Cent'anni dalla Grande Guerra -12

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testimonianze

Due militari dell’esercito austro-ungarico mentre si preparano a consumare il proprio rancio. A sinistra. Budoia, fine 1800-primi anni 1900 circa. Gruppo di soldati e sottoufficiali del Regio Esercito Italiano prima della distribuzione del rancio. Foto Angelo Bernardis (1844-1937). Per gentile cortesia di Florio Bernardis. Tratta da «Le opere e i giorni» Budoia: una storia per immagini, Comune di Budoia, Centro Regionale di Catalogazione e Restauro dei Beni Culturali.

Anna aveva ‘guardato’ oltre Piccola cronaca dardaghese nell’anno dell’occupazione In un’inoltrata mattina dell’estate 1918, i raggi di un sole già alto illuminavano le case di Dardago, i prati e gli orti del paese. Le bianche strade in terra battuta riflettevano una vivida luce restituendola all’azzurro infinito del cielo. Alcune rondini volavano attorno al vecchio campanile, garrivano felici e, rincorrendosi, disegnavano ampie volute. A quell’ora le donne e le persone anziane, rimaste in paese, avevano già sbrigato le faccende di casa e ‘governato’ i pochi e preziosi animali domestici risparmiati dalle razzie ‘legalizzate’. Apparentemente la vita pareva svolgersi normalmente... ma così non era. Una ‘latente’ e sinistra realtà condizionava ogni pensiero e ogni azione della gente. Tutti in paese stavano subendo il dramma e le conseguenze di uno stato di guerra. Una maledetta guerra rovina-famiglie per cui mariti, padri e figli in età di ‘leva militare’ erano stati chiamati alle armi. Privazioni, lutti, fame, miseria, paure e ansie, accresciute spesso dalla mancanza di notizie, accomunavano ogni focolare. Quella mattina anche Nuta, mia nonna paterna (Anna Parmesan Danùt), terminati i lavori domestici, si era recata nell’orto insieme alla suocera Luigia, alle figlie Rosa e Assunta di 10 e 8 anni e al figlio Ettore di 4 per lavorare e rimediare qualcosa per il pranzo. La gestione domestica, le incombenze e le responsabilità del vivere quotidiano gravavano interamente sulle sue spalle, come su quelle di molte altre donne divenute ‘forzatamente’ capofamiglia. In aggiunta allo stato di guerra che perdurava 12°

ormai da circa quattro anni, l’Esercito Italiano verso la fine di ottobre dell’anno precedente, sul fronte a nord-est, aveva subìto una rovinosa disfatta. Una ‘rotta’ disastrosa che aveva costretto numerosi soldati a ripiegare sino al fiume Piave e, a causa dell’avanzare delle truppe todhesche nell’intero Friuli e parte del Veneto, aveva fatto fuggire dai paesi tante famiglie verso altre regioni italiane. Mentre Nuta lavorava nell’orto, nella sua mente si affollavano ricorrenti domande alle quali non riusciva a dar risposta, alimentando così continui e inquietanti dubbi sulla sorte del marito. Dove sarà? Come starà? Starà bene... sarà ferito? Sarà ancora vivo? Da oltre dieci mesi non riceveva più notizie di lui. Lo sapeva combattente con i reparti di artiglieria sul Monte Merzli, a nord di Tolmino tra l’Italia e la Slovenia, ma ora la situazione era completamente mutata. Nuta, sposata con Sante Janna Tavàn, aveva compiuto trentaquattro anni e dalla loro unione erano nati sei figli, di cui purtroppo tre erano morti. Lino, l’ultimo figlio, era mancato da poco più di nove mesi. Se avesse potuto comunicare con il marito, lo avrebbe certamente informato della morte del figlio, della salute degli altri, della propria e di quella dell’anziana madre, dell’andamento della famiglia, della scuola, del lavoro nei campi e della vita in paese. Certamente gli avrebbe pure chiesto come viveva e quali sacrifici doveva sopportare. Gli avrebbe fatto sicuramente mille raccomandazioni,

NOTA

Anna Parmesan Danùt (30 dicembre 1884 – 28 maggio 1960) Anna, detta Nuta, era figlia di Francesco e di Santa Zambon. Suo fratello Antonio (classe 1887) è l’autore di «Le Memorie», la trascrizione postuma degli eventi bellici che, pubblicata a puntate in questi inserti, ci accompagna nel lungo racconto della Grande Guerra. Sante Janna Tavàn, cav. di Vittorio Veneto (4 luglio 1883 – 28 ottobre 1972) L’artigliere Sante, marito di Nuta, fu fatto prigioniero con la complicità di gas lacrimogeni sul Monte Merzli il 24 ottobre 1917 da truppe tedesco-austroungariche. Deportato in un campo di prigionia in Germania, rientrerà in Italia solo l’11 febbraio 1919 (cfr. l’Artugna, n. 114, agosto 2008). Negli anni successivi Sante e Anna ebbero altri quattro figli: Luigia, Rina, Romeo e Lea. Luigia e Romeo moriranno infanti.

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