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Periodico della Comunità di Dardago, Budoia e Santa Lucia

Supplemento speciale a l’Artugna per i suoi 100 numeri

Supplemento a l’Artugna, anno XXXII, numero 100, dicembre 2003. Spedizione in abbonamento postale art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone.



...fecce gran montana et... Nel mezzo del cammin della mia vita... mi ritrovo ancora una volta ad essere sottoposta – in occasione della mia centesima uscita – a festeggiamenti, a ricordi, a riflessioni, a proposte per il mio futuro. Ancora una volta le care voci dei lettori parlano di me, della mia storia, del mio percorso sul filo di carta. Si sono scomodate autorità ecclesiastiche e civili, da S. E. mons. Ovidio Poletto, Vescovo di Concordia Pordenone, al sindaco di Budoia, Antonio Zambon; dai sacerdoti che hanno condiviso le comunità in questi 33 anni della mia vita – mons. Giovanni Perin, don Franco Zanus, don Italico Gerometta, don Adel Nasr, ai miei fondatori, allora giovani – Sante Ugo Janna Tavan, Vittorio Janna Tavan, Pietro Janna Theco, Euridice Del Maschio, Rino Zambon Sartorel, Ugo Zambon Pala, Giacomo Del Maschio. Non si sono dimenticati della ricorrenza alcuni dei miei affezionati collaboratori – Fabrizio Fucile, padre Rito Cosmo, Adelaide Bastianello – e la redazione giovanile del ‘l Cunath con Marta Zambon. Ovviamente non mancano le opinioni dei miei conduttori: Roberto Zambon, Vittorina Carlon e Vittorio Janna. Continuo a far «montana», perché vissuta in simbiosi con il torrente da cui prendo il nome, manifesto da sempre le sue stesse caratteristiche naturali: a volte una travolgente ed impetuosa ondata d’informazioni, altre volte un lento, calmo e quasi flemmatico defluire in piccoli rigagnoli, ma pur sempre viva. Nel biancore del mio letto confluiscono generose acque che spaziano da... ...dallo spirituale all’ecologico-ambientale, per uno stretto rapporto con il Creato; ...dalla biografia alla genealogia, per la sfera dei sentimenti; ...dalla storia all’etnografia alla lingua, per rafforzare la nostra identità; ...dall’arte alla musica, per elevare il gusto estetico; ...dall’attualità alle voci comunale e associativa, per discutere e ricordare.


...dallo spiri alI'ecol per uno Ovidio Poletto, Vescovo CARISSIMI, il centesimo numero del vostro periodico «l’Artugna» merita di essere festeggiato, come traguardo significativo che è stato raggiunto. È come «il giornale di bordo» del cammino delle vostre comunità di Dardago, Budoia e Santa Lucia. In esso vengono regolarmente registrati fatti, episodi di vita, eventi che, altrimenti, rischierebbero di andare presto dimenticati. È invece cosa molto saggia conservare la memoria della storia quotidiana delle nostre comunità. La storia è sempre maestra di vita. E poi un giornale come il vostro è strumento di dialogo, che favorisce la crescita della conoscenza reciproca e rafforza i vincoli che ci uniscono. È sempre da favorire tutto ciò che crea amicizia, che ci avvicina gli uni agli altri. Penso anche che leggendo il vostro periodico avete l’opportunità di sentirvi coinvolti nel cercare di dibattere i problemi che possono interessare il futuro delle comunità e cercare insieme la soluzione. Esprimo perciò il mio apprezzamento e il mio incoraggiamento a quanti fanno parte della direzione, redazione e amministrazione de «l’Artugna».

Auguro loro di poter continuare quest’opera con entusiasmo e soddisfazione. So di poter affidare loro un mio desiderio: fate che il vostro periodico tenga viva le convinzioni cristiane che sono il fondamento della nostra cultura e danno la sapienza necessaria per essere uomini e donne di coscienza solida. Tenete in evidenza le buone tradizioni che sono un patrimonio irrinunciabile delle nostre terre. Colgo l’occasione per augurare buone feste a ciascuno di voi, alle vostre famiglie e a quanti sono partiti come emigranti per cercare lavoro e benessere, ma conservano un legame carico di affetto con la terra delle proprie origini. Su tutti invoco la benedizione del Signore.


tuale ogico·ambientale stretto rapporto con il Creato Antonio Zambon, sindaco UN TRAGUARDO PREZIOSO Cento numeri de l’Artugna, un traguardo prezioso non solo per i redattori e la Comunità di Dardago, Budoia e Santa Lucia, ma per il territorio. Una rivista puntuale ed attesa dai nostri cittadini, dagli emigranti e dai ricercatori. Nasce come bollettino parrocchiale, ma sa distinguersi proponendo storia, cultura e tradizioni della nostra vita pur non discostandosi dagli obiettivi per cui è nata. Ha saputo evidenziare e conservare passaggi importanti della nostra parlata, ricercare e scavare negli archivi, pezzi di storia che hanno dato valore alla comunità budoiese. Ha avuto la capacità di essere riferimento per tutti coloro i quali ritenevano valori importanti gli oggetti usati dai nostri antenati, le caratteristiche dell’ economia contadina, dei malghesi, l’uso del territorio, dei riti e delle consuetudini. Molti sono stati gli esperti che hanno collaborato e la forza delle informazioni prime è sempre stato il rapporto stretto con i paesani chiunque essi fossero con l’obiettivo lungimirante di salvare pezzi di storia, identità ed entusiasmo verso nuove ricerche. Oggi tutto questo è un valore.

È cresciuta la consapevolezza dell’importanza dei nostri luoghi, della necessità del rinnovamento, ma con il legame ed i collegamenti alla tradizione. Nell’arco alpino e nell’Unione Europea tutto questo oggi è ricercato e sostenuto con progetti. Noi, grazie al lavoro de l’Artugna, possiamo dire di vivere in un paese che ha una storia i cui riferimenti li possiamo trovare non solo camminando nel paese, ma anche nelle numerose ricerche pubblicate o nel molto lavoro che giace archiviato in attesa di essere completato. L’Artugna ha organizzato grandi

mostre ed incontri di rilievo, che hanno riscontrato notevole interesse, assieme ai numerosi testi editi in collaborazione con la Filologica Friulana. Un patrimonio importante e disponibile per il nostro Comune, che va a beneficio di tutti, che contribuisce a migliorare la qualità della vita, evidenzia le qualità ambientali, culturali e le tradizioni di una comunità che, con l’arrivo di molti nuovi residenti, è divenuta sempre più vivace ed attiva e sa rinnovarsi nel segno della nostra identità.


Roberto Zambon

E SONO 100! Non so se don Giovanni e il gruppo che «fondarono» l’Artugna nella primavera di 31 anni fa avrebbero mai pensato che la loro creatura sarebbe arrivata al 3° millennio e che in occasione del Natale 2003, sarebbe uscita con un bel numero tondo tondo, 100, stampato sulla copertina a colori. Eppure ci siamo arrivati. Questo è proprio il numero 100!

nostro operare e il nostro affannarci. «La c’è la Provvidenza» fa dire il Manzoni al povero Renzo. In questi anni, anche l’Artugna l’ha sperimentato. Più di qualche volta un’offerta imprevista o un contributo inatteso ci hanno permesso di proseguire le pubblicazioni. Grazie, poi, alle decine e decine di collaboratori sui quali il nostro periodico ha potuto contare. Il loro prezioso lavoro ha consentito a l’Artugna di

...dalla biog alla per la sfera dei sentimenti Sto sfogliando i primi numeri in cerca di un’ispirazione per questo articolo. Le pagine sono un po’ ingiallite a causa della patina dei tanti anni passati. Leggo qualche articolo, osservo le foto: quante emozioni! 100 numeri, 32 anni di pubblicazioni sono veramente tanti. Sono molti i sentimenti che vorrebbero trovar posto in queste poche righe ma voglio soffermarmi sui primi tre che ho subito avvertito scorrendo le tante pagine pubblicate: gratitudine, soddisfazione e rammarico. Gratitudine. Dobbiamo dire grazie a tanti. Innanzi tutto, grazie e lode al Signore; senza di Lui vano sarebbe il

raggiungere la qualità da tutti riconosciuta. Molti collaboratori non sono più tra noi. A loro, il nostro grato ricordo e per loro, la nostra preghiera. Se l’Artugna è ancora viva dopo 31 anni lo si deve, però, alla generosità e all’affetto dei numerosissimi lettori. Il periodico è gradito a Dardago, a Budoia e a Santa Lucia, ma lo è ancor di più da quanti lo ricevono lontani dal loro paese. Un’anziana lettrice, un giorno mi disse: «Quando arriva l’Artugna, respiro l’aria di Dardago e mi par di ringiovanire». Un sentito grazie lo rivolgiamo anche alle amministrazioni pubbliche, Comune,


Provincia e Regione che con il loro contributo, ci danno una mano a risolvere i nostri problemi finanziari. Grazie, infine, alle Associazioni locali, in primis la Pro Loco, con la quale in più di un’occasione abbiamo collaborato per la realizzazione di importanti progetti culturali.

l’entusiasmo iniziale cominciò a diminuire e il gruppo si ridusse a un paio di persone. ’l Cunath non venne più pubblicato. È un vero peccato: saremo capaci, un giorno, di riaccendere l’interesse dei giovani? L’Artugna ha goduto del sostegno incondizionato di tutti i sacerdoti che si sono succeduti alla guida della pieve. Li ringraziamo, tutti, di cuore: Don Giovanni, il padre di questo periodico, da lui condotto per ben 49 numeri; Don Bruno che ha seguito la parrocchia per

mancano i soldi, altre volte si sente il bisogno di qualcuno che ci dia una mano. Non sempre abbiamo saputo coinvolgere un maggior numero di persone in questa bella impresa. Dieci anni fa, una ventata di giovinezza pervase la redazione, quando un nutrito gruppo di giovani si incaricò di realizzare il bell’inserto che chiamarono ’l Cunath. Poi, per svariati motivi,

rafia genealogia Soddisfazione. È umano essere soddisfatti quando si raggiunge un traguardo importante, specialmente se, per arrivarci, talvolta si è dovuto lottare per superare non poche difficoltà. Era un traguardo al quale molte volte, negli incontri di redazione si guardava con una certa incredulità: «Chissà se ci arriveremo!». Il numero 100 è stampato, siamo contenti e ora che questo traguardo è stato raggiunto possiamo guardare avanti. Infine un sentimento di rammarico per tutto ciò che in questi anni non abbiamo potuto o saputo realizzare. Le idee sono sempre tante ma non sempre si possono concretizzare. Talvolta non c’è il tempo, spesso

qualche mese nel 1987 e di cui abbiamo un grato ricordo; don Franco, pievano per undici anni dal 1987 al 1998; don Italico, il primo sacerdote contemporaneamente parroco di Budoia e pievano di Dardago e, naturalmente, don Adel. Grazie anche ai due parroci storici di Budoia e di Santa Lucia, don Alfredo e don Nillo, per il loro sostegno e la loro collaborazione. ***

L’Artugna continua il suo corso. La strada è difficile ma non vogliamo perdere la speranza che nuove forze si uniscano alle nostre per proseguire più facilmente il cammino e raggiungere, così, altri traguardi.


...dalla storia all’etnogra mons. Giovanni Perin l’ARTUGNA TIEN SU LA VITA Un paese può vivere anche senza il suo giornalino. Questo è certo. I suoi avvenimenti, le feste, i dolori e le conquiste sono lì, dentro, come in una giungla. Bastano però pochi anni e tutto viene cancellato: case, volti, ricordi e tesori. Che peccato! E tu quasi non esisti più. Che terribile tristezza fa quando si viene a sapere di una persona che a causa di qualche vuoto esistenziale non ricorda più il suo nome nè quello del suo paese e non riconosce più il volto di sua madre o delle persone più care e amiche. l’Artugna è come un ruscello fedele, calmo, colto, cristiano. Rianima le radici, fa rinverdire il coraggio, le speranze, la stima, la solidarietà negli avvenimenti lieti e tristi della grande famiglia che è il paese. Nei suoi 100 numeri tutto questo ha fatto accanto alla sua gente curando tra l’altro alcune straordinarie edizioni a carattere storico, culturale e ambientalistico.

La Redazione (con i vari collaboratori e sostenitori residenti o emigrati nel mondo) è – senza far nomi – piena di coraggio, fantasia e generosità. Tiene a servizio di tutti una memoria sana ricca di proposte per il presente e per il futuro del paese. Il suo nobile segreto forse può sintetizzarsi così: rivedere per rivivere, rivivere per ripartire. Così l’Artugna tien sù la vita del paese. Vi par poco? Bravissimi i Redattori. In tempi poi di abbandoni e furbizie sarei anche curioso di sapere chi è che li paga. Io credo proprio che solo Dio lo sa.

don Franco Zanus UN MOTIVO DI LEGAME E DI FUSIONE Prima di tutto: rallegramenti! Un bellissimo periodico di cosiddetta stampa locale, ben fatto e ben curato con tanto amore dai redattori e sempre atteso dai lettori, ai quali ha recato notizie utili, storia, cronaca narrata con fine positivo, e soprattutto evidenziato l’impostazione di Fede. Per noi «parroci» è stato di grande

aiuto, e per i Dardaghesi, Budoiesi e Santaluciesi, un motivo di legame e di fusione preparatoria all’unità pastorale, tanto necessaria in questa situazione religiosa. Non sto qui a ricordare i miei undici anni, che avrei desiderato prolungare almeno fino al 75° anno d’età, come indicato dalle disposizioni dei nostri Superiori, e se Vi ho lasciato, non l’ho fatto altro che per lasciare spazio, e concretizzarla, a quella proposta dell’unione delle «parrocchie vicine», come in parte poi è avvenuto. Ringrazio i giovani de «’l Cunàth» che, nel numero 85 de «l’Artugna», hanno voluto dedicarmi un pensiero ed assicuro loro che non li ho mai dimenticati, come non ho dimenticato Dardago. Ho qui davanti a me la raccolta di tutti i numeri: dal 51 dell’agosto ‘87 all’84 dell’agosto del’98, nei quali ho partecipato con la «Lettera del Plevan» e con relazioni parrocchiali riguardanti anche i molti lavori, svolti insieme, tante gioie e sofferenze, che fan parte della vita quotidiana. E ormai giunto ad una certa età e a cinquant’anni di sacerdozio, quindi da «buon nonno sacerdote», che giudica le cose ormai passate con criteri d’esperienza, colgo l’occasione per augurare 100 anni di vita al simpatico periodico, tante soddisfazioni


fia, alla lingua per rafforzare la nostra identità ai redattori, ed, a tutti, i miei più cari e sentiti auguri di Buone Feste, Buon Anno e soprattutto «Buon Natale», come ho scritto nel numero 73 (non perché 73 sono anche i miei anni) rivolgendomi in modo particolare alle famiglie. Il Signore e la Beata Vergine Vi benedicano e vi accompagnino sempre!

Comunità di Dardago, Santa Lucia e Budoia. Questo impegno e questo merito è reso ancor più grande dal messaggio cristiano, essendo «l’Artugna» nata nel seno della Parrocchia. Il «nostro» Periodico continuerà ad essere grande con l’aiuto di Dio e con la collaborazione di tutti e di ciascuno. Uno strumento che aiuterà a non dimenticare le nostre radici cristiane, in un mondo, a volte, secolarizzato e

don Italico Josè Gerometta STRUMENTO PER NON DIMENTICARE

Ricevo ed accolgo con infinita gioia la notizia relativa al felicissimo traguardo del Periodico l’Artugna: numero 100. Mi unisco molto volentieri alle tante espressioni di auguri per la lieta ricorrenza e alle congratulazioni per l’impegno che sempre hanno dimostrato quanti da molto tempo lavorano per sostenere quest’«opera». Il gruppo della Redazione, unito sempre ai sacerdoti, ha dimostrato competenza, professionalità ed entusiasmo. l’Artugna ha ormai una «storia» da raccontare e per questo merita rispetto, come i nostri anziani, custodi viventi del nostro passato e delle nostra storia. Inoltre, questo Periodico ha sicuramente contribuito a «fare storia» delle

lontano da Dio. È il messaggio che ama ripetere il Santo Padre Giovanni Paolo II, indirizzandosi alla nuova Unione Europea. Auguri a te, Artugna. Mi è gradita l’occasione per formulare agli amici della redazione gli auguri di Buon Natale ricco di Grazie. Il nuovo anno porti a tutti tanta Pace, Serenità e Gioia, a voi e ai tanti collaboratori. Un ricordo speciale ai miei confratelli Sacerdoti. A tutti i lettori un saluto e rinnovo gli auguri per le feste natalizie. Da qui, dalla Spagna, terra di Maria Santissima, come la salutò il Papa nell’ultima Sua visita, vi prometto la mia Preghiera.

don Adel Nasr UNO SCRIGNO PIENO DI GEMME l'Artugna ha raggiunto i 100 numeri. 32 anni di pubblicazione sono un lungo periodo che ha abbracciato una fetta della nostra storia. l'Artugna: un mezzo di comunicazione prezioso che solidifica l’identità della nostra comunità; un mezzo di comunione che mantiene viva la memoria di un passato che descrive la vita di una volta. Con le tre edizioni annuali rende i lontani e i vicini in grado di partecipare alla vita attuale dei nostri paesi. Possiamo dire che il nostro giornale svolge un compito particolare e sincero perché porta in sé la situazione vera della sua gente, momenti di gioia e di dolore. Voglio ringraziare con tutto il cuore la redazione. Spero che questo strumento importante possa continuare ad essere un elemento di comunione fra la nostra gente. Pensando a l'Artugna immagino uno scrigno pieno di gemme, accessibile a tutti.


CENTO NUMERI DOPO...

Sarebbe il caso di iniziare alla maniera di certi romanzi dell'800: «il viandante che si fosse trovato a passare per la piazza di Dardago il......dell'anno di grazia 1971 avrebbe notato sul sagrato della chiesa il pievano Don Giovanni Perin, attardarsi dopo la Santa Messa, a parlare con alcuni giovani; se il medesimo viandante si fosse avvicinato al gruppo avrebbe potuto cogliere parte del discorso in atto: Don, non si può chiamarlo ancora Il Buon Pastore o La Voce del Buon Pastore o magari La Voce di Santa Maria Maggiore, siamo nel 1971 ci vuole un nome che, nella sua concretezza e concisione, sia un marchio di Dardago. Non ho molta fantasia, ma l'altro giorno mi è capitato fra le mani «Il Colvera» perché noi dobbiamo essere da meno, l'Artugna è un nome nostro, indica Dardago e la sua gente.» Ho sintetizzato, ma così nacque il nome del nostro periodico. Ho riletto il primo numero ed il mio primo articolo, beh per dirla con i giovani del 2003, «un po' me la tiravo». Devo comunque convenire che i principi espressi: famiglia, valorizzare la comunità, confronto civile delle proprie opinioni, sono tutt'ora validi ed immutati nel tempo. Se ti volti indietro pare di essere passati dall’aratro a chiodo al jet in un lampo, tutto ha preso ritmi esasperati: il lavoro, il gioco del calcio, la carriera, i rapporti umani (anche quelli sono ormai «mordi e fuggi»), ma quei principi base sono ancora là, immobili come le crode dell'Artugna e ti rendi conto che volerli stravolgere con ritmi e modi esasperati conduce solo alla incomprensione reciproca.

Anna Pinal

Sante Ugo Janna

Intendo dire che le regole base in una famiglia restano immutabili: rispetto del coniuge, dedizione ai figli... La comunità, molte volte pettegola, si diverte sempre e comunque solo a criticare chi fa e chi non fa, ha comunque tenuto vivo uno strumento di comunicazione che, oso sperare, altre comunità ci invidiano. Il confronto civile delle proprie opinioni va stimolato, non basta mandare l’offerta di dieci o venti euro e scrivere «continuate così» che sicuramente è buona cosa, ma bisogna scrivere proponendo soluzioni, chiedendo spiegazioni, magari mandando articoli e foto di dove si vive, o in alternativa raccontando le cose dei tempi andati. Comunque retorica e piaggeria a parte lasciatemelo dire, aveva ragione Don Lozer che già sul numero due dell’Artugna scriveva in modo schietto «così si fa» ed è veramente un orgoglio ritrovare sempre, ogni tre mesi, l'Artugna fresca di stampa.

CRODE, CIASE, DHENT

Artugna, che nome favoloso, di noi dice tutto. Esagerando un po’, è come il Mississippi per gli Americani, o il Danubio per i Viennesi, o la Senna per i Francesi. Anzi, dice di più. Perché quei fiumi sono fiumi in piena regola. L’Artugna invece ha due nature: acqua rabbiosa e travolgente nei periodi piovosi, secca e smagliante come una vetrina di coralli bianchi, per il resto del tempo. L’Artugna ha tenuto a battesimo la nostra rivista a cui ha dato il suo nome, sostituendosi al Buon Pastore, il notiziario parrocchiale di Don Nicolò. Ora l’Artugna, quella di carta, compie cento numeri. È il contenitore dove spesso si scrive di sassi e si vedono crode che fanno da contorno alla nostra vita: nel paesaggio, o accanto ai personaggi che hanno lasciato una scia di ricordi, o lungo le strade... A forza di osservarli quei sassi, hanno fatto tornare la voglia dei muri con le crode in vista. Così hanno fatto apparizione antiche facciate rustiche, con la loro misteriosa bellezza, libere da intonachi poveri e inutili. Abbiamo rivisto crode ben allineate, martellate, squadrate con arte; a volte anche spaiate, diseguali, con una composizione più eccentrica. I nostri


antenati sono andati a prenderle nell’Artugna, le hanno scelte della misura giusta, una per una, le hanno collocate e calcificate con perizia, saldate l’una all’altra a prova di terremoto. Oggi è il caso di ringraziare tutti coloro che hanno affrontato costi per ripristinare le vecchie facciate «a croda viva». È un dono fatto agli occhi di tutti, anche ai passanti più frettolosi che attraversano i paesi correndo in automobile. Notano lo stile di quelle architetture quasi fossero ingrandimenti di riproduzioni dell’Artugna. Quell’Artugna che inizia dai gravons della Val Granda e scende giù per chilometri. Suggerisce l’idea di una robusta pacca inferta alla catena montagnosa, un solco che precipita verso di noi a portarci acqua e pietre smussate e tondeggianti e bianchissime.

trovare un nome, una linea da seguire, gli argomenti da trattare; ricordo l’ansia del primo numero, la trepidazione per come ci avrebbero accolto. Ci è andata bene se oggi esce il numero 100. Un grazie a coloro che caparbiamente anche tra molte difficoltà hanno continuato e un doveroso ricordo a quelli che non ci sono più.

Pietro Janna RICORDI

Euridice Del Maschio Ha l’Artugna 100 numeri e con i suoi cento numeri sono passati ben 32 anni... Eravamo giovani, allora, e carichi di entusiasmo, di desiderio di fare qualche cosa per la nostra comunità, di contribuire alla sua crescita culturale attraverso la piccola storia dei paesi, della sue genti, dagli insegnamenti che ne derivavano; volevamo essere anche elemento propulsore di sviluppo, volevamo soprattutto dare voce ai residenti, ai giovani, agli emigranti... non so se l’Artugna ci è riuscita, forse sì, se oggi conta 100 numeri e 32 anni di vita... Ricordo le lunghe serate trascorse in canonica, allora luogo di ritrovo, per

PERCHÉ NON FACCIAMO UN GIORNALINO? Cento numeri? Quanti anni? Non voglio fare il conto. Mi sembra ieri, si dice sempre così. Ecco le immagini, centinaia di flash in sequenza, qualcuna nitida, tante sfumate. – Perché non facciamo un giornalino? – disse qualcuno in uno di quegli incontri in parrocchia in cui ci si raccontava... Artugna o Ortugna? Il nome fu un «problema». E nacque l’Artugna, scelta col cuore.

Che don de là de l’Artugna oppure don a vede la montana in te l’Artugna mal si conciliavano con Ortugna. Ortugna, con tutto il rispetto, non ci apparteneva proprio. E tanta longevità che sia perché sei rimasta fedele a te stessa? Mi piace crederlo. Insomma ti meriti proprio questo traguardo centenario! Auguri l’Artugna e... al prossimo!


Rino Zambon Sartorel

ERA PIACEVOLE...

ARTUGNA! Nominare il torrente Artugna ai Dardaghesi è come spalancare ricordi, storie ed avventure vissute; raramente qualcuno non ne ha. Nella realtà l’Artugna è stata un punto di riferimento per tutta Dardago avendo dato i propri sassi per la costruzione dalle case fino a non molti

anteprima, ma la felicità erano i ringraziamenti che arrivavano in redazione dalle città, dall’Italia e dai vari paesi del mondo, dai nostri paesani. Era una soddisfazione! Penso anche ora. Devo fare i migliori auguri di buon lavoro e i miei complimenti alle persone ancora presenti dalla nascita de l’Artugna fino ai nostri giorni. Grazie.

...dall’arte alla per elevare il gusto estetico

anni fa. Quanta fatica. Non molti anni fa è nata un’altra «Artugna» il periodico della comunità di Dardago. Dalla sua nascita sono sgorgati la bellezza di 100 numeri. Anche questo periodico è un punto di riferimento, di ricordi, storie ed avventure, ma il bello del periodico è che tutti questi scritti rimarranno negli anni futuri una splendida realtà. Vi devo dire che alla nascita del periodico ho collaborato per l’impaginazione degli articoli e per la correzione delle bozze. Quante ore serali per far nascere il periodico da numero a numero, per Natale, Pasqua e Ferragosto. Era piacevole conoscere i vari argomenti che venivano trattati in

Ugo Zambon Pala ATTRAVERSANDO LA NOSTRA PICCOLA STORIA Ciamìna, ciamìna... il nostro periodico l’Artugna ha raggiunto quota 100. Una bella soddisfazione e uno stimolo forte a continuare. Se andiamo a rileggere la presentazione in quella lontana Pasqua del 1972, notiamo una certa qual trepidazione per l’impegno assunto e l’ambizioso progetto di raccontare la vita della nostra comunità, partendo


Giacomo Del Maschio dalle radici contadine e seguendola passo passo lungo le grandi trasformazioni della società. Erano pochi i «portatori» alla partenza, ma alla guida della cordata un prete giovane dalle idee chiare e ben determinato, capace di trasmettere tanto entusiasmo. Nel passato, i nostri avi hanno ricavato dal torrente omonimo i sassi che danno solidità e forma alle ciàse di Dardago, Budoia e Santa Lucia nonché la forza

QUANTI ANNI SON PASSATI… Lo conosco da trentadue anni e, anche se ha fatto cento, certo non lo dimostra, è il nostro periodico l’Artugna. Sempre attuale e disponibile a cogliere gli avvenimenti, i racconti, i ricordi delle nostre tre comunità: Dardago, Budoia e Santa Lucia. Mi piace sfogliare i primi numeri, che

musica morale per costruire attorno alla glésia quella coesione che ha unito uomini e donne, abituati da sempre a convivere con le fatiche e i sacrifici. Ripercorrendo a ritroso l’oramai lunga e meritoria narrazione del nostro giornale, ritroviamo con struggente nostalgia e, messi nella dovuta evidenza volti, personaggi, avvenimenti, tradizioni, arte, cultura e dialetto di questi ridenti paesi ai piedi delle Prealpi del Friuli Occidentale. Ci auguriamo che l’Artugna continui a far sentire la propria voce, vicino e lontano, come una montàna spumeggiante e contribuisca a mantenere vive ed accoglienti le contrade della nostra comunità.

odorano quasi di antico, ripercorrere il passato, rivedere foto invecchiate, leggere vecchi racconti un po’ ingialliti, nascite, matrimoni e riscoprire momenti della nostra storia forse un po’ dimenticata e così, tra un po’ di

nostalgia e un po’ di tristezza, mi accorgo che son passati tanti anni. Forse in quel lontano 1971, privi di esperienza e forse inconsapevoli, abbiamo dato vita ad una felice storia che si tramanda nel tempo e tutto ciò che permane negli anni diventa tradizione e il periodico l’Artugna ne è una evidente e bella realtà. Grazie alla passione di tutti coloro che si sono interessati negli anni a vario titolo, ma soprattutto a coloro che, nonostante le quotidiane difficoltà riescono a darci oggi una pubblicazione ricca e completa. Buon lavoro e tanti auguri di Buon Natale a tutti.


...dall’attualità alle comunale e per discutere e ricordare

Marta Zambon UNDER 21 CERCASI Non si direbbe ma sono ormai passati dieci anni. Tutto cominciò una sera d’autunno in canonica a Dardago. Un bel gruppo di giovani, senza dubbio una quindicina, era attorno ad un tavolo ad ascoltare dai componenti della redazione de l’Artugna come nasce un giornale, dalla raccolta degli articoli, alla loro composizione, all’impaginazione e alla stampa. Sì, le basi c’erano… poteva nascere ‘l Cunath, che uscì ufficialmente con il primo numero nell’aprile 1994.

All’inizio erano sempre molti i ragazzi che partecipavano alla «redazione giovanile», così tanti che era impossibile coinvolgere tutti, e qualcuno trovava più opportuno giocare a calcetto. Pian piano il numero è calato, raccogliere gli articoli diventava sempre più faticoso, sembrava di chiedere un favore personale. Alla fine i pochi rimasti hanno pensato che tanto valeva scrivere direttamente ne l’Artugna, visto che tra l’altro non avevano l’elisir dell’eterna giovinezza. E così… ‘l Cunath è rimasto in secca. Si dice che la popolazione del comune di Budoia sia aumentata, ma questo è un dato anagrafico. Senza voler generalizzare, guardando la partecipazione alla vita associativa si fatica a cogliere questa crescita: oltre a ‘l Cunath, lo sanno bene il coro parrocchiale, il gruppo Artugna, i catechisti e altre associazioni. Dove sono gli under 21? Il fatto è che ognuno è preso dai suoi affari personali. Questa non è una polemica: forse è la nostra epoca che ci coinvolge con la sua frenesia, senza lasciarci il tempo di guardarci intorno, di accorgerci che dove viviamo c’è una comunità, una comunità che vorrebbe essere famiglia, in cui c’è spazio per tutti, per valorizzare le caratteristiche diverse di ognuno. In un certo senso allora l’uscire e il partecipare possono diventare una medicina, consentendo di allargare i propri orizzonti, di sentirsi più utili e


Fabrizio Fucile

voci associativa

completi… Gli ambiti in cui entrare sono molti, basta voler scegliere: la porta è sempre aperta, non solo per gli under 21. Tornando a ‘l Cunath, è stata senza dubbio una bella esperienza, durata una quindicina di numeri, che sicuramente ha regalato delle soddisfazioni, soprattutto quando si riscontrava che gli articoli erano letti e apprezzati. Ora ‘l Cunath non c’è più, ma l’invito agli under 21 (è solo un’età simbolica: è rivolto anche agli over) è sempre valido. Se il timore è quello di esporsi, nell’era di Internet è sufficiente un’e-mail alla redazione! …e chissà che prima o poi nuova acqua ricominci a scorrere ne ‘l Cunath.

CARA ARTUGNA TI SCRIVO... Amore a seconda vista Avevo solo nove anni e tu eri al quarto numero quando ti ho visto per la prima volta. La tua copertina a colori: un fuoco acceso sotto il paiolo della polenta, rito quotidiano di un tempo e ancora buona abitudine in qualche sera d’inverno. Non è stato amore a prima vista. Ai tuoi primi numeri, a casa mia, non ci avevamo fatto molto caso. Eri arrivata grazie alla nascita dardaghese di mia nonna Rosina ed eri stata accolta come un opuscolo al pari di tanti altri. Ignoravamo che avresti avuto un così lungo cammino. Non sei però mai finita nella carta da gettare e così, qualche anno dopo, con una curiosità più adulta, con un desiderio di sapere più maturo, ho cominciato a ricercarti in mezzo alle altre riviste inscatolate in solaio e ti ho rimessa in ordine, numero per numero, chiedendo in redazione i pochi che avevo smarrito e attendendo da quel momento in poi ogni tua uscita, ogni volta una nuova dispensa che nel tempo avrebbe contribuito a formare il sussidiario della mia terra. Per un ragazzino più attento al passato che affascinato dal futuro come ero io, sei stata un’affettuosa insegnante di tradizioni, di storia civile

e religiosa mescolata nella cronaca spicciola di preti e maestri, cornice per i profili dei nostri piccoli e grandi uomini, eroi e umili lavoratori. Nei primi anni sei stata essenzialmente pievana. A me, pur nato a Santa Lucia e lì cresciuto fino ad undici anni, non è mai stata estranea la vita della comunità di cui eri espressione, anche quella di molti anni prima. Il circolo delle dardaghesi che nei pomeriggi d’inverno cuciva nella mia cucina e nelle sere d’estate cercava il fresco attorno alla corrente creata da un portone spalancato, è stato il mio disco di storia paesana. «Te penseto?» il ritornello ricorrente, in una sorta di filò aggiornato, riveduto e corretto, dove l’udito assorbiva e la testa catalogava; orecchiavo e mettevo da parte, con quell’entusiasmo che spesso non abbiamo davanti ai libri, ma che si sprigiona per ciò che vogliamo veramente imparare. Si sono sempre stupiti i miei coetanei nel trovarmi così ferrato in modi di dire per loro astrusi (’l é vignut da Val de Croda, per indicare qualcuno che, invitato o in visita, non aveva portato nulla in dono), in quel mio sapere di persone scomparse da tanto tempo; capace di sgranare i santi del calendario e i detti a quei nomi associati, preciso nel riconoscere in quale paese stesse suonando un’Ave Maria. Con Te ho ripercorso questi personali momenti trovandone altrui testimonianze, un racconto dai contorni più definiti, un filo che riordinava gli eventi, un amore di radici finalmente condiviso.


Senza di te la storia degli ultimi trent’anni sarebbe stata la stessa, ma non avremmo oggi il piacere di leggerla con chiarezza, come osservare le foto di un album conservato con cura che si toglie dal cassetto e si sfoglia con gli occhi e col cuore, per vedere come eravamo. La storia maestra di vita: dalle piccole alle grandi imprese. La storia delle nostre associazioni, la vita pastorale, l’impegno sociale e politico della nostra gente, il rispetto della nostra lingua e della nostra tradizione sono testimoniati in questi 100 numeri. Auguri Artugna, e auguri a tutti i bambini, giovani di domani, di leggere un giorno quello che oggi non possono ancora vedere e capire, ma presto vorranno sapere.

ne siamo rimasti un po’ incantati. Anime estranee in cui, per un solo momento – ugualmente bello ed esclusivo – ci siamo imbattuti. Attraverso i tuoi loghi e il tuo inchiostro hanno aperto il loro cuore ed è stato per ogni lettore un segno di stima di ineguagliabile importanza. A gente furlana come noi, riservata e discreta, hai chiesto di scoprirci, e non lo avremmo mai fatto se tu non ce ne

Non è facile partire, nemmeno oggi che non è più necessario. Ieri, raggiungere Venezia, Trieste o terre più lontane per far soldi e mandarli a casa era quasi un dovere imposto da una spinta a trovare condizioni di vita migliori. Oggi i soldi si fanno qui. Siamo il cuore di quel nordest invidiato e sognato da molti

Protagonista di sentimenti Più grande ho voluto regalarti quello che umilmente ricercavo e desideravo condividere mettendo nero su bianco. L’entusiasmo delle prime indagini, di confrontare le fonti, di ragionare e di dare un organico sviluppo a quanto trovato. Talvolta sono stati i silenzi a parlare più che i documenti reali. Per uno che vorrebbe sempre capire il perché delle cose, espresso in modo chiaro e univoco, pungeva allora una piccola delusione. Ma se le testimonianze scritte sono quelle più avare, sono quelle umane che non hanno confini. Così ci hai regalato l’emozione di incontrare persone capaci di raccontarsi subito, di rivelare se stesse e le loro storie senza imbarazzo di sorta. Così si sono sentite di fronte a te e ai tuoi lettori, libere di esserlo per una spontanea fiducia nella possibilità di condividere e di confrontarsi. Nelle tue pagine abbiamo intravisto la luce dei loro desideri, lo stupore di interrogativi improvvisi, l’ansia del domani, il sapore dei loro rimpianti e

avessi dato la possibilità. Auguri Artugna, per le tue righe così vere, per aver dato spazio nelle tue colonne ad un sentire a volte scarno, ma sincero; per tutti i sentimenti di cui sei stata testimone, anche di quelli che solo tu e chi ti ha scritto sapete.

Sempre giovane e bella sarai Per tanti anni ho visto tramontare il sole dietro le nostre montagne; poi l’ho visto specchiarsi in laguna, dal Ponte della Libertà mentre in autobus tornavo da scuola. Ora lo vedo calarsi dietro il Gianicolo, nella città eterna.

altri italiani. Se prima emigrare era un’esperienza genetica, ora è quasi un colpevole abbandono. Per chi lascia la casa dove è nato, il coraggio e la fatica del distacco sono sempre gli stessi. È solo più repentina la scomparsa dell’orizzonte amico, dell’amata Val Granda. Un tempo lo sguardo volgeva iterato, con il collo torto fino a far male, dal carro del tramissier; poi col progresso, ad intermittenza, dai finestrini della corriera o della littorina in corsa. Ora se hai la fortuna di una giornata tersa, alzandoti in volo da Tessera o da Ronchi puoi ancora intuirla, ormai lontana per un’ultima volta. Ma differenza di mezzo non fa differenza di sentimento.


E arrivi tu, tre volte l’anno. Hai avuto anche questa grande missione, di venire a trovarci sparsi nel mondo. A volte ci sorprendi, ci fai sorridere. Altre ci preoccupi e ci rattristi. Sempre ci ricordi da dove veniamo e ce ne parli con voce amica. Oggi siamo emigranti speciali, non più quelli che partivano bambini e sentendo nella nebbia di Venezia il muggito dei vaporetti pensavano con un nodo in gola «senti, senti le me vacie!». Comodità, agio e telefoni ci permettono un quotidiano contatto con i cari rimasti in paese. Ma tu trovi sempre il modo per farci venir voglia di casa. A quei pochi che ancora se ne vanno. perché oggi c’è piuttosto un nuovo fenomeno: la gente arriva. Dopo più di un secolo di partenze, ci troviamo a fronteggiare un problema di vasta portata, come la politica delle immigrazioni, l’allestimento di adeguati servizi a grandi masse di arrivi, gli effetti della catena migratoria, il confronto e l’integrazione fra culture con valori e bisogni differenti.

Se la memoria e la consapevolezza della propria cultura costituiscono un rifugio sicuro e una lezione da cui trarre sostegno di fronte al cambiare del tempo, sono il progetto e la speranza nel futuro che ci permetteranno di crescere ancora. Cresci ancora, Artugna, spegni le tue 100 candele e ricomincia da 1, con una fiduciosa aspirazione alla tolleranza, all’accettazione del diverso, con la ricchezza dell’amore per le nostre radici che però oltrepassi la soglia di casa per aprirsi al mondo che sta oltre la collina. Così, amata Artugna, mantenendo vivo lo stimolo a ricercare il tuo passato, ma aprendo gli orizzonti delle tue pagine a nuovi confronti, al dialogo, al metterti in discussione, senza sentirti mai arrivata e stanca, sarai sempre giovane e bella, sempre in cammino, con l’ansia di nuovi traguardi, spavalda e mai paga di aver conquistato le tappe intermedie.

padre Rito Luigi Cosmo

Allora tanti auguri, cara Artugna, a non essere solo testimone nostalgica di un passato che tramonta, di suoni e profumi che non ci sono più o che non siamo più capaci di udire e sentire.

CARA ARTUGNA! Cara Artugna, che se vede ancora dopo un fià de temp che no la me rivava, a ricordar la dhent e i luoc sì cari, unlà che la vita nostra se passava.

Plase veder la storia dei lavori fati con arte e col pì grant amor, muciando i puoci schei che ognun dava, pa’ fà bela la casa del Signor.

Bela ’sta volta, fata coi colori e con notizie nuove ancor pì bele, co’ PADRE MARCO proclamàt beato, in tempi duri sempre a Dio fedele.

Me plas ància véde le bele foto, che ricorda persone a tuti care, un modo pa’ restà sempre leadhi e in ogni temp savesse sempre amà.

Quanta arte e che passion par nostre glesie, che dhent puoreta volea che fosse bele e grande e le impleniva a le funthiòn, co messe e vespri, funthiòn tanto bele.


Adelaide Bastianello GRAZIE... E TANTI, TANTI AUGURI, MIA CARISSIMA ARTUGNA! Una bella mattina ricevo una telefonata da un componente della redazione nella quale mi viene chiesto se mi piacerebbe esprimere un mio pensiero in occasione dell’uscita del centesimo numero de l’Artugna. Lì per lì sono rimasta un attimo perplessa, solo un attimo però, perché subito davanti ai miei occhi è apparsa la mia libreria dove, sistemati in bella mostra, ci sono i miei cinque bei volumi rilegati in rosso che racchiudono tutti i numeri de l’Artugna dal numero «primo» del marzo 1972 al 99° dell’agosto scorso. Lì c’è la mia storia, lì sono le mie radici, lì sono le mie certezze, lì c’è il mio cuore, lì sono i miei ultimi 31 anni di vita. In quei cinque volumi rossi trovo la storia di mio nonno, trovo le foto e le storie dei miei genitori, dei miei parenti, dei miei amici, trovo le morti e le nascite dei miei cari, trovo le feste e le manifestazioni importanti della mia chiesa e del mio paese. Nel leggermi forse penserete che avrei potuto evitare di ripetere in continuazione mio, mio, mio, ma questo è quello che effettivamente voglio dire: l’Artugna è appartenenza, è la nostra storia e quindi la mia storia. Se leggo Il Gazzettino o Il Corriere trovo notizie della mia città, notizie nazionali e internazionali, ma se leggo l’Artugna trovo informazioni e avvenimenti che sono accaduti nei nostri paesi non solo negli ultimi 30 anni, ma possiamo dire negli ultimi 200 anni. Ne l’Artugna troviamo alberi genealogici delle nostre famiglie che risalgono al 1700/1650, storie e racconti che risalgono ai primi del 1900 e oltre: tutte testimonianze tramandate da persone che molti di noi

hanno conosciuto, persone vissute in quell’epoca e molte delle quali ora non ci sono più. Per festeggiare questo «centenario» e capire quello che voglio dirvi, trovate un po’ di tempo e provate a riprendere in mano i primi numeri e via via venite in avanti, vi accorgerete che vi sembrerà di sfogliare un vecchio album di famiglia: rivedrete persone, rivivrete storie e avvenimenti che avete vissuto

voi stessi in prima persona, ma che avete dimenticato, perché così è la vita, perché gli anni passano e altri avvenimenti hanno scavalcato e superato quelli appena accaduti, ma l’Artugna è lì a ricordarceli, basta riprenderla in mano di tanto in tanto e tutto torna chiaro e nitido nella nostra memoria. Il primo numero è uscito in occasione della Pasqua del 1972 con un articolo di apertura di Sante Ugo Janna «Non deve essere un giornale di pochi». In questo articolo Sante Janna, meglio conosciuto come Santino, ci spiegava quali erano gli obiettivi de l’Artugna: il desiderio di valorizzazione, di arricchimento della nostra comunità


con la partecipazione di tutti. L’Artugna deve essere strumento di proposte, scriveva, di critica, di confronto e di dialogo per mantenere o creare un legame, un cordone ombelicale che terrà vicini e uniti i dardaghesi lontani con quelli residenti, i genitori con i figli, il mondo degli adulti con quello dei giovani. E questo per me è stato durante questi 100 numeri ed è tutt’ora l’Artugna! Credo proprio che abbia assolto in pieno il suo compito nel corso dei suoi anni. Tante cose sono accadute da quel primo numero del lontano marzo 1972: don Giovanni Perin, appena giunto a Dardago, insieme ad un gruppo di allora giovani ragazzi ha concepito l’idea di questo nostro periodico, l’ha fatto nascere e l’ha accudito per 14 anni; a lui sono succeduti don Franco,

don Italico ed infine don Adel. Il primo direttore fu Giacomo Zanchet, seguito poi da Roberto Zambon tutt’ora in carica. Certo l’Artugna non avrebbe potuto sopravvivere nel tempo se non ci fosse stato l’aiuto costante di un nutrito numero di collaboratori esterni che di volta in volta si sono avvicendati portando il loro aiuto, il loro contributo, il loro lavoro: non voglio farne i nomi perché sono moltissimi e certo ne dimenticherei qualcuno. Tantissimi articoli sono stati scritti, tante ricerche interessanti sono state pubblicate, moltissime interviste raccolte e poi poesie e cronache: uno spaccato di vita che rivela la cultura, l’amore, il carattere di un paese e della sua gente. Non tutto però è così semplice e facile: durante questi lunghi anni quante volte la Redazione ha temuto di non farcela! Quante volte ha avuto momenti di sconforto e la voglia di abbandonare tutto! Le difficoltà sono sempre dietro l’angolo, qualche volta sono mancati i soldi, qualche volta le energie, ma quello che ancora oggi crea più problemi è il tempo e la mancanza di collaboratori in redazione, perché non ho ancora detto che l’Artugna sopravvive di puro volontariato. L’Artugna viene pubblicata grazie a tre persone che compongono la redazione, che costantemente e con caparbietà e tenacia se ne occupano ormai dal 1986 quando cioè don Perin è partito da Dardago, lasciando nelle loro mani questa eredità. Ed essi in prossimità

delle uscite programmate: Pasqua, Ferragosto e Natale, si ritrovano dopo le normali ore di lavoro quotidiano, sacrificando, proprio perché sono solo in tre, i sabati e le domeniche e molte serate cercando di districarsi tra i vari impegni e difficoltà famigliari: il fatto è che l’Artugna è soprattutto cuore e affetto e, come dice un vecchio detto, al cuore non si comanda ed alla fine vince sempre; così come per miracolo l’Artugna riesce sempre ad andare in stampa. Ormai perfino lo stampatore sa che quando l’Artugna arriva deve avere la priorità assoluta su tutti gli altri lavori e la massima attenzione, perché l’Artugna deve uscire e uscire nei tempi programmati. E così tra difficoltà e sconforti, soddisfazioni e complimenti siamo arrivati al numero 100: trent’anni portati benissimo, cara Artugna, specialmente dopo la recente progettazione grafica che ha aggiunto qualcosa in più al piacere della tua lettura. L’augurio che voglio farti, è che tu possa continuare il tuo cammino per molti anni ancora, io ti aspetterò sempre con tanto affetto, curiosità e voglia di leggerti come ho sempre fatto in tutti questi anni e come so che hanno fatto tutti i tuoi lettori, in modo particolare quelli che ti leggono da molto lontano e per i quali tu sei e sarai il cordone ombelicale che li lega a questo nostro paese, perciò continua il tuo lavoro. Da queste poche righe io chiederò alla gente che mi legge e che può, siano essi giovani o meno giovani, che dedichino un poco del loro tempo a te, perché lavorare in una redazione, vedere come da una lettera, da un articolo, una ricerca e così via si arriva a comporre un giornale è veramente un’esperienza piacevole e stimolante.


Vittorio Janna Tavàn

Vittorina Carlon PER DAR VOCE ALLE COMUNITÀ Dal 1972 ad oggi, un prezioso mix di società dei nostri paesi è stato raccolto e custodito in circa 2700 pagine, colme di valori religiosi, etici e culturali tramandati attraverso testimonianze e ricerche, per far sì che non andassero dispersi il senso dell’identità, valore sempre più in precario equilibrio per la violenza massificante, e il conoscersi per farsi conoscere alle altre culture, per una conseguente convivenza. Il conoscere chi siamo, la scoperta da dove veniamo e il progettare dove andiamo, per un senso del radicamento e della continuità in una visione universale, hanno alimentato in dosi periodiche l’Artugna per 100 numeri. In certi momenti difficili, il gruppo redazionale si abbandonava allo sconforto, ma il tempo di stendere sul tavolo i contributi dei lettori o le fotografie, e immediatamente lo stato d’animo mutava. La redazione, pur ridotta numericamente all’osso, riprendeva forza e partiva, lancia in resta, per una nuova avventura che durava l’intero periodo di preparazione: dall’attività redazionale alla ricerca d’archivio, dallo scatto di un immagine alla ricerca di un’abile mano d’artista... Si può proprio parlare d’avventure, vissute con il cuore. L’entusiasmo accalorava gli animi; la

stanchezza della giornata lavorativa svaniva nel nulla e le forze rinvigorivano la mente fino ad ora tarda, non smettendo di pensare di dar voce alle comunità. Ogni numero si presentava diverso dal precedente. Mai era uguale. Come una nuova creatura, ogni volta assumeva caratteristiche differenti. Momenti di lunghi dialoghi si alternavano a profondi e riflessivi silenzi, alla ricerca di nuove dimensioni, di altre idee, di interpretazioni dell’animo dell’articolista per creare una pagina il più possibile confacente al contenuto, agli stati d’animo espressi, perché scrivere è pensare che il proprio pensiero sia letto e rimanga nella mente del lettore. Così per ogni pagina. Qualche volta ci siamo riusciti. Perché tutto questo? A domanda seguono ulteriori domande. Perché lasciare senza voce una comunità? Perché interrompere l’esigenza di tessere rapporti tra la gente anche quella lontana dalla sua terra natia? Domande che palesano risposte. Questa è la motivazione che ci ha spinto a proseguire nel cammino fino al 100° numero. Dal centunesimo confidiamo anche nei giovani, nella collaudata redazione de ’l Cunàth e in corrispondenti emigranti, responsabili di zona. Ciao, indimenticabile l’Artugna! Auguri di cuore per altri cento e più numeri.

99 RINTOCCHI, 99 COPERTINE E... UNA STRADA ANCORA TUTTA DA PERCORRERE Dardago, 12 dicembre 2003 Cara Artugna, intorno a me c’è silenzio. Fuori è buio totale; l’ora è tarda, sto aspettando la notte che precede il giorno di Santa Lucia. Ho promesso a me stesso e agli altri collaboratori della redazione di scrivere qualche cosa per il tuo 100° numero, perciò eccomi qua: dopo 32 anni, questa è la prima volta che ti scrivo. Per me questa è la notte delle riflessioni e dei bilanci e, se ci riuscirò, vorrei dirti tutto, tutto ciò che sento, ciò che ho provato e spero che alla fine, tirate le somme, il «bello» superi il «brutto», il positivo il negativo. Sì, perché purtroppo in tanti anni, non tutto è andato sempre bene: mi hai fatto vivere gioie autentiche e totali delusioni, esaltanti entusiasmi e profonde amarezze. In questo momento dentro il mio animo, dentro il mio cuore mi sembra di avere una polveriera pronta ad esplodere; c’è come un ammasso di energia che si è accumulata in 32 anni di vita vissuta accanto a te e che non si è mai sprigionata. Ciò nonostante ti sono stato fedele, sempre pronto a curarti, ad accudirti, a seguirti in tutti i tuoi cambiamenti, nelle tue difficoltà. Cara Artugna, hai sempre occupato un posto privilegiato nel mio cuore, ho dedicato moltissimo del mio tempo per seguire la tua crescita. Ripeto, sono qui per dirti tutto… ho quasi voglia di litigare come qualche volta succede tra marito e moglie, anche se poi, i due alla


fine si vogliono comunque bene. È la notte di Santa Lucia e umilmente chiedo ausilio alla santa della luce, affinché mi aiuti ad esprimere ciò che sento in modo ordinato evitando gli inutili «botti». Vorrei iniziare da… da quando sei nata, cioè dalla primavera del 1972. Allora eravamo – con il plevàn – in tanti attorno a te, giovani e forti; negli anni poi, uno alla volta, piano piano ha preso altre strade e ora... ah, scusa un attimo,… il silenzio, che prima mi avvolgeva, come d’incanto si è rotto e sento che dal campanile giungono i rintocchi delle ore. Aspetta… devo fermarmi ad ascoltare, perché tu sai che Dardago e le sue tradizioni hanno sempre la precedenza. Inizio a contarli mentalmente (questo fare l’ho appreso da mio nonno Sante) …10, 11, 12, è già mezzanotte! Fra poco, allora, dal campanile arriveranno altri 12 rintocchi per dirci che il giorno è definitivamente terminato. Nell’attesa trattengo il respiro, ecco che ricomincia… 1, 2, 3…… 11, 12. Ora la giornata è veramente conclusa. Il silenzio è nuovamente calato inghiottendosi anche l’ultima nota, ora posso riprendere con te il discorso che avevo appena iniziato. Devo riordinare le idee, perché così non si può andare avanti, cara Artugna, il tempo a disposizione per inventarti ogni volta è sempre poco e quel poco è «rubato» agli impegni di famiglia e al riposo notturno e festivo. Tu ormai sei sempre più esigente: la copertina a 4 colori, l’impaginazione più sciolta, articoli sempre più vari e dal contenuto sempre più approfondito e, a corredo, foto che siano pertinenti all’argomento trattato… ma scusa, non ti rendi conto che i «tre gatti» che ti seguono incominciano a diventare più… sì, un po’ più attempati? La speranza è ancora una volta riposta nei giovani, ma mi guardo intorno e non ne vedo, siamo sempre solo noi… un momento, aspetta, perché el ciampanile al torna a

sonà. Preso dalla foga dello scriverti, mi ero scordato (ah, che grossa dimenticanza!) che l’orologio dell’antica Pieve dopo aver segnato con 24 rintocchi il termine della giornata ci annuncia, ci ricorda e ci rallegra con il dolce suono della meridiana per sottolineare così l’inizio di un nuovo giorno. Aspetta, aspetta. Ascolta, ascolta. Che bello! Nemmeno nella grande Londra con il suo famoso Big Ben si può sentire una melodia simile. Din, dan, dan…, scusami Artugna, ma voglio contare anche queste note… 22, 23, 24, 25. Venticinque rintocchi! E battuti armoniosamente; ma aspetta, dammi ancora un minuto, lasciami ascoltare il concerto della meridiana: ecco ora ricomincia per la seconda volta ed io mi pongo in ascolto e chiudo gli occhi. Mi vedo salire oltre la cuspide del campanile e osservare el me Dardac con le sue case, le sue luci, le sue strade, le sue piazze, il suo balèr, il camposanto, la chiesa, le montagne… mi sembra di essere parte viva dentro ad

un presepe. Questa sì che è poesia, questo è il fascino nascosto di Dardago. E mentre viaggio con la fantasia anche il 3° ciclo della meridiana sta terminando, già perché l’antica sapienza, il suo insegnamento lo ricorda e lo ripete sempre tre volte. Quanta saggezza i nostri vecchi ci hanno tramandato, basta guardare anche un semplice muro fatto di crode. Noi oggi, purtroppo, ci passiamo davanti frettolosi senza degnarli di uno sguardo, ne tanto meno ascoltare cosa essi ci vorrebbero «gridare»… din, dan, dan… la meridiana ha terminato. Sai, cara Artugna, ogni notte a mezzanotte dal nostro campanile partono 99 messaggi sonori. I primi 24 annunciano che una giornata è compiuta, gli altri 75 danno il benvenuto al nuovo giorno che nasce. Che bello, che concerto e che insegnamento: l’annuncio di una giornata che finisce e subito dopo quello di un’altra che inizia, e così il ciclo della vita continua. La nuova giornata porterà con sé cose buone e forse cose meno buone, ma tutto ricomincia sempre sotto il segno della speranza che non deve mai mancare nella vita dell’uomo, delle famiglie e nella vita del paese. I 99 rintocchi sono messi come termine e inizio di un ciclo. Mi vien da pensare che anche tu sei già entrata nelle case della gente 99 volte e, quindi, anche tu termine e inizio per un nuovo ciclo: la ruota della vita inesorabilmente continua a girare. Anche se sono nato lontano da qui, amo questo paese, te lo confesso, amo le sue crode, le sue piante, la sua parlata e tutto ciò che qui nasce – e tu sei nata qui mia amata Artugna – e parli, anzi canti le opere dei miei antenati e le loro tradizioni. Ecco... per incanto tutto il rancore, che avevo dentro il mio cuore e che volevo esternare, l’ho dimenticato. Penso che Santa Lucia abbia rimesso tutto in ordine e per bene, nel mio cuore è tornata la serenità. Il suo aiuto e la sua luce illumineranno il tuo e, spero, anche il mio cammino.





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