l'Artugna 101_ 2004

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Anno XXXIII · Aprile 2004 · Numero 101

Chiese ancor più belle La rinascita del mito El balèr de la platha Un dardaghese alla corte d’Ungheria

Periodico della Comunità di Dardago · Budoia · Santa Lucia


di Vittorina Carlon

[ l’editoriale ]

Quaresima-Pasqua: binomio cui la croce di Cristo – la croce della Passione con i suoi simboli di sofferenza – diventa emblema. La croce, non rappresentazione dell’oggetto come antico strumento di esecuzione di condanna a morte, ma la croce del Cristo, con la raffigurazione o no del Crocifisso, è il segno, attuato dall’avvenimento cristiano, sul quale si è compiuta storicamente la salvezza per tutti. La croce, con le varie elaborazioni dei particolari della forma-base, fa tornare facilmente alla memoria tanti riflessi della liturgia che ogni anno la

Settimana Santa ripropone. La croce richiama Gesù: la sua Passione e Morte, la Risurrezione, la Redenzione, il Vangelo e insieme il nostro essere e riconoscersi cristiani. Con l’espressione evangelica «Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a Me», Gesù c’induce ad alzare lo sguardo per instaurare un contatto con il trascendente, con la croce in cui l’elemento orizzontale, il primitivo

orizzonte terrestre alla base dell’albero, si stacca da terra, si solleva e va a incrociarsi con quello verticale nella sua parte alta, proprio a quell’incrocio, innesto dell’eterno, in cui nel primo millennio cristiano veniva raffigurato il petto del Signore crocifisso e glorioso. Ognuno sollevi lo sguardo verso il bianco Crocifisso marmoreo che unisce la nostra comunità per offrire a Lui «la propria croce».

una statua in «carne e ossa»

Una volta caduto il telo che ricopriva da oltre tre mesi la scultura, il niveo Crocifisso, restaurato e ripulito con un abile e meticoloso lifting, s’è mostrato ringiovanito e splendente nell’intera sua bellezza firmata dal bassanese Orazio Marinali (Bassano 1643 – Vicenza 1720). Considerato uno dei maggiori scultori del Seicento veneto, Orazio fondò a Vicenza un’operosissima bottega insieme con i fratelli Angelo e Francesco e realizzò, per chiese, ville e palazzi, numerose opere che segnarono il passaggio dal pittoricismo barocco al decorativismo settecentesco. I Marinali seppero lavorare con tale maestria da

ricevere, già nel Settecento, l’appellativo di «immortali dell’arte» per la loro abilità nello scolpire. Il nostro Crocifisso, dall’immediata e intensa espressione psicologica e dai tratti morbidi, superiore artisticamente al busto scultoreo del Cristo o L’uomo dei dolori, creato dallo stesso negli anni ’89 –’91 del diciassettesimo secolo e attualmente esposto in un museo londinese, era conservato – dopo l’emanazione del decreto napoleonico del 1805 sulla drastica riduzione degli edifici sacri veneziani – nel deposito demaniale della Chiesa di Santa Margherita, insieme con altre opere d’arte provenienti dalle varie chiese soppresse.


la lettera del Plevàn

La nostra gente non perse tempo e si mise prontamente a consultare gli inventari dei beni per individuare i pezzi artistici più adatti alle sue chiese. Il 16 gennaio 1841, un rappresentante della fabbriceria della Pieve di Santa Maria Maggiore, il budoiese Antonio Tres, contattò l’ufficio dell’Intendenza di Finanza di Venezia per l’acquisizione dell’opera del Marinali, seppur spezzata in più parti, e di un tabernacolo di marmo di Carrara pure mutilato, il cui prezzo totale fu pattuito in settanta lire austriache. La stima fu condizionata con ogni probabilità dalla supplica del procuratore che sottolineò l’indigenza degli abitanti di Budoia. «… li poveri villici della comune di Budoia, distretto di Sacile, provincia di Udine, con le loro questue, e coi loro lavori avendo ricostruito il nuovo tempio dedicato all’apostolo S. Andrea loro titolare, implorano che, esistendo nella soppressa chiesa di S. Margherita di Venezia un tabernacolo di marmo di Carrara mutilato, nonché un crocefisso spezzato in più parti… che sarebbero adattissimi per questo nuovo tempio da essi eretto…, questi due oggetti vengano per atto di grazia accordati alli poveri abitanti della comune sudetta, verso il pronto pagamento dell’effettivo importo al prezzo di stima». Il 30 ottobre dello stesso anno, l’Intendenza autorizzò la vendita delle due opere che, giunte a destinazione, vennero sottoposte ad un primo lifting di ricomposizione da parte dei lapicidi locali.

Carissimi, ritorna ogni anno la settimana Santa che ci prepara al grande evento della nostra salvezza. Gesù, figlio di Dio, si consegna alla morte per donarci la vita immortale! Siamo ormai prossimi all’evento pasquale, vero e insostituibile cuore pulsante della nostra fede. Fa da sfondo a questa riflessione, che vuole essere anche il mio augurio pasquale, il crocifisso. Verso questo segno si sono dette e si dicono tante cose, positive e negative, belle o brutte. Fissiamo un attimo lo sguardo e consideriamo quale dono supremo ci ha fatto quell’Uomo nuovo, quel nuovo Adamo, venuto per aprire le porte alla vita eterna, quella che non avrà fine! Un dono supremo, appunto, per una nuova primavera dello spirito. La Redazione del nostro giornale l’Artugna ha privilegiato la copertina di questo numero allo stupendo Cristo in marmo, da poco restaurato, autentico capolavoro di ingegno e di fede. Ringrazio anche a nome vostro per aver dato significato e valore a quest’opera, ricevuta in eredità dai nostri antenati. All’Uomo della croce, noi confidiamo le nostre preoccupazioni, deponiamo le nostre miserie, confessiamo i nostri errori e speriamo nella sua misericordia. «Noi

ti adoriamo Cristo e ti benediciamo, perché con la Tua Santa Croce hai redento il mondo». In mezzo alle vicissitudini che la vita ci riserva, ai drammi delle guerre, anche di religione, del terrorismo aberrante ed insidioso, c’è sempre satana, spirito del male; ha tentato Cristo nel deserto, e tenta tutti noi che viviamo nel deserto di oggi e ci propina ogni sorta di cose materiali, che impoveriscono la nostra esistenza e ci allontanano dai valori che danno senso al nostro vivere. L’importante è rifiutarlo come ha fatto Gesù: «Vattene satana»! Con la sua morte Gesù ha vinto lo spirito del male e ci ha dato forza spirituale affinché, seguendo le sue orme, possiamo anche noi risorgere a vita nuova. Pasqua significa passaggio. Siamo invitati a fare il nostro passaggio dalla morte interiore alla vera vita, vissuta con impegno e generosità. La Pasqua è l’alleanza fra Dio e gli uomini; sia fonte di fraternità fra di noi, di pace autentica, di vero progresso per poter superare le barriere dell’egoismo, dell’individualismo, dell’indifferenza. La Pasqua è farsi prossimo verso le persone in difficoltà e privi di ogni mezzo. I salvadanai della Quaresima «Un pane per amor di Dio» servono proprio per questo. Cristo risusciti in tutti i cuori. Buona Pasqua a tutti. DON ADEL NASR

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NASCITE

[ la ruota della vita]

Benvenuti! Abbiamo suonato le campane per l’arrivo di...

IMPORTANTE Giungono talvolta lamentele per omissioni di nominativi nella rubrica «la ruota della vita». Ricordiamo che la nostra fonte di informazioni sono i registri dell’Anagrafe comunale. Pertanto, chi è interessato a pubblicare nominativi relativi ad avvenimenti fuori Comune o relativi a particolari ricorrenze (nascite, nozze d’argento, d’oro, risultati scolastici ecc.) è pregato di comunicarli alla Redazione. I nominativi pubblicati sono pervenuti in Redazione entro il 6 aprile 2004. Chi desidera usufruire di questa rubrica è invitato a comunicare i dati almeno venti giorni prima dell’uscita del periodico.

Alessia Fort di Stefano e Marica Loisotto – Caneva Simone Peraboni di Elio e Sonia Janna (Tavan) – Brugherio (Mi) Giovanni Bastianello di Luca e Francesca Salviato – Mestre (Ve) Lara Odette Mezzarobba di Antonio e Crouigneau Berangere – Budoia Veronica Truccolo di Alessandro e Silvia Della Valentina – Budoia Gabriele Cesaro di Massimo e Letizia Bernardi – Padova

L A U R E E , D I P LO M I Complimenti! Lauree Giovanna Burelli – Geologia – Dardago Claudia Moscarda – Economia e Commercio – Venezia Cristina Chiesa – Architettura – Milano Lisa Zambon Pala – Scienze dell’Educazione – Dardago

DEFUNTI Riposano nella pace di Cristo. Condoglianze ai famigliari di… Antonietta Cescutti di anni 90 – Milano Mario Bastianello di anni 74 – Dardago Vilma Angela Zambon di anni 48 – Budoia Emma Polese ved. Gambron di anni 88 – S. Lucia Adelaide Bocus ved. Del Maschio di anni 86 – Dardago Angelin Domenico di anni 79 – Budoia Angela Angelin ved. Gaudenzi di anni 96 – Budoia Angela Janna ved. Dainè di anni 80 – Parigi Luciano Pizzinato di anni 66 – Trieste Lino Sarri di anni 66 – S. Lucia Cesare Lacchin di anni 69 – Milano Antonio Francesco Zambon di anni 91 – Dardago Lida Tomasin ved. Busetti di anni 75 – S. Lucia Giacomina Casasola ved. Baracchini di anni 85 – Budoia Giovanni Zambon di anni 93 – Budoia Renata Benvenuti di anni 85 – S. Lucia Sergio Bastianello di anni 77 – Venezia Angela Puppin ved. Rigo di anni 82 – Dardago Quarto Gislon di anni 74 – Milano Assunta Rizzo ved. Orlando di anni 90 – S. Lucia Santina Besa di anni 91 – S. Lucia Alba Busetti di anni 88 – S. Lucia Maria Janna ved. Consoli di anni 89 – Torino Rina Santin ved. Ramoncini di anni 80 – Roma Angelo Rizzo di anni 74 – S. Lucia Lucia Zambon in Prolongo di anni 52 – S. Daniele Augusta Lucchese ved. Carlon di anni 82 – Budoia Giovanni Battista Carlon di anni 84 – Budoia Gianni Curtinovis di anni 65 – Venezia Giuseppe Signora di anni 78 – Budoia Mario Bastianello Carnitha di anni 75 – Dardago

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Periodico quadrimestrale della Comunità di Dardago, Budoia e Santa Lucia (Pn)

In copertina Chiesa di Sant’Andrea – Budoia. Il Crocifisso di Orazio Marinali. (foto di Cesare Genuzio)

27 gennaio: giorno della memoria di Leontina Busetti e di Silvestro Zambon Tarabin

La ruota della vita

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La rinascita del mito a cura della redazione

Intorvìa la tòla a cura di Adelaide Bastianello

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’N te la vetrina

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Arrivederci, Vilma! di Stefania e Giovanni

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Lasciano un grande vuoto...

Una statua in «carne e ossa» di Vittorina Carlon

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La lettera del Plevàn di don Adel Nasr

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Le opere di Tita Soldà Maniach di Leontina Busetti

anno XXXII

aprile 200 4

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101 sommario

Direzione, Redazione, Amministrazione tel. 0434.654033 · C.C.P. 11716594

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Un dardaghese alla corte d’Ungheria di Eugenio Marrani

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Chiese ancor più belle di Simonetta Gherbezza, Ivano Benedet, il Consiglio per gli affari economici di Dardago, Vittorio Janna

Internet www.naonis.com/artugna e-mail l.artugna@naonis.com Direttore responsabile Roberto Zambon · tel. 0434.654616 Per la redazione Vittorina Carlon

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Ed inoltre hanno collaborato Alessandro Baracchini, Ennio Carlon, Espedito Zambon, Fabrizio Fucile, Fabrizio Zambon, Marta Zambon, Mario Povoledo

El balèr de la Platha di Angelo Janna Tavàn e Mauro Zambon

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Dare spazio agli altri di Pietro Janna

Stampa Arti Grafiche Risma · Roveredo in Piano/Pn

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La Ida la ne conta... di Ida Rigo

Impaginazione Vittorio Janna

Autorizzazione del Tribunale di Pordenone n. 89 del 13 aprile 1973 Spedizione in abbonamento postale. Art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone. Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione di qualsiasi parte del periodico, foto incluse, senza il consenso scritto della redazione, degli autori e dei proprietari del materiale iconografico.

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L’angolo della poesia Cronaca Inno alla vita I ne à scrit Programma della Settimana Santa Bilancio Economico Auguri


14 febbraio 2004

La rinascita del mito Una data da ricordare per la nostra comunità . Dopo i lavori di restauro che hanno sanato la piaga apertasi con il crollo del 2002, viene inaugurato il teatro di Dardago. In queste pagine presentiamo la fotocronaca della giornata e una breve storia del teatro realizzata dalla nostra redazione. Una piccola mostra composta dai pannelli con la storia del teatro corredata da decine di vecchie immagini è visitabile al piano superiore della nuova struttura.


L’INAUGURAZIONE SI APRE CON L’ESIBIZIONE, NELLA PIAZZA DI DARDAGO, DEI GIOVANI DEL GRUPPO ARTUGNA CHE PROPONGONO AL FOLTO PUBBLICO ALCUNE DANZE FOLCLORISTICHE; IL SINDACO, ANTONIO ZAMBON, APRE UFFICIALMENTE LA NUOVA STRUTTURA CON IL TAGLIO DEL NASTRO. ALLA PRESENZA DI UN ATTENTO E NUMEROSO PUBBLICO SEGUONO GLI INTERVENTI DELLE AUTORITÀ E DEI PROGETTISTI E LA PRESENTAZIONE DELLA STORIA DEL TEATRO CON LA PROIEZIONE DI IMMAGINI. AL TERMINE, DOPO ALCUNI BRANI SPIRITUAL DEL COLLIS CHORUS, È POSSIBILE VISITARE LA MOSTRA AL PIANO SUPERIORE.

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Il teatro di Dardago BREVE STORIA

1793 La passione per lo spettacolo da parte della nostra popolazione è da ricondursi a tempi lontani, quando i giramondo si spostavano da un luogo all’altro per proporre scene di rappresentazioni sacre ed erano ben accolti nei nostri paesi. Un triste fatto conferma l’ospitalità dei nostri abitanti per questi artisti: muore in casa

di Batta Stefinlongo di Budoia un certo Giammaria Giordano di 39 anni, proveniente da Sambuco in provincia di Cuneo, giunto in paese per rappresentare con la sua «cassa optica» «La passione di Gesù».

1900 anni 10 Da testimonianze orali si ha la certezza dell’esistenza di una sala adibita a teatro, nella tieda de Burela, di proprietà dei fratelli Ernesto e Angelo Del Maschio, in via Solvela. È punto di ritrovo della comunità per convivi e per la visione di spettacoli teatrali realizzati da compagnie provenienti da altri luoghi. Nel cortile dell’attuale «Bar al Campanile» saltuariamente si proiettano le prime appassionanti pellicole del cinema muto. anni 20 Nel 1924, il 31 agosto, nasce per volontà di un nutrito numero di persone la «Società Anonima Cooperativa Concordia e Progresso», il cui scopo «... è di costruire ed esercire una sala teatrale, offrendo al pubblico spettacolo di filodrammatica...» finalizzando il ricavato ad attività sociali e culturali. Nei mesi successivi, iniziano i lavori di costruzione dell’edificio. La popolazione partecipa attivamente sia con finanziamenti sia con prestazioni d’opera d’ogni genere. Contribuiscono con autentico spirito comunitario

scalpellini, muratori, falegnami…, compresi coloro che offrono doe dhornade, co’ ciar e vace, a cargà crode e savalon ’n te l’Artugna. Realizzato l’edificio nell’arco di un paio d’anni, s’istituisce la «Società Filodrammatica Dardago», con l’intenta volontà di utilizzare i nuovi spazi per le attività teatrali, scopo primario della costruzione della struttura. Gli entusiasmi contagiano gli animi e ben presto calcano le scene persone di ogni età, attivando con frequenza spettacoli, seguiti con interesse anche dalle popolazioni di Budoia e di Santa Lucia.

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2 luglio 1793. Giammaria F. di Giovanni Giordano di Sambucco, luogo del Piemonte, come apparisce dalle sue Fedi di Batt.o e da varj suoi Passaporti, d'anni 39, che girava con una Cassa Optica dimostrando la Passione di Gesù Xto, si malò in Casa di Batta Steffinl.o di Budoja, e fu prevenuto dalla morte in questa decorsa notte senza Sag.ti, ai quali peraltro si disponeva; e fu il suo cadav.o in questa sera sepolto in questo Cimit.o col rito Eccl.o.


Mario Ponte ricorda... Nel 1928/29, «... Avevo 6-7 anni quando calcai le tavole del palcoscenico reggendo la bandiera davanti agli attori che cantavano il «Va’ pensiero...» alla fine della recita de «I Martiri di Belfiore» prima di avviarsi al patibolo. Questo dramma fu rappresentato anche a Colle Umberto, su invito dell’allora dottor Schenardi. Sempre in questi anni feci una recita scolastica assieme alla bravissima Nerina Zambon Colus, in costume del ’700. Direttore artistico e preparatore era mio padre Serafino Ponte, che dedicava le sue serate alla realizzazione di questi spettacoli. Bisogna rifarsi con il pensiero all’epoca; allora non esistevano altri divertimenti. La vita scorreva e si logorava nel lavoro duro dei campi o nell’emigrazione stagionale... ... Ma ora passiamo a citare i nomi che sono legati al teatro di Dardago. Qui li voglio doverosamente ricordare, scusandomi se, per gli scherzi della memoria, qualcuno non verrà citato: invito quanti lo possono fare a colmare le dimenticanze. Zambon Antonio Luthol, presidente della Filodrammatica (così si chiamava la Società del teatro), che occupava sempre la “Buca del suggeritore” all’estremità anteriore del palcoscenico e che, con la sua voce piena e chiara, dava l’imbeccata all’attore; Ponte Serafino, segretario e direttore artistico, Carlon Pietro Scopio, Rigo Carlo Moreal, Zambon Antonio Palathin, Vettor Antonio Cariola, Zambon Antonio Sartorel, Janna Beniamino Bernardo, Santin Basilio Tesser, Zambon Anzoletto Marin, Zambon Fortunato Pinal, Zambon Giovanni Luthol, Zambon Pietro della Cooperativa, Basso Paolo, Zambon Angelo Luthol, Ponte Lea, che ha presentato il monologo «Trieste Redenta». Per ricordare a quanti oggi fruiscono delle finzioni computerizzate, voglio richiamare alcuni stratagemmi utilizzati a supporto delle rappresentazioni. Quando «I Martiri di Belfiore» si avviavano al patibolo (ricordo don Grazioli, magistralmente impersonato da Toni Palathin che aveva avuto a prestito la tonaca da don Romano) infuriava nella scena notturna un temporale: i lampi erano fatti da giochi di luce, i tuoni da una

sfera di ferro di circa 20 chili, che due incaricati facevano correre sul pavimento in cemento del sottopalcoscenico rinviandosela l’un l’altro, la pioggia imitata da strisce di carta velina, agitate in continuazione tra le quinte. Ricordo anche che per una “comica” (che seguiva sempre il “dramma”, una volta si è fatto entrare in palcoscenico un asino, el mus de Raclio Thelot, facendolo passare dalla finestra laterale, che dall’esterno immetteva tra le quinte del palcoscenico. Per stare ai tempi, dal teatro si passò al cinema, per cui fu costruita una cabina di proiezione sopra la porta d’ingresso principale. Fu acquistata una macchina usata (film muti naturalmente, ancora non era arrivato il sonoro) e per commentare la proiezione è stato portato un pianoforte a coda di proprietà di mio zio Antonio Del Maschio Cussol, col quale si esibiva Biuti Franthesc, che eseguiva “i cambi” quando qualcuno gridava: vòltela Biuti! Spesso la proiezione usciva per metà dallo schermo ed allora si gridava “quadro...” e pronti alla correzione erano Pietro Scopio e l’aiutante Pietro Sartorel. Durante gli intervalli, sia del teatro che del cinema, c’era qualcuno che girava con una cesta e vendeva arance, mandarini, stracaganasse e caramelle. Due stufe a legna, costruite artigianalmente, poste ai lati della sala, davano un po' di tepore agli intabarrati o incappotati spettatori nelle fredde serate invernali».

A LATO: IL PROGRAMMA DI UNA SERATA TEATRALE DEL MARZO 1957. SOTTO: SIGNIFICATIVE IMMAGINI DI QUEGLI ANNI. I GIOVANI ATTORI, A FINE SPETTACOLO, CON I LORO MAESTRI. [FOTO PER GENTILE CONCESSIONE DELLE FAMIGLIE DEI MAESTRI UMBERTO SANSON E GIACOMO ZANCHET].

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anni 30 Le rappresentazioni della locale compagnia si susseguono ininterrottamente fino al 1940 circa. Alla fine degli anni ’30, si alternano anche proiezioni di film Luce. Alcuni budoiesi collaborano. anni 40 Iniziano anni difficili a causa degli eventi bellici, tanto che la Filodrammatica si smembra. anni 50 La sala teatro, abbandonata da oltre dieci anni, riprende a vivere. Il merito va all’intraprendenza di alcuni insegnanti elementari del paese. Il maestro Giacomo Zanchet, già con esperienza di attore nella Compagnia di teatro cittadino di Pola, coinvolge con passione i colleghi Umberto Sanson e Armando Del Maschio nella avventura teatrale e inizia a comporre testi in italiano e in dardaghese. Di quel periodo sono «L’avaro gabbato», «L’emigrante», «Il grande atteso», «Il sogno di Natale»…; non si disdegnano testi classici del Goldoni o fiabe tradizionali. Il teatro conosce così una seconda primavera, che si conclude purtroppo agli inizi del sesto decennio del Novecento.


anni 60 L’abbandono è totale.

IN OCCASIONE DEL DARDAGOSTO ’77, È ORGANIZZATO IL PRIMO CONCERTO PER PIANOFORTE DELLA MAESTRA TINA FAVIA ZAMBON NEL TEATRO APPENA RIATTIVATO.

OGGI 2002. Alcuni giorni prima della data d’inizio dei lavori di restauro, a seguito di abbondanti piogge, venerdì 28 giugno, alle ore 11.00, l’edificio si piega su se stesso. Crolla il mito per i dardaghesi! 2003. ‘L è tornat a nasse! In un anno l’edificio è ricostruito. La popolazione torna a sperare nella composizione di una nuova filodrammatica. 2004. Sabato 14 febbraio è il giorno dell’inaugurazione del teatro. È giunto il momento di alimentarlo con fervore.

anni 70 1972. Il periodico l’Artugna, nel suo primo numero, a firma di Giacomo Del Maschio, richiama l’attenzione della popolazione, evidenziando lo stato d’abbandono del teatro. 1976. Nel marzo di quell’anno, la sala teatrale esce dal pericoloso letargo. È affidato allo spirito d’iniziativa del pievano Don Giovanni Perin l’incarico di provvedere ai lavori indispensabili per l’agibilità dello stabile. Dopo tanti anni di oblio, in occasione della festa della mamma, il 23 maggio, nel teatro risuonano voci festose e canti di bimbi. In occasione della sagra della Madonna d’agosto, è organizzata una mega pesca di beneficenza, il cui ricavato è devoluto al rifacimento degli infissi dell’edificio. 1976. Il 4 dicembre è convocata l’Assemblea Generale di «Concordia e Progresso» per definire l’utilizzo dei locali.

Negli anni successivi fervono attività teatrali e musicali, eseguite dai bambini dell’asilo parrocchiale con la paziente coordinazione delle suore e di don Giovanni. I dardaghesi sono coinvolti in continui lavori di ristrutturazione e di manutenzione dello stabile. anni 80 1982. La Società rinnova il proprio Consiglio Direttivo. 1988. Il giornale l’Artugna s’appella alla sensibilità della popolazione per riattivare il vecchio teatro. anni 90 1997. La facciata ovest del teatro rivede il sole dopo la demolizione della Latteria Sociale, che occupava lo spazio antistante l’edificio. 1999. L’Amministrazione Comunale acquisisce l’immobile, oramai abbandonato e fatiscente, dalla «Società Anonima Cooperativa Concordia e Progresso» e, nel 2001, bandisce un concorso d’idee per il suo restauro: finalmente il teatro rivedrà lo splendore.


FOTO 1. PARTICOLARE DEL BASSORILIEVO DELLA TOMBA DELLA FAMIGLIA BUSETTI PIT.

Le opere di

Tita Soldà Maniach di Leontina Busetti

Andando in cimitero a S. Lucia e facendo il giro «a salutare» le ormai troppe persone conosciute, mi è parso doveroso riportare l’attenzione sui bassorilievi di Tita Maniach. Più li osservo e più passa il tempo, li scopro autentiche opere d’arte, degni di essere segnalati e riconsiderati in modo più dettagliato. Già Fabrizio Fucile in un articolo del n. 52 de l’Artugna aveva descritto, da par suo, la vita, la personalità di artista «la sua integrità morale... il suo preferire la discussione 11

battagliera o l’umiliazione all’approvazione interessata... la sua arte scaturiva da un cuore capace di un non comune sentire». Ma con questo ritorno sulle sue opere si vuole sottolineare un’arte non semplicemente nostrana, ma forte ed incisiva, degna di stare accanto ad artisti più noti e fortunati. Alcuni sono descritti, come quello della famiglia Busetti Pit (foto 1), dove si vede una donna che nel momento della vita in cui avrebbe voluto «cogliere i frutti» (avrebbe voluto raggiungere i figli ben sistemati a Milano) viene colta da infarto. Il ricco cesto di frutta scolpito, forse mai visto e quasi certamente mai posseduto, dà un’idea perfetta di abbondanza e soddisfazione. Ma da rilevare il piede, anatomicamente perfetto e la posizione di sforzo che preme sullo scalino con le vene in rilievo.


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Foto 2

Un altro descrittivo è quello della mamma morta di parto (ScandoloRizzo) (foto 2): si vede la mano che sorregge il bambino con il dito mignolo leggermente più piegato, segno di una delicatezza che solo una grande sensibilità poteva sottolineare. In entrambi la morbidezza misurata delle vesti, l’espressione dei volti rifinita e mai uguale sono motivi che denotano una preparazione e realizzazione artistiche decisamente pregevoli ed insigni. Altrettanto suggestiva l’immagine speculare delle due figure della tomba Besa Coda (foto 3), con le vesti leggermente e innaturalmente allungate forse a testimoniare un dolore infinito, ma rassegnato e contenuto. La stessa impressione che dà la figura femminile raccolta accanto ad un piccolo braciere col fumo (spirito), anche qui, un dolore profondamente sentito, ma contenuto: questo bassorilievo è della tomba della famiglia Besa Costante. Da rilevare, inoltre le varie «Pietà» (foto 4 e 5) sempre diverse, con il Cristo in posizioni molto differenti. Costante il motivo delle tre croci esposte su colli e in direzioni diverse, forse a indicare, in

Foto 4

coincidenza col tema della Passione, un dolore senza confini e senza possibilità di difesa. Bellissima quella della famiglia Lachin Chiter Costante (foto 6), ma mai ripetitiva la fluidità delle vesti, la naturalezza e l’eleganza dei piedi e delle mani sempre definiti nel loro ruolo, i volti tristi e sottomessi, ma in essi non si legge mai tragicità e disperazione, ma un’intensa rassegnazione. Ne si avverte mai alcuna forma di manierismo o compiacimento dell’abilità tipica di scultori, o comunque, artisti minori, ma espressione di un’arte ben assimilata, elaborata e tradotta in autentiche emozioni. Dei suoi figli solo una, Maria, era 12


designata come erede proprio del padre. A soli 17 anni ha scolpito un angelo per la tomba della sorellina morta quando ne aveva solo 11 (foto 7). Un angelo non stereotipato, ma con grandi ali di cui una piegata in avanti, un delicato piede che spunta dalle vesti e quei fiori in mano: temi insoliti e nuovi per un’immagine funebre, ma indici di un’artista potenziale. Ma, come dice lei: «Ho sposato un operaio e non era certo ragionevole che andassi a lezioni di scultura». Cinquanta’anni fa era logico così, ma pensare quali risultati avrebbe potuto ottenere, ci amareggia. Questa rinuncia dovrebbe insegnarci a stimolare e soprattutto a non trascurare nei giovani i loro più piccoli segnali e incoraggiarli a continuare. A farli continuare.

FOTO 2. DELICATEZZA E SENSIBILITÀ NEI CORPI DELLA MADRE E DEL PICCINO (TOMBA DI TERESA SCANDOLO RIZZO). FOTO 3. DUE FIGURE SPECULARI CARATTERIZZANO IL SEPOLCRO DELLA FAMIGLIA GIOVANNI BESA CODA. FOTO 4 E 5. LE PIETÀ, SOGGETTO FREQUENTE NELLE OPERE DI TITA MANIACH, IN CUI SI ESPRIME INTENSA RASSEGNAZIONE ( LAPIDI DELLE FAMIGLIE PAOLO GISLON E UMBERTO GISLON). FOTO 6. IL MOTIVO DELLE TRE CROCI È PRESENTE IN VARIE LAPIDI (FAMIGLIA LACCHIN). FOTO 7. L’ANGELO, REALIZZATO DALLA FIGLIA MARIA A SOLI 17 ANNI.

Foto 7

Foto 5

Foto 6

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RIPRODOTTA IN 3D DA FABIO BASTIANELLO LA SACRA CORONA UNGHERESE

un dardaghese alla

corte d’Ungheria di Eugenio Marrari Fasce dorate, antiche icone smaltate e gemme riprodotte interamente in 3D e proiettate in ologramma: l’oggetto è la Sacra Corona Ungherese la cui opera di riproduzione grafica ha accolto all’ingresso i membri della European Ministerial Company, il meeting Europeo dei ministri dell’Unione responsabili dell’innovazione tecnologica tenutasi a Budapest il 26 febbraio scorso. La Sacra Corona come protagonista, la grafica 3D e la proiezione in ologramma armonizzano perfettamente con il tema tecnologico dell’incontro, con il suo sfondo politico e diplomatico e con il tradizionale orgoglio nazionale ungherese.

L’origine dell’antica corona, che l’immaginario popolare vuole essere stata regalata da Papa Silvestro a S. Stefano d’Ungheria nell’anno mille, ha origini storiche incerte, significati politici e simbolici forti e precisi, tanto che soltanto i re incoronati con questa corona venivano considerati legittimi, ma soprattutto un valore artistico d’eccezione: la sacra corona è un affascinante e complesso lavoro d’artigianato orafo che la rende un pezzo unico nel suo genere. A rendere onore al mistero storico della Corona, ma soprat-

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tutto alla sua estetica, interviene la «computer graphic» che diviene lo strumento scelto dal parlamento ungherese affinché la tecnologia potesse rendere omaggio all’arte, alla politica e alla tradizione. Complice del parlamento ungherese, un italiano: Fabio Bastianello. Il nome del giovane artista, di soli 33 anni, nativo di Dardago, ex allievo della scuola «Ipotesi Cinema» di Olmi e dello I.A.L. di Pordenone, è già noto nel nord Italia nel settore dell’Art Direction e dell’advertising, nel quale curriculum non mancano per altro nomi di importanza internazionale tra cui Swatch e Coca Cola e diversi riconoscimenti nazionali tra cui il «premio per il miglior manifesto pubblicitario» in occasione del grande raduno degli alpini nel 1997 a Reggio Emilia. La propria carriera artistica, iniziata in Italia in campo figurativo con alcune mostre personali continua però in Ungheria, dove ha avuto la possibilità di esprimersi in uno dei mezzi da lui oggi prediletti: la grafica tridimen-


NELLE FOTO ALCUNE IMMAGINI COMPUTERIZZATE DELLA SACRA CORONA UNGHERESE

sionale. Il lavoro di Bastianello consisteva nella riproduzione della corona nei dettagli: le fasce dorate, le placche e le icone smaltate raffiguranti gli arcangeli, gli apostoli ed il Cristo, i pendagli e le pietre preziose incastonate nella base e nell’incrocio delle fasce. Un lavoro oneroso che il parlamento Ungherese ha cercato di rendere il più agevole possibile, affidandogli uno staff di fiducia ed una permanenza il più possibile piacevole, nonostante il lavoro rimanesse in ogni caso ostico in mezzi e tempi: «Soltanto cinque giorni per capire, progettare e realizzare. È stata una vera sfida» commenta Bastianello mostrandoci i disegni che hanno accompagnato la produzione. Il lavoro di Bastianello, oltre ad essere un eccellente prodotto di riproduzione, fa nascere qualche speranza riguardo ad una futura applicazione della «computer graphic» in campo artistico o culturale e non solo in quello cinematografico, come per altro ci hanno mostrato i film pindarici dei fratelli Wachowsky. «I vantaggi della grafica tridimensionale sono moltissimi» ci spiega Bastianello «un oggetto può essere riprodotto nella sua integrità ad altissima precisione con una perfetta illusione di realtà» e riguardo ai possibili progetti futuri auspicabili

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continua «i campi di applicazione potrebbero essere infiniti, soprattutto nel campo della didattica, della cultura e dell’editoria» e tra questi nomina l’ipotesi di una «memoria visiva», per dirla con sue parole, dei patrimoni artistici e culturali nazionali dove i monumenti e gli oggetti d’arte vengono riprodotti e raccolti in un archivio grafico le cui possibilità di studio sono però superiori a quello dello statuto dell’immagine fotografica. La sua conclusione rimane però amara ed emblematica di una difficile situazione Italiana d’investimenti carenti sulla novità e sulle possibilità culturali «Non posso credere che non si muova nulla in un paese che detiene il più alto patrimonio artistico mondiale, com’è possibile dover andare a lavorare all’estero?». Come non essere d’accordo?


Chiese ancor più belle Budoia Dallo scorso mese di dicembre, i fedeli possono ammirare il magnifico crocifisso marmoreo e la relativa cappella resi ancor più imponenti dai sapienti interventi…

La cappella del crocifisso di Simonetta Gherbezza

L’altare (alto 629 cm e largo 332 cm) è stato realizzato nella seconda metà del XIX secolo ed è costituito da marmi policromi. Si presenta con una struttura molto lineare e geometrica, con quattro capitelli in stile corinzio che appoggiano sulle semicolonne. L’interno della nicchia, ricoperta da una tempera grigio-blu e da stelline dorate ed argentate, contiene «uno splendido Cristo Crocifisso in marmo bianco, dovuto allo scalpello del vicentino Orazio Marinali (1643-1720), ricco di pathos, di accenti naturalistici, di morbidezza nel modellato» (1) Tale manufatto, proveniente da Venezia, fu acquisito dai Budoiesi nel 1841. La croce (alta 227 cm e larga 114) ed il Cristo (alto 142 e largo 107) sono stati ottenuti da un unico pezzo di marmo sul quale sono visibili i segni lasciati dagli 16

strumenti di lavoro utilizzati dallo scultore (gradina, scalpello, trapano). L’opera, di notevole pregio, è giunta frammentata in undici pezzi e con mancanze che interessano il cartiglio, la mano sinistra (estremità del dito e del medio), la mano destra (estremità dell’anulare, parte del medio e tutto il pollice) e metà del piede posto in secondo piano. Tali lacune sono state rifatte grossolanamente in stucco. Lievi fratture interessano la mano sinistra, il piede integro e la parte centrale della croce. Tutta la superficie era ricoperta da depositi superficiali misti a nero fumo. Risultava visibile, all’interno delle cavità delle pieghe del perizoma, dei capelli e

FOTO DI CESARE GENUZIO E VITTORINA CARLON

Le parti lapidee


in alcuni punti della croce, una patina giallognola probabilmente derivata da ossalati di calcio. Uno scialbo bianco ricopriva gran parte della croce. Macchie di ruggine erano evidenti in prossimità dei tre chiodi e tra le cosce. Di fronte a tale situazione siamo intervenute con un’accurata spolveratura e successivi impacchi di bicarbonato d’ammonio, supportato da polpa di carta. Per alleggerire le macchie di ruggine abbiamo utilizzato una soluzione con acido citrico. L’interno della nicchia è stato spolverato; le stelline in porporina sono state abbassate e ricoperte con una velatura costituita da pozzolana e grassello di calce. Gli elementi lapidei dell’altare sono stati puliti mediante impacchi con una soluzione tampone a pH 9, supportata da polpa di carte e da fogli di cellulosa. Sullo sporco più concrezionato abbiamo usato del vapore acqueo. Sui quattro capitelli in stucco abbiamo proceduto con un sistema di pulitura a secco (gomma e spugne whishab). Le stuccature decoese o che sbordavano sulla pietra sono state eliminate e sostituite con una miscela di calce, sabbia e polvere di pietra. Sulla scultura sono stati eliminati i rifacimenti in stucco (mani e piede) e gli interventi riguardanti parti mancanti sono stati limitati allo stretto necessario. L’intonaco sui lati dell’altare è stato rifatto

con un impasto di sabbia e grassetto di calce. Sul retro, le lacune sono state stuccate con calce e sabbia, e successivamente tutta la parete è stata dipinta con grassello di calce diluito in acqua.

(1) BERGAMINI G. (cur.), Guida artistica del Friuli-Venezia Giulia, Passariano (Ud), Associazione fra le Pro Loco del Friuli-Venezia Giulia, 1999.

NELLE PAGINE: PARTICOLARI DELL’OPERA DEL MARINALI DURANTE I RESTAURI E A LAVORI ULTIMATI. IN ALTO: LA DOTT.SSA SIMONETTA GHERBEZZA AL LAVORO.

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Chiese ancor più belle

Stucchi e dipinti murali Partendo da un altezza di 9 metri circa, siamo intervenute sui diversi materiali presenti quali stucchi e dipinti murali realizzati a cavallo tra il XIX ed il XX secolo. Con il termine stucco si intende qualunque decorazione a rilievo o modanatura architettonica, costituita di gesso e/o calce, da soli o miscelati, con la possibilità d’aggiunta di altre sostanze (sabbia, polvere di marmo, ecc.). Il basso costo dei materiali di base e la facile modellatura rispetto alla pietra, hanno fatto sì che lo stucco sia servito in epoche e civiltà diverse per modellare parti di strutture architettoniche come cornici, cassettoni, capitelli e altro. È proprio con tale materiale che sono stati realizzati gli stucchi, e tutti gli elementi aggettanti che decorano la volta della cappella (cornice con elementi decorativi ad ovoli). Sono trentasei rosoni costituiti da due differenti motivi decorativi a fogliame che si ripetono, ognuno dei quali è posto su un fondo blu-grigio, inquadrati in una cornice a tempera dai colori giallo e marrone, con ai lati rettangolari raffiguranti finti marmi e piccoli quadrati rossi con all’interno fiori in stucco. Le decorazioni in stucco sono ricoperte sia da una foglia d’argento meccata che da una foglia d’oro. Ricchissimo è l’ornamento realizzato nel XX con la tecnica della tempera, raffigurante girali di fiori e foglie che si ripetono su tutta la superficie delle pareti. Ad un’analisi visiva abbiamo notato che tutte le superfici prese in considerazione erano coperte


da uno strato concrezionato di polvere mista a fumo di candela, depositatasi negli anni; ciò ha portato ad una progressiva opacizzazione della foglia metallica e della policromia. Efflorescenze saline, abrasioni, cadute della pellicola pittorica e dell’intonaco, nonché ritocchi cromaticamente alterati, interessavano i dipinti murati. Alcuni stucchi si presentavano non completamente ancorati all’intonaco. Individuate dunque le tecniche artistiche originarie e le diverse forme di degrado, si è proceduto alla scelta delle metodologie d’intervento. Sulle zone dove erano presenti sali abbiamo applicato degli impacchi di acqua demineralizzata supportata da sepiolite. Il metodo di pittura adottato è stato a secco (con pennelli di varie durezza e spugne wishab) sulle zone sensibili all’acqua, mentre sulle foglie metalliche è stato scelto un sistema acquoso (soluzione tampone a pH 8,9). Gli stucchi sono stati fatti riaderire al supporto per mezzo di una resina sintetica (Vinnapas CEF 10). Negli stucchi d’intonaco sono state eseguite iniezioni di malte (Albaria), mentre nei punti dove questa non penetrava è stato fatto un consolidamento a punti con perni di plastica imbevuti di vinnapas. Iniezioni di vinnapas sono state adoperate anche nei sollevamenti di pellicola pittorica. Sulle decorazioni a tempera risultate decoese, abbiamo applicato a spruzzo una resina acrilica (Paraloid B. 72) diluita in acetone e diluente nitro al 10%. Le stuccature delle lacune più estese sono state portate a termine mediante calce e sabbia, mentre per i piccoli dislivelli che 19

interessavano la pellicola pittorica è stato usato gesso scagliola o stucco vinilico. Tutti gli elementi metallici a vista (perni in lega ferro/carbonio) sono stati trattati con un convertitore di ruggine (Ferstatab). In accordo con la direzione dei lavori, si è deciso di effettuare un’integrazione mimetica che ha interessato rispettivamente i finti marmi e le decorazione delle pareti, risultate abrase o macchiate, utilizzando colori acrilici considerati stabili nel tempo.

A SINISTRA: L’ALTARE DEL CROCIFISSO COME SI PRESENTA DOPO I LAVORI DI RESTAURO E, NEL PARTICOLARE, IL TABERNACOLO CON INTARSI MARMOREI POLICROMI. SOPRA: L’INTERVENTO SUI DIPINTI MURALI DA PARTE DELLA DOTT.SSA RITA MAZZOLI.


Chiese ancor più belle

Dardago Proseguono gli interventi di restauro. Altri lavori sono previsti per i prossimi mesi.

Si continua a lavorare al restauro della nostra bella chiesa plebanale. I lavori finanziati dalla Regione (consolidamento, pittura interna ed esterna, impianto elettrico) sono ormai terminati anche se si dovranno effettuare alcuni ritocchi di pittura. Gli interventi tecnicamente più difficili sono stati quelli relativi al consolidamento delle murature, della struttura del tetto e dell’intonaco.

Relativamente a queste opere, viene riportata, più sotto, la relazione tecnica di Ivano Benedet, responsabile della Ditta che le ha eseguite. Ora rimangono da effettuare altri lavori, alcuni molto impegnativi ed onerosi che potremo effettuare solo se saranno finanziati ed altri che verranno eseguiti grazie alle disponibilità esistenti e alle offerte dei parrocchiani. (Continua a pagina 22)


Situazione finanziaria alla data del 29.02.04 ENTRATE

USCITE

Lavori di ristrutturazione e risanamento della Pieve di «S. Maria Maggiore» di Dardago riconosciuti dalla Regione del Friuli Venezia Giulia comprensivi di spese tecniche di progettazione e di direzione lavori

352.762,39

Lavori eseguiti dall’Impresa Zanchetta Costruzioni SpA in corso d’opera non previsti ma necessari al completamento della ristrutturazione

46.234,76

Lavori eseguiti in economia (decoratori, restauratori, opere varie per la sistemazione della Cappella Feriale, materiali vari, pulizia)

8.158,74

Offerte pervenute da privati (213 donazioni) Soci della «Cooperativa La Fratellanza» di Dardago «Unione Provinciale delle Cooperative Friulane» Pn

18.293,00 12.597,00 5.000,00

Mutuo decennale erogato dalla CRUP di Aviano a parziale Copertura dei lavori finanziati dalla Regione Friuli Venezia Giulia Utilizzo disponibilità di cassa della Parrocchia

314.212,50 16.000,00

Totale entrate Totale uscite

366.102,50 407.155,89

Debiti ancora da saldare alla data del 29.02.04

41.053,39

La Ditta FI.BE. srl di Ivano Benedet di Fontanafredda ha eseguito lavori di restauro nella struttura architettonica della Chiesa Parrocchiale di Dardago. Riportiamo la relazione tecnica degli interventi eseguiti. CONSOLIDAMENTO DELLE MURATURE È avvenuto il consolidamento delle murature tramite l'esecuzione di perforazioni con attrezzatura diamantata a rotazione del diametro di 63 mm, utilizzando il sistema di raffreddamento dell'utensile ad aria, nell'asse delle murature per la posa dei tiranti orizzontali consistenti in barre di acciaio tipo Dywidag del diametro di ventisei millimetri e mezzo. Successivamente alla tesatura, nei fori sono state iniettate miscele colloidali a base di calce. CONSOLIDAMENTO DELLA STRUTTURA LIGNEA DEL TETTO E DELLA VOLTA. Eseguita un'accurata pulizia delle strutture dalla polvere e la rimozione delle parti marcescenti o tarlate, si è proceduto ad un trattamento con impregnante antitarlo e consolidante del legno. Quindi, è stata integrata la tirantatura di sostegno della volta alla struttura lignea sovrastante aggiungendo e sostituendo, dove necessario, dei tiranti di legno. 21

CONSOLIDAMENTO DELL’INTONACO DELLA VOLTA Con l'ausilio della mappa termografica della volta sono state individuate le zone di distacco fra la struttura lignea e l'intonaco. L'intervento si è sviluppato in due fasi: una prima di consolidamento mediante la posa sotto filo dell'intonaco di una serie di supporti collegati alla struttura lignea; la seconda, di riempimento e d'incollaggio degli strati distaccati dell'intonaco con delle specifiche boiacche a base di calce additivate con delle resine per aumentare il potere d'incollaggio.

NELLE FOTO: ALCUNE FASI DELL’INTERVENTO DI CONSOLIDAMENTO DELL’INTONACO DELLA VOLTA DA PARTE DI IVANO E MICHELE BENEDET.

Relazione Tecnica di Ivano Benedet

PER IL CONSIGLIO AFFARI ECONOMICI · FABRIZIO ZAMBON


(segue da pagina 20)

Siamo in attesa di vederci riconosciuto un finanziamento per consolidare la struttura della cupola dell’abside (sopra l’altare maggiore). Il legno in molti punti è letteralmente marcio e urge, quindi, un intervento radicale, complesso e costoso. Se si interverrà sulla cupola sarà opportuno anche dar luogo ai restauri all’interno dell’abside. I lavori che non sono finanziati riguardano la sistemazione delle

sacrestie, la creazione della cappella feriale nella sacrestia di sinistra, la costruzione dei servizi ed altri interventi. Tali interventi saranno portati a termine anche grazie al volontariato di un gruppo di artigiani locali che generosamente hanno offerto la loro disponibilità e che già da ora anticipatamente ringraziamo. Naturalmente ci saranno in ogni caso molti costi che, sommati alle rate da pagare per estinguere

nel tempo il mutuo del finanziamento, richiedono che continui il flusso delle nostre offerte. Di seguito riportiamo il quadro economico delle spese sostenute e delle offerte pervenute. I CONSIGLI PER GLI AFFARI ECONOMICI E PASTORALI DI DARDAGO

Restaurate le stazioni della Via Crucis di Vittorio Janna

Da sempre sulle pareti della chiesa di Dardago campeggia il ricordo della sofferenza di Gesù nel suo cammino verso la Croce, della sua morte e della deposizione nel Santo Sepolcro. Il percorso attraverso le Stazioni della Via Crucis è reso ancor più drammaticamente vivido grazie alle rappresentazioni delle tavole litografiche edite da Turgis a Parigi e presenti nella chiesa dalla fine del 1800. Nell’attesa di ricavare maggiori approfondimenti sull’artista/stampatore francese e sull’origine di quelle litografie a Dardago, la nostra redazione desidera ringraziare Ruggero Zambon Pinal, detto Gero, già conosciuto come collaboratore del nostro giornale e noto per la sua sensibilità artistica e la raffinata tecnica pittorica; a lui infatti si deve il restauro delle litografie, ultimato da poco, dedicato ad un meticoloso e minuzioso lavoro di ricostruzione che ha saputo restituire a quelle 14 tavole l’antico e sacro splendore. «Durante il restauro – ci confida Gero – ho rivisto i momenti vissuti dai nostri uomini e dalle nostre donne davanti a queste immagini sacre, ho riascoltato le loro preghiere e i loro canti quaresimali».

A SINISTRA: DUE DELLE STAZIONI DELLA VIA CRUCIS RESTAURATE DA GERO ZAMBON.

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El balèr de la platha di Angelo Janna Tavàn

Ricordi

EL BALÈR CON LA SUA RICCA CHIOMA COME APPARE IN UNA FOTO DEGLI ANNI ’50.

Quello che posso raccontare sul Balèr della piazza del paese mi è stato in buona parte raccontato dai vecchi della mia famiglia, indicativamente quando avevo dai sei agli otto anni di età, prima che mio nonno morisse, all’età di 75 anni. La vita quotidiana di allora era scandita da ritmi e da attività che nella nostra società odierna non esistono più. Una di queste attività era l’abituale ritrovo serale di tutta la famiglia nella stalla, unico luogo della casa ove era presente 23

un tepore costante, garantito dal numeroso bestiame presente. Specialmente in pieno inverno, per il gran freddo, le giornate corte e le ridotte attività possibili all’esterno, la stalla era il luogo dove si svolgevano dei lavori utili per la casa e per il lavoro dei campi (si impagliavano fiaschi, venivano costruiti ceste e cestoni di vario tipo, le donne lavoravano la lana e così via). In tale ambiente, poi, avvenivano le discussioni, si programmava il da farsi aspettando la buona stagione e i grandi raccontavano ai bambini le loro storie di vita vissuta, racconti per lo


più di lavoro, nonchè aneddoti di vita paesana. Sono queste storie del passato, trasmessemi dai vecchi di famiglia, che ora mi permettono di contribuire a raccontare alcune cose sul Balèr. Partendo da lontano, mi pare giusto ricordare che prima del Balèr, al suo posto vi era un bagolaro (crucugnèr). Si parla indicativamente della metà del 1800, epoca in cui le condizioni di vita in paese dovevano essere improntate realmente alla miseria, basti pensare che i ragazzi di varie età aspettavano l’autunno per poter mangiare i frutti maturi del bagolaro (le crùcugne). Per fare ciò e per non aspettare che i frutti cadessero al suolo da soli o che venissero mangiati dagli uccelli, c’era l’abitudine di lanciare dei bastoni di legno contro la chioma dell’albero per far distaccare i frutti. Talvolta però, imprudentemente, per lo stesso scopo venivano anche lanciati dei sassi: fu così che un ragazzo di dodici anni, della famiglia dei Vettor Panèra, una sera venne colpito alla testa da un sasso in caduta libera, che gli procurò un grave trauma, tanto da fargli perdere la vita durante la notte. Tutta la comunità rimase sconvolta e addolorata per quanto accaduto; nessuno aveva mai prima stimato un tale pericolo indotto dall’albero. L’anno successivo, verso il mese di maggio, periodo in cui le api sciamano, un’intera colonia di questi insetti si era riunita attorno a un ramo del bagolaro. Per cercare di catturarle e riaddomesticarle, salì un uomo esperto, privo però di protezioni al volto. Per un qualche disguido, invece di riuscire a raccoglierle, fu da esse attaccato in massa. Qualcuno dalle case vicine, accortosi del pericolo, fece miracolosamente in tempo a lanciare dalla finestra un paiòn de scartosse (un materasso dell’epoca), sul quale lo sventurato si lasciò cadere, fortunatamente senza gravi conseguenze.

In seguito a questi fatti, la comunità decise di eliminare il bagolaro, ormai considerato fonte di sventura. Dopo l’abbattimento, il suo legno fu utilizzato, in aggiunta a quello proveniente dai boschi, per la produzione della calce che sarebbe servita a costruire il campanile. Proprio negli anni in cui avvenne la costruzione del campanile, nella piazza, in sostituzione del bagolaro fu messo a dimora l’attuale platano, che col tempo

fu poi chiamato correntemente Balèr da tutta la comunità, prendendo spunto dalla forma globosa dei frutti che esso produce annualmente. L’anno preciso in cui fu piantato non lo conosco, ma certamente il periodo è compreso tra il 1854 e il 1863, per cui ad oggi si può dire che abbia un’età di circa 145 anni. Del Balèr voglio ricordare un racconto, trasmessomi dai miei vecchi, che spiega l’origine della

Considerazioni di Mauro Zambon

El balèr, simbolo di Dardago è sempre stato oggetto di notevole attenzione da parte dei dardaghesi e della Amministrazione Comunale. Pubblichiamo una analisi ed una proposta provocatoria al fine di raccogliere l’opinione dei lettori.

Già da alcuni anni, ogni volta che mi trovo in piazza a Dardago, molte volte per andare dal medico, mi capita inevitabilmente di riflettere sulle penose condizioni vegetative del tanto celebrato Balèr (Platanus hybrida Brot). Ritenendo che esse siano evidenti agli occhi di chiunque, mi chiedo cosa ne possa pensare la gente di Dardago, e non solo quella. Puntualmente però, non riesco a darmi una risposta. Ho così deciso di approfittare della disponibilità concessami dal periodico della comunità dardaghese per aprire una discussione sull’argomento, immaginando di suscitare l’interesse di parecchie persone disposte a dire la loro. Credo infatti che l’argomento si presti particolarmente ad essere discusso, considerando il significato e il valore che ognuno di noi può attribuire al Balèr. Prima di tutto vorrei descrivere le precarie condizioni vegetative della pianta, dato che mi sembrano il fattore attualmente più rilevante. Esse sono state, e continuano ad essere negativamente influenzate da più elementi, primo dei quali l’età avanzata, che in maniera naturale influenza la vigoria; vi è poi la grossa carie interna al fusto, che quasi «da sempre» lo caratterizza e, non ultimo per importanza, il drastico intervento di sramatura-capitozzatura eseguito all’inizio degli anni novanta per motivi di incolumità pubblica. La combinazione di questi fattori, col tempo ha portato al risultato attuale, quello cioè di trovarsi di fronte a una pianta ormai priva di chioma e ridotta


grossa cavità originatasi nel fusto. Quando la pianta era giovane, col tronco che misurava circa venti centimetri di diametro, in occasione della sagra del 15 agosto vi legarono un paio di cavalli e un mulo, perché rimanessero all’ombra: erano, poveretti, la forza motrice che aveva trainato a destinazione i carri carichi di angurie, tradizionale specialità della sagra di Dardago. Mentre gli animali furono sistemati sotto il Balèr, le angurie vennero deposi-

tate in catasta a ridosso del campanile, in modo che anch’esse rimanessero all’ombra. Nel pomeriggio del giorno della sagra, in brevissimo tempo venne avanti un tremendo temporale, che si pensava potesse distruggere Dardago. Nel volgere di pochi minuti sulle strade l’acqua correva come nei torrenti, con un’altezza di 20-30 centimetri. Tutta quest’acqua, correndo vorticosamente, riuscì a sollevare le angurie e a disfarne la catasta, trascinandole

al fusto (cavo) e a parte delle branche primarie interessati da estesi fenomeni di carie in atto, con l’unica presenza di rami vitali di tipo epicormico, cioè inseriti direttamente sul fusto (originatisi per reazione della pianta dopo la drastica sramatura). In termini fisiologici, la pianta sta lentamente morendo, in quanto i processi degenerativi a carico della massa legnosa (causati dall’azione di funghi lignivori, la cosiddetta «carie»), sono ben maggiori della poca massa di nuovi tessuti prodotti ogni anno dalle parti vive. Tutto ciò si traduce in una sempre più scarsa vitalità della pianta, ovvero in una sua lenta agonia. Da un mio punto di vista, vorrei ora provare a spiegare i motivi per i quali sarei propenso a sostituire il Balèr con un nuovo giovane albero, spero senza scandalizzare nessuno e comunque cercando di comprendere i motivi affettivi che ad alcune persone probabilmente impediscono di condividere questa mia posizione. Gli alberi sono da sempre, per loro natura, dispensatori di servizi per l’uomo. Tali servizi sono molteplici e variabili in funzione del fatto che si vogliano considerare singoli alberi, gruppi di alberi oppure intere foreste. Mi limito a citare alcuni semplici esempi che riguardano i singoli alberi, come l’ombra, l’ossigenazione dell’aria e l’effetto estetico. È chiaro che tali benefici effetti vengono offerti dagli alberi quando essi si trovano in buone condizioni vegetative, quando cioè sono «efficienti». Per tornare al Balèr, mi sembra che la sua funzione estetica sia ormai per lo più esaurita, mentre non mi sentirei di

sottovalutarne le condizioni statiche, anche se privo di chioma e quindi con relativo minor peso verso l’alto. Infatti, le porzioni di tessuti sani presenti lungo la circonferenza, a livello del colletto (la parte bassa del tronco vicino al terreno) sono molto ridotte e la tal cosa, considerando l’inclinazione del tronco, non lascia ben sperare per la sua stabilità (specie in caso di forti temporali). Un altro aspetto da tener presente è poi quello che il fusto, cavo, possa offrire alloggio e protezione a certi organismi, come per esempio gli insetti, che talvolta risultano pericolosi per l’uomo (è il caso di vespe e calabroni). Per chiudere con le argomentazioni, aggiungo un particolare, solitamente poco considerato, che però recentemente ha avuto una maggiore diffusione proprio sulla scia della 9a Conferenza mondiale sui cambiamenti climatici, tenutasi all’inizio di dicembre 2003 a Milano e riguardante l’applicazione del protocollo di Kyoto. Come è noto, si è parlato della necessità di riduzione delle emissioni in atmosfera dei cosiddetti «gas serra» ed è stato sottolineato il ruolo delle foreste come accumulatori di carbonio, vale a dire la loro capacità di fissazione del carbonio atmosferico e la sua trasformazione in macromolecole organiche. Detto in parole povere, è stato rivalutato il ruolo attivo degli alberi, che producendo legno ed accumulandolo durante il loro accrescimento sottraggono anidride carbonica dall’atmosfera, contribuendo così a ridurre il cosiddetto «effetto serra». È chiaro, e mi ripeto, che una pianta

vitale e vigorosa si accresce, produce legno e risulta quindi efficiente anche sotto il profilo della riduzione di «gas serra», mentre nel caso di una pianta scarsamente vitale, come nel caso del Balèr, si è proprio nella condizione opposta, dove prevalgono i fenomeni degenerativi che in definitiva portano alla mineralizzazione della sostanza organica, con rilascio di anidride carbonica. Ebbene, anche quest’ultima considerazione mi fa propendere per una sostituzione del Balèr con un giovane albero, pur consapevole che comunque si tratti di un contributo infinitesimale rispetto al problema globale dell’effetto serra. Ho però volutamente toccato anche questo aspetto, perché credo che la sensibilità della comunità di Dardago per il suo albero possa riuscire a scoprire, e fare proprie, nuove motivazioni, anche se diverse da quelle fino ad oggi condivise, che sono prevalentemente di natura affettiva e storica (…co deàn da canais a dhujà sote ’l balèr… cuanta miseria!). Nutro perciò fiducia nel fatto che, con la giusta consapevolezza, i dardaghesi (e magari non solo loro) possano realmente cominciare a discutere su quale sarà e quando potrà arrivare l’erede del nostre Balèr. Immagino che l’Artugna possa ben accogliere le critiche e le proposte che chiunque si sentirà di fare sull’argomento, mentre io finalmente potrò, come dicevo all’inizio, capire cosa ne pensa la gente di Dardago.


LA FERITA DEL BALÈR: UNA GROSSA CARIE INTERNA AL FUSTO CHE METTE A REPENTAGLIO LA VITA DEL NOSTRO PLURICENTENARIO ALBERO.

poi lungo la via Brait e depositandole qua e là nei prati che portavano verso Budoia. Per la gioia dei giovani, che senza troppa paura del temporale le rincorrevano a piedi nudi e ne mangiavano a sazietà. Il giorno dopo, qualcuno si accorse che gli animali avevano eroso un’ampia porzione di scorza sul tronco del Balèr e alcuni vecchi allora dissero che non si sarebbe più rimarginato bene, in seguito a quella ferita (anch’io, per mia esperienza, posso dire che le ferite fatte alle piante nel mese di agosto sono di difficile guarigione). Nonostante questa ferita, col passare del tempo il Balèr si accrebbe con buona vigoria e raggiunse discrete dimensioni, anche se nel suo fusto, sul lato privo di corteccia, iniziò a formarsi una cavità via via di dimensioni sempre maggiori, tanto da poter ospitare più persone al suo interno. Credo che rimanga scolpito nei ricordi giovanili di molti compaesani il piacevole riparo che spesso nottetempo offriva: alle coppie di fidanzati bisognose di scambiarsi tenere effusioni, garantiva, con complicità, la giusta atmosfera. Galeotto fu il Balèr! È il caso di dire.


50 ANNI DOPO: EL BALÈR ACCUSA IL PESO DEI SUOI TANTISSIMI ANNI.

Ho poi il ricordo di certe torride giornate estive, quando dalla sua folta chioma centinaia di cicale, ognuna dal canto preciso e mai stonato, suonavano una musica degna di un’orchestra sinfonica, rallegrando metà paese. Nel 1959 fu asfaltata l’intera piazza di Dardago; mi ricordo che feci presente a diverse persone che il Balèr ne avrebbe sofferto, in quanto l’acqua piovana non avrebbe più bagnato le sue radici come in precedenza. Negli anni che seguirono infatti, la sua chioma lentamente si fece meno folta e rigogliosa, cosa che continuò fino ai nostri giorni. Nei primi anni ’80, dei calabroni cominciarono a frequentare la parte interna del tronco, fino a stabilirvisi e fare il nido. Essi erano un vero e proprio pericolo per chi inavvertitamente si avvicinava al Balèr e proprio per questo alcune persone decisero di eliminarli facendo fuoco dentro alla cavità del tronco, che ormai si estendeva in altezza fino ai primi rami. Per fare ciò, verso sera, quando essi si riunivano nel nido, venne impiegata una certa quantità di carta di giornale, bagnata con del carburante. Dopo la gran fiammata iniziale però il fuoco, invece di spegnersi lentamente, continuò piano piano ad ardere, perché la parte interna del tronco era secca e veniva a crearsi un tiraggio proprio come in una canna fumaria. Dopo un po’ Agostino Vettor Cariòla, dal suo bar in piazza decise di telefonare ai vigili del fuoco, dato che il fuoco non accennava a diminuire. «Venite in piazza a Dardago, che c’è un albero che sta bruciando e c’è pericolo per le case attorno» disse loro. I vigili del fuoco inizialmente pensarono che si trattasse di uno scherzo, però poi intervennero e si resero conto che la cosa era piuttosto seria. Dopo aver domato le fiamme, fu offerto loro da bere e proprio in quel momento le fiamme riprese27

ro di nuovo dall’interno del Balèr. Così lanciarono ancora acqua a volontà, questa volta spegnendolo definitivamente. Data la sua ormai notevole età e a seguito di tutte le angherìe subite, lentamente i suoi rami cominciarono a seccarsi, a partire dalle punte e, progressivamente, aumentava il pericolo che potessero cadere e procurare danni a persone o cose. Il Comune ed i vigili del fuoco decisero così di tagliare i rami pericolosi e di abbassare la chioma: era il 1990. Passato qualche anno, il Comune fece eseguire un intervento curativo al tronco da parte di una ditta specializzata, che lo disinfettò, applicò dello stucco sulle ferite e una rete metallica a chiusura della cavità. In questi ultimi anni lo vedo sempre più malandato e privo di avvenire. E così mi chiedo: «Cosa verrà dopo di lui? Potrà poi bastarci solamente il suo ricordo?» Credo di no: per l’ornamento e per la gioia di vederle crescere che ci danno, le piante sono nostre compagne indispensabili; abbiamo tanto bisogno di loro ed è nostro il compito di piantarle, seguirle nello sviluppo e aiutarle nei momenti critici. Il tutto con la speranza di non continuare ad arrecare loro le ferite e gli insulti di vario tipo subiti dal Balèr.


A gennaio sono partito per un mese di volontariato in Brasile: prima tappa Salvador de Bahja e precisamente la favela Baixo do Tubo dove mi aspettava suor Rita. Come ricorderete nel numero de l’Artugna di Pasqua 2003 parlai di questa suora e del suo impegno nella favela e della necessità di raccogliere dei fondi per ampliare e consolidare l’asilo che ospitava i bambini della favela

Dare spazio agli altri di Pietro Janna

FOTO IN ALTO: DOPO IL DOLCE E IL GELATO LA DISTRIBUZIONE DI UN SACCHETTINO DI CARAMELLE AI BAMBINI DELL’ASILO. FOTO IN BASSO: UN GRUPPO DI BAMBINI DEL BARRIO CAPALOZZA. NELLA PAGINA ACCANTO: LUCAS (AL CENTRO) CON DUE SUOI FRATELLI.

stessa. Nel corso dell’anno sono riuscito a raccogliere anzi a superare la somma richiesta con offerte ricevute in parrocchia, molte dai miei ex colleghi e attraverso privati cittadini; da queste pagine desidero ringraziare tutte quelle persone che hanno contribuito a realizzare questa iniziativa. Quando ero lì, i lavori erano già a buon punto e con la somma raccolta siamo riusciti a fare due aule in più del previsto. Lasciato Salvador mi sono recato ad Açailandia nello stato del Maranhao grande quanto l’Italia con una popolazione di circa 5 milioni di abitanti ed è uno degli stati più poveri del Brasile.

La città di Açailandia si trova a 800 km all’interno del paese, è circondata dalla foresta equatoriale amazzonica; il periodo della mia permanenza era la stagione delle piogge per cui ogni giorno avevamo un acquazzone accompagnato da un caldo soffocante e da un’umidità opprimente. Da Açailandia suor Antonietta mi scrive: «Il tuo piccolo Lucas è entrato nella «Casa Famiglia», lo ha accompagnato la mamma: vedessi quanta freddezza in quella donna… speriamo che qui trovi un po’ d’amore. Ieri abbiamo festeggiato gli 11 anni di Vanessa, mancavi solo tu». Lucas è un bambino di 6 anni, secondo di sei fratelli, la mamma fa la prostituta, il padre non lo ha mai conosciuto; vive, assieme ai fratelli, con altri sette cugini, con il nonno ed uno zio… non hanno né da mangiare, né di che vestire. Vive tutto il giorno nella strada, non ha avuto affetto, una carezza, le prime volte che mi avvicinavo si ritraeva per paura, poi piano piano ha cominciato a dare confidenza. Quando sono partito è venuto anche lui a salutarmi alla stazione e mi ha buttato, piangendo, le braccia al collo: suor Antonietta mi ha guardato commossa e mi ha detto: «È la prima volta che abbraccia qualcuno». Vanessa è una ragazza di 11 anni: da tre anni è violentata dal padrino nell’indifferenza totale della madre. L’ultima volta è finita all’ospedale per gravi lesioni interne; ora è ospite anche lei della «Casa Famiglia». Due casi che rappresentano uno spaccato di questa città sorta circa una ventina di anni fa in una zona rurale dove vivevano solo agricoltori. Lo sviluppo è cominciato con la costruzione della strada Belem-Brasilia ed è arrivata gente da tutto il Brasile perché c’era la possibilità di lavoro nella siderurgia e nelle miniere di ferro e


carbone. La foresta pluviale è stata disboscata al suo posto sono sorti migliaia di ettari di eucalipto, pianta di rapido accrescimento che si presta molto bene per ricavare il carbone con cui alimentare le siderurgie. Oggi il lavoro scarseggia, il 70% della popolazione è sotto la soglia della sopravvivenza; per chi ha un lavoro il salario è di 70 euro al mese. La scolarizzazione è numericamente migliorata ma di pessima qualità: molti alle medie sanno appena leggere e scrivere. Lo stato sanitario non è migliore: vermi, pidocchi, lebbra, malaria, tbc, asma, 36 casi di Aids conclamati. Ogni forma di assistenza medica è a pagamento! Non c’è concetto di famiglia, molto forte il senso del maschilismo per cui l’uomo è padrone, può andare con la donna che vuole senza farsene una colpa e la donna, per la promessa della sesta basica (che consiste in un paniere di riso, fagioli, oli), si compiace. I bambini il più delle volte non hanno di che mangiare, passano anche giorni e giorni senza mangiare nulla; molto diffusa è la violenza domestica e la prostituzione minorile favorita dalla stessa mamma. Nel 1994, qui sono arrivate le suore della provvidenza guidate da una dinamica ed intraprendente suora trentina: suor Antonietta Defrancesco. Per un anno hanno sondato in silenzio, con discrezione e rispetto delle loro abitudini e, senza intromettersi nella realtà, hanno cercato possibili leader e con questi hanno cominciato a lavorare. Sulle magliette hanno stampato una colomba con la scritta: «Ottimo che la tua mano aiuti a volare ma non rischiarti a tenere strette le ali». Oggi, a distanza di otto anni, hanno creato un centro che si chiama CIFEC (centro di integrazione scuola famiglia comunità)

dove ospitano 600 ragazzi suddivisi in due turni uno al mattino e uno al pomeriggio offrendo loro un pasto che per quasi tutti è l’unico della giornata: menù fisso a base di riso bollito e fagioli. Vengono svolte attività di doposcuola, biblioteca, sport, danza, teatro, informatica, falegnameria, ceramica, cucito, alfabetizzazione degli adulti, assistenza pedagogica e sociale. Hanno costruito due case famiglie (una maschile e una femminile) attraverso le quali danno assistenza ai casi difficili come quelli esposti; hanno, inoltre, costruito una panetteria con annessa pizzeria. Molto forte è la presenza religiosa con un gruppo liturgico attento, preparato, motivato e coinvolto da un consiglio pastorale efficiente: l’unica messa settimanale è vissuta e partecipata come un evento straordinario. Quotidianamente una suora ed un laico visitano le famiglie per ascoltare i loro bisogni e per portare una nota di amore e di spe-

Un altro dardaghese, Mario Santin Tesser, sta dedicando il suo tempo ai bambini della Missione di San Carlos in Bolivia Ha trascorso già alcuni mesi tra loro, collaborando attivamente in un laboratorio di falegnameria. Il suo sogno è di ritornare in autunno in quella missione. Confidiamo di poter dare maggior spazio alla sua opera di volontariato in un prossimo numero. LA REDAZIONE

ranza. Ancora una volta ho vissuto un’esperienza meravigliosa accanto a queste persone così cariche di umanità e amore che sanno ascoltare il grido dei poveri nel silenzio e nell’umiltà, rispettando la loro sensibilità nella consapevolezza che basta un piccolo gesto per rendere felice una persona. Un saggio indiano scriveva prima di morire: per servire si deve capire per capire occorre ascoltare per ascoltare bisogna tacere.

Ascoltare significa dare spazio all’altro… coinvolgerci con lui.

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Ci sarebbe qualcuno disposto a fare un’adozione a distanza a favore del piccolo Lucas? Per informazioni contattare Pietro Janna al numero 338 6707619.

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Un’affezionata lettrice ci ha fatto pervenire i suoi ricordi, in parlata dardaghese, sulla sua infanzia trascorsa nel nostro paese. Dalla lettera che li accompagnava ricaviamo queste informazioni che ci permettono di presentare l’autrice.

La Ida la ne conta… di Ida Rigo «Mi chiamo Ida Rigo. Sono nata a Dardago il 24 agosto 1924. I miei genitori sono Isidoro Rigo Moreàl e Andreana Busetti Caporàl. I miei nonni materni furono Luigi Busetti e Santa Del Maschio Cùssola. I miei nonni paterni furono Adamo Rigo e Anna Kuska di origine polacca e slovacca, nata nei Carpazi nel villaggio dove nacque anche mio padre. Isidoro e Andreana hanno avuto sei figli: Jolanda (1922), Giovanna (1931), Alfredo (1936) sono nati in Francia; io, Linda (1927) e Lidia (1930) siamo nate a Dardago. Alfredo è morto nel 2001 a 65 anni. Ho studiato in Francia; dal 1950 ho continuato gli studi in Svizzera dove ho conseguito i diplomi di ostetrica, infermiera e strumentista. Ho un gran desiderio di raccontare in dardaghese i miei ricordi. Sarà possibile?»

*

Siamo lieti di accontentare la nostra lettrice. In questo numero pubblichiamo i suoi ricordi di tre anni trascorsi nella casa della nonna materna a Dardago. Il racconto continuerà nei prossimi numeri.

«Un pòc da ride e tant da no dismentià» 1936-1938 ’L é nassùt me fradèl Fredo (Alfredo) e me mare l’é stada tant, ma tant mal; quasi la moreva, ma l’aga de Lourdes i l’à salvada e l’à vedut la Madóna. No ài dismintiàt: ‘veve tredese ains e me mare ’l à varave campat anciamò 40 ains. Me pare l’à dita: «L’è la Ida che l’à da tende a Fredo» e cussì ’l é stat. Ai dit a me mare: «Mi, co soi pì granda fathe l’infermiera e ti, mare, te cure adès». Son dudhi a Dardàc me mare, mi e Fredo picinìn, un bel fantolin. Che contenta che l’era me nona Santa! E ancia me nono Gigi. Me mare la dheva a Sathìl pa curasse co’ la Ida Monte Busetti. Me nona l’era amiga co la Vitoria Thisa e i à prestàt la careta e la mussa. Mi deve co’ Bepi Ciampàner, che ’l veva ’na ciavàla e la careta, a tò le s’ciatole de late «Nestlé» dal spethièr a Pordenòn pa Alfredo.

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’Na matina sente thiâ: «Strathe, ossi, pèl de cunicio!». Ài clamàt me nona e i ài dita: «Nona, àto strathe?» Me nona, che l’era ’n te la so ciambra: «No, le strathe se le dopera; l’è sempro bone, basta che le sea nete. No vae a thavarià co i strathèrs, mi!», e la continuat 30

a sistemà ’l so stramàth che ’l era fat de scartòth de blava.

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Quan che me nona la veva da onde el formài ’nte la stanthìa la me clamava e la me diseva: «Ida, te dàe vinti schèi; te me toe da Colùs dièse schei de conserva, thinque schei de pevre e co’ i altre thinque schei te te toe le pierete de orzo». Dopo la freava le pethe de formai co’ l’oio e ’l pevre.

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Me nona la feva al levàt pal pan co’ la farina de siàla e mi dheve a cusinàlo ’ntel fôr de Tessèr. E che bon, che bon che ’l era chel pan de siàla! Se dhèva ancia a cusinà el pan da me agna Fiorina, so suor de me nona, ma le ciatava da dì pal palegrèn: «Mi me mancia ’l palegrèn». E l’altra: «Ancia a mi ’l me mancia». I era duti doi compagni. No ve dise el profun de chel pan!

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’Na sera me nono me contava la storia de «Guerino meschino», ’na storia de Guerino ch’el vigneva dhò dal Saùc fin in Val de Croda e ’l feva pura a la dhent. Me nona i diseva da no contàme storie de strie, ma mi no veve pura! Dopo un poc sente Fredo, al me nino, che ’l à la tós: l’era in giro la tós pagana. I l’à ciapada. Un dì vin sù me agna Fiorina; ’l era al mes


fer… Madona! Ài vedùt su ’na rama de ’na cassia ’na vipera intorgoladha. Savèo che thacagnàda de pura se la se butàva su par mì e Fredo! Cori, cori, Ida, come ’na saeta! Soi dudha a contàla a la Vitoria Thisa. In chela capita me nona; la portava la mussa e la careta che l’era dudha d’imprèst pa’ l’Andreana pa’ dì a Sathìl. ’Von magnàt pan de siàla e formai e son dudhe a ciasa. Me mare: «Ida, basta dì in Val de Croda!». E me nona: «Che tiri! ’L è dudha pa ’l nino».

d’aost. «Andreana – i dis a me nona – doman me fiol Bepi al sèa in Val de Croda. Manda la Ida co’ la carothela e ’l nino in Val de Croda co’ Bepi; cussì ’l cambia aria». Ài portàt Fredo in Val de Croda. Mi e Bepi ’von magnàt pasta e fasòi. Che bona che l’era! Dopo, Bepi ’l me à portàt a beve l’aga fresc’ia, dhò ’ntei Agaròi. Co’ la scortha de na rama Bepi ’l à fat ’na piria e ’von beùt. Fredo ’l dormèva. Co la carothela me soi instradhadha pa tornà a ciasa. La carothela l’era fata de vencs co’ le rode de fer che le feva bacàn. Un tòc in dhò sente: «Idaaa! Idaaa!..», l’era la Rosi de la Giovana Caporala che l’era a passòn coi pui su le rive dongia l’Artugna, «Sta ca un toc co’ mi, Ida». Soi stada là un toc; ài tot su biei flors e i ài portàth a ciasa e metudh a la Madona. Feve sempro altarins a la Madona coi flors.

*

Me plaseva sentì la Neta a thià, co’ la so careta e la mussa: «Bei pomi, carobole, stracaganasse!». Domandave a me mare diese schei pa’ le stracaganasse. Me mare no la voleva e me nona:»Vato tant a thavarià pa’ diese schei! Ciapa, ciapa Ida.

*

Me plaseva vede me nona a lavà la roba. L’aveva metùt da banda la thenìsa de le legne del so bosc, bela nèta. La feva foc pa’ s’cialdà l’aga, la colava la thenìsa su la roba e la butava l’aga de bói. La roba la vigneva béla neta co’ un profun che no ve dise.

*

Soi dudha un grun de volte in Val de Croda co’ el me Fredo ch’el steva meio da la tos pagana. Un dì vigneve dhò co’ la carothela co’ le rode de

Me nona a fà da magnà l’era mestra. Dut Dardàc vignéva a clamàla pa i past de nothe. La feva dut sul foghèr e le pignate su le bore.

GRUPPO FAMIGLIARE RIUNITOSI IN OCCASIONE DEL MATRIMONIO DI LINDA RIGO. È RICONOSCIBILE LA NONNA SANTA DEL MASCHIO CUSSOLA.

Me plasèva duià a schei co’ le me amighe. Un dì ’veve vinto e ere duta in agitathiòn. Fredo, a vèdheme, al plandèva e no se àlo rebaltàt da la carothela! L’ài portàt drento; bôte da me mare, thiàde da me nona! Me nono: «La lassèo stà chela canàia! Nol se à fat nuia! La me à tôt i schei. Ma a l’indomàn me nono, de scondiòn, i me li à tornàdhi.

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Me nono Gigi ’l deva ’ntel bosc dongia l’Artugna a tò i vèncs pa’ fà theste e thestute. Savèo che pulìdho che i le feva. Dut Dardàc el vigneva a tòle. El feva ancia le bancie a tre piè, chele pa molde ’ntel stale, e caregute. Gigi ’l tornava dal bosc: «Santa, ài ciatàt fòncs e bale dardàne». ’Von cojùt sul larìn la polenta coi fòncs. Che magnàdha! Me nona la meteva le patate sul trapiè e, sote, tante bore pa’ rostìle. «Nona, co te bute la polenta, lásseme la cialdieruta!». Ài butàt un fià de lat e che bone le scalete col lat! 31

NEL RIQUADRO: IL PICCOLO ALFREDO RIGO, PROTAGONISTA DEI RICORDI DI IDA. A SINISTRA: LA IDA RIGO, CLASSE 1924, LA NE CONTA…

’Ndeve spes da la Gigia de Marco, l’era gran amiga de me mare. La me contava tant de ’na volta: «Co to mare la feva l’amor co’ Isidoro, ’na volta i ài domandàt se i plaséva Isidoro e liena la me à respondùt che ’l é fat de oro. Nealtre se riduthava e se ciantava: «Isidoro fat de oro! Isidoro fat de oro!».


Già da alcuni anni, il 27 gennaio è dedicato al ricordo delle tragedie consumate nei campi di sterminio nazisti. Oltre alle grandi storie rievocate e conosciute, esistono piccoli episodi locali che meritano comunque di essere citati.

27 GENNAIO

giorno della

memoria

Un quotidiano, un’amicizia Wuppertal (Germania) 1942 - 1943

SOPRA: IL NOSTRO PROTAGONISTA A WUPPERTAL AGLI INIZI DEGLI ANNI ’40. A DESTRA: GUIDO BUSETTI IN UNA FOTO DI VENT’ANNI FA.

Un giorno, come era solito fare, Guido va all’edicola per acquistare il quotidiano, e là vede un ragazzino strappare ad un signore ebreo, ben individuabile dalla stella di David sulla schiena, il quotidiano che anche lui aveva appena acquistato. Guido, vedendo questa triste e pietosa scena, rimprovera il ragazzino dicendogli che non c’era alcuna legge che vietasse agli ebrei di leggere il giornale, quindi ne compra uno nuovo per darlo al signore ebreo. In seguito questi riceve altre volte il quotidiano dal nuovo amico incontrato all’edicola: forse Guido voleva evitargli ulteriori umiliazioni. Un giorno accade il peggio, una retata, fortuna vuole che Guido si trovi nei paraggi e in quella improvvisa confusione riesce a nascondere col proprio corpo l’amico dell’edicola che stava per essere catturato e a farlo entrare in un portone dove abitavano persone amiche. Da lì in breve gli procura un salvacondotto per il Belgio, salvacondotto che ottiene 32

attraverso funzionari che frequentavano abitualmente il ristorante dell’albergo in cui lavorava. Finisce la guerra, passano gli anni e nei paesi gli amici si ritrovano e si raccontano dove hanno trascorso quegli anni. Guido racconta ad un amico, che durante la guerra era rimasto negli Stati Uniti, che lui lavorava in Germania, a Wuppertal. E l’amico «americano»: «Ma allora eri tu...». E gli dice che per molto tempo c’era stato un annuncio su un giornale in cui si cercava un certo «Guido» che durante la guerra lavorava a Wuppertal, al Kaiserkhof Hôtel. Sicuramente era l’amico ebreo che voleva contattarlo e scrissero al quotidiano americano, sapendo dai loro fugaci incontri che là negli Stati Uniti, c’erano un fratello, dei cugini e degli amici di paese: era probabile che qualcuno l’avrebbe informato. Il «Guido» di questa storia era Guido Busetti ed era mio papà. Io ho immaginato di avergli piantato un ulivo nel «giardino dei giusti» in Israele. LEONTINA BUSETTI


«Un prigioniero nel lager» ossia «Mamma, ritornerò!» Giorni fa, sfogliando le pagine di un vecchio libro di messa della nostra mamma, ho trovato un foglio autografo di mio fratello Ferruccio Zambon Tarabin, classe 1922, scritto durante la sua prigionia. Combattente in Jugoslavia, fatto prigioniero fu deportato in Germania a Buchenwald, località a circa 80 km ad ovest della città di Lipsia. Tra il 1943 e il 1945 fu internato nel campo di concentramento nazista nel quale morirono circa 560.000 persone, molte delle quali vittime di disumani esperimenti scientifici. SILVESTRO ZAMBON TARABIN

Un prigioniero nel lager sogna la mamma un tesor, mentre la sposa lontana prega perché torni ancor, quando la sera s’imbruna stanco egli vien dal lavor, mangia quel poco che danno e con nostalgia canta egli allor. Mamma ritornerò questa è la speranza mia lontan da te io soffro infinita nostalgia, prega per me, o mamma, come io prego per te e se la sorte è amica, felice sono di tornare a te. Il quotidiano lavoro filtra il più forte pensier, ma non s’abbatte il morale dell’italian prigionier, sopporta l’ira tedesca che ci minaccia ogni dì, sembriam tanti fratelli e tutti in coro cantiam così: Mamma ritornerò, mamma ritorneremo, la nostra patria allor noi la riconosceremo. Ma se qualcun di noi più non ritornerà, la sorte è stata avversa, in cuor di ognuno non lo scorderà. FERRUCCIO ZAMBON

FERRUCCIO ZAMBON TARABIN SOTTO: IL DOCUMENTO ORIGINALE DELLA POESIA SCRITTO DURANTE LA SUA PRIGIONIA


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BACCALÀ MANTECATO Ingredienti [per 10 persone] 500 g di stoccafisso 250 g di olio extravergine 50 g prezzemolo 1 litro di latte 1 spicchio d’aglio sale, pepe q.b. Giorno importante nella vita contadina era il giorno dell’uccisione del maiale, perché assicurava cibo per tutto l’anno a tutta la famiglia. Del maiale non veniva scartato nulla. Quello che non si poteva utilizzare come alimento veniva utilizzato per altre lavorazioni come spazzole, pennelli, sapone ecc. Qui di seguito viene descritta una ricetta che utilizzava il sangue del maiale appena ucciso, raccolto in un catino e subito fatto bollire per tre o quattro minuti. Il sangue così cotto e rassodato veniva poi tagliato a fettine e consumato la sera stessa dell’uccisione, perché comunque facilmente deperibile. Il piatto, allora considerato molto prelibato, veniva accompagnato da una bella polenta fumante.

SANGUINACCIO DI MAIALE Ingredienti [per 4 persone] 3 1/2 etti di sanguinaccio tagliato a fettine 2 cipolle una noce di burro 2 foglie di salvia sale, pepe q.b.

Preparazione Mettere in ammollo il baccalà in acqua. Dopo circa un giorno e mezzo cambiare completamente l’acqua e lasciarvelo per un altro giorno e mezzo. A questo punto scolarlo, eliminare la pelle, le lische e le spine. Mettere ora a scaldare un litro di latte e, quando è giunto a bollore, mettervi il baccalà ridotto a pezzetti e quando il latte avrà ripreso il bollore scolare il baccalà (conservando il latte). Quindi un poco alla volta frullarlo aggiungendovi l’olio a filo. Nel caso risultasse comunque troppo asciutto aggiungere un poco del latte bollito. Quando il tutto sarà ben montato e diventato di un colore molto chiaro e della consistenza di una purea mettete il composto in un contenitore, aggiungere sale, pepe bianco, due spicchi d’aglio tritato e mantecare con una frusta. Mettere quindi a raffreddare e servire a temperatura ambiente accompagnato da polenta calda.

Preparazione In un tegame far imbiondire burro e salvia, unirvi due cipolle tagliate sottilmente, cuocere per circa dieci minuti a fuoco moderato aggiungendo una tazzina di brodo se necessario. Inserire quindi le fettine di sanguinaccio e cuocerle sempre a fuoco moderato alcuni minuti per parte. Aggiungervi sale e pepe e servire con polenta. Si ringraziano per la collaborazione Piero Vettor Cariola, Noè e Piercarlo Del Puppo

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a cura di ADELAIDE BASTIANELLO


UN ACCORATO APPELLO AI LETTORI

Se desiderate far pubblicare foto a voi care ed interessanti per le nostre comunità e per i lettori, la redazione de l’Artugna chiede la vostra collaborazione. Accompagnate le foto con una didascalia corredata di nomi, cognomi e soprannomi delle persone ritratte. Se poi conoscete anche l’anno, il luogo e l’occasione tanto meglio. Così facendo aiuterete a svolgere nella maniera più corretta il servizio sociale che il giornale desidera perseguire. In mancanza di tali informazioni la redazione non riterrà possibile la pubblicazione delle foto.

’n te la vetrina NELLA FOTO: ITALIA ARIET CON IL MARITO GIUSEPPE PUSIOL, NEGLI ANNI ’40, A VENEZIA. (FOTO DI PROPRIETÀ DELLA NIPOTE LAURA DEDOR)

NELLA FOTO: ANNO SCOLASTICO 1955/56 FILA SUPERIORE DA SINISTRA A DESTRA: DANIELA BOCUS DELLA ROSSA, MARISA PIAN, SANTINA ZAMBON LUTHOL, LOREDANA BOCUS FRITH, ANGELA ZAMBON PINAL, LILIANA BOCUS FRITH, BEATRICE IANNA CIAMPANER, SOLIDEA ZAMBON PALA, CECILIA BUSETTI CAPORAL. ACCOSCIATI DA SINISTRA A DESTRA: LUIGI ZAMBON MARIN, FRANCO BUSETTI CAPORAL, FLAVIO ZAMBON TARABIN MODOLA, RODOLFO SPINA, PIETRO ZAMBON BISO, MARCO ZAMBON TARABIN TUNIO, MARIO ZAMBON VIALMIN, GIANNI ZAMBON ROSIT, MAURIZIO GRASSI, PAOLO ZAMBON PALA. MAESTRO: UMBERTO SANSON. (FOTO DI PROPRIETÀ DI CORNELIO ZAMBON MARIN)

NELLA FOTO: UN BEL GRUPPO DI «MILANESI» NEGLI ANNI ’60. CI SCUSIAMO CON I LETTORI PER LA DIDASCALIA RIMASTA INCOMPLETA. PURTROPPO NON CI È STATO POSSIBILE INDIVIDUARE TUTTI I COMPONENTI RITRATTI NELLA FOTO. PRIMA FILA: ANTONIO FORNI, ... GERONE (MUSICISTA), ?; SECONDA FILA: ANTONIO BASTIANELLO, BASILIO COLUSSI (VIOLINISTA), ?, LUIGI GERONE, ITALIA BASTIANELLO, LUIGI ZANUS PERELDA, GINA TASSAN, LUCILLA TASSAN; TERZA FILA: ELISA DE CHIARA, ?, ANGELINA VENTURA, MADDALENA ZANUS, ... COLAUSSI, ... COLAUSSI (FIGLIO), ... MARSON, ?, LUIGI GANT, ... GALLETTI, ?, ERMELLINA DE PIANTE, ?, GIULIO TASSAN, ... CIMAROSTI; QUARTA FILA: IN COSTUME, ... FILIPPI, ... FRATELLI, ... MAZZOCCO, DARIO GALLETTI; QUINTA FILA: ... VISENTIN, GIUSEPPE TASSAN, ?, ... VIOL, ?, ?, ?,?, LA BAMBINA IN GINOCCHIO È LORELLA TASSAN.

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Quando mi è stato chiesto di scrivere un omaggio per la nostra cara amica Vilma Angela, prematuramente scomparsa lo scorso 22 dicembre 2003, mi sono trovata in difficoltà per le emozioni che inevitabilmente rivivo ricordandola, per l’impossibilità di descrivere la sua eccezionale personalità in così poche righe e soprattutto per l’imbarazzo di interpretare il sentimento ed il dolore di un’intera comunità e degli amici.

Arrivederci

Vilma! Nonostante ormai da parecchi anni vivesse a Venezia con le amate figlie ed il marito, Vilma era una «budoiese doc». Appena poteva infatti, libera dagli impegni del bar che gestiva assieme al marito Danilo, raggiungeva la sua amata Budoia per far visita alla famiglia e ai numerosi amici. Difficilmente potremmo dimenticare questa cara amica che ha vissuto una vita breve ma in pienezza, con grande dignità e fermezza nei propri valori e doveri morali. Ora come non mai si riaffaccia vivo il ricordo di Vilma ed è legato ad una situazione che vivrò fra non molto. Ricordo che nel giorno della Cresima dei miei fratelli, si è avvicinata con il suo solito modo così gioioso, espansivo, vivace e mi ha detto che avrebbe partecipato al mio matrimonio anche se non invitata... era il suo modo per farmi capire che in un giorno così importante per me non sarebbe mancata proprio perché in questo valore lei credeva molto e lo viveva con serietà, rigore e coerenza. Ecco, proprio questo mi piaceva e mi colpiva di Vilma: la fermezza e la dedizione con cui viveva valori come il matrimonio, la famiglia e non ultimo l’amicizia. Spero che, anche se non sarà presente fisicamente, il suo esempio così luminoso sia per me un modello a cui affidarmi e un punto di riferimento. Ricordo Vilma come una presenza forte e gioiosa nella mia vita fami-

gliare ma anche nella realtà del nostro paese. Era dotata di un particolare carisma, era una di quelle persone che una volta conosciute non puoi dimenticare, una persona che lascia un segno. Non si può scordare una persona che dà amore e lei amava la vita. Lo dimostrava con le parole, grazie alla sua indubbia capacità comunicativa, e con i suoi piccoli e semplici gesti quotidiani. Aveva sempre una parola buona e di conforto verso coloro che ne avevano bisogno, fossero essi bambini o persone anziane. Sapeva dare il giusto valore alle cose: consolare a anche sdrammatizzare. Amava stare in compagnia, andare alle feste o alle cene, alle manifestazioni e ovunque andasse portava una ventata di allegria catturando su di sé l’attenzione grazie alla sua spontanea gestualità e alle sue battute sempre pronte in dialetto budoiese o in veneziano... a seconda di dove si trovasse. Cambiava il dialetto ma lei era sempre la stessa: a Budoia, la piccola realtà in cui è cresciuta, e a Venezia dove si era perfettamente integrata. Quando andavo a Venezia e passavo al bar a salutarla (guai se andavo a Venezia senza passare di là!) l’accoglienza era sempre gioiosa sia che fossi da sola sia che fossi in compagnia di amici. In poco tempo coinvolgeva i suoi clienti abituali, spiegava loro che ero di Budoia e 36

questo lo faceva sempre con una punta d’orgoglio. Osservavo con stupore il modo in cui trattava i clienti soprattutto quelli che abitualmente frequentavano il bar: li accoglieva sempre con il suo «ciao vecio», con il sorriso sulle labbra, padroneggiando con destrezza anche il veneziano... Anche a loro manca e mancherà la cara Vilma sempre così affabile, cordiale, allegra e solare... lei che, anche in una città così turistica, vivace e dinamica era riuscita a crearsi il suo gruppo di amici... Per quanto riguarda noi budoiesi, è difficile immaginare le ricorrenze religiose e laiche senza Vilma che difficilmente si lasciava sfuggire nonostante i numerosi impegni. Ci mancherà alla Messa di Pasqua, alla Messa di Natale, alla Messa delle 18.00 a cui era solita partecipare... ci mancherà alla festa dei Funghi, alla marcia, al Pane e Vin... Sono sicura che ognuno di noi ha un ricordo proprio e personale di Vilma. Questo è il mio ed un ricordo forte e positivo, che pur nel dolore, riesce ancora a strapparmi un dolce sorriso. «È stato facile volerti bene, impossibile dimenticarti. Ciao, Vilma!» STEFANIA

Cara Vilma, sono tante le cose che vorrei dire ma voglio ricordare un episodio accaduto l’ultimo giorno passato assieme che mi ha fatto capire ancor più la tua grande bontà d’animo e quanto poco ci vuole per rendere felici le persone: la carezza e il bacio che hai dato a due anziani, la dolcezza del tuo sguardo e la felicità che traspariva dal loro volto per questo semplice ma grande e profondo segno d’amore. GIOVANNI


Lasciano un grande vuoto... l’Artugna porge le più sentite condoglianze ai famigliari

Adele Bocus Del Maschio Non tutte le persone hanno il dono della fede, tu sì e non ti ha mai abbandonato Gesù Bambino ti ha reso una nonna speciale e ti sei meritata un dono speciale: il Paradiso e siamo sicuri che anche da lassù ci starai sempre vicino LUCA, FRANCESCO ED ELENA

Il loro ricordo non sfuma Commovente incontro anni veniva con altri amici a Dardago attratto dalle bellezze dei nostri luoghi. A Giovanni piaceva comporre poesie. In sua memoria mi piace pubblicarne una, scritta dieci anni fa.

È già trascorso un anno dalla tragica e prematura scomparsa di Giovanni Pujatti, giovane ventinovenne di Villanova di Prata, mentre cercava di portare a termine quello che doveva essere il nido di una nuova famiglia. Era un giovane intraprendente, amante del fai fa te, di professione fisioterapista. Così mi hanno parlato di Giovanni i suoi genitori (in particolar modo la mamma) che ho avuto modo di conoscere a casa loro. Giovanni aveva una grande passione per le nostre colline boscose tra le quali gli piaceva passeggiare con la fidanzata Federica. Era anche un appassionato rocciatore e frequentava la palestra di roccia sul Crep de San Tomè a nord di Dardago. Già all’età di 13

ESPEDITO ZAMBON

IL MIO DIO

Credo in un Dio creatore e demiurgo, perché il mondo è troppo perfetto nella sua imperfezione per essere frutto di casualità e non di causalità. Credo in un Dio che ci aspetta nell’aldilà, perché questa vita sarebbe troppo banale se puro accidente e non transizione tra un prima e un poi. Nel frattempo, comunque, vivo, da usanza per l’uomo senza temere le invenzioni di questo riguardo la divinità. La mia vita non è una valle di lacrime Ma un cammino spontaneo e animale troppo spesso ostacolato da chi pensa di possedere una verità più vera di un’altra. GIOVANNI PUJATTI 1/6/1994

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Il loro ricordo non sfuma Ciao, Abramo! Sono passati ormai 10 anni da quel tragico giorno di febbraio. Ci sembra impossibile perché, in noi che ti eravamo vicini, il ricordo di te è ancora vivo come se l’ultima parola scambiata risalisse a ieri. Sappiamo che da lassù non ti dimentichi di volgere lo sguardo a noi e questo ci consola quando rimproveriamo al destino di averci privato così presto della tua allegria. I TUOI GENITORI, PARENTI ED AMICI.

Benito, amico di Dardago Quando ci ritroviamo per una visita in camposanto oppure prendiamo in mano un vecchio numero del periodico l’Artugna, scorrono davanti ai nostri occhi non solo volti, nomi, date, vecchie fotografie ma anche ricordi, avvenimenti, episodi e piccoli gesti di vita vissuta. È indubbiamente struggente la memoria delle persone care e dei paesani che ci hanno lasciato nel fiore dell’età o comunque interrompendo prematuramente il proprio cammino terreno. E fra i tanti Benito Zambon Maressiàl che se ne è andato quasi all’improvviso il 6 febbraio 1984; è stata, nello stesso tempo, una perdita per la famiglia e per la comunità tutta. «Zio Benito» era molto legato alle associazioni e da appassionato di calcio seguiva le vicenda dell’A.S. Budoia. In chi scrive, è ben presente un episodio del primo campionato di terza categoria, anno 1972/73, quando Benito, assieme al gruppo donatori di sangue, offri il pallone da calcio nuovo di zecca per

l’incontro casalingo con la capolista Caneva. Era un vero lusso per i tempi. In questi giorni, a vent’anni dalla morte, la famiglia Zambon Maressiàl nel ricordare il proprio caro, è affettuosamente vicina a Dardago ed ha inviato un sostanzioso contributo a favore delle attività associative e in particolare per i lavori della nostra Chiesa. Un sentito ringraziamento. UGO PALA

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L’angolo della poesia Le ali legate Solo se vuoi, l'intento profondo e chiaro passerà sopra la tua anima, guiderà libere ali di verità immense che coglieranno le tue emozioni (da sole sono fuochi senza sogno) per farne mazzi fioriti e popolare d'indomabili stelle l'altra mia notte.

I mai dimenticati richiami che tu risvegli sono abbracci del passato insiemi elettivi che s'innalzano in un cielo di meraviglie, prima d'impeto, poi arresi da voli d'ali legate. Potersi volgere a quel filo invisibile che è il ritorno! A quella sorpresa selvaggia essenziale e terrestre che sta nel tuo amore vivo, nel mio e in tutti quelli che si amano.

LAURA MORO

Ma non sai, non ti giunge ancora. Non sai sentire l'anima vera, il giorno nuovo trattenuti nelle tue mani. Il fuoco si crea da sé arde la terra carpirà il suo spazio trapasserà ogni frontiera di vento e tu hai pensieri d'argilla ghirlande azzurre sulle labbra.

Calivo L’aria la se à fat, de colpo, freda E un tremòre vien al me respiro: par tut al fiume se alsa bianco e lisièr el calivo e se slarga e l’una e l’altra sponda ingiote; resta el balbotàr de l’aqua grisa che fa s’ciacàr na barca ligàda, d’altri romòr sol un’ eco fiàpa. CANZIO TAFFARELLI · 1992

Tra incantesimi e confessioni sopravvive l'ombra che non vuoi, solitudine magica e folle che ripete le sue sillabe addormentate. Un'onda di vita vorrebbe lasciarsi andare nell'incontenibile spazio del passato e del presente, ma gli attimi creati intensi possono smarrire la voce ferita che non sa d'amare e quelle ali di pietra non osano toccare il segno delle tue parole scomerse: (Scendono ugualmente su di me, accarezzandomi)

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Cronaca

I Madi 2003

Anche quest’anno la corsia centrale dell’antica pieve, nel periodo natalizio (dal 24 dicembre al 6 gennaio), è stata ornata da 10 bellissimi madi ognuno rappresentante le famiglie di una o più vie del paese.

La somma è stata così ripartita Pro Restauro Chiesa di Dardago Pro fiori Chiesa Per l’acquisto di 5 nuovi abeti Riserva per eventuali acquisti di nuovi abeti

euro euro euro

730,00 150,00 60,00

euro

150,00

TOTALE

euro 1.090,00

Ringraziamo la popolazione per la generosità dimostrata e soprattutto quelle persone che meravigliosamente hanno contribuito ad addobbare i madi, che si sono prodigate per l’organizzazione e per la raccolta delle offerte. Fase quest’ultima necessaria ma delicata e non sempre facile da attuare. Grazie di cuore.

***

SOPRA: LA SUGGESTIVA IMMAGINE DELLE CHIESA DI DARDAGO RECENTEMENTE RESTAURATA E ABBELLITA CON I MADI. A LATO: ANCHE SANTA LUCIA RISCOPRE LA TRADIZIONE DEL MADO. LO SI PUÒ AMMIRARE ACCANTO ALL’ORIGINALE PRESEPIO. (FOTO DI ALBERTO DEL MASCHIO).

1. Via San Tomè 2. Via della Chiesa e Via degli Artigiani 3. Via Tarabin 4. Piazza Vittorio Emanuele 5. Via Pedemontana Occidentale 6. Via Rui De Col e Via Parmesan 7. Via Rivetta e Via Caporal 8. Via Stradon e Via Manzoni 9. Via Castello e Via Masarlada 10. Via Brait, via Ciassival, via Umberto Martina Le offerte raccolte dagli incaricati ammontano a 1.090,00 euro

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Anche a Santa Lucia, per il Natale 2003 si è voluta rivivere la tradizione del «mado». Accanto al presepe preparato sulla careta della famiglia di Angelo Fort Fut, non l’appropriato sbrodicio, ma un elegante abete si è colorato di frutta fresca e secca, dolci, fili di lana e immagini sacre. In questo modo tradizione e fede insieme hanno dato vita ad un momento che non vorrebbe essere solo celebrativo, ma speranzoso nel suscitare affetto e interesse per le nostre antiche usanze. FABRIZIO FUCILE


I roba ancia i camion

Pa’ sostignì la Pro Loco

Domenica 8 febbraio 2004, presso il ristorante «Ciasa de Gahja», la Pro Loco di Budoia organizza il Pranzo del Tesseramento 2004, proprio per rinvigorire l’unione tra i vecchi soci e accoglierne di nuovi, all’inizio di un anno che si prospetta ricco di impegni. La tessera, che richiede un minimo contributo da parte del socio (euro 6.00), è un segno di appartenenza, il suggello della volontà di sentirsi parte viva del proprio territorio, di valorizzare le proprie radici culturali e di rendersi utili alla comunità, esponendosi ciascuno con le proprie doti e capacità.

Il Presidente, come aveva già fatto in occasione dell’Assemblea dei soci del 31 gennaio, ribadisce la sua gratitudine per la fattiva collaborazione durante il 2003. Per far fronte agli obiettivi di quest’anno, durante il quale non mancheranno certo le difficoltà a cui ogni associazione va incontro, affida a ciascuno l’impegno di reperire almeno un paio di nuovi soci per riuscire a raggiungere le 300 unità. Sarà inoltre prioritario conoscere l’esatta disponibilità dei collaboratori per le varie iniziative dell’associazione. Il Presidente approfitta per ringraziare anche Dino Persello, presente in rappresentanza dell’Associazione fra le Pro Loco del Friuli Venezia Giulia, per la fiducia e la simpatia manifestate nei confronti dell’associazione. MARTA ZAMBON

El GR.A.PO Ha visto la luce nel mese di gennaio il primo numero del bollettino GR.A.PO del Gruppo Archeologico di Polcenigo, che si pone l'obiettivo della «ricerca delle verità storiche del nostro territorio ... senza presunzione scientifica» come riferisce il presidente Oscar Riet. Sono otto pagine dedicate alle attività svolte dall'associazione nell'ultimo anno. Gli articoli trattano gli scavi nella necropoli di Sottocolle di San Giovanni con gli interventi della Sovrintendenza per i beni archeologici; la storia del castello di Mario Cosmo e gli stemmi di Polcenigo di M.G.B. Altan. Seguono le relazioni delle attività ricreative. 41

Che i furti siano una triste realtà anche nei nostri paesi non è più una novità. Purtroppo sono finiti i tempi in cui i nostri nonni e i nostri genitori se ne andavano a lavorare nei campi senza preoccuparsi di chiudere per bene tutte le porte e le finestre di casa. Ma che rubino anche i camion fa ancora notizia. È successo in via Capitan Maso a Budoia dove, dopo un tentativo andato a vuoto, i malviventi sono riusciti ad impossessarsi di un camion. Per fortuna, la vicenda si è conclusa felicemente e, inaspettatamente, il giorno successivo con il ritrovamento della «pesante» refurtiva a Villotta di Chions.

Co’ fil e gusela

Silenziosa, trascorre gran parte del suo tempo a realizzare manualmente, con precisione, lavori di arredo per arricchire il patrimonio della chiesa di Budoia. Ha completato in questi giorni il tappeto di velluto nero, con passamaneria argentata a greca, per l’appoggio della bara dei defunti. Questa è Umberta Noemi Panizzut. Un grazie da tutti i parrocchiani. E.A.


collaborazione con il ristorante Ca’ del Bosco. La buona riuscita della giornata si deve, oltre al piacevole clima primaverile, all’unione degli sforzi di varie associazioni, che hanno accantonato campanilismi e interessi di parte nel nome del vantaggio collettivo. MARTA ZAMBON

Giornata ecologica a Budoia Domenica 14 marzo 2004 a Budoia viene organizzata una «giornata ecologica», grazie alla collaborazione tra Pro Loco, Comune, gruppo ANA Bepi Rosa, AUSER, AFDS sezioni di Dardago e Budoia – Santa Lucia, Coltivatori Diretti, Progetto Giovani e Collis Chorus I volontari che aderiscono sono una cinquantina, e si ritrovano alle 8.00 in piazza a Budoia e Dardago. Si organizzano in diverse squadre che ripuliscono la zona a sud del passaggio a livello di Budoia, il tratto di Pedemontana in località Rui de Brosa, e la riva dell’Artugna in via Rivetta a Dardago. Naturalmente i rifiuti sono gestiti secondo i criteri della raccolta differenziata, separando carta, lattine, vetro e rifiuti non compostabili; il materiale, che riempie

più di due camion, è trasportato da addetti del comune nell’area ecologica. Alcuni volontari di Dardago decidono di continuare anche la settimana successiva il lavoro intrapreso lungo l’Artugna. La gran quantità di rifiuti raccolti fa riflettere sul mancato senso civico e assenza di sensibilità ambientale che evidentemente caratterizza ancora molte persone. La speranza è che l’impegno di altri venga recepito in maniera costruttiva da coloro che ancora non concepiscono la natura che ci circonda come bene collettivo da ammirare e rispettare. Alla fine della mattinata i partecipanti condividono il pranzo presso l’ex latteria di S. Lucia, gustando con soddisfazione la pastasciutta offerta dall’AUSER in

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ALCUNI MOMENTI DI LAVORO DI PULIZIA DEL TERRITORIO DA PARTE DEI VOLONTARI.

I nostre paès pa’ television Non capita spesso di vedere un servizio televisivo sui nostri paesi. Per questo siamo rimasti felicemente sorpresi quando, verso le 12.30 di sabato 27 marzo, la sede regionale di Rai 3 ha trasmesso «Il paese sotto i monti» di Giuliano Sadar, un breve reportage sul comune di Budoia. Il servizio presenta le caratteristiche bellezze paesaggistiche e dell’architettura spontanea della zona, da Val de Croda, San Tomé, l’Artugna e giù per le vie e le piazze dei paesi fino alla chiesetta di Santa Lucia.


Un intervento del Sindaco, Antonio Zambon, traccia la storia delle nostre comunità da sempre legate all’ambiente. Vengono messe in onda suggestive immagini di nostri sentieri di montagna, della palestra di roccia e del tratto di pista ciclabile, che verrà inserita in un progetto più ampio che collegherà le varie località della pedemontana lungo le strade che costeggiano la ferrovia da Sacile a Gemona. Il servizio si conclude presso il ristorante Il Rifugio, in Val de Croda, dove Manlio Signora presenta un caratteristico e prelibato menù.

La lateria al Comun

Dopo la latteria di Santa Lucia, trasformata in centro sociale, e quella di Dardago, demolita nell’ambito del progetto di riqualificazione dell’area, anche l’ultima latteria del nostro territorio – quella di Budoia – è stata ceduta al Comune. Come già anticipato in un recente numero del nostro periodico, l’Amministrazione comunale intende realizzare un centro visite e un luogo di vendita dei prodotti caratteristici della nostra agricoltura. Il progetto è pronto. Ora si tratta di reperire i finanziamenti per attuarlo.

Musica Sacra pa’ preparasse a la Pasqua Il cammino quaresimale in preparazione alla grande festa della Risurrezione delle parrocchie di Budoia e di Dardago, quest’anno è caratterizzato dal concerto di musica sacra, tenutosi nella parrocchiale del capoluogo, domenica 28 marzo. Alla presenza del Vescovo, mons. Ovidio Poletto e di un attento pubblico, vengono proposti Ave Verum e Messe Basse di Gabriel Fauré (18451924) e lo Stabat Mater, capolavoro di Giovan Battista Pergolesi (1710-1736). Ottimi interpreti: l’Ensemble vocale e strumentale G. Fauré, il soprano Stefania Antoniazzi, il mezzosoprano Svetlana Novikova e il direttore Emanuele Lachin. La puntuale riflessione del Vescovo conclude degnamente questo riuscito evento.

Pro Loco a Gorizia e Cividale Continuano a entusiasmare le gite organizzate dalla Pro Loco. Tutti esauriti i posti per la gita del 28 marzo 2004, tanto che qualcuno ha dovuto restare a casa! La mattinata è stata dedicata alla visita del Castello di Gorizia e alla sinagoga ebraica. Dopo il pranzo tipico in un agriturismo della zona, la comitiva si è spostata a Cividale per il classico tour (Ponte del Diavolo, Tempietto Longobardo, Duomo, Ipogeo Celtico). Durante la strada del ritorno, si decide di deviare per Maniago per essere presenti alla festa per l’inaugurazione del nuovo logo della Comunità Montana del Friuli Occidentale. La giornata è stata intensa ma ha soddisfatto tutti quanti grazie al clima primaverile, all’allegra compagnia e all’organizzazione, capace di accoppiare appuntamenti culturali a momenti di festosa convivialità.

IN ALTO: IL GRUPPO ENSEMBLE VOCALE E STRUMENTALE GABRIEL FAURÉ PROTAGONISTA DEL CONCERTO DI MUSICA SACRA DIRETTO DA EMANUELE LACHIN. A LATO: I PARTECIPANTI ALLA GITA DELLA PRO LOCO NEI PRESSI DEL CASTELLO DI GORIZIA.

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Inno alla vita

Andreina Zonca Besa, attorniata dai nipoti e pronipoti Besa, Varnier e Zin, ricorda i 90 anni di vita. Auguri vivissimi di altri felici traguardi.

Nel primo giorno di primavera è entrata a far parte della famiglia cristiana Erika Occhielli. La parrocchia di Budoia gioisce con lei e con i suoi cari.

Il 1° marzo 2004 a Mestre il piccolo Giovanni Bastianello ha allietato con il suo sorriso la vita di mamma Francesca e papà Luca.

Camillo e Lidia Zambon Pinal il giorno del festa per il loro 60° anniversario di matrimonio.

Auguri dalla Redazione!

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S. Lucia, marzo 2004

Nel n. 96 (agosto 2002) de l’Artugna avevo scritto che era crollato un mito. Ora, con grande soddisfazione devo constatare che il mito è risorto. I nostri vecchi, che tanto avevano fatto e dato, saranno confortati e soddisfatti, perché la loro opera è stata rinnovata. Un plauso al Sindaco e all’Amministrazione Comunale, che in poco tempo hanno risolto il problema, migliorando la struttura e gli annessi, pur mantenendo la vecchia impostazione. All’inaugurazione del 14 febbraio scorso, moltissima gente, anche dai paesi vicini. Teatro significa cultura, aggregazione, coesione, solidarietà, divulgazione. A questa rinascita o riedificazione avrebbe sicuramente desiderato partecipare il carissimo Bepin Ciampaner, che mi aveva invitato fotocopie della sua tessera datata 24 gennaio 1930 unitamente ad una ricevuta di un versamento di lire 100 fatto da suo zio Pietro in data 8 dicembre 1926. Ed ora un invito ad approfittare di questo punto d’incontro per assemblee, conferenze ed intrattenimenti, particolarmente interessanti e giovevoli per le nuove

generazioni. Tutti diano un contributo di calore ed affetto per mantenere viva quella fede che i nostri vecchi, con il loro esempio, ci hanno insegnato.

Approfittiamo per ricordare a tutti coloro che ricevono l’Artugna, di aiutarci nel nostro compito segnalandoci ogni variazione di indirizzo o di nominativo. Talvolta, purtroppo, ci ritornano in redazione alcune riviste per indirizzo errato.

MARIO PONTE

Finalmente abbiamo il nuovo teatro. Chissà come sono contenti i nostri vecchi che tanto si sono impegnati per la sua costruzione. Come avrà potuto vedere, abbiamo dedicato ampio spazio alla bella cerimonia dell’inaugurazione. Speriamo veramente che ora venga utilizzato al meglio!

Venezia, 25 gennaio 2004

Nella ricorrenza del ventesimo anniversario della morte di Benito Zambon, la moglie, i figli e la sorella desiderano ricordarlo con un’offerta alle istituzioni (Chiesa, A.F.D.S. e l’Artugna) del suo paese tanto amato. Cordialissimi saluti a tutti. BRUNA ZAMBON

Gerenzano, 3 marzo 2004

È per noi un piacere ricevere l’Artugna oggi giunta al traguardo delle 100 riviste scritte e impaginate con grande passione. Con l’occasione di inviarvi un nostro contributo per la rivista, vi comunichiamo il nostro nuovo domicilio. Nell’attesa di ricevere la prossima copia, cordialmente vi salutiamo. LUIGI ED ALESSANDRO JANNA

Grazie per il contributo e per averci tempestivamente informati del cambio di indirizzo. 45

Ringraziamo di cuore tutti i parenti del caro Benito per la generosa offerta che, come richiesto, è stata suddivisa tra la Chiesa, l’Associazione Donatori di Sangue e il nostro periodico.

Brugherio, 28 febbraio 2004

Il 23 dicembre è nato Simone Peraboni, di Elio e Sonia Janna Tavàn di Brugherio. Chiedo di pubblicare l’evento sul prossimo numero de l’Artugna.


SONIA JANNA

Abbiamo pubblicato l’arrivo di Simone. Le nostre congratulazioni ai genitori e anche ai nonni. Dispiaciuti per il mancato recapito postale abbiamo pensato di rimediare consegnando a mano il n. 100 de l’Artugna. Qualche volte le poste non sono proprio efficientissime, specialmente con i periodici.

Florida, 21 febbraio 2004

Carissimi, ho avuto il numero speciale della vostra bella rivista che celebra i 100 numeri.....wow, siete ben stagionati, me ne congratulo con tutti voi. Ho sempre letto la vostra rivista con tanta nostalgia di casa mia....siete tutti così simpatici, semplici, in gamba. Oggi, viviamo in un mondo fast, tutto fast...e non abbiamo tempo d'essere più umani e più fratelli ed ancora più cristiani. Siamo… sempre occupati, busy, busy, busy, all'inglese, non abbiamo tempo per gli altri, ma solo per noi ed il nostro benedetto lavoro. Peccato, il tempo passa a vista d'occhio, senza che ci fermiamo per veder cosa accade vicino a noi. Peccato, mentre il tempo fugge, ci facciamo anziani e non ci accorgiamo che il fratello ha bisogno di una parola, di un sorriso e niente altro. Spesso e volentieri siamo distratti da tante cose, e non ci accorgiamo che il fratello ha bisogno anche di noi. La vostra rivista mi dà la bella impressione che voi avete tempo per i fratelli nel nome di quel Cristo che ci ha insegnato ad amare, perdonare, e lavorare insieme anche se siamo diversi. Il 25 c.m. qui negli USA viene proiettata per la prima volta al

pubblico la pellicola girata a Roma, e ai «sassi» di Matera in Basilicata, non lontano dal mio piccolo paese della dolce Calabria, Rocca Imperiale, in provincia di Cosenza. Il film «The passion of Christ», forse ci potrà aiutare ad aprire un po’ a tutti gli occhi per veder che il Figlio di Dio è venuto su questa piccola terra per salvarci, redimerci, amarci nel chiamarci tutti fratelli, brothers. Bello! Ma, per bacco, quando diventerà realtà nel mondo di oggi, dove il terrorismo, la guerra, la discriminazione e la vendetta regnano ancora supremi un po' dappertutto. Non volevo mica fare la predica, mi sono sfogato, in questo mio italiano, per dirvi che la vostra rivista mi fa diventar un fratello per voi tutti, anche se solo in un modo spirituale, elettronico, ma che differenza c'è, siamo tutti uniti nel Signore Gesù che ci ama, e ci perdona e ci unisce sempre. Statemi bene, pregate anche per me, lontano fratello italo-americano della lontana Florida… la distanza non dice un cavolo, siamo sempre italiani, cristiani, umani. Auguroni per la vostra rivista, ad multos annos a voi tutti. Fraternamente, vostro amico, fratello mercedario, ciao for now to you. FRA’ TONINO FORTUNATO

Carissimo Fra’ Tonino, siamo molto contenti ricevere, dopo qualche tempo, tue notizie dalla Florida. Grazie per le belle parole. Non devi scusarti, non sono una predica, ma ci servono per riflettere, per fermarci un po’ a chiederci quali sono i veri valori della vita. Grazie ancora e continua a scriverci. 46

[...dai conti correnti]

Volevo inoltre comunicarvi che a mio papà Marino non è pervenuto il numero di dicembre 2003. Un caro saluto.

Rinnovo l’abbonamento per il 2004 e invio cari saluti a tutti. MARCO TULLIO BUSETTI · SCORZÉ

Ai prossimi 200! BRUNO GAGLIARDI · VENEZIA LIDO

Con gli auguri più cari e sinceri di un lieto anno nuovo per tutta la comunità del Comune di Budoia. ZAMBON · ROMA

Buon lavoro per il 2004. ANNA JANNA · MILANO

Saluti e auguri di buon anno alla redazione. DONATELLA ANGELIN · MILANO

Un saluto dalla Scozia e un augurio per il vostro lavoro. VERA ZAMBON (DE ROBERTIS) · PERTH


programma

PASQUA DI RISURREZIONE

DELLA SETTIMANA SANTA

LUNEDI, MARTEDI, MERCOLEDI SANTO • Santa Messa e apertura della solenne Adorazione Eucaristica delle 40 ore • Chiusura dell’Adorazione Eucaristica GIOVEDI SANTO • Santa Messa Vespertina «In Cœna Domini», riposizione del SS. Sacramento all’Altare del Sepolcro, spogliazione degli altari e adorazione VENERDI SANTO • Suono dei 33 rintocchi «nell’ora della morte del Cristo» • Azione Liturgica della morte di Gesù, recita del Passio, adorazione della Croce e Santa Comunione • Solenne Via Crucis, con partenza dalla Chiesa di Dardago e conclusione in Chiesa a Budoia (in caso di maltempo, la Via Crucis si svolge nella Chiesa di Dardago) SABATO SANTO • Benedizione del fuoco ed accensione del Cero Pasquale sul sagrato, Veglia Pasquale, benedizione dell’acqua con rinnovazione delle promesse battesimali e Santa Messa di Risurrezione. DOMENICA DI PASQUA • Santa Messa Solenne • Santa Messa Vespertina LUNEDI DI PASQUA • Santa Messa

Budoia

Dardago

9.30 18.00

9.00 18.00

20.00

11.00

9.30 12.00

Donne, piangete invan! pianga lo stolto gregge, che l’ha di spine redimito: l’Emmanuele d’ogni ceppo è sciolto; non s’imprigiona, o donne, l’infinito! Ecco, Egli torna, Egli vi parla: – È data a me la potestà del mondo, e l’orme

18.30

segnerò tra i fedeli e tra i ribelli, sempre per la sequela interminata dei secoli, clamando in mille forme con mille voci: – Amatevi, o fratelli! –

VITTORIA AGANOOR POMPILJ (1855-1910) DA POESIE COMPLETE, LE MONNIER, FIRENZE 1927

15.00

15.30

17.00

20.00

22.00

20.30

10.00 18.00

11.00 –

10.00

11.00

CONFESSIONI Lunedi, martedi, mercoledi Santo Venerdi Santo Sabato Santo

17.00/18.00 14.45/15.20 16.00/18.00 18.00/20.15 Bambini e ragazzi (con l’orario del Catechismo)

– 18.00/19.30 14.30/15.30

bilancio Situazione economica del periodico l’Artugna Periodico n. 100

entrate

Costo per la realizzazione + sito Web Spedizioni e varie Entrate dal 14/12/2003 al 31/03/2004

4.054,00

Totali

4.054,00 47

uscite 4.685,00 190,00

4.875,00

gli auguri della redazione

DOMENICA DELLE PALME • Benedizione dell’Ulivo in piazza, processione e Santa Messa di Passione • Santa Messa Vesperina e apertura dell’Adorazione Eucaristica delle 40 ore

Per poco l’hai tu, o Morte, irrigidito sovra la croce! e in sindone ravvolto per poco dentro l’arca di granito, l’hai, cittadin d’Arimatea, sepolto!


Il campanile di Dardago visto dal «Vaticano» O A Dardago è chiamato «Vaticano» quel nucleo abitativo a cui si accede da un arco in pietra con caratteristiche diverse rispetto ai tanti altri presenti in paese. Nei tempi passati molte famiglie abitavano nelle case che si affacciano allo stretto e sinuoso cortile che scende dalla Piazzetta del Cristo verso via della Chiesa.


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