testimonianze Affresco dipinto da un attendente di un ufficiale austriaco durante l’occupazione del 1917, in una delle stanze da letto nella casa di Luigi e Rosa Lacchin Tomè a Santa Lucia. Sullo sfondo sono rappresentate le nostre montagne.
1917, anno dell’invasione austro-ungarica e denso di eventi negativi. Testimonianze raccolte da Fabrizio Fucile.
Ricordi e racconti di guerra a casa Pol, Marin e Tomè Non lo so se oggi alla scuola elementare ci siano ancora il reverenziale rispetto ed il culto della memoria che ancora negli anni Settanta erano dedicati ai caduti della Prima Guerra mondiale. Fin dai primi giorni di scuola si era soliti preparare la Canzone del Piave che gli scolari avrebbero intonato in coro di fronte al monumento ai Caduti il giorno 4 novembre, all’epoca ancora festivo. Il calendario recitava Anniversario della Vittoria, ma era più un mesto momento di anime vinte che una celebrazione da vincitori. Maestri come Cencio Besa, Armando Del Maschio, Berto Sanson, nati proprio negli anni di quel conflitto, avevano particolarmente a cuore questa commemorazione e soprattutto lo studio della storia recente come insieme di sacrifici per l’unità nazionale, per la 7°
difesa dei valori democratici, per la pace e la costruzione di un popolo civile e ricco di umana solidarietà. Ma il mio primo incontro con la Grande Guerra non è stato a scuola e sulle pagine del sussidiario, bensì nei racconti che ne facevano in famiglia. Ettore Rizzo Pol, mio nonno materno, quando andavamo a riposare nei pomeriggi d’estate, era solito assecondare la mia poca voglia di dormire e più che le fiabe preferivo mi raccontasse della sua infanzia e del suo lavoro. Classe 1906, aveva già nove anni quando il Piave mormorava calmo e placido il passaggio dei primi fanti. Ricordava commosso il fratello, el pora Olivo, di dieci anni più grande di lui, che era partito per il fronte e da dove non era più ritornato. La casa e la stalla, dopo Caporetto, invase da austriaci, bosniaci e dai loro ca48 > 49
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la cronologia 1917 28 giugno Dopo la decima battaglia sull’Isonzo (12-28 maggio) e il contrattacco nemico presso l’Hermada appena contenuto, già Cadorna attacca sul Trentino: obiettivo il Monte Ortigara, che viene conquistato il 28, ma nella notte del 29 potenti attacchi ricacciano gli italiani dalle posizioni conquistate. La battaglia dell’Ortigara è un’altra tragedia: 3.068 morti, 16.280 feriti, 4.389 tra dispersi e prigionieri. 24 luglio A Parigi, ha luogo una riunione interalleata durante la quale il generale Cadorna chiede 400 cannoni e 10 divisioni. 1° agosto Il Papa Benedetto XV ha diffuso una nota in cui ricorda gli scopi del suo pontificato: perfetta imparzialità verso tutti i belligeranti; nessuna distinzione di nazionalità e di religione; missione pacificatrice inducendo popoli e governanti a una pace giusta e duratura. Ma l’appello del pontefice contro «l’inutile strage» è ignorato.
valli. Vantava qualche parola in tedesco, che aveva sentito pronunciare in quei giorni, e si addolciva in un sorriso quando gli sembrava di riassaporare lo zucchero e la marmellata allungati dai soldati a lui che era il più piccolo di casa; e questo zucchero stemperava il dolore della memoria. Altre suggestioni si aggiungevano con le parole di mia nonna Rosina Zambon Marin (1912), davvero piccola durante l’occupazione. Negli anni l’ho sempre sentita dire che de la prima guera avon patit la fan; de la seconda tanta paura. Tra le immagini rimaste impresse nei suoi occhi e nel suo cuore di bambina: la coperta su cui dormivano lei e i due fratelli, distesa sul duro pavimento in un angolo della cucina de la Checa, dove il padre Andholeto si era temporaneamente trasferito con moglie e figli per far fronte e arginare il carattere troppo aggressivo della madre e suocera. Mia bisnonna Gigia comprava spesso una renga per cena: ne faceva quattro parti per i figli1 e il marito, lasciando per lei la testa, che irrorata di abbondante aceto completava con la polenta il suo magro pasto. Ma anche la farina era diventata difficile da trovare: ecco che allora, insieme ad altre paesane erano partite da Dardago in gruppo per andare a la carità, spingendosi oltre il Meduna o il Tagliamento... Gigia raccontava sempre di aver passato un grun de aga, che arrivava loro alla vita, sicuramente un guado, da cui erano uscite fradice e provate. Quando facevo visita a me agna Rosa Tomè, nata Pol (1891) le immagini completavano le parole e davano loro una concretezza capace di portarmi in un viaggio all’indietro nel tempo. Andavo a trovarla soprattutto invitato dalla figlia Marianna:2 mi insegnava un po’ di francese, mi raccontava della Francia e di Milano dove erano vissute, mi parlava di arte e di letteratura. Come tutti i bambini, non ero sempre attento. Mi incuriosiva di più salire ai piani superiori della casa, per osservare le molte suppellettili da farmacia appartenute al marito di Angelina, la più piccola delle figlie di Rosa, conservate dentro una vetrina in soffitta, e poi rimanere incantato dentro una delle stanze letto, a guardare, dipinti sul muro esattamente cent’anni fa, quei soldati dell’affresco pubblicato sulla copertina di questo numero.
Per letture, formazione e curiosità personale, Marianna Lacchin Tomè (1912) aveva unito al ricordo anche una solida consapevolezza storica. Quando mi attardavo davanti all’affresco il racconto cominciava:3 Mio padre, poveretto, era a combatter per l’Italia, ma non sul Piave con gli altri. No: faceva parte del corpo di spedizione ai Dardanelli dove Winston Churchill, allora primo lord dell’Ammiragliato britannico, aveva concepito una manovra di alleggerimento del fronte francese. Vivevo con la mamma, Rosa Lacchin nata Rizzo, che aveva ventotto anni, e le sorelline. Io ero primogenita. Spesso la mamma andava a piedi fino a Sacile ed erano dieci chilometri buoni (gli austriaci avevano requisito bestie e carretti) per comprarci qualcosa da mangiare, barattando i vestiti di papà. Gli austriaci ci allungavano qualche zuccherino, certo poca cosa, ma per loro e per noialtre era moltissimo. Ricordo perfettamente il comandante e i suoi attendenti, uno ungherese e l’altro, credo dell’Austria di lingua tedesca. Si chiamavano Vicikan e Madaras – che diavolo ne so come si scrive – Io sbirciavo dalla nostra piccola porzione di casa e li scorgevo spesso, nascosti in un angolo del piòl, leccare fino a lucidarli i piatti svuotati dagli ufficiali. Fu uno di loro, un ufficiale
Gennaio 1916, ultima lettera dal fronte di Olivo, inviata alla sorella Rosa (e poi da lei conservata). A lato. Ritratto in studio (1915 ca.) di Olivo Rizzo Pol, secondogenito di Tita.
inferiore austro-ungarico di nazionalità italiana, che, Dio sa come, trovò l’estro espressivo in quei giorni di tragedia e prese a istoriare la stanza da letto trasformata in mensa. Oltre al comandante e agli attendenti, disegnò a colori anche certi ordini d’arcate che oggi mi assomigliano a Brera, in Milano, e ci ficcò sotto una teoria di personaggi di guerra rigorosamente polemici – nel senso di guerreschi – e vagamente umani. Mia madre, però, dopo la guerra ripristinò i letti e i materassi e decise d’imbiancare la parte degli archi. Grattando la pittura si libererebbe tutto l’affresco...». Quando ormai adulto Marianna mi consegnò le fotografie di famiglia Pol conservate dalla madre, tra queste c’era anche l’ultima lettera di Olivo, datata 13 gennaio 1916. La lettura di queste scarne righe è stato il più struggente momento di tutte le memorie: Salute ottima prima cosa, ciò spero che sarà di voi tutti. Però molto di rado vedo vostre nuove, però ormai sono abituato, così spero non starete male. Io qui niente mi manca, nemmeno la mia allegria mai mi scampa. Spero in breve aver vostre nuove e non voglio di più. Tanti saluti e baci a te e nipotine e a tutti di famiglia, tuo affettuosissimo fratello Olivo Rizzo. Addio.
Ogni volta che ce l’ho tra le mani e la rileggo non posso far mancare il ricordo e un requiem affettuoso per tutti coloro che lontani da casa, a volte dimenticati, hanno vissuto la difesa di patria e famiglia come un doveroso servizio. Il dono e il sacrificio della vita di ciascuno di essi – piccoli soldati ma uomini dal cuore coraggioso – devono essere sempre davanti ai nostri occhi. Per quei giovani militi, nostri cari o sconosciuti combattenti al loro fianco, sia vivo e consapevole il rispetto quando oggi parliamo di Italia, di repubblica, di democrazia, di onestà civile. FABRIZIO FUCILE
NOTE
1. I due fratelli maschi di Rosa erano Marino (1908) e Achille (1914). 2. Rosa Rizzo Pol sposò Luigi Lacchin Tomè (1883) da cui, oltre Marianna, ebbe Mercedes (1915), Dolores (1917) e Angela (1919) detta la Mora. 3. Ho riportato qui le parole dell’intervista fatta da Maurizio Bait, confluita nell’articolo Santa Lucia, la retroguardia degli artisti nella pubblicazione La storia dimenticata, 3, uscito su Il Gazzettino di Pordenone, 6 gennaio 2001.
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i nostri eroi
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Sante Aurelio Bocus Frith di Giuseppe e da Teresa Ianna nasce l’8 ottobre 1895, in Dardago. *** Viene arruolato, nel 40° Reggimento Fanteria che forma, con il 39°, la Brigata Bologna. È nominato caporale. La Brigata ha combattuto in tutte le battaglie dell’Isonzo. Il 12 maggio 1917, il Comando Supremo Italiano lancia la X° Battaglia, una delle più cruente. In uno scontro a fuoco, Sante rimane gravemente ferito. Muore il 20 maggio 1917.
55° Reggimento Fanteria che fa parte, con il 56°, della Brigata Marche. All’inizio della Guerra i due reggimenti vengono schierati in Cadore nelle valli del Boite e del Padola. Nell’ottobre del 1915 la Brigata viene trasferita dalle Dolomiti all’Isonzo, dove partecipa alla III e IV Battaglia dell’Isonzo con grandi perdite sia per i combattimenti che per l’epidemia di gastroenterite (che causò la morte di Antonio). Nel 1916 la Brigata si trasferisce per alcuni mesi in Albania. Nel viaggio di ritorno, la notte del 8 giugno, il 55° fanteria si trova imbarcato sul piroscafo Principe Umberto quando la nave viene affondata da un sottomarino austriaco: muoiono 1948 soldati, praticamente tutto il 55° fanteria. La Brigata partecipa alla varie battaglie sull’Isonzo e dal mese di novembre torna in alta montagna tra il passo del Tonale e la conca del Montozzo. In una di questa battaglie, Vincenzo viene fatto prigioniero e muore a causa di una malattia il primo maggio 1917.
ERRATA CORRIGE
La stessa foto è stata erroneamente attribuita a GioMaria Bocus Frith, a pagina 13. Ci scusiamo con i lettori.
Luigi Silvio Vettor di Fedele e di Elena Del Maschio nasce il 16 giugno 1884, in Dardago. *** Viene arruolato nel 115° Reggimento Fanteria della Brigata Treviso. Dopo aver combattuto sull’altipiano di Asiago, la Brigata viene spostata sul fronte orientale, partecipando a numerose e sanguinose battaglie sul Carso, nel 1916-1917. Per le forti perdite subite la Brigata Treviso viene addirittura sciolta l’11 novembre 1917. Qualche mese prima, il 27 maggio 1917, Luigi-Silvio muore per ferite riportate in combattimento.
Francesco Cecchelin di Eraclio e di Teresa Soldà nasce il 9 ottobre 1888, in Dardago.
Valentino Ianna Simon di Pietro e di Maddalena Zambon nasce il 6 novembre 1890, in Dardago.
Vincenzo Zambon Pinal Thampèla di Giovanni e di Domenica Zambon nasce il 6 giugno 1885 in Dardago, nel cortile del Vaticano. *** Viene arruolato, come il compaesano Antonio Zambon Momoleti (ved. p. 13), nel
*** È arruolato nel 227° Reggimento di Fanteria che forma la Brigata Rovigo con il 228° Reggimento. Nel 1916 e 1917, anche la Brigata Rovigo è impegnata sul fronte orientale partecipando alle varie battaglie dell’Isonzo. Iniziata la X battaglia, la «Rovigo» si porta nel Vallone di Doberdò e viene impegnata in numerosi scontri. In uno di questi, Valentino è ferito gravemente e portato alla 51a Sezione di Sanità, dove muore il 31 maggio 1917.
*** È arruolato nel 57° Reggimento di Fanteria che appartiene alla Brigata Abruzzi. Dopo aver operato sull’Altipiano dei Sette Comuni (1915), nel 1916 l’ «Abruzzi» è trasferita nei pressi di Cormons per partecipare alle varie battaglie sul Carso. Nel 1917, in vista dell’offensiva verso il Monte Santo e la cima del Monte San Gabriele (X battaglia dell’Isonzo) viene chiamata ad operare nella zona a sud di Grazigna, in una sanguinosa battaglia. Francesco viene dato per disperso in combattimento, il 28 maggio 1917. Il 14 agosto, in occasione di una visita del Presidente della Repubblica Francese Raymond Poincaré, le Bandiere dei reggimenti sono decorate con la Croce di guerra francese con palma.
DATE IL DENARO PER LA VITTORIA!
Enrico Angelin quintogenito di Angelo e di Lucia Carlon nasce il 3 agosto 1890 a Budoia, nelle case in via Lunga. Nubile. *** Nonostante avesse combattuto nella guerra di Libia dove rimase ferito a una gamba, fu nuovamente chiamato alle armi e arruolato nel 259° Regg. Fanteria della Brigata Murge, costituita oltre che dal 259° anche dal 260°, formata il 26 febbraio 1917 da battaglioni delle brigate Toscana, Bergamo, Salerno, Acqui, Barletta e Catanzaro. All’offensiva di primavera la giovane brigata partecipa, pagando con
largo tributo di sangue, il suo battesimo del fuoco. Essa è dapprima destinata, quale riserva del VII Corpo d’Armata, nella zona di Selz, una frazione di Ronchi, ove si schiera col 259° ad ovest della strada Selz-Doberdò, all’altezza delle cave, e col 260° nelle trincee ad est di detta strada (QQ. 45-65-70). Il 23 maggio, il 259°, posto alla dipendenza della 45ª divisione, si trasferisce ad est di Monfalcone, sistemandosi nelle caverne di q. 85. Le perdite subite dalla «Murge» in pochi giorni di lotta – dal 23 al 30 maggio 1917 – ammontano a 67 ufficiali, compreso il comandante della Brigata, il Maggiore Generale Alessandro Ricordi, e a 1826 uomini di truppa, fra i quali il nostro giovane Enrico considerato disperso in combattimento sul Monte Santo, il 25 maggio 1917, all’età di 26 anni. Sua madre, che ebbe due figli impegnati contemporaneamente sul fronte bellico, oltre a Enrico anche il giovanissimo Cipriano, visse nel dolore per la sua intera esistenza, sperando di ricevere almeno la piastrina di riconoscimento del suo amatissimo e sfortunato figlio, come ricorda la nipote Enrichetta. La speranza fu vana.
Nel 1921, la madre Lucia ricevette soltanto l’attestato di concessione, alla memoria, della medaglia istituita a ricordo della guerra.
La propaganda ha come obiettivo l’orientamento, l’induzione o la diffusione di comportamenti sociali predeterminati. L’utilizzo della propaganda come strumento di guerra si diffonde e migliora negli anni, cambiando tecniche e linguaggio pubblicitario: dall’iniziale utilizzo della parola scritta alla scelta d’immagini efficaci accostate ad altrettanto incisive didascalie che ne decodificano il messaggio. Uno dei mezzi più utilizzati dalla propaganda furono le cartoline, stampate da editori privati e da Enti, Comitati, Ditte per devolvere il ricavato delle vendite a opere assistenziali a favore dei soldati. A questa produzione si affiancò quella altrettanto numerosa di cartoline edite dagli istituti di credito per propagandare i prestiti di guerra il cui lancio, era affidato pure ai giornali e, più ancora, ai manifesti.
Alcune immagini di propaganda dalla collezione di Fortunato Rui.
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Un forte trambusto nel cortile: un drappello di soldati austriaci urlanti in sella ad enormi cavalli.
Venezia 1896. La famiglia di nonna Giovanna Colùs. Pietro Zambon Colùs con la moglie Regina Fagarazzi (originaria dell’Alpago), il figlio Eugenio (che morirà in guerra nel marzo del 1916 nei pressi di Caporetto) e la figlia Giovanna, protagonista dell’episodio narrato. A Venezia, la famiglia possedeva una lavanderia. Inoltre mamma Regina, quando si trovava a Dardago, spesso svolgeva mansioni para-sanitarie presso le famiglie del paese.
Nonna Giovanna Colussa... una roccia Sono Arnaldo Busetti Caporàl e vi racconto un episodio accaduto a mia nonna Giovanna Zambon Colùs in Busetti, nata il 18 dicembre 1883, sposata con Marco Busetti Caporàl, nato il 5 ottobre 1876. *** All’inizio della Prima Guerra Mondiale nonno Marco fu reclutato come geniere riservista. Partì per il fronte lasciando la moglie ad occuparsi della casa, dei campi, della stalla e dei sette figli, il più grande dei quali era Giovanni nato nel 1904 (mio padre Eugenio nascerà il 23 ottobre 1916). Dopo la disfatta di Caporetto tra il 24 e il 27 ottobre 1917 le truppe austriache invasero il Friuli occupando le zone pedemontane per poi essere fermati sul Piave. Nonna Giovanna ci ha raccontato che una sera di fine ottobre 1917 fu svegliata da un forte trambusto nel cortile di casa. Sotto una pioggia battente, scese dalla scala esterna e si trovò davanti un drappello di soldati austriaci urlanti in sella ad enormi cavalli. Senza capire una parola di quanto stavano urlando, li vide entrare nella stalla dove si trovavano tutti i beni della famiglia: due mucche, una manza, un asino, tre pecore e due capre. I soldati austriaci, senza perdere tempo, sciolsero le povere bestie e le spinsero all’esterno per fare entrare i loro cavalli, sfamarli e farli asciugare. Mia nonna con mio padre in braccio e zio Mario di 2 anni attaccato alle «cotole», Pietro di 6 anni,
Caterina di 7, Rita di 9, Gilda di 11 e Giovanni di 13 anni riuscirono, sotto la pioggia, a radunare gli animali e a tenerli fermi fino al mattino seguente. Gli austriaci, dopo essersi rifocillati con quello che avevano trovato nella dispensa (non molto credo) ed essersi riposati, alle prime luci dell’alba ripartirono.
La numerosa famiglia quasi
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La nonna diceva che furono quasi gentili con lei e con i bambini e non fecero alcun danno. Lei e i figli, dopo la partenza dei soldati, riportarono le bestie in stalla e, nonostante il grande spavento, tutto tornò come prima. Finita la guerra tornò nonno Marco che riprese il lavoro di scalpellino e per molti anni, assieme ad un nutrito numero di dardaghesi, si recò in Carinzia, Ungheria e Romania, luoghi da cui provenivano quei soldati che erano nemici durante la guerra. Dopo il 1918 i miei nonni ebbero altri quattro figli: Alfredo, Cecilia, Marcello e Resi. Passati alcuni anni, con l’avvento del fascismo, ci furono altri periodi difficili e durante la Seconda Guerra Mondiale la nonna aveva cinque figli e due generi al fronte, senza avere nessuna notizia per lunghi periodi, ma per fortuna tornarono tutti a casa illesi. In quegli anni, molte donne dei nostri paesi si trovarono nella stessa situazione di mia nonna. Noi, che non abbiamo mai subìto le privazioni e le paure dei periodi di guerra, dobbiamo essere orgogliosi di avere avuto queste donne così forti come mamme o nonne. Nonna Giovanna riposa con nonno Marco nel cimitero di Dardago e sopra la loro tomba i figli hanno voluto mettere una croda dell’Artugna. Io da giovane pensavo fosse solo una decorazione, ora mi rendo sempre più conto di quanto mia nonna somigliasse a quella roccia. ARNALDO BUSETTI CAPORàL
al completo Dardago 1952. Giovanna Zambon Colùs e Marco Busetti Caporàl con i figli nel giorno delle «nozze d’oro». Da sinistra: Resi, Marcello, Cecilia, Alfredo (nati dopo il conflitto mondiale), a seguire Eugenio, Mario, Rita, Gilda e Giovanni. Questi ultimi, insieme alla loro mamma Giovanna, furono testimoni dell’intrusione austriaca. Nella foto mancano Pietro e Caterina, i due figli nel frattempo deceduti, anch’essi presenti in quella «notte» di fine ottobre del 1917.
«LE MEMORIE» DI
Antonio Parmesan Il 6 aprile 1917, si parte per Sagrado. Oggi siamo di Venerdì Santo. Il Sabato Santo abbiamo riposo così pure il giorno di Pasqua. Sagrado si trova quasi distrutta dalla guerra, ma i nostri bravi soldati lavorano per ricostruirla. Anche la chiesa è riparata così oggi, giorno di Pasqua, posso assistere alla Santa Messa; nella chiesa vedo un gran numero di Ufficiali, i soldati devono restare fino fuori delle porte; tutti pregano il buon Gesù oggi risuscitato, invocando la pace e la vittoria delle armi italiane. Il giorno seguente si va al lavoro sul Monte San Martino per ricostruire una trincea quasi distrutta da un bombardamento austriaco. Coperti da poca terra, troviamo dei morti che diamo degna sepoltura nel cimitero militare di Sagrado. Si lavora fino il giorno 12 e poi si ritorna a Santa Maria La Longa. Qui trovo mio padre e con lui trascorro alcune ore. In paese trovo soldati del 1° e 2° fanteria e in questa brigata c’è anche mio cognato Angelo e molti altri miei paesani che sono accampati a Bicinicco. Dopo il secondo rancio vado in questo paese e trovo sia l’amico Giovanni Angelin, fratello del mio compare, sia mio cognato e insieme andiamo in un’osteria, affollata di soldati [...]. Il 27 aprile si parte per Castillo (?), non è un paese ma una grande tenuta di un gran signore. C’è un vecchio palazzo e poche case coloniche occupate da contadini e poco lontano passa la linea ferroviaria dove transitano tanti treni carichi di soldati. Forse è in procinto qualche chiamata di guerra? Attendiamo di ora in ora la nostra partenza. Nel frattempo arriva un nuovo capitano[...]. Il 6 maggio alle 6 di sera, dopo una lunga marcia arriviamo a Corno di Rosazzo per esercitazioni. Il 14 sera come sempre andiamo alle nostre tende per dormire, alle 10 all’improvviso le trombe suonano l’allarme, in pochissimi minuti si levano le tende e pronti con lo zaino in spalla siamo in marcia e via fino a San Martino di Quisca dove arriviamo alle 5 di mattina. Il 15 maggio, di nuovo si parte dopo aver camminato tutta la notte e alle 4 entriamo nelle baracche
San Martino di Quisca. Località situata nella parte centrale del Collio sloveno a pochi chilometri dall’attuale confine italiano.
Un momento delle operazioni belliche.
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TRINCEA
Parco della Pace di Monte Sabotino.
di Marmorie, ai piedi dell’insanguinato Monte Sabotino. Molti vecchi soldati ricordano le giornate di sangue che passarono sopra questo storico monte e i tanti morti. Il giorno dopo si parte nuovamente sotto le cannonate nemiche. Il mio plotone è senza ufficiale e ci guida il sergente maggiore Federico Landro, mio grande amico, che mi nomina porta–ordini. Con lui arriviamo a Salcano, un paese ai piedi del Monte Santo le cui case sono rase al suolo. Entriamo in una galleria, da dove non si può sporgere la testa perché da tutte le parti il nemico ci vede e spara grosse cannonate. [...] Per 15 giorni restiamo lì e facciamo il servizio di corvè per portare il cibo e tutto il necessario alle altre compagnie del Battaglione che si trovano in prima linea sul Monte Santa Caterina. Il servizio è molto faticoso e pericoloso [...]. Arriva il nuovo Capitano, ma non si sente mai la sua voce. Di fronte a noi vediamo Gorizia e il Monte San Marco, un posto che tutti i giorni lottano tra la vita e la morte, anche il Monte Santo si trova sotto una continua battaglia, ma i nostri non possono conquistarlo. [...] Il 2 giugno abbiamo il cambio e si parte per San Floriano; il capitano si trova a cavallo di un mulo e se qualche povero soldato non si sente di continuare la lunga marcia viene da lui frustato [...] è un barbaro uomo, ma il tenente comandante del plotone prende le difese e lo denuncia al superiore e da quel momento il capitano non lo si vede più. [...] Si continua per Manzano e trovo mio cugino Angelo Rigo detto Barisel [...] e per Cormons e mentre montiamo le tende trovo il mio amico Domenico Lachin che si trova in cucina.
Il 14 giugno i nostri superiori vedono che qui si sta molto male per il terreno troppo fangoso e andiamo a piantare le tende sopra le colline di Capriva cui sembra di trovarci in paradiso [...] Il 17 mattina mi trovo di guardia e sopra l’accampamento abbiamo la poco gradita visita di una squadriglia di aeroplani nemici, per fortuna le loro bombe non feriscono nessuno. Il 26 giugno mi cerca Giovanni Panizzutti detto Gandin di Budoia, figurarsi la contentezza e andiamo in cantina [...]. Il 9 luglio leviamo le tende perché si deve andare in prima linea [...], si arriva a San Martino di Quisca per una tappa, si riparte per Plava e da qui diretamente in prima linea sul pendio del Monte Cucco; arriviamo in trincea [...] e mi scavo una tana per ripararmi dalla pioggia che cade forte. Il 14 vedo avicinarsi un porta–ordini con un biglietto, questo mi dice di portare tutta la mia roba nel comando di compagnia che si trova a pochi passi da me e che poi sarei partito per la licenza...mi sembra di sognare [...] Arrivato a Sacile, fuori della stazione mi fermo per vedere se arriva qualche altro che vada in licenza in qualche paese vicino a Dardago per aver compagnia durante la strada, nessuno vedo e cammino per la via ferroviaria che si trova in costruzione e arrivo fino a pochi passi da Santa Lucia [...], riprendo il camino e arrivo alle due del mattino a casa. [...] vedo i miei due bambini, Rosina e Cecchi che dormono tranquilamente [...] sento piacere per averli trovati in ottima salute. [...] I 15 giorni di licenza passarono molto presto [...] e il 5 agosto riparto [...]; dal finestrino mando i ultimi saluti a mia moglie [...] e vado dove ti aspetta la morte di minuto in minuto. [...]. il mattino del 6 si parte per raggiungere il carreggio del nostro Reggimento e ci fermiamo la notte. [...] L’8 sera, posso raggiungere la mia compagnia che si trova sopra il Monte Cucco; nelle trincee di resistenza trovo tutti i miei compagni contenti pel mio ritorno, io pure mi sento contento di averli rivisti.
12 agosto 2012
Pensiero e parole non bastano Eufemismo vita in trincea! Intanato nel fango ed escrementi, Era tragedia e disperazione Fame, sete e bombe! Ammirato e osannato Il Vate da lontano disse: «Dal suo altare del dio della guerra...» La trincea è una tana Che sa da fogna e da sepolcro! Solo al pensiero la mano trema Il ricordo vacilla Barriera di sassi o cadaveri Ricordo di Fritz Weber: «Senza nemici solo i vermi» «Guerra virile» dice il Generale. Prima fratelli, in trincea nemici «Devi difendere la Patria dall’orso invasore!» Così dicono regnanti e governanti «Dio è con noi!» e il cappellano benedice Morti, feriti, sfregiati, ridotti a mostri, Insigniti da eroi con famiglie disperate! Perché non ricordare? Fermatevi! Se vi riesce, pregate! ANGELO PISU
[CONTINUA]