Cent'anni dalla grande guerra (8)

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L’A N N O D E L L’ I N VA S I O N E

1917, l’inizio dell’occupazione nemica Erano gli ultimi giorni di ottobre e i primissimi di novembre del 1917 e nei nostri paesi circolavano voci di un’imminente invasione nemica. Si vedevano già passare lungo le vie le nostre truppe, in parte disarmate, con gli autocarri in fuga verso il Piave, e i profughi provenienti dai paesi del resto del Friuli oramai invaso dal nemico, diretti soprattutto in Toscana (35.000), in Lombardia (21.000), nell’Emilia (20.000), in Piemonte (12.000), in Liguria (8.000), e nel vicino Veneto (6.000), ma anche nel Lazio e in Campania (5.000),1 lasciando alle spalle fatiche, stati d’animo e ricordi. Portavano con loro impresse nella memoria scene strazianti di tanti cadaveri, lacerati dalle granate nemiche o allineati e coperti di fango, infilzati con le baionette o sdraiati con la bocca spalancata per i polmoni intasati di gas, o, ancora peggio, fucilati per punizione dopo la disfatta di Caporetto. Si trattava di un enorme movimento che coinvolgeva centinaia e migliaia di persone tra soldati e profughi. All’alba del 5 novembre, il 2° Reggimento Bersaglieri, in collegamento con il 50° e il 227° Fanteria, ripiegò da Sequals verso Polcenigo, mentre il giorno seguente, «alle ore 5 il Reggimento Savoia Cavalleria partì da Aviano per concorrere con il resto della 3a Divisione di cavalleria alla protezione sul fianco sinistro delle due Divisioni di Fanteria che scendevano dalla Carnia. Per Castello d’Aviano, Santa Lucia di Budoia, si portò a San Giovanni di Mezzo».2 Nel frattempo le truppe nemiche erano oramai alle spalle, dirette a raggiungere il Piave e a sfondarne le linee. I Colli di Santa Lucia e in particolare la zona di Polcenigo furono protagonisti di un’importante operazione di retroguardia, una delle ultime battaglie dopo la ritirata di Caporetto, determi8°

Tra i soldati tedeschi e austro-ungarici vennero diffusi i primi volantini informativi plurilingui (Archivio storico Giovanni Bufalo).

nante per la buona riuscita del ripiegamento italiano, soprattutto della 4° Armata che si stava ritirando dal Cadore. Vennero utilizzate, per la prima volta massicciamente, anche le autoblindomitragliatrici. La posizione fu attaccata dalle truppe avversarie, arrestate prima dal fuoco e poi da un contrattacco operato da un reparto dei Bersaglieri. Esaurite le munizioni e, avendo il nemico sfondato le ali, il battaglione fu costretto a portarsi sempre combattendo sul costone ad occidente 56 > 57


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la cronologia 1917 17 agosto Inizia l’undicesima violenta battaglia dell’Isonzo (17-31 agosto), che vede la conquista di località e quote come l’Altopiano della Bainsizza e il Monte Santo, divenute tristemente famose nella drammatica contabilità della guerra. 29 agosto Il generale Cadorna ordina di sospendere le operazioni con l’implicita rinuncia alla ripresa offensiva sul Carso. 24 ottobre Ha inizio la dodicesima grande battaglia dell’Isonzo (24 ottobre - 7 novembre), meglio conosciuta come ‘Battaglia di Caporetto’, dalla Bainsizza al Carso, con la conseguente dolorosa disfatta e ritirata (31.000 tra morti e feriti, 300.000 cadono prigionieri, 300.000 finiscono sbandati). Gli austro-tedeschi sfondano le linee tenute dalle truppe italiane che, impreparate a una guerra difensiva e, già duramente provate dalle precedenti undici battaglie dell’Isonzo, non reggono all’urto. 27 ottobre La disfatta sul fronte orientale è totale e inizia la ritirata. Cadorna ordina di ripiegare sul Tagliamento.

[segue a pagina 62]

Tracce dei due passaggi utilizzati dalla truppa, in via Anzolet e in via Casale.

Cartina rappresentante i tragici momenti del ripiegamento dopo la Battaglia di Caporetto. Le posizioni italiane alle ore 12 del 27 ottobre 1917, sono indicate dal tratteggio; le posizioni tenute dai gruppi Etna e Ferrero sono indicate con la linea nera; la freccia indica il punto di sfondamento nei pressi del Torre (tratta da Enciclopedia monografica del Friuli Venezia Giulia, Udine, 1978).

della Santissima e ad impegnarsi in una disperata lotta corpo a corpo. Si costruirono trincee sulle colline e si fece esplodere il ponte sulla Livenza per rallentare l’avanzata nemica. A Budoia, si aprirono dei varchi nei muri di cinta delle proprietà private per permettere fughe più celeri alla truppa, evitando il normale per-

corso delle vie; alcune tracce sono ancora visibili in via Anzolet e in via Casale, nella Centa dei Tres. I passaggi percorrevano trasversalmente il paese e raggiungevano in un baleno i Colli di Santa Lucia, penetrando nei cortili e lungo il vicolo sul retro della chiesa per poi proseguire attraverso gli orti dei Panizzut e dei Sanson, superando l’attuale via Stefani e raggiungendo la Cialata.3 Furono requisite alcune case, per essere trasformate in sedi di comando militare nemico, tra cui le case de Masoneta,4 alle Crositole, e dei Carlon Burgana,5 in centro di Budoia. Da quel momento e per un lunghissimo anno lo stanziarsi dell’orda nemica sconquassò il normale ritmo quotidiano delle nostre popolazioni, costrette a soffrire la fame, perché le botteghe furono immediatamente depredate e devastate, e umiliate a lavorare per mantenere il nemico. Il diario di don Romano Zambon, pievano di Dardago, ci offre alcune informazioni relative al primo periodo dell’occupazione. Sappiamo che domenica 1 novembre, festa di Ognissanti, «molti soldati italiani si trovavano in paese. Alla sera non si andò al cimitero stante l’avvenimento della guerra» Don Romano, il 3 novembre annotò: «Giornata spaventosa», e la domenica 4: «Giornata terribile». Molti profughi dovettero fermarsi nei nostri


lettere dal fronte

paesi, perché la repentina invasione austro ungarica fu più veloce di loro. A Dardago, i profughi e le truppe nemiche arrivarono quasi contemporaneamente nei primissimi giorni di novembre. Domenica 11, si celebrò solo una messa letta, «pro populo» a porte chiuse. Celebrarono anche due parroci profughi: don Luigi Rossi di Comeglians e don Pietro Cozzi di Pielungo. Nell’annotazione è citata, come originaria di Pielungo e profuga, anche la famiglia del prof. Querini. I due sacerdoti si fermarono a Dardago e celebrarono la Santa Messa fino a lunedì 26 novembre. Alcuni giorni prima di Natale, il 20 dicembre, «entrarono nel paese nuove truppe austriache e due tenenti presero alloggio in canonica». Per allentare la tensione, la domenica successiva, antivigilia di Natale, la banda (austriaca?) suonò per la popolazione. Ma la tensione rimase alta. Fu un Natale che don Romano descrisse in questo modo: 24 dicembre. Giornata orribile. Neve, freddo; suicidio di J.R.– Botte date dai germanici a Momoletti Geremia, a Bocus Lorenzo, a Basso Osvaldo ed a Pellegrini Angelo. Non si cantò la messa a mezzanotte. 25. Prima messa letta pei soldati e partiti al di là del Piave dardaghesi. Non ebbe luogo la messa di mezzanotte, né alcun discorso, stante la guerra ed i molti soldati in paese. Il 1917 si chiudeva nel peggiore dei modi. Don Romano nella Messa domenicale del 30 dicembre durante la predica rivolse ai fedeli «alcune parole di conforto eccitando tutti a non desistere dall’amare il Signore anche in mezzo ai dolori».

Dagli archivi privati...

Cartolina postale inviata da Francesco Basso alla sorella Ermellina (proprietà famiglia Basso).

[CONTINUA] NOTE

1. G. PIETRA, Gli esodi in Italia durante la guerra mondiale (191518), Roma 1935. 2. Le glorie dei Cavalieri d’Italia, compilarono P. PEZZI – SIRONI, E. RAVAGNATI – LARGHINI, sotto gli auspici dell’Associazione dell’Arma di Cavalleria, Milano 1925. 3. Testimonianze di persone che vissero la prima Guerra, raccolte negli anni ‘60-’70 del Novecento. 4. Informazione di Carlo Carlon. Si trattava della casa dei nonni paterni. 5. Testimonianza di Marianna Carlon, nata nel 1914, vivente. Cfr. inserto n. 138.

Cartolina postale datata 19 ottobre 1917 scritta dal fronte e inviata dal soldato Giuseppe Angelin al fratello Valentino (proprietà Luciano Angelin).

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i nostri eroi

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Luigi Zambon Pala

Domenico Carlon

quintogenito di Giobatta e di Caterina Janna, nasce il 14 marzo 1892, in Dardago.

primogenito di Angelo di Domenico e di Anna Signora, nasce il 24 agosto 1891, in Budoia nelle case di via Lunga inferiore.

*** È arruolato nell’8° Reggimento Alpini, Battaglione Tolmezzo. Luigi cessava di vivere, munito dei SS. mi Sacramenti, nell’Ospedale da guerra 52, il 16 settembre 1917, all’età di 25 anni. Era stato ferito alla spina dorsale da una granata nemica, il 4 settembre sul Pal Piccolo. «La sua salma fu religiosamente tumulata in un cimitero da campo, coll’assistenza del suo Cappellano», così annotava don Romano nel registro dei Morti.

*** È arruolato come soldato semplice nel 2° Reggimento Bersaglieri. Il 26 ottobre 1917, la parte che rimane del 2° Reggimento Bersaglieri occupa la posizione di Monte Jauer, insieme alla brigata Friuli, e rimane a contatto col nemico fino al 28; il giorno successivo, ripiega su Nimis e Fornace. Transitando per il ponte di Cornino, si sposta a Flagogna, a Castelnovo; il 30, è a

Vincenzo Parmesan quintogenito e unico figlio maschio di Giuseppe e di Vincenza Rigo, nasce il 21 ottobre 1897, in Dardago. *** È arruolato come caporale maggiore nel 254° Reggimento Fanteria che con il 253° forma la Brigata «Porto Maurizio». Muore in combattimento a soli 19 anni, il 28 agosto 1917, nel Medio Isonzo. Il giorno 28 agosto, dopo un’efficace preparazione di artiglieria e di bombarde, con ammirevole slancio i battaglioni della brigata muovono all’attacco delle ben difese posizioni nemiche di quota 193. Il 254°, per ordine ricevuto, s’incastra fra quota 174 ed il costone degli Ovuli, avanza a mezza costa del costone di quota 174. Il nemico è più tenace che mai; alle ore 15, inizia un furioso tiro di artiglieria sulle posizioni occupate per costringere i nostri alla ritirata. Il colonnello comandante del 254° è ferito a morte. Tra il 28 e il 29 agosto la Brigata perde 54 ufficiali e 1050 uomini di truppa.

Giovanni Rizzo primogenito di Vincenzo e di Santa Del Maschio, nasce a Santa Lucia, il 19 settembre 1881. *** Fu arruolato in qualità di sergente nel 115° Reggimento Fanteria. Muore il 4 settembre 1917 per le ferite riportate in combattimento, sul Monte San Gabriele.

Fanna e a Colle. Il 2 novembre 1917, con elementi del 9° Bersaglieri, si costituisce un battaglione provvisorio (33a divisione), che concorre alla difesa della testa del ponte del Meduna. La sera del 3 novembre è schierato sulle colline di Sequals, ove combatte per l’intera notte. Riceve ordine di ripiegare verso Polcenigo, all’alba del 5, disponendosi sulla sinistra della Livenza a sbarramento della strada di Polcenigo, in collegamento con il 50° e 227° Fanteria. Durante le prime ore del giorno seguente la posizione è attaccata da truppe avversarie, arrestate prima dal fuoco e poi da un contrattacco operato da un reparto del battaglione. Esaurite le munizioni e avendo il nemico sfondato le ali, il battaglione è costretto a portarsi combattendo sul costone ad occidente della borgata della Santissima e ad impegnare ivi una lotta corpo a corpo. I pochi superstiti dopo aver ripiegato su Sarone e Conegliano, il 27 novembre si riuniscono al comando del Reggimento che, nel frattempo ivi si era portato col suo nucleo principale, dal 3 novembre per Aviano, Sacile, San Michele delle Badesse a San Pietro di Morubio. Il ‘nostro’ Domenico muore il 26 novembre 1917 dai gas asfissianti, nella 17ma sezione Sanità.


resistenze svolte sul costone Cicer Vas – Sabink, al ponte di Auzza e sul Torre raggiunge il Piave ove si riunisce al grosso della 13a divisione, alla cui dipendenza è intanto ripassata. L’11 novembre la brigata, assegnata alla 67a divisione, stremata di forza e ridotta di numero per le ingenti perdite, è sciolta. Muore il 26 novembre 1917 dai gas asfissianti nella 17ma sezione Sanità, anche lui come il cugino Domenico.

Per la sua condotta, che costa la perdita di quasi 1650 soldati, viene citata sul Bollettino di guerra del Comando Supremo del 25 agosto.

Filippo Carlon

Luigi Zambon Sclofa

figlio di Pietro di Domenico e di Maria Zambon e cugino di Domenico (cfr. accanto a sinistra), nasce il 26 (il 18, per l’Albo d’Oro!) dicembre 1894, nelle case di via Lunga inferiore, in Budoia. Di professione contadino.

secondogenito di Giuseppe e di Maddalena Zambon, nasce il 26 Agosto 1879, in Dardago.

*** Filippo è arruolato in qualità di sergente nel 116° Reggimento Fanteria, Brigata Treviso, la quale l’11 ottobre 1917 è inviata nella zona Zapotak – S. Jakob ed il 15 è schierata nella valle dell’Isonzo fra Krestenica – Gorenje Vas – Anhovo. Iniziatosi il ripiegamento, la «Treviso», dopo successive

Estratto dell’atto di morte del sergente Giovanni Rizzo, emesso dal Ministero dell’Assistenza Militare il 10 aprile 1919.

Giovanni Del Maschio Besut di Giuseppe di Domenico e di Vincenza Signora, nasce l’11 febbraio 1897, in Budoia.

Domenico Besa primogenito di Giuseppe e di Orsola Gislon, nasce l’8 dicembre 1895, a Santa Lucia.

*** È arruolato nel 2° Reggimento Artiglieria Campagna. Il giovane Giovanni muore a vent’anni, il primo ottobre 1917, sul Monte Nero, disperso in combattimento.

*** È arruolato nel 253° Reggimento Fanteria. Muore nell’ospedale da campo 245, il 28 settembre 1917 di setticemia per le ferite alla gamba destra, riportate in combattimento. La sua salma venne religiosamente tumulata nel cimitero da campo. Il 253° apparteneva alla Brigata «Porto Maurizio» (vedi Vincenzo Parmesan).

*** Arruolato nel 4° Reggimento Artiglieria Campagna. Muore all’età di ventuno anni il 6 ottobre 1917 per le ferite riportate in combattimento, nella 36ma Sezione Sanità.

Alberto Fort di Santo e di Luigia Del Maso (?) nasce a Venezia, il 26 dicembre 1897, da padre originario di Santa Lucia. *** Arruolato in qualità di caporale nella 1297a Compagnia Mitraglieri, 259 o 260° Reggimento Fanteria, Brigata Murge. A diciannove anni è disperso nel campo di combattimento, il 22 agosto 1917. Nell’estate del 1917 la «Murge» è operativa nel settore del Flondar un’altura vicino Brestovizza in Valle. Tra il 19 ed il 22 agosto durante l’offensiva della XI battaglia dell’Isonzo, riesce a strappare con alcuni suoi reparti quota 175 al nemico.

Felice Soldà

Sebastiano Zambon

sesto e ultimo figlio di Giacomo e di Angela Busetti, nasce il 19 giugno 1894, a Santa Lucia.

figlio di Luigi e di Maddalena Longon, nato il 5 gennaio 1898, a Dardago.

*** È arruolato nella 707a Compagnia Mitraglieri, in qualità di Caporal Maggiore. Muore il 4 settembre 1917, per le ferite riportate in combattimento, nel Medio Isonzo.

*** È arruolato nel 2° Reggimento Granatieri. Il giovanissimo Sebastiano muore all’età di 19 anni, il 18 novembre 1917, per malattia, a Budoia.

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la cronologia 1917 29-30 ottobre In piena offensiva nemica si sviluppa la Battaglia di Pozzuolo del Friuli: l’eroica resistenza della cavalleria favorisce la ritirata. I soldati italiani cedono solo quando non hanno più munizioni. 1° novembre Tutte le unità in ripiegamento si trovano sulla destra del Tagliamento. Le perdite italiane non potranno mai essere calcolate con esattezza, si parla di 10.000 morti. Una nuova linea difensiva è istituita lungo Piave – Monte Grappa – Altopiano Asiago. 2-3 novembre I Comitati di salute pubblica e un Alto commissariato soccorrono i profughi dei paesi invasi (più di mezzo milione, più 80.000 irredenti rifugiati in Veneto; quasi un milione durante l’intera guerra). 5 novembre Si svolgono combattimenti di retroguardia a Polcenigo sul fiume Livenza, mentre sul Piave viene organizzata la linea di difesa definitiva. 9 novembre Il generale Cadorna lancia l’ultimo appello alle truppe: «La ritirata è conclusa. Su questo fiume Piave si devono difendere l’onore e la vita della Patria». Verrà sostituito dal generale Diaz, capo di stato maggiore e comandante supremo. 9-26 novembre I soldati italiani combattono e vincono sul Piave: sono le giornate forse più gloriose di tutta la guerra. 14 dicembre Dichiarazione di guerra degli USA all’Austria. 15 dicembre Armistizio tra Russia e Imperi centrali.

«LE MEMORIE» DI

Antonio Parmesan

Il giorno 10 agosto 1917, si parte per Plava e lungo una mulattiera arriviamo sul Monte Corrado [...]. Il 19, andiamo verso il monte Cucco, veniamo ricoverati in certi ripari che sembrano piazzole di grossa artiglieria. Il giorno seguente, andiamo dove, la sera precedente, il 33° Fanteria ha dovuto ritirarsi senza poter raccogliere i suoi poveri morti. Il 21, alle 2 del mattino, [...] scendiamo lungo un bosco e arrivati in fondo al vallone troviamo altri morti del 33mo e molti altri di altri reggimenti. Molti si trovano in avanzata putrefazione e il loro odore fa mancare il respiro; cerchiamo di passare tra quei poveri cadaveri ma si deve correre in furia, perché il camminamento è molto bersagliato da una mitragliatrice nemica [...]. L’artiglieria continua il terribile bombardamento; vediamo poco lontano da noi che le trincee e i retticolati nemici saltano in aria, però di tratto in tratto si sente che gli austriaci rispondono con delle fucilate e con terribili scariche di mitragliatrice. Alle 6 di sera arriva l’ordine di dare l’assalto alle trincee nemiche; io con la mia squadra fui aggregato per portare le munizioni; si ritorna in un camminamento e si deve distendersi a terra perché le pallottole arrivano da tutte le parti. Poco dopo si sente un fischio e subito dopo il grido di Savoia: sono i miei compagni che sortano dai loro ripari e con forza e coraggio uguali a tanti leoni si portano nelle trincee nemiche. La confusione è molto grande: chi grida, chi urla, chi muore, chi resta ferito e chi avanza per infilare con la propria baionetta. In pochi balzi i valorosi soldati d’Italia arrivano nelle trincee nemiche; il soldato italiano però è molto nobile e risparmia la vita a quanti si trovano in trincea e li fanno prigionieri. Gli austriaci, invece, sono tutti molto infami e assai traditori, loro resistono e sparano fino all’ultimo momento: quando però si vedono perduti e alzano le braccia, il nobile soldato italiano tutto perdona; questi vili e traditori non meriterebbero pietà, ma meriterebbero di essere bruciati [...]. Vedo molti di questi prigionieri che ridono dalla contentezza di trovarsi prigionieri in Italia. A mezzanotte sento che nel dare l’assalto alla trincea nemica era morto il buon sergente maggiore Sandro, coman-

dante il mio plottone, e il mio caro amico Benvenutti. Con tutti i soldati della mia squadra andiamo al comando di Reggimento e riceviamo le cassette di munizioni e con queste arriviamo dove si trova tutto il nostro Battaglione. È il 22 agosto e poco dopo si riparte per continuare l’avanzata. Con le cassette delle armi, ci inoltriamo in un fitto bosco [...]. La mia compagnia è stata comandata di occupare un piccolo paese che si trova giù nel fondo della vallata. Si sente la paura perché non sappiamo che cosa ci aspetta laggiù, ma il coraggio non manca mai. Per le strade si vedono molti altri soldati morti, colpiti mentre fuggivano [...]. Noi ci mettiamo in linea di combattimento per proteggere l’avanzata di tutto il nostro Reggimento [...] Il caldo è terribile, il sole ci brucia e l’acqua non si trova, per questo si soffre molto. Troviamo un pozzo ma in esso vediamo anche dei cadaveri che i vili austriaci avevano gettato per rovinare l’acqua [...]. Il mattino del 25, arriva l’ordine di avanzare per i Piani di Bainsizza, cerchiamo di fare un buco nel terreno per difenderci, mentre gli austriaci che si trovano al di là di questa grande pianura sono ben riparati dai grossi sassi e nascosti nelle piante, sparano con dei cannoncini e delle mitragliatrici. [...] Il 30 agosto, ci aggreghiamo al genio e arriviamo sopra il Monte Vodice e il terribile Monte Santo conquistato dai nostri valorosi soldati, mentre noi si avanzava sugli alti binari della Bainsizza. Si continua il lavoro di notte e fino il 2 settembre. Il 3 si parte per Dolegna e molti soffrono dolori di ventre e un forte riscaldo intestinale. Ogni giorno un gran numero di soldati se ne va all’ospedale [...] e viene sospesa l’istruzione. Il 17, ci si accampa lungo la strada che porta a Canale (d’Isonzo); la Brigata viene dichiarata infetta e per ordine di sanità veniamo circondati da sentinelle e per 40 giorni non si potrebbe muoversi da questo posto [...] in cui c’è un piccolo ospedale da campo. [...] Il 29, si vede molti prigionieri nemici, scatta l’allarme e si parte pel Monte Vodice [...]. Ci fermiamo qui fino al giorno 4 ottobre, poi si ritorna al posto di partenza. [...]. Il 25 ottobre si parte per Corno di Rosazzo [...], ma poi contrordine si ritorna a Plava, dove tutto salta in aria: si vedono soldati che corrono a destra e sinistra; da tutte le parti, si sentono voci che gridano invocando soccorso e pietà; vetture e automobili della Croce Rossa raccolgono feriti; baracche bruciano da tutte le parti della vallata; i depositi di munizioni saltano in aria; noi pure ci troviamo in pe-


ricolo per i razzi e i proiettili che volano in aria. Alle 5 di sera noi abbiamo l’ordine di ritirarsi e di tutta corsa partiamo sopra il Monte Corrado. Durante la nostra corsa vediamo anche i fanti che traversano l’Isonzo, saltano in aria molti soldati e questi si troveranno prigionieri; molti di loro si gettano nel fiume e a nuoto cercano di raggiungere l’altra sponda prima di esser presi dal barbaro nemico. Arrivando sopra il monte Corrado, non avrei mai creduto di vedere un simile disastro, da qui si vede tutta la pianura del Friuli, da Cividale al mare, tutto il Carso e più lontano si vedono le montagne carniche con le loro più alte cime coperte di neve e più lontana ancora si vede la pianura veneta che si perde a vista d’occhio. Da tutte le parti si vede che tutto si trova sotto il flagello del fuoco, bruciano paesi e baraccamenti a centinaia, molti depositi e magazzini dove si trovano viveri e materiali, molto spesso si sente delle detonazioni che fanno tremare la terra: sono i depositi di munizioni e polveriere che sotto il flagello del fuoco saltano in aria. Per tutto il tempo della mia vita non potrò mai dimenticare uno spettacolo e un flagello simile. Nel viso di tutti vedo i segni della disperazione. Qui si trova tutto il Reggimento e fra noi si trova anche il nostro colonnello, che con le lacrime agli occhi cerca di pronunciare qualche parola d’incoraggiamento perché lui pure vede che i suoi soldati si trovano sotto il tormento della disperazione. A fatica ci dice: «Miei cari soldati, non credo che questo sia il momento di nascondere la verità, tutti voi vedete quanto è grande il disastro che teniamo davanti a noi, gli Austriaci sfondano le nostre linee e con i loro piedi fangosi calpestano il sacro suolo d’Italia. Dove loro passano, seminano il terrore e distruggono ogni cosa. Noi tutti uniti non dobbiamo permettere che il barbaro nemico si trovi in casa nostra. Noi superstiti del Carso e del Trentino troveremo le forze di distruggerlo e di respingerlo. Forza, soldati, e tutti uniti e compatti difendiamo le nostre case e la nostra bella Italia». Mentre lui parla, vedo molti con le lagrime, ma subito dopo suona l’allarme e con tutta fretta si parte [...] e il mattino del 28 ottobre arriviamo a Cormons, sul Monte Querino. [...] La sera, la mia Compagnia si porta in trincea, in rinforzo al 3° Battaglione del 33. La trincea è piena d’acqua perché la pioggia cade molto forte, ma siamo costretti ad abbandonare anche questo posto per non essere circondati dal nemico. Attraversiamo, trincee, reticolati, vigne, orti e molti restano leggermente feriti cadendo durante la

corsa. Attraversiamo Cormons e ci dirigiamo verso Mortegliano per poi raggiungere Codroipo e da qui passare il Tagliamento. Coraggiosamente si attacca il nemico e cerchiamo di respingerlo per avere la strada libera, ma ci dobbiamo ritirare perché il nemico è nelle case e spara dalle finestre. Dopo aver avuto dei morti e feriti, prendiamo un’altra strada campestre e per questa arriviamo a Pozzuolo. Non si può riposare perché il nemico si trova a pochi passi dal paese. [...] Ci dirigiamo verso Latisana per passare il ponte. La confusione che troviamo lungo la strada è impressionante, essa si trova tutta ingombra, vedo carri carichi di mobiglia, abbandonati da certi poveri contadini che cercavano di portare la loro roba aldilà del Tagliamento, vedo bestie che camminano per proprio conto, vedo carri, carrette con cavalli e muli rovesciati nei fossi laterali della strada, soldati che se ne vanno per loro conto, donne, vecchi e bambini piangono per aver abbandonato le loro case e tutti i loro beni per non restare invasi dal barbaro austriaco. Sono stanco e mi addormento. [...] Si riparte e dopo tanto pericolo passiamo il Tagliamento. Troviamo una parte dei miei compagni e anche il comandante di Brigata, l’altra parte non si trova. Da qui andiamo a Cordovado. [...] Siamo rimasti solo in 16, compreso il sergente furiere e il comandante; prima di partire da Plava la Compagnia contava 212 uomini fra ufficiali e soldati. Dove saranno andati a finire tutti gli altri? Nessuno può sapere con precisione, possiamo dire che abbiamo avuto morti, feriti, prigionieri. Il mio plotone contava 56 uomini e ora siamo rimasti solo in 3, io, il porta feriti e il caporale. La Brigata è senza Ufficiali. È il 2 novembre e si parte per Castions di Zoppola e lì troviamo [...] qualche altro soldato e in tutta la Compagnia arriviamo a 21. Il 4 novembre siamo a Brugnera e il 6 a Volpago (del Montello). Qui riceviamo molti rinforzi e formiamo di nuovo la Brigata; io pure vengo cambiato di Reggimento e vengo assegnato al 33° Fanteria – 4° Compagnia. Da questo paese vedo passare molti profughi, donne, vecchi e bambini che piangono per aver do-

Cartolina postale inviata dal fronte al figlio Francesco «Spero presto di venire a trovarti e trovarti vestito da uomo. Ti saluto unito alla mamma, sorella e nonni...? tuo papà. Antonio Parmesan».

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C E N T ’A N N I D A L L A G R A N D E G U E R R A

vuto abbandonare le loro case. Io penso alla mia famiglia, non posso sapere se essa si trova ancora in Dardago o se è fuggita per l’Italia. Il 14 mattina si parte anche da Volpago e si va alla volta di Padova e di Vicenza [...] Il 4 dicembre, quando già tutti eravamo distesi sopra la paglia e che si sperava di riposare, arriva l’ordine di partire da Grumolo (delle Abbadesse) [...] e dopo aver caminato tutta la notte arriviamo sopra un monte dove troviamo delle baracche che prima del nostro arrivo servivano da ospedale da campo. Due giorni dopo andiamo in un bosco poco lontano dalla prima linea posta sul Monte Valbella; di fronte a noi c’è il Monte Fiore e un po’ lontano alla nostra destra vediamo il Monte Grappa, dove la lotta deve essere molto aspra. Di notte, sul Grappa si vede tutto un fuoco e di giorno tutto un fumo. Il Monte Fiore si trovava nelle mani dei nostri valorosi soldati, ma il giorno 4 di questo mese hanno dovuto abbandonarlo. Da molti mesi mi trovo in trincea, ma mai non lavorai come si lavora nella trincea dove ora ci troviamo; il servizio di vedetta è molto pericoloso perché le vedette si trovano fuori in piedi e in vista da tutte le parti. Giorno e notte si continua con due ore di vedetta e due di lavoro; su 24 ore, due soltanto si può riposare, le altre sempre in piedi. Speriamo che questa vita non si prolunghi, perché difficilmente si potrà resistere. [...]. Il 14 dicembre cade molta neve e fa molto freddo. La sera del 22, gli Austriaci bombardano le retrovie per ostacolare i rinforzi che si aspettano. Il 23 mattina, il bombardamento si fa molto più forte e certi momenti era spaventevole. Resto ferito da una scheggia di granata alla mano sinistra e cerco di ritirarmi in galleria dove si trova il comandante di compagnia. Passando per la trincea vedo molti miei compagni gravemente feriti e qualche altro che non dà più segno di vita. La trincea era completamente distrutta. Arrivando in galleria non trovo il modo di potermi medicare e di nuovo parto per andare al comando di Battaglione. Passando per un camminamento vedo la terra tinta di sangue, di tratto in tratto vedo brandelli di carne umana, gambe, braccia e corpi senza testa che ancora perdono il sangue; mi trovo di fronte a spettacoli che non posso dimenticare per tutta la mia vita. Arrivando al comando di Battaglione trovo altri fe-

riti e un caporale di sanità mi medica la mano. Il tenente colonnello ordina di darci del cognac e con questo ci si fa coraggio ma dalla galleria non si può muoversi perché il bombardamento continua.[...] Ora gli Austriaci bombardano le retrovie e cercano di avanzare senza tanta difficoltà perché nelle nostre trincee non si trova più nessuno. All’improvviso si sente lo scoppio di una bomba davanti al portale della galleria: gli Austriaci cercano di farci prigionieri. Per primo si arrende il comandante di Battaglione e poi tutti noi; di tutta corsa andiamo nel fondo della valle che divide Valbella dal Monte Fiore e siamo prigionieri, temiamo che ci trattino in modo disumano, ma a quanto posso vedere non è tanto male. In una cucina ricevo il brodo e un pezzo di carne. Ci dobbiamo riparare perché le artiglierie italiane sparano contro di noi, seminando la morte. Poco dopo si comincia a camminare per tutta la giornata e la notte. Vengo assegnato all’ospedale da campo. Il 24 dicembre con dei carri veniamo trasportati a Enego [...] e da qui a Primolano. Sono giorni che non si mangia se non briciole di pane. [...] È il Santo Natale e anche quest’anno mi trovo in ospedale, ma quest’anno peggio ancora perché sono anche prigioniero. [...] A mezzogiorno, un treno della Croce Rossa ci porta vicino Trento in un ospedale dove ci danno cibo e una branda e si fa pulizia generale. [...] Il 27 si parte di nuovo con un treno della Croce Rossa [...] La notte dal 30 al 31 arriviamo in Ecser [...]. Questa stazione per me non è nuova, la vidi quando andavo in Germania per lavorare, ma ora mi sembra tutto cambiato perché in essa non vedo solo molti soldati austriaci e germanici, vedo molti prigionieri serbi e russi che con le barelle trasportano i feriti più gravi e gli ammalati più deboli. Con vetture veniamo trasportati in una grande infermeria e entriamo in apposite baracche. Siamo assistiti da prigionieri serbi e questi approfittano delle nostre condizioni per sfruttarci quello che di meglio e buono noi abbiamo. Per 100 grammi di pane cambio i miei pantaloni nuovi con quelli di un serbo che si trovano a brandelli.

[CONTINUA]

NUOVI GAS ASFISSIANTI TOSSICI A Caporetto, il 24 ottobre 1917, l’offensiva austro-tedesca fu preceduta da un intenso bombardamento con proiettili caricati a gas, ma non fu possibile stabilire con precisione con che tipo di composto: forse si trattò di acido cianidrico per il caratteristico odore di mandorle amare tipico del cianuro che impregnò l’aria. Dopo i gas di tipo lacrimogeno e quelli irritanti, erano giunti quelli dichiaratamente classificabili come tossici, tra gli altri appunto l’acido cianidrico. In ordine di tempo si sarebbero aggiunti, nel 1917, gli «starnutenti», come la difenilcloroarsina, una polvere finissima capace di penetrare nelle maschere antigas, provocando starnuti e vomito, e nello stesso anno gli «ulceranti» o «vescicanti», l’Iprite. Impregnando i vestiti con estrema tenacia ed entrando a contatto con la pelle, questa sostanza provocava orribili vesciche, che letteralmente la staccavano dal corpo tra dolori terribili. Gli effetti erano quelli di ustioni di primo, secondo e persino terzo grado, ma se inalata era capace di provocare edemi polmonari ed emorragie dell’apparato respiratorio.


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