Cent'anni dalla Grande Guerra (2)

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la cronologia 1915 DA GUERRA LAMPO A GUERRA DI TRINCEA

Le battaglie dell’Isonzo

Doveva essere una «guerra lampo». Già la Germania, nel 1914, si mosse contro la Francia secondo un piano che prevedeva lo svolgimento della guerra in condizioni di estrema mobilità e di breve durata: il tempo di entrare in profondità nel territorio nemico e di distruggere, per mezzo di potenti offensive, l’esercito avversario. Ma sul fiume Marna i Francesi riuscirono ad arrestare l’avanzata tedesca. Gli eserciti contrapposti furono, così, impegnati in una lunga guerra di logoramento che ebbe la trincea come protagonista principale. Anche i generali italiani, un anno dopo, quando l’Italia dichiarò guerra all’impero austro-ungarico, erano convinti di giungere presto ad una gloriosa vittoria. Venne sferrato un poderoso attacco sulle Dolomiti, in Carnia e sul Carso per sconfiggere l’esercito avversario e conquistare le terre irredente (Venezia Giulia, Istria e Trentino Alto Adige); ma presto la guerra si trasformò in un logorante conflitto, anche perché gli Austriaci controllavano saldamente le postazioni strategiche dei territori da loro occupati. Sul fiume Isonzo si combatterono ben 12 battaglie. Ebbero carattere di guerra di posizione e di trincea. Gli obiettivi territoriali raggiunti furono trascurabili e le perdite di uomini e materiali ingenti. In queste battaglie combatterono moltissimi soldati di Dardago, di Budoia e di Santa Lucia, molti 2°

furono i feriti e i morti. Solo nelle prime quattro battaglie dell’Isonzo, quelle del 1915, persero la vita almeno sei nostri compaesani. Molti di più, purtroppo, nei successivi tre anni di guerra. Vivere e combattere in trincea deve essere stata un’esperienza inimmaginabile, angosciante. Le poche immagini che sono giunte fino a noi, i ricordi e i diari di chi quell’esperienza ha vissuto, ce la descrivono come una specie di inferno, fisico e psichico. Vivere in uno spazio molto limitato, tra promiscuità e sporcizia, sperando di non essere colpiti dal fuoco avversario e pregando di non essere mandati alla conquista della trincea nemica

23 giugno Si svolge la Prima delle undici battaglie dell’Isonzo con l’obiettivo di conquistare Gorizia. Questa grande battaglia costa all’Italia circa 15.000 uomini. 7 luglio Terminate le operazioni belliche offensive, iniziano a essere tristemente famosi i toponimi attorno a Gorizia: i monti Sabotino, Oslavia, Podgora, San Michele. In Francia, a Chantilly, si svolge la prima conferenza tra alleati per decidere la preparazione degli eserciti inglesi, francesi, russi e italiani a un’incisiva offensiva. 18 luglio Il generale Cadorna si ostina contro il Monte San Michele, uno dei pilastri dell’offensiva austro-ungarica, e così inizia la Seconda grande battaglia dell’Isonzo, che termina il 4 agosto, dapprima con la conquista della posizione, e poi con l’alternanza di risultati, dalla perdita alla riconquista e ancora a una nuova perdita causata dalla mancanza di cannoni. I soldati non possono sostituire le armi pesanti. A metà agosto, un successivo intervento sui Monti Santa Maria e Santa Lucia non porta a conclusioni favorevoli; più a settentrione si occupa la Conca di Plezzo. 21 settembre La Bulgaria decide la mobilitazione generale. 25 settembre Inglesi e Francesi stabiliscono di scatenare la loro offensiva. 6 ottobre L’esercito austro-ungarico attacca la Serbia, assalita tre giorni dopo anche dai Bulgari. [segue a pagina 16]

A sinistra. I luoghi delle Battaglie dell’Isonzo. La linea tratteggiata indica le posizioni delle nostre truppe durante i combattimenti del 1915.

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con un assalto alla baionetta che quasi sempre si concludeva con un’inutile strage. È impressionante il vivo racconto di due mesi di trincea che ci ha lasciato Giani Stuparich, intellettuale triestino, arruolatosi volontario e impegnato con le truppe italiane che, falciate dalle artiglierie, cercavano di strappare agli Austriaci le alture del Carso. Ne riportiamo un paio di brani che descrivono lo stato d’animo dei soldati di trincea: 11 giugno. Dobbia di Staranzano. Vita di stenti, senza orizzonti, tutto duole dentro di noi e tutto, fuori di noi, ci affligge. S’aggiunge il malessere della sporcizia e, più umiliante ancora, un senso disperato

i racconti

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Breve racconto del soldato Angelo Diana Scunsor di Budoia e il suo impegno nella Grande Guerra

Matricola 78487 La Grande Guerra, nel 1914, scoppiò quando Angelo con parenti e altri emigrati, si trovava per lavoro in Romania con il duro mestiere di tagliapietra. Per lui, la conseguenza diretta di questo evento

Medaglie al valor militare alla memoria dei fratelli Antonio-Francesco e Francesco Cardazzo. A cent’anni dai tragici eventi, le onorificenze sono ancora conservate amorevolmente dai nipoti Eugenio e Ferruccio Cardazzo.

d’inerzia. La coscienza s’oscura nel dubbio, se abbiamo fatto bene a voler la guerra. Questo è il tormento più grave di tutti. 3 agosto. Trincee del Lisert. Sono solo. La notte è umida e oscura… Sento quasi il respiro della trincea alle mie spalle e mi pare che il battito del mio cuore non sia mio, ma di quelli, insieme, che mi stanno dietro. Le mie sensazioni sono nude e precise come le punte dei paletti che ho ai fianchi , come il fucile che stringo nel pugno… Mi sdraio ma non dormo. Una grande pietà mi prende di questa povera carne, di me stesso, così piccolo e debole. Tanto decisi, tanto pronti a morire e ad uccidere: e, in fondo, come le foglie sbattute dall’uragano. M’addormento, bisognoso d’una consolazione che non posso domandare agli uomini e non so implorare da Dio. Ovviamente i nostri nonni che hanno combattuto in trincea non erano intellettuali e scrittori come Giani Stuparich ma sicuramente anche loro hanno vissuto gli stessi tormenti, le medesime sensazioni, le paure e i disagi così magistralmente descritti.

fu di subire l’interruzione della corrispondenza con la fidanzata (mia madre) impegnata a servizio a Venezia, a causa del blocco delle frontiere. Rientrato in Italia per il servizio militare viene richiamato alle armi nel 1915 dal distretto militare di Sacile e arruolato nell’80.mo Reggimento Fanteria con matricola 78487, e assegnato a vari incarichi che lo porteranno al grado di caporale maggiore. Nel contempo la guerra mondiale divampa anche in Italia con il susseguirsi di combattimenti anche cruenti e in condizioni a volte estreme su tutta la linea del fronte, specialmente sulle montagne, con


A sinistra. Un gruppo di emigranti in Romania con al centro, in piedi, Angelo. Nella pagina accanto Angelo Diana.

alterne fortune (fanno testo le molte pubblicazioni e i vari documentari trasmessi in questo periodo). Uno dei vari fronti si estendeva dal Monte Pasubio fino all’Altopiano di Asiago attraversando montagne e vallate. È risaputo che su quel fronte le truppe austriache nella primavera del 1916 sferrarono una violenta offensiva definita «Spedizione punitiva» che impegnò nello scontro migliaia di uomini da ambo le parti in una battaglia storica e imponente. Una delle vallate interessate da combattimenti nei primi di luglio era la Val Pòsina con il vicino Monte Maio dove il nostro esercito contrastava l’avanzata nemica. In prima linea, in quella zona, operava il 254.mo Reggimento Fanteria nel quale era stato trasferito Angelo. In quei giorni gli viene comandato una missione molto rischiosa, quella di uscire allo scoperto con una pattuglia di uomini e di spingersi sotto i reticolati nemici con lo scopo di aprire un varco e di rilevare la posizione della difesa avversaria. Per questa missione gli verrà poi conferita la Medaglia di bronzo al valore militare e riconosciuto un vitalizio dallo Stato. Un altro episodio rilevante vede protagonista Angelo. Durante una delle tante azioni di guerra lungo la linea di frontiera, ci fu un duro scontro con l’avversario che causò molte perdite e fece disperdere i nostri soldati costringendoli al ritiro dietro le nostre linee. Anche Angelo si ritirò sotto il tiro del nemico a cercare riparo che trovò dietro un masso roccioso, immobilizzato per non esporsi alla minaccia continua dei cecchini. Trascorse la notte e il giorno seguente, sotto un sole cocente alle prese con la fame e una ardente sete. Solo a notte inoltrata, strisciando tra sassi e boscaglia, si portò vicino alle nostre linee. Per sua sfortuna, alle sentinelle, era stata sostituita la parola d’ordine ed egli venne bloccato rischiando di essere colpito dai propri compagni. Solo gridando più volte ad alta voce

il suo nome, fu riconosciuto dai suoi commilitoni e poté rientrare finalmente salvo. All’inizio del 1918 tra le truppe in trincea si diffuse una terribile malattia «la spagnola», che già aveva contagiato diverse popolazioni civili nel mondo facendo molte vittime. Le condizioni fisiche ed igieniche dei nostri soldati già provati da mesi di tribolazioni, furono facile preda di questo morbo, spesso letale tra le nostre truppe. Anche Angelo ne fu contagiato e fu ricoverato presso un ospedale militare. Le sue condizioni si aggravarono presto, con tutti i sintomi noti della malattia. Suo fratello Luigi, anche lui militare, andato a trovarlo, non fu in grado di riconoscerlo. Per i sanitari era già stato dichiarato moribondo. La lunga degenza, le cure, la volontà e la forte tempra dei suoi ventidue anni riuscirono a riportarlo in salute. Penso che non gli siano mancate altre occasioni dove dimostrare coraggio, impegno ed efficienza nel suo stato di combattente, tanto da meritarsi la promozione al grado di «aiutante di battaglia», un grado che viene conferito in guerra per meriti speciali. A guerra conclusa, dopo tanti rischi, paure, sacrifici e sofferenze finalmente il rientro al paese felice di aver riportato a casa la pelle. Il ritrovare i famigliari, gli amici e soprattutto la fidanzata gli ridonano vigore, fiducia e speranza per un nuovo futuro. Il matrimonio, la nascita di un bimba, la voglia di affrontare una nuova vita, lo porta su una nuova via, ancora migrante, in terra di Francia. Il lavoro, nelle disastrate zone del nord, colpite duramente dal grande conflitto mondiale di certo non sarebbe mancato.

L’attestato di conferimento della Medaglia di bronzo al valore militare. *** Motivazione. «Comandato di pattuglia, usciva con sette uomini allo scoperto, si spingeva sotto un reticolato nemico, tentava due volte di tagliarlo e rientrava a notte, riportando utili informazioni sulle difese avversarie». Val Pòsina, 5 aprile 1916

DOMENICO DIANA

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i nostri eroi

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Per onorare i nostri caduti, i nostri eroi, abbiamo ritenuto opportuno scoprire qualcosa di più di ognuno di loro, rispetto al semplice nome e cognome scolpito sui monumenti. In questo fascicolo ricordiamo coloro che hanno perso la vita, a causa della guerra, nel periodo giugno-dicembre 1915. Ci permettiamo di considerare ‘eroi’ tutti gli uomini che parteciparono alla Grande Guerra, tutti quei milioni di giovani che, tolti all’improvviso dalla loro quotidianità e dai loro sogni futuri, si trovarono coinvolti in una lacerante prova di straziante drammaticità e d’indicibile e atroce sofferenza. Tutti i nostri hanno compiuto, senza distinzioni e indipendentemente dalle onorificenze ricevute, generosi e straordinari atti di coraggio, consapevoli dell’elevato rischio da compiere per proteggere il bene comune, fino al sacrificio estremo per un centinaio di loro che ha onorato il senso di patria comune, per una coesione identitaria su cui erigere un senso civico. Sono eroi ‘silenziosi’, dall’orgoglio altrettanto silenzioso. Fin dall’inizio delle ostilità, si contano i primi tre decessi budoiesi sui campi di battaglia, rispettivamente delle Alpi Carniche, dell’Isonzo e della zona dei monti Calvario e Oslavia. È l’alpino Umberto Panizzut Donisio a morire a soli dieci giorni dall’avvio del conflitto, il 3 giugno 1915, seguito dai fanti, Osvaldo Signora de Signor, il 5 luglio, e Antonio Francesco Cardazzo Schiavon, il primo novembre. Si susseguono cronologicamente gli altri eroi, morti in particolare nei cruenti conflitti di novembre, fino al fante dardaghese Francesco Basso, colpito a morte da una granata austriaca, il 28 dicembre. Non sarà un elenco senz’anima, una schematica e arida carrellata di nomi e di numeri, bensì tenteremo di inserire i nostri eroi nel loro ambiente, individuando – dov’è possibile – il soprannome del clan familiare, la casa in cui abitavano, la professione svolta nella loro breve esistenza, lo stato civile e tutto ciò che riusciremo a recuperare dalle fonti scritte e orali che auspichiamo anche con la collaborazione dei famigliari. Sono ben accette le segnalazioni di eventuali dimenticanze che saranno rimediate in futuro.

Umberto Panizzut Donisio figlio primogenito di Giovanni di Giosuè e di Marianna Del Maschio Munar, nasce il 7 maggio 1893 nella casa accanto alla chiesa di Budoia, in via Roma. Nubile, di professione muratore. *** È arruolato nell’8° Regg. Alpini, Battaglione Tolmezzo e viene promosso al grado di caporale. L’8° reggimento Alpini, all’inizio del conflitto, si trova in Carnia. Le truppe italiane occupano, il 24 maggio, il Pal Grande. Qui muoiono i primi due soldati italiani. Il Pal Grande ed il Pal Piccolo sono due cime delle Alpi Carniche dominanti il Passo di Monte Croce. Il passo è strategicamente importante perché mette in comunicazione le valli del But (versante italiano) con la valle del Gail (versante austriaco). Per molte settimane la zona è teatro di sanguinose battaglie. In una di queste, il 3 giugno muore valorosamente Umberto, il primo caduto del comune di Budoia. Ha compiuto da qualche giorno 22 anni. Viene sepolto nel cimitero di Timau e nel luglio del 1923 il suo corpo è riesumato e trasferito nel cimitero di Budoia. Gli è assegnata la Medaglia di bronzo al valor militare alla memoria con la seguente motivazione: Con animo sereno ed esemplare coraggio, sotto violenta azione di fuoco di artiglieria nemica, trattenne la sua squadra nelle posizioni occupate, riuscendo in tal modo a mantenere salda la difesa. Cadde, colpito mortalmente da uno shrapnel nemico.

Osvaldo Signora figlio di GioBatta di Antonio e di Angela Carlon (quintogenito di sette figli), nasce il 17 febbraio 1893 nella casa in via Lunga inferiore, in Budoia. Di professione contadino. *** È arruolato nel 47° Reggimento Fanteria che con il 48° forma la Brigata Ferrara.

All’inizio della guerra la Brigata si dispiega davanti alla testa di ponte di Gorizia e partecipa alla prima Battaglia dell’Isonzo. Tenta di conquistare Lucinico per raggiungere i ponti sull’Isonzo, ma viene respinta dal fuoco di cannoni e mitragliatrici. La Ferrara viene spostata nella zona di Castelnuovo e Polazzo. A mezzogiorno del 5 luglio i fanti del 47° attaccano Castelnuovo e conquistano una prima trincea, ma l’insufficienza di mezzi per superare i reticolati e l’intenso fuoco di sbarramento nemico causano grandi perdite e fermano l’avanzata. Circa 500 fanti e 25 ufficiali vengono messi fuori combattimento. Tra questi, Osvaldo che, ricoverato per gravi ferite nella Seconda Sezione di Sanità, muore poco dopo, il 5 luglio, all’età di 22 anni.

Antonio Francesco Cardazzo Schiavon secondogenito di Eugenio di Giuseppe e di Celestina Masarutti, nasce il 21 giugno 1891 a Budoia, nell’antica casa settecentesca, all’inizio di via Pozzi, confinante con la piazza. *** È arruolato come soldato nel 1° Reggimento Fanteria, che, con il 2°, costituisce la Brigata Re. Prima dello scoppio della guerra i reggimenti hanno sede, rispettivamente, a Sacile e a Udine. Il 24 maggio la Brigata occupa il monte Quarin e successivamente Cormons. Il 5 giugno si apposta tra Valerisce e Gradiscutta con l’obiettivo di occupare il Podgora (monte Calvario), uno dei pilastri della testa di ponte austriaca di fronte a Gorizia. La Brigata Re combatte nella zona fino a dicembre del 1915, il 1° reggimento sul Grafenberg e quota 157, il 2° sulle alture di Oslavia e a Peuma. Sullo stesso fronte opera la Brigata Pavia. In questi primi mesi di guerra nei 2 reggimenti della Re si contano 1626 caduti, di cui 58 ufficiali. In uno dei numerosi assalti per la conquista del monte Calvario, Antonio rimane gravemente ferito e muore il primo giorno di novembre, all’età di 24 anni. Il fratello Francesco morirà, pure lui, in guerra.


Sebastiano Lachin terzogenito di Costante di Arcangelo e di Giovanna Zambon nasce il 10 gennaio 1895, a Santa Lucia. *** È arruolato come soldato nel 156° Reggimento Fanteria, che fa parte, con il 155°, della Brigata Alessandria. Dalla metà di luglio del 1915, la brigata è posta nell’Isontino e partecipa alla II, III e IV Battaglia dell’Isonzo. Durante la III Battaglia (18 ottobre–4 novembre), il 156° è protagonista della guerra di trincea con continui assalti, avanzate, ritirate, conquista e perdita di posizioni: un susseguirsi di drammatiche azioni per guadagnare poche centinaia o decine di metri di terreno. Il compito del reggimento è quello di occupare la cresta del contrafforte San Martino – San Michele tra Cima 4 e l’«albero isolato», nomi resi celebri da Giuseppe Ungaretti. In quelle azioni la Brigata perde 46 ufficiali e 1412 militari di truppa. In uno degli ultimi assalti, sul Monte San Michele, il 4 novembre muore Sebastiano di appena 20 anni. È purtroppo dichiarato disperso, perché non è possibile riconoscerne il corpo.

tivo la cima del Sabotino: i reticolati intatti dell’ultima linea nemica sono più volte raggiunti ma mai superati; il 56° intanto, falcidiato dall’epidemia di gastroenterite, con un solo battaglione, partecipa all’attacco contro il valico di Oslavia. Anche Antonio è vittima del contagio della gastroenterite e viene ricoverato all’Ospedale da campo 230, ad Angoris (Go), dove muore il 14 novembre, all’età di 31 anni. Quest’ospedale da campo si trasforma in un lazzaretto in cui vengono isolati i moltissimi soldati contagiati. Antonio lascia la moglie Teresa Carlon e ben 4 figli: Angelo di 7 anni, Luigia di 4 anni, Pietro di un anno e Antonio che nasce dopo la morte dello sfortunato papà, il 17 aprile 1916.

cui ruderi rimangono in mani italiane. Il paese, che si colloca sulla destra dell’Isonzo, lungo la strada che unisce San Floriano del Collio a Gorizia, funge da valico sulla cresta di colline che unisce il Podgora al Sabotino. Antonio rimane ferito in questa battaglia, sulle alture di Oslavia, riceve le prime cure nell’ospedale da campo e, quindi, è ricoverato a Treviso, nell’Ospedale militare, allestito nei locali del Seminario vescovile, dove muore il 23 novembre. Non ha ancora compiuto 21 anni. Nel diario del pievano don Romano Zambon è riportato: 29 novembre: Per la deposizione del def. Soldato Zambon Ite Antonio morto li 23 Novembre ult. sc. nel Seminario di Treviso in causa di una ferita.

* Sul monumento di Dardago è riportato Tranzeot, attualmente i parenti di Antonio sono chiamati Momoleti. Nelle note di don Romano è riportata come causa di morte la peritonite, ma viene aggiunto che «molti opinano che sia stato colpito dal fuoco austriaco». In queste note Antonio non viene chiamato né Tranzeot né Momoleti, ma, erroneamente, Bonaparte.

GioMaria Bocus Frith di Pietro di Giovanni e di Vincenza Zambon, nasce a Dardago nella casa di via Castello, il 16 ottobre 1895; di professione manovale.

Antonio Zambon Ite Antonio Zambon Momoleti* di Angelo di Girolamo e di Maria Zambon, nasce il 14 giugno 1884 nella casa di via Tarabin. Coniugato, di professione contadino. *** Viene arruolato nel 55° Reggimento Fanteria che fa parte, con il 56°, della Brigata Marche. All’inizio della Guerra i due reggimenti vengono schierati in Cadore nelle valli del Boite e del Padola. Nell’ottobre del 1915 la Brigata viene trasferita dalle Dolomiti all’Isonzo, di fronte al Sabotino. Durante la III Battaglia dell’Isonzo (18 ottobre-4 novembre), i suoi battaglioni muovono all’assalto delle formidabili difese nemiche; il micidiale fuoco delle armi automatiche decima gli attaccanti che in un giorno lasciano sul terreno 200 morti e 1100 feriti. Altre vittime sono causate dalla gastroenterite. Nella successiva IV Battaglia, il 55° Reggimento passa alle dipendenze della Brigata Livorno che ha come obiet-

di Giomaria di Antonio e di Teresa Bocus, nasce l’8 gennaio 1895 nella casa della piazzetta del Cristo a Dardago. *** È arruolato nel 73° Reggimento Fanteria – Brigata Lombardia che, prima dell’inizio della Grande Guerra, viene schierato nei pressi di Udine, alle dipendenze della 4.a Divisione. Nella notte del 24 maggio, il Reggimento varca il confine e avanza verso la testa di ponte di Gorizia, dove il primo scontro con il nemico avviene il 29 maggio; partecipa, nella zona del Peuma e del Podgora, alle prime due Battaglie dell’Isonzo (da Giugno ad Agosto) con una serie di sanguinosi attacchi che consentono solo di affermarsi stabilmente sulle pendici occidentali del Peuma. Dal 18 ottobre al 4 novembre del 1915, partecipa alla 3.a Battaglia dell'Isonzo nel settore di Oslavia, attaccandone le alture. Il 4 novembre, dopo sanguinosi combattimenti il 73° Reggimento raggiunge i caseggiati di Oslavia, i

*** È arruolato nel 47° Reggimento Bersaglieri autonomo. Può sembrare strano, ma molte compagnie di bersaglieri hanno il loro battesimo del fuoco, nella Grande Guerra, tra le alte vette delle Dolomiti. Nei primi mesi del conflitto, nella zona si combatte duramente senza ottenere risultati concreti. Il 26 e 27 novembre le truppe italiane tentano la conquista del Monte Forame (Gruppo del Cristallo) che sovrasta la strada che porta al Carbonin. L’azione viene decisa poiché il gran freddo rende la neve resistente e la limpidezza del cielo favorisce il lavoro dell’artiglieria. Contando sul fattore «sorpresa», le truppe partono all’attacco in piena notte, alle due. Per qualche motivo la sorpresa non funziona e l’attacco viene rinviato alle 8 del mattino. I bersaglieri arrivano fino ai reticolati ma non riescono a superarli. La temperatura è polare (- 20 °C). Tra i molti che perdono la vita sul Monte Forame, il 26 novembre, c’è anche GioMaria, un ragazzo di appena 20 anni. Viene decorato con la Medaglia di bronzo al valor militare alla memoria.

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«LE MEMORIE» DI

Domenico Zambon Rosìt figlio di Luigi e di Luigia Zambon, nasce il 7 agosto 1892 nella casa di famiglia in via Parmesan, nel tratto attualmente denominato via Rui de Col; di professione muratore. *** È arruolato nel 3° Reggimento Alpini che inquadra i battaglioni Pinerolo, Fenestrelle, Exilles e Susa. Viene nominato caporale. Il 3° Reggimento lega il suo nome al famoso Monte Nero, una montagna delle Alpi Giulie alta 2.245 m in territorio sloveno, nella zona di Caporetto. L’epica battaglia per la sua conquista (16 giugno) è ritenuta la prima importante azione militare della guerra. Nei mesi successivi, le truppe italiane non riescono a penetrare ulteriormente nel territorio occupato dagli austriaci. La zona è teatro di numerose battaglie. ll 26 novembre gli alpini lanciano un’offensiva diretta a scardinare le difese del nemico sulla linea Mrzli-Vodel. La battaglia dura due giorni e non ha esito positivo. È qui, sulle Alture del Mrzli (monte Smerle) vicino a Tolmino, che Domenico trova la morte il 27 novembre, colpito da una granata austriaca. Ha appena 23 anni.

*** È arruolato nel 90° Reggimento Fanteria che, con l’89°, forma la Brigata Salerno. Nei primi mesi del conflitto i due reggimenti sono impegnati sul fronte Monte Nero e Mrzli (cfr. Zambon Domenico). Si sa che Vincenzo muore il 20 dicembre 1915, a Milano, nell’Ospedale di Santa Maria della Pace, in via della Pace, per ferite riportate in combattimento. In mancanza di altre informazioni non è possibile sapere il luogo della battaglia. Vincenzo, morto all’età di 30 anni, è sposato con Rosa Bravin. Hanno due figli, Attilio, di 3 anni, e Antonia di 15 mesi. Rosa si risposerà con Pietro, di Domenico di Giovanni e di Zambon Antonia, quindi fratellastro e cugino di Vincenzo: al primo figlio verrà posto il nome di Vincenzo Pietro. Un altro fratellastro di Vincenzo e fratello di Pietro, Eugenio, morirà in combattimento nel 1916.

Francesco Basso di Lorenzo di Antonio e di Santa Rigo, nasce il 3 giugno 1886 nella casa di famiglia in fondo a via Rivetta, a Dardago. *** Le uniche informazioni le abbiamo dal registro delle SS. Messe di Don Romano. Oltre alla data è riportata la causa del decesso: Colpito da granata austriaca. Francesco muore il 28 dicembre 1915, all’età di 29 anni. Era sposato con Santa Bastianello e aveva due figli: Lorenzo di 2 anni e Angelina di 12 giorni! Santa, rimasta vedova con due figli piccolissimi, sposerà Luigi, fratello del povero Francesco. Un altro fratello di Francesco, Marco, anche lui soldato, morirà neanche un anno più tardi.

Vincenzo Zambon Marìn di Osvaldo di Giovanni e di Antonia Zambon, nasce l’8 giugno 1885 nelle ultime case dei Marin in via Castello, a Dardago. Coniugato, di professione contadino.

Antonio Parmesan

La mattina del 9 è una bella mattina il cielo è sereno ma fa molto freddo. In modo speciale per noi che abbiamo dormito in un fienile il freddo sembra assai più tormentoso, ma sempre coraggio, vado a prendere un caffè e con questo mi riscaldo un pochino, poi entro al Distretto con la speranza di essere presto visitato, qui subito trovo tutti i compagni che la notte dormivano sopra la paglia distesa nella camerata del Distretto stesso, loro pure si trovano alle mie stesse condizioni cioè pieni di freddo e anche con un po’ di fame perché alla sera nulla trovarono per sfamarsi. Tutta la giornata si passeggia su e giù pel grande cortile, sempre in attesa di esser chiamati per la visita, di mangiare non si parla, di noi nessuno si ricorda, finalmente alle ore 4 ricevo una pagnotta; è questo il cibo di una intera giornata. Nel tempo stesso sento che noi del Mandamento di Sacile eravamo chiamati per la visita, alle 5 entro in spogliatoio e vengo dichiarato idoneo e come me anche tutti i miei compagni. Io fui destinato al 33° Regg. Fanteria al medesimo Reggimento vengono destinati altri 5 miei compagni, gli altri miei compagni sono destinati parte al 34° Fanteria, parte al 8° Regg. Alpini. Finita la visita più o meno siamo tutti contenti solo l’amico Paolo Ianna piange e noi tutti cerchiamo di dare una parola di conforto. Di nuovo ritorno nel cortile in attesa di ordini, vado in cantina in compagnia di Domenico Lacchin, Fedele Pinal, Giuseppe Zambon e tanti altri bevo un bicchiere di vino per prendere un po’ di coraggio. Subito dopo da un Sergente Maggiore si sente che a noi già visitati è concessa una breve licenza per ritornare alle nostre case, subito cerco il modo di avere detta licenza e appena avuta posso liberamente partire dalla Caserma. La fame comincia a farsi sentire e con molti amici andiamo da Spader per mangiare qualche cosa e per riprendere un po’ di forza perché poi dobbiamo metterci in camino per raggiungere le nostre case; alle 8 ci sentiamo in forza e si parte, il cammino è un po’ faticoso ma pensando che ritorniamo a ritrovare i nostri cari si cammina volentieri. Mai intesi tanta confusione come in questo pomeriggio, io sento parte dei miei compagni che mezzi


ubriachi cantano, parte ridono raccontando…..le era successo fra il giorno, parte li vedo con le lagrime, e parte bestemmiano. Io resto neutro di ogni cosa, e faccio le osservazioni a tanta diversità di idee. Arriviamo a Vigonovo e qui si fa una piccola sosta, però sempre tutti uniti, poi si riprende il nostro camino. Arrivando a S. Lucia la compagnia comincia diminuire e a Budoia diminuisce ancora e con me restano solo i Dardaghesi; qui un amichevole saluto a tutti e vado a casa, suonava la mezzanotte e trovo tutti a letto, ma contenti tutti di vedermi di nuovo tra loro, mi trovo un po’ stanco e vado a letto, sul mio letto trovo tutti i miei bambini contento io pure di essere vicino a loro. Il 10 mi alzo un po’ in ritardo non sapendo dove andare, poi con gli amici vado per tutte le osterie, alla sera rientro in casa ma la mia testa era molto sconvolta per il troppo vino bevuto. Andando a letto dormo con tanta tranquillità come nulla mi succedesse. Ma ecco che dopo passati i fumi del vino il mio cuore si trova nuovamente in tormento. Il giorno 11 alle ore 9 devo partire ed ecco che con due asinelli parto per Sacile, il distacco con la famiglia e più doloroso che mai, contento però di averli veduti di nuovo, per tranquillizzare mia Moglie che piange, le prometto che alla sera sarei ritornato fra loro, mia Madre non era in casa e io approfitto della sua assenza per non vederla piangere. Alle 11 arrivo a Sacile e direttamente entro al Distreto, qui ricevo subito in consegna una piccola coperta da campo, dico piccola perché se mi copro le spalle non posso coprirmi le gambe, poi ricevo £ 4 quale trasferta dei due giorni di licenza, alle 4 mi riesce di varcare le mura di cinta e cerco qualche cosa da mangiare perché mangiare in cantina costa troppo e si mangia male. Alle 7 rientro in distretto e subito cerco un posto per dormire, cerca e ricerca ma le stanze sono tutte uguali, finalmente mi decido e vado vicino a certi altri compagni. Il nostro letto si tratta di un po’ di paglia disteso sopra il duro pavimento delle camerate per nostra miglior sfortuna la paglia che serve per nostro letto si trova anche qualche insetto poco igienico e meno gradito: Le finestre della nostra camerata si trovano senza i scuri e senza vetri, la coperta e assai piccola, così tutta la notte non si trova riposo, tutti si aspetta l’alba per cercare qualche cosa per riscaldarsi o qualche bibita alcoolica per prendere un po’ di coraggio. Il mattino del 12 alle 8 tutti in riga, un sergente maggiore fa la chiamata e direttamente si parte per la sta-

zione ferroviaria, noi del Comune di Budoia cerchiamo di essere tutti uniti per avere il modo di fare il lungo viaggio tutti in compagnia, e possibilmente tutti in un vagone. Arrivando alla stazione vedo che in un binario morto si trova un treno merci e mai avrei creduto che questo fosse il treno destinato per noi. In ogni vagone vedo scritto Cavalli 8 e uomini 40. L’aria entra in tutte le parti e nell’interno quattro dure banche formano i nostri sedili. La confusione in questo momento e molto grande, con fatica io entro in uno di questi vagoni, ma le panche son già tutte occupate e con tutta tranquillità io devo sedermi sul duro pavimento. Il pavimento si trova anche molto bagnato, dentro queste misere vetture ci troviamo catastati uguali a tante sardine, ma quasi si desidera essere stretti uno con l’altro così si spera di stare un po’ più caldi perché già si prevede che durante la notte si dovrà soffrire molto freddo, fin qui però nulla di male. Noi si spera di partire molto presto. Solo alle 11 si vede che la nostra partenza si avvicina, vedo una macchina che si porta alla testa del nostro convoglio, sento il mio povero cuore che si spezza dal dolore pensando che quella mi portava lontano dai miei cari. Nelle mie stesse condizioni si trovano molti e molti miei compagni, per molti la partenza e molto più dolorosa che per me, il motivo che alla stazione si trova i propri famigliari per dare l’ultimo saluto, l’ultimo addio ai loro cari. Vedo molte e molte giovani spose con teneri bambini in braccio, vedo molte che piangono disperatamente per i loro Mariti, vedo ancora molte Madri che piangono e che si trovano nella più grande disperazione per la partenza dei loro figlioli per ignota destinazione (dico ignota destinazione) perché ognuno potrà ideare dove noi andremo a finire solo si sa che la patria ci chiama perché ha bisogno delle nostre braccia ma non si può sapere dove si andrà a finire e a quali conseguenze andiamo incontro. La partenza è molto dolorosa anche perché in questo convoglio si trovano tutti uomini sui 28 e sui 29 anni, e il 90 per cento di questi poveri sventurati si trovano ammogliati e Padri di teneri bambini. Il treno comincia muoversi per pochi minuti il silenzio è profondo, nessuno parla, nessuno si muove vedo qualcuno con le lagrime, sono certo che in questo momento tutti si ricordano dei loro Genitori, dei Fratelli, delle Mogli, dei bambini, dei parenti e degli amici, in questi minuti si manda col cuore un addio a tutti.

Antonio Parmesan Danùt di Dardago, classe 1887, di professione «scalpellino », è l’autore che ci accompagna – attraverso il suo diario – nel lungo racconto della Grande Guerra.

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1915

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2015

C E N T ’A N N I D A L L A G R A N D E G U E R R A

la cronologia 1915 18 ottobre L’esercito italiano scatena la Terza battaglia dell’Isonzo, per la conquista del Goriziano, ma le pessime condizioni metereologiche, con piogge violente, tanto da causare annegamenti nelle trincee lungo il fiume, e lo scoppio dell’epidemia di colera non aiutano le truppe italiane. 9 novembre Dopo una breve sosta, inizia la Quarta battaglia dell’Isonzo, che terminerà il 2 dicembre con la drammatica conseguenza per le truppe italiane: 18.231 morti, 78.246 feriti e 19.498 prigionieri e dispersi.* novembre, dicembre L’ultima operazione bellica del 1915 è quella del Col di Lana che costa all’Italia 49.000 uomini. Il 7 novembre, il 60° Fanteria riesce a piantare il tricolore sulla cima del Col di Lana, a quota 2.464, ma, mentre cerca di approntare la difesa, si scatena la reazione avversaria e, alle 22.00, la cima è nuovamente in mano austriaca. In dicembre si compiono altri tentativi di riprendere possesso della sommità del monte, con risultati inutili, tanto che il comando italiano stabilisce di affidarsi a un’altra tattica difensiva: la guerra di mine, che si scatenerà nell’anno successivo. 6 dicembre A Chantilly, si tiene la seconda conferenza interalleata, in cui si decide una serie di offensive in un quadro strategico comune.

In nove mesi di guerra, l’Italia ha conquistato: il Massiccio del Pasubio, in Trentino; l’Isonzo che ha superato in più parti; il Monte Vrata, il Monte Nero e il Monte Polonik; a est dell’Isonzo, il margine dell’Altopiano di Doberdò; Monfalcone e Grado, divenute basi avanzate della Marina militare. Ma dopo le prime quattro battaglie, l’esercito è molto provato e decimato. Dal 25 maggio al 2 dicembre le perdite italiane sono di 246.000 uomini tra morti e feriti.* La crisi, in cui versa l’esercito, minaccia di compromettere i risultati ottenuti durante la campagna del 1915. * I dati sono desunti dall’ Enciclopedia monografica del Friuli Venezia Giulia, Udine 1978, vol. 3 – parte prima.

«LE MEMORIE» DI

Antonio Parmesan

Ma ecco che poco dopo il più coraggioso rompe il silenzio, questo bestemmia, uno comincia cantare, l’altro parla col compagno vicino, così in breve tempo tutti prendono coraggio e cercano di dimenticare il passato per aver la forza e il coraggio di fronteggiare tutti i pericoli e tutti i patimenti che purtroppo andiamo incontro. Però vedo qualcuno che ancora piange e questi mi fanno pietà. Io cerco di darmi coraggio ma il mio cuore soffre, soffre assai, soffro perché mi allontano dai miei cari, ma soffro anche per aver visto tante povere sventurate che disperatamente piangevano per la partenza del loro Marito o del loro Figlio, del Fratello, del Fidanzato o di qualche persona assai cara. Il viaggio da Sacile a Mestre è assai lungo, basta dire che partendo da Sacile alle 11 siamo arrivati a Mestre alle 12 di notte, cioè 13 ore di viaggio. Tutto il giorno, di mangiare non si parla, così la fame non mancava, cominciano gli urli di protesta ma per calmare gli animi portano il treno in un binario morto assai lontano dal centro della stazione, le grida di protesta aumentano e tutti scesero dai propri vagoni, chi corre da una parte, chi corre dall’altra, io mi trovo tra i più fortunati perché fra i primi trovo il ristorante; in esso posso avere del pane, in pochi minuti quanto nel ristorante si trova sparisse e nulla non si può più trovare, ritorno in vettura. La pioggia cadde dirottamente anche in vettura e tutto bagnato l’acqua entra dal tetto e da tutte le parti. Dopo aver mangiato un po’ di pane desidero dormire ma come fare? Oltre la pioggia fa anche abbastanza freddo e certo che dormire non si può. Alle 7 del mattino del giorno 13 sotto la pioggia che continua dirotta vedo gli Ufficiali di scorta alla nostra tradotta che accompagnati da soldati andavano da vettura in vettura per vendere delle pagnotte militari al prezzo di 25 centesimi per ciascuna, io pure ne compero una perché di più non è permesso. Qui comincio già a vedere la camorra di certi nostri cari Ufficiali, essi oltre le pagnotte vendono anche altri cibi ma li fanno pagare a caro prezzo, la fame di molti era grande e certo che pure di avere qualche cosa per sfamarsi si pagava anche a caro prezzo. Sono le ore tre e a quest’ora si parte alla volta di Padova e via diritti fino a Mantova, qui si fa una breve

fermata e tutti cercano pane, vino e qualche altro cibo, io non trovo nulla solo un po’ di pane cedutomi da un borghese, io naturalmente avrei voluto pagarlo, ma questo buon borghese mi disse che pure lui teneva due figli sotto le armi e che non si sentiva il coraggio di farsi pagare un po’ di pane da un uomo che si trovava alle condizioni dei suoi due cari figlioli. Ringrazio di cuore questo bravo uomo e ritorno in vettura. Racconto ai compagni quanto mi era successo e tutti trovano una parola di lode per quel bravo uomo che ricordando i suoi figli ha avuto tanta pieta di me. Al ristorante della stazione era successo una grande confusione, chi pagava ciò che ricevevano, chi non pagava, chi rubava tazze da caffè, bicchierini, piatti, cucchiai, fiaschi di vino e tutto ciò capitava sotto mano, io però sento consolazione di essere estraneo di ogni cosa perché non mi piace trovarmi in mezzo a simili confusioni. Dopo che tutti si trovano nei propri scompartimenti si spera di partire ma subito vedo che Carabinieri e Ufficiali si portano in tutti i vagoni e in ogni angolo cercano e trovano qualche cosa che poco prima era stato rubato al Ristorante, per buona cosa nella mia vettura nulla trovano, ma trovarono molti oggetti come bicchieri, chicchere, piatti ed altre cose che il proprietario di detto ristorante riconobbe per roba sua, la confusione è al colmo, e per questo ritarda anche la partenza. Dopo circa tre ore che si aspetta si vede il treno che comincia muoversi, e di tutta corsa si passa paesi e città. Il nostro misero convoglio non sembra più una misera tradotta, ma sembra un treno di lusso, si passa tante e tante stazioni senza fermarsi. In qualche grande stazione che la tradotta si ferma tutti cercano di farsi le solite provviste. Si percorre la linea di Alessandria, Nizza Monferrato, si passa per Casal Maggiore. Alle 11 di notte ci troviamo vicino a Cuneo, Città in cui si trova il Deposito del mio Reggimento.

[CONTINUA]


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