Spedizione in abbonamento postale art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone.
Anno XLI · Dicembre 2012 · Numero 127 Periodico della Comunità di Dardago · Budoia · Santa Lucia
di Roberto Zambon
[ l’editoriale ]
Con questo numero di Natale si chiude l’anno del 40° anniversario della nascita de l’Artugna. In questa particolare e straordinaria occasione sento la necessità di porgere un sincero ringraziamento a tutti coloro che hanno permesso di tagliare questo traguardo. In primo luogo a voi, cari lettori, che – anno dopo anno – avete fatto sentire il vostro affetto, direi il vostro attaccamento a l’Artugna. Sentimenti veri, profondi, che traspaiono particolarmente nei messaggi che arrivano in redazione da molte località italiane ed estere. Il vostro generoso contributo ha permesso la regolare ed ininterrotta pubblicazione di 127 numeri del periodico e di molte altre realizzazioni editoriali. Allo stesso tempo, voi, cari lettori, siete lo stimolo indispensabile per proseguire questa iniziativa. In questi anni sono stati moltissimi i collaboratori che, in vario modo, hanno portato il loro contributo, con articoli, fotografie, disegni, suggerimenti perché l’Artugna diventasse sempre più interessante, varia, ricca di contenuti e con una veste editoriale da far invidia. Scorrendo le migliaia di pagine pubblicate, si leggono i loro nomi. A tutti ed a ciascuno: grazie! Alcuni, purtroppo, non sono più tra noi, ma la speranza cristiana ci dà la certezza che anche loro ci sono vicini. Grazie ai pievani che si sono succeduti in questo periodo: da don Giovanni – il vero promotore de l’Artugna – fino a don Maurizio. Grazie agli Enti Pubblici che ci hanno sostenuto col contributo economico, in particolare al Comune di Budoia che, anche in questo periodo di tagli, lo ha mantenuto. Tutti insieme, con la speranza che nuove e giovani energie si uniscano in questa avventura, possiamo continuare il cammino cominciato 40 anni fa.
Natale 2012
come dire
S e entriamo in un presepio a grandezza d’uomo o se ci fermiamo a contemplare uno dei nostri presepi che allestiamo per le feste del Santo Natale il turbinio dei pensieri e delle preoccupazioni che incalza i nostri cuori e le menti si placa quasi d’incanto e sentiamo una grande pace e una serena gioia che non riusciamo nemmeno a descrivere perché è qualcosa di nostro, di intimo, di indicibile. È la pace e la gioia semplice di Maria e di Giuseppe che accolgono quel Bambino, è quella dei pastori che accorrono a portare i loro poveri doni e a vedere quella famigliola serena e indifesa, è la gioia e la pace che sentono i sapienti Magi che finalmente hanno trovato la meta del loro lungo peregrinare. È la gioia e la pace di coloro che «hanno fame e sete di giustizia, di coloro che si danno da fare per costruire la pace, dei puri di cuore, dei tribolati a causa della persecuzione, dei poveri in spirito». Lo dirà Gesù diventato grande. Per ora egli 2
apre le sue braccine di neonato per accogliere quanti vengono da lui per ottenere questi che sono i suoi doni. Non è che quando Egli è nato non ci fossero problemi: la fame dominava larghi strati della società, l’impero, pur essendo nella sua età d’oro, vedeva guerre, sconvolgimenti e sopraffazioni qua e la, in Israele regnava Erode, un re crudele e sanguinario. Gerusalemme era addormentata nel suo «tran tran» di vita e, pur partecipando alla vita religiosa, non si preoccupava di attendere Colui che era il Meglio, non andava più alla ricerca e non ascoltava i profeti che tentavano di svegliarla. Anche per noi è la stessa storia. Il mondo globalizzato ci incombe quotidianamente: televisione e giornali ci sbattono davanti agli occhi continuamente guerre sanguinose, stragi, persecuzioni, catastrofi naturali, omicidi, suicidi: sembra che al mondo non ci sia nulla di piacevole. Non parliamo della crisi economica che sembra mai vedere una risalita, siamo or-
la lettera del Plevàn di don Maurizio Busetti
gioia e pace oggi!
mai sconvolti da parole che un tempo non apparivano mai nel nostro parlare comune. Ora tutti discutono di Spread, di Default, di Pil: queste parole hanno sostituito le preghiere quotidiane. C’è poi una classe politica allo sbando che sta sempre più perdendo di credibilità con scandali, appropriazioni indebite ed incapacità a superare divisioni interne ed esterne che non giovano al bene dei Paesi governati. Si aggiungono ora anche le previsioni atmosferiche che per non sbagliare nell’informazione preannunciano tempi da lupi, nevi da piste di sci in tutta Italia, piogge equatoriali. Poi magari ci si accorge che non era proprio così… Gerusalemme (il mondo cristiano) è addormentata, pur partecipando, anche se, nel nostro Occidente sempre meno, a certe proposte religiose. Non si ascolta più il Profeta, la Chiesa, che continua a presentarci Cristo il Messia Salvatore, Colui che unico può dare un senso alla nostra vita e ad aiutarci a sperare
in qualcosa di migliore che sta maturando con fatica in mezzo a tutto questo mondo sconvolto. Ma fin che sento gesti concreti di solidarietà (raccolte per terremotati, per disabili, per progetti di ricerca sulla salute, per bisognosi d’ogni genere, Telethon ed altre iniziative, adozioni a distanza e adozioni in casa, cuori e case aperte) fin che vedo gente che volontariamente si mette a disposizione per varie attività ed iniziative, molte volte anche senza un semplice grazie, non perdo la speranza, Gesù è ancora in mezzo a noi. Girando per le case vedo alberi di Natale addobbati, presepi piccoli o grandi, soprattutto dove ci sono bambini, gente che si prepara al giorno del Santo Natale per accogliere parenti ed amici e condividere insieme la semplice gioia del presepe, almeno in quel giorno, trovo così la risposta alle mie domande. Ci sono ancora persone disponibili ad entrare in quel presepio, a farsi inondare dall’aura di pace e di 3
gioia, che si lascia dietro tutto ciò che c’è di male e di brutto per risentire dentro il cuore l’annuncio che in quel giorno gli angeli fecero ai poveri pastori. «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama». «E (i pastori), dopo averlo visto, riferirono ciò che del Bambino era stato detto loro. Tutti quelli che avevano udito si stupirono delle cose dette loro dai pastori. E i pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.» (Lc.2, 14-20). Anche tu, se hai fatto questa esperienza, fai la stessa cosa. È il mio augurio a tutti voi per questo Santo Natale 2012 e per un proficuo e sereno 2013.
[ la ruota della vita ]
NASCITE Benvenuti! Abbiamo suonato le campane per l’arrivo di... Nikolas Sottana di Simone e Barbara Ardemagni – Dardago Andrea Minatel di Massimo e Sonia Diana – Dardago Evita e Brenda Marson di Olivo e Laura Fabbro – Dardago Francesco Balla di Alessandro e Benedetta Andrigo – Bologna Agnese Mazzarolo di Giuseppe e Valeria Zambon – Venezia
MATRIMONI Felicitazioni a... Nozze d’oro Benito Pellegrini Cucola e Ines Elia Mazzer – San Mauro Torinese Albano Rizzo e Marcellina Carlon – Budoia 55° di matrimonio Claudio Parmesan e Ofelia Biscontin – Dardago 60° di matrimonio Plinio Fort e Giuseppina Molinaris – Santa Lucia 65° di matrimonio Guerrino Bocus Frith e Maria Janna Ciampanèr – Dardago
LAUREE, DIPLOMI Complimenti! Laurea Eleonora Usardi – Laurea in Economia Aziendale – Dardago
DEFUNTI Riposano nella pace di Cristo. Condoglianze ai famigliari di…
IMPORTANTE Per ragioni legate alla normativa sulla privacy, non è più possibile avere dagli uffici comunali i dati relativi al movimento demografico del comune (nati, morti, matrimoni). Pertanto, i nominativi che appaiono su questa rubrica sono solo quelli che ci sono stati comunicati dagli interessati o da loro parenti, oppure di cui siamo venuti a conoscenza pubblicamente. Naturalmente l’elenco sarà incompleto. Ci scusiamo con i lettori. Chi desidera usufruire di questa rubrica è invitato a comunicare i dati almeno venti giorni prima dell’uscita del periodico.
Vincenza Lacchin di anni 90 – Santa Lucia Guido Soldà di anni 92 – San Giovanni di Polcenigo Santina Zambon di anni 92 – Pola (Croazia) Alfeo Zambon di anno 90 – Mestre Eugenia Zambon di anni 91 – Dardago Assunta Bocus di anni 91 – Budoia Ofelia Zambon di anni 91 – Dardago Bruna Gislon di anni 79 – Santa Lucia Noemi Guizzardi di anni 85 – Budoia Gianni Fabbro di anni 62 – Budoia Rosina Ariet di anni 90 – Budoia Augusta Zambon di anni 89 – Dardago Santa Busetti di anni 94 – Santa Lucia Giuseppe Ianna di anni 95 – Dardago Franco Basso di anni 82 – Santa Lucia Sergio Zambon di anni 87 – Francia Fernando Zambon di anni 89 – Budoia Stanislava Kresevec di anni 91 – Verona Marco Renzo Zambon di anni 62 – Dardago Lorenzo Pellegrini di anni 75 – Dardago Rita Cecchelin di anni 70 – Dardago Giuseppe Angelin di anni 90 – Budoia Giorgio Sanson di anni 78 – Budoia Giobatta Carlon di anni 92 – Budoia Elsa Ianna di anni 92 – Roma
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In copertina. La ciasa de Ciàl de Mulìn. [foto di Marco Tabaro]
Periodico della Comunità di Dardago, Budoia e Santa Lucia
Io non lo so quanto tempo ci vorrà se basterà una notte o un’eternità ancora… Io sono qua e non vado ancora, aspetto ogni giorno e ogni giorno la sera per dare al Tempo il tempo che merita. La notte avvolge la ciàsa de Ciàl de Mulìn, l’antico stavolo eretto sulla strada che porta a Castello di Aviano. Una notte che sembra buia eppure racconta di luce: quella delle stelle animate a vortice, quella simbolica della nicchia di Santa Lucia, protettrice della vista; quella interna alla ciasamàta, oramai svuotata ma testimone di pienezza di vita. Il tempo ci ha parlato infatti di uomini e bestie passate in quel luogo particolare e semplice, un antico ricovero contro le intemperie che si abbattevano su campi e prati. Un luogo di socialità spontanea e genuina, di solidarietà e cooperazione tra i lavoratori, di gioia e riflessione. *** Un altro antico racconto si rinnova ogni anno a Natale. Ha parole più illuminanti di Verità, nate anch’esse nell’umiltà di un ricovero, ma riflesse dalla luce della stella che ancora ci indica la via da seguire.
Editoriale di Roberto Zambon
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La lettera del Plevàn di don Maurizio Busetti
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La ruota della vita
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Pionieri budoiesi in Australia di Roberto Zambon
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«Se sapeste quanto vi amo, piangereste di gioia» di Adelaide Bastianello
sommario
Vittorio Janna Tavàn
icembre 20 ·d
12
anno XLI
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127
Direzione, Redazione, Amministrazione tel. 0434.654033 · C.C.P. 11716594 Internet www.artugna.blogspot.com e-mail direzione.artugna@gmail.com
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Villaggio della Gioia in Tanzania di Martina Pellegrini
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Trascinati verso un sogno di Bruno Fort
Direttore responsabile Roberto Zambon · tel. 0434.654616
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«Era un angelo!» a cura della Redazione
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Lasciano un grande vuoto...
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Cronaca
La personale di Angelo Modolo a cura dei figli Elena, Laura, Oscar Modolo e della nipote Carla Dorigo
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Inno alla vita
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I ne à scrit...
Un silenzioso cantore del paesaggio pedemontano di Vittorina Carlon
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Appuntamenti musicali, bilancio
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Programma religioso natalizio
Per la redazione Vittorina Carlon
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Impaginazione Vittorio Janna
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Contributi fotografici Archivio de l’Artugna, Vittorina Carlon, Gianni Janna, Vittorio Janna, Marco Tabaro, Francesca Romana Zambon Spedizione Francesca Fort Ed inoltre hanno collaborato Francesca Janna, Maria Antonietta Torchetti, Espedito Zambon, Flavio Zambon Tarabìn, Gianni Zambon Rosìt, Ugo Zambon Stampa Sincromia · Roveredo in Piano/Pn Autorizzazione del Tribunale di Pordenone n. 89 del 13 aprile 1973 Spedizione in abbonamento postale. Art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone. Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione di qualsiasi parte del periodico, foto incluse, senza il consenso scritto della redazione, degli autori e dei proprietari del materiale iconografico.
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A Budoia, gli Amici del Girasole
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Palestra di roccia Dardago-San Tomè di Roberto Bianchini
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Lo sbattezzamento di Alessandro Fontana
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Un nobile segno di Fede la Redazione
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’N te la vetrina
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Una preziosa risorsa delle nostre montagne di Angelo Janna Tavàn
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L’angolo della poesia
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Collis e ancora Collis di Bruno Fort
[parte seconda]
Pionieri budoiesi
in Australia
di Roberto Zambon
Nel numero di Agosto 2011, il nostro periodico raccontò la storia avventurosa dell’arrivo dei primi coloni budoiesi in Australia. Era il 1885 quando una famiglia budoiese, quella di Costante Ianna, sbarcò Sydney e diede origine ad una «colonia» abbastanza numerosa. Fino ad oggi si pensava che i discendenti di Costante fossero gli unici «budoiesi» in quella terra lontana. Qualche mese fa, Kevin Ianna, pronipote di Costante, e la moglie Marguerite, contattarono la redazione perché una conoscente, Carlene, abitante a Lismore, a circa 800 chilometri da Sydney, aveva
scoperto che una loro antenata era una Ianna, di nome Angela, nata a Venezia. Carlene voleva sapere se lei e Kevin potevano essere lontani parenti. Purtroppo le informazioni, scarne e talvolta errate, non permisero di trovare notizie su questa Angela Ianna. Poi con un po’ di fortuna e d’intuito è stato possibile trovare notizie di Angela, che in realtà era nata a Budoia da padre budoiese e madre dardaghese. Ulteriori e fortunate ricerche, con riscontri in Australia e in Veneto, hanno permesso di conoscere un’interessante pagina delle nostra emigrazione ricca di pregnanti risvolti umani.
Agli inizi del 1895, Costante Ianna (n. 1864), di Budoia, con la moglie Caterina Zanin, il vecchio padre Angelo (n. 1819) e i piccoli Angelo, Pietro, Teresa e Domenica si imbarcarono a Genova sulla nave a vapore S.S. Sachsen alla volta di Sydney dove arrivarono il 4 aprile. In Australia li attendevano i cognati Antonio Pezzutti e Angelina, la sorella di Caterina, che erano tra i primi coloni arrivati dal nord Italia e tra i pochi superstiti della storica e tragica Terza Spedizione del Marchese de Rays. Con il loro aiuto si stabilirono a New Italy dove la famiglia si ingrandì e gli affari prosperarono. (cfr. l’Artugna, n. 123 – Agosto 2011).
sposato con la dardaghese Maria Pellegrini Luthol (n. 1853). Dal matrimonio, nel 1873 nacque Domenico Antonio. Giacomo morì poco dopo la nascita del primogenito e Maria, giovane vedova e madre, sposò il cognato Francesco Domenico (n.1844). Francesco Domenico e Maria ebbero 6 figli: Margarita, Giovanna, Antonio, Angela, Benvenuta e Giacomo. Quasi certamente la famiglia si trasferì a Venezia dove, nel 1902, Angela (n.1881) sposò Carlo Pietro Ballarin (n. 1875) che lavorava come cameriere. Si tratta dell’Angela antenata degli Ianna di Lismore Nel 1911 Angela Ianna con Carlo Pietro Ballarin e i loro 3 figli migrarono in Australia dove Costante Ianna (zio di Angela) e i figli
*** A Budoia, il fratello di Costante, Giacomo Antonio (n. 1850) si era
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Maria Pellegrini Luzzolo (Luthol), dardaghese. Sposò in prima nozze Giacomo Antonio e, rimasta vedova, il cognato Francesco Domenico.
vivevano in una grande tenuta chiamata Villa Udine. Angelo, padre di Costante e nonno di Angela, era ancora vivo: aveva 91 anni! Arrivarono a Sydney il 19 settembre 1911 con la nave «The Zieten». Oltre ai tre figli nati in Italia – Gemma Maria Olga (n. 1903), Giovanni Antonio (n. 1905) e Adelinda Teresa Isabella (n. 1908) – in Australia nacquero Angelo (n. 1915) e Mary (n. 1921). Angelo morì subito dopo la nascita. Nel 1922 la famiglia, forse spinta dalla nostalgia, rientrò in Italia ma due anni dopo, Angela e Carlo Pietro decisero di ritornare nel «nuovo mondo» e il 29 novembre 1924, sbarcarono definitivamente in Australia con la nave «S.S. Ormuz» e si stabilirono a New Italy.
Festa per i 50 anni di matrimonio di Giovanni Antonio Ballarin (figlio di Angela Ianna) ed Elisabetta Ballarin.
Carlo Alberto Ballerin (nipote di Angela Ianna) e la moglie Carlen, in una recente foto. I loro appunti, pur incompleti e non del tutto corretti, hanno permesso di completare l’albero genealogico degli Ianna Corazza.
Pietro Ballarin, fratello di Carlo Pietro e cognato di Angela Ianna, sposò Giacoma Robassa e dal matrimonio nacquero dapprima Giacomo e altri due figli di cui non abbiamo notizia. Infine, il 2 novembre 1908, a Venezia, nacque Elisabetta Lucia. Purtroppo la mamma morì di parto. La piccola Elisabetta venne accolta dalla famiglia Miele di Salzano (Venezia) dove la Signora Angela la allattò: Elisabetta, famigliarmente chiamata Lisa, crebbe con gli altri figli. Dopo qualche anno la piccola Lisa venne inserita nell’Istituto Figlie della Carità Canossiane, nella parrocchia di Sant’Alvise, Sestiere di Canareggio a Venezia dove venne istruita dalle suore che le insegnarono, tra l’altro, a cucire e a cucinare. I due fratelli Giacomo e Elisabetta, come già visto, avevano gli zii Carlo Pietro Ballarin e Angela Ianna in Australia, dove ormai molti Italiani lavoravano e, alcuni, con molto successo. Certamente tra il 1922 e il 1924, all’epoca del temporaneo rientro in Italia degli zii e dei cugini si incontrarono più volte e, forse, progettarono un loro trasferimento in Australia. Nel 1926 Giacomo ed Elisabetta presero la grande decisione e si imbarcarono sulla nave «Orama» alla volta di Sydney, dove arrivarono il 17 aprile. Certamente la decisione non fu facile per la giovane Lisa: lasciava molti affetti sia nella famiglia in cui era cresciuta, sia tra le amiche del collegio alle quali scrisse appena arrivata a destinazione, descrivendo le proprie sensazione e la tristezza provata durante il lungo viaggio. In Australia sono state ritrovate due lettere molto interessanti indirizzate a Lisa. La prima, datata 8 maggio 1926, è scritta da Giovanna Callegaro, una compagna della «scuolalavoro» (anche a nome delle amichette Emma e Bambina). È una lettera in cui si ricordano i bei mo-
1700 MATTIO DELLA IANNA
Albero genealogico della famiglia Ianna Corazza
1725 GIUSEPPE DELLA IANNA
OSVALDA CARLON
1752
5-Mar-1756
1758
1761
1765
1774
ROSA DELLA IANNA
MATTIO DELLA IANNA
ANGELO DELLA IANNA
MARIA IANNA
FELICE IANNA
FELICE IANNA
Giacomo morì poco dopo le nozze. Remigio, nipote del loro figlio Domenico, abita nelle vecchie case degli Ianna Corazza. Infine il ramo di Costante e Caterina Zanin, i primi Budoiesi che partirono per l’Australia (cfr. l’Artugna 123, Agosto 2011).
A sinistra, il ramo di Francesco Domenico che sposò Maria Pellegrini Luzzolo (Luthol) in seconde nozze: la figlia Angela emigrò in Australia con il marito Carlo Ballarin. Quindi il ramo di Giacomo Antonio che sposò in prime nozze Maria Pellegrini Luthol. DE MARCO LUCIA
1782
1784
1786
1788
1790
1795
1797
1799
1800
1804
ROSA CORAZZA IANNA
GIUSEPPE CORAZZA IANNA
FRANCESCO CORAZZA IANNA
VINCENZO CORAZZA IANNA
GIOVANNI CORAZZA IANNA
ANTONIO CORAZZA IANNA
LUIGI CORAZZA IANNA
CARLO CORAZZA IANNA
CARLO CORAZZA IANNA
LORENZO CORAZZA IANNA
MARIA ZAMBON
1818
1819
1820
1824
1826
1828
1831
1834
1838
TERESA
ANGELO
ANGELO
GIUSEPPE FELICE
VINCENZO
VINCENZO
SANTA
ANNA TERESA
ROSA
TERESA PUPPIN
1858
1867
1844
1864 1848 MARIA LUZZOLO PELLEGRINI
FRANCESCO DOMENICO
1850 INNOCENZA
DOMENICO
GIACOMO ANTONIO
FORTUNATO COSTANTE OSVALDO
MARIA LUZZOLO PELLEGRINI
CATARINA ZANIN
1873 1875
1877
MARGARITA LUIGIA
1875
1879
GIOVANNA MARGARITA
ANTONIO
1883
1881
CARLO PIETRO BALLARIN
ANGELA
1885
BENVENUTA SANTA
GIACOMO OSVALDO
DOMENICO ANTONIO
ANNA COLINI
GIORDANO 1908 1903
1905
GEMMA MARIA OLGA
GIOVANNI ANTONIO
ELISABETTA LUCIA BALLARIN
GIACOMO BALLARIN
1908
1915
1921
ADELINDA TERESA ISABELLA
ANGELO
MARY
REMIGIO
CARLO PIETRO GIOVANNI
CARLENE
1890 1887
1892
1894
TERESA
DOMENICO
1895
1899
1901
1904
1897
FORTUNATO
MARIA
ANGELINA
ANTONIO
COSTANTE
1889 PIETRO
ANGELO
CAROLINE COBURN
GIUSEPPE
LILLY RAISON
EVELYN MAY CRONIN
RUBY CRONIN
1912
JOSEPH
CATARINA
MONICA
JOHN
ALAN
RAYMOND VALENTINE
KEVIN LINDSAY
IRENE BENBOW
CECIL
MOLLY
EDWARD PATRICK
VINCE MCDONNEL
AGNES
MICHAEL
DAPHNE
AILSA
AILEEN
COLIN
IMELDA
URSULA OSWALD
THOMAS
DOUGLAS
EVA
MARGUERITE IAN
GEOFFREY
MARIE
CHERYL
donna uomo KEVIN
RODNEY
CRAIG
DARREN LUCELLE
menti passati insieme in collegio. Giovanna cerca di incoraggiare l’amica:«Vedrai che la Mamma degli orfani, Maria, non si dimenticherà di Te se sempre la onorerai. La Vergine Bella, dal cielo ti aiuterà». Anche la seconda lettera, spedita da Scorzè (Venezia) nel 1969, è molto significativa perché dimostra l’affetto tra Lisa e la famiglia «adottiva». Ines Casarin, scriveva
alla «zia» Lisa per comunicarle che anche lei era diventata orfana, a pochi mesi dal matrimonio programmato per l’autunno! Di Ines, in Australia sono state ritrovate un paio di belle fotografie. In Australia, i due fratelli Elisabetta e Giacomo sposarono due cugini: Giovanni Antonio e Adelinda figli di Carlo Pietro Ballarin e di Angela Ianna. 8
deceduto infante
Al matrimonio di Giovanni Antonio Ballarin ed Elisabetta Ballarin (1930), il testimone principale fu Costante Ianna (1897) figlio dell’omonimo capostipite degli Ianna d’Australia. Giacomo è ancora ricordato a New Italy come un bravo interprete che aiutò molti Italiani che non conoscevano l’inglese.
“Se sapeste quanto vi amo, piangereste di gioia” di Adelaide Bastianello
Un desiderio che si realizza. Molti dubbi: vado o non vado? Una metà di me lo desiderava fortemente, l’altra metà temeva, era scettica, non convinta. Temevo il commercio che tutta questa «pubblicità» aveva creato, temevo la delusione che avrei provato. Temevo di perdere un’illusione che avevo. Temevo. Poi mi è stata offerta l’occasione su un piatto d’argento: don Maurizio ci avrebbe accompagnato in un pellegrinaggio organizzato dal Gruppo IOT di Pordenone con la «mia comunità». Quindi la decisione: ora o mai più, non avevo più scuse. Tutti i miei dubbi, tutte le mie remore «dovevano» cadere; quando mai mi si ripresenterà una simile opportunità, fare questo tipo di esperienza accompagnata da amici e parenti carissimi coi quali condividere emozioni e incertezze? Dunque… parto. Fino all’ultimo l’incertezza sulla partenza: mancava il numero sufficiente per la realizzazione del viaggio, sembrava quasi che tutte le mie perplessità ed i miei dubbi avessero influenzato il progetto. Finalmente la comunicazione ufficiale: si parte. La mattina del 3 settembre ci si ritrova in piazza a Dardago; nonostante l’ora, l’atmosfera è allegra, tutti sono felici e pieni di entusiasmo, ognuno con il proprio pacchetto di speranze e aspettative; proseguiamo poi per Budoia per raccogliere Sandra, Bruno e Pietro. Il gruppetto di Santa Lucia è già salito con noi a Dardago. Don Maurizio Medjugorje
«fa la conta»: siamo in 28, il gruppo è completo, possiamo iniziare il nostro cammino. Sappiamo che il viaggio sarà lungo, l’arrivo è previsto per cena, ma ormai nulla ci turba, contiamo sulla reciproca compagnia per trascorrere le tante ore che ci separano dalla nostra meta. Passiamo allegramente la frontiera ed entriamo in Croazia, il paesaggio è cambiato, le montagne sono «carsiche», sassose, dure, qualche arbusto rende meno aspra la visione. Continuando a scendere veloci verso sud avvistiamo un bellissimo «fiordo» sovrastato dalla statua della Madonna ai piedi della quale, tra folate di vento e nubi all’orizzonte, don Maurizio celebra la Santa Messa; un gruppo di Mantova diretto a Medjugorje ci chiede di potersi unire a noi, così con loro dividiamo la prima santa funzione del nostro pellegrinaggio. Il viaggio prosegue tra una dormitina, un po’ di catechesi, una chiacchierata fino a raggiungere il confine della Bosnia Erzegovina. Ora ci facciamo tutti molto più attenti, stiamo avvicinandoci alla meta e, stanchezza, curiosità ed emozione ci tengono vigili: il panorama si addolcisce, le «crode » sono finite e cominciamo a vedere vigneti e campi coltivati. È sera, finalmente dopo circa dodici ore dalla partenza, Medjugorje ci accoglie. Riconosco subito la caratteristica chiesa con i due campanili ed una moltitudine di gente, tanta gente, tanti pullman, tanti negozi. Fra me penso «ecco ci siamo, come prevedevo». Poi mi dico: «Aide,
aspetta un attimo prima di giudicare… aspetta». La mattina successiva don Maurizio ci accompagna alla Chiesa per continuare il racconto di Medjugorje già iniziato durante il viaggio: le apparizioni, i veggenti, i messaggi della Vergine. Per vivere al meglio questo pellegrinaggio ci consiglia la Confessione e la Santa Messa in italiano che verrà celebrata all’aperto nell’enorme area allestita dietro la grande Chiesa. Appena mi avvicino ai confessionali mi accorgo delle lunghe file di persone in attesa della Confessione, ognuno nella propria lingua. Per timore di non fare a tempo troviamo un sacerdote che confessa su una panchina. Che pace, che serenità. Sono sbalordita: nonostante la grande affluenza di visitatori c’è silenzio, e… molte preghiere. Quando alle undici inizia la funzione l’area riservata per la Santa Messa all’aperto è stracolma. È impossibile non venire coinvolti dal senso di pace, di spiritualità, dall’emozione e dalla devozione che le
ma tutti partono armati di bastoni, di voglia di esserci e tanta fede. Li vedo tornare dopo un paio d’ore emozionati, felici di essere arrivati fin lassù dove la Madonna appare ai veggenti due volte al mese. Qualcuno mi racconta la propria esperienza, la propria emozione e nessuno si lamenta per la stanchezza, la fatica e per la durezza del percorso, sembrano tutti «giovinetti felici». Un’altra forte emozione ci attendeva la sera successiva: per concludere il nostro pellegrinaggio don Maurizio ci suggerisce di partecipare all’Adorazione del Cristo. Ubbidienti, più o meno tutti, dopo cena ci avviamo alla Chiesa per assistere all’Adorazione. Impossibile rendere a parole ciò che abbiamo vissuto e le sensazioni provate; nel buio della notte, sotto la luna un grandissimo Ostensorio illuminato, una voce dolce accompagnata solo da una chitarra intonava i canti, per il resto il silenzio era assoluto, una spiritualità palpabile. Una immensa folla di persone sedute
La parrocchia di Medjugorje, intitolata a San Giacomo, ogni giorno mèta per innumerevoli pellegrini.
preghiere e i canti ci regalano. Mi guardo intorno e vedo volti tutti diversi, ma in realtà tutti uguali, tutti con la stessa espressione estatica, intensa, concentrata nella partecipazione della sacra funzione. Il pomeriggio ci porta ad incontrare la comunità il Cenacolo fondata da una religiosa italiana per il recupero di giovani disadattati; ed infine ecco la salita alla collina delle apparizioni. Io purtroppo non posso parteciparvi,
Don Maurizio e il gruppo di Dardago, Budoia e Santa Lucia sostano in raccoglimento davanti alla grande statua del Gesù Risorto.
o inginocchiate o in piedi pregava in silenzio, quasi percepivi le vibrazioni delle emozioni che provavamo: quell’Ostensorio, lì davanti a noi, illuminato, era il fondamento del nostro Credo; ho alzato un attimo lo sguardo intorno ed ognuna delle oltre seimila persone presenti era concentrata nella propria preghiera. Alle undici, finita l’Adorazione, tutta quella moltitudine di persone è silenziosamente sciamata via lenta10
mente ed ha invaso la città. Alcuni di noi ancora alla ricerca di una coroncina, di una statuina, di un oggetto per noi o da regalare, che ci ricordasse questi momenti così intensamente vissuti. E meno male che troviamo i negozi aperti, le bancarelle, perché è questo che noi pellegrini cercavamo, non souvenir o altro, ma solo rosari, statuine e immagini della Madonna da portare nelle nostre case come segno di momenti emozionanti profondamente sentiti (Aide, hai visto che è meglio aspettare prima di dare sentenze affrettate e precipitose!). Domani lascerò Medjugorje ed insieme a tutte le emozioni provate in questo pellegrinaggio mi porto via anche una frase che mi ha detto il sacerdote che mi ha confessato: «da Medjugorje nessuno va mai via a mani vuote». È vero, non miracoli, non apparizioni, niente di sensazionale, ma serenità, spiritualità e la consapevolezza che c’è sempre Lei vicino a me che mi segue e mi guida, devo solo imparare a «sentirla», per-
ché Lei c’è, sono io che sono sorda a volte. Il nostro pellegrinaggio cambia forma e diventa anche gita: visitiamo Mostar, gioiellino situato a 45 chilometri da Medjugorje, esempio di integrazione religiosa tra cattolici e musulmani. L’antico ponte romano, distrutto durante la recente guerra tra bosniaci e serbi, è stato sostituito da uno nuovo; attorno ad esso corre la medina, il centro storico della città,
con case e negozi che ricordano quelle del medio oriente. Qualcuno assaggia il caffè turco e pare anche gradirlo: passando poi tra moschee e minareti e la chiesa francescana risaliamo sul pullman. Ci attende ora la città di Sarajevo: sono curiosa, ne ho sentito parlare molto; la guida ci accompagna in questa città che appare ancora martoriata dalla recente guerra, molte sono le case che portano i segni degli scontri cruenti, ci mostra le colline dei «cecchini», i palazzi da dove sparavano, è un panorama desolante e triste. La città intorno vive il suo quotidiano, strade piene di auto, gente che si reca al lavoro, ma nella mia
mente restano «i buchi» nelle case con tutti gli effetti del caso. Sarajevo è una città principalmente musulmana anche se vediamo qualche chiesa ortodossa. La guida ci suggerisce di bere l’acqua della fontana che sarà di buon auspicio per un ritorno. Chissà! Torniamo al nostro magnifico albergo: cena al quindicesimo piano su una stupenda piattaforma girevole che mentre ceniamo ci mostra tutta Sarajevo by night. Domani alzataccia alle cinque e partenza alle sei e mezza. Il viaggio di ritorno è lungo, ma noi siamo tutti felici, nulla ci fa paura, il gruppo è ben compatto, amalgamato, Dardago, Budoia e Santa Lucia sono una cosa sola (che la Madonna abbia fatto il miracolo?). Sarajevo-Zagabria sette ore. «Il don» approfitta di una sosta tecnica per allestire la Santa Messa sul pullman. Tutti presenti e partecipi e poiché questa è l’ultima funzione della nostra gita, cogliamo l’occasione
per fare omaggio a don Maurizio di una statua della Madonna di Medjugorje, offerta come segno di ringraziamento e in ricordo di questo viaggio ricco di significato per noi tutti. Zagabria mi sorprende: si presenta come una bella città europea, pulita, ordinata e ben organizzata. Una guida molto in gamba ci accompagna alla Cattedrale e alla visita guidata attraverso il centro. Ora non ci resta che risalire per l’ultima volta sul pullman e via veloci verso Dardago. Il viaggio è finito, ma le emozioni restano vive dentro di noi; quello che abbiamo vissuto in questi cinque giorni non svanirà facilmente, anzi spero che ogni giorno il ricordo riviva sempre nel mio cuore e nella mia anima e mi impegno seriamente a far sì che questo accada. Se ci riuscirò, sarà il mio «miracolo» personale. Grazie don Maurizio per il supporto spirituale, per la tua allegria e semplicità.
Tutti insieme sul Podbrdo...
Villaggio della Gioia di Martina Pellegrini
V orrei raccontarvi dell’esperienza più importante e significativa che ho vissuto finora. Io ho vent’anni e frequento il secondo anno di Giurisprudenza presso l’Università di Trieste e, anche se negli ultimi due anni mi sono dovuta trasferire lì per motivi di studio, sono di Dardago. La scorsa estate ho avuto la fortuna, e spero che alla fine di queste mie righe capiate perché parlo di fortuna, di trascorrere un periodo di volontariato in Africa, precisamente in Tanzania. Sono stati dei giorni talmente significativi che ho deciso, per quanto sia possibile, di cercare di raccontare almeno una minima parte della mia avventura, con la speranza di trasmettere anche solo una delle tante emozioni che ho provato io lì. Senza nessuna aspettativa, stupendo un po’ tutti, mio papà per primo, ho deciso di partire per la Tanzania, per rag-
in Tanzania giungere Mbweni, un povero paesino di pescatori sulla costa dell’Oceano Indiano, a nord di Dar es Salaam, dove sorge il Villaggio della Gioia. Il Villaggio della Gioia, è stato creato nel 2002 da Padre Fulgenzio Cortesi, sacerdote passionista di settantacinque anni, che trovandosi a Dar es Salaam si scontrò personalmente con una realtà caratterizzata da un altissimo numero di orfani e bambini di strada e decise di aiutarli. Nacque così il Villaggio della Gioia, luogo di accoglienza ed educazione che oggi ospita ben 120 bambini, molti dei quali sono orfani a causa del virus dell’AIDS mentre altri sono figli di famiglie troppo povere per potersi prendere cura di loro. Padre Fulgenzio ha realizzato una validissima alternativa all’orfanotrofio freddo e impersonale che limita la creatività e l’individualità dei ragazzi, creando invece un clima sereno 12
dove i bambini hanno la possibilità di crescere in un ambiente il più possibile famigliare. Il Villaggio infatti è composto da «case-famiglia», che ospitano dai 10 ai 16 bambini ciascuna, divisi per sesso ed età. Al suo interno, per garantire l’istruzione,vi è la scuola primaria, la «Hope and Joy» English Primary School, aperta anche ai bambini dei paesi vicini; mentre a breve verrà attivata anche la scuola secondaria, di recente costruzione, per permettere il proseguimento degli studi. Durante tutto l’anno si recano lì, come me, molti volontari di tutte le età provenienti da tutte le zone d’Italia, che si occupano della gestione e del funzionamento interno del Villaggio, svolgendo ogni giorno le più svariate attività, come per esempio sistemare il materiale o il cibo dei container nei magazzini, pulire, provvedere alla preparazione dei
pasti, zappare, tagliare la legna e, la cosa più gratificante, giocare con i bambini. Le giornate sono sempre molto ricche, le cose da fare certamente non mancano mai, ma questo luogo ha la capacità di ripagarti donandoti serenità e spensieratezza. Senza accorgermene, l’Africa, la Tanzania e i bambini, in un attimo, mi hanno subito coinvolta e mi sono ritrovata in una realtà inimmaginabile, totalmente diversa da quella che comunemente si è portati ad aspettarsi in un paese così povero e per noi decisamente arretrato. Paradossalmente infatti, passeggiando per i paesini la cosa che colpisce di più, non sono le condizioni di vita, pur essendoci un
estremo grado di disagio e di povertà, ma i valori che queste persone riescono a trasmettere. Sia all’interno del Villaggio della Gioia che all’esterno, nei paesi, emerge una grande umiltà e dignità, in quei giorni non mi è mai capitato di incrociare uno sguardo di un adulto o di un bambino che non mi abbia sorriso. Traspare la naturalezza e l’immediatezza dei rapporti umani, che si nota anche semplicemente dal saluto che si riceve sempre da qualsiasi sconosciuto che si incontra per strada. A sorpresa mi sono quindi trovata davanti delle persone solari, magari senza una casa, ma positive, che anche semplicemente con uno sguardo hanno avuto la capa-
cità di insegnarmi molto. Padre Fulgenzio infatti una sera, durante la cena, parlando con noi volontari ci ha fatto notare come la gente del posto, in qualsiasi circostanza si trovi, alla domanda «Habari?», ossia «come stai?», nella loro lingua lo Swailii, risponde sempre, e senza esitazione «Nzuri!», cioè «sto bene!». Ero partita con una grande voglia di conoscere, di imparare, e così è stato. Ho avuto la possibilità di scoprire una quotidianità decisamente imparagonabile alla nostra, forse per certi aspetti addirittura incomprensibile, a questo propostito Padre Fulgenzio, in risposta alle molte domande e osservazioni dei volontari una sera, sempre a cena, ci ha detto «Dell’Africa è bello non capire», e penso avesse proprio ragione. Ho capito che giudicare ciò che si vede non ha senso, poiché vivendo in una dimensione diversa, non abbiamo gli strumenti per poterlo fare. È stata un’esperienza grande, che mi ha fatta crescere, e anche se per certi aspetti è stata dura, mi ha dato davvero tanto. Penso sia questo il bello dell’Africa, torni a casa più ricco. Le mie giornate al Villaggio della Gioia sono state piene di emozioni, emozioni purissime, nate da uno sguardo, un sorriso, un abbraccio, una camminata per mano ai bambini. Bambini con gli occhi grandi, occhi che parlano, che dicono molto, che ti fanno promettere di tornare, e le promesse, si sa, si mantengono sempre.
Ci sono molti modi per aiutare Padre Fulgenzio e i suoi bambini, per qualsiasi tipo d’informazione visitate il sito
www.ilvillaggiodellagioia.it
Nelle foto Martina Pellegrini tra i bambini e adolescenti del Villaggio della Gioia di Padre Fulgenzio Cortesi, a Mbweni.
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Il prof. dr. Carlo Carlon, chirurgo di fama internazionale, personalità dotata di grande umanità.
“Era un angelo! ” a cura della Redazione
Carla Maria Del Maschio ci scrive dalla Svizzera.
settembre 2012
Carissimi de l’Artugna, nel mese di aprile ero a Budoia e sono andata da Vittorina per ringraziarvi della vostra graditissima rivista. Parlando di varie cose, le ho domandato se nel periodico l’Artugna fosse mai stata pubblicata una biografia del professor Carlo Carlon. Essendo stato mio santolo di Battesimo, sono sempre stata interessata a conoscere la sua persona e la sua vita. Così mi raccontava mia mamma, Agata Carlon. Nel 1942, Carlo era un giovane studente di medicina. Quando stavo per nascere, egli chiese a mia madre e alla levatrice, la Nina Comare, Domenica Panizzut, se poteva assistere al parto, e fu accontentato. In quei tempi si nasceva in casa, nella camera matrimoniale. Il giovane Carlo, tutto contento per la
nuova esperienza, propose a mia madre che se fosse nato un maschietto avrebbe desiderato chiamarlo Carlo; se, invece, fosse nata una femminuccia, Carla. Mia madre accettò. Così Carla nacque ed egli fu mio santolo di Battesimo assieme alla sua fidanzata, la signorina maestra Maria Scalari. Mentre ebbi modo di conoscere la Signorina Scalari durante la scuola elementare, perché fu la mia maestra, il Professor Carlo non l’ho mai conosciuto di persona, solo attraverso i racconti di mia madre. Quando ero piccola, egli mi faceva pervenire degli ovetti di cioccolato, durante le festività pasquali. Poi finite le elementari, sono partita per la Svizzera con i miei genitori e così non ci siamo mai incontrati. Sapevo che era sposato e aveva un figlio e una figlia. Ho saputo che aveva
una clinica a Padova e che ha salvato tante persone con gravi malattie al cuore. Una budoiese, da lui assistita, mi ha riferito che era bravo, buono e con gli ammalati era un Angelo! Ora riposa nella cappella familiare, nel cimitero di Budoia; così visitando i miei genitori e parenti deceduti, mi soffermo dove lui riposa e guardo la sua foto con riconoscenza per avermi fatta nascere, ma anche con un po’ di rammarico per non averlo mai conosciuto. Io ero molto fiera di lui; qui in Svizzera parlavo del mio santolo che era un professore chirurgo cardiologo molto famoso nel mondo!
o i h c s a M l e D a i r a M a l Car a izzer a, Sv n r e nB singe Mun
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CARLA MARIA DEL MASCHIO
Dal registro degli atti di battesimo Cara Carla, ti proponiamo la foto dell’albo del tuo Battesimo, che documenta pure il nome del tuo padrino e quello della tua madrina. Così oltre alle testimonianze tramandate dalla cara mamma Agata, potrai conservare anche la documentazione dell’atto ufficiale. Si ringrazia il parroco don Maurizio per aver permesso la consultazione dell’archivio della parrocchia di Budoia.
Riportiamo il testo di mons. Giuseppe Lozer, tratto dal volume «Budoia», edito nel 1961, che sicuramente Carla conserva tra i suoi ricordi, ma che ci fa piacere diffondere anche tra le pagine del nostro periodico per richiamare alla memoria un insigne chirurgo di fama internazionale, il budoiese Carlo Carlon Fassiner, a cui l’Artugna non aveva mai dedicato uno spazio.
Prof. dr. Carlo Carlon «Fra i laureati e professori di Budoia merita un cenno speciale il professor dottor Carlo Adolfo Carlon (già allievo e aiuto dell’insigne chirurgo Galeno Ceccarelli dell’Università di Padova) e attualmente primario chirurgo presso l’Ospedale di Udine. Fu più volte invitato a Pordenone dal Centro Cardiologico presso l’Ospedale Civile diretto dal ben noto prof. Pizzetto, per interventi chirurgici di commissurotomia felicemente riusciti (operazioni al cuore). Oggi conta 42 anni, ma quando ne aveva soltanto 32, il suo nome aveva già risonanza in qualche rivista specializzata in Italia, in Francia e negli Stati Uniti d’America per i positivi e notevoli risultati da lui conseguiti (con la cooperazione anche dei colleghi De Marchi e Mondini) «su una nuova anastomosi vasale per la terapia chirurgica di alcuni vizi cardiovascolari». Nel 1957 a Torino si tenne un convegno internazionale medico. Il professor Bakuliev, illustre chirurgo dell’Università di Mosca, fece una relazione sopra una operazione originale per la cura di alcune manifestazioni congenite cardiache che
aveva dato risultati straordinari. Dopo la relazione del professor Bakuliev, ottenne di parlare il nostro prof. Carlon e riferì che fin dal 1950 egli aveva raggiunto prove concrete di operazioni cardiache come quelle esposte dall’emerito professore dell’Università di Mosca. E dinanzi all’assemblea degli eminenti medici proiettava la documentazione scientifica dei suoi studi, delle sue prove e dei risultati felici conseguiti prima sugli animali e poi sui pazienti umani. Il professor Bakuliev, dinanzi a così positiva dimostrazione riconobbe la priorità dell’esperimento e degli studi del giovane collega italiano, si felicitò con lui dicendo che gli erano sfuggite le pubblicazioni che avevano illustrato il delicato intervento. Nella prima decade di giugno di quest’anno 1961 si tennero a Torino, fra le tante manifestazioni, delle Giornate Mediche. In quella internazionale furono assegnate sette lauree ad honorem e sette medaglie d’oro dell’Università di Torino a sette scienziati stranieri che hanno dedicato la loro vita al progresso della medicina e della chirurgia. Fra gli
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insigniti dell’alto onore fu compreso il prof. Bakuliev con la seguente motivazione: «La sua notorietà è soprattutto legata ad una operazione originale per la cura di alcune malformazioni congenite cardiache; il suo intervento chirurgico ha l’impronta della genialità e ha dato risultati sorprendenti». Ma l’impronta della genialità della operazione originale l’ha data il nostro prof. Carlon cinque anni prima del prof. Bakuliev, il quale ha dovuto riconoscere la priorità del dottore italiano. Si doveva onorare il professore russo perché pioniere di ogni arditismo chirurgico, ma per la verità e per giustizia non si doveva attribuire a lui una geniale originale operazione, frutto di impegno italiano. Ma il nostro beneamato compaesano prof. Carlon è superiore alle dimenticanze accademiche. Il suo nome è segnato nella storia della chirurgia italiana come resta nella mente e nel cuore dei tanti paesani da lui felicemente operati e di quanti altri beneficeranno della sua geniale terapia chirurgica».
Quest’estate è stata l’occasione per conoscere Angelo Modolo pittore con la personale organizzata dai suoi tre figli.
L’autoritratto di Angelo Modolo e il ritratto della moglie Lucia.
la personale di Angelo Modolo a cura dei figli Elena, Laura, Oscar Modolo e della nipote Carla Dorigo
Ringraziamo l’amministrazione comunale e la pro loco di Budoia per averci dato la possibilità di realizzare questa mostra presso il teatro comunale di Dardago, dove abbiamo esposto 51 dipinti eseguiti da Angelo Modolo, dal 1970 al 2000.
Questa sua personale, portata a compimento da noi tre figli, sarebbe stato un suo desiderio molto ambito che purtroppo non è mai riuscito a realizzare. Angelo Modolo è nato a Gorgazzo il 25 settembre 1926 e vi ri-
I figli di Angelo Modolo, Laura, Elena e Oscar, e i nipoti, il giorno dell’inaugurazione della mostra.
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siede fino alla fine nel 2010; è stato per trent’anni il fotografo delle tre frazioni con laboratorio a Budoia, in via Cardazzo, e magari la gente ha questo ricordo in mente. La sua grande passione per la pittura nasce sin da bambino e lo accompagna per tutta la vita, da autodidatta si documenta studiando i grandi della pittura e applica e sperimenta varie tecniche nei dipinti che ci ha lasciato. Ci ricorda la sorella che Angelo da ragazzo aveva sempre con sé carta e matita per cogliere sempre qualche particolare, come gli aerei che lui riportava identici anche sui muri. Ricordiamo che spesso la domenica con il suo cavalletto andava nei prati a riprodurre i paesaggi sul posto. Partecipa negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso a diverse ex tempore di pittura e vince nel ’74 il primo premio a Caneva con un paesaggio delle nostre zone, un altro premio nel ’79 a Maniago con una Maternità, una segna-
1.
lazione nell’81 in Piancavallo e altro ancora. È stato grande amico del pittore Giuseppe Ragogna, che spesso andava a trovare nella sua abitazione ad Aviano. Abbiamo esposto quadri di famiglia e alcuni gentilmente prestati come quello nell’ingresso Umanità africana dell’81, donato alla parrocchia di Budoia. Nel corso della mostra in molti ci hanno fatto sapere di possedere un suo dipinto e per noi è stato interessante rivedere e ora tentare di ricercare quello che ancora non abbiamo visto. Abbiamo avuto il piacere di incontrare persone anche giovani che si soffermavano davanti a quadri che rievocano tempi lontani come La Sloitha, slitta per trasportare la legna giù dalla montagna, le lavandaie sul Gorgas, sul lavador di legno, bambini che giocano in riva al Gorgazzo, la nassa che serve per prendere i pesci sul letto del fiume, la raccolta dei fiori, il cortile e il molino di Polcenigo. Scorci di paese, in particolare ru-
stici di case che ora sono state ristrutturate e quindi le rivediamo com’erano in passato come il cortile Titolo con pozzo, a Budoia e le case astratte. Il pannello delle Chiese denota una diversità nei colori. I ritratti in particolare il suo autoritratto ha colpito molto. Il suo preferito è sempre stato Papa Giovanni che ha suscitato diverso interesse come anche i Due ragazzi sotto la pioggia è stato molto apprezzato. Nelle figure abbiamo visto la Madonna Nera, Madonna con bambino, Maternità, astratta, un’altra Maternità a carboncino e il quadro della Vita molto apprezzato. Nel tema sacro interessante il carboncino della Passione di Cristo. Per noi figli questa è stata una grande soddisfazione personale incontrare persone che, avendolo conosciuto, conservano un bel ricordo e ne hanno apprezzato le qualità artistiche come nel quaderno delle firme molti hanno ringraziato per aver fatto questa mostra.
ANGELO MODOLO, PITTORE
2.
Un silenzioso cantore del paesaggio pedemontano di Vittorina Carlon
3.
1. Ritratto di Papa Giovanni XXIII. 2. L’Umanità africana. 3. Il risveglio.
Angelo Modolo, il fotografo-pittore, elogia il paesaggio della sua terra che sente con vigorosa emozione e transcodifica sulla tela in forme sintetiche, cogliendo l’essenziale senza indugiare. Lo scenario riccamente pittorico del Gorgazzo – sorgente e borgo – con i suoi silenzi, luogo in cui Angelo è nato, vissuto e ha dipinto, diventa per lui la palestra artistica in cui allenarsi, cimentarsi instancabilmente con estro 17
e capacità pittorici non comuni. Fin dall’infanzia Angelo ama «dialogare» con linee e colori, imparando autonomamente la grammatica dell’artista. Un aneddoto è rimasto nella memoria visiva della sorella. Durante le incursioni aeree della seconda guerra mondiale sui cieli della nostra Pedemontana, Angelo, ancora ragazzo, usciva nel cortile per fissare intensamente quelle immagini che raffigurava,
ANGELO MODOLO, PITTORE
Dall’alto in basso. Case della Pedemontana. La raccolta dei fiori. Nevicata su Gorgazzo.
poi, sulle pareti interne di casa: erano aerei talmente reali da stupire l’osservatore. Passano gli anni e la sua sensibilità artistica si affina. È vivo il ricordo dei figli allora infanti: il fascino di un foglio bianco che in un batter d’occhio si animava, si riempiva di segni su segni che prendevano forma, e, nell’arco temporale di una mattutina colazione, ecco nascere case, lagune, ambienti naturali tracciati con il carboncino o il nero di china. L’artista continua nel tempo a esternare sempre più intensamente le sue emozioni, in una dimensione contemplativa e lirica, con i suoi temi prediletti, le rappresentazioni delle bellezze naturali dei paesaggi agresti e delle case della Pedemontana, attraverso l’alternarsi di cromie luminose e cupe, senza disdegnare i ritratti delle persone care, gli autoritratti, e pure le figure della sfera del sacro, con tocchi di pennello o di carboncino carichi di poesia e di sensibilità. Per lui, dipingere è ascoltare i silenzi per lodare il Creato. La sua è un’opera naturale, spontanea, semplice ma gradevole, sentita e vissuta intensamente, quasi riservata: è la proiezione della sua personalità serena, del suo carattere mite e schivo, profondamente sincero e naturale, che sa stupirsi di fronte a un prato fiorito, a un cielo in movimento, a un dolce sorriso di bimba, alla solitudine di una casa, privata del suo fascino dal tempo ostile. Personalità libera da influenze di scuola, Modolo ebbe il privilegio di essere un autodidatta, capace di dare ascolto alla propria innata inclinazione artistica. 18
a Budoia, gli Amici del Girasole Chi era presente il 2 giugno scorso a Budoia ha potuto partecipare ad un’importante iniziativa benefica pro Burlo Garofolo (istituto pediatrico di eccellenza a Trieste). Quel giorno la piazza Umberto I ha ospitato associazioni ONLUS, cooperative sociali, gruppi di volontari e il mercatino dei bambini, ha offerto attività con i cavalli, laboratori per bambini e ragazzi, spettacoli, dimostrazioni, tornei, giochi e racconti, perfino una sfilata di moda e uno spettacolo dei Papu, coinvolgendo Comune, Pro Loco, Progetto Giovani, i commercianti e i ristoratori del territorio. Questi ultimi hanno preparato ottimi piatti tipici per la degustazione di beneficenza, che ha consentito di raccogliere la ricca somma di 1.730 euro devoluti al Burlo. L’attività dei volontari Amici del Girasole, iniziata il 2 giugno 2011, si è concretizzata anche l’8 dicembre dello scorso anno, con un mercatino natalizio, laboratori per bambini, l’accensione dell’albero di Natale con il Sindaco e soprattutto con la raccolta di giochi usati in buono stato donati alla Casa Madonna Pellegrina di Pordenone (raccolta reiterata anche l’8 dicembre
Alcuni momenti delle iniziative organizzate in occasione della festa del 2 giugno. In alto. Gli organizzatori con i Papu ed il dott. Stefano Martelossi del Burlo Garofolo.
di quest’anno), e in ottobre, con una grigliata di beneficenza insieme agli Amici di Griglia (raccolti 1.980 euro sempre il Burlo!). Le iniziative del gruppo di amici Cristina Barbariol, Daniela Lavezzari, Claudio Mariani, Giorgia Del Puppo e Daliah Frezza continuano nel 2013 (non perdetevi il prossimo 2 giugno…): potete trovare informazioni e aggiornamenti sulla pagina Facebook degli Amici del Girasole; inoltre, chi lo desidera può contribuire alla raccolta fondi per il Burlo con l’acquisto del calendario 2013, al cui interno si trovano le 60 poesie scritte dai bambini e dalle bambine delle scuole primarie degli IC 19
di Caneva, Aviano, Roveredo e Fontanafredda che hanno partecipato al concorso «Il paese in poesia», sempre indetto dai volontari. Il calendario è disponibile presso l’azienda agricola Ortogoloso di Cristina e Roberto Andreazza, di Budoia.
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La Redazione coglie l’occasione per ringraziare la cartoleria «il Girasole» che in questi anni di attività ha svolto con molta cortesia il servizio di rivendita del nostro periodico.
Questo scritto vale solo come comunicazione informativa e non come invito alla frequentazione di questa struttura. Si ricorda che l’arrampicata è un’attività potenzialmente pericolosa. Chi la pratica lo fa a proprio rischio ed ha il dovere di conoscere e mettere in atto tutte quelle misure di sicurezza per evitare incidenti per sé e per gli altri.
di Roberto Bianchini
U n presunto franamento del Monte Brognasa, avancorpo collinare del Monte Cavallo, avvenuto in epoca preistorica, ha determinato la formazione di un bastione roccioso che per alcune centinaia di metri si eleva sopra la chiesetta di San Tomè a Dardago. Rimasto sconosciuto nel tempo, all’inizio del secolo scorso è stato notato dai primi avventurosi che risalivano la valle del torrente Artugna per andare sui monti circostanti. Negli anni Trenta questo giallastro e strapiombante paretone destò l’interesse di Raffaele Carlesso, famoso alpinista pordenonese, che con l’amico e compagno di cordata Renzo Granzotto, nonostante i pochi e modesti mezzi dell’epoca, vi aprì alcuni itinerari in
preparazione d’importanti imprese dolomitiche, itinerari ancor oggi considerati al limite delle difficoltà alpinistiche. Nel decennio successivo gli eventi bellici fecero cadere nell’oblio queste crode; in seguito furono quasi abbandonate a causa delle grandi difficoltà delle vie con chiodatura rischiosa ed anche perché considerate solo un impegnativo banco di prova per le salite in montagna. Negli anni Sessanta il luogo vide timidamente apparire le nuove generazioni di alpinisti alla ricerca di terreno idoneo ai corsi roccia; l’ambiente fu riscoperto e si cominciarono a salire ed attrezzare anche le piccole falesie poste a destra del paretone. Il proliferare di nuove vie
Palestra di roccia Dardago-San Tomè
concomitante con lo sviluppo dell’arrampicata libera e sportiva ha determinato un significativo ampliamento della palestra qualificandola come una delle migliori strutture naturali di tutto il nord est. Per raggiungerla ci si porta nella piazza di Dardago, frazione del comune di Budoia, proseguendo verso nord lungo la strada che corre parallela al torrente e risale la valle. La palestra si sviluppa nei seguenti settori – Il Paretone sopra la chiesa; – le Placchette dopo il Paretone seguendo la traccia verso nord; – la Grotta un centinaio di metri sopra il Paretone; – la Piccola Bassa lungo il sentiero segnato CAI 990;
– la Piccola Alta – Il Fico sopra la Piccola Bassa. Le vie sono quasi tutte a monotipo con uno sviluppo che varia dai 15 ai 28-30 metri. Una sola via ha tre tiri di corda (la Fessura sul Paretone) e una ne ha cinque (Equipe 84). Si tratta in totale di oltre un centinaio di vie sicure e ben protette. Le difficoltà tecniche vanno dal III+ (scala UIAA) fino all’8b+ (scala francese). In questo importante ambiente hanno operato autonomamente, in diversi periodi, alcuni veri appassionati che con il loro spontaneo contributo sono stati gli artefici delle vie e della loro sicurezza. Doveroso citare alcuni nomi: Stenio Perin, i gemelli Stanchina, Fabrizio
Vago, Marco Burigana, Luca Miorin ed i fratelli Franz. Nel 2001, al margine destro del Paretone, a cura del comune di Budoia, della Sezione CAI di Pordenone e degli alpinisti pordenonesi, è stata collocata una targa bronzea in memoria di Raffaele Carlesso che fu il precursore e primo realizzatore della palestra. Tratto da Il Notiziario, n. 31, anno XV, autunno 2007. Periodico della sezione di Pordenone del Club Alpino Italiano.
Oltre agli scalatori citati dall’autore, noi vogliamo ricordare il nostro caro maestro Umberto Sanson, amico di Raffaele Carlesso, che con lui scalò il Crep negli anni ’50-60 del secolo scorso. In un suo articolo (l’Artugna n. 90, agosto 2000), il maestro ricordava che il grande scalatore lasciò sul Crep «una piccola staffa di corda ed alluminio», durante una delle sue ultime scalate.
«Amatevi l’un l’altro come Io vi ho amato»
lo sbattezzamento di Alessandro Fontana
H o ritrovato oggi un appunto scritto, ormai sei anni fa, su due paginette e stavo sul punto di appallottolarle e liberarmene come fossero proprio quello che mi erano sembrate: solo fastidiosi ricordi. Poi, la curiosità mi ha spinto a rileggerle e conservarle. Non si tratta di considerazioni fulminanti, di quelle capaci di indirizzare la vita su altri binari, ma queste righe mi sembrano almeno degne di figurare tra i miei ‘spunti’. Perciò le riporto tali e quali le scrissi allora sotto lo stimolo dell’indignazione conseguente all’iniziale sorpresa. «Ascoltavo in auto una trasmissione di «Radio 102.5» la scorsa settimana, mentre mi liberavo dal traffico cittadino di Pordenone. Potevo quindi prestare attenzione a quanto si dibatteva in quel momento. L’intervistatore eccitava al colloquio telefonico alcuni personaggi tra cui una scrittrice – così era presentata al pubblico – di cui non ricordo il nome. Le sue generalità sono state evidentemente affogate, nella mia memoria, da due brucianti concetti che lei ha espresso all’inizio e alla fine della sua spettacolare intervista. L’argomento del dibattito era l’enciclica di Papa Benedetto XVI, non ancora pubblicata dai media ma su cui molti «rumors» erano già nell’etere. L’intervista non era durata più di due o tre minuti ma la velocità della loquela della signora me l’aveva fatta percepire
come molto più lunga. Nel primo dei due concetti la signora negava alla Chiesa Cattolica, «a quei preti» aveva sibilato, il diritto di parlare d’amore perché, non essendo sposati, a suo dire non possono apprezzare tale sentimento. Il secondo concetto, finale dell’intervista, investiva il sacramento del Battesimo da cui lei si sentiva «oppressa e disgustata» al punto che auspicava, pretendeva il proprio «sbattezzamento». Nonostante la signora parlasse addirittura alla radio e a milioni di ascoltatori per me era purtroppo già morta, così com’è morto qualsiasi albero che rifiuti la propria radice: morta come qualsiasi creatura che rifugga l’affetto dei propri genitori che nel Battesimo l’avevano voluta proteggere dal male e porre sotto la protezione del Bene di Gesù Cristo. E non vale, per me, a riportare in vita quella signora la sua considerazione che nel passato la Chiesa abbia commesso degli errori peraltro oggi ampiamente riconosciuti e corretti. Ma, se possibile, la prima affermazione della signora è ancora più gratuita e incomprensibile. Infatti, cosa c’entra un mancato matrimonio carnale di un uomo (prete) o di una donna (suora) con la propria capacità di dare e ricevere amore? E, aggiungerei, soprattutto di ‘dare amore’ dal 22
momento che i veri sacerdoti e suore cattoliche rinunciano all’amore fisico per l’amore di Cristo e del prossimo. «Amatevi l’un l’altro come Io vi ho amato». Ma queste parole sono evidentemente troppo alte e difficili da capire per l’intelletto e per il cuore di quella triste signora aspirante allo ‘sbattesimo’.
un nobile segno la Redazione
U n significativo esempio da se-
È sempre stata particolare l’attenzione manifestata dalla nostra gente alla segnaletica sacra – croci, edicole, affreschi devozionali con immagini di Maria e di santi – che, fin dall’antichità, è stata punto di riferimento di rogazioni, di processioni e di altri riti sacri. Oggi, nelle nostre tre comunità si notano interventi di restauro, di ripristino di vecchi segni devozionali o addirittura di edificazione di nuovi: prova che la religiosità popolare è ancora viva nei nostri territori.
di Fede
guire è stata la decisione di una famiglia budoiese di provvedere al restauro della statua della Madonna del altaruòl de Costa come ringraziamento per grazia ricevuta: un elevato segno di fede. In un tardo pomeriggio di ottobre, don Maurizio e la comunità si sono raccolti attorno all’altaruol per la recita del rosario e la benedizione della statua della Madonna. L’altaròl del Brait Marco Janna Bocus era molto legato al Capitello del Brait e aveva più volte espresso il desiderio di restaurarlo. Non ha fatto in tempo! Così la moglie e i figli hanno pensato di ricordare il loro caro facendo restaurare l’altarol de la Madona, esaudendo, in tal modo, il suo desiderio. L’inaugurazione dei lavori di restauro si è svolta la sera del 30 ottobre: don Maurizio ha recitato il rosario con un nutrito numero di fedeli; quindi ha celebrato la Santa Messa e benedetto l’antico capitello che da più di duecento anni accoglie quanti salgono a Dardago e coloro che si recano in cimitero per trovare i loro cari defunti.
Momenti di devozione davanti alle due edicole sacre.
Un po’ di storia dell’altaruòl de la Madona de Costa L’antica statua lignea, appartenente alla chiesa di Sant’Andrea, fu collocata nell’edicola nel 1907, anno di costruzione del sacro. Furono quattro giovani diciottenni, nate nel 1889, a trasportare la statua dalla chiesa parrocchiale al nuovo sito: Giovanna Panizzut Sanson, Luigia Burigana Scussat, Maria Carlon Burigana e un’altra di cui non si conosce il nome. L’altaruòl, sostitutivo di uno più antico, è posto all’incrocio di arcaici percorsi: un sentiero che dal paese saliva verso Longiarethe e l’altro che conduceva a Polcenigo. La committente dell’edicola fu Maria Del Maschio Mos’cion, persona pia che ancor giovane intraprese la via del convento, ma per motivi di salute si trovò a doverla abbandonare; cosicché dopo una vita al servizio di famiglie benestanti, ritornata in paese all’inizio del secolo scorso, fece edificare l’attuale costruzione sacra. Ne divenne custode fino alla sua morte. L’incarico fu poi affidato a un’altra persona devota, Santa Carlon Miai. A tutt’oggi responsabile della custodia del sacro è la signora Teresa Santarossa Gislon, che con dedizione provvede sempre a mantenere adorna di fiori l’immagine della Vergine.
’N te la vetrina
Bambini e adolescenti degli anni Sessanta
27 luglio 1960. La forcella tra casera Saùc e casera Busa Villotta a Piancavallo. Da sinistra. Luigi Burigana (Gigi Bastianela), Rodolfo Vettor Martin, Eligio Carlon (in piedi), Filippo Carlon, Giorgio Janna Moro, un soldato di fanteria, marchigiano, di sentinella per una zona di sicurezza dovuta a possibili deviazioni di tiri di artiglieria (manovre in corso), Luciano Angelin Batesta, il sottoscritto Osvaldo Puppin Budelone (seduto), Roberto Mezzarobba Piai, Gianni Carlon, Luciano Zambon Thuciat. Ricordo che siamo rimasti bloccati dalle 8.00 alle 13.00. In quell’arco di tempo siamo stati messi al corrente sulla vita militare, in una forma molto seria, ed anche avvenuto lo scambio delle tre razioni da combattimento (gallette, cioccolato, marmellata, frutta secca, 10 cc di cognac ecc.) di cui disponeva la sentinella, equamente suddivise fra noi, con le nostre «razioni» di formaggio e salame nostrani.
Tricesimo, 1962. Dardaghesi e budoiesi in gita a Tolmezzo, guidati da don Matteo Pasut.
(foto e testo di Osvaldo Puppin Budelone)
Dardago, 1961. Tra un tempo e l’altro di una partita di calcio, una trentina di ragazzi budoiesi e dardaghesi posano per una foto. (le foto sopra e in alto sono di proprietà di don Matteo Pasut)
Una camminata in montagna, negli anni Sessanta. Da sinistra. I budoiesi Marco Zambon, Osvaldo Carlon (el moro), Agostino Angelin Girolet, Ferruccio Zambon Petenela, Silvio Carlon Ros. (foto di proprietà di Milena Burigana. I nomi sono stati forniti da Liliana Puppin Carlon)
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UN ACCORATO APPELLO AI LETTORI Se desiderate far pubblicare foto a voi care ed interessanti per le nostre comunità e per i lettori, la redazione de l’Artugna chiede la vostra collaborazione. Accompagnate le foto con una didascalia corredata di nomi, cognomi e soprannomi delle persone ritratte. Se poi conoscete anche l’anno, il luogo e l’occasione tanto meglio. Così facendo aiuterete a svolgere nella maniera più corretta il servizio sociale che il giornale desidera perseguire. In mancanza di tali informazioni la redazione non riterrà possibile la pubblicazione delle foto.
Anni Sessanta. Cinque coppie budoiesi con don Alfredo Pasut, sul sagrato della chiesa. Da sinistra. Andrea Burigana con la moglie Caterina, Giacomo Del Maschio con Pierina..., Valentino Angelin e Teresa Carlon, Pietro Del Maschio Danelin con la moglie, Andrea Signora con Rosa Carlon Cech. Alle spalle, oltre a don Alfredo, a sinistra Maria Santin Belogna e a destra figlia e madre Gasparin. (foto di proprietà di Milena Burigana. I nomi sono stati forniti da Liliana Puppin Carlon)
Appello ai lettori Feistritz, 31 luglio 1904. Ricordo a Ianna Luigia. Questa è la breve dedica che Sante Janna Tavàn (mio nonno, terzo da sinistra della seconda fila), ha scritto sul retro di una foto donata, più di un secolo fa, alla sua mamma Luigia. *** A quale Feistritz si riferisse mio nonno è questione ancora irrisolta (il toponimo identifica, con differenti specifiche, diversi centri austriaci), ma presumibilmente si tratta di Feistritz an der Gail, in Bassa Carinzia, ai confini con la Slovenia. Attualmente non possiedo altre informazioni ma, spinto dalla curiosità e dal desiderio di maggiori conoscenze, ho cercato di leggere ed interpretare alcuni particolari della foto. Innanzitutto l’identità di quel gruppo. Chi sono le persone ritratte attorno a mio nonno? Perché è stata scattata quella foto?
Che si tratti di un giorno non lavorativo è deducibile dagli abiti (quelli buoni «della festa») e da un barilotto di birra onorato con un’alzata di boccali (più volte mio nonno mi ha ripetuto di come la domenica si provvedesse all’acquisto de un caretél da condividere con gli amici). La presenza poi di un ramo di pino sotto il tetto della costruzione alle spalle di quel gruppo – come si usa tradizionalmente con le nostre fras’cie – significa certamente che l’edificio ha raggiunto la copertura e quelle persone ne stanno probabilmente festeggiando il traguardo. Interessante è anche il giornale tenuto in mano dalla persona in centro (perché il suo cappello sia riposto a terra è un altro di quei crucci senza risposta). Credo di aver identificato la sua testata, Il crociato, un quotidiano di stampo cattolico edito dal friulano Luigi Pellizzo
(poi divenuto arcivescovo). Ritengo dunque che anche la persona che lo regge sia friulana, quantomeno italiana. Ho fatto vedere la foto a diversi compaesani e qualcuno crede di aver riconosciuto in Antonio Zambon (Toni Palathìn), il quarto uomo da destra nella prima fila e in Regina Zambon, sposa di Valentino Janna Tavàn, la seconda signora a destra seduta in prima fila. Potrò dunque sbagliarmi, ma ritengo che tra i presenti vi sia più di un dardaghese. Ecco perché desidero chiedere l’aiuto ai lettori per identificare – se la mia tesi è corretta – gli altri «nostri» lavoratori in terra d’Austria più di 100 anni fa. Grazie! VITTORIO JANNA TAVÀN
una preziosa risorsa delle nostre montagne di Angelo Janna Tavàn
P er noi la montagna è sempre stata rappresentata dai prati e dai nostri boschi, impigriti nel tiepido sole invernale, con poche sorgenti d’acqua ma ricchi di erbe medicamentose. La preparazione di unguenti, la cui ricetta è stata tramandata di nonno in nipote, è stata infatti fondamentale per lenire ferite e punture di vespe, calabroni, ragni ed altri insetti. I boschi, poi, ci hanno sempre concesso, senza spese, funghi, castagne, fogliame e, naturalmente, ossigeno per il nostro respiro. Ma i boschi sono fondamentali soprattutto per la legna. Ricordo di come, in quei maledetti inverni della Seconda Guerra Mondiale, dopo la colazione con polenta e un po’ di latte, vestito di abiti leggeri e con gli zoccoli ai piedi, anch’io come altri miei coetanei prendevo una fascina di legna sotto il braccio e la portavo a scuola per tenere viva la stufa di terracotta. Sebbene non ben essiccata ci dava un po’ di conforto di calore. In quegli anni la legna era trasportata e commerciata nei paesi a valle su carri agricoli con ruote ferrate (non certo gommate), trainati dai buoi che sopportavano carichi di 45-50 quintali. Come ho già raccontato in un articolo dedicato alla vita di montagna e alla slitta (vd. l’Artugna n. 81, anno XXVI), il pericolo maggiore di quell’attività era costituito dalle raffiche di mitraglia o dalle bombe dei caccia americani. In un’occasione è capitato che passassero per tre volte sopra di noi a bassa quota e, per fortuna, notarono che il nostro carico era costituito da legna e non, come poteva capitare, da materiale bellico per rifornire i tedeschi. La morte sarebbe sennò stata sicura. Un’altra volta, in compagnia di Matteo Fort e Angelo Polat, partimmo sul far della sera, per scendere con il carro verso Visinale. Al rientro, a causa del coprifuoco, il buio
era totale e l’orientamento difficoltoso. Temevamo comunque i raid dei caccia o i controlli dei tedeschi lungo la strada. Perdemmo l’orientamento; fu allora che gli amici proposero di far avanzare i buoi di mio padre Giovanni poiché, essendo più anziani e quindi più esperti, ci avrebbero istintivamente condotto lungo la via di casa. Così fu e rientrammo finalmente in paese. Come in quest’occasione, anche nelle altre nostre discese a valle la legna era destinata ad alcune famiglie della pianura in cambio di mais e frumento; da loro c’era infatti povertà di legname tanto che le donne erano costrette a bruciare nella stufa tutoli di mais, tralci di viti e qualche ramo di platano. Per quanto regnasse la miseria anche da noi, ci ritenevamo fortunati, perché, nei boschi di Dardago, almeno c’era la legna e si potevano alimentare i quattro forni delle case dove mia madre e le altre donne cucinavano pane, focacce, spumiglie, zucche e qualsiasi altro prodotto.
Ricordo che di pane se ne cucinava a sufficienza (tanto da poter rifornire i tre paesi) in via San Tomè dove c’era il grande forno di Vincenzo Bocus detto de la Rossa e quando a luglio ed agosto la legna scarseggiava, per permettere di continuare la produzione, io e mio padre portavamo un gran carro di fascine. Il legno però, oltre che per scaldarsi e cucinare, serviva anche per fabbricare i mobili per la casa. Ricordo una vecchia madia fatta da mio nonno, uomo abilissimo nel lavorare e nell’accostare i disegni del legno. A quel mobile diede vita. I nodi del legno sembravano come due occhi che ti fissavano nel profondo dell’anima. Uno sguardo che ti entrava dentro e che ancor oggi rivedo. Riderà qualcuno nel leggere questi antichi ricordi tratteggiati con poca cultura ma forse non sa che tutto ciò è prova che le fatiche non furono subite per ignoranza ma per necessità di quei tempi che mi auguro non tornino più.
Nonostante le sue ottanta primavere Angelo Tavàn non si intimidisce nell’affrontare il taglio della legna. A destra. Anni Ottanta. Una salita in montagna su fino in Thentolina alla ricerca di erbe medicamentose. Da sinistra: un botanico foresto accompagnato da Ugo Zambon Pala, Angelo Janna Tavàn, Carlo Janna Tavàn e Mauro Zambon Thuciat.
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La salute
Voglia di vivere la memoria gran dono, infiniti «perché?»
Il cielo limpido o scuro, ma sempre lontano; se al tuo passar ben fai, aiuto avrai, se sei nei guai. La salute sembra a noi che l’oro vale ma quando un si sente male cerca aiuto all’ospedale. Esce a volte l’ambulanza, rientra ancor più in fretta: è qualcun che è da salvare. Dottori, professori, infermieri, giorno e notte per guarir le sofferenze, sempre gentili suo cuor la mente guarir stranieri di ogni gente. Donatori donar sangue da nostre vene per salvar di vite umane, Un giorno fui operato anch’io; al risveglio vidi il dono: sangue avevo dato oggi al mio cuor è ritornato. Lacrime felici di gioia e sorriso, lunga penosa notte udir lamenti di quei bimbi che innocenti. A dei vecchi che camminar mai più in croce a letto ossigeno dar che a giorni giorni vivan. Ogni mattin dà luce al giorno; rallegra il canto gli uccelli nei vasti bei giardini. Grazie di sogno uscir dall’ospedale sperar che sia mai più dolor né piaghe. ANGELO JANNA TAVÀN
L’angolo della poesia Quando il tempo passa e la vecchiaia incalza, le riflessioni intorno alla vita si fanno per tutti più insistenti. Angelo sembra volersene abbandonare in esordio di poesia dove, con esemplare sintesi, dispiega il significato del vissuto degli uomini (la memoria) con due soli termini: un valore concessoci dal Signore (gran dono) complicato da rimorsi, nostalgie, interrogativi (infiniti «perché?»), generati da noi stessi. Se il tempo delle nostra dipartita e dell’abbraccio divino è ancora prematuro (il cielo limpido o scuro, / ma sempre lontano), indipendentemente che si sia vissuti nell’angoscia o nella serenità, è per Angelo indispensabile, nella vita terrena, attivarsi in favore degli altri (se al tuo passar ben fai), per poter poi beneficiare di egual ricompensa (aiuto avrai, se sei nei guai). Ne è un esempio la salute, il più «godibile» dei doni terreni (l’oro vale) che necessita di cura e del sostegno degli altri (ma quando un si sente male / cerca aiuto all’ospedale). Qui Angelo alterna una visione esterna che si fa simbolo di una necessità (esce a volte l’ambulanza, / rientra ancor più in fretta: / è qualcun che è da salvare), ad una più intima, legata alla missione di dottori, professori ed infermieri dei quali decanta qualità professionali (giorno e notte per guarir le sofferenze) e sensibilità umana (sempre gentili suo cuor la mente) anche verso le persone con maggiori difficoltà sociali (guarir stranieri di ogni gente). Angelo non può che soffermarsi anche su un’altra categoria «speciale» legata al mondo della sanità: i donatori di sangue di cui è volontario (donatori donar sangue da nostre vene / per salvar di vite umane). La poesia ha qui una sosta e diventa uno spartiacque tra due mondi: coloro che portano salute (dottori, infermieri, donatori) e coloro che la richiedono. È nell’evocazione di un ricordo personale (la voglia di vivere la memoria annunciata nell’epilogo), che avviene lo scavalcamento di questo limite (prima donatore, ora paziente), dove Angelo meglio spiega il benefico contrappasso (se al tuo passar ben fai, / aiuto avrai, se sei nei guai). È l’episodio di un suo ricovero in ospedale (un giorno fui operato anch’io) nel quale proprio l’effetto di una trasfusione o dell’intervento chirurgico gli ha ridato vita (al risveglio vidi il dono: / sangue avevo dato / oggi al mio cuor è ritornato). Lo scavalcamento è avvenuto ed i versi si spostano dall’altra parte della «barricata», quella delle persone sofferenti, specialmente i bambini, che spengono la gioia della sua convalescenza (lacrime felici di gioia e sorriso, / lunga penosa notte udir lamenti / di quei bimbi che innocenti), e gli anziani, inchiodati a letto come in croce, oramai condannati ad una vita irrimediabilmente compromessa (a dei vecchi che camminar mai più / in croce a letto ossigeno dar) e di breve prospettiva (che a giorni giorni vivan). Tutto si trasforma, la visione di quelle sofferenze accende una speranza (grazie di sogno uscir dall’ospedale / sperar che sia mai più dolor né piaghe) nel tempo che passa indifferente ma porta una spirituale consolazione (ogni mattin dà luce al giorno; rallegra il canto degli uccelli / nei vasti bei giardini).
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ass oc di Bruno Fort
Collis e ancora Collis Vari appuntamenti hanno caratterizzato l’attività del «Collis Chorus» nel mese di ottobre e novembre a cominciare da «Tutti cori», festival della coralità provinciale patrocinato dall’U.S.C.I Pordenonese, che si è svolto a Casarsa il 13 ed il 14 di ottobre durante il quale si sono esibiti numerosi cori della provincia nel repertorio sacro e profano. Il secondo appuntamento ha visto la partecipazione del «Collis» in data 21 ottobre al «Festival della coralità veneta», presso la chiesa parrocchiale di Venegazzù – Volpago del Montello (Treviso) in qualità di «invitato speciale» nel quale si è sottolineato, durante la serata, il percorso di studio e vocalità del coro di Santa Lucia di Budoia che lo ha portato negli ultimi anni a raggiungere traguardi prestigiosi. Lo stesso ha presentato vari brani gospel spiritual in un ritmo incalzante molto apprezzato da tutti i presenti. Il festival che si svolgeva nel mese di ottobre in varie località della Regione Veneto con la presenza di
una giuria e di una Commissione di ascolto, si è concluso il 28 ottobre con il concerto di gala presso il Teatro Comunale «Mario del Monaco» di Treviso. Il terzo appuntamento si è svolto il 26 ottobre presso il Conservatorio di Castelfranco Veneto nell’ambito della serata «Concerto per il Magnificat». Il «Collis Chorus», nel 2009 in occasione della pubblicazione del suo secondo CD «Let’s go… spel» collegato ad un progetto di solidarietà, ha voluto sostenere l’Istituto Musicale Magnificat di Gerusalemme che si rivolge a bambini e ragazzi di tutti i popoli, di diverse razze e religioni che hanno la passione per la musica. Durante il concerto si è esibito il pianista palestinese Jiries Boullata, vincitore di molti concorsi pianistici, accompagnato da due giovani pianiste dello stesso Istituto anch’esse vincitrici di concorso, eseguendo vari brani di Haydn, Beethoven, Chopin e Liszt. Durante la serata, il coro ha presentato un repertorio nuovo che sa28
rà una delle sorprese per il «Concerto di Santo Stefano». Il 26 dicembre il «Collis Chorus», presso la chiesa parrocchiale di Dardago, in occasione del venticinquesimo anno di attività, presenta il suo programma... e si racconta. Grande affluenza di pubblico ha registrato il concerto di sabato 24 novembre presso il Centro Culturale «Aldo Moro» di Cordenons durante il quale il «Piccolo Coro di Sclavons» ha voluto festeggiare il raggiungimento di vent’anni di attività presentando il CD «Give us hope» ed eseguendo una serie di canzoni dirette da Paola Polesel coadiuvata dal marito Elia Marson. Il «Collis Chorus», ospite della serata, ha condiviso con il giovane coro tale ambizioso traguardo ed ha eseguito una vasta gamma di brani gospel molto applauditi da tutti i convenuti.
...A TORINO «EUROPA CANTAT»
trascinati verso
un sogno
Mole Antonelliana. Da sinistra Sonia Breda, Yvonne De Stefani, Leo Manarin (accompagnatore), Nicole Fratin, Bruno Fort e Chiara Busetti.
Già a gennaio 2011 si era incominciato a parlare di «Europa Cantat», festival dedicato ai cori di tutta Europa che ogni tre anni si svolge in un diverso paese. Questa esperienza di coralità internazionale approdata per la prima volta in Italia, a Torino, ha visto la partecipazione dal 27 luglio al 5 agosto 2012 di oltre 5000 coristi disseminati in tutta la città provenienti da tutta Europa e da diversi Paesi del Mondo proponendo oltre 50 ateliers per cori e singoli cantori di ogni differente genere musicale in un turbinio di concerti, open singing, e molto altro ancora. L’atelier scelto dai partecipanti del «Collis» è stato urban gospel avente come docente Joakim Arenius, un giovane compositore svedese che in quattro giorni è riuscito a farci imparare, parlando solo inglese e senza l’ausilio di alcun interprete, sette brani composti interamente da lui. Lo stesso che è stato direttore dei Joybells, il primo gruppo gospel d’Europa, e che nel 2004 ha fondato i Praise Unit, il cui suono urbano e contemporaneo ha ispirato sia artisti gospel americani che comunità corali
in Europa, ha concentrato il lavoro dell’atelier nello studiare come la musica gospel si sia sviluppata nel corso degli anni ed agli elementi distintivi del suono dell’urban gospel la cui tecnica vocale ed armonica ha origine dal gospel. La classe composta da circa settanta persone, provenienti da diverse località d’Europa compresa una signora di Washington, ha condiviso questa nuova avventura dal sound molto deciso in un clima di grande energia ed entusiasmo. Il tutto si svolgeva in una scuola superiore dal nome un po’ strano Santorre di Santarosa. Dopo la prima perplessità dovuta anche alla distanza dall’hotel dove alloggiavamo, se ripenso allo stupore della preside e dei suoi collaboratori che di nascosto venivano ad ascoltarci durante le prove provo nostalgia per quell’Istituto scolastico di periferia perché da sempre l’aula di una scuola risveglia l’attimo fuggente di memorie e ricordi entrati dentro di noi che ci hanno aiutato a vivere e diventare adulti e ti rimane per sempre quel pezzo di vita. Una cosa che mi è rimasta im29
pressa è stata la mostra all’aperto lungo i portici di via Po e di Piazza Vittorio Veneto, in cui comparivano una miriade di pannelli: da una parte frasi famose di Einaudi, Elsa Morante ed altri scrittori famosi e dall’altra partiture e pensieri formulati da direttori di coro o coristi dei quali ho voluto estrapolare le frasi più significative: «Il coro è un vortice che ti trascina verso un sogno. Se sto per svegliarmi mi riaddormento con un canto»; «Mente, corpo, voce, cuore. Giovani affascinati dall’essere musica e dal far musica»; «Il coro è una scelta di vita, un legame che non ti lascia mai solo»; «Lavorare con la voce vuol dire plasmare le emozioni»; «Il coro è una grande occasione per conoscere se stessi». Il concerto finale si è tenuto in Piazza San Carlo con la band che ci accompagnava ed un megaschermo che riproduceva tutte le fasi dell’esibizione. Il direttore è riuscito ad accendere tanti fuochi anche tra il pubblico che numeroso aveva riempito questa magica piazza. Ci sono momenti in cui cadono le barriere fra chi canta e chi ascolta in nome di un unico grande coro: il popolo di «Europa Cantat». Aver cantato in questa affascinante città dai mille volti è stata veramente un’esperienza indimenticabile come ammoniva un cartello con una frase di Nietzsche «la vita senza musica non è vita». Dedico ai miei compagni del «Collis», anche in occasione dei prossimi festeggiamenti per il 25° anno di attività, quest’ultima frase con l’amicizia e la stima che si devono a chi vive l’arte come parte della vita. BRUNO FORT
Borraccia «Europa Cantat» consegnata all’arrivo a tutti i coristi per i giorni di calura.
Lasciano un grande vuoto... l’Artugna porge le più sentite condoglianze ai famigliari
Augusta Zambon Sei stata una mamma e nonna speciale. Ti ricorderemo sempre con amore. ROBERTO, GALLIANO E FAMIGLIE
Giuseppe Angelin Pelat Che dire ad un papà che nel 1949, dopo una guerra infame, mi ha donato la vita? Che per anni, fin da quando ero bambina, partiva con la valigia in mano e andava al lavoro per procurare il necessario per la mia esistenza?
Che mi ha sempre voluto tanto bene e mi ha insegnato ad amare il prossimo come lui sapeva fare? Bastano due parole: grazie papà.
Rita Cecchelin e Lorenzo Pellegrini Serenamente hanno vissuto e serenamente se ne sono andati... Un giorno si promisero di amarsi e rispettarsi finché morte non li avrebbe separati. Oggi, possiamo dire che neanche la morte è riuscita a tenerli divisi.
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Giobatta Carlon Cech Il 5 dicembre te ne sei andato silenziosamente, senza disturbare e hai lasciato a tutti noi un gran vuoto e tanta tristezza. Eri una persona forte come la roccia, provata da molte vicissitudini della vita tra cui la guerra e la prigionia; purtroppo il male non perdona e il tuo viso sempre sorridente, in questo ultimo periodo si riempiva di tristezza e rassegnazione. Sei stato un capofamiglia di vecchio stampo che ha sempre preso decisioni sul cosa e come fare ed era difficile farti cambiare idea. Ti piacevano i fiori e le piante di limoni che curavi amorevolmente. Amavi avere tante persone accanto a te, eri
gioviale, di buona compagnia, amavi scherzare e raccontare storie dei vecchi tempi, non ti tiravi mai indietro se c’era da dare una mano nelle associazioni di volontariato, eri generoso e un gran lavoratore. Gli amici, i compagni del Bar, gente comune vicina e lontana, quanti ti hanno conosciuto e voluto bene ti porteranno nel loro cuore. Ti vogliamo ricordare come quando hai festeggiato i tuoi 90 anni e ti ringraziamo per quanto ci hai dato, i tuoi nipoti e pronipoti non scorderanno mai il loro caro nonno. Ciao, papà! I TUOI FIGLI
Giorgio Sanson Giorgio è mancato giovedì 22 novembre a mezzanotte meno un minuto. Noi (io e le nostre tre figlie) eravamo vicine a lui dalle 13 e siamo morte pian piano con lui in quelle lunghe e brevi ore di agonia. Tra preghiere e silenziosi pianti lo abbiamo accompagnato fino alla fine, tenendogli le mani, baciandogliele, accarezzandolo, sicure che non soffrisse dall’espressione quasi rilassata del suo viso. Abbiamo seguito i suoi respiri, la sua pressione, i battiti del suo cuore con gli occhi incollati al
quadro luminoso che campeggiava sul suo letto, ultimo legame con la vita, dato che gli erano stati tolti tutti i sostegni che da 15 giorni lo aiutavano a vivere. È stata una morte non annunciata ed io non ero preparata a questo dolore così improvviso. Giorgio però è sempre con me, oltre che nel cuore e nei miei pensieri, nell’urna che ho messo sul settimanale in camera nostra. Bentornato a casa, Giorgio!
Elda Bocus Che tu possa essere una sciabolata di luce lunare che fendendo Zenit e Nadir increspa le acque del lago e si posa sul mio cuore. Sogni d’oro super mamma». «Ciao gioiello prezioso». Questo era il saluto iniziale della tua telefonata settimanale… Quanto mi manca!
Anche se la vita ti ha messo a dura prova, sei sempre stata pronta a lottare coraggiosamente e con il tuo grande cuore ad aiutare il prossimo; un grande esempio per noi. Grazie Elda, rimarrai sempre nei nostri cuori.
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Lasciano un grande vuoto...
ciao, Renzo! La notizia della repentina scomparsa dell’amico Marco Zambon (Renzo Tunio) si è diffusa rapidamente fra la popolazione, gettando nella costernazione, nel dolore e nello sconforto l’intera comunità di Dardago. Una settimana prima, l’avevo incontrato e, dopo le solite battute e risate, ci eravamo lasciati: «Se vedòn l’oto dicembre», il giorno fissato l’annuale festa dei coscritti. Raggiunto dalla triste notizia, a casa, di buon mattino, mi è stato naturale accostare il triste evento a quanto successo qualche mese prima all’amico e coetaneo Luigi (Gigeto Marìn). Per pochi ed interminabili attimi la mente ha scavato nella memoria del passato, facendo una rivisitazione di episodi passati assieme, gli anni delle elementari, i primi giochi, i fortini sulla solvèla, gli spari col carburo, la conquista della cuccagna, le interminabili partite a calcio, sul ciamp de Bedìn, per poi passare su campi più importanti. Tutti questi ricordi hanno fatto accrescere in me grande tristezza, tramutata direttamente in commozione. Caro amico, non ti dimenticheremo mai, sarai sempre nei nostri pensieri, così come tutti gli altri coscritti che ti hanno preceduto: Luigi, Solidea, Santina e Maurizio, che riposano nel nostro camposanto. Lì verremo a trovarvi portando un fiore sulla vostra tomba, pregando e salutandovi con il classico «ciao». I COSCRITTI DEL 1949 Sopra. Marco Renzo con i suoi compagni di gioco. In alto. Renzo in 1a elementare.
il loro ricordo non sfuma Ferruccio Bocus Frith È quasi un anno che non sei con noi ma tu vivi sempre nei nostri cuori. Ciao. FIORALBA E LARA
Cronaca Cronaca
Pa’ don Romano el vescul Pellegrini a Dardac Il 14 agosto, il vescovo Giuseppe Pellegrini ha voluto essere presente nella nostra Pieve per una solenne concelebrazione in ricordo di don Romano Zambon, nel 70° anniversario della sua morte. La Santa Messa, accompagnata dal coro parrocchiale, è stata concelebrata con il pievano don Maurizio, mons. Giovanni Perin e il padre Luigino Da Ros. Era presente il diacono Osvaldo Puppin. Durante l’omelia, Mons. Pellegrini, nel ricordare la figura del pievano che ha retto la sua pieve natale per ben 48 anni, ha messo in evidenza la figura del sacerdote come guida della comunità parrocchiale e si è augurato che molti giovani sappiano rispondere positivamente alla vocazione sacerdotale. Al termine della cerimonia, sono state illustrate al vescovo le varie opere presenti delle nostra chiesa. Dopo una preghiera sulla tomba di don Romano, Mons. Pellegrini è stato accompagnato in Val de Croda per una visita chiesetta di San Tomé.
Dardagosto, benòn ancia sto an Anche quest’anno, grazie ad un nutrito gruppo di volontari, tra cui molti bravissimi ragazzi, Dardago ha avuto il suo Dardagosto con un nutrito ed apprezzato programma. Oltre alla pesca di beneficenza, ai giochi popolari, al chiosco, alle serate musicali e danzanti, alla Marcia sul percorso circolare dell’Artugna – ormai eventi classici e collaudati – quest’anno il pubblico ha potuto gustare, in teatro, la Mostra delle opere del pittore An33
gelo Modolo, la raccolta di giocattoli e vestiti per l’infanzia degli anni ’50 (Cuan che i noni i era nini) organizzata da gruppo focloristico Artugna e la Mostra di archeologia del paesaggio intitolata «L’insediamento medievale di Longiarezze a Budoia». Il Concerto per l’Assunta «Umile e alta, più che creatura» chiude idealmente i festeggiamenti. Un plauso ai giovani che, nei giorni in cui quasi tutti sono in vacanza, hanno dedicato molto tempo e molte energie per la buona riuscita del Dardagosto.
I nons dei plevans
Nella canonica di Dardago è conservato da tanti anni un quadro con l’elenco dei pievani che si sono succeduti alla guida della Pieve di Santa Maria Maggiore di Dardago dal ’200 fino alla metà del secolo scorso. L’ultimo pievano riportato è don Romano Zambon. Tempo fa, don Maurizio aveva espresso il desiderio che l’elenco potesse essere aggiornato anche con i pievani più recenti. La redazione de l’Artugna si è impegnata a tale scopo, ma subito si è capito che non si potevano inserire i vari sacerdoti nel poco spazio disponibile; quindi ha deciso di lasciare inalterato il vecchio quadro e di realizzarne un altro, con le stesse caratteristiche del precedente, ma con l’aggiunta dei pievani mancanti. Nel nuovo elenco sono state corrette alcune imperfezioni emerse in seguito ad approfondite ricerche documentali. Al termine della Messa solenne dell’Assunta, la redazione de l’Artugna, anche a nome dei suoi lettori, ha fatto dono al parroco di questo quadro, in occasione del suo compleanno.
’L à lassat el Comun
Ennio Carlon de Ros ’l è dhut in pension. Ci pare strano varcare la soglia della sede municipale e non scorgere, attraverso il vetro della porta dell’ufficio di Servizi demografici e di Stato Civile, il suo volto barbuto e la riccia capigliatura. Ennio ha chiuso un arco lavorativo lungo 37 anni. Conosce tutti e ha un’invidiabile memoria, anzi... continua a snocciolare senza esitazione dati anagrafici. Gioviale con i suoi colleghi di lavoro, ai quali trasmetteva il buonumore a ogni inizio giornata, era
Dardago. Il quadro con elencati i nomi di ben 37 pievani (dal 1285 al 2010) dell’Antica Pieve di Santa Maria Maggiore è ora in bella mostra nell’ufficio di don Maurizio.
Ennio Carlon al suo tavolo d’ufficio (foto di Antonio Zambon).
pure un preciso punto di riferimento per l’utenza. Disponibile anche oltre il proprio orario di lavoro, accoglieva tutti con un sorriso, rasserenando gli animi dei paesani e mettendo a loro agio i nuovi arrivati in attesa d’inserimento nella comunità. In questo primo periodo di pensionamento, è proprio tale quotidiano contatto umano con la popolazione che più gli manca, Ricorda con piacere la registrazione di lieti eventi, di nascite e di matrimoni; in particolare il ricordo va a quella decina di matrimoni che ha officiato in quest’ultimo periodo, seppur 34
inizialmente emozionatissimo. Ora dedica le sue giornate alla famiglia e continua ad allenare la squadra amatoriale dell’Ever green di Sacile, un gruppo di amici – medici, avvocati, carabinieri... – impegnato in partite amichevoli e che una volta l’anno istituisce una lotteria a scopi benefici. L’Amministrazione Comunale gli ha consegnato una targa di riconoscenza, in occasione della riunione del Consiglio Comunale di fine novembre. Auguri di buon pensionamento, Ennio! LA REDAZIONE
La casera del Ciamp dedicada a Maso Sul Ciamp, il tempo era brutto quando la casera era stata inaugurata; è stato addirittura pessimo il 1° settembre in occasione della cerimonia della dedica al comandante partigiano Pietro Maset Maso. Mentre il sindaco Roberto De Marchi scopriva la targa commemorativa il vento e la pioggia erano protagonisti. Successivamente, il vescovo monsignor Ovidio Poletto ha benedetto il cippo. Dopo l’alzabandiera e l’inno nazionale, all’interno della malga, la popolazione e numerose autorità civili, militari e rappresentanti di varie associazioni, hanno assistito alla Santa Messa celebrata da Monsignor Poletto e da don Maurizio.
’Na granda emothión
Il 31 agosto si spegne a 85 anni il «cardinale del dialogo», Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano fino al 2002, raffinato teologo e rinnovatore della cristianità contemporanea. Ad accompagnarlo spiritualmente negli ultimi momenti, oltre all’affetto dei parenti ed al supporto dei Padri Gesuiti, la squadra di medici ed infermieri dell’Ospedale di Gallarate (Va) che l’hanno preso in cura. Tra questi la dottoressa Simona Ianna, nostra compaesana, ringraziata personalmente dalla sorella del religioso, Maris Martini, per la dedizione professionale e la sensibilità umana dimostrata nell’assistenza medica. È un ringraziamento a cui si associa anche la redazione de l’Artugna, commossa ed orgogliosa di pensare ad una «figlia di Dardago» a fianco di una persona di così alto carisma spirituale.
Casera Ciamp 1° settembre. Dall’alto in basso. Alzabandiera. Omelia del vescovo Poletto. Discorso del sindaco di Budoia Roberto De Marchi.
’N te la Canonica
In occasione del viaggio a Medjugorje, i pellegrini di Dardago, Budoia e Santa Lucia hanno partecipato all’acquisto di una statua in gesso della Vergine da donare a don Maurizio. Il delicato manufatto, collocato ora in Canonica, nell’ufficio del pievano, veglierà su di lui e su tutta la comunità. 35
Presentat el secondo Quaderno de l’Artugna Venerdì 12 ottobre, nel teatro di Dardago, si è tenuta la presentazione del volume Illazioni su tre metope di Polcenigo. L’autore, professor Angelo Floramo, docente, saggista, appassionato ricercatore della storia delle nostre regioni, Direttore scientifico dell’antica Biblioteca Guarneriana di San Daniele del Friuli, ha voluto
essere presente per illustrare, anche con l’ausilio di molte immagini proiettate sullo schermo, le sue ipotesi di uno stretto legame tra gli antichi culti lustrali della zona del Livenza-Gorgazzo e del Timavo. Tutto ciò attraverso un interessante e coinvolgente viaggio multidisciplinare che ha appassionato il pubblico presente. Il volume fa parte della Collana «I Quaderni de l’Artugna», agili volumetti monotematici creati per dare spazio a contributi di interesse storico, etnografico, artistico, letterario e altro, relativi al nostro territorio.
Tradithións e radhìs
Nei locali dell’ex latteria di Budoia, recentemente restaurata, è allestita, in concomitanza con la «Festa dei funghi» di settembre, la mostra «Tradizioni e identità rumena» con esposizione di abiti tradizionali e icone ortodosse provenienti da quel Paese. La curatrice, Fiorentina Rosioru, si congratula con gli organizzatori per la buona riuscita dell’iniziativa e per il notevole interesse riscontrato nei numerosi visitatori.
Ància ’sto an a la corét
Anche quest’anno, il fenomeno della montana si ripete. Nel mese di novembre, a causa delle abbondanti precipitazioni, più d’una volta, il torrente Artugna raggiunge la massima portata caricandosi di acque limacciose e scendendo a valle con minacciosa impetuosità. Un fenomeno che comincia a preoccupare considerata la frequenza più insistente rispetto al passato.
In alto, a sinistra. Il direttore de l’Artugna Roberto Zambon tra il vicesindaco Pietro Janna e l’autore del libro prof. Angelo Floramo. A destra. L’Artugna in piena (foto di Marco Tabaro). Sopra. Icone e costumi della Romania e l’organizzatrice della mostra.
Un bel lunare
È alla seconda edizione il calendario di Santa Lucia di Budoia che esce in occasione dei festeggiamenti per la patrona del paese. Su sfondi personalizzati, da quelli innevati dei mesi invernali ai fioriti di quelli estivi, ospita una serie di scatti che vanno dagli anni venti alla fine dei sessanta del secolo scorso. La sensibilità e la professionalità di Corrado Besa mettono insieme immagini di un passato non troppo lontano, ma dal sapore ai più sconosciuto: le strade e la piazza non ancora asfaltate, tanti muri di facciata con le pietre a vista, le botteghe de Bof e Riseta e i loro gestori attorniati da locali avventori. La Rina frutarola, il marito Ferucio mecanico e le sue biciclette, Toni Besa impegnato a ferrare el mus de Matio: professioni
...thincuanta ains fa L’obiettivo del fotografo ha immortalato l’allora processione che, scendendo da via Caporàl, procedeva per via Rivetta. Da sinistra riconosciamo i chierichetti: Valentino Zambon Thanpela, Alfredo Lachin Stort, Carlo Usardi, Luigi Zambon Marin, Roberto Zambon Petol, Respicio Pellegrini Luthol e Flavio Zambon Tarabìn Modhola. I portatori dei ferai (da sinistra in primo piano) Angelo Zambon Rosìt, Costante Zambon Pinàl, Bruno Zambon Pinàl Riveta; (in fondo) Adamo Bocus Frith e Pietro Rigo Moreal. Tra i portatori della statua della Vergine riconosciamo: (in fondo) Emilio Naibo, (in primo piano) Mario Santin Tesser, Bruno Zambon Tarabìn Trucia e Paolo Bocus Frith. Il sacerdote che accompagna la processione non è stato riconosciuto.
scomparse, ma personaggi ancor vivi nella memoria dei bambini di ieri. Ci sono scene di vita contadina: il ritorno festoso dalla vendemmia con il tino pieno di grappoli, lo stanco carro di fieno trainato dai bo aggiogati. Non solo eventi regolati dagli uomini, ma anche le bizze del tempo: la gelata del ’56 testimoniata dallo spettacolo della pompa inglathada in via Dante Alighieri e una montana che corre copiosa do pa la riva de Besa. Un grazie sentito all’autore e al comitato festeggiamenti che lavorano con entusiasmo e anche quest’anno riescono a stupirci e strapparci sorrisi ed emozioni. FABRIZIO FUCILE
Flórs e orathións pa’ la Madhòna Il 18 novembre si svolge la Santa Messa in onore della Madonna della Salute e la successiva Pro-
cessione con la statua della Vergine. Un grazie particolare va alla sensibilità delle nostre donne che con i loro fiori contribuiscono ad abbellire il percorso. L’evento riunisce i fedeli dei tre paesi nelle vie di Dardago per un momento di riflessione spirituale e di condivisione sociale.
l’Artugna… su Il Popolo
Il nostro periodico ha raccolto e pubblicato, negli anni, numerosi documenti e testimonianze sull’attività dei tagliapietra di Budoia e di Dardago nei secoli scorsi. Molti di questi articoli sono stati raccolti sulla pubblicazione «Paesi di pietra». Nella rubrica «Pordenonesi nel mondo» a cura dell’EFASCE, Ente Friulano Assistenza Sociale e Culturale Emigranti, pubblicata il 21 ottobre 2012 sul settimanale della
Dopo aver percorso le vie del paese la processione volge al termine.
diocesi di Concordia-Pordenone, Il Popolo, è ricordato e segnalato questo nostro lavoro. Ci fa piacere che le ricerche de l’Artugna continuino ad essere oggetto di importanti recensioni.
La pitura de la glesia a tocs Nella notte tra l’uno e il due novembre la chiesa di Sant’Andrea di Budoia si è vista parzialmente privata di una delle più importanti opere d’arte. Un’ampia area affrescata de Il Giudizio Universale, opera realizzata dal bergamasco Alberto Maironi, nel 1897, si è sbriciolata sul pavimento lasciando un vistoso squarcio sulla volta della navata. La chiesa è, perciò, resa inagibile e le funzioni religiose si svolgono in oratorio. Ci si augura che i lacerti siano ricomposti e che l’opera possa ritornare in breve al suo originario splendore.
Idòn chei che à bisòin
Sabato 24 novembre, presso il supermercato Visotto sono stati raccolti kg 1552 di prodotti alimentari per le famiglie bisognose. È stato un atto di grande generosità nel giorno in cui la chiesa celebra la festa di Cristo Re. È un modo per contribuire alla costruzione del suo regno di amore e di pace. Il giorno della festa dell’Immacolata, sono stati ricavati 822,00 euro dalla vendita delle torte realizzate dalla comunità. Come ogni anno l’offerta è devoluta all’Area Giovani del CRO di Aviano.
...pa’ la Santa de la lus
Al tramonto del 10 dicembre viene completata e accesa la nuova illuminazione esterna della chiesa di
Santa Lucia al Colle. Da più di un secolo, prima con i gusci di lumaca riempiti d’olio, poi coi lumini a cera appoggiati ai davanzali delle finestre, poi con le lampadine montate sulle stecche di legno, ora con un centinaio di metri di nuovo prodotto tecnologico che corre su un filo d’acciaio, la tipica usanza viene rispettata accendendo nelle fredde notti di dicembre un inno sfavillante alla santa della luce. Toni Caraco e Milieto Curt sono i due uomini di buona volontà che regalano un’intera giornata di lavoro per sistemare l’impianto; un grazie sentito a chi ancora spende del tempo perché la comunità faccia festa onorando la tradizione di chi è stato prima di noi.
Festa de Ringrathiamento Il giorno 25 novembre, in oratorio a Budoia, si è celebrata la Giornata del Ringraziamento come tutti
gli anni. Gli agricoltori della nostra comunità, e da otto anni assieme ai colleghi di Polcenigo, vogliono ringraziare durante la Santa Messa Nostro Signore per i raccolti ottenuti con l’offerta dei doni della terra. Alla Santa Messa è seguita la benedizione delle attrezzature agricole con gli interventi del sindaco Roberto De Marchi e del presidente provinciale della Coldiretti Cesare Bertoia, che hanno sottolineato che, anche in questi momenti di crisi, un settore primario come quello agricolo svolge un ruolo non indifferente sia dal punto di vista economico che di coesione sociale. Poi gli agricoltori hanno avuto il piacere di offrire ai numerosi presenti un assaggio delle loro produzioni, cotechino, sopressa, polenta, agnello e del buon vino, con un arrivederci a tutti a Polcenigo il prossimo anno. ANTONIO BUSETTI
inno alla vita
Il 26 maggio 2012 è nato Nikolas Sottana per la gioia di mamma Barbara, papà Simone e del fratellino Alessandro.
Gabriele Savio sorride felice nel giorno del suo Battesimo abbracciato dal fratello Andrea, dalla mamma Leonia Sgnaolin e dal papà Sandro. I due fratellini, già più grandicelli, nel giorno di San Martino.
Il giorno 8 dicembre 2012 le gemelle Evita e Brenda, sorelle di Zoe Marson hanno ricevuto il Sacramento del Battesimo a Budoia. Nella foto con le rispettive Santole, Mariangela e Monica.
Dal lontano paese del sol levante, Ginevra e Alessandro Conzato, figli di Ottaviano e Antonella Maccioccu, con gentilezza e fierezza tutta giapponese donano il loro sorriso e inviano un saluto a parenti, amici e lettori de l’Artugna.
inno alla vita
Benito Pellegrini Cucola e Ines Elia Mazzer nel loro 50° anno di matrimonio. Si sposarono il 2 settembre 1962.
Domenica 11 novembre 2012 Marcellina Carlon e Albano Rizzo, attorniati da parenti e amici, hanno celebrato e festeggiato le nozze d’oro nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Dardago. Felicitazioni e congratulazioni.
Sorridenti e felici Giuseppina Molinaris e Plinio Fort di Santa Lucia il 19 ottobre 2012 hanno festeggiato con gioia il loro 60° anniversario di matrimonio. Auguri e felicitazioni.
Dardago, 1° dicembre 2012. Guerrino Bocus Frith e Maria Janna Ciampanèr. Sessantacinque anni di matrimonio! Una strada percorsa insieme con forza, coraggio ed amore. Un cammino nel quale sono state superate le difficoltà della vita ma anche condivise molte soddisfazioni. Bravo Guerrino, complimenti Maria! Grazie... un bel esempio di vita per tutti noi. Congratulazioni.
Auguri dalla Redazione!
I ne à scrit... l’Artugna · Via della Chiesa, 1 33070 Dardago (Pn) •
direzione.artugna@gmail.com
Alla spettabile Direzione, ancora una volta un sentito grazie per la spedizione della Rivista, sempre stupendamente curata e ricca di notizie e curiosità, che ingolosiscono non solo i «locali»: bravi! Insomma è una «chicca» nel nostro panorama e non solo. Tra l’altro ho rivisto il nostro caro amico Umberto Coassin (pagina 32) in foto con Vittorio Sgarbi a Villa Benzi, una splendida villa dove anch’io più volte son stato invitato a presentare personali e collettive d’arte: ad maiora per il «nostro» bravo Umberto. E poi ogni volta mi fermo ammirato sulle splendide immagini in ultima e questa volta è toccato alla cicala (bravissimo Osvaldo Puppin) testo e immagini che mi han ricordato, con un tuffo al cuore, quando ragazzo anni ’48-’49 si «andava a uccelli» con la fionda e anche a nidi, inoltrandoci anche fuori paese nelle ampie distese di grano fiorito di papaveri e fiordalisi (dove sono ormai?) e grilli e farfalle (e le lucciole verso sera, quante!): un mondo scomparso, quasi completamente cancellato; e tutto questo tra l’insistente frinire delle cicale, che stordivano e scappavano appena uno di noi le avvicinava un po’ troppo: d’un lampo scattavano e andavano più in là e così via: c’erano però qualche raro maschio, che noi bambini chiamavamo «el checo» che friniva a tratti e per conto suo, con un tono meno insistente e più
basso e una volta individuato si lasciava facilmente avvicinare talché con la mano aperta lo si prendeva agevolmente... per poi liberarlo, s’intende. Povero checo, un po’ stupidino e facilone, mentre le cicale in coro proseguivano il loro «canto» assordante che pareva il suono metallico dei fili dell’alta tensione di una centrale elettrica. Vi ho annoiato? Comunque grazie anche per questi ricordi che la rivista suscita e alimenta, e guai se ogni volta dovessi scrivervi in proposito: specialmente per l’ultima facciata che sa regalare ogni volta un prezioso e intenso profumo che sa di accorata nostalgia non solo agreste, misto a un inevitabile filo di sottile tristezza: che però fa tanto bene. Mandi mandi, cordialmente.
stante le fatiche e le difficoltà che incontriamo nella realizzazione di ogni numero. Grazie!
17 settembre 2012
SERGIO GENTILINI
Sono Paola Pellegrini, figlia di Benito Pellegrini Cucola e di Ines Elia Mazzer. So per certo che i miei genitori, avrebbero un enorme piacere, a veder pubblicata sulla vostra Rivista, la foto del loro Anniversario del 50° Anno di Matrimonio… come fu per i miei nonni Giovanni Nani Cucola e la nonna Santa Zambon entrambi di Dardago (Pn). I miei genitori abitano a San Mauro Torinese e si sono sposati il 2 settembre 1962.
Non ci annoia, tutt’altro! I complimenti di un artista di lungo corso come Lei ci fanno piacere e ci spronano a proseguire nono-
Eccoti accontentata. La bella foto dei tuoi genitori è nella rubrica «Inno alla vita». Auguri anche dalla redazione.
[...dai conti correnti]
Roveredo in Piano, 31 agosto 2012
41
Riceviamo puntualmente il vostro periodico e vi ringraziamo. DOMENICO E AGNESE DIANA
Vi ringrazio della vostra graditissima rivista. CARLA DEL MASCHIO
Grazie ancora per l’Artugna che ricevo sempre con piacere. ROSELLA DEDOR FONTANA
•
DARDAGO Pieve Santa Maria Maggiore
Appuntamenti musicali
mercoledì, 26 dicembre 2012, ore 17.00
Collis Chorus per l’occasione del 25° anno di attività
CONCERTO DI SANTO STEFANO
SANTA LUCIA chiesa parrocchiale
domenica, 30 dicembre 2012, ore 17.00
Insieme Vocale Elastico BON TERMINE E BON PRINCIPIO Concerto augurale per l’anno nuovo · 2a edizione
Organo · Stefano Maso Organetto · Carolina Zanelli Fisarmonica e contrabbasso · Fabrizio Zambon Chitarra · Cesare Coletti Percussioni · Luca Grizzo, Roberto Vignadel Direttore · Fabrizio Fucile
Brani per soli e coro J. Arcadelt, J.S. Bach, G. Aichinger 6 Noëls français dal XV al XVIII secolo Ariel Ramirez: Navidad Nuestra
Dardago. Pieve Santa Maria Maggiore. L’Assunta, affresco della volta della cupola. Particolare con angeli musicanti.
•
bilancio Situazione economica del periodico l’Artugna Periodico n. 126
entrate
Costo per la realizzazione
uscite 3.471,00
Spedizioni e varie
227,00
Stampa volume «Metope»
1.703,00
Entrate dal 18.07.2012 all’8.12.2012
4.452,00
Totale
4.452,00
42
5.401,00
Bu do ia
24.00
22.30
22.00
MARTEDÌ 25 DICEMBRE 2012 SANTO NATALE • Santa Messa solenne • Santa Messa vespertina
11.00 –
10.00 18.00
10.00 –
MERCOLEDÌ 26 DICEMBRE 2012 SANTO STEFANO • Santa Messa
11.00
10.00
10.00
LUNEDÌ 31 DICEMBRE 2012 • Santa Messa e canto del Te Deum
18.00
17.00
17.00
MARTEDÌ 1° GENNAIO 2013 SANTA MADRE DI DIO GIORNATA MONDIALE DELLA PACE • Santa Messa solenne Veni Creator – • Santa Messa vespertina 18.00
11.00 –
10.00 –
17.00
17.00
Sa
nt a Lu cia
Da rd ag o
programma religioso natalizio
LUNEDÌ 24 DICEMBRE 2012 VIGILIA DEL SANTO NATALE • Santa Messa in nocte
SABATO 5 GENNAIO 2013 VIGILIA DELL’EPIFANIA • Santa Messa vespertina e benedizione acqua, sale e frutta
18.00
Segue nelle rispettive comunità la tradizionale accensione dei panevin DOMENICA 6 GENNAIO 2013 EPIFANIA DEL SIGNORE • Santa Messa solenne • Benedizione dei bambini, arrivo della Befana
11.00 –
10.00 15.00
10.00 –
CONFESSIONI Dardago Budoia Santa Lucia
lunedì 24 lunedì 24 lunedì 24
Auguri
dalle 15.00 alle 17.30 dalle 15.00 alle 17.30 dalle 18.00 alle 20.00
Onorerò il Natale nel mio cuore e cercherò di tenerlo con me tutto l’anno. CHARLES DICKENS
Una zucca... da guinness dei primati Foto di Angelo Modolo, fotografo professionista. Fu attivo, dalla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso per una trentina d’anni, in un piccolo laboratorio con una stanzetta adibita a camera oscura, in via Cardazzo, la via delle boteghe del capoluogo. Come alcuni fotografi carnici, vissuti tra la seconda metà dell’Ottocento e il Novecento, anche Modolo trasferì il suo estro artistico dalla pittura all’attività fotografica. Il soggetto della foto, ripreso, all’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso, con un’impostazione artistica, in bianco e nero, è Giuseppe Del Maschio Danelin (n. 1883), che, soddisfatto del raccolto, esibisce uno dei prodotti del suo orto: una gigantesca zucca da guinness dei primati, che sembra rappresentare i sogni d’oggi, le aspettative di un futuro migliore, di tranquillità economica ed occupazionale, di rivalutazione dell’etica e dei valori esistenziali. La Redazione augura di cuore che i sogni di ogni lettore si avverino nel nuovo anno. Foto di proprietà di Pietro Del Maschio Danelin Fantin