Cent'anni della grande guerra (4)

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la cronologia 1916 15 maggio -15 giugno Offensiva austriaca in Trentino (Strafexpedition); conquista e successiva perdita di Asiago. Molte truppe italiane vengono spostate dal Carso all’Altipiano di Asiago. Il fronte sostanzialmente non cede.

Le portatrici carniche accompagnavano il ripido percorso anche con il lavoro a maglia.

LA DONNA SUL FRONTE DI GUERRA

Il coraggio e la generosità delle ‘portatrici carniche’ Se gli uomini furono gli indiscussi protagonisti della Grande Guerra, un ruolo fondamentale per le sorti del conflitto lo ebbero anche le donne, spesso dimenticate dai libri di storia. È il caso delle «portatrici carniche», eccezionali figure femminili di umili origini che con il loro contributo permisero agli Alpini di mantenere le loro postazioni, sul fronte italo-austriaco della Zona Carnia, quella fascia di territorio tra il Monte Peralba e il Montemaggiore, ossia tra le sorgenti del Piave e quelle del Natisone, comprendente le Valli dell’Alto Tagliamento, del Degano, del But e del Fella. La storia della «portatrici carniche» si colloca tra l’agosto del 1915 e l’ottobre del 1917. In quel periodo l’Esercito Italiano era così schierato: due Armate (1° e 4°) sul fronte Trentino; due Armate (2° e 3°) sul fronte delle Alpi Giulie; un Gruppo Speciale al centro (XII Corpo d’Armata), in Carnia; una riserva d’Esercito tra Desenzano, Verona e Bassano. Grande importanza aveva la Zona Carnia, talmente vitale da essere posta alle dirette dipendenze del Comando Supremo. Era formata da 31 battaglioni con un contingente medio di 10-12 mila uomini che dovevano essere giornalmente vettovagliati, oltre che con viveri, medicinali, vestiario, con rifornimento di munizioni e attrezzi vari. Quella Zona, tristemente famosa in cui perirono anche tanti nostri paesani, come abbiamo già avuto modo di riferire, era priva di mu4°

lattiere e teleferiche, cosicché poteva essere raggiunta soltanto a piedi attraverso irti sentieri con il trasporto a spalla. Il Comando Logistico della Zona e quello del Genio furono costretti a chiedere aiuto alla popolazione civile, poiché tutti gli uomini adulti erano alle armi. A casa rimanevano soltanto donne, vecchi e bambini, e furono proprio le donne a rispondere in massa: a Timau e Cleulis, frazioni del Comune di Paluzza, ne vennero rapidamente chiamate a raccolta un centinaio, alle quali in brevissimo tempo se ne aggiunsero molte altre. Sulla scia di quell’esempio, in tutte le località carniche prossime al fronte si formarono folte schiere di portatrici, che superarono le 2000 unità. Questo numeroso gruppo volontario di donne, di età compresa tra i 12 e i 60 anni, della forza pari a quella di un battaglione di circa 1.000 soldati, offrì un servizio davvero insostituibile. Basti ricordare che nel 1916 occorreva far pervenire giornalmente ai reparti al fronte 150.000 litri d’acqua, 70.000 quintali di alimenti, 23.000 quintali di legname, circa 1.000 quintali di munizioni, migliaia di sacchi di posta, … Le donne non furono mai militarizzate, ma la disciplina ferrea che si autoimponevano durante le marce fu esemplare. Furono dotate di un libretto personale di lavoro, sul quale i militari, addetti ai vari magazzini, segnavano le presenze, i viaggi compiuti, il materiale trasportato in ogni viaggio, e munite di un bracciale rosso con stampigliato lo stesso numero del libretto

29 giugno A San Martino del Carso la guerra diventa più crudele: scoppia il primo episodio di «guerra chimica». Gli Austriaci aggrediscono di notte le nostre linee colte di sorpresa dall’uso dei gas asfissianti. A nulla servono i tentativi di resistenza, oramai i veleni sparsi nell’aria distruggono le forze dei nostri soldati che escono dalle trincee per respirare. Poche ore dopo due reggimenti ungheresi assalgono le trincee italiane e decapitano a colpi di mazza di ferro 6000 fanti italiani, intossicati dal gas. I sopravvissuti vanno al contrattacco e riprendono il monte. In agosto A Pola, è impiccato Nazario Sauro, catturato con il suo sommergibile. Inizio di agosto Il papa Benedetto XV rivolge un appello di pace ai belligeranti. La Romania entra nel conflitto con l’Intesa. 4 agosto Inizia un attacco a Monfalcone. 6 agosto Si scatena la battaglia in campo aperto: le truppe italiane conquistano il Monte San Michele e il Sabotino. L’azione si protrae fino al 10 agosto con combattimenti sempre più duri. Sulla Quota 85 del Carso, mentre inizia la VI Battaglia dell’Isonzo, muore Enrico Toti, il bersagliere romano, mutilato di una gamba, che scaglia contro il nemico la sua stampella in una estrema reazione, quando già la vita gli viene meno. 9 agosto La Terza Armata, condotta da Filiberto di Savoia, occupa Gorizia. 11-16 agosto Ha luogo un’altra offensiva: le truppe italiane sottraggono una larga striscia di terra, oltre Gorizia, agli Austriaci. Vittorie incontestabili, pagate a prezzo altissimo: 6.310 morti, 32.784 feriti, 12.127 dispersi e prigionieri.

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Casera Pal Piccolo. Posto di medicazione. Sotto. Le donne durante una breve sosta per prendere fiato.

SONO UNA CREATURA Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916

Come questa pietra del S. Michele così fredda così dura così prosciugata così refrattaria così totalmente disanimata Come questa pietra è il mio pianto che non si vede La morte si sconta vivendo GIUSEPPE UNGARETTI

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e con l’indicazione dell’unità militare per la quale lavoravano. Per ogni viaggio ricevevano il compenso di lire 1,50 centesimi, corrisposti mensilmente. Dovevano presentarsi all’alba di ogni giorno presso i depositi e i magazzini nelle basi del fondo valle per ricevere in consegna il materiale – granate, cartucce, medicinali, viveri e altro materiale – e caricarlo nella gerla che veniva a pesare 30-40 kg. In caso di emergenza, potevano essere chiamate a qualsiasi ora del giorno o della notte. A quel punto le donne partivano in gruppi di 15-20, diretti verso la linea del fronte. Dovevano superare dislivelli che andavano dai 600 ai 1200 metri, vale a dire dalle 2 alle 5 ore di marcia in ripida salita. Le donne accompagnavano il ripido e difficile percorso con preghiere e canti, che nascevano spontanei per vincere la paura provocata da spari e granate. Alcune approfittavano anche per lavorare a maglia, con i ferri da calza. Arrivavano a destinazione col cuore in gola, stremate dalla disumana fatica, che diventava ancora più pesante d’inverno, quando affondavano nella neve fino alle ginocchia. Scaricavano il materiale, sostavano pochi minuti per riposare e per comunicare agli alpini al fronte qualche notizia del paese e, quindi, riempivano le gerle di biancheria da lavare. S’incamminavano poi in discesa, per ritornare nelle loro case, ai lavori quotidiani nei prati, ad accudire i vecchi e i bambini, gli unici rimasti assieme a loro. E il giorno dopo, esse ricominciavano un nuovo viaggio. Così per oltre due anni. A volte, al ritorno era chiesto loro di trasportare in barella, a valle, i militari feriti o quelli caduti in combattimento. I feriti erano avviati agli ospedali da campo, mentre i morti erano seppelliti nei cimiteri di guerra, dopo che le stesse portatrici avevano scavato la fossa. Durante i violentissimi attacchi nemici del 26 e 27 marzo 1916, che portarono alla perdita del Pal Piccolo

e alla sua sofferta riconquista, le donne di Timau, mosse da amore di Patria, chiesero agli artiglieri di poter dare il loro contributo, mettendosi alle postazioni di artiglieria, e chiedendo di essere tutte armate di fucile. Pur non accettate le loro richieste, il gesto rincuorò i combattenti, suscitandone l’ammirato riconoscimento. Vista la zona in cui operavano, le portatrici vivevano una situazione di costante pericolo. Furono diverse, infatti, le donne rimaste ferite nell’adempimento dei loro compiti. Una di queste, Maria Plozner Mentil, di 32 anni, madre di quattro bambini e con il marito combattente sul fronte del Carso, giunta con il suo carico insieme all’amica Rosalia Primus di Cleulis, fino alla Casera Malpasso sopra Timau, il 15 febbraio 1916 fu colpita a morte da un cecchino austriaco. Donna eccezionale, era benvoluta per la bontà d’animo e lo spirito d’altruismo; fu riconosciuta «anima» e guida trascinatrice. Sempre in prima fila in ogni circostanza; nei bombardamenti delle artiglierie austriache e quando fischiavano le pallottole, infondeva coraggio alle compagne impaurite e smarrite. Ebbe un funerale con gli onori militari alla presenza di tutte le portatrici e fu seppellita a Paluzza, per poi essere traslata nel 1937 nel Tempio Ossario di Timau, accanto agli oltre 1700 soldati caduti. In sua memoria la caserma di Paluzza porta il suo nome: unico esempio in Italia di una caserma intitolata a una donna. L’ammirevole contributo delle ‘portatrici’ s’interruppe nel 1917 quando, il 27 ottobre, i difensori di questo fronte dovettero ritirarsi lasciando le posizioni, che mai avevano perduto, perché aveva ceduto il fronte dell’Isonzo, difeso dalla 2° Armata, ed i soldati di Carnia dovettero ripiegare per non essere presi alle spalle. Con loro furono costrette a fuggire anche le ‘portatrici’, che finirono profughe in Patria, dovendo abbandonare le proprie case per non cadere in mano nemica dopo tanti sacrifici.


biografie Pietro Bocus CAVALLEGGERO DEL 17° REGGIMENTO CASERTA Quest’anno, in cui si ricorda l’inizio della Grande Guerra, voglio raccontare una storia, anzi come la Storia con la maiuscola, è stata vissuta dai nostri genitori. Ne parlavo l’anno scorso con mia sorella Laura e lei m’incoraggiava: «Scrivi, scrivi!» Poi è venuta a mancare e mi manca veramente… Con la mente la cerco, sento che è insieme a mamma e papà. Questo mi impegna ancora di più a scrivere e raccontare, perché anch’io ormai ho tanti anni e, finché la mente mi assiste, tento di portare a termine l’impegno che mi sono presa con Laura e la mia famiglia. È il 1905; c’è a Dardago un piccola salda famiglia composta da Giacomo Zambon Marin Cep, da sua moglie Santa Pilot e dalla loro bimba Ida di 5 anni. Abitano in piazza vicino ai Sartorel; la loro è quella casa col «fogher» che sporge sulla piazza, nell’angolo la «senta» e più in là, la scala che porta di sopra. La vita è dura, come per tutti del resto e, come tanti del paese, prendono la grave decisione di emigrare all’estero. Loro andranno in Germania: Giacomo, mio nonno, lavorerà nelle miniere di carbone della Ruhr, a Bochum e Essen; mia nonna Santa avrà il compito di lavare biancheria non solo per la sua famiglia, ma anche per altri minatori; compito gravoso considerando che bisogna fare tutto a mano e che ogni cosa è impregnata della polvere del carbone. La piccola Ida andrà a scuola e poi aiuterà in casa. Mamma mi raccontava un aneddoto curioso: prendono il treno che li porterà tanto lontano con le loro ceste e i loro fagotti. A Pontebba c’è l’ultima stazione italiana e alla bimba scappa la pipì; scende con la mamma, ma il treno parte senza di loro, passa il confine e si ferma a Pontafel. Ebbene, nonno Giacomo, superato l’attimo di panico, è riuscito a fare in modo che il treno aspettasse le sue donne, prima di proseguire il viaggio! Passano gli anni, duri anni di lavoro: con impegno e onestà riescono a farsi apprezzare anche in terra straniera. Ma scoppia la Prima Guerra Mondiale e devono tornare in Patria, soprattutto perché nel 1915 gli italiani diventano «nemici» da combattere. Il ritorno nella casa in piazza porta una bella novità: la nascita nel 1916 di un maschietto, Camillo.

Certo ci vuole coraggio a mettere al mondo dei figli in tempo di guerra, ma d’altronde anch’io sono nata in un anno difficile, il 1939! Ida si è fatta una bella ragazza e il fatto di essere cresciuta all’estero la distingue. Se n’è accorto anche un giovanotto simpatico, Pietro dei Bocus che abitano nelle ciase vecie dei Frith; Ida ha quindici anni, Pietro diciannove, fresco di leva, arruolato nel 17° Reggimento Cavalleggeri Caserta, di stanza

Sopra. Alcune annotazioni degli spostamenti effettuati da Pietro dal dicembre 1917 a novembre 1918.

a Faenza. Si piacciono… Il nonno Giacomo simpaticamente brontola, ma deve cedere quando Pietro deve partire per la zona di guerra. Per un soldato sarà un sollievo affrontare disagi e timori con il cuore riscaldato da un tenero affetto! Nel difficilissimo momento dell’invasione dopo Caporetto, penso che la famiglia di Giacomo Zambon, con la buona conoscenza della lingua tedesca, si sia resa utile come anello di collegamento tra la comunità e gli Austriaci. Purtroppo nonno Giacomo ha avuto vita breve perché la silicosi, malattia dei minatori non perdona, (specialmente a quei tempi!) lasciando la moglie da sola coi due figli. Nonna Santa! Donna forte e gentile, rifugio nelle estati della mia infanzia! Tempo fa, Laura ha trovato in un cassetto dei foglietti di diario del nostro papà Pietro. Vi sono scritti tutti gli spostamenti che il suo Reggimento ha dovuto effettuare dal 1915 fino

Sopra. Pietro Bocus nel 1916, a Ravascletto in Carnia. A sinistra. Giacomo Zambon Marin tra la figlia Ida e la moglie Santa, in Germania nel 1907 circa.

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Pietro Bocus con il suo inseparabile cavallo, a Ravascletto, nel 1917.

i nostri eroi

al 1919! Sì, perché alla fine della guerra è stato richiamato per smobilitare il suo Reggimento! È una cosa emozionante leggere che, ad esempio, alla rotta di Caporetto del ’17 era a Portogruaro; nella Battaglia del Solstizio, giugno ’18, Pietro e il suo cavallo Lampo erano sulle piste del Montello come portaordini. Sul libro di Oreste Battistella «Battaglia del Montello» , a pag. 94 è scritto: Il Regg. Cavalleggeri di Caserta era dislocato da tempo nella zona del Montello e nelle retrovie un po’ a valle di esso. Sferratasi l’offensiva il 15 giugno i cavalleggeri si prodigarono per mantenere il collegamento con

Andrea Rigo Moreal di Lorenzo e fu Rosa Besa nato a Dardago il 1° maggio 1890, nella casa in via San Tomè. *** È arruolato nel 116° Reggimento Fanteria che con il 115° forma la Brigata Treviso. Nel gennaio del 1916 i due reggimenti sono trasferiti da Asiago nel settore di Oslavia, di fronte alla testa di ponte nemica che protegge Gorizia. Il 116° è appostato nella zona del Podgora e viene attaccato dalle truppe austriache che riescono a occupare alcune trincee. Il nemico è respinto dopo giorni di battaglie. In una di queste, Andrea viene ferito ed il 31 gennaio muore nella 11° sezione di sanità (Cormons?).

i reparti in linea, sostituendosi a tutti gli altri mezzi di comunicazione che il fuoco e l’avanzata del nemico avevano paralizzati. Si dovette in gran parte a quei cavalleggeri se i comandi poterono anche nei più duri momenti funzionare. Le truppe di altre armi avevano battezzato quei cavalieri della morte «Le guide del Montello». Nell’ultima battaglia, quella di Vittorio Veneto era di nuovo in zona. Sul foglietto è scritto: «29 ottobre, ore 16, passaggio del Piave». Com’è strana la vita! Noi siamo venuti ad abitare proprio a Susegana, comune posto sulla riva sinistra del Piave: il castello porta ancora indelebili le ferite della Grande Guerra, perché gli Austriaci ne avevano

La zona è teatro di continui scontri, durati più due anni, che non portano nessun vantaggio ai due eserciti contrapposti. Il freddo inverno tra il 1915 e il 1916 ferma quasi del tutto le attività belliche lasciando spazio solamente a qualche scaramuccia: in una di queste, Giuseppe rimane ferito, nella zona delle Tre Cime di Lavaredo. Cessa di vivere il 29 febbraio.

conquistato per poche ore prima di ricadere in mano austro-ungarica grazie ad un contrattacco con i gas lacrimogeni. Il caporale Eugenio, a causa delle ferite riportate in combattimento sul Podgora, muore il 19 marzo. È decorato con la Medaglia di Bronzo al valore militare alla memoria. La notizia dell’onorificenza con la fotografia di Eugenio apparve in «La Domenica del Corriere», supplemento illustrato del «Corriere della Sera» con uscita «ogni domenica» n° 37 – Anno XVIII, 10-17 Settembre 1916, p. 7 «Decorati al Valore». Il numero della rivista settimanale appartiene all’Archivio storico di Giovanni Bufalo.

Eugenio Giuseppe Zambon Colus di Giovanni di Giuseppe e di Fagherazzi Regina nasce a Dardago il 24 febbraio 1891, nella casa in via San Tomè.

Giuseppe Comin di Pietro di Domenico e di Angela Pusiol nasce il 16 ottobre 1888 a Santa Lucia. *** È arruolato nel 53° Reggimento Fanteria che con il 54° forma la Brigata Umbria. Dall’inizio delle ostilità, la Brigata opera nella conca ampezzana avendo, tra gli obiettivi principali, l’occupazione e il controllo del monte Piana.

*** È arruolato nel 116° Reggimento Fanteria che con il 115° forma la Brigata Treviso. Nel 1915 la «Treviso» opera nella zona di Asiago e all’inizio del 1916 viene trasferita sul Carso per partecipare all’imminente Quinta Battaglia dell’Isonzo. La battaglia si svolge dal 10 al 15 marzo. Gli obiettivi sono il Mrzli, il Santa Maria, il Podgora, la Cima 4 del San Michele, le trincee della Cappella Diruta e San Martino del Carso. Questo piccolo paese sulle pendici occidentali del Monte San Michele, viene

Sante Giacomo Pellegrini Luthol di Gio Maria di Giovanni e di Barbot Anna nasce a Dardago il 5 ottobre 1896, nell’abitazione di via Rivetta. *** È arruolato nel 116° Regg. Fanteria, successivamente è trasferito all’8° Reggimento Alpino, Battaglione Tolmezzo che dal giugno 2015 ha il compito della difesa dell’importante zona del Pal Piccolo, nei pressi di


fatto sede di comando ed era logico che fosse preso di mira dall’artiglieria italiana. Il mio caro papà Pietro, a pieno titolo Cav. di Vittorio Veneto, dopo la morte di mamma, veniva spesso ad abitare da noi; questo posto gli ricordava momenti forti della sua gioventù. Ne parlava anche coi bambini, ma con leggerezza, senza drammatizzare; a loro piaceva sentire raccontare del suo cavallo, amico fedele. Una serena domenica di novembre voleva andare verso il Piave con il suo… cavallo a pedali. Una macchina lo ha investito in pieno, povero caro papà. Com’è crudele la vita! A rilevare l’incidente

un carabiniere in servizio quel pomeriggio: mio marito Angelo Pisu. Da tempo Angelo è un appassionato studioso della Grande Guerra; nella nostra «stanza dei libri» centinaia di testi sull’argomento, al quale dedica ricerche e scritti; partecipa al ripristino di trincee e osservatori sulle nostre colline con gruppi di volontari. Cari amici de «l’Artugna», in queste poche righe ci sono 110 anni di vita di care persone che non ci sono più , ma che, se volete, rivivranno nel ricordo, sulle pagine del nostro periodico. Un grande grazie! A Laura, la mia unica cara sorella. SILVANA BOCUS PISU

1916 Monte Croce Carnico. L’inverno, molto nevoso, non permette azioni belliche. Il 26 marzo 1916, gli austriaci con un’azione di sorpresa conquistano il Pal Piccolo, ma il giorno successivo gli alpini lanciano un sanguinosissimo attacco che permette la riconquista della posizione. Centinaia di soldati italiani e austriaci, morti o feriti, giacciono nella neve. Servono tre giorni per il rastrellamento del campo di battaglia. Sante muore il 27 marzo nell’Infermeria Avanzata di Timau per le ferite riportate in combattimento, dissanguato. Non ha ancora compiuto 20 anni. È sepolto nell’Ossario di Timau. Viene decorato con la Medaglia di Bronzo al valore militare alla memoria col la seguente motivazione: Esempio di grande ardimento ai compagni, dopo lungo combattere cadde eroicamente, colpito da fuoco nemico durante una nostra vittoriosa azione d’attacco. Monte Pal Piccolo, Alta Valle del But, 27 marzo 1916.

nello Regina, di due anni più giovane di lui. Il 23 novembre dello stesso anno nasce Angelo, che sposerà Zambon Ines Maria, e che morirà in Russia nel 1943, lasciando nel dolore oltre alla moglie la figlioletta Rosetta Pia nata nel 1938. Valentino e Santa hanno altri due figli: Emilio Attilio, nato il 1° ottobre 1912 e Severino, nato l’11 ottobre 1914. *** È arruolato nell’14° Regg. Bersaglieri. I battaglioni del 14° si trovano nella zona del Monte San Michele (Carso) quando alla fine del mese di maggio 1916 vengono trasferiti sull’Altopiano di Asiago o dei Sette Comuni per fronteggiare l’offensiva Austriaca ( Strafexpedition). Il 16 giugno, il reggimento ha l’ordine di attaccare il Monte Cimone. La battaglia è molto cruenta e, nonostante il valore ed il coraggio dei nostri soldati, non ha gli esiti sperati. I reparti sono costretti a retrocedere. In queste operazioni Valentino è ferito e muore a Enego (VI) nella 4° Sezione Sanità.

Matteo Carlo Gislon

Valentino Carlon Pacio di Angelo di Valentino e di Santa Del Maschio nasce il 17 settembre 1883, a Budoia nella casa di via Lunga inferiore. Il 10 gennaio 1910 sposa Santa Puppin di Vincenzo e di Bastia-

di Giomaria e di Burigana Vincenza nasce a Santa Lucia, il 1° dicembre 1895. *** È arruolato nel 111° Regg. Fanteria che con il 112° forma la Brigata Piacenza. Fino alla primavera del 1916 la «Piacenza» opera nella zona del Carso per essere poi inviata sull’Altopiano di Asiago per rafforzare quel settore, interessato dall’offensiva delle truppe austriache. Il 30 giugno le nostre truppe iniziano una serie di attacchi verso le posizioni dei monti Mosciagh e Zebio. In uno dei primi scontri Matteo rimane ferito e muore il 1° luglio.

dal diario di don Romano Zambon

Angelo Fort di Giobatta e di Zambon Giacomina nasce a Santa Lucia, il 9 ottobre 1895. *** È arruolato nell’8° Reggimento Alpini, Battaglione Tolmezzo. Per ulteriori informazioni sulle operazioni del Reggimento, cfr. Santo Pellegrini in questa pagina. Il Battaglione Tolmezzo, nel giugno 1916 è impegnato a rafforzare la posizione sul Pal Piccolo e sul Pal Grande. Nella notte del 27 giugno, il «Tolmezzo» attacca il Passo del Cavallo e la Sella del Freikofel. L’attacco viene respinto dall’artiglieria e dalle mitragliatrici nemiche. Angelo è ferito e muore in combattimento.

La guerra, oltre alle molte gravi conseguenze come i morti, le distruzioni, le violenze, la miseria, comportò anche il cambiamento del modo di vivere nei paesi e quindi anche nella parrocchia. Don Romano, nel suo diario – in cui ricordava tutte le Sante Messe, le prediche e i fatti importanti del paese – nel 1916 accennava alla guerra solamente in occasione delle Sante Messe per i giovani soldati caduti. Fece un’eccezione nei mesi di aprile e maggio per la soppressione delle processioni. Dal diario, sappiamo, pertanto, che il 21 aprile 1916, Venerdì Santo, «stante il divieto del Comando Militare non ebbe luogo la processione, bensì in chiesa, dopo l’inno Vexilla Regis, si cantò il Miserere»; il 29, 30 e 31 maggio non si effettuarono le Rogazioni. Don Romano annotò: «Cantai i Vangeli alle tre porte della chiesa, indi cantai la Santa Messa per i defunti di tutte le famiglie».

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«LE MEMORIE» DI

Antonio Parmesan

IL NEMICO INVISIBILE Alle cinque e trenta del 29 giugno, 3.000 grosse bombole del peso di mezzo quintale l’una, predisposte su trespoli di legno lungo una dozzina di chilometri di trincee, vengono aperte contemporaneamente dai soldati nemici. La nube tossica del cloro e del fosgene si riversa a una velocità sorprendente con un acuto sibilo sulle trincee italiane, che vanno dalla Cima 4 del Monte San Michele fino a sud del villaggio di San Martino del Carso. Quasi 7.000 uomini – 6.250 soldati e graduati e 182 ufficiali, prevalentemente appartenenti alle Brigate «Regina e «Pisa» – sono colpiti: circa 3.000 sono colti dalla morte nel sonno, altri 4.000 rimangono gassati e di essi una buona parte ricoverata in ospedale finirà per morire, perché il fosgene che li ha colpiti ha la proprietà di agire anche sedici mesi dopo, ma in modo ineluttabile.

Il 22 febbraio, alle 5 di sera comincia la pioggia e noi andiamo direttamente in piazza del mercato per il giuramento; comincia già a far notte e la pioggia aumenta la malinconia, alle 6 arriva il Colonello e sotto una pioggia dirotta lui comincia a parlare di tutte le vittorie riportate dalle armi italiane, poi dice che pure noi ora siamo armati con queste armi e con esse noi dobbiamo essere vittoriosi in tutte le battaglie che ci troveremo impegnati; e dopo aver parlato di altre cose ancora lui dice che le nostre famiglie saranno orgogliose di vederci vittoriosi sui campi di battaglia; non pensate più alle vostre famiglie perché per esse penserà la Patria, penserà l’Italia, pensate solo di fare il vostro dovere e di ritornare vittoriosi. Dopo che lui ha finito di parlare, si restringe il quadrato e si fa il giuramento, si presentano le armi e il Colonnello se ne và, noi rientriamo al deposito in attesa della partenza. […] Il capo treno mi assicura che andiamo in un paese vicino Udine. […]. Si corre a tutta velocità per Verona, Vicenza, Padova e Mestre e andiamo alla volta di Treviso; arrivati in questa Città la pioggia cade molto forte e nessuno può muoversi dalla propria vettura. Dopo circa mezz’ora si parte anche da quì; appena partito io mi addormento e il treno corre a tutta velocità, mi risveglio quando mi trovo fra Sacile e Pordenone. Vedendomi in queste terre sento una stretta al cuore. La notte è molto oscura, io mi affaccio al finestrino per orientarmi meglio, guardo se posso vedere il mio bel Paese ma dall’oscurità e data la troppa lontananza non lo posso vedere. Il mio pensiero corre i miei cari bambini e penso che a questa ora loro dormiranno tranquillamente. Io invece dove vado? Non lo so. Trovandomi a pochi chilometri dal mio paese nativo, molti ricordi corrono nella mia mente: ricordo i giorni felici che in esso passai e ricordo anche i giorni che passai con qualche dispiacere, però non ricordo di aver passato un momento doloroso uguale a questo. Io penso ai miei bambini che forse si troveranno nella più grande miseria, penso ai miei genitori che data la loro età avevano bisogno di qualche aiuto, penso poi a mia Moglie che a dovuto andare a Venezia per guadagnare un pezzo di pane, per essa e per i nostri bambini. Mentre la mia mente si trova confusa con tutti questi pensieri, il treno fila a tutta velocità. […] Si passa Pordenone e anche Casarsa e arriviamo al Tagliamento; a Codroipo si spera di fermarsi ma il treno continua la corsa. Finalmente ci fermiamo a Pasian Schiavonesco e

subito viene dato l’ordine di scendere dalla vettura con tutta la nostra roba. […] Siamo alla mattina del 24 (febbraio) […] Si alloggia nei ripostigli delle case dei contadini […] Ora comincio a sentire gli effetti della guerra, si sente assai bene il rombo delle granate che sparano al fronte, tutti i giorni gli aerei nemici volano in lungo e in largo sopra questa bella pianura friulana. Noi si continua tutti i giorni l’istruzione […] A molti friulani è concesso un breve permesso per andare a trovare le loro famiglie. Io pure domando più volte per avere tale permesso ma sempre mi viene respinto perché dicono che il mio paese si trova troppo lontano. Alla sera trovandomi con Domenico ci mettiamo d’accordo per scrivere tutti e due alle nostre mogli che si trovano a Venezia. Tre giorni dopo riceviamo la risposta che assai volentieri loro sarebbero venute purché si avesse direttamente scritto dove; così mando dove dovevano venire e le dico per il 12 marzo. […] e tutte e due stanno da noi per 3 giorni. […] Il giorno 15 (marzo) si deve andare ai tiri col zaino in spalla si comincia la lunga marcia. E così per tutti i giorni seguenti. Il giorno 21 andiamo in un gran prato che serve da piazza d’armi; qui vedo 4 Reggimenti di fanteria, di Cavalleria, di Artiglieria, Bersaglieri, Carabinieri, Finanza, e i Mitraglieri, in tutto saranno 25.000 soldati per assistere alla visita del tenente Generale Morrone, comandante di Corpo d’Armata. Per 4 ore si resta in questa piazza d’armi, poi tutti rientrano ai loro paesi di accantonamento. Chiedo il permesso per vedere i miei bambini e i miei genitori, ma mi negano il permesso perché troppo lontano. Lo ottengo il 2 aprile e vado a Dardago ad abbracciare i miei cari, insieme ai miei amici Alfier di Mezzomonte e Chizzolini di Sacile[…].Ritorniamo a Blessano, subito vedo che la truppa era partita. […], così si parte di corsa per ragiungere la nostra compagnia. 7 chilometri di marcia forzata, arrivo ai tiri, però mi sento molto stanco. […] Il Martedì 4 (aprile) nessuno mi parla del mio ritardo, ma alle 4 pomeridiane il Sergente mi fa cercare e un soldato mi dice che devo entrare in prigione per 8 giorni di rigore. Qui siamo una quindicina e tutti per lo stesso motivo: ci eravamo ritardati presso le nostre famiglie. Il mattino del giorno 6 alle 10 entra un Ufficiale e ordina di entrare alle proprie compagnie […] perché dobbiamo partire per Verstone (Brescia). Fuori della stazione vedo dei feriti più o meno gravi provenienti dal luogo dove dobbiamo andare noi. Io cerco di parlare con uno di questi e le domando se le posizioni erano tanto pericolose. Questo mi dice di non aver paura e


che siamo assai fortunati, perché da questa parte il fronte non era tanto pericoloso, però assai faticoso perché si trova in alte montagne e molto si deve lavorare. Entriamo in paese per passare la notte […] Il giorno 26 (aprile) andiamo alle 5 Malghe e si fa le tende per essere più vicini alla nostra Compagnia. Il 30 ci uniamo tutti alla Compagnia. Io vengo assegnato al 4° Plotone 1° squadra, comandata da un caporale intelligente, che si comportava da padre e da maestro. Nella mia squadra trovo anche due vecchi soldati, in loro vedo bontà e sincerità, in poco tempo stringo un’amicizia paterna. Al mio plotone vengono assegnati anche i miei compagni Chizzolini di Sacile e Fachin di Aviano, però loro si trovano nella 2a squadra. Nella stessa sera, dopo il tramonto, il mio plotone è stato assegnato ai ‘Caprioli’ (posto che dobbiamo occupare) per dare il cambio agli altri soldati. Con il caporale e altri 5 compagni vado in un posto avanzato […], il caporale mi dice che di qui nessuno deve passare, se qualcuno lo fa gli si spara. Sento qualche fucilata e questo già mi basta per impressionarmi […] Era una notte molto oscura e non vedevo, solo di tanto in tanto sento qualche fucilata. […] Passo otto giorni e otto notti che si fa due ore di vedetta e due di riposo. L’ultima notte gli Austriaci ci vedono e cominciano a sparare contro di noi, però senza colpirci. […] Dopo qualche ora arriva la 21° Compagnia a darci il cambio. Oggi siamo all’8 Maggio. Dopo il cambio, si camina su pel monte e alle 2 di notte arriviamo al posto destinato per noi, Dosso Alto, vicino al comando di Battaglione […] vicino a una trincea, in una forte linea di resistenza. Il giorno 9 abbiamo riposo, ma il 10 comincia la via crucis della courvé e il lavoro di scavare e impostare la trincea di resistenza. Il giorno 15 iniziò un bombardamento molto forte che continuò fino al 17 sera, momento in cui una granata mi arriva a pochi passi e per miracolo mi sono salvato; restai circondato dal fumo e me la cavai con un po’ di paura. Il 19 (maggio) si cambia di posto perché le granate ci bersagliavano un po’ troppo e avanti così fino al 2 giugno. Oggi si ritorna ai posti avanzati e ritorniamo ai ‘Caprioli’ ma non più al n° 3 ma vado al n° 5; questo è un posto molto comodo ma assai bersagliato. Il primo giorno passò molto bene, ma il secondo fu molto brutto. Dopo mezzogiorno comincia una grande fucileria e cannonate, sparano anche con le mitragliatrici, sul far della notte tutto termina, il silenzio si fa profondo. Così rimane fino al 10.

Oggi di nuovo c’è il cambio di Compagnia e noi alle tre di notte arriviamo sopra il Monte Milino. Rientro nella stessa baracca. Il 16 e 17 (giugno), marco visita per un forte mal di testa, poi i denti mi tormentano e mi gonfio la guancia sinistra. Il 19 la mia squadra viene comandata di andar al lavoro aggregata al Genio, questo per noi sarà una fortuna. […] La cima del monte si trova però in vista agli Austriaci, che cominciano a sparare delle cannonate; disgrazia volle che il povero Fachin Agostino si trovasse dove scoppiò una granata e fu completamente squarciato, la testa e un braccio staccati dal corpo, brandelli di carne ovunque; fa venire i brividi solo sentire la terribile morte di quel povero giovane. Chi è la colpa di questa disgrazia? I capricci dei signori Ufficiali, perché questo lavoro non era per la difesa della Patria, non era un lavoro utile, ma serviva solo per fare una specie di belvedere per i loro divertimenti. Tutto dipende dai nostri Ufficiali e le disgrazie succedono per la poca cura che loro hanno per i poveri soldati […]. Se qualche povero disgraziato dimostra di avere paura e cerca di nascondersi quando sente le cannonate, loro lo coprono di ingiurie e di parolacce e infine promettono anche delle bastonate. Ora voglio farmi una piccola memoria del trattamento che noi abbiamo dei nostri superiori. Prima di tutto devo dire che sono gente senza cuore e senza umanità, il motivo che pensano solo che per loro, e il povero soldato deve morire di fame e di sete. In che cosa consiste il nostro cibo giornaliero? Alle cinque del mattino una tazza di acqua calda che loro chiamano caffè, alle 11 c’è il brodo che si chiama acqua e sapone, con una misera razione di carne che non raggiunge i 100 grammi e una pagnotta; alla sera della pasta o del riso immangiabile e garantisco che un maiale farebbe fatica a mangiare, ma la fame è grande e tutto si mangia. Più volte si protesta, ma senza risultato. Si mangia bene solo quando c’è la visita del S. Colonnello […]. Gli Ufficiali mangiano bene in modo straordinario, non soltanto due pietanze ma tutto quello che a loro pare e piace […] come in grandi alberghi. Dormono in una baracca speciale con le loro brande, pagliericci e lenzuola, in una parola loro tengono tutta la loro comodità. Noi invece non siamo di carne umana uguali a loro, noi siamo tante bestie, tanti schiavi. Noi ci troviamo catastati in una baracca assai umida […]. Si dorme uno sopra l’altro, per materasso ci sono delle tavole, le prime ore della sera si dorme per la gran stanchezza ma poi si sente male da tutte le parti del corpo e non si trova più riposo. Non ci permettono neanche di cercare un po’ di fieno o di foglie. Poi c’è

Luoghi in cui Antonio Parmesan ha combattuto.

Ponte Caffaro (Brescia), vecchio confine tra Italia e Austria.

Storo (Trento).

Il castello di Breno.

30 > 31


1915

>

2015

C E N T ’A N N I D A L L A G R A N D E G U E R R A

«LE MEMORIE» DI

Antonio Parmesan

un’altra cosa che ci tormenta: sono i pidocchi. Questo è un tormento e si soffre giorno e notte non si può trovare un’ora di pace e di tranquillità […]. I nostri Ufficiali ci dicono di tenerci puliti, ma non c’è acqua, l’elemento più necessario. Il 24 giugno sera, alle 11, arriva l’ordine di armarsi e prendere tutte le munizioni e andiamo nelle trincee di resistenza, questo per esperimento per vedere in quanto tempo in caso di allarme si può essere pronti. La notte dal 29 al 30 mi trovo con altri tre compagni di guardia per vedere se dal comando di Reggimento facevano delle segnalazioni; alla mattina alle 4 giberne e fucile, di tutta corsa si parte. Anche questo per esperimento, perché poco dopo si rientra nella baracca. Oggi sento che a Castello dovevano giustiziare un caporale del 5° Battaglione. […] Nel fondo valle si vede un insolito movimento, si vede arrivare della truppa, poi dell’altra e dell’altra ancora, si vede dei soldati che portano un piccolo tavolo, che serve per il tribunale di guerra che dovrà giudicare e condannare quel poveretto. Subito dopo vedo quattro porta–feriti con una portantina e a pochi passi si vede l’imputato che lentamente avanza tra due carabinieri, vedendolo in lontananza sembra tranquillo e cammina con una certa franchezza, dietro a lui cammina il Capitano del Reggimento; poco dopo arrivano anche i Giudici, tutti Ufficiali della nostra Brigata. L’imputato si avvicina al tavolo. Il processo comincia e dura un’ora. Un Ufficiale legge la sentenza e lo condannano alla fucilazione alla schiena. Questa è una condanna infamante. Lo fanno entrare in una baracca e con lui entra anche il cappellano per confessarlo e prepararlo alla morte, lui però rifiuta ogni cosa, poi ritorna tra i soldati e Ufficiali. I carabinieri e il Cappellano lo conducono vicino a una sedia, lui agita le braccia e si vede che desidera parlare. Dopo averlo fatto sedere carabinieri e cappellano si ritirano lasciandolo solo, subito si sente una carica di fucilate: la giustizia era fatta, il medico lo visita constatando la morte. A questo punto tutti si allontanano, sul posto restano solo i 4 porta-feriti che con la barella portano quel misero corpo al posto dove era destinato per la sepoltura. Avendo visto tutte queste cose, passai il resto della giornata molto male, penso sempre a quel povero sventurato e alla di lui famiglia. È stato fucilato perché trovandosi comandante in un piccolo posto avanzato, abbandonò il posto per darsi prigioniero […].

Fino al 3 luglio nulla di straordinario mi succede. Alla sera di questo giorno si torna ai posti avanzati, si va a Quota 882, la mia squadra è destinata al posto n° 2, una posizione assai in vista ma non mi sembra tanto bersagliata dal nemico. Dalle 22 alle 24 mi trovo di vedetta; alle 23 comincia una grande fucileria, guardo attorno e vedo che vicino al paese di Breno brucia una casa; la notte è molto scura e fa ancor più paura. Il giorno 4 mi trovo ancora di vedetta […], ad un certo momento arriva il soldato Pereni, insieme dobbiamo provvedere a prendere l’acqua, ma è ancora troppo chiaro per non essere visti dagli Austriaci così il mio compagno mi consiglia di andare in un altro posto, in una casa dove c’è una fontana. Attraversiamo prati, il bosco […] e lui è sempre davanti a me. All’improvviso vedo alzarsi una fiamma di fuoco e sento un forte scoppio di una cannonata: era lo scoppio di una mina. Mi getto a terra e tutto attorno mi sento piombare dei grossi sassi; è stata una vera fortuna se non ne ho preso qualcuno sulla testa. Passato il pericolo cerco il mio compagno: lo vedo disteso sul prato. Temo di trovarlo morto e cerco di avvicinarmi e lo vedo con la testa coperta di sangue e di terra, non si muove e non dà nessun segno di vita. Poi vedo che non è morto ma ferito gravemente alla testa, lo sollevo da terra e lo carico sopra le spalle e di tutta corsa lo porto fino al primo posto di medicazione. Dopo medicato, io ritorno al mio piccolo posto e lui lo portano dal medico. Il giorno 7 (luglio) a sera tarda abbiamo il cambio: andiamo a quota 1001; qui si passa 4 giorni e si fa servizio di courvé. Il giorno 11 la mia Compagnia riceve il cambio e andiamo ad addestrarci vicino alle nuove trincee: continuamente lavoro e istruzione. In questi giorni si fa due punture antitifiche. Il 24 (luglio) c’è il cambio di Battaglione e la mia Compagnia viene assegnata al posto ‘Pantani’, si cammina per due ore col zaino sotto una terribile oscurità, arriviamo al posto assegnatoci e costruiamo una bella baracca e si dorme tranquillamente per il resto della notte. Il mattino del 25 trovo l’amico Fedele Zambon […], qui si deve stare molto bene perché abbiamo tante comodità. Vicino c’è un torrente, almeno si potrà fare un po’ di pulizia personale e si potrà lavare i nostri indumenti che da mesi non vedono acqua. Da quassù vedo altre baracche […]. Anche qui si continua la solita vita: istruzione dalle 6 alle 11 e lavoro dalle 14 alle 18. Il giorno 9 agosto si va ai posti avanzati e sono destinato al posto n. 3; anche qui si sta bene […].

[CONTINUA]

CURIOSITÀ DEL PRIMO ANNO DI GUERRA A Visinale del Judrio (piccola località nel Comune di Corno di Rosazzo, nei pressi del fiume Judrio) esiste un cippo con una lapide che ricorda il primo colpo sparato nella Grande Guerra nella notte tra il 23 e il 24 maggio 1915: la stele ha un valore simbolico più che storico per quanto riguarda la Prima Guerra mondiale perché, lo ricordiamo, il fronte andava dalla Lombardia al Carso: ma diverse sono le testimonianze in tal proposito. *** Il primo caduto della Grande guerra 1915-1918 è il friulano Riccardo Giusto: con il suo Reparto aveva il compito di occupare la Cima Natpriciar (Monte Natpricciana) davanti a Tolmino, ma alle ore 3,00, venne colto da fuoco nemico e cadde colpito alla testa. Lo ricorda una lapide posta il 4 novembre 1924 sulla casa della famiglia Giusto, che abitava nella periferia udinese: A Giusto Riccardo, Alpino dell’8° Reggimento, che a monte Natpricciana, nel nome santo d’Italia, per primo la giovinezza immolando battezzava col proprio sangue il cimento della virtù italica che Vittorio Veneto poi consacrava glorioso trionfo. Nel primo giorno di guerra altri giovani persero la vita. Tra i primi: l’alpino Valentino Del Bianco di Avasinis di Trasaghis morto alle 4,30 del mattino, in Val Dogna; Francesco Piccini, friulano di Codroipo e Giovanni Bionda, piemontese di Vanzone, morti all’alba del 24 maggio 1915. Relativamente alla nostra zona, i primi caduti furono Luigi Del Ben di Torre e il budoiese Panizzut Umberto morti il 3 giugno. SERGIO GENTILINI


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