Cent'anni della Grande Guerra (3)

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Foto risalente al periodo della prigionia di Giovanni Davide Bocus. Sul retro è riportato: «Ricordo della prigionia. 10 novembre 1918. Hern Clkuccacek 1914-1918» (foto di Giovanni Davide Bocus fornite dal figlio Luigi, nel 2007).

Tre Budoiesi «Aiutanti di battaglia» Giovanni Davide Bocus, Angelo Diana Scunsor e Luigi Panizzut sono i tre budoiesi che durante la guerra sono stati promossi al grado di Aiutante di battaglia. Tale grado, ora non più in uso, era il più elevato tra i sottufficiali. Fu istituito nel 1916 ed era raggiungibile sia dai sottufficiali che dalla truppa, unicamente per meriti acquisiti in combattimento e indipendentemente dal grado di provenienza. La peculiarità di tale «invenzione» stava nella necessità di colmare i paurosi vuoti apertisi nelle fila degli ufficiali subalterni, dopo i primi mesi di guerra di trincea, ed immettere rapidamente nuovi comandanti di plotone con esperienza di combattimento. Riportiamo alcuni articoli del Decreto Luogotenenziale n. 1101 col quale è istituito il nuovo grado di Aiutante di battaglia categoria dei Sottufficiali. La trascrizione è stata effettuata da Giovanni Davide Bocus, il 20 marzo 1919 a Bologna, nel Deposito del 35° Regg. Fanteria. Art. 1 Per la durata della guerra è istituito, nella categoria dei sottufficiali, il nuovo grado di «Aiutante di battaglia», cui corrisponde il comando organico di plotone o di riparto equivalente, e che, nella progressione dei gradi della gerarchia militare, sarà intermedio tra il maresciallo maggiore e l’aspirante ufficiale di complemento. Art. 2. Il grado di «Aiutante di battaglia» è conferito esclusivamente per merito di guerra ai militari di truppa delle armi combattenti, con determinazione del comandante di Corpo d’Armata. Con apposita disposizione sarà provveduto per stabilire la divisa e gli speciali distintivi degli «aiutanti di battaglia», e le norme per il conferimento del grado stesso. Art. 3. Al termine della guerra gli «Aiutanti di battaglia» che provenissero dai sottufficiali di carriera continueranno a prestare servizio col grado acquistato in guerra, e con lo stesso trattamento e le stesse attribuziöni dei marescialli maggiori, dei quali saranno però saranno sempre considerati più anziani; gli altri seguiranno le sorti della loro classe. Tutti conserveranno il grado e l’uniforme, anche dopo compiuto i rispettivi obblighi di servizio. 3°

Nelle pagine 10 e 11 abbiamo raccontato l’impegno e il coraggio di Angelo Diana. Qui ricordiamo Giovanni Davide Bocus (di cui parlammo anche nel n. 115 de l’Artugna, dicembre 2008) e Luigi Gaetano Panizzut.

Giovanni Davide Bocus Dolfin nato a Rivarolo Ligure (Ge), il 6 dicembre 1887, figlio di Luigi e Rigo Caterina; l’11 febbraio 1914 sposa Pasqua Bosser di Coltura e, mentre è impegnato in guerra, nel 1916, diventa padre di Caterina.

Sergente maggiore del 35° Regg. Fanteria, 1a Compagnia dal 10 giugno 1915, divenne Aiutante di battaglia dal 1° luglio 1917. Operò tra Podgora (dal 30.9.1915 all’8.12.1915), Oslavia (dal 9.12.1915 al 9.2.1916 e dal 29.3.1916 al 23.5.1916), il Monte Cengio e Pedescala nel Vicentino, la Val Orsa… (dal 23 maggio 1916 al 9.3.1917) e nuovamente nel Carso (dal 9.3.1917 al 6.9.1917) e in Carnia dal 25.10.1917, finché il 6 novembre 1917 fu fatto prigioniero e trasferito in Austria. Fu rimpatriato un anno dopo, il 20 novembre 1918.

Il giovane sergente maggiore Giovanni Davide Bocus.

Luigi Gaetano Panizzut nato il 7 agosto 1894 a Budoia, figlio di Anselmo e di Del Maschio Caterina, di professione calzolaio, fu chiamato alle armi nel giugno del 1915 e destinato al 70° reggimento fanteria.

Il 70° e il 69° reggimento formavano la Brigata Ancona che in quel periodo si trovava in Alto Cadore. Il 25 settembre Luigi fu nominato Caporale. Un mese dopo venne spostato al 35° fanteria, Brigata Pistoia, la quale era impegnata nelle sanguinosissime battaglie dell’Isonzo (terza e quarta) nel tentativo si conquistare il Podgora ( Monte Calvario) nei pressi di Gorizia. In due mesi di vani combattimenti, la Brigata perse

L’allora Sergente Luigi Panizzut posa con fierezza portando al petto la Medaglia d’Argento per «condotta distinta».

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Il quadretto è una sorta di cimelio d’epoca, contenuto originariamente in una cornice, con le notifiche del conferimento della medaglia Inglese. Al centro, nella zona vuota, c’era la medaglia che è andata dispersa durante la 2 a Guerra Mondiale. Informazioni e materiale di Primo e Raoul Panizzut.

3500 uomini di cui un centinaio di ufficiali. Il primo gennaio del 1916 venne inquadrato nel 41° fanteria, Brigata Modena, che presidiava le prime linee a nord ovest di Tolmino. Durante questo periodo, Luigi fu promosso Caporal Maggiore. A fine maggio la Brigata Modena venne spostata a Vicenza per far fronte all’avanzata delle truppe ne-

Piastrina di riconoscimento di Valentino Angelin Pelat, nato il 31 agosto 1881 a Budoia, figlio di Giuseppe e di Agata Carlon, incorporato nel 4° Regg. Lagunari, 10 a Compagnia. È conservata gelosamente dal nipote Luciano Angelin.

SE UNA PIASTRINA DI RICONOSCIMENTO POTESSE PARLARE…

miche della Strafexpedition (spedizione punitiva). Gli uomini della «Modena» riuscirono a bloccare l’avanzata a costo di sensibilissime perdite. Dopo un periodo di riposo a Cormons, in vista dell’ottava battaglia dell’Isonzo, a fine settembre, la Brigata è dislocata nei pressi di Doberdò del Lago. La battaglia fu tremenda: la «Modena» conquistò le posizioni nemiche, perdendo più di 1600 uomini, ma catturando oltre 1200 soldati austriaci. Al termine di questi eventi, il 1° novembre 1916, Luigi divenne sottufficiale con il grado di Sergente. Una data importante per il Sergente Luigi Panizzut fu il 29 marzo 1917. Gli fu consegnata la Medaglia d’Argento per «condotta distinta» conferitagli dal Re Giorgio V di Inghilterra per aver liberato, con la sua squadra, un gruppo di soldati inglesi prigionieri degli austriaci. In quel periodo il suo reggimento si trovava nella Valle del Chiese, nel Trentino. Ritornò sul Carso per partecipare alla XI battaglia dell’Isonzo (17 agosto12 settembre) nel corso della quale, Luigi fu promosso Aiutante di battaglia (20 agosto 1917). Si era appena conclusa la battaglia nei pressi di Vertojba (a sud-est di Gorizia, ora in Slovenia) che costò alla Brigata la perdita di 1260 uomini. Dopo la catastrofe di Caporetto, la Brigata Modena, fu incaricata, tra l’altro di proteggere i ponti di Codroipo per permettere la ritirata delle nostre truppe. In questa fase, Luigi venne fatto prigioniero (30 ottobre 1917) presumibilmente nella zona tra Passariano e Rivolto. Venne trasferito al Campo di Concentramento di Pietrasanta (Mauthausen), dove rimase fino al 17 marzo 1919.

Si tratta di una piccola custodia di latta, contenente dati anagrafici, militari e sanitari della persona riportati su una striscia di carta ripiegata. Questo tipo di piastrina di riconoscimento fu adottato nel 1916, per evitare il deterioramento del supporto cartaceo che provocò spesso la mancata identificazione di tanti caduti sul campo.


i racconti Loredana e Franco Carlon Fassiner ricordano il nonno Adolfo (1887-1969)

I forti e coraggiosi sottoufficiali della 168° Batteria Bombarde.

Adolfo Carlon al Raggruppamento Bombardieri Il nonno, appartenente al Raggruppamento Bombardieri, ricevette la Medaglia di Bronzo al Valore Militare. Questa la motivazione: «Carlon Adolfo, da Budoia (Udine), caporale raggruppamento bombardieri, batteria n° 42855 matricola. Capopezzo, tenne impavido il suo posto durante tutta l’azione, sotto violente raffiche del fuoco nemico, e quando una granata di grosso calibro distrusse completamente la postazione della sua bombarda, egli rimase fra le macerie e le fiamme delle bombe che bruciavano per trarne un servente che era stato mortalmente ferito. Nad Logem*, 31 ottobre 1916». Il nonno fu nominato presidente dell’Associazione Reduci della Guerra 1915-1918. Ecco il suo intervento al momento della nomina: «Orgoglioso d’essere scelto quale Presidente della testé formata sezione combattenti, ringrazio tutti voi che con la vostra presenza avete voluto dimostrare che ancora ricordate il lontano ma ancora sempre presente il passato. Ricordate o camerati sedici anni fa quando laceri, infangati coi capelli arruffati e le membra peste,

ci incontravamo per l’insidiosi camminamenti; avevamo sempre un sorriso, una buona parola di conforto e di fede come fossimo tutti fratelli. Che importava se la nostra vita era un inferno? Lassù, in faccia continuamente alla morte, non ci si badava; lassù era l’amore puro e sincero, non regnava lassù la bestiale invidia del guadagno, dell’ambizione del lusso, della [...] calunnia, maldicenza, arrivismo; là regnava l’amore e la morte. Che importava se in dodici mesi non ci si levava le scarpe dai piedi per dormire tanto… era tanto facile il non levarsele neanche mai più. Là non vi era che un nemico e lo si aveva sempre di fronte, vincere questo nemico, ecco tutto. L’abbiamo vinto… e tutto… tutto…, dolori, sacrifici, patimenti senza nome, tutto sparì da noi il giorno sacro in cui il glorioso tricolore vittorioso sventolò su San Giusto. Smettemmo il lacero grigio verde, rimboschirono i verdi baschi che la tremenda guerra aveva distrutto, le nostre tempie si sono incorniciate di bianco ma i ricordi della vita di trincea rimarrà indelebilmente nel nostro cuore, vivi come allora come sempre». ADOLFO CARLON FASSIneR

Foto spedita da Adolfo al padre: «Al mio caro e diletto papà con vivo affetto e amore ti offre tuo figlio Adolfo».

*Nad Logem è una modesta cima, situata nel Vallone di Gorizia, che ebbe un’importante funzione strategica per l’esercito austro-ungarico come linea di sbarramento alle spalle della città.

Sotto da sinistra. Foto spedite dalla moglie Bona Rimiola (1890-1976) al marito in guerra, in una con il figlio Oscar, nell’altra i tre figli ester (1912), Pietro (1914) e Oscar (1916). Adolfo Carlon in borghese, in piazza a Budoia.

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i racconti

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Il mio contributo riguarda i ricordi che mi tramandarono i miei familiari degli accadimenti alla mia famiglia durante il primo conflitto mondiale. La vicenda più tragica riguardò il primo caduto di Budoia, mio zio, Umberto Panizzut Donisio, medaglia di bronzo al valor militare.

Mio zio Umberto Panizzut Nacque il 7 maggio del 1893 e morì il 3 giugno del 1915, durante una battaglia sul Pal Piccolo. Sulla lapide, scolpita dal padre, mio nonno Giovanni, si vedono due rami di giglio, uno dei quali senza fiori, legati da un morbido nastro ed appoggiati ad una croce. La foto ritrae un bel giovane con un accenno di baffetti su un volto pulito, lo sguardo diretto, limpido, vestito in divisa da alpino. L’epitaffio recita: A Umberto Panizzut che soldato della Patria a 22 anni cambiò la sua divisa col cittadino del cielo il 3 giugno 1915 i genitori PP

In quelle parole tutto il dolore della famiglia, ma anche la religiosità che cerca una speranza nella vita ultraterrena. La mia nonna Marianna, la sua mamma, mi ripeté all’infinito il racconto dell’ultimo periodo di vita di

SALUTI DA...

Cartolina scritta il 16 dicembre 1915 da Riccardo Panizzut Donisio alla fidanzata Caterina Angelin, durante il trasferimento in treno da Bologna ad Osoppo.

quel ragazzo intelligente, pieno di voglia di vivere e di conoscere, attivo nel lavoro e nella vita del paese. Era partito da Budoia alcuni mesi prima di ricevere la chiamata alle armi, in quanto aveva vinto un concorso per entrare nelle Ferrovie dello Stato, sede di Napoli. Entusiasta di questo nuovo lavoro, in una foto mandata alla famiglia sfoggiava una bella divisa gallonata, orgoglio suo e dei suoi cari; ma purtroppo incombeva un grande disastroso evento, la guerra. Ricevette l’ordine di arruolarsi e dovette rientrare a Budoia, ma poiché la partenza non sarebbe stata immediata, e a quei tempi non si poteva stare nemmeno un giorno «con le mani in mano», nell’attesa, era andato a lavorare a Venezia con il padre Giovanni e con lo zio Giacomo, che erano scalpellini provetti, in un’impresa edile, come muratore. Di lui si diceva che aveva «una forza controllata», portava sotto il braccio destro un sacco di cemento, un altro sotto il braccio sinistro, e con tutto quel peso, volava, sui pioli delle scale del cantiere. Arrivò infine la data fatidica e dovette rientrare da Venezia... la Patria lo chiamava... Seduto al tavolo della cucina con la madre, davanti


a sé un fiasco di vino, lui che non beveva mai, trangugiava bicchiere dopo bicchiere. La nonna Marianna lo invitava a smettere («No te so bituat a beve»), e lui le rispose: «Mamma, mi da borghese no bevarai pì» e piangeva . «Mi no soi bon a fa la guera, no voi copà nisun». La mamma cercava di rincuorarlo dicendogli che sarebbe tornato, che avrebbe potuto in seguito riprendere la sua vita... Partì triste, sconsolato, certo in cuor suo che non sarebbe più ritornato. Con lui c’era il compaesano Giuseppe Rosa, Bepi, che sarà l’ultimo a vederlo in vita; facevano parte dell’8° Reggimento Alpini, Battaglione Tolmezzo. *** «Nel 1915 il confine italiano correva lungo la catena delle Alpi Carniche, il fronte andava dal monte Peralba al monte Canino per uno sviluppo di 25 chilometri in linea d’aria, più che raddoppiato sul terreno. Il settore era comandato dal gen. Clemente Lequio, con quartier generale a Tolmezzo. Nella Carnia erano dislocati 2 brigate di fanteria e 16 battaglioni alpini». (www.storiaememoriadibologna.it) *** Sul Pal Piccolo Umberto fu preso di mira da un cecchino e colpito in pieno petto, i barellieri lo portarono subito dentro una baracca che fungeva da rifugio temporaneo per i feriti. Bepi Rosa si avvicinò alla barella e Umberto morente gli disse: «Bepi, no torne pì a Buduoia». E spirò. A casa, la madre, seduta in cucina, vide attraverso la finestra arrivare il Curato vecio (Don Foraboschi), immaginando subito che qualcosa di brutto fosse successo. Il sacerdote disse: «Quando se va in guerra no se sa quel che pol suceder». E la nonna Marianna: «El me diga subito quel che el ga da dirme». E da quel momento non smise più di piangere quel suo povero figliolo, tenne sempre con sè il portafoglio macchiato di sangue che Umberto aveva custodito vicino al cuore, unica reliquia certa che il Comando spedì alla famiglia. Infatti il suo corpo in un primo momento era stato seppellito in fretta in una fossa comune a Timau, ma Bepi aveva controllato dove

lo collocavano, e nel 1923 lo riesumarono e lo portarono a Budoia. Il nonno Giovanni diceva sempre: «Speremo che quel corpo el sia el suo...» e come ultimo atto d’amore gli scolpì la lapide. Poi la nonna restò sola con i figli più piccoli, Amalia e Marco. Il marito Giovanni era stato richiamato nella Milizia Territoriale, dove confluivano gli uomini più anziani. Anche lo zio Giacomo apparteneva alla stessa Milizia, con base a Clermont-Ferrand, in Francia, addetto al caricamento dei proiettili. Ines era partita con un carro tirato da buoi alla volta di Bologna, dove avrebbe aiutato la famiglia Patrizio, sfollata in quella città (un suo ricordo era che i Bolognesi dicevano ai bambini birichini: «Stai buono altrimenti ti faccio mangiare dai profughi»). Riccardo, mio padre, nato il giorno di San Patrizio del 1895, partì per la guerra alla vigilia dell’Immacolata, il 7 dicembre del 1916 alla volta di Bondeno nell’Emilia. Era stato arruolato nell’Artiglieria da fortezza; fu poi trasferito a Codroipo dove si ricordava di aver marciato per ore con l’acqua che cantava nelle scarpe. In seguito combatté la Battaglia del Solstizio, o seconda battaglia del Piave, nel giugno del 1918. Ebbe modo di incontrare il Duca d’Aosta, che gli posò una mano sulla spalla, e raccontava spesso il particolare di quel mattino in cui si svegliò di soprassalto e vide cadere le bombe che distrussero il campanile di Spresiano. Aveva imparato molti princìpi della Fisica e mia mamma Caterina per molti anni lo sentì parlare nel sonno e pronunciando i numeri delle coordinate per le gittate dei cannoni… «guida a Est»… Alla fidanzata Caterina spedì una coloratissima cartolina, recante la scritta: «Per il Re, per la Patria, ovunque e sempre, Reggimento Artiglieria da fortezza», il 16.12.16, con timbro di Bologna, mentre era in trasferimento da Cento, dove erano affluiti i reclutati del Nord, verso Osoppo, scrivendo a lato «Addio!» Per fortuna, almeno lui, ritornò e ricevette la medaglia d’oro e il titolo di Cavaliere.

Documento tratto dal Registro dei morti (Archivio Parrocchiale di Budoia). Foto a sinistra. Lapide presente nel cimitero di Budoia (foto di Gabriella Panizzut).

ALBERTA (NOEMI) PANIzzUT

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la cronologia

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1916 LA GUERRA AL FRONTE ITALIANO 14 gennaio L’Esercito italiano respinge, dopo due giorni di lotta, un attacco da quattro battaglioni nemici allo scopo di svincolare la cintura difensiva della testa di ponte di Gorizia, e contrattacca ma il 24 gennaio gli Austriaci conquistano le posizioni attorno ad Oslavia, davanti a Gorizia: la Quinta battaglia dell’Isonzo termina dunque con un insuccesso italiano. 17 marzo - 7 aprile Il nemico prende ancora l’iniziativa sul fronte dell’Isonzo con una serie di attacchi durati fino al 7 aprile. L’Italia risponde con azioni in Cadore e nel Trentino. 22 marzo È segnalata un’importante concentrazione di forze nemiche nel Trentino. 12 aprile Gli Italiani attaccano sull’Adamello. Si combatte la cima del Col di Lana. 18 aprile Viene fatta saltare con una mina e conquistata la cima del Col di Lana.

VEgLIA Cima Quattro il 23 dicembre 1915

Un’intera nottata buttato vicino a un compagno massacrato con la sua bocca digrignata volta al plenilunio con la congestione delle sue mani penetrata nel mio silenzio ho scritto lettere piene d’amore Non sono mai stato tanto attaccato alla vita GIUSEPPE UNGARETTI

«LE MEMORIE» DI

Antonio Parmesan

Arrivando alla stazione si vede la Città tutta illuminata, essa si trova sopra una gran collina, vedendola di notte e in distanza sembra una bella e grande Città […] Sceso dal treno subito vedo che devo trovarmi in una Città dove il freddo si fa sentire assai forte, il terreno si trova coperto di neve ma tutta gelata. […] Fuori dalla stazione […] si forma un quadrato, nel centro vedo molti Ufficiali, fra i quali vedo anche il Colonello comandante il Deposito del 33° Regg. Fanteria. Subito con voce sonante lui comincia una piccola morale, una morale però che molto poco mi resta nella mente, il motivo che io in questo momento non desidero morali, bensì desidererei un po’ di cibo caldo e un po’ di riposo. Finito il colonello di parlare sento che cominciano a fare la chiamata e nel tempo stesso destinano alla Prima Compagnia io e il compagno Angelo Ianna detto Stort, siamo destinati alla Compagnia e tutti gli altri alla Terza e alla Quarta. […] Con la musica in testa si parte dal piazzale della stazione e si cammina per entrare in Città. La musica suona allegre marce ma noi nulla si sente nulla si capisce, la mia testa in questo momento non pensa di certo alle musiche e alle marcie che esse suonano. Siamo alle ore 7 di mattina del giorno 14. Il mio pensiero corre alla mia famiglia, gli ricordo tutti e penso che a quest’ora tutti si trovano a letto e dormono tranquillamente, io invece comincio già a soffrire per la stanchezza, per il sonno, per il freddo e per la fame, subito penso che per così poco non devo perdermi di coraggio, seguo i miei amici e entro in Città. Dopo passate poche vie arrivo vicino a una caserma, […] spero di entrare in questa, quì entra la III a Compagnia, e la IVa parte per andare da qualche altra parte. Poco dopo vedo che anche alla mia Compagnia viene dato l’ordine di continuare il nostro camino. Dove andiamo? Non si sa, dopo pochi passi arriva il posto per noi destinato, entro in un piccolo cortile e subito vedo che qui non mi trovo in una Caserma, ma vicino a una tettoia, e vedo che la mia Compagnia era destinata per abitare in una stalla da Cavalli, in essa si trova ancora i mangiatoi in cemento armato, sul duro terreno pure di cemento armato si trova un po’ di paglia e questa è destinata per nostro conto, noi siamo peggio dei Cavalli perché in detta stalla potevano prendere posto 12 o 14 Cavalli e noi eravamo circa 200.

Per mia maggior sfortuna io entro fra gli ultimi e disgrazia volle che il mio posto sia vicino alla porta, una porta che non si poteva chiudere così l’aria e il freddo entravano liberamente. Poca voglia mi sento di coricarmi sopra questa misera paglia, ma la stanchezza mi vince e dopo aver visto che molti e molti miei compagni si sono già addormentati, mi metto a sedere e mi addormento pure io seduto come ero, dopo circa un ora mi sveglio e mi sento tutto gelato per l’aria che entra dalla porta […], resto così tutta la notte. […] Il mattino del 15 per la prima volta sento suonare la sveglia con la tromba. In pochi minuti siamo tutti in piedi, contenti che sia passata la notte, speriamo che qualcuno si ricordi di noi, ma a quanto si vede per noi nessuno pensa, sorto dalla stalla con la speranza di trovare il modo di poter bere un caffè, ma quando mi trovo alla porta mi trovo di fronte a una sentinella con fucile e baionetta inestata. Questa mi dice che nessuno può sortire l’ordine dei superiori […] Alle ore 9 la chiamata per vedere se tutti si trovano presenti: non manca nessuno. Alle 10.30 vedo che arriva il rancio; contento assai perché vedo che dalle marmitte sorte del fumo e penso che mangiando un po’ di detta minestra mi sarei riscaldato lo stomaco. […] Resto qui rinchiuso fino alle ore 4, a quest’ora arriva il secondo rancio e dopo averlo consumato, tutti possono sortire e passeggiare per la Città. Poco dopo che ero uscito trovo il modo di scrivere ai miei cari e mando a loro il mio indirizzo. Trovo anche tutti e sei miei paesani e tutti abbiamo qualcosa da dire, noi non siamo più 6 paesani o 6 semplici amici, ma ora siamo 6 fratelli, dove va uno andiamo tutti, uno dice una cosa e subito è ascoltato da tutti. Vado con loro per la Città […] Cammino e passeggio fino alle ore 9, a quest’ora suona la ritirata e tutti si devono ritirare nei nostri miseri alloggi. […] Il mattino del 16 molto per tempo, tutti in riga ma nessuno può sapere dove andiamo, poco dopo sentiamo che andiamo al deposito per ricevere i vestiti militari; difatti dopo una piccola passeggiata entriamo in una caserma e da questa in un grande magazzino, a terra allineati uno dietro l’altro si trovano tutti i pacchi già pronti, tutti ne prendiamo uno. Per la stessa strada ritorniamo nella stalla, fino alle 4. Tutti lavoravamo per mettersi a posto tutto il corredo ricevuto. […] Alle 4 il rancio e poi libera uscita. Vado direttamente in piazza perché qui avevamo l’appuntamento tutti 6 paesani, vedo Domenico e Fedele, […] e tutti ridiamo per come siamo vestiti […], ma il nostro sorriso non è un sorriso sincero, si ride per non piangere ma bisogna darsi co-


raggio e dimenticare ogni cosa. Tutti uniti si fa una passeggiata poi andiamo a bere un bicchier di vino così arriva l’ora che tutti dobbiamo entrare nei nostri alloggi. Il giorno 17 […] dopo il rancio tutti in riga e subito si parte e andiamo nella piazza del mercato per l’istruzione; la piazza è tutta coperta di neve e noi siamo coperti da un misero vestito di tela, per tre ore restiamo in questa piazza per imparare il passo, figurarsi se noi tutti uomini di 28-29 anni possiamo far attenzione e imparare il passo, il dietrofront e tanti altri esercizi che i nostri istruttori cercano di insegnarci. Dopo l’istruzione si rientra nella stalla, si riceve il solito rancio e poi la libera uscita. Oggi pure mi trovo con i miei paesani, con loro le solite passeggiate e poi di nuovo sulla paglia per dormire. Il 18 di nuovo in piazza per l’istruzione e così via fino al giorno 26. Il giorno 27, dopo il primo rancio si fa zaino in spalla e si sente che la mia compagnia è stata destinata ad andare avanti in distaccamento in un paese poco lontano dalla Città. Dopo che un ufficiale ha fatto la chiamata per accertarsi che nessuno mancava si parte per la nostra nuova abitazione, ora mi trovo assai contento perché tengo molta speranza che in distaccamento troverò una branda e qualche pagliericcio per poter riposare un po’ meglio. Arrivando a mezza strada il Capitano ordina dieci minuti di riposo e nel tempo stesso un caporale fa la distribuzione. Dalla porta sento chiamare anche il mio nome e direttamente vado da lui per ricevere una lettera a me indirizzata, dalla calligrafia vedo che è stata scritta da mia Moglie. In essa intesi che tutti i miei cari si trovano in ottima salute e che erano assai contenti di aver ricevuto mie notizie; ricevendo tale lettera mi trovavo più contento di prima così la marcia non mi era tanto faticosa, cammino assai volentieri e sempre penso a quanto trovai scritto in detta lettera. Dopo due ore poco più di marcia arrivo al paese che noi eravamo destinati, questo paese si chiama Boves, un paese che conterà circa 5mila abitanti. È un paese circondato dalle montagne tutte coperte di neve, mi sembra di essere arrivato in Siberia, un freddo che in vita mia non ne provai di simile. La popolazione di questo paese è formata di contadini e montanari, è un paese assai sporco, basta dire che tutte le famiglie d’inverno portano i letti nelle stalle e dormono con le bestie. Il caporale comandante la mia squadra è nativo di questo paese; così appena arrivato, con lui vado in casa sua, entro in cucina e vedo tutto in disordine,

tutto sporco, stracci e immondizie da tutte le parti, mobili non ne vedo, poi sempre in sua compagnia entro nella stalla vedo 4 vache, un po’ più avanti vedo un asinello, poi 6 pecore, un maiale e per ultimo un gran numero di galine e conigli. La stalla è buia e poco potevo distinguere. A un certo momento sento una voce di donna che chiama per nome il mio caporale, guardo in giro e subito vedo che vicino a me si trovano 4 letti lineati uno vicino a l’altro. A tale vista resto assai sorpreso non so cosa dire perché mai vidi cose simili. La voce che chiama il mio caporale era la voce di sua Madre che si trovava a letto, ammalata. […] Ritorniamo sulla via dove si trova la compagnia che si riposava per la marcia, subito si vede che essa viene divisa in 4 plotoni: il primo e il secondo partono da soli; io fui destinato al 4°, anche noi del 3° e del 4° si parte per una via opposta da dove erano andati i nostri compagni del primo e del secondo plotone, arriviamo vicino a una bella casetta di nuovo costruita e subito vedo che questa deve essere la nostra abitazione. Mi trovo contento perché questa è assai meglio della stalla da cavalli che abitavo in Cuneo. Dieci per volta entriamo in essa e tutti andiamo a prendere il nostro posto; questa non è una caserma con grandi camerate, ma una casa civile con piccole e belle camerette, in ogni cameretta si trova dei cavalletti e pagliericci. Io prendo posto in una di queste al 2° piano; nella mia stanza si trovano 6 posti e tutti vengono occupati dai miei amici; siamo assai contenti di essere tutti del Distretto di Sacile. Dopo che tutti si trovano al loro posto, fanno la distribuzione delle lenzuola e delle coperte, che però sono molto piccole e assai legere e subito prevedo che di notte si soffrirà dal freddo. Tutti lavoriamo per accomodare il proprio letto. Subito suona la tromba del rancio. […] Dopo il rancio l’uscita. Vado in paese che non si può vivere, tutto è caro, fa molto freddo, nelle osterie non si può entrare perché le tasche sono vuote; scrivere a casa perché mandino qualche cosa manca il coraggio, penso che la famiglia deve pagare pel mantenimento dei miei bambini e da essa poco devo sperare. Dopo aver comperato un folio di carta e una busta ritorno al mio quartiere, scrivo a mia moglie il mio nuovo indirizzo ma nulla le dico delle mie condizioni solo le dico che mi trovo assai contento di trovarmi in questo paese. […] Alle ore nove suona la ritirata e molti miei compagni si ritirano ubriachi; io invece ero già a letto perché, come già dissi, non avevo soldi per andare in loro compagnia. La vita in questo paese è molto faticosa. Alla mattina

Una veduta di Boves, «un paese circondato dalle montagne...».

Foto d’epoca della piazza di Boves in provincia di Cuneo.

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«LE MEMORIE» DI

Antonio Parmesan

molto presto suona la sveglia, poi si riceve un po’ di acqua calda che la chiamano caffè, poi direttamente in riga per l’istruzione interna e per qualche morale da un Ufficiale; alle ore 10 tutti pronti per l’istruzione principale, queste si fanno nella piazza del paese fra la curiosità di tutta la popolazione, si camina su e giù, a destra e a sinistra fino alle ore 2, poi si rientra in quartiere e si fa la pulizia personale e la pulitura delle armi. Alle domeniche abbiamo la libera uscita anche dalle 10 alle 12. Tutte le feste io vado in chiesa ad ascoltare la messa. […] In questo modo arriviamo al 5 dicembre: oggi si sente la sveglia più presto del solito e nessuno può sapere il perché; più tardi si può sentire che la Compagnia deve ritornare a Cuneo. Dopo il rancio, cioè dalle ore nove, tutti pronti per versare lenzuola e coperte, poi si parte e si ritorna al deposito, qui tutti siamo vestiti con la nuova divisa grigio verde, ora non mi sembra più di essere un buffo ma un vero fante. Dopo essere tutti pronti andiamo alla caserma Selutron (?), qui trovo che la stanza da letto è già pronta, cioè un po’ di paglia umida distesa sul duro pavimento in cemento. Restiamo in questa caserma per otto giorni anche qui si continua l’istruzione ma non più per le piazze e per le vie, qui andiamo in una gran piazza d’armi. Passati 8 giorni la mia Compagnia ritorna al suo distacamento in Boves, di questo tutti siamo contenti perché qui si dorme un po’ melio. […] Oggi è il 24 dicembre, la vigilia del Santo Natale. Al mattino non si vede il rancio, il pane meno ancora, vedo però un sergente che gira da un letto all’altro e a tutti viene portato via quel po’ di pane che le resta del giorno prima. Alle 11 arriva il medico da Cuneo e a tutti ci fa una puntura antitifica con l’obbligo di restare a letto e così anche il giorno di Natale. Qualcuno si sente la febbre e non può mangiare; a noi senza febbre ci portano un po’ di brodo. Così si passa il giorno di Natale. L’ultimo giorno dell’anno è uguale alla vigilia di Natale: senza mangiare per la seconda puntura. Il primo gennaio 1916, tutto il giorno a letto e senza mangiare perché io pure soffro per un po’ di febbre, in più il tempo fa aumentare il nostro male, perché la neve dalla mattina alla sera scende a larghe falde. [CONTINUA]

le foto dei nostri soldati

1915

I F R AT E L L I Z A M B O N C E P D I D A R D A G O La loro famiglia contava un bel numero di componenti. Padre, madre, otto figli e, come era costume in quell’epoca, anche i nonni. giovanni il primogenito (nato nel 1890) a 21 anni fu arruolato ed inviato in Africa sul fronte libico, successivamente allo scoppio del Primo Conflitto Mondiale richiamato in Patria e destinato al fronte isontino.

Luigi Zambon detto «Fedele Cep».

Il secondogenito Costante, nato l’8 agosto 1892, fu chiamato alle armi all’età di 23 anni e arruolato nei reparti di artiglieria pesante con prima destinazione nella zona di Tolmezzo. In seguito si spostò nel goriziano. Nell’autunno del 1917, in conseguenza alla rovinosa «rotta» di Caporetto, i reparti italiani furono costretti a ripiegare. Anche Costante fu destinato prima sul fronte dell’alto vicentino poi su quello del Piave. Luigi (nato l’11 settembre 1896) a vent’anni fu arruolato anche lui in artiglieria pesante con mansione di capo pezzo. Combattè prima sulle alture del Carso poi – dopo Caporetto – sul fronte del Piave. E, dopo un lungo periodo di lontananza, fu proprio su queste sponde che Costante e Luigi poterono ritrovarsi. La sorte non solo riservò loro la sorpresa dell’incontro, ma addirittura anche quella di vedersi assegnati allo stesso pezzo di artiglieria! Mancava solo Giovanni perché era stato fatto prigioniero dagli austriaci nell’autunno del 1917. Al termine del conflitto i tre fratelli – rientrati a Dardago – poterono nuovamente riabbracciarsi e riunirsi alla famiglia. (informazioni e foto ricevute da Aurelio e Nives zambon Cep, rispettivamente figli di Luigi e Costante).

Costante Zambon detto «Guerrino Cep». Cavaliere di Vittorio Veneto, mutilato di guerra, insignito con Croce al Merito di Guerra. Sopra. Costante in uniforme durante il periodo bellico.


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