio, in contesti truffaldini o poco raccomandabili. Il nostro dipinto è un’interpretazione più rurale e ruvida del fortunato tema nato dai bari del Caravaggio. Ceruti lo rappresentò più volte in diverse varianti.
Quasi fossimo anche noi osservatori della sc sfilare sotto i nostri occhi uno stuolo di a carrozza, sono abbigliati elegantemente e non guida il nostro sguardo alla scoperta delle sce al centro del quadro, allo storpio solitario se uomini e donne che si incontrano e conversan di cinta dei giardini mentre guardano col na del dipinto. Tipica delle vedute di Joli è la r luoghi. Nell’utilizzo del punto di vista allarga è chiara l’influenza di Canaletto (1697-176 1736), oltre alla sua attività di scenografo. L’opera è stata datata da Ralph Toledano alla m del XVIII secolo. Un’etichetta sul retro del tel inglese. Joli visse e lavorò a Londra tra il 17 sofisticati committenti del Grand Tour.
Fig. 3: Antonio Joli (Modena, 1700 circa - Napoli, 1770), Il gioco della pallamaglio nei giardini di Palazzo Barberini a Roma, olio su tela, 63 x 91 cm
Nell'opera del pittore modenese Antonio Joli (Modena, 1700 circa - Napoli, 1770) assistiamo, invece, ad una partita di “Pallamaglio” - in inglese Pall Mall - o “Palla a bracciale” giocata nei giardini di Palazzo Barberini a Roma (Fig. 3). Questo gioco, da considerarsi il precursore del moderno cricket, era molto popolare nell’Italia del XVIII secolo; restava comunque un gioco di corte, riservato ai nobili. Due squadre di quattro giocatori ciascuna si fronteggiavano lanciandosi una palla con una piccola racchetta legata al braccio dei partecipanti. Il soggetto era particolarmente amato dallo Joli che lo rappresentò in altri tre dipinti, ambientati però a Napoli.
Oltre ai dipinti, abbiamo esposto in mostra u che proibiva il gioco illecito dei dadi e delle car 1720 ca., il quale mostra il forte legame tra il della Commedia dell’Arte italiana sono infatti
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del Settecento, il linguaggio dell’artista è già lizza squillanti effetti coloristici. pittura, spesso utilizzato in chiave moralistica ffaldini o poco raccomandabili. e e ruvida del fortunato tema nato dai bari del diverse varianti.
Il gioco della pallamaglio nei giardini di Palazzo Barberini a
Modena, 1700 circa - Napoli, 1770) assistiamo, glese Pall Mall - o “Palla a bracciale” giocata 3). Questo gioco, da considerarsi il precursore Italia del XVIII secolo; restava comunque un di quattro giocatori ciascuna si fronteggiavano a legata al braccio dei partecipanti. Il soggetto ppresentò in altri tre dipinti, ambientati però
Quasi fossimo anche noi osservatori della scena da una finestra o da un balcone, vediamo sfilare sotto i nostri occhi uno stuolo di aristocratici del luogo; alcuni sono arrivati in carrozza, sono abbigliati elegantemente e non tutti sono intenti ad assistere alla partita. Joli guida il nostro sguardo alla scoperta delle scene minori: dai due ragazzini inseguiti dal cane al centro del quadro, allo storpio solitario seduto in primo piano a destra, ai gruppetti di uomini e donne che si incontrano e conversano, alle figure di astanti sulla sommità del muro di cinta dei giardini mentre guardano col naso all’insù la palla che svetta in alto al centro del dipinto. Tipica delle vedute di Joli è la rappresentazione precisa, quasi topografica, dei luoghi. Nell’utilizzo del punto di vista allargato e nell’animazione data dalle piccole figurine è chiara l’influenza di Canaletto (1697-1768) e di Van Wittel detto il Vanvitelli (16531736), oltre alla sua attività di scenografo. L’opera è stata datata da Ralph Toledano alla maturità della sua carriera, agli anni Cinquanta del XVIII secolo. Un’etichetta sul retro del telaio suggerisce la provenienza da una collezione inglese. Joli visse e lavorò a Londra tra il 1744 e il 1748 e ottenne grande successo tra i sofisticati committenti del Grand Tour. Oltre ai dipinti, abbiamo esposto in mostra un editto romano di Papa Urbano VIII del 1627 che proibiva il gioco illecito dei dadi e delle carte e un antico gioco francese di Quadrille datato 1720 ca., il quale mostra il forte legame tra il mondo del gioco e quello del teatro. Alle figure della Commedia dell’Arte italiana sono infatti ispirate le decorazioni dei diversi elementi. Chiara Naldi
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