Periodico della Comunità di Dardago · Budoia · Santa Lucia
Spedizione in abbonamento postale art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone.
Anno XXXIV · Marzo 2005 · Numero 104
Plens de trabacole La chiocciola negli archivi di Dardago Ensemble Vocale Femminile «Gabriel Fauré» La Ida la ne conta...
di Roberto Zambon
[ l’editoriale ]
Giovanni, il discepolo prediletto di Gesù, riportando fedelmente il lungo e bellissimo discorso che il Maestro fece ai suoi apostoli dopo l’ultima cena, ci fa conoscere questa frase molto significativa. Perché la pace di Gesù non come quella del mondo? Forse la risposta non è poi così difficile. Il mondo non conosce la pace. Poco prima, quella stessa sera, il maestro «ordinò» ai suoi: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amati, così amatevi anche voi gli uni gli altri».
Pacem
in terris «Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis, non quomodo mundus dat ego do vobis». «Vi lascio la pace, vi do la mia pace, la pace che io vi do non è come quella del mondo».
Il mondo non conosce la pace perché non segue questo comandamento. Sembra quasi che ci sia un altro nuovo comandamento che ordini di essere violenti e crudeli. Si vive con la paura del terrorismo, il telegiornale ci porta a tavola, tra un piatto e l’altro, terribili notizie di attentati, di autobombe, di kamikaze, di rapimenti. Il terrorismo è una grossa piaga di questo mondo, un modo di agire disumano. Addirittura qualcuno afferma che tali atti sono permessi o richiesti dalla religione. Povera umanità! Come sei caduta in basso! Come sei distante dall’umanità redenta dal Salvatore! L’altra piaga del mondo è la mancanza di pace, la guerra. 2
L’uomo è ancora convinto che essa serva a portare l’ordine e la pace. Non illudiamoci che la guerra risolva i problemi che dividono i popoli. Non pensiamo che la guerra sconfigga il terrorismo. Essa genera solo morte, dolore, odio. La gente che vede bombardate le sue città, uccisi civili inermi, coverà dentro di sé un forte sentimento di odio verso il nemico: un odio che durerà per generazioni, efficace combustibile per far ardere ancora di più il terrorismo ed altre violenze. È necessario cambiare rotta. È possibile. Non è utopia. Il Cristo morto e risorto ci ha portato certezze non chimere. Ma dobbiamo conquistarcele, giorno dopo giorno, con tanta buona volontà e con la consapevolezza che il mondo può cambiare. Il cristiano non può abbandonare questa sfida. Egli ha nel Padre nostro che è nei cieli un grande alleato a cui può chiedere che il mondo conosca ed apprezzi il grande bene della pace. In occasione della Pasqua del 1963, Giovanni XXIII, pochi mesi prima di morire, donò al mondo la sua Enciclica «Pacem in Terris» che si concludeva con questa supplica: Questa è la pace che chiediamo a Lui con l’ardente sospiro della nostra preghiera. Allontani Egli dal cuore degli uomini ciò che la può mettere in pericolo; e li trasformi in testimoni di verità, di giustizia, di amore fraterno. Illumini i responsabili dei popoli, affinché accanto alle sollecitudini per il giusto benessere dei loro cittadini garantiscano e difendano il gran dono della pace; accenda le volontà di tutti a superare le barriere che dividono, ad accrescere i vincoli della mutua carità, a comprendere gli altri, a perdonare coloro che hanno recato ingiurie; in virtù della sua azione, si affratellino tutti i popoli della terra e fiorisca in essi e sempre regni la desideratisima pace.
Carissimi, il centro di tutto l’anno Liturgico è il Triduo del Signore, crocifisso, morto e risorto. Il mistero della morte e Risurrezione del Signore conferisce senso alla storia umana, riscattandola dalla sua frammentarietà: Il Triduo Pasquale (preceduto dalla solenne adorazione a Cristo presente nel Santissimo Sacramento nei tre giorni di lunedì, martedì e mercoledì santo) si apre la sera del Giovedì Santo con la celebrazione della cena del Signore, in cui Egli ha interpretato la sua morte imminente attraverso i segni del pane e del vino, donati per noi, consegnati alla comunità come memoriale perenne: «Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue; fate questo in memoria di me». E si china a lavare i piedi dei suoi apostoli, vero gesto sacramentale ed eucaristico. Dov’è carità e amore, qui c’è Dio. Il Venerdì Santo è l’ora suprema della vita del Signore. In croce, dopo aver perdonato i suoi carnefici, dopo aver promesso il paradiso al ladrone pentito e aver donato a Maria sua Madre tutta l'umanità, esala l’ultimo respiro mortale per aprire la nostra vita al respiro vitale ed eterno, promesso all’intera umanità. Pur facendo memoria della morte del Giusto, la chiesa celebra il trionfo della croce sul peccato del mondo, la vittoria del perdono del Padre sull’infedeltà e sui tradimenti degli uomini. L’infinito amore di Dio riesce a trarre un bene anche dal male, a trasformare la croce da uno strumento di morte a strumento di vita eterna. Ti saluto o Croce santa che portasti il Redentor, gloria, lode, onor ti canta, ogni lingua e ogni cuor. Il Sabato Santo richiama l’attenzione sul destino futuro dell’uomo. «Ricordati che sei polvere e polvere ritornerai». Siamo nulla, ma con Dio in Cristo Gesù siamo tutto! Davanti al sepolcro vuoto del Figlio di Dio, rinasce la nuova umanità. Il cero pasquale raffigura la nuova Luce di Cristo che illumina il mondo. Come quella notte a Betlemme, così la fiammella pasquale riscalda il nostro cuore e lo rende generoso, forte, aperto alla comprensione, alla giustizia, alla carità senza fine. Nell’exsultet proclamiamo: «Un inno di gloria saluti il trionfo del Signore Risorto». Alleluja, gioia intensa ed incredibile, davanti ad un fatto mai accaduto. L’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo, che si consegna volontariamente per morire sulla croce e al quale
un colpo di lancia ha trafitto il cuore, è RISORTO. Non è stato trafugato, portato via. Ai discepoli increduli e sbigottiti, il Cristo Risorto e vivo si presenta con i segni dei chiodi sulle mani e sul costato e li invita a credere. Ecco il senso completo della nostra fede che parte da Betlemme per arrivare al Golgota. Dalla morte alla vita. la vita nuova! E per testimoniare questa verità, cuore di tutto il vangelo, gli Apostoli, le schiere dei martiri, uomini e donne di ieri e di oggi, danno la vita per Cristo. È questo l’annuncio grandioso e sconvolgente che ribalta la pietra dei nostri sepolcri, delle tristezze e delle nostre paure. La Pasqua di Risurrezione squarcia le tenebre e inonda di luce il nostro cammino, perché, liberi dai fermenti del peccato, procediamo con serena fiducia verso la domenica senza tramonto, quando l’umanità intera, entrerà per sempre con il suo Signore nella nuova Gerusalemme celeste. «Gesù è risorto» dice l’Angelo alle donne. Risorgiamo anche noi a vita nuova! È Pasqua, la festa della vita. Facciamo nostre le parole di Santa Caterina da Siena: «Cristo crocifisso ha fatto scala del suo corpo, affinché noi saliamo all’altezza del cielo dove c’è la vita senza morte e la luce senza tenebre». Cristo risusciti in tutti i cuori. Buona e Santa Pasqua a tutti! DON ADEL NASR
la lettera del
Plevàn 3
NASCITE
[ la ruota della vita]
Benvenuti! Abbiamo suonato le campane per l’arrivo di... Mathilde Zambon di Daniele e Isabelle Roussellot – Francia Angelica Muraretto di Sergio e Marzia Fontana – Budoia – Padova Benedetta Giacomel di Domenico e Claudia Del Maschio – Budoia Greta Gazzoli di Massimo e Marina Angelin – Bresso (Milano) Giulia Fabris di Andrea e Denise Romani – Milano Nicole Andreazza di Massimo e Solima Da Re – Budoia Elisa Martinuzzi di Andrea e Michela Bernardis – Giais (Aviano) Tommaso Dassi di Andrea e Laura Carlon – San Giovanni di Polcenigo Sofia Andreazza di Roberto e Cristina Barbariol – Budoia Aurora Tonon di Loris e Antonella Andreazza – San Quirino
M AT R I M O N I Hanno unito il loro amore. Felicitazioni a... Fabio Fort e Claudia Pugnetti – Santa Lucia Roberto Lazzari e Daniela Romani – Milano Nozze d’oro Lina e Umberto Fort – Santa Lucia
L A U R E E , D I P LO M I Complimenti! Lauree Luca Modolo – Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio – Pordenone Paola Poles – Informatica – Santa Lucia Margherita Bastianello – Medicina – Pordenone Alessio Zambon – Lettere e Filosofia – Bellegra (Roma) Francesco Usardi – Ingegneria Elettronica – Dardago
DEFUNTI Riposano nella pace di Cristo. Condoglianze ai famigliari di…
IMPORTANTE Per ragioni legate alla normativa sulla privacy, non è più possibile avere dagli uffici comunali i dati relativi al movimento demografico del comune (nati, morti, matrimoni). Pertanto, i nominativi che appaiono su questa rubrica sono solo quelli che ci sono stati comunicati dagli interessati o da loro parenti, oppure di cui siamo venuti a conoscenza pubblicamente. Naturalmente l’elenco sarà incompleto. Ci scusiamo con i lettori. Chi desidera usufruire di questa rubrica è invitato a comunicare i dati almeno venti giorni prima dell’uscita del periodico.
Aurelio Zambon di anni 83 – Torino Santina Zambon di anni 55 – Dardago Santa Angelin di anni 89 – Aviano Maria Zambon di anni 77 – Budoia Andrea Pilot di anni 103 – Budoia Maria Zambon di anni 84 – Dardago Renato Fort di anni 93 – Santa Lucia Vittoria Janna di anni 94 – Dardago Serena Zambon di anni 93 – Dardago Carmel Lido di anni 73 – Santa Lucia Adriano Carlon di anni 85 – Budoia Angelo Dedor di anni 78 – Budoia Luigi Carlon di anni 93 – Budoia Marianna Lacchin di anni 93 – Santa Lucia Luigi Cardazzo di anni 90 – Budoia
Periodico quadrimestrale della Comunità di Dardago, Budoia e Santa Lucia (Pn)
In copertina. Cristo Pantocratore. Icona, opera di don Adel Nasr. L’icona è nella sua essenza un’arte religiosa, ma più correttamente si deve parlare di un’arte teologica. Rispetto ad ogni altra opera d’arte, aggiunge all’immagine un’altra dimensione, quella del trascendente: essa supera le forme del nostro mondo per rendere presente il mondo di Dio. Qui si unificano gli elementi teologici, estetici e tecnici. Attraverso l’icona la nostra fede supera così il mondo naturale e ci proietta verso l’aldilà in comunione con l’eternità.
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Pacem in terris di Roberto Zambon
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La lettera del Plevàn di don Adel Nasr
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La ruota della vita
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La chiocciola negli archivi di Dardago di Roberto Zambon
L’angolo della poesia Lasciano un grande vuoto... Cronaca Inno alla vita I ne à scrit Recensione, Bilancio Programma religioso Auguri
Pietre riscoperte di Leontina Busetti
anno XXXI
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Plens de trabacole di Anna Pinal
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104 sommario
Direzione, Redazione, Amministrazione tel. 0434.654033 · C.C.P. 11716594
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Là de Signor di Silvia Signora
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Ricordo di Umberto Sanson di Giacinto Mezzarobba
Direttore responsabile Roberto Zambon · tel. 0434.654616
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La Ida la ne conta... di Ida Rigo
Per la redazione Vittorina Carlon
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Impaginazione Vittorio Janna
Il libro smarrito di Vittorina Carlon
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Ensemble Vocale Femminile «Gabriel Fauré» di Emanuele Lacchin
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’N te la vetrina
Internet www.naonis.com/artugna e-mail l.artugna@naonis.com
Spedizione Francesca Fort Ed inoltre hanno collaborato Melita Bastianello, Cornelio Zambon, Espedito Zambon, Marta Zambon Stampa Arti Grafiche Risma · Roveredo in Piano/Pn
Autorizzazione del Tribunale di Pordenone n. 89 del 13 aprile 1973 Spedizione in abbonamento postale. Art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone. Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione di qualsiasi parte del periodico, foto incluse, senza il consenso scritto della redazione, degli autori e dei proprietari del materiale iconografico.
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ed inoltre... Albero genealogico della famiglia Carlon Fassinèr [tredicesimo inserto]
Le nostre vite piene di ambizioni e di obiettivi che si moltiplicano non sono mai stabili. Diciamo sì a tutto ciò che vediamo, e stiamo perdendo sempre più quella calma forte e silenziosa che era la base delle nostre capacità, la forza della nostra razza di furlans sobri e saggi. Dove sono finiti i nostri solidi principi di vita? Oggi il favoloso DNA di intraprendenti e coraggiosi lo stiamo buttando nei cassonetti della carta da riciclare. Abbiamo sfigurato le somiglianze con i nostri antenati, i con-
Plens de
trabacole
tadini dai quali discendiamo, e non ce ne importa nulla. Il contadino non aveva l’arroganza di imporsi, di farsi riconoscere, rivalutarsi di continuo, come facciamo noi. Sembrava uno sconosciuto a se stesso, guardava più all’esterno che all’interno di un «io» tormentato da insicurezze. I suoi giudizi erano misurati, filtrati, attenti, non colpevolizzava, non apriva processi con il passato: troppo fine e riguardosa era la sua analisi per trovare dei colpevoli. La bellezza della vita e del mondo secondo lui non andava disturbata, ma guardata e capita. A differenza di noi, non è stato smanioso di dialoghi, di confronti, di microfoni, di platee... Mio nonno, tuo nonno, avevano l’occhio riposato dei contemplativi. Sapevano godere dei valori veri perché avevano meno ansietà. Noi siamo dei principianti impreparati, incapaci di serenità. Abbiamo la sensazione di essere stati conditi via su tutto ciò
che è pensiero grande e abbandonati a noi stessi. Forse perché i grandi valori ci sono stati mollati dai vecchi senza parole di accompagnamento. Il contadino è stato nemico delle parole. Bisognava capirlo in silenzio. Quel silenzio che lasciava pensare, che chiudeva fuori le vane parole e apriva l’intelligenza interiore. Che dava spazio alla riflessione, a un’energia compressa in attesa di uso. Oggi merce proibita e assente da tutte le vetrine. Istinti, emozioni, affollamento di immagini non amano la riflessione. È il nostro mondo di oggi. Siamo infagottati, incatenati e attorcigliati come salami, da impegni ossessivi spesso inutili, agganciati ad ali ed eliche che ci fanno salire e scendere, volare di qua e di là sempre a tempi di record, presi dal desiderio di cose che abbiamo già. I nostri nonni non avevano padroni: noi ci mettiamo in ginocchio come schiavi davanti all’auto con la trazione su tutte quattro le ruo6
di Anna Pinal
te, davanti al computer che ci dà l’illusione di «navigare» tra siti, a esplorare americhe in internet, con immagini che Cristoforo Colombo guarderebbe con commiserazione per le nostre pretese. Noi non sappiamo ciò che i campi e i boschi, le semine, le fioriture, le potature, le irrigazioni insegnavano al cuore dell’uomo che ne aveva cura, in stretta vici-
nanza di occhi, di braccia e di iniziative personali. La terra ha parlato a chi aveva sensori speciali per captare i segnali silenziosi della vita. Un mondo che ha brillato di sapienza, ahimé taciuta e finita senza nostre interrogazioni. Di gente ricordata solo da lapidi con foto raschiate dal vento e smunte dal sole. L’abbandono che vediamo nei campi e nei boschi è tutta opera nostra e dice che il lavoro del contadino non è più degno di esistere. Bellezze che non abbiamo osservato nemmeno una volta, le calpestiamo perché non sappiamo guardare. Viviamo caricati a molla come giocattoli, siamo imbastiti di aggeggi, trabacole, dispositivi, meccanismi, tastiere, spinotti clic e clip, ed è un miracolo se riusciamo ancora a distinguere il tuono del temporale dal borbottio del diesel, la tintarella di alta montagna dal colorito scuro e opaco di quando soffriamo di fegato. Se noi ci abbassassimo su un fiore, una viola o un fiordaliso di campo, ad esempio, scopriremmo una bellezza dentro l’altra. Ogni piccola parte infinitesimale è bellezza e perfezione, che sostiene un’altra parte di bellezza e perfezione. Se guardassimo bene, ci libereremmo il cuore nel vedere quelle innocenze purissime che sono i fiori. Tutta roba offerta gratis. Spesso i bambini ci danno delle lezioni assurde, si accovacciano e puntano gli occhi su qualcosa di minuscolo che li attrae, fiori piccolissimi. E noi diamo una strattonata per trascinarli in piedi: «lascia stare, ma cosa guardi...» Abbiamo sempre paura di avere troppo poco di tutto quello che viene reclamizzato. Vogliamo essere i primi nell’accogliere le novità. Di tutto quello che serve possediamo il doppio e il triplo. Avon le ciase plene de strigossi e strafants. Mai passudi. E ci facciamo venire l’acquolina in
UNA BELLEZZA DENTRO L’ALTRA. OGNI PICCOLA PARTE INFINITESIMALE È BELLEZZA E PERFEZIONE.
bocca nel sentire i racconti della «vecchia miseria». Suscitano lo stimolo di aprire il frigo e abbuffarci. Mai pensiamo che invece di miseria sia stata solo penuria, a causa delle razzie delle guerre, che in terre di confine come la nostra hanno infierito più che altrove. È questo che ha alimentato nel tempo quella proverbiale saldezza e dignità riconosciuta ai friulani. In quei lunghi anni difficili, nessuno è morto di stenti, mentre oggi molti soccombono per ictus, trombosi, depressione, diabete, regalucci che noi stessi ci procuriamo con i nostri eccessi alimentari e con i fanatismi di insaziabilità di ogni specie. Facciamo pure le corna e gli scongiuri, per liberarci dalle paure. Però liberiamoci anche dalla sindrome di morti di fame e smettiamo di parlare della «vecchia miseria» come di una disgrazia collettiva. I nostri vecchi che erano estremamente attenti al buon uso del tempo, che erano maestri di tenuta fisica e nervosa, non si lasciavano prendere dall’ansia, affrontavano tutto con pazienza. Senza la pazienza che tiene in sospeso giudizi e timori e sa aspettare, si tende a cambiare opinione più volte per ogni situazione e ad agire in modo affrettato, irregolare, precipitoso, di fronte a ogni indizio. Per poi cambiare 7
idea, o piantare lì tutto, o consultarsi con chi la pensa in altro modo, o lasciar perdere o passare ad altro. Reane crode e son puina. Una cosa è certa: i nostri nonni oltre alla serenità e alla fermezza possedevano ironia, per sorridere di tutto con eleganza, rassegnazione forse. Un sorriso che lascerebbe sgonfia la falsa sicurezza di quando ci sentiamo eruditi, progrediti, attrezzati, evoluti, di successo, pronti a insegnare a tutti... Che cosa? Boeuh...
la chiocciola
negli archivi di In questi ultimi anni il nostro vocabolario si è arricchito di molti neologismi, forse troppi. Di queste nuove parole gran parte sono legate al computer che ha invaso tutti i settori della nostra vita quotidiana. Chi non ha mai visto la @, quel curioso simboletto che caratterizza gli indirizzi di posta elettronica? Alcuni la chiamano «chiocciola»; chi vuol fare l’esperto dice «at», in inglese. Ultimamente in molti hanno cercato di capire da dove viene questo curioso simbolo che è presente sulle tastiere dei PC di tutto il mondo.
Dardago di Roberto Zambon
Stando ad alcune ricerche sembra che la «chiocciola» compaia in alcune lettere mercantili: non anglosassoni ma italiane e – precisamente – veneziane. La @ rappresentava un’icona dei mercanti veneziani come abbreviazione commerciale dell'anfora, unità di peso e capacità dalle origini antichissime. Da Venezia, lungo le rotte mercantili del Nord Europa, la @ entrò nell’alfabeto commerciale inglese con il significato di at, at price of, al prezzo di. Dai manoscritti passò ai caratteri a stampa e, più tardi, ai martelletti delle macchine per scrivere angloamericane. Così, quando negli anni ’70, l’ingegnere americano Ray Tomlinson, uno dei padri di Internet, che cercava un simbolo per separare il nome del destinatario di posta elettronica dal nome del server in cui questo era ospitato, non fece fatica a trovarlo sulla tastiera perché gli anglosassoni continuavano a usarlo con il significato di at price of. Ma siamo proprio sicuri che il 8
significato della chiocciola sia l’abbreviazione di anfora? Di sicuro non è l’unico significato. Sempre su questo argomento, in internet si trova anche un’altra interessante ipotesi. Nel Libro del Sacro Monte de’ Morti della confraternita del SS. Rosario di Castel Sant’Angelo (1803) compare il segno grafico della chiocciola per indicare le date dei morti. (+A. B. mori’@20 7mbre 1803) Secondo l’autore della ricerca, il significato è molto simile a quello odierno (più simile di quello «veneziano» come abbreviazione di «anfora»). Infatti la chiocciola era il simbolo grafico per il latino «ad». In latino «ad» indica complemento di moto a luogo che tradotto letteralmente «presso» è perfetto anche come significato nel moderno indirizzo di posta elettronica (l.artugna@naonis.com ossia l.artugna presso naonis.com). Sempre in latino «ad» indica anche un periodo («ad noctem», durante la notte) o un momento preciso («ad diem xy», il giorno xy che poi probabilmente divenne addi’).
DAI REGISTRI DEI BATTESIMI DELLA PIEVE, LA @ È PRESENTE NEGLI INDICI E NELLE DATE GIÀ DAL SECOLO XVII.
La chiocciola, quindi, è un «ad» e come tale si dovrebbe pronunciare e non un «at» inglese. Quasi a confermare e a rafforzare queste ipotesi si può far ricorso agli archivi della Pieve di Dardago. Già dal ’600, quasi 200 anni prima del Libro del Sacro Monte de’ Morti i nostri pievani usavano compilare gli indici dei Registri dei Battesimi riportando in ordine alfabetico i nomi dei battezzati e il numero della pagina in cui era riportato l’atto. Il numero della pagina era preceduto dalla @. (Piero Z.Bon @ 12). 9
Non è difficile attribuire alla @ «dardaghese» il significato latino di «ad», «presso», …«a pagina». Mentre negli indici l’uso della @ era costante, è curioso notare come nel compilare i vari atti di battesimo, verso la fine del ’600, le date venivano indicate con la @ o con la dicitura «Adi». Così mentre l’atto di Lucia figlia di Zuane di Agnol Zambon di Dardago riporta la data Adi 9 Luio 1688 nella pagina seguente troviamo in data @ 21 luio 1688 l’atto del battesimo di Domenego di Antonio q. Francesco Anzelino di Budoglia. Gli archivi dardaghesi confermano, quindi, il doppio significato della @ indicante il latino «ad» traducibile con «presso» e «in data». È difficile immaginare che l’ingegnere americano Tomlinson sapesse di questi usi antichi della «sua» chiocciola. Forse, ha scelto quel segno solo perché già esisteva sulle tastiere ed era poco utilizzato. Senza volerlo, visti gli illustri precedenti, ha fatto una buona scelta.
Un effetto del boom economico degli anni ’60-70 è stato vedere nei nostri paesi un intenso rinnovo delle vecchie abitazioni. L’imperativo era trasformare: facciate delle case intonacate, chi poteva di più allargava i balconi e li sostituiva con persiane, lunghe finestre in verticale per illuminare le scale interne, «corpi avanzati» per poter inserire scale e servizi. Con gli anni si perse anche l’abitudine di coprire i cortili con la betonella, facendoli così diventare degli interni allargati. Senza alcun vincolo, muratori volenterosi lavoravano con impegno, inconsapevoli, in buona fede, di distruggere un’architettura spontanea dai volumi e dagli spazi ben equilibrati. Da qualche anno, però, non si parla più di rinnovo, ma di recupero: si avverte l’importanza della memoria, si è capito che senza memoria non ci sarebbe architettura. E infatti ora si tolgono gli intonaci per far emergere quanto è possibile: pietre delle facciate e, ove piace mostrarle, all’interno; pietre e mattoni, questi talvolta numerati, a contorno di porte e finestre che risultano opere già del ’700 di scalpellini abili e precisi, ritonde che erano diventate cucinini, travi dei soffitti e architravi.
Pietre
riscoperte
di Leontina Busetti
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Il risultato non è un effetto modaiolo, ma un ritrovamento dello spirito delle case che, una volta recuperate, appaiono più autentiche, più calde e decisamente più eleganti. È innegabile che questo modo di restaurare ha un po’ il sapore della riconquista, come di un amore ritrovato. 2.
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A PAGINA 10, IN ALTO. CASA DI ORFEO GISLON IN 3.
VIA DELLA LIBERAZIONE (SANTA LUCIA). FOTO 1. PICCOLA NICCHIA DEL ’700 NELLA EX CASA DI ELIO LACHIN (SANTA LUCIA). FOTO 2. INTERNO DELLA CASA DI LUCIA MARINOI IN VIA ROJAL (SANTA LUCIA). FOTO 3. FACCIATA DELLA CASA A CORTE DELLA FAMIGLIA BESA CODA IN VIA COMIN (SANTA LUCIA). FOTO 4. ARCO DI RECENTE COSTRUZIONE NELLA EX CASA FORT SALUTE IN VIA BRAIT (DARDAGO).
4.
Là de Signor di Silvia Signora
Pozzo di Domenico Signora e antenati, appartenente attualmente ad Angela Signora. Via Lunga, 16. Questo pozzo, di origine antica, è stato costruito nel corso dell’ottocento. È profondo circa 25 metri e l’acqua si può trovare, a seconda dei periodi annuali di siccità, anche a 23 metri. È fatto interamente di sassi. L’acqua del pozzo favoriva una risorsa indispensabile di uso quotidiano, a tutte le famiglie circostanti dell’epoca. È stato funzionante fino al dopoguerra, ma successivamente grazie alla costruzione di acquedotti comunali, fu sostituito definitivamente.
«...mi ricordo di un ragazzo, tanti anni fa a Mezzomonte, che strimpellava la chitarra...»
ricordo di
Umberto
Sanson
di Giacinto Mezzarobba Questo mi disse qualche anno fa Umberto Sanson, quando lo incontrai per la seconda volta, in Borc. Rimasi sorpreso perché la prima volta che lo vidi più di trent’anni fa e quel ragazzo che strimpellava la chitarra ero proprio io. Era venuto a Mezzomonte per la sua indagine sulle parlate della nostra zona insieme ad Elvia e Renato Appi. Quella pregevolissima Raccolta che fu poi pubblicata nel 1973 col titolo di Racconti po-
polari friulani edita dalla Società Filologica Friulana. Cercavano di registrare la voce dei vecchi di Mezzomonte, facendosi narrare fiabe ed episodi della loro vita. Era il tempo in cui ero abbastanza tronfio e cominciai a discorrere con Umberto Sanson in
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italiano per fargli vedere che, anche se di Mezzomonte, venivo da Milano ed avevo una certa cultura. Tuttavia, dopo un po’ che parlavamo, presi dalle sue mani il Geloso a bobine che mi porse e, dopo aver posato in un angolo la mia inseparabile chitarra, salii nella ciamborata dalla nonna. Quella fu la mia prima missione. Registrare quanto potevo di ciò che la nonna mi raccontava. Sì! Perché, come scrive Sanson, non era facile vincere la diffidenza di certi anziani. Per lui erano come dei cofanetti pieni di tesori e sapeva il danno che avrebbe fatto se avesse forzato quelle antiche serrature. Fu così che iniziai la mia prima operazione di archeologia sul posto. Mia nonna era cieca e questo mi facilitava le cose. L’avvicinavo, cominciavo a parlare di cose che c’entravano come i cavoli a merenda con il mio vero obiettivo e, quando la trappola era pronta, dopo un po’ di rumore con la sedia, o tossendo per coprire il clack del Geloso, iniziavo... nona,
comot éla che barba... a l’à vedhùt al Diaol...? E la «landa» che bestia èrelo...? Un po’ al giorno, ovviamente, perché la nonna era vecchia. Alla fine della missione, comunque, consegnai ad Umberto Sanson il mio bottino. Da autentico mascalzone e ladro avevo turlupinato la nonna, Giuseppina Mezzarobba Najo, scippandone due bobine piene di canthonète. Ogni volta che terminavo un’intervista parlavo con Umberto Sanson delle «ingenuità» che avevo sentito. Era la prima volta, ad esempio, che sentivo parlare delle Agane. Lui sostava volentieri nel corti-
le, appoggiato al vecchio pozzo all’ombra della vite. La casa di mia nonna era proprio di fronte a quello che oggi è il Bar Nuvolone, a quei tempi della Rina e, prima ancora, della Danela, sua madre. Lì mi spiegava Umberto Sanson quelle ingenuità le studiava. Mi spiegò cosa erano le Agane e ricordo che mi parlò di una studiosa dell’Ottocento, mi pare che fosse di Belluno, la quale aveva scritto qualcosa come... pissàr ne l’acqua l’è come pissàr in boca al Signor... Quell’estate la mia chitarra rimase sempre appoggiata in un angolo e, dopo un anno circa, mi arrivò a Milano un pacco. Dentro c’era il XII Volume della Raccolta Racconti popolari friulani – Zona di Mezzomonte. Edito dalla Società Filologica Friulana. Nella primissima pagina c’era una dedica... Ricordo delle fiabe della nonna... e la firma di Umberto Sanson. Ma, come non bastasse, proprio in fondo alla Prefazione insieme a quello di altri, figurava anche il mio nome, Giacinto Mezzarobba. Mi sentii come il neofita che era entrato a far parte di un tempio d’Iniziati! Era il 1973. In una camera dell’ospedale di Sacile, se ne andava la nonna. Non ebbi nemmeno il tempo di dirle la mia felicità. Ancora oggi, di fronte a quel Premio, anche un Nobel per la Letteratura avrebbe per me un valore irrisorio. Di Umberto Sanson mi colpì la delicatezza. Non c’era bisogno che lui avvicinasse le persone, perché era la gente che desiderava parlare con lui. Non emanava quell’odore inconfondibile di intellettuale. Non ho mai sentito, né visto scritto da Umberto Sanson cose sgradevoli, così come non le ho mai udite dalla nonna o da qualche Vecchio di Mezzomonte. 13
Le loro canthòns erano semplici e sagge. Perché parlavano solo di ciò che conoscevano. Purtroppo oggi, a volte, la presunzione di voler esprimere giudizi su di una realtà complessa, senza possedere gli strumenti indispensabili, senza conoscere le tecniche e le metodologie per poter indagare obiettivamente sull’oggetto dell’indagine, porta a formulare ipotesi assolutamente errate o, addirittura, ad intuizioni del tutto inconsistenti.
A PAGINA 12. IL MAESTRO SANSON LUNGO IL CANAL GRANDE NELLA SUA AMATA VENEZIA. SOTTO. ALCUNE PUBBLICAZIONI DEL MAESTRO.
Termina con questo numero il lungo racconto di Ida Rigo. In tre puntate ci ha narrato la sua infanzia, la sua giovinezza e i suoi trascorsi professionali che l’hanno vista protagonista nelle migliori cliniche ostetriche della vicina Svizzera. Ciò che emerge da questi pensieri è l’attaccamento alle proprie origini e alle proprie tradizioni, ma soprattutto una storia friulana di famiglia.
di Ida Rigo
la Ida la ne conta… [
IDA CON I SUOI CINQUE FRATELLI. SOPRA. ADAMO RIGO MOREAL CON LA MOGLIE.
Ai scuminthiat a laorà come «aiutante infermiera» e cuan che ai avùt i schei pa’ studià ai ciapat i me tre diplomi: de ostretica, de infermiera e de instrumentista. A Losanna ai avùt la possibilità de colaborà co’ el gran prof. Marcel Rochet. ’Nte la so clinica le vigneva dute le pi’ gran siore del mondo. El professor ’l veva un studio dut blanc, ancia la «moquette». De oro ’l era sol che i polsini de la so ciamesa e ’l telefono, che i lo ’veva regalàt ’na duchessa del Lichtenstein. Ai giudàt a partorì tante contesse e nobildonne. E soi dudha ancia ’n tiei ciastiei del Lichtenstein. Un dì me à sucedhut un fato curioso. ’N te la clinica n’à capitàt pa’ partorì una de le Agnelli che la ’veva maridhat el conte Brandolini de Sathil. Quan che ài sentùt parlà de Sathil ài dita al me professor da ’na che vigneve cussi lui dopo parlando co’ la contessa i à dita: «Signora contessa, lei viene a partorire in Svizzera pensando d’aver chissà che ostetrica. Lo sa che la sua ostetrica è di Sacile?». La contessa Agnelli la me à vardhàt al lonc sentha diseme gnent... Ài curat Soraya, la ex femena de Reza Palevi e la siora Lequio, la nevodhuta de la ex re14
TERZA E ULTIMA PARTE
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gina de Spagna, e po’ tante miliardarie, ’mericane e giaponesi. Ains indavor, a palath Grassi, a Venethia, ài fat, da «istitutrice» a Ira Fustenberg, fia de ’na Agnelli. E dopo tanti ains, co’ ’l professor Rochat, ài fat nasse Egon Fustenberg, fiol de la Ira. Un bel dì ’l é rivàt da l’Arabia Saudita, un «magnate» de ’l petrolio co’ duth i siés, pì de vinti persone; ’na dama de compagnia i à dita al professor Rochat: «Posso leggerle la mano, professore?» El professor al se à metut a ridhe e pa’ incontentala i à slongiat la man. La dama co’ calma i à dita: «Lei, professore morirà nella miseria!» El professor ’l è dhut via ridhend anciamò de pì. Ma invethe cussì ’l è sucedhùt. A la scuminthiat a drogasse co’ la morfina (mi i ài ciatat le fiale) e dopo pa’ vive ’l à dovut vende ancia la so clinica (de sicuro i l’à rovinàt ’na femena dhovena!). In ultima el so’ amigo George Simenon, el gran scritor de «gialli», parché el podhes vive, i dheva i «chéques», e mi pi’ de ’na volta soi stadha clamadha pa’ portai i schei. Po’ ’l è stadha la fin!
*** Soi partida pa’ Ginevra e ài riscuminthiat a laorà co’ l’O.M.S. ’nte la clinica medhica general.
Soi dudha de cà e de là pal mond. Po’ me soi maladha e me à tociàt tornà. ’Veve ’na gran stanchetha! Quan che no se lavorava cuarantaoto ore su cuarantaoto l’era de segur sempro vinticuatro su vinticuatro. Ere tant stimadha e bastantha cortegiadha, ma no l’è mai dudha comot che voleve. ’L è stat al destìn! Mi i crede: «Chist est mon amour Il est tonte ma vie Il est le fiancé qui seul me navìt mes jeux; J’entends dèjà vibrer de sa dance, harmonie Des sons mèlodieux!...»
In Svissera se viveva tant «l’esprit d’equipe» tra «medici e paramedici». Intant passava i ains e duti i dìs a’l era sempro chela: «Passez moi bistouri! Divariquè mieux! Koker, ciseaux, pince, lumière, catgut, fils, agrafes, aspiration, compresses!». Therti dotors i me diseva: «Hensensement, Rigo, que je voie vos jeux!». Co’ dut chisto, la Ida no la se à mai maridhàt! Dopo pa’ tre ains ài ancia lavorat in psichiatria: curave co’ «l’insulina e l’eletrochoc». La psichiatria ’l è stadha par mi come un brath de la medhesina general che la me à dat tanta sodisfathion. Un lì ’veve ciatat l’on de la me vita: un dotor inteligente. Ma Gesù no ’l à volùt, el me a volùt duta par Lui. Par caso a Losanna ’veve cognosut la professoressa de musica de Soraya Esfandiari e cussi me soi metudha a studià el pianoforte, ma ocor falo duti i dìs se nò i studi i te lassa. Pa la rest, da chel dì, par duta la me vita, scoltà «musica sinfonica e classica» ’l è stadha par mi ’na grathia del Signor. Co’ la musica me soi sem-
pro ciatadha come ’nte ’na fontana cialda e neta. Soi un poc dificile, ma me plaseva «Les grands chefs d’auvres» dei compositors e dei sonadhors pì importanti. La musica ‘l è l’alegria pì bela e pì sana, co’ drento ’na gran dolthetha che la porta ancia le aneme pì tormentadhe su le tere del Signor un là che Lui ’l à butàt pa’ nealtre un gran nithòl de verde su i so prath e su i so boscs.
*** 1960. Un di me pare ‘l me dis: «Vin Ida! ’Ndòn ’ntel me paeis, in Cecoslovacchia. Voi dì a ciatà la me fameia (i era dodese fioi)». Son partidhi pa’ i Carpazi e le Pithole Tatras, un là che l’era nassùt. Me desplas a diselo, ma un lì avon ciatàt anciamò miseria, ma no in dut: se magnava un bon pan negre e un butiro altretant bon. ’L era istàt e a passòn ‘n tiei ciamps se vedheva vacie, portith e tanti ocs. Son stadi ospitadhi ’nte la «dacia» de le me agne e de le me dharmàne. La carne de oc l’era special e l’ardhel de porthit, rostìt su le bore, ’l veva un saor che no se pol dismintialo. ’Na matina bonora, le me dharmàne le me à portàt in mieth a un bosc, lonc un rui; no ve die che maravea a vede l’orso e l’alce ‘ntant che i bevea, ma come che i ’na sentut subito i è sciampath. ’N te chiei bosc ài magnàt un grun de frambui e de blàseme e poi dise da vein ciapàt ’na passudha.
*** Me pare el me contava che ‘n tel 1886 so pare (me nono) Adamo Rigo Moreal insieme a tains scalpelins e co’ la cariola ’l è dhut via fin a Vienna e fin a Vysné Ruzbachy ’n tiei Carpazi. ‘N te le cariole i veva i artes de ’l mestier pa’ podhè lavorà... Ancia me no15
SOPRA. IDA CON LA NEONATA DENISE LEQUIO, NIPOTE DELLA REGINA DI SPAGNA. SOTTO. IN ALTRI MOMENTI DELLA SUA ATTIVITÀ.
na, Santa Del Maschio, (femena de Adamo Rigo) l’era dudha co’ lor fin in Romania pa’ fa’ da magnà. Sembrarave che i prins a dhì via da Dardac i sea partith ‘n tel 1862. A Vysné Rusbachy ài podhut a vede ancia la ciasa che me nono al s’avea fat ’n tel 1888, par de fora, su la fathadha l’avea de le decorathions, a chiei temps l’era la pi’ bela de ’l paeis.
È apparsa recentemente nelle prime pagine dei giornali provinciali la notizia della sparizione del prezioso Libro degli Ospiti della Città di Pordenone, esemplare unico con acqueforti esclusive, fregi e miniature d’oro, carta e rilegatura speciali, un’opera straordinaria costruita tutta a mano da impareggiabili artisti specializzati, composta ed usata in occasione della visita di Papa Giovanni Paolo II, nel 1992.
il libro smarrito un’orafa e un grafico di Vittorina Carlon
SOPRA. TIZIANA CARLON NEL SUO LABORATORIO ORAFO DI PADOVA. A LATO. PAPA GIOVANNI PAOLO II FIRMA IL LIBRO DEGLI OSPITI, IN OCCASIONE DELLA VISITA A PORDENONE, NEL 1992.
A tale significativo volume fu dedicato il calendario Alpha Beta del 2000 – Anno della Cultura della Pace – progettato e realizzato da Vittorio Janna con l’inserimento di alcune pagine contenenti brani della storia della città, scritte interamente a mano con vari stili, dalla Scrittura Romana all’Onciale, dalla Gotica all’Umanistica, dal Corsivo inglese alla Scrittura espressiva, con la funzione di «conglobare in un’unica ritualità riconducibile alla Pace le varie e molteplici espressioni della grafia dell’Umanità». Sfogliandolo, nel corredo iconografico della presentazione appare anche la riproduzione del colophon del prezioso manoscritto, in cui si legge, oltre all’eccezionale motivazione che spinse all’esecuzione dell’opera, la serie dei nomi di coloro che collaborarono alla realizzazione della singolare opera – dall’ideatrice Alessandra Marocco al miniaturista Enrico Englaro, dall’artista Zigaina, autore di dieci acqueforti, alla calligrafa Shank Frate del Circolo INCIPIT di Staranzano, e al rilegatore Padre Ermenegildo Biasetto del Monastero di S. Giustina in Padova. L’elenco continua. Ci balza agli occhi un cognome familiare nei nostri paesi: Tiziana Carlon del Laboratorio Orafo La Malachite in Padova che, insieme con una collega, eseguì 16
artigianalmente ed incise a bulino i fregi dei piatti, utilizzando esattamente 728,8 grammi di oro 750/1000. Tiziana è figlia di Lucio Carlon Fassinèr e di Agata Piccinato. Ci fa piacere vederla inserita in un’opera così singolare. Diplomatasi alla scuola professionale di Valenza Po negli anni Settanta, diede vita ad un laboratorio orafo a Padova. Fu proprio in occasione dell’imminente visita del papa nel 1992 che Tiziana venne contattata per l’attuazione di
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tale lavoro artistico, considerato dall’interessata il più importante commissionatole, tanto che impiegò due mesi circa per l’incisione a mano dei fregi e della borchia centrale con lo stemma del Comune naonense, decorazioni che furono inserite e ribattute negli scansi ricavati sulla copertina di pelle, senza l’uso della
colla. Lo ricorda come un lavoro di concerto con il disegnatore, il rilegatore e tutti gli altri artigiani e artisti coinvolti nell’esecuzione del libro.
*** Ritorniamo al volume, che vede coinvolto nel suo destino un’altra persona del luogo, legata al suo ritrovamento. A dipanare la
questione dello smarrimento è stato il grafico de l’Artugna, che con una semplice telefonata all’ideatrice e proprietaria dell’opera, Alessandra Marocco, ha permesso in breve di risolvere il giallo e sedare gli animi dei pordenonesi. Il libro d’oro era nelle mani della proprietaria!
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Ensemble Vocale Femminile
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di Emanuele Lacchin
Fine estate 2002. Un’amica suona alla porta e mi dice «Ciao, Maestro! Perché non formiamo un coro?». Inizia così l’avventura dell’Ensemble Vocale Femminile «Gabriel Fauré». Qualche mese dopo un gruppo di poche ragazze si riunisce nel salotto di casa mia per provare a cantare qualche brano. Alcune di loro non hanno mai cantato se non sotto la doccia (ottima scuola!!!). Qualche mese più tardi, altre ragazze si uniscono al piccolo gruppo iniziale e così prende forma quello che si può definire un coro da camera a voci pari. Ed il nome? Assegnare un nome a qualcosa di nuovo che si crea è peggio che scegliere un nome per un bambino. Lo studio e la ricerca del repertorio femminile mi hanno portato a scoprire un mondo musicale di notevole fascino; un mondo formato da musicisti che hanno composto per voce, sia solistica sia corale in maniera eccelsa; tra loro, un francese, mi ha particolarmente entusiasmato ed a lui è stato intitolato l’Ensemble. Dicembre 2002. Sono passati pochi mesi da quella riunione in salotto e il gruppo fa il suo debutto in un concerto nella chiesa di Ranzano; il programma non poteva che prevedere musiche di G. Fauré: Le Cantique de Jean Racine e la Messe Basse. Quattro mesi dopo il grande evento: Stabat Mater di G. B. Pergolesi con orchestra d’archi, nel Duomo di Aviano. In poco meno di un anno un piccolo gruppo di ragazze riusciva in un’impresa veramente ardua: dal nulla ad una delle più belle pagine musicali del ’700. A quei concerti ne sono seguiti altri, da Pergolesi a Fauré, a Britten. Le cantrici dell’E.G.F. hanno cantato accompagnate dagli archi, dall’organo, dall’arpa e dai 17
corni, come nell’ultimo concerto in Villa Policreti a Castel d’Aviano lo scorso dicembre. In questi due anni abbiamo avuto anche l’onore di poterci esibire davanti a S.E. monsignor Poletto, qui a Budoia nel periodo pre pasquale 2004, riprendendo lo Stabat di Pergolesi. Le prove non si svolgono più in salotto: dopo un piccolo girovagare alla ricerca di una sala prove più appropriata, l’Amministrazione Comunale di Budoia ci ha accolto e ci ha consegnato le chiavi dell’Ex Scuola di Dardago, dove proviamo ogni settimana, il venerdì sera. È nata anche l’Associazione Musicale «Gabriel Fauré» sotto la cui ala protettrice svolge l’attività l’E.G.F. Beh… Quella riunione in salotto ha dato i suoi frutti! Bisogna ringraziare anche quella ragazza che ha suonato il campanello ed invece di proporre qualcosa di inutile ha dato il via alla creazione di un bel gruppo di persone che si ritrovano per ridere e distrarsi facendo musica… e sembra con buoni risultati.
’N te la vetrina NELLA FOTO. PRIMI ANNI SESSANTA DEL SECOLO SCORSO. CINQUE COPPIE CHE PARE D’INCONTRARE ANCORA TRA LE VIE DI BUDOIA. VOLTI FAMILIARI CHE PARLANO, PERSONE CHE HANNO COSTRUITO IL NOSTRO MICROCOSMO E CHE, COME TUTTI I NOSTRI ANZIANI, VIVONO NELLA MEMORIA. LE DONNE CON IL LORO COSTUME NERO, I FAZZOLETTI ANNODATI IN MODI DIVERSI E I LUNGHI SCIALLI DI LANA CON LE FRANGE. CON LORO IL PARROCO DON ALFREDO PASUT, CHE GUIDÒ PER CINQUANT’ANNI LA COMUNITÀ. FORSE UN ANNIVERSARIO COLLETTIVO DI MATRIMONIO. SONO (DA SINISTRA) ANDREA BURIGANA SPINEL, IL VECCHIO NONSOLO, CON CATERINA CARLON ROS, ANTONIO CARLON FAVRE CON GILDA DEL MASCHIO, VALENTINO ANGELIN PELAT CON TERESA CARLON DEI REDENTI, PIETRO DEL MASCHIO CON …. ED INFINE ANDREA SIGNORA CON ROSA CARLON CECH. AL CENTRO, DON ALFREDO. PROPRIETÀ DI ANGELO VARNIER
NELLA FOTO. ERANO GLI ANNI DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE. NEL 1917, LA NUMEROSA FAMIGLIA DEL BISO POSA CON UN SOLDATO AUSTRIACO NEL CORTILE DELLA SUA ABITAZIONE, A DARDAGO, ALL’OMBRA DEL PERGOLATO DI VITI. IN PIEDI, DA SINISTRA, SONO PIETRO, GIUDITTA, FIORINA, TERESA, MENTRE SEDUTI, DA SINISTRA, I BAMBINI MARCO E ATTILIO INSIEME CON REGINA E AMELIA; AL CENTRO, IL GIOVANE SOLDATO AUSTRIACO CHE TIENE IN BRACCIO LA PICCOLA LUIGIA, QUINDI, NONNA MARIA CON ANNETTA, ANGELINA E MARIA, QUEST’ULTIMA FIGLIA DI GUGLIELMO. PROPRIETÀ DI SILVANA ZAMBON BISO
NELLA FOTO. IL GRUPPO DEI GIOVANI DELL’AZIONE CATTOLICA DI BUDOIA. È IL 1942. IN ALTO, DA SINISTRA: ROMANO CARLON ROS, CIPRIANO ANGELIN PELAT, ELIO CARLON CECH, DOMENICO ANGELIN PELAT E OLIVO CARLON ROS, CHE SOSTENGONO IL QUADRO CON L’IMMAGINE DI DON BOSCO, ANGELO ANGELIN GIROLET, ATTILIO CARLON ROS, ELIO GISLON PUTHIT CON GAGLIARDETTO DELL’ASSOCIAZIONE. IN SECONDA FILA, DA SINISTRA: GIOVANNI SANTIN TRES, ANDREA DEL ZOTTO COTH, GIUSEPPE CARLON BROLO, RENZO PANIZZUT, GIACOMO CARLON ROS, TOMMASO DEL MASCHIO ANDHOLET, RENATO DEL MASCHIO GÈ, ANGELO DEDOR BARISEL, MARIO DEL ZOTTO. IN TERZA FILA: DON LUIGI AGNOLUTTO, GIORGIO FORT , SERGIO ANGELIN, GENNARO ZAMBON, ANGELO VARNIER, ORAZIO ZAMBON, BENIAMINO MEZZAROBBA, GIOVANNI GISLON PUTHIT, ENRICO BRAVIN, LUIGI PANIZZUT, FERRUCCIO PUPPIN LOS. IN QUARTA FILA: LUIGINO ANGELIN CIASAL, GASTONE BURIGANA PUSTIN, MARIO BURIGANA REMONDIN, LUIGI BOCUS, ... ZAMBON, DOMINIQUE DIANA (CON LA FISARMONICA), SILVIO CARLON ROS, BRUNO SANSON PASQUAL, ANDREA CARLON, ... SEDUTI: RENZO ANGELIN TONELA, PIETRO DEL ZOTTO, GIANNI ARIET, ANTONIO GISLON PUTHIT, GIUSEPPE LACHIN, VALENTINO CARLON BROLO, SILVANO DEL MASCHIO ANDHOLET. NOMINATIVI RACCOLTI DA ANGELO VARNIER. PROPRIETÀ ANGELIN
La cuccagna di quarant’anni fa
Nei caldi pomeriggi del 15 agosto, in occasione della sagra dell’Assunta, la piazza di Dardago è sempre stata teatro dei giochi popolari: la corsa coi sacchi, la rottura delle pignatte, il mangiare l’anguria con le mani legate, la corsa coi «muss» lungo le strade del paese. Mi ricordo il 15 agosto 1965, sono giusti quarant’anni. Era stato preparato un bellissimo albero della cuccagna. In cima al palo tanti premi mangerecci: un salame, un pollo, un coniglio, un fiasco di vino e, in un sacchetto, un po’ di sagra offerta dai titolari delle bancarelle o barache come le chiamavamo: butholai, peverini, amaretti, spumiglie… Il palo di quell’anno era particolarmente alto e difficile da scalare perché abbondantemente spalmato di grasso. C’erano diverse squadre di giovani che tentavano la scalata. La tecnica era collaudata. Intorno al palo si mettevano in cerchio i più robusti, sulle loro spalle salivano altri giovani meno pesanti, poi una terza e una quarta fila. Infine il «gatto», il più leggero ed agile si arrampicava sulle schiene e sulle spalle dei compagni e quando raggiungeva il palo, prima lo puliva un po’ e poi cercava di raggiungere la cuccagna. Non era impresa facile: il peso e gli scossoni erano insopportabili per i robusti giovanotti alla base e molte volte la «piramide» umana si frantumava. In quelle occasioni, il «gatto» si lasciava scivolare giù cercando di pulire il più possibile il palo. Non si sa di preciso quante volte fu tentata la scalata; alcuni spettatori, pur non appartenendo alle squadre concorrenti andarono a cambiarsi i vestiti per dar man forte agli esausti atleti. La piazza era gremita di gente che si divertiva un mondo ad incitare i concorrenti. Sul tettuccio che copre il portone dei Bedin, Dario Zambon Pagoto era cronista improvvisato ma efficace. Era tutto un salto, una battuta, un incoraggiamento. L’altoparlante faceva in modo che tutta la piazza potesse sentirlo. Finalmente dopo alcune ore – chi dice tre, chi quattro, chi cinque – la cuccagna fu conquistata. Il sole era già calato. Qualche sera dopo, nella sala di Agostino Vettor Cariola si fece una gran cena di tutti i partecipanti consumando il bottino della cuccagna e molto altro. La foto testimonia l’euforia e l’amicizia di quella serata. Quella fu l’ultima cuccagna in piazza a Dardago. Diversi anni dopo, sempre in occasione del Dardagosto, a cura delle associazioni promotrici dei festeggiamenti, furono organizzate altre cuccagne. Poi per motivi di sicurezza e per complicazioni burocratiche questo antico gioco fu abbandonato. Sarà possibile riprendere questa bella tradizione? ESPEDITO ZAMBON
NELLA FOTO CENTRALE. DARDAGO, 15 AGOSTO 1965: I PARTECIPANTI ALLA CUCCAGNA IN PIAZZA. SI TRATTA DI UNA CUCCAGNA RICORDATA DA MOLTI. ALCUNI PARLANO DI 4 O 5 ORE DI SFORZI PER RIUSCIRE A RAGGIUNGERE I PREMI POSTI IN CIMA AL PALO COSPARSO DI GRASSO PER RENDERLO IL PIÙ SCIVOLOSO POSSIBILE. IN PRIMISSIMO PIANO, AL CENTRO: ESPEDITO ZAMBON SEDUTI DA SINISTRA: MARCO IANNA BOCUS, LUCIANO BOCUS FRITH, GIANCARLO PAULETTI, ELIA ZAMBON PALATHIN, MARIO PELLEGRINI, GIANNI BOCUS (CON LA FISARMONICA), GIAMPIETRO ZAMBON SCLOFA, RAUL MARIO TIZIANEL, PIERINO ZAMBON TARABIN, GINO ZAMBON MOMOLETI. SECONDA FILA: PIERO ZAMBON BISO, CORRADO ZAMBON TARABIN, PIERO ZAMBON MARIN, FRANCO ZAMBON MOMOLETI (SEMINASCOSTO), RESPICIO (PINO) PELLEGRINI, CARMELO PALERMO, GIANNI ERMACORA BURELA, ZAMBON GIOVANNI SCROC, BRUNO ZAMBON. TERZA FILA : ARMANDO ZAMBON BISO, LUIGINO ZAMBON SCROC, MARIO SANTIN TESSER, PIETRO JANNA THECO, DARIO ZAMBON PAGOTO, ROBERTO PAULETTI, ... CARLON FAVRE (BUDOIA). ...
ANCOR L’ARTUGNA L’è rivada ancor l’Artugna, che à i anni del Signor e ne conta ancor le storie e de adés e ància de allor. E l’invern me ricorda le brusade de sarturc, che se feva sul confin ne la not de la Befana,
L’angolo della poesia
parché i Magi, che vigneva a trovar el Bambinel, no sbagliasse ància la strada, parché scuro l’era el ciel.
LA PRIMAVERA
E quel canto, che i paesani verso el ciel alto mandava, ne mandasse vin e biava
Va’ di lasciarci nebbia, da l’offusco grigio tenevi prigionier il sol, di febbril color ma già sua luce d’or, ben ridona il suo calor. Se godervi aprile, vada pian il tuo svestire risveglia tutti i cuor, è primavera!
Tante ciase le faseva ància un fià de presepiùt, che ne fea dhuti contenti, fosse bel, o fosse brut.
Al suo passar nell’aria, ne’ prati verdi e colli v’è profumo di gelsomin e di viole. Cantan su strade, al mattin, felici i bambini che van chi in asil chi alle scuole.
La capanna de carton per lucete avéa lumins, o tocheti de ciandéle, che féa lieti i fantolins.
Passa un gregge dei pastori, ai bei monti van a salir, belar degli agnellini, i can fedel fan la scorta. Le timoniere, che a passo van, lor campanel tintinnan, brucar trifoglio van lassù, ugual l’an prima.
Qualche volta succedeva che ciandele le tomava proprio adosso del ciarton e le presepio se brusava.
Tutti gli uccel festosi, nascosti tra fronde, al lavor già rifan i loro nidi. Tutti gli alberi, che in fiore mirar ognun, fa suo colore. Ma il freddo inverno fu pungente: frutti non più far, color sue gemme spente, se in cuor di noi v’è dispiacer malinconia, cercar chi aiuta di sincer fa compagnia.
Tempi bei, ne fea contenti pi de ancuòi, che nostri fioi i à tanti de regali, ma no i gode come noi.
Or già ne son ai capezzal dei campi i contadin già seminar van le lor terre. Crescon ben gli stel dei grani, che del lor gran ne fan dei pani.
Chioggia, 2 febbraio 2005 PADRE LUIGI RITO COSMO
Ogni stagion suoi frutti dà va’ pensier, desiderar ci fa. Nell’azzur baglior del sole, non la veder, udir del suo bel canto, l’allodola che in alto lenta scende al suo laghetto che le fa da specchio. Passan stormi di uccelli, dall’emigrar lontano dell’esodo richiamo, per migliorar la vita v’è per noi lavor lontano, le dure vite fanno. Due rondini entran in casa, si posan sulla madia, i bimbi mirar d’incanto, chè cinguettar fan tanto. Nonna dice: «Lor non perdon mai sua strada di ritornar alla lor casa». Ma due lacrime calan ed il viso le bagnan. Escon in fretta, per suo cibar volando sfrecciando in vasto ciel suo paradiso. ANGELO JANNA TAVÀN
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Lasciano un grande vuoto... l’Artugna porge le più sentite condoglianze ai famigliari
Giuseppe De Majo
Arrivederci, caro, splendido, dolcissimo papà. Te ne sei andato in silenzio, soffrendo, senza mai lamentarti come hai fatto dignitosamente per tutta la vita. In noi lasci un vuoto troppo grande, incolmabile ma pieno d’amore, fiducia e forza per andare avanti, la stessa forza con la quale tu hai affrontato il tuo difficile cammino di dolore, fatica, rinunce e tanta, troppa sofferenza. Sei stato una guida, a volte anche
severa, ma ci hai insegnato a non lamentarci, ad accettare tutto quello che la vita ci proponeva anche se a volte era difficile. Continuamente, appare davanti ai miei occhi l’immagine di te seduto sulla tua inseparabile sedia spargere consigli e dare coraggio con quella grande serenità che sembrava appartenere solo a te. È stato difficile arrivare fino a qui, hai dovuto superare molti ostacoli e hai vinto molte sfide con la vita, ma hai accettato sempre serenamente quello che Dio aveva a te riservato, riuscendo a vivere una vita quasi normale nonostante tutto. Per i miei figli sei stato, ma lo sarai per sempre, un nonno speciale, affettuoso, buono che ha trovato sempre la soluzione a tanti problemi ed ha sempre dato il giusto consiglio. Tutto l’amore che hai dato loro e la sicurezza che hai loro trasmesso li accompagnerà per la vita. Ed infine, una parola speciale per la mamma, la tua Giannina, compagna stupenda, sicura, silenziosa che con te ha iniziato un cammino impegnativo, difficile ma vero,
purtroppo, dove ogni giorno è stato guadagnato con la fatica e la tenacia e tutte le difficoltà sono sparite davanti alla vostra forza ed al vostro coraggio. Tu l’hai accompagnato, curato coccolato, amato moltissimo, a te va tutta la nostra stima ed il nostro amore per aver aiutato papà ad accettare tutto serenamente senza mai arrendersi. Gli ultimi giorni della tua vita sono stati dolorosi, vederti così è stato per noi causa di grande tristezza ma ora, che ci hai lasciati, vorrei pensarti libero da tutta la tua sofferenza volare leggero e sereno come non lo eri più da tempo. Grazie, papà, per essere stato con noi. Il tuo esempio sarà per tutti un modello di vita da imitare, i tuoi silenzi un pensiero da interpretare, il tuo sguardo una luce per guidare il nostro cammino. Ora, sono sicura, ci proteggerai e potrai finalmente riposare in pace. A noi resta solo lo spazio per una tenera, infinita nostalgia che accompagnerà per sempre il ricordo di te. ANTONELLA
Il loro ricordo non sfuma
Teresa Janna 2003 · 2005
Miei cari non rattristatevi. La morte è un passaggio. Sono andata solo nella camera accanto. Ciò che sono stata per voi, lo sono ancora. Chiamatemi con il nome che sempre mi avete dato. Parlate con me come avete sempre fatto. Non cercate di farlo diversamente. Non siate festosi e neppure tristi. Sorridete sempre come insieme abbiamo sorriso. Pregate, sorridete, siate lieti pensando a me. Il mio nome sia ricordato senza particolare importanza e senza tracce d’ombra. La vita dimostra quello che è sempre stato. Il filo non è stato tagliato. Anche se i vostri occhi non mi vedono siamo sempre uniti con il pensiero. Io non sono lontana, sono solo nella camera accanto. RUGGERO
Cronaca Cronaca Le lus de Nadhal in platha
Nel mese di dicembre le piazze si vestono a festa. Non più il singolo abete addobbato con lampadine multicolori domina la scena, ma al suo posto quest’anno ci sono alcuni pinetti carichi di piccole luci bianche che riempiono le piazze e donano un tono festoso all’ambiente. Grazie all’amministrazione comunale per l’idea e per la realizzazione. Così pure non possiamo dimenticare di ringraziare Espe-
SOPRA. GIANCARLO E GIOVANNI MAGRI NEL LORO LABORATORIO DI RESTAURO A ROVEREDO, ALLE PRESE CON I «NOSTRI» EVANGELISTI.
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dito Zambon che puntualmente in ogni festività si prodiga per abbellire la base del campanile e il sagrato di Dardago, utilizzando luci e bandiere del Friuli, dell’Italia e dell’Europa. Un tono di colore per sottolineare i giorni delle festività e per dare il benvenuto a chi giunge da fuori.
I é dudhi a refasse
Dalle pareti della chiesa di Dardago mancano i quadri raffiguranti i quattro evangelisti. Molti chiedono che fine hanno fatto. Rassicuriamo subito i dardaghesi: sono in restauro presso lo studio del prof. Giancarlo Magri e di suo figlio Giovanni. Prevediamo il loro ritorno per le festività di Pasqua dopo che la Commissione d’arte sacra avrà dato il suo benestare. l’Artugna in anteprima – per i suoi lettori – si è recata presso lo studio dei restauratori per poter documentare il lavoro quasi ultimato. La spesa per il ricupero delle quattro tele è sostenuta per due terzi dalla Regione, mentre un terzo è a carico della popolazione. Nel prossimo numero di agosto sarà data più ampia documentazione attraverso la relazione tecnica degli artisti che hanno ridato vita e luce alle preziose opere.
In glesia a Dardac un presepio... «nof»
Dopo diversi anni che gli allestitori ufficiali hanno sempre puntualmente preparato il tradizionale presepe, quest’anno «passano la mano». L’edizione 2004 – curata del sig. Capone con la collaborazione di Luigi Basso (Gigi Basso) – presenta una nuova fisionomia dovuta ad una insolita scenografia. Case tipiche della nostra pedemontana con tanto di cortìf, stale, cusìna, blavèr e fenìl compongono la sacra rappresentazione. La capanna con la Sacra Famiglia sembra che non ci sia ma, cercando bene, la si trova: piccola e a lato della composizione. Don Adel, durante l’omelia, sottolinea la cosa, attribuisce al voluto nascondimento – da parte dell’autore sig. Capone – un significato tutto evangelico. «Per loro non c’era posto in città e negli alberghi», la cosa ci fa riflettere e una domanda sorge spontanea: «Qual è il posto che noi riserviamo loro?»... Sull’altare del Crocifisso trova poi collocazione un altro presepio, quello di Bruno Rosit, interamente scolpito in legno di nosegler locale. Il pievano lancia un appello ai dardaghesi per il prossimo Santo Natale: abbellire la chiesa, i nostri portoni, le nostre case con tanti presepi. Accogliamo l’invito.
(FOTO DI LUIGI BASSO)
la popolazione di Dardago per l’aiuto economico che le ha permesso di ampliare l’asilo con altre due aule e una piccola cappella. Un rifugio per i suoi numerosi bambini bisognosi di ogni cosa.
di autolavaggio e di bar, è stata installata. L’inaugurazione ufficiale avrà luogo il 9 aprile. Auguriamo cordialmente una proficua ripresa del lavoro.
Presentadi i lavori de restauro
Da la platha a via Verdi
Dopo oltre quarant’anni, lo scorso trentuno dicembre, per motivi legislativi di sicurezza, la stazione di servizio Agip della famiglia Quaia ha smesso di erogare benzina al centro del paese. Insieme ad essa ha chiuso i battenti anche l’officina. Si è conclusa una pagina di storia della piazza, scritta da Piero Quaia, che ha svolto con professionalità anche il lavoro di taxista. Il figlio Elio, attuale titolare dell’impianto, continua il lavoro in via Giuseppe Verdi (circonvallazione), strada di maggior viabilità, dove la nuova stazione, dotata anche di servizio
Dopo la messa prefestiva di sabato 29 gennaio, l’architetto Perut ha illustrato a un discreto numero di parrocchiani i lavori eseguiti per il consolidamento e il restauro della parrocchiale. Con l’aiuto di numerose foto proiettate su uno schermo, abbiamo potuto apprezzare l’alta tecnologia utilizzata per consolidare le pareti e il tetto della nostra bella chiesa. Grazie al lavoro di tecnici specializzati, ora la nostra chiesa è più salda. Rimangono da affrontare altri lavori (altari laterali e abside) che inizieremo il prossimo anno.
ELIO QUAIA AL LAVORO NELLA NUOVA STAZIONE DI SERVIZIO.
Tra nealtre suor Rita Sacol
Domenica 23 gennaio è tra noi suor Rita Sacol. Rientrata dal Brasile per un breve periodo di riposo, la suora missionaria ha desiderato portare il suo «grazie» alla nostra comunità. Al termine della S. Messa suor Rita ha ringraziato Pietro Janna e 23
’Na glesiuta ’n te la glesia
Domenica 9 gennaio, dopo la S. Messa delle ore 11, i presenti sono invitati a partecipare alla benedizione e inaugurazione della cappella feriale, ricavata dalla sacrestia posta alla sinistra dell’altare maggiore. Da oggi la popolazione nel periodo invernale potrà così raccogliersi in uno spazio più ridotto e più confortevole con possibilità di risparmiare sulle spese di riscaldamento. Sulla parete di fondo: un grande Crocifisso, il tabernacolo e la porta (contornata da erte in pietra) per l’accesso alla piccola sagrestia. Nell’angolo di sinistra è collocata la statua lignea della Vergine, recentemente restaurata, proveniente dall’altarol del Brait. Un lampadario in vetro di Murano, una serie di banchi, di infissi e un’acquasantiera in pietra già arredano (anche se i lavori non sono completamente ultimati) e do-
IL NUMEROSO GRUPPO DI VOLONTARI CHE HA FATTO RIVIVERE ANCHE QUEST’ANNO IL PANEVIN A DARDAGO
nano all’ambiente un tono semplice e austero ben si addice al raccoglimento e al carattere dei dardaghesi così legati all’aspra natura del suolo natio.
Dardac «panevin» 2005
Anche quest’anno, nonostante le vicende note a tutti o quasi, il panevin dapprima è stato costruito e poi bruciato. Si è così mantenuta una tradizione che nei nostri paesi ed in generale in tutto il Friuli dura da secoli, il falò epifanico nei vari paesi varia per grandezza, per il materiale utilizzato, per la sua costruzione ed anche per il nome, nella bassa è chiamato foghera, capon ca vin, nella pedemontana capan, nell’alto Friuli pignarul (famoso è quello Tarcento). La tradizione di bruciare il falò e un misto di sacro e profano. Uno dei suoi scopi, quello sacro, è di rischiarare ai re Magi la via che porta a Betlemme, luogo in cui si recano a rendere omaggio e portare i doni a Gesù Bambino; l’altro scopo, il profano, attribuibile ad antiche usanze
celtiche, è quello degli auspici più o meno favorevoli per l’anno appena iniziato, dalle direzione che prende il fumo del falò. Una volta attorno al panevin accesso, era d’uso chiedere, con invocazioni alla divinità, abbondanti raccolti e prosperità. Mi ricordo che quando ero bambino un’anziana, vicina di casa, era solita farsi con qualche fascina di sorgial e di rami di vite il suo piccolo falò nell’orto, e la sera del 5 gennaio, dopo averlo acceso e dopo aver detto qualche preghiera, cantava questa filastrocca: «Cà pan cà vin, la luania ’ntel ciadin, al bocal plen de vin e ... tabac pal me on». Dapprima chiedeva abbondanza di alimenti e poi, da brava moglie, tabacco per il coniuge! Fino a pochi anni fa a Dardago in ogni via si faceva il panevin ora purtroppo è già abbastanza se si riesce a farne uno in tutto il paese, quest’anno è stato motivo di soddisfazione per gli organizzatori più anziani vedere che la partecipazione dei giovani alla riuscita di quest’impresa è stata costante e numerosa. Speriamo che ciò avvenga anche in futuro così questa tradizione sarà mantenuta ancora per molto tempo. La sera del 5 gennaio alle ore 20.30, alla presenza di numerose persone, dopo la benedizione di don Adel, in via Rivetta si è dato fuoco al panevin, gli organizzatori hanno distribuito vin brulè, pinza e panettoni. Molto apprezzati sono stati i canti religiosi intonati da un folto gruppo di signore. I ragazzi si sono poi divertiti e sbizzarriti nel far scoppiare petardi e lanciare in cielo razzi multicolori. Il fumo e le faville emessi dal panevin, a giudizio degli anziani, hanno preso una direzione favorevole, quindi ci si attende un anno di abbondanza, di prosperità e speriamo anche di Pace. La foto ci mostra il folto gruppo di giovani, e meno, che hanno partecipato alla costruzione del panevin. FLAVIO ZAMBON TARABIN MODOLA
I madi doimilaquatro
(FOTO DI CORNELIO ZAMBON)
L’aga ’n tel rujal
Dopo anni di silenzio il rujal ha ripreso a cantare. Grazie al lavoro di restauro eseguito dai volontari della Pro Loco di Budoia l’acqua è tornata a scorrere nel rujal. Al primo intervento di pulizia e sgombero del fogliame e del materiale franato nella canaletta è succeduto quello dell’inserimento dei tubi e di altri mezzi di fortuna, in sostituzione delle pietre settecentesche mancanti, saccheggiate nel tempo da persone prive di scrupoli e poco amanti dell’ambiente. Il restauro finale vedrà l’intero percorso del rujal ricomposto da nuovi pezzi di pietra collocati nei tratti danneggiati dall’uomo. Auguri, Pro Loco! Speriamo in un futuro prossimo in cui la ruota del Mulin de Bronte possa ancora girare.
Dieci abeti, addobbati con semplici cose (immagini sacre, fili di lana, mandarini, fichi secchi, fiocchi di cotone, formine di pasta di pane, carrube ecc.), la vigilia di Natale sono stati portati in chiesa a Dardago e collocati lungo la corsia centrale. Quest’anno i rami di un mado portano foto e pensieri missionari. Dieci splendidi madi, ognuno rappresentante la popolazione di una o più vie di Dardago, vengono benedetti dal pievano don Adel durante la S. Messa di mezzanotte. Grazie a chi si è prodigato per il loro allestimento e per aver contribuito a tener viva la
tradizione. La presenza dell’albero sempreverde vuole anche significare la nostra viva vicinanza al presepe. Con l’interessamento e l’opera di Espedito, Maria, Anna Maria, Angelo, Lidia, Anna, Bruna, Silvestro, Piero, Daniela, Bruno, Bruna, Ugo, Bettina, Rita, Genny, Francesca, Doria, Marcella, Vittoria, Franzina, viene raccolta in Dardago, la somma di 1050 euro. Grazie a tutti e... arrivederci a dicembre.
LE OFFERTE PER I MADI VENGONO COSÌ DESTINATE
per l’acquisto di fiori per la chiesa
euro
150
per il restauro degli altari della chiesa
euro
900
TOTALE
euro
1050
I à dita che se son dismintiath
Ci sono giunte lamentele perché nel precedente numero di dicembre non c’era nessun accenno ai festeggiamenti agostani, avvenuti in occasione della festività dell’Assunta. Ciò è vero. Ci scusiamo, per l’involontaria dimenticanza, con il comitato festeggiamenti di cui l’Artugna è anche membro organizzatore. Le manifestazioni ricreative, sportive e culturali hanno sottolineato le giornate d’agosto dello scorso anno e la piazza si è nuovamente gremita di gente. Per la prossima estate... l’augurio di trovare idee e volontari per organizzare il «Dardagosto 2005». Per il prossimo numero... l’augurio di ricevere idee e suggerimenti – non solo critiche – per rendere sempre più vario e interessante il nostro giornale.
Nof consilio de la Pro Loco
Inno alla vita
Il nuovo consiglio della Pro Loco di Budoia, eletto dall’Assemblea dei Soci dell’11 febbraio 2005, si è riunito per la prima volta mercoledì 16 per la definizione delle cariche sociali. È stato riconfermato presidente il sottoscritto, Gian Pietro Fort, che sarà coadiuvato da Marco Marcoz (vice presidente), da Davide Fregona (segretario amministrativo) e da Alessandro Baracchini (segretario contabile). Gli altri consiglieri sono Roberto Andreazza, Matteo Bocus, Fernando Del Maschio, Mirco Fort, Michele
Quattro generazioni a confronto! Nella foto sopra possiamo vedere quattro generazioni: la bisnonna Pina (Giuseppina Sist), il nonno Nino detto Poe (Burigana Vincenzo), la mamma Adriana Burigana e infine Michele Berlingo. La bisnonna Pina, che tutti conoscono, è stata per 30 anni portalettere a Budoia e Santa Lucia, fra l’altro in tempi nei quali molte volte una lettera era l’unica fonte di notizie di un marito, di un figlio, di un fratello lontani. Quante lacrime, quanti sospiri, quante preoccupazioni ha visto la nostra Pina! Ora, a ottant’anni suonati, dopo aver amorevolmente assistito due mariti e la nuora, prematuramente scomparsi. ha ancora voglia di confezionare degli ottimi dolcetti dei quali chi scrive è un goloso beneficiario. Il nonno Pino Poe (classe di ferro 1943!) ha cominciato a lavorare da ragazzino a causa della malattia e della morte del padre Perin (anch’egli portalettere come il padre Cencio che gli anziani ricordano come
Graniero, Nabil Kahol, Emanuela Lot, Luigino Morson, Antonietta Torchetti, Andrea Usardi, Stefano Zambon. L’eterogenea composizione del consiglio, che vede l’alternarsi di nomi già conosciuti ad altri nuovi, rivela da un lato la continuità programmatica rispetto alla compagine precedente; al tempo stesso però si vuole sottolineare un certo ricambio generazionale, con l’elezione di nuovi giovani consiglieri. Questo porta nuova linfa e nuove motivazioni ad un’associazione come la Pro Loco, che deve sempre mantenersi viva e vitale all’interno delle comunità in cui opera. GIAN PIETRO FORT
raccoglitore e distributore di notizie paesane a scapito a volte della consegna della posta!), a diciassette anni prese la via dell’estero. Dopo aver girato mezza Europa, saltò il «fossal» e si stabilì negli Stati Uniti, dove crebbe come ristoratore alla scuola di un altro emigrante famoso, Antenore Carlon. Si mette in proprio gestendo per molti anni un grosso ristorante in prossimità di New York. Nel frattempo sposa l’indimenticabile Luisa. le cui spoglie mortali riposano nel nostro cimitero. Lavorando sodo insieme, come molti nostri emigranti, riescono a farsi un ottimo nome e un buon patrimonio. Ora Nino si gode la meritata pensione facendo la spola fra l’America (non ha paura
Sto an, tanta neif
Da anni, nei nostri paesi, non cade la neve. Abitualmente ogni inverno la vediamo solo sulle montagne sino all’altezza di Brognasa. Quest’anno il tempo ci ha riservato la sorpresa di trovarla fuori dalla porta di casa. Oltre alla solita allegria e poesia che la neve ci regala c’è stato anche qualche piccolo disago per la viabilità subito risolto dagli interventi dell’Amministrazione comunale. La foto a lato di Vittorina Carlon mostra l’arco prealpino interamente imbiancato.
dell’aereo come chi scrive!). La mamma Adriana, figlia unica del Poe, dopo aver lavorato nel ramo turismo, attualmente ha scelto il mestiere di mamma. Il marito è un italo-americano di terza generazione. Michele (all’anagrafe Berligo Michael Poe) ha due anni e inevitabilmente somiglia tutto al nonno! FERNANDO DEL MASCHIO
Auguri dalla Redazione!
Un momento della cerimonia del battesimo di Angelica Muraretto. La piccola è tra le braccia di mamma Marzia e papà Sergio.
Sabato 26 giugno 2004, nella chiesa parrocchiale di S. Agnese a Roraipiccolo, si sono sposati Claudia Pugnetti e Fabio Fort. La cerimonia è stata animata dai canti del Collis Chorus, dove cantano parenti e amici degli sposi. 28 marzo 2004 nella chiesa di Dardago è stato celebrato il battesimo di Martina Zoni, figlia di Alessia Zambon e di Massimo Zoni. Dopo la cerimonia ecco una bella foto con le quattro generazioni: Ermellina Bocus, Corrado Zambon, Alessia Zambon e Martina Zoni.
EDDA ZAMBON BELLINI
Grazie per la segnalazione, cara Edda. Il nostro organo, un Callido (1780?), dopo essere stato restaurato dalla ditta Zanin di Codroipo (1993/1994), è stato suonato da molti organisti: alcuni anche stranieri. Talvolta il loro concerto è stato anche registrato. Il CD a cui si riferisce è stato prodotto dalla «Syrus» e fa parte della serie «Venise baroque», nono volume della collezione «La Musique d’Orgue Italienne».
La sua lettera è arrivata, caro sig. Antonio. Talvolta le poste funzionano molto bene! Siamo felici che sia venuto a conoscenza de l’Artugna, perché uno dei motivi che ci spingono a perseverare nel nostro lavoro è proprio quello di mantenere il legame tra la nostra terra e coloro che per vari motivi vivono lontani. Come vede è già abbonato. Se desidera può usufruire del bollettino allegato. Anche a lei un invito che spesso rivolgiamo ai nostri lettori: con la sua vita trascorsa in alcune tra le più belle città d’Italia (e del mondo) non le mancheranno di certo spunti per una sua collaborazione con noi! Ricambiamo gli auguri.
Spett. le redazione, spero che, nonostante l’approssimatività dell’indirizzo, questa lettera, con la collaborazione dell’«ufficiale di posta» giunga alla giusta destinazione. Dal mio cognome sono evidenti le mie origini, e, anche se nato a Verona e cresciuto a Padova (e da quasi cinquant’anni residente a Firenze), sono rimasto fortemente attaccato ai luoghi dove, da bambino e poi da ragazzo, trascorrevo le vacanze estive nella casa del nonno. Ieri, scambiando gli auguri telefonici con il mio bis-cugino
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nelle pagine precedenti. Dici che questa foto ti fa ricordare le belle amicizie e la tua vita di quarant’anni fa. ma non solo a te: parlando con alcuni dei presenti nella foto (Espedito, Piero Theco, Pierino Tarabin) per reperire i nomi mancanti, sono emersi ricordi ed aneddoti di quella «mitica» cuccagna. Grazie per la collaborazione.
Vicenza, 22 gennaio 2005
Milano, 19 gennaio 2005
Firenze, 24 dicembre 2004
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ANTONIO FORT
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Spett. le redazione, Dardago è un paese veramente internazionale. Da Parigi una mia amica, sapendo quanto io sia attaccata alle mie radici, mi ha portato un CD trovato in un grande negozio di dischi. È una registrazione eseguita nella nostra chiesa dall’organista Catherine Todorovski nell’ottobre 2000. Fa piacere farlo conoscere. Tantissimi auguri per il vostro lavoro e anche per un sereno 2005. Cordiali saluti.
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Venezia, 16 dicembre 2004
Mario Fort (che non contattavo da lungo tempo) ho avuto notizie dell’esistenza della vostra rivista, di cui lui è entusiasta. Sarei molto felice di potermi abbonare e vi prego di darmi tutte le opportune notizie in proposito. Ringrazio vivamente e porgo i miei più cordiali auguri.
Spett. le redazione, con il mio modesto aiuto accludo, se può interessare, la foto dei partecipanti all’ultima cuccagna fatta in piazza a Dardago (1965). Belle amicizie, bei ricordi! Ho segnato i nomi di ciascuno; ne mancano, però, alcuni di cui non sono riuscito a ricordare. Mi scuso. Se la foto verrà pubblicata, ringrazio anticipatamente e viviamo sempre con l’Artugna nel cuore anche se distanti. Un abbraccio a tutti. ELIA ZAMBON PALATHIN
Caro Elia, certo che pubblichiamo la foto. L’avrai già vista 28
Spett. le redazione, con sentimento di intima commozione, ringrazio per le espressioni di partecipante apprezzamento della «recensione» alla mia operetta «Unicità» nell’ultimo numero della bella rivista «l’Artugna». Lo considero un riconoscimento in radice – radice d’origine – per la mia testimonianza di riflessione spirituale e poetica. Nel suddetto numero, poi, mi trovo fortuitamente riunito con memorie dei miei fratelli «dardaghesi» figli di primo letto di mio padre Leone Burigana – scultore. A pag. 27, la fotografia di mia sorella, maestra Irma Burigana, con la sua scolaresca nell’anno 1930/31 e, a pag. 36, mio fratello Giuseppe Burigana – menzionato con gli appellativi con cui si iden-
tifica affettuosamente di «Bepin Janna Ciampaner». Un congiungersi, quindi, di menzioni – grazie alla Rivista – che compensano, nella memoria, lontananze e divaricazioni decretate, spesso malgrado i protagonisti, dal «determinismo esistenziale», di cui si subiscono gli effetti, ma di cui non possediamo, se non a posteriori, il canovaccio…. Doppia gratitudine quindi alla Rivista, con ogni caro augurio. MARIANO BURIGANA
Gent.mo Sig. Mariano, siamo veramente felici per la fortunata coincidenza della pubblicazione nello scorso numero della recensione della Sua «Unicità» e delle foto dei Suoi fratelli da sempre amici de l’Artugna. Questa coincidenza ha dato più significato alle nostre poche righe per presentare il suo ultimo lavoro.
Milano, 5 gennaio 2005
Salve, anni fa avete pubblicato l’albero genealogico della mia famiglia (Janna-Tavan) a partire, se ricordo bene, dal 1650. Sarebbe possibile averne una copia via e-mail? Ho notato che, nel corso degli anni, qualcuno (io e mio padre ad esempio) ha perso la J per passare a Ianna. Come mai? Sono solo disguidi anagrafici o ci sono altri motivi? Vi ringrazio anticipatamente. ROBERTO IANNA
Caro Roberto, la redazione è lieta di inviarti a mezzo posta una copia dell’albero pubblicato nell’aprile del 1984. Trasmetterlo via e-mail non è possibile. Per quanto riguarda l’esatta grafia del tuo cognome rispondere
esattamente è difficile. Comunque provo o perlomeno spero di mettere qualche puntino sulle i, visto che di «I» o «J» parliamo. I documenti conservati nell’archivio della Pieve di Santa Maria Maggiore di Dardago per il nostro comune sono i più antichi e, quindi, a mio avviso i più attendibili almeno dal punto di vista storico; inoltre, non dobbiamo dimenticare che i registri della Pieve fungevano anche da anagrafe civile (nascita, matrimonio, morte) prima che si creasse l’attuale sistema di registrazione. In questo archivio le registrazioni manoscritte o le documentazioni a stampa (vedi stampa al laudo «Per il commun di Budoja del 1754) il nostro cognome porta la «J» come iniziale pur con variazioni del tipo: Jana, della Jana, dalla Janna o Janna. Non è possibile, come detto prima, eseguire un confronto «parallelo» con dei registri anagrafici comunali se non in epoca più moderna. L’archivio del Comune di Budoia è stato bruciato nella Seconda Guerra Mondiale e successivamente riscritto dalla copia originale depositata in Tribunale. Ma forse non è nemmeno qui il momento del mutamento. Quasi sicuramente un errore c’è stato. Oppure c’è stata una volontà di cambiamento nel ritenere la «J» un retaggio del latino medioevale e poco italiano moderno? Tutto ciò non è ancora chiaro. Spero in futuro con l’aiuto della redazione de l’Artugna e di altri studiosi in materia poter rispondere correttamente. Per il momento per «el comun de Buduoja» gli Janna sono tutti Ianna. Godiamoci con un sorriso questa deregulation. Con la speranza di poter rispondere più ampiamente con un articolo in un prossimo numero, allego alcune foto per testimoniare l’uso della «J» (come semiconsonante) nel nome del capoluogo «Budoia». VITTORIO JANNA TAVÀN
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IN ALTO. LINEA FERROVIARIA SACILE-PINZANO. LA TABELLA INDICANTE LA STAZIONE DEL NOSTRO CAPOLUOGO PORTA LA «J» . AL CENTRO. FRONTESPIZIO DELLA RACCOLTA MAPPALE DEL COMUNE CENSUARIO DI BUDOJA CON DARDAGO E COSTA, 1837 (ARCHIVIO DI STATO DI PORDENONE). SOPRA. VERBALE MANOSCRITTO DI UN CONSIGLIO, TENUTO IN DARDAGO, DATATO 13 APRILE 1797. NELL’ELENCO DEI CONSIGLIERI SI LEGGE «PIETRO JANNA TAVAN»
AURELIO ZAMBON · MILANO
Rivolgiamo un pensiero al nostro papà Girolamo. ALESSIO E FABIO ZAMBON – BELLEGRA · ROMA
[...dai conti correnti]
Invio il mio contributo pro restauri chiesa.
Budoia dhent, ciase, crode e storie Pier Carlo Begotti (a cura di), Sequals, Comune di Budoia, 2004
Con i migliori auguri per un felice anno nuovo a tutti. REMIGIO IANNA · VENEZIA
Con molto piacere ricevo la rivista l’Artugna. Auguri a tutti voi. GIANCARLO ZAMBON · ROMA
Per il 2005, assieme ai miei ringraziamenti per la vostra interessantissima pubblicazione, vi mando tanti cari auguri. MARIA ANGELIN · TRIESTE
Saluti ed auguri a tutta la redazione. DONATELLA ANGELIN · MILANO
Un raggio di sole è entrato nella mia casa. È arrivata l’Artugna. Un abbraccio a tutta la redazione e un complimento per tutte le informazioni e gli articoli anche commoventi che ci offrite. Grazie di cuore.
«Gente, case, pietre, laboriosità»: sono alcune delle parole-chiave che contribuiscono ad approfondire la conoscenza di un campo d’indagine – qual è il territorio budoiese – già costantemente «monitorato» dal nostro periodico l’Artugna, in vita da trentatré anni, e dalle sue pubblicazioni. Il nuovo volume, edito dal Comune di Budoia, è il frutto di una serie di tematiche sviluppate da vari autori coadiuvati dallo studioso Pier Carlo Begotti. Si articola in sette interventi concernenti il mutamento – sia storico che geografico, sia antropico che linguistico – e soprattutto dell’identità locale. In uno spaccato territoriale, s’illustrano morfologia, paesaggio con i suoi insediamenti, storia, arte,
parlata e tradizioni, ovvero si evidenzia la tenace laboriosità che caratterizzò nei secoli gli abitanti di questi paesi uniti dalle medesime radici. Conclude un sintetico cenno all’associazionismo. La monografia è corredata di un prezioso apparato iconografico curato anche dalla locale sezione AFNI, mentre la copertina è lo studio dell’attivo Gruppo Giovani del Comune.
VICTORIANO FORT PITUS · MILANO
bilancio In memoria di Rigo Ferdinando.
Situazione economica del periodico l’Artugna
FAMIGLIA RIGO ADELAIDE · TORINO
Periodico n. 103 In memoria di Giuseppe Bastianello. MARIA VIDALE · VENEZIA
Con gli auguri più cari e sinceri per tutta la Comunità. SILVANA ZAMBON · ROMA
entrate
Costo per la realizzazione + sito Web Spedizioni e varie Entrate dal 10/12/2004 al 28/02/2005
3.581,00
Totale
3.581,00
uscite
*
3.004,00 159,00
3.263,00
*Tra le entrate sono inclusi 600 euro del compenso per la collaborazione di Vittorina Carlon alla realizzazione del libro «Budoia, dhent, ciase, crode e storie» e da lei devoluti al nostro periodico.
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programma
IO L’HO UCCISO Io L’ho ucciso. Non la congiura del Sinedrio, non la folla che urlava: Crucifige, non le ferite inferte sul Calvario.
DELLA SETTIMANA SANTA
Budoia 9.30 – 18.00
Dardago
Io L’ho ucciso. Il Suo sangue è nelle mie mani, nei miei occhi l’orrore della Sua morte.
11.00 15.00 –
LUNEDI, MARTEDI, MERCOLEDI SANTO • Santa Messa e apertura della solenne Adorazione Eucaristica delle 40 ore • Chiusura dell’Adorazione Eucaristica
9.00 18.00
9.30 11.30
GIOVEDI SANTO • Santa Messa Vespertina «In Cœna Domini», riposizione del SS. Sacramento all’Altare del Sepolcro, spogliazione degli altari e adorazione. Raccolta salvadanai «un pane per amor di Dio»
20.00
18.30
15.00
–
da Il fiore della gaggia, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1973
VENERDI SANTO • Suono dei 33 rintocchi «nell’ora della morte di Cristo» • Azione Liturgica della morte di Gesù, recita del Passio, adorazione della Croce e Santa Comunione • Solenne Via Crucis, con partenza dalla Chiesa di Budoia e conclusione nella Chiesa di Santa Maria Maggiore a Dardago (in caso di maltempo, la Via Crucis si svolgerà nella Chiesa di Budoia)
15.30
17.00
20.00
–
SABATO SANTO • Benedizione del fuoco ed accensione del Cero Pasquale sul sagrato, Veglia Pasquale, benedizione dell’acqua con rinnovazione delle promesse battesimali e Santa Messa di Risurrezione
22.00
20.30
DOMENICA DI PASQUA • Santa Messa Solenne • Santa Messa Vespertina
10.00 18.00
11.00 –
LUNEDI DI PASQUA • Santa Messa
10.00
11.00
CONFESSIONI Lunedi, martedi, mercoledi Santo Venerdi Santo Sabato Santo
17.00/18.00 15.00/15.20 16.00/18.00
16.00/17.00 18.00/19.00 18.30/20.00
Bambini e ragazzi (con l’orario del Catechismo)
DONATA DONI
Buona Pasqua
DOMENICA DELLE PALME • Benedizione dell’Ulivo sul sagrato, processione e Santa Messa di Passione • Vespero e apertura dell’Adorazione Eucaristica delle 40 ore • Santa Messa Vespertina e apertura dell’Adorazione Eucaristica delle 40 ore
Non ebbi pietà degli occhi dell’Agnello, del cuore della Madre.
Dardago e Budoia visti dalla pianura O ... All’orizzonte una montagna bianca: ferisce l’aria quel biancor di neve Vive la luce: bianca a dicembre, verde a primavera Il cuore vede e canta la sua gioia. DA «FANTASIE DI PRIMAVERA» DI LYDIA AIMONETTO