Periodico della Comunità di Dardago · Budoia · Santa Lucia
Spedizione in abbonamento postale art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone.
Anno XXXIX · Aprile 2010 · Numero 119
ciao... Balèr
di Roberto Zambon
[ l’editoriale ]
T utti i paesi che possono vantare una lunga vita, hanno alcuni punti di riferimento riconosciuti da tutta la popolazione. Per Dardago, il balèr è uno di quelli. La presenza di questo grande platano, imponente e solitario, nella piazza del paese, ha accompagnato la vita e la storia di almeno dieci generazioni e per tale motivo i dardaghesi sono intimamente legati al gigante della piazza. Il nostro periodico ha raccolto, in quasi quarant’anni, molti ricordi e aneddoti dei lettori sul balèr; testimonianze che si tramandano di generazione in generazione. In tal modo anche i più giovani possono sapere che negli anni passati, all’ombra del nostro albero si svolgeva il mercato degli animali (principalmente ovini e suini, ma talvolta anche bovini); sot ’l balèr si fermavano le corriere, e le sue maestose chiome offrivano generosamente ombra a chiei che i le spetàva e a chiei che i rivava. Quando, durante il loro peregrinare da un paese all’altro, arrivavano a Dardago ’l gùa, ’l stagnìn o qualche altro artigiano, il balèr era sicuramente uno dei luoghi in cui sistemavano i
loro attrezzi per rimettere a nuovo forbici, coltelli, ombrelli e quant’altro era possibile riparare. Durante la sagra della Madonna di Agosto, nelle vicinanze, girava la giostra (quella con i seggiolini attaccati alle catene) e ai piedi dell’albero venivano sistemate le angurie. (Nonostante l’occhio vigile del commerciante, non era raro che qualche scaltro canai riuscisse a farne rotolar via alcune per far «sagra» con gli amici in qualche angolo nascosto). Del balèr abbiamo pubblicato molte fotografie. In quelle storiche, in bianco e nero, possiamo ammirarlo, in tutto il suo splendore, dominare la piazza e le case che la circondavano. Le foto recenti, però, testimoniano la progressiva decadenza fisica del grande albero. La copertina di questo numero lo dimostra. Eventi naturali, come l’età, e accidentali, come interventi più o meno corretti dell’uomo (di cui alcuni scellerati, come il fuoco acceso nella cavità del tronco), hanno fatto sì che negli ultimi 30 anni la patologia del balèr si aggravasse progressivamente. Nel 1979 venne effettuata una radicale potatura e successivamente fu eseguita
una capitozzatura, cioè il taglio della parte più alta dell’albero. Recenti esami effettuati da esperti hanno chiarito che il balèr si presenta nella sua fase terminale e considerato che tutta la parte centrale del tronco non porta alcun apparato radicale, dal punto di vista dell’equilibrio statico, la pianta è in una condizione di notevole pericolosità. Con tale prognosi e considerato che la piazza è coinvolta dai lavori di ristrutturazione è stato deciso di tagliare il secolare albero. È stata una decisione ormai inevitabile ma che rattrista coloro che erano legati al balèr. Vero è che le piante fanno storia con gli uomini. Nascono, crescono, invecchiano e, come gli uomini, muoiono. Allora lasciano un vuoto come quando muore un cristiano. Così scrivevamo in questa pagina, giusto 30 anni fa. 24 marzo 2010 Il suo posto ora è preso da un nuovo albero, un balerùt, che con il tempo crescerà e vorrà diventare lui il nuovo re della piazza.
ciao... Balèr 2
la lettera del
Plevàn di don Adel Nasr «Ecco il legno della Croce, al quale fu appeso il Cristo, Salvatore del Mondo». VENITE ADORIAMO
Fratelli e sorelle, con la Domenica delle Palme, siamo entrati nel cuore della vita della Chiesa; in quel giorno dopo l’ingresso trionfale in Gerusalemme, la folla subisce una devastante trasformazione: dall’«Osanna al Figlio di Davide» al «Crocifiggilo». Dio non ha risparmiato il suo Figlio Unigenito ma lo ha donato a noi, ha patito per noi, è morto in croce ed è risorto, aprendo una fase nuova nella vita spirituale e terrena di tutto il mondo. Il Crocifisso è il segno di un Dio che ama l’uomo fino a dare la sua vita per lui, dandoci la più autorevole testimonianza della dignità della vita umana. Gesù, umiliato fino alla morte e alla morte di croce, ci insegna che nessuno può perdere la sua dignità, davanti all’ingiustizia, all’inganno, alla superbia, alla violenza, all’odio. Nonostante i flagelli, le percosse, le umiliazioni, le ferite, le sofferenze è Gesù che ne esce vincitore. L’apparente vittoria dei suoi persecutori è effimera, perché raggiunta versando del sangue innocente. E come Mosè, nel deserto, alzò un serpente di bronzo per la guarigione del popolo ubriacato dal potere, dalla stanchezza del lungo viaggio verso la terra promessa, così Dio ha permesso che il suo Figlio venisse innalzato da terra, per attirare tutti al suo amore. Ringraziamo il Signore di questo stupendo atto di amore verso il mondo: dalla Croce è giunta a noi la salvezza. E proprio a Torino dal 10 aprile al 23 maggio, verrà esposta alla venerazione la Sacra Sindone, il lenzuolo funebre che, secondo la tradizione, venne avvolto il corpo di Gesù prima della sepoltura. Davanti ad essa anche il Santo Padre si inginocchierà. E la fede nel Risorto ci fa esclamare: «Non potevi, o Gesù, amarmi di più, per questo Ti adoriamo e Ti benediciamo»! In questo Anno Sacerdotale, noi preti ripeteremo, Giovedì Santo, le nostre promesse davanti al Vescovo. Anch’io, sacerdote da 18 anni, parroco di Budoia e di Dardago da 10 anni e da 5 di Santa Lucia, le pronuncerò 3
con la bocca e con il cuore anche per voi, mie comunità: passerò in rassegna nella mia mente e nel mio cuore la vita vissuta con voi, le gioie e le pene condivise, l’impegno di testimoniare l’amore di Dio per noi, pur con i miei limiti e i miei difetti, dovuti dalla condizione umana cui siamo soggetti. A Voi, chiedo una preghiera speciale per me, perché non venga mai meno la mia fede per essere, sino a che piacerà al Sommo ed Eterno Sacerdote, un collaboratore coraggioso del suo Vangelo, forte di quel «Comandamento nuovo» che il Signore ci ha lasciato come testamento nell’ultima cena: «Amatevi gli uni, gli altri, come io vi ho amati». Tutta la Liturgia del Tempo Quaresimale, annunciava nella speranza la venuta del giorno di Cristo Signore, in cui la creazione sarebbe finalmente rifiorita, come da un piccolo seme che, morto nella terra, germina una splendida fioritura, destinata ad un raccolto abbondante. Con la Pasqua di Risurrezione, questa speranza si compie: è il giorno di Cristo Signore, trionfante e vittorioso, sulle potenze dello spirito del male e della morte. Insieme agli Apostoli, testimoniamo senza paura l’evento cardine della nostra fede, abbandoniamo il lievito vecchio fatto di malizia e di perversità e cerchiamo le cose di lassù per vivere in santità la nostra esistenza quotidiana, fatta di alti e bassi, ma ben inseriti in quella moltitudine di testimoni che dopo l’amarezza e la strada della Croce, proclamano con convinzione che Cristo, risorto da morte, non muore più ed è vivo e presente nella sua Chiesa, in noi, membra del suo corpo mistico e non cessa di manifestarsi a quanti credono nel suo nome e lo cercano con cuore sincero. Ci aiuti Maria, la Madre di Cristo che ai piedi della Croce ha accolto le ultime parole del Figlio prima di affidarcela come Madre. Allora, mentre ci porgiamo gli auguri, scambiamoci reciprocamente questa certezza: «Cristo è veramente Risorto. Alleluia». È questo l’augurio che desidero rivolgere a tutti, facendomi interprete dei sentimenti di don Angelo, fra’ Egidio, don Antonio e don Stanislao che insieme ai collaboratori parrocchiali, al nostro periodico l’Artugna, sono una chiara testimonianza per le nostre Comunità, a vivere insieme da fratelli, figli dello stesso Padre ed assaporare i doni ricevuti dalla bontà di Dio.
[ la ruota della vita]
NASCITE Benvenuti! Abbiamo suonato le campane per l’arrivo di... Sebastiano Cauz di Maurizio e Marianna Busetti – Budoia Alessandro Montanaro di Martino e Barbara Gelisi – Pordenone
M AT R I M O N I Hanno unito il loro amore. Felicitazioni a... Mirco Zambon e Laura Fornezzo – Dardago Serenella Pellegrini e Dennis Belford – Johannesburg (Sud Africa) Valentina Viel e Giorgio Arata – Santa Lucia 50° di matrimonio Luigi Signora e Luisa Zambon – Budoia 60° di matrimonio Romualdo Zambon e Bastianello Bruna – Dardago
L A U R E E , D I P LO M I Complimenti! Lauree Loris Zambon – Laurea in Lingue e Civiltà Orientali – Dardago
DEFUNTI Riposano nella pace di Cristo. Condoglianze ai famigliari di…
IMPORTANTE Per ragioni legate alla normativa sulla privacy, non è più possibile avere dagli uffici comunali i dati relativi al movimento demografico del comune (nati, morti, matrimoni). Pertanto, i nominativi che appaiono su questa rubrica sono solo quelli che ci sono stati comunicati dagli interessati o da loro parenti, oppure di cui siamo venuti a conoscenza pubblicamente. Naturalmente l’elenco sarà incompleto. Ci scusiamo con i lettori. Chi desidera usufruire di questa rubrica è invitato a comunicare i dati almeno venti giorni prima dell’uscita del periodico.
Barbara Salvador di anni 37 – Forcate di Fontanafredda Serafino Carlon di anni 81 – Budoia Teresina Zambon di anni 79 – Milano Italia Ariet di anni 89 – Budoia Santa Lachin di anni 84 – Dardago Umberto Fort di anni 79 – Santa Lucia Anna Piazzolla di anni 51 – Novate (Milano) Rosina Zambon di anni 97 – Santa Lucia Marcellina Lachin di anni 82 – Santa Lucia Maria Bastianello di anni 97 – Dardago Luigi Nino Seno di anni 75 – Malcontenta (Venezia) Maria Zambon Carraro di anni 88 – Lido (Venezia) Armida Rina Merzariol di anni 87 – Santa Lucia Luisa Zambon di anni 57 – Torino Lorenzo Bocus di anni 58 – Budoia Modesta Zambon di anni 63 – San Giovanni di Polcenigo Anna Zambon di anni 77 – Milano Angelo Modolo di anni 83 – Polcenigo Nicola Fort di anni 78 – Santa Lucia Angela Comin di anni 63 – Santa Lucia
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Periodico della Comunità di Dardago, Budoia e Santa Lucia
In copertina. ’Na nica de sol da drio el balèr [foto di Flavio Zambon]
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Ciao... Balèr di Roberto Zambon
La carezza del sole di una timida mattinata di fine inverno saluta per l’ultima volta la maestosità del balèr. Senza più fronde lascia la sua ombra alle ore 9.12 del 2 marzo 2010. Un crepitìo poi un tonfo sordo, forse un gemito. Il gigante abbandona la sua piazza, la sua storia, la sua gente. Gli occhi ed il cuore l’hanno visto cadere sotto i colpi di una motosega, di una pala di ruspa e lo strappo finale di una corda legata ad un camion. Il suo grande tronco sezionato ha inseguito lo scontato destino di un albero malato: triturazione e riduzione in cippatura. Ma il cuore di ogni dardaghese continua ancora a vederlo ritto al suo posto, eroico nel resistere al tempo della sua vita di oltre 300 anni e a quella dei suoi paesani che sotto di lui si sono giocati gioie e dolori, sconfitte e riscatti, partenze e ritorni, decisioni e regole, lotte e momenti di convivialità. Il balèr era la confortante presenza nell’incerta mutevolezza delle epoche, memoria collettiva e coerenza di una comunità. Mentre veniva sezionato, molti dei presenti ne han chiesto un «pezzo» da portare a casa come a rivendicare la loro parte di gratitudine verso quell’albero, qualcun altro ne ha promesso la rinascita in scultura, qualcun altro ancora in forma di croce, simbolo di speranza, continuità e rinascita, che già il balèr incarnò, laicamente, in vita. Ciao, vecchio balèr! Sòte de ti, no’ ciantarón pì.
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La lettera del Plevàn di don Adel Nasr
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La ruota della vita
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Al porthìt de Sant’Antone?... di Vittorio Janna Tavàn
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Conoscere per agire di Roberto Zambon
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Recensione a cura della Redazione Angolo della poesia
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Riflessioni di Adelaide Bastianello
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Miele, territorio in barattolo di Serena Chiesa
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Tornòn a parlà de ciavài di Massimo Zardo
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Lasciano un grande vuoto...
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Cronaca
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Inno alla vita
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I ne à scrit Bilancio
Don Adel con noi da 10 anni a cura della Redazione
sommario
Vittorio Janna Tavàn
Direzione, Redazione, Amministrazione tel. 0434.654033 · C.C.P. 11716594 Internet www.artugna.blogspot.com e-mail direzione.artugna@gmail.com Direttore responsabile Roberto Zambon · tel. 0434.654616
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La sagra di Santa Lucia. Oggi, ieri, domani di Fabrizio Fucile
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Giovane tenace sale sul podio di Vittorina Carlon
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Né thus né mus di Anna Pinàl
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Aurelio e Mario Signora di Walter Arzaretti
Per la redazione Vittorina Carlon Impaginazione Vittorio Janna Contributi fotografici Archivio de l’Artugna, Vittorina Carlon, Vittorio Janna, Rosa Oliva, Massimo Zardo Spedizione Francesca Fort Ed inoltre hanno collaborato Francesca Janna, Espedito Zambon, Marta Zambon
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Con gioia in oratorio a cura di Fulvia Mellina e Mario Povoledo
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Programma religioso
Stampa Arti Grafiche Risma · Roveredo in Piano/Pn
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Guerrino e Gino, lavoro e famiglia di Sergio, Luciana e Vilma Zambon
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La TAC del Balèr
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Benvenuto Zambon, breve storia di un friulano a Dresda di Daniele Codarin
Autorizzazione del Tribunale di Pordenone n. 89 del 13 aprile 1973 Spedizione in abbonamento postale. Art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone. Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione di qualsiasi parte del periodico, foto incluse, senza il consenso scritto della redazione, degli autori e dei proprietari del materiale iconografico.
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… la solitudine tra la gente è ben più grave di quella che sperimenta l’eremita, o chi vive in un casolare di campagna, in qualche luogo sperduto. Perché la solitudine tra la gente vuol dire che una persona è diventata trasparente, non si vede. Esiste, ma è come se non ci fosse… VITTORINO ANDREOLI, PSICHIATRA
Un’utile proposta di riutilizzo degli avanzi alimentari?
Al porthìt de Sant’Antone? Te tociàva dhài calcossa! di Vittorio Janna Tavàn
Un recente studio effettuato dall’Università Cattolica di Milano e dall’Università Milano-Bicocca ha evidenziato che nel nostro Paese 1 milione e 50 mila famiglie vive sotto la soglia della povertà alimentare, cioè spende poco più di 220 euro al mese per cibo e bevande. Se tradotta in termini individuali, la cifra si fa ancora più allarmante: 3 milioni di persone in Italia sono ‘colpite’ da povertà alimentare, delle quali 700 mila prive di assistenza. Disoccupazione, problemi di salute o disabilità, morte o separazione da un coniuge ed istruzione scolastica poco elevata sono i fattori diretti che maggiormente incidono e determinano il rilievo di queste statistiche ma che, racchiusi in un’unica definizione, fanno emergere, con drammatico realismo, che oggi l’origine e la causa principale della povertà sono da individuare nel triste fenomeno della solitudine. La ricchezza della povertà Oggi siamo «poveri» perché siamo sempre più soli.
Eppure un tempo, nelle realtà contadine dei nostri paesi, come a Dardago, quando la miseria si distribuiva democraticamente a tutta la popolazione, quando l’accesso al cibo era garantito solo a chi poteva ricavare dalla terra o dalle «bestie di casa» quel poco che producevano, tale condizione di privazione rappresentava la pienezza di un altro valore: quello etico-sociale. I fattori sopra esposti che oggi determinano la solitudine e la povertà alimentare, diventavano allora «ricchezza», perché sviluppavano un senso di civiltà, di solidarietà e cooperazione (Latteria Sociale, Assicurazione bestiame, Cooperativa di consumo «La fratellanza», Vigili del Fuoco, Teatro «Concordia e Progresso»). I legami familiari e di amicizia, lo spirito di appartenenza ad una comunità locale, il senso dell’accoglienza, i princìpi religiosi erano elementi di unione, di forza, per un percorso comune e condiviso di crescita. 6
Sua maestà il maiale Quando eravamo poveri, per nessuno c’era cibo in abbondanza; eppure quel poco che c’era, era per tutti. Così anche per il porthìt de Sant’Antòne, il maiale che bighellonava libero di cortile in cortile nei nostri paesi, questuando, alla sua grugnante maniera, qualche avanzo di cibo, qualcosa che potesse dare un po’ di conforto al suo stomaco. Gli anziani di Dardago, ricordando quel rito, dicevano «No i n’èra néncia pa’ le nostre bestie, ma, cuàn che ‘l porthìt de le àneme ‘l te capitava rento pa’ le porte, te tociàva dhài calcossa…». Non lo si poteva allontanare senza rifocillarlo, almeno in parte, perché il suo sostentamento era stato stabilito da un patto sociale non scritto, ma condiviso da tutti (o quasi), per poter poi mettere le sue carni, una volta cresciuto e macellato, a disposizione del parroco o delle persone più povere del paese. Così almeno voleva l’antica tradizione diffusa in diversi territori dell’a-
rea veneto-friulana e legata al culto medievale di Sant’Antonio Abate, protettore degli animali da cortile, tanto che molti dei nostri contadini esponevano la sua immagine nella stalla. La storia racconta di una concessione papale che autorizzò l’Ordine degli Antoniani ad allevare suini nei centri abitati lasciandoli liberi di circolare per essere alimentati dall’intera popolazione. Erano muniti di un campanello identificativo (alla stregua di quello che il Santo egiziano portava sul suo bastone da eremita) oppure portavano una croce disegnata sul dorso. Solitamente il maialino era acquistato in primavera dalla comunità o dalla Confraternita delle Anime della Parrocchia, benedetto dal parroco e liberato fino al 17 gennaio, giorno dedicato alla festa del Santo, e quindi macellato pubblicamente. Il grasso era tenuto da parte per curare l’ergotismo, il cosiddetto «fuoco di Sant’Antonio» (herpes zoster) mentre la carne, in ogni sua lavorazione, era concessa ai più bisognosi della popolazione o, come già detto, al prete stesso che avrebbe onorato il dono con Sante Messe e preghiere a suffragio delle anime del Purgatorio.
LE «ESPRESSIONI» DI UN SANTO L’utilizzo di espressioni verbali legate a Sant’Antonio Abate (250356 d.C.) è ancora ampiamente diffuso, proprio per la ‘versatilità’ delle virtù del Santo e la varietà delle vicende che hanno caratterizzato la sua vita. A partire proprio dal motto proverbiale «te sò come ’l porthìt de Sant’Antone» che identifica la propensione di chi, poco avvezzo a rimanere a casa, girovaga per il paese. Al Santo è associato anche l’erpete (herpes zoster), il cosiddetto «Fuoco di Sant’Antonio», una dolorosa malattia cutaneo-nervosa che si manifesta come un «serpente di fuoco» all’interno o su una parte del corpo. Nella sua etimologia greca hèrpes zostér significa «cintura di serpente», raffigurazione del demonio con il quale, nella tradizione cristiana, Sant’Antonio ingaggiò aspre battaglie. Il Santo seppe infatti domare le tentazioni diaboliche e le passioni a cui fu sottoposto. Stando alla leggenda, il demonio gli apparve in forma di
La tradizione dardaghese Da noi l’antico rito era vissuto con qualche piccola variante. Più diffuso con la denominazione di porthìt de le àneme (perché ad esse, alle persone più bisognose, era destinato), il maialino era acquistato una domenica di inizio primavera dai fabbriceri della chiesa che si davano appuntamento con i venditori di bestiame dopo la Messa Granda sotto el balèr della piazza. Il maiale era benedetto dal pievano dopo il Vespro pomeridiano e, come ricordano in paese, «ciapàt la benedithiòn, i lo molàva e lui ‘l déva dhret fin via da Rosìt… no ‘l ciapàva mai la stradha de Budhòia…». Anche per lui, come per qualsiasi altro animale, era interdetto il sagrato della chiesa. Infatti, per evitare dissacranti ‘intrusioni’, due grosse grate a larghe maglie (le 7
formosa donzella ed il Santo, acceso un fuoco sotto la graticola e salitovi sopra, la invitò a giacere al suo fianco. Il diavolo si manifestò e fuggì. Un fuocherello, un maiale (altra rappresentazione figurativa del Maligno), il bastone con il campanello e il libro delle preghiere, compaiono sempre nell’iconografia del Santo. Di antica tradizione anche il concetto di «Catena di Sant’Antonio», ancor oggi purtroppo in voga. Il legame con l’eremita egiziano è attribuibile ad una leggenda nella quale si narra che Sant’Antonio un giorno scrisse una lettera al duca di Egitto, Ballacchio, ammonendolo che se avesse continuato nella persecuzione dei Cristiani, Dio lo avrebbe punito uccidendolo. Al termine della missiva lo esortò a spedire il medesimo testo a tutti i notabili della zona che si comportavano come lui. Ballacchio snobbò la richiesta e distrusse la lettera: qualche giorno dopo, il suo mansuetissimo cavallo lo disarcionò facendolo perire.
freàdhe) erano state poste all’accesso del suolo benedetto. A gennaio dell’anno successivo, dopo la Messa domenicale, el porthìt de le àneme era messo all’asta con il battitore posto sulla sommità della scaletta dell’entrata del campanile. L’importo della vendita del maiale era devoluto in beneficenza alla Chiesa, per il supporto spirituale (in forma di Messe) delle anime defunte, ‘dimenticate’ dalla comunità, e per quello materiale del pievano e delle persone che vivevano in condizione di miseria. Per quanto da noi non vi fosse un vero e proprio culto legato a Sant’Antonio Abate (come invece avviene, ancor oggi, a Mezzomonte del quale è patrono), la protetta ‘sacralità’ del maiale, fino al 17 gennaio, è attestata anche da Renato Appi in Vere o no vere allorché il personaggio di Pasqual nella radioscena La roba dei àltres ammonisce con parlata budoiese: «(…) Invethe i dis che no se à de copà el porc el dì de sant’Antone, parché se no, al te s’ciampa via col
cortèl implantàt. I veci i la contava che ere fiol. Me nono, po, el racomandava sempre: ‘Guài copà el porc el di de sant’Antone de la Mont! Guai! Guai a veàltre!’». La tradizione del porthìt de le àneme sopravvisse da noi probabilmente fino agli anni Quaranta, quando, con il sopraggiungere degli eventi bellici, andò gradualmente perdendosi per non essere più adottata neppure successivamente quando iniziammo a disporre di una nascente «indipendenza economica». E proprio in questa corrispondenza di maggiore possibilità, paradossalmente, il porthìt se ne andò definitivamente in pensione. Gli sprechi «non sprecati» Ritornando ai giorni nostri, questo paradosso è vissuto con ancor più esasperazione. Se le indagini riportate denunciano il problema della povertà alimentare, altre rilevano uno spreco di dimensioni faraoniche: ogni anno finiscono nella spazzatura 25 milioni di tonnellate di cibo, di cui
Perugia, Nicola e Giovanni Pisano, (1278), particolare di una formella marmorea della Fontana Maggiore.
18 milioni direttamente dalle case, dai negozi, dai ristoranti, dalle mense, dagli hotel e dalle aziende alimentari. Solo per evidenziare la questione del pane, nella città di Milano, ogni giorno diventano immondizia 180 quintali di prodotti da forno. Ma al pane si devono aggiungere gli sprechi delle altre merci fresche (latte, uova, formaggi, yogurt), della frutta e della verdura, degli affettati e dei prodotti in busta. L’argomento è già stato trattato sulle pagine de l’Artugna (Cibo. Tutto lo spreco che finisce nella spazzatura, maggio 2008), ma vorremmo nuovamente farne cenno in virtù di alcune «buone notizie» che giungono dal nostro territorio. Quelle espresse da molti panificatori del Pordenonese, ad esempio, che regalano le eccedenze ad aziende agricole allevatrici di bestiame anche se «con le leggi che ci sono oggi sulle etichettature – sostiene un loro esponente – è quasi più facile buttare via i prodotti che reimpiegarli». Il ritorno del porthìt? E noi cosa potremmo fare? Forse poco, forse niente, forse semplicemente educarci meglio agli acquisti, ai consumi, al riutilizzo degli avanzi. O forse (perché no?), rispolverando il «nostro» porthìt de le àneme, magari un po’ più stanziale in qualche recinto (più per la sua incolumità lungo le strade trafficate che per la nostra tranquillità domestica), ma sostentato e allevato dalla comunità alla stessa maniera di un tempo, con ciò che avanziamo dei nostri pasti, con ciò che i nostri negozi alimentari hanno di invenduto o in scadenza, con ciò che i nostri ristoranti e i bar gettano nella spazzatura. Perché no? Davvero, perché no? Perché non sentirci nuovamente più comunità, un po’ più «poveri» ma meno soli? Si dice che «del maiale non si butta via niente»… neppure il suo antico, prezioso ‘significato’. Si ringraziano gli informatori Camillo Zambon, Espedito Zambon, Flavio Zambon, Carlo Zoldan
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di Roberto Zambon
Conoscere per agire L’Ambito Distrettuale è l’organismo sovracomunale delegato alla gestione dei servizi sociosanitari. Il Comune di Budoia fa parte dell’Ambito 6.1 assieme ai Comuni di Aviano, Polcenigo, Caneva, Sacile, Brugnera e Fontanafredda. Recentemente l’Ambito ha pubblicato, per il quinto anno consecutivo, il rapporto sociodemografico della popolazione residente, al fine di fornire uno strumento utile per definire le decisioni e le attività degli Operatori sociali e degli Amministratori locali per la programmazione degli interventi e dei servizi sul proprio territorio. L’analisi ha preso in considerazione gli aspetti preminenti della struttura della popolazione complessiva dell’Ambito e dei singoli Comuni che lo compongono, e i principali sotto gruppi di popolazione presenti, come gli anziani, i minorenni e gli stranieri. L’obiettivo è quello di evidenziare le ricadute pratiche che le diverse dinamiche demografiche hanno per il sistema dell’offerta di Servizi Sociali. Grazie alla cortesia dell’Assessore Omar Carlon che ci ha fornito la documentazione, siamo in grado di estrapolare una serie di dati statistici molto interessanti per il nostro Comune.
Per inquadrare dal punto di vista demografico il territorio in cui opera l’Ambito, è utile riassumere i principali dati sulla popolazione residente.
Ambito Distrettuale 6.1 2004
2005
2006
2007
2008
Popolazione residente 58.590 Variazione annuale della popolazione – Popolazione minorile (0 -17 anni compiuti) 9.152 Variazione annuale della popolazione minorile – Adulti (18-64 anni compiuti) – Variazione annuale della popolazione adulta – Anziani (65 anni e piu`) – Variazione annuale della popolazione anziana – Grandi anziani (75 anni e più`) – Popolazione straniera 3.865 Variazione annuale della popolazione straniera – Principale nazionalità` straniera Albania Numero di nazionalita` straniere Incidenza stranieri sul totale della popolazione residente 6,7% Popolazione straniera minorile 862 Variazione annuale della popolazione straniera minorile – Numero nati vivi 549 Numero morti 534 Saldo naturale (differenza tra nati e morti nel corso dell’anno) + 15 Numero iscritti (all’anagrafe) 2.522 Numero cancellati (all’anagrafe) 1.682 Saldo migratorio (differenza tra iscritti e cancellati) 840 Saldo demografico totale (saldo migratorio + naturale) 855 Numero divorziati residenti al 31 dicembre – Variazione divorziati rispetto l’anno precedente –
59.177 + 587 9.428 + 276 37.789 – 11.960 – 5.827 4.188 + 323 Albania 87 7,1% 973 + 111 549 570 – 21 2.497 1.892 605 584 983 –
60.144 + 967 9.708 + 280 38.296 + 507 12.140 + 180 5.846 4.688 + 500 Albania 84 7,6% 1.095 + 122 626 548 +78 2.713 1.915 798 867 1.085 + 102
60.883 + 739 9.919 + 211 38.637 + 341 12.327 + 187 6.039 5.397 + 709 Albania 79 8,9% 1.258 +163 592 566 +26 2.623 1.833 790 816 1.138 + 53
62.210 +1.327 10.257 + 338 39.436 + 799 12.517 + 190 6.128 6.352 + 955 Albania 99 9,7% 1.464 +206 618 588 +30 3.116 1.869 1.249 1.279 d.n.p. –
Popolazione residente nei Comuni dell’Ambito Per poter meglio comprendere i dati esposti nella seconda parte, è interessante conoscere la suddivisione dei residenti per Comune, distinguendo tra Comuni della pedemontana e della pianura.
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Totale Incidenza % Budoia Aviano Polcenigo Caneva Pedemontana
2.518 9.242 3.259 6.544 21.563
4,0 14,9 5,2 10,5 34,7
Sacile Brugnera Fontanafredda Pianura
20.181 9.181 11.285 40.647
32,4 14,8 18,1 65,3
Totale
62.210
100
Comune di Budoia Focalizzando l’attenzione sulla popolazione del nostro Comune, questi sono i dati forniti dal documento.
Popolazione residente Variazione annuale della popolazione residente Popolazione minorile (da 0 a 17 anni compiuti) Variazione annuale della popolazione minorile Adulti (18-64 anni compiuti) Anziani (piu` di 65 anni) Variazione annuale della popolazione anziana Grandi anziani (piu` di 75 anni) Popolazione straniera Variazione annuale della popolazione straniera Principale nazionalita` straniera Numero di nazionalita` straniere Incidenza degli stranieri sul totale dei residenti Popolazione straniera minorile Numero complessivo delle famiglie Numero medio di componenti per famiglia
Indici di struttura della popolazione Elaborando opportunamente i dati sopra riportati unitamente ad altre informazioni è possibile ottenere una serie di indici sulla struttura demografica. Sono calcolati con riferimento alla popolazione residente al 31 dicembre 2008. Gli indici sono gli stessi utilizzati dall’ISTAT per fotografare la struttura e la dinamica demografica del Paese. Si può anticipare che in tutto l’Ambito, conformemente al resto del Paese, si assiste ad un progressivo invecchiamento della popolazione. L’età media nei sette Comuni è di 43 anni e mezzo, leggermente superiore sia al dato provinciale che a quello nazionale, ma inferiore a quello regionale. L’età media dei Comuni pedemontani è superiore a quella dell’Ambito (43,6) e a quella nazionale (43,3). Comuni
Età media
Aviano Budoia Caneva Polcenigo
44,1 44,5 44,6 45,8
Questo dato, ovviamente, fa sì che quasi tutti gli indici che analizzeremo evidenzino una sostan-
2004
2005
2006
2007
2008
2.311 – 344 – 1.426 541 – – 176 – – – 7,6% 40 – –
2.337 + 26 342 -2 1.438 557 + 16 267 177 +1 Romania 28 7,6% 36 1.117 –
2.414 + 77 365 + 23 1.494 555 -2 314 216 + 39 Romania 31 8,9% 56 1.115 –
2.450 + 36 383 + 18 1.513 554 -1 315 242 + 26 Romania 28 9,9% 61 1.142 2,1
2.518 + 68 405 + 22 1.568 545 -9 303 255 + 13 Romania 29 10,1% 59 1.175 2,2
ziale differenza sulla struttura della popolazione tra i quattro Comuni della fascia pedemontana e i tre della pianura. Indici di dipendenza o di carico demografico Partendo dall’ipotesi che gli anziani con più di 65 anni e i giovani con meno di 15 anni non siano totalmente indipendenti, si calcolano gli indici di dipendenza giovanile e senile che insieme ci danno un’idea complessiva del carico sociale (indice di dipendenza totale) che le classi di età centrali devono sostenere per prendersi cura dei più giovani e dei più vecchi. Tali indici vengono calcolati rapportando la popolazione dei giovanissimi e/o degli anziani sulla popolazione considerata attiva (15-65 anni) e rappresentano, quindi, il rapporto esistente tra popolazione giovane e anziana da un lato, e popolazione attiva dall’altro, ogni 100 individui. L’indice di dipendenza totale dell’Ambito è di 53,5. Tra i sette Comuni dell’Ambito, Polcenigo (59,6) e Brugnera (46,6) sono quelli che mostrano il valore massimo e minimo. A livello nazionale l’ISTAT ha misurato tale indice in 52,0 e definisce «problematico» un tale «rap10
porto di dipendenza tra le persone in età inattiva e coloro che rappresentano il bacino della popolazione che si fa carico di sostenerle economicamente». L’Indice di dipendenza senile dell’Ambito è di 32,4. Anche in questo caso Polcenigo e Brugnera mostrano i valori massimi (39,6) e minimi (24,8) della distribuzione. L’Indice di dipendenza giovanile dell’Ambito è di 21,1. Naturalmente, in questo caso, la classifica si inverte: Fontanafredda e Brugnera detengono gli indici più elevati, mentre Budoia e Polcenigo quelli più bassi. Indice di vecchiaia Il processo di invecchiamento complessivo della popolazione è dimostrato anche dall’indice di vecchiaia che si ottiene rapportando la popolazione anziana a quella dei giovani: le società dove la popolazione anziana prevale decisamente rispetto a quella giovane hanno valori molto superiori a 100. L’indice di vecchiaia dell’Ambito è 153,8; i Comuni che presentano i valori più elevati e più bassi sono rispettivamente Polcenigo e Brugnera. L’indice nazionale calcolato dall’ISTAT è 144,0.
Indice di ricambio della popolazione attiva Questo indice rapporta coloro che stanno per uscire dalla età lavorativa a coloro che vi stanno per entrare. Il valore medio di Ambito è di 151,5. I Comuni di Polcenigo e di Aviano hanno valori particolarmente elevati di questo indice. Indice di struttura della popolazione attiva Questo valore indica il grado di invecchiamento della popolazione attiva ed è calcolato rapportando i residenti della fascia tra i 40 e 64 anni su i residenti tra i 15 e i 39 anni. Tanto più basso è l’indice tanto più giovane è la popolazione in età lavorativa. Il valore medio dell’Ambito è di 117,7. I Comuni della Pedemontana hanno valori più elevati. Budoia detiene il record negativo. Indici di Mortalità e di Natalità Gli Indici di Mortalità e di Natalità esprimono rispettivamente il rapporto tra il numero dei decessi e di nati vivi dell’anno e l’ammontare medio della popolazione residente (per mille). Nella tabella seguente vengono riportati i valori dei vari dei Comuni della Pedemontana. Accanto al dato dei vari indici di Budoia è indicata la posizione in una virtuale classifica con gli altri Comuni.
Comuni
Altri dati relativi ai «gruppi di popolazione» di Budoia Un’analisi demografica deve anche preoccuparsi di fotografare la situazione dei «gruppi» che la compongono (ad esempio minorenni, anziani, stranieri) perché ogni gruppo rappresenta esigenze e problemi diversi. I minorenni di Budoia erano 405 al 31.12.2008. La loro suddivisione per fasce d’età era: da 0 a 2 anni: 73 da 3 a 5 anni: 68 da 6 a 10 anni: 116 da 11 a 14 anni: 81 da 15 a 17 anni: 67 Gli anziani, dai 65 anni in su, erano 545 (336 femmine e 209 maschi).
Indici Dipendenza
Aviano Budoia Caneva Polcenigo
Confrontando i dati di Budoia con quelli dei Comuni vicini, si riscontra che il nostro Comune è posizionato meglio come indice di dipendenza senile ma ha il peggiore indice di struttura della popolazione attiva. Ciò significa che rispetto ai Comuni della pedemontana abbiamo percentualmente una minore popolazione anziana, ma allo stesso tempo, tra la popolazione attiva prevalgono fasce d’età meno giovani. Ciò dimostra un elevato grado di invecchiamento della popolazione attiva che, in assenza di cambiamenti nella dinamica anagrafica, comporterà fra qualche anno, un elevato incremento percentuale della popolazione anziana.
Totale
Senile
Giovanile
55,4 54,0 (1) 59,4 59,6
34,2 33,3 (1) 37,8 39,6
21,2 20,7 (3) 21,6 20,0
Vecchiaia
Ricambio pop.attiva
Struttura pop.attiva
Mortalità
Natalità
160,6 161,2 (2) 175,4 197,5
167,2 154,0 (2) 143,7 188,8
118,3 132,6 (4) 125,7 125,6
13,6 10,7 9,3 12,9
11,0 10,7 9,1 9,1
I grandi anziani, cioè con più di 75 anni, erano 303 (212 femmine e 91 maschi). A Budoia vivevano, sempre a fine 2008, 255 stranieri (140 femmine e 115 maschi). Questi stranieri sono appartenenti a ben 29 Paesi diversi. La Romania è, di gran lunga, il Paese più rappresentato con 83 persone (46 femmine e 37 maschi). Seguono l’Ucraina con 22 (20 femmine e 2 maschi); l’Albania con 17 (6 femmine e 11 maschi); la Macedonia con 16 (8 femmine e 8 maschi); la Polonia con 15 (6 femmine e 9 maschi). Questo dato è in controtendenza rispetto all’Ambito dove la nazione più rappresentata è l’Albania. Ciò si spiega con la forte presenza a Budoia e nella Pedemontana di donne dell’est che operano come badanti. Infine, una curiosità: quante sono le famiglie di Budoia? Sono tante, ben 1175, ma quasi il 40% delle famiglie sono composte da una sola persona e un altro 27% da due persone. Solo il 18% delle famiglie contano 3 componenti e il 12%, 4 componenti. Il resto (solo il 3%) sono famiglie con più di 4 componenti. Conclusione Come detto, l’Ambito pubblica questi dati per facilitare la programmazione degli interventi per i servizi sociali ma la conoscenza del territorio, della struttura e della dinamicità della popolazione è indispensabile per tutti coloro che operano con e per la gente. Gli amministratori pubblici (dal Comune in su), ad esempio, devono basarsi su questi numeri per decidere se servono asili nido, scuole, case di riposo, loculi cimiteriali. Anche il piano regolatore non può prescindere dall’analisi dei dati anagrafici. Lo stesso può dirsi per le parrocchie, gli oratori, le varie associazioni: la conoscenza e la corretta interpretazione di queste informazioni può essere di aiuto in fase di progettazione delle varie iniziative.
don Adel con noi da 10 anni Era il 2000, l’anno del grande Giubileo che ha accompagnato l’umanità nel passaggio dal secondo al terzo millennio dell’era cristiana. Il primo marzo don Adel diventava ufficialmente nuovo parroco di Budoia e nuovo pievano di Dardago. Sono quindi 10 anni che don Adel è con noi. Anni intensi e molti impegnativi che egli ha affrontato con entusiasmo e con fiducia.
La sua giovinezza e la sua forza di volontà lo aiutano nel difficile compito di seguire le tre comunità (da 5 anni don Adel è anche parroco di Santa Lucia) e al contempo molte altre incombenze, tra cui gli impegni di studio a Venezia e a Roma, e le molte visite in Vaticano. In questi ultimi anni è riuscito ad ottenere un aiuto, per seguire la liturgia, da alcuni giovani sacerdoti stranieri che durante la settimana studiano a Venezia. Attualmente è coadiuvato da mons. Angelo Santarossa. Un parroco non si occupa solamente della cura delle anime ma anche delle varie necessità degli edifici parrocchiali. In questi anni sono stati effettuati impegnativi lavori di restauro esterno ed interno della chiesa parrocchiale e del campanile di Dardago. La redazione ringrazia don Adel per l’impegno profuso, in questi 10 anni, a beneficio delle comunità di Dardago, Budoia e Santa Lucia.
Don Adel, in uno dei suoi frequenti impegni vaticani, con Papa Benedetto XVI e il Sovrano dell’Arabia Saudita. Don Adel nel giorno della presentazione del libro La pieve di Dardago tra XIII e XVI secolo – le pergamene dell’Archivio.
La sagra di Santa Lucia oggi, ieri, domani di Fabrizio Fucile Il 13 dicembre 2009 ha visto la comunità di Santa Lucia celebrare secondo tradizione la festa della Santa patrona che, in perfetto accordo col calendario, ricorreva nella seconda domenica di dicembre, giorno ormai da due secoli consacrato alla «sagra» del paese. La sera della vigilia trippe e spari col carburo, la domenica due messe cantate nella chiesa gremita, la lunga processione per le vie del paese accompagnata dalle cornamuse, la castagnata col vino nuovo ed il concerto in piazza, per poi concludere con una cena alla cui tavola si sono seduti più di cento paesani e amici. Da anni non si vedeva così tanta gente salire sulla riva de messa, da anni non si respirava
così frizzante atmosfera. Il consiglio pastorale che ha organizzato l’evento, con le consuete e alcune più originali proposte celebrative, può considerarsi soddisfatto della partecipazione, sia all’evento religioso che al momento di sociale ritrovo di una comunità che riscopre dal passato e valorizza con la novità i motivi del «fare festa». Per tutto il Seicento ed il Settecento, il giorno della sagra non era il giorno di Santa Lucia, ma quello della memoria della dedicazione della chiesa, ossia la cerimonia con cui un edificio viene consacrato al culto. Fino al 1770 la dedicazione si celebrava in aprile; dopo il 1770 – quando la chiesa fu riconsacrata in seguito
ai lavori di ingrandimento e abbellimento – la festa fu fissata alla seconda domenica di luglio. Ma era comunque il 13 dicembre che attirava tanti fedeli sulla collina. Basti considerare le elemosine raccolte nelle due occasioni: 3 soldi il giorno della sagra, 47 soldi il giorno della santa (1699); 7 soldi il giorno della sagra, 77 soldi il giorno della santa (1700). Fin dal 1656, abbiamo testimonianza che, prima ancora che un cappellano stabile avesse la cura del piccolo villaggio, in quella giornata di dicembre il parroco di Dardago, insieme al cappellano e agli zaghi, dalla Pieve si portava sul colle a celebrare la Santa della luce con grande concorso di popolo. Il secolo XVIII vede i santalu-
ciesi impegnati nell’abbellimento della chiesa e sempre più spronati a costituirsi comunità cristiana, se non autonoma, desiderosa di un pastore che avesse cura quotidiana delle anime. E tale unitaria consapevolezza richiedeva una identità comune sotto la protezione della Santa patrona. Nel 1709 viene comprata una statua rappresentante la vergine siracusana (probabilmente quella contenuta nell’antico altare ligneo venduto nel 1905); nel 1724 viene eretto l’altar maggiore in pietra, opera dell’Antonelli; nel 1736 ci si procura una reliquia della Santa che verrà custodita nel tabernacolo acquistato l’anno dopo. Dal 1741 il paese ha il suo cappellano stabile e anche questo avrà contribuito a render sempre più solenne la festa. Non a caso dal 1738 (confermata per tutti gli anni a venire) abbiamo la prima testimonianza della spesa in polvere per gli sbari nel giorno de la Santa. Un grazie va a chi ancora
oggi, a distanza di quasi trecento anni, la notte precedente la festa, richiama i paesani col carburo alla preghiera e all’allegria. Non ci è dato sapere in che modo, nel corso dell’Ottocento, si sia giunti alla doppia festa di dicembre, quella del 13 e quella della seconda domenica del mese. Il 5 dicembre 1898 i Fabbricieri della veneranda chiesa di Santa Lucia, preoccupati da una disposizione del vescovo che stabiliva la celebrazione solo per il giorno 13, feriale o festivo che fosse, scrivono accorati: … Siccome con grande concorrenza, i fedeli di tutti i paesi limitrofi accorrono nella 2a Domenica di Dicembre d’ogni anno a onorare ed invocare la protezione di Santa Lucia nella stessa sua Chiesa… i sottoscritti pregano Sua eccellenza a nome dell’intera popolazione a voler concedere che il curato possa in tal Domenica far le prescritte funzioni nella chiesa della Santa loro patrona anziché in quella di San Giuseppe, restando pure stabilito senz’altro che anche il giorno 13 dello stesso mese dedicato a Santa Lucia vi saranno cantati Messe e Vespero in onore di es-
sa che sarà festeggiata con la maggior pompa possibile diversamente che per il passato. La domenica dunque aveva preso il sopravvento sul 13, giorno della festa, ma da questo momento i santaluciesi si impegnano a far due sagre, come risulta dai registri di spesa. Dopo l’elevazione a curazia, i festeggiamenti si fanno più solenni. Il parroco di Dardago che per compiacere i dardaghesi e i budoiesi diserta per la prima volta dopo secoli la sagra del 1898 (data dell’autonomia), l’anno dopo è di nuovo presente. Per la messa cantata dalla Schola viene trasportato al colle l’armonium e si prevede annualmente la spesa per il maestro di musica che la accompagna; dal 1904, inizia la tradizione della luminaria e dei foghi, quando si acquistano da Carli 100 razzi più cartone e si paga Lachin Luigi fu Valentino, falegname, per prestare opera per l’illuminazione al Colle. Le spese per il petrolio che riempiva il guscio dei sclos sono documentate fino al 1939 quando si decide che l’illuminazione per le feste del 10 e 13 dicembre sia fatta con lumini a cera anziché a olio. Dal dicembre 1953 saran-
Due suonatori di cornamusa accompagnano la processione. In alto. Il simulacro della Patrona lungo le vie del paese.
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no a loro volta sostituiti da centinaia di lampadine. Nel 1945 viene acquistata la statua della Martire che oggi si porta in processione. Il devoto corteo negli anni precedenti si svolgeva seguendo uno stendardo processionale (si ha notizia di un gonfalone della chiesa fin dal 1657), ma non sappiamo da quando sia iniziata la tradizione del pio percorso (nell’Ottocento si ha notizia solamente delle processioni rogazionali e di quella del Corpus Domini). Proprio nell’anno in cui si usciva dall’orrore della guerra e delle lotte partigiane ed era assai vivo il desiderio di svago, ci fu una discussione animata. Nella seduta del consiglio amministrativo posteriore alla festa i consiglieri si lamentano perché non è stata data la solennità come di consuetudine alla seconda domenica di dicembre. Il Curato porta fuori le ragioni che tutti conoscono cioè che quando in una festa religiosa si organizzano feste da ballo non si deve dare nessuna solennità alla festa religiosa. Si propone addirittura di parlarne con il Vescovo! In quegli anni la piazza era piena di barache che offrivano dolci
Artisti di strada impegnati davanti la chiesa parrocchiale.
e la mercanzia più varia. A casa Bof i ricordi della sagra sono ancora popolati da una bottega piena di avventori locali e foresti e dal vociare dei commercianti che fin dalle tre del mattino piantavano i paletti sulla piazza, litigandosi il posto migliore dove, con l’alzarsi del sole, avrebbero sistemato il banco di vendita. Il ballo, organizzato all’aperto nel cortile di Besa, era un appuntamento obbligato. Il timore del curato nasceva probabilmente da un avanzare sempre maggiore dello svago sulla preghiera. E sempre don Ragogna, l’anno dopo lamentava: Nella settimana antecedente la sagra si suonano le campane giorno e notte. Furono portate via le chiavi, si gettò giù la porta (del campanile). Non siamo ancora riusciti a togliere questo abuso perché, si dice, le campane sono non del parroco ma del paese. In questo abuso dei sacri bronzi (era tipico della sagra il gioioso suono delle glathade) intuiva più un richiamo a far baldoria che un invito alla preghiera. Ancora nel bollettino parrocchiale del dicembre 1958 egli si raccomandava di onorare la Santa con la preghiera e di tralasciare le smanie del divertimento. Mezzo secolo fa, nel dicembre del 1960, parroco don Carniel, fu organizzato un triduo di preghiera, la cantoria eseguì alla Messa grande il suo migliore repertorio; dopo la processione i giovani si divertirono – e fecero divertire i presenti – col gioco delle pignate, la corsa dei sacchi, quella dei mus e l’immancabile cuccagna. Un giusto compromesso, benché negli anni a seguire anche in don Nillo fosse viva la paura che il sacro potesse cedere il passo al profano. Tanta storia non può essere solo letta e ricordata, deve essere celebrata. Diversamente il timore sarà quello che la tradizione si consumi e lasci il posto al nulla. Per questo ci auguriamo che ogni anno a venire per la sagra ci sia al15
meno un colpo di carburo, almeno una lampadina accesa nella chiesa al colle, almeno quattro uomini che portino la Santa e le campane suonino a lungo d’allegria. Ci sia chi intoni una canzone in memoria di tanta amata musica, chi si impegni ad organizzare la festa, chi ricordi sempre – nel rispetto della tradizione o nell’entusiasmo della novità – che un paese in festa ritrova se stesso.
LE NOTIZIE SONO TRATTE DA
Archivio Parrocchiale di Santa Lucia Conti dei vecchi camerari (raccolte dal 1639 al 1804) • Registro Besa (1867-1914) • Quaderno dei Verbali del Consiglio Amministrativo (1939-1960) • Questionario della Visita Pastorale del 1946 • L’Angelo della Parrocchia (1957-1960)
Matteo Signora campione italiano Junior 2009/2010 di pattinaggio velocità su ghiaccio
Giovane tenace sale sul podio di Vittorina Carlon
Finalmente anche il Friuli ha il suo primo atleta che conquista un titolo italiano nel pattinaggio su ghiaccio, specialità Pista Lunga: è il budoiese Matteo Signora, il giovane figlio di Manlio e di Marina, che ha raggiunto meritevolmente il successo. Complimenti, Matteo! Abituato alla perseveranza negli allenamenti e al rispetto degli impegni presi, Matteo s’è imposto un’autodisciplina, che lo ha portato a conoscere i propri ritmi, a divenire maggiormente consapevole delle proprie capacità e a saper organizzare il proprio tempo. Tutto questo a costo anche di notevoli sacrifici, se si pensa che per potersi allenare l’atleta deve recarsi settimanalmente a Baselga di Pinè (TN), a km 180 da Budoia, perché in regione non esistono impianti sportivi adatti alla sua disciplina. La grande forza di volontà del giovane, l’impegno a trecentosessanta gradi, le difficoltà derivanti dalla situazione ambientale hanno concorso alla formazione della sua personalità, permettendogli di porre le basi per un’apertura a valori più alti, quali la partecipazione sociale e la ricerca di significati che vanno ben al di là degli aspetti materiali
e quotidiani della vita. Supportato dal fondamentale e quotidiano sostegno della sua famiglia, Matteo ha rafforzato nello sport la consapevolezza dell’importanza delle regole per la formazione della personalità; il gioco, infatti, – dall’infanzia all’adolescenza – è la più importante palestra di democrazia, in quanto è scuola di lealtà, d’uguaglianza, di rispetto degli altri e delle regole generali, che tutti sono tenuti a rispettare e che, per le loro caratteristiche, si possono comparare alle leggi dello Stato, che ci pongono tutti su un piano di parità. Con queste premesse, Matteo è ben avviato a divenire un valido cittadino, mentre lo attende intanto una gara che, tra alcuni mesi, lo metterà nuovamente alla prova: l’esame di maturità all’Istituto Tecnico per il Turismo di Conegliano. Forza, Matteo, fatti valere anche in quell’importante gara!
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Una grande stagione agonistica ricca di soddisfazioni quella appena conclusa da Matteo, iniziata a fine Maggio e Giugno 2009 con i test tecnici e medici disposti dal CONI, a Cavalese, in Val di Fassa e a Padova. A Luglio, iniziano i raduni di allenamento con la squadra Nazionale Junior, il primo presso il Centro Federale di Baselga di Pinè (Tn) e i successivi in Germania, per due volte a Berlino e una a Erfurt, su invito dell’ I.S.U., organismo mondiale per gli sport sul ghiaccio. Seguono altri due raduni a Torino sulla prestigiosa pista delle Olimpiadi del 2006. La stagione delle gare inizia a Novembre a Baselga di Pinè (Tn) con il 1° Grand Prix Internazionale, con i colori del Club «Polisportiva Ghiaccio Claut», e poi con la partecipazione alla prima prova di Coppa del Mondo a Groningen (Olanda), con la squadra Nazionale. A Dicembre, Matteo partecipa ad altre due gare sempre a podio. Ma Gennaio 2010 è il mese più intenso per lui. Matteo inizia il giorno 3 con un «International Event» a Collalbo (Bz), il 9 e 10
partecipa a Baselga di Pinè ai Campionati Italiani Sprinter conquistando il 3° posto. Il 15, 16, 17 è a Collalbo per il 28° International Junior Meeting; dal 18 al 23 interviene a un raduno I.S.U. in preparazione alla 2a prova di Coppa del Mondo sempre all’Arena Ritten di Collalbo, il 23 e 24. Il mese di Gennaio si chiude con la 3a prova di Coppa del Mondo, a Baselga di Pinè. Per Matteo, Febbraio è il mese della consacrazione con il titolo italiano «All-round», conquistato a Collalbo il 6 e 7, su quattro distanze – m 500, 1000, 1500, 5000 – tutte concluse al primo posto. Il giovane partecipa ad altre due gare a livello di Club a Baselga di Pinè, impiegate come allenamento in previsione della convocazione con la squadra Nazionale ai Campionati Mondiali Junior a Mosca. La partenza per la Russia avviene martedì 9 Marzo 2010: le gare sono fissate dal 12 al 14 e Matteo, con altri 8 componenti la squadra (4 maschi e 5 ragazze), ha l’onore di rappresentare l’Italia a questa prestigiosa manifestazione: ben
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120 partecipanti di 18 nazioni dei 5 continenti. Nessuna ambizione di podio mondiale, ma solo un grande desiderio di fare esperienza a livelli così alti; in ogni caso si classifica al 10° posto, con record per i ragazzi nella gara a squadre, mentre il 9° posto per le ragazze con il record italiano Junior. Risultati che, come prima partecipazione, sono un buon inizio e fanno ben sperare per la prossima stagione. Il merito di questa stagione va condiviso anche con il Club di appartenenza Polisportiva Ghiaccio Claut nella persona del Presidente Giovanna Di Daniel e del coach Maurizio De Monte, e per quanto riguarda la Nazionale con il tecnico Stefano Donagrandi (medaglia d’oro alle Olimpiadi 2006).
Sequenze atletiche di Matteo Signora nelle varie gare sostenute negli ultimi mesi.
Né thus né mus di Anna Pinàl
S e avevi qualche lentezza nel capire, eri un thus. Se avevi qualche pigrizia nel lavorare, eri un mus. Due epiteti scomparsi dall’orizzonte. Il thus è diventato enciclopedico: si affanna per ore sul computer e chiede a Google tutto il sapere che vuole. Il mus, da pigro indolente e tiratardi, è diventato iperattivo: parla a raffica, non si riposa mai, lavora anche di notte, è il classico iperteso definito «schizzato». Abbiamo fatto un salto troppo grande, abbiamo adottato comportamenti anomali, che rovinano un prezioso patrimonio genetico basato sulla calma. Discendiamo da contadini, gente che è stata libera, felice, dignitosa, attenta e saggia, che ha vissuto a schiena dritta cioè senza padroni. Con il lavoro delle sue mani, il contadino accompagna18
va la natura a essere quello che doveva essere, osservava, capiva, amava. Dai primi germogli del grano, al sole dolce di ottobre, imparava la calma e la lentezza del crescere. E imparava che bisognava lasciarla un po’ stare, nei suoi ritmi, sorvegliandola senza imporre, con una padronanza rispettosa, senza frenesie, quasi subordinata. Il fare vero è quello umile, della perfezione difficile, dei materiali robusti, dell’essere grati per la vita ricevuta e con essa per gli insegnamenti seri e indiscutibili onde stare con gli altri senza tensioni. Tutto funziona, adeguandosi agli altri: la pazienza è stare nel ritmo di chi ti è vicino. Un tempo, abbiamo visto questa regola praticata anche accanto agli animali da lavoro. Se conduci un paio di mucche, tieni d’occhio che siano agganciate
bene, al dóuf, al tamón, al ciavèstre, co la ciavétha. Fai gesti lenti, misuri e rispetti la capacità del passo. La vacca ama assecondare il suo padrone, usa la sua forza per trasportare il carro e lui stesso, seduto con le gambe penzoloni apparentemente ozioso, negli spostamenti lungo la strada. Ma dopo soprattutto nel campo, per il traino dell’aratro che affonda nelle zolle, le spacca, e rivolta la terra, per le nuove semine. Quella fatica insieme, coordinata da qualche richiamo con effetti di voce, è il legame che unisce il contadino e i suoi animali, con un sentimento di potere antico e primitivo. L’abitudine a tenere gli occhi sullo sforzo e sulle fatiche di chi ci è accanto, rende buoni giudici del valore degli altri. Gli strumenti che usa abitualmente il contadino sono i prolungamenti delle sue mani: el restél, la falth, el martél pa’ bate la falth, la brìtola pa’ fà ciane, pa’ taià vencs pa’ le theste, el cortelàth e la manèra pa’ taià talpòns, rumàth e spine, pa’ fà tóle e comedhà i sioli, el portél de le pite, la cunicèra o anche per un bel fuoco vivo di 40 minuti per cuocere la polenta a regola d’arte. La padronanza del fare si apprende da bambini, con i primi rudimenti, con l’esattezza dell’esecuzione veduta tante volte. Con la volontà di fare qualità, di non essere meno dei bravi. Non si è bravi per caso, ma per volontà, ispirati dai più veci... A fianco del nonno era presente la nonna, con la sua dolcezza: le nostre nonne facevano miracoli con la pignàta. Tenevano il fuoco a legna regolato senza manopole e mettevano in tavola squisitezze, minestre, fortàie e tecìns de salàt, di cui si sentiva il profumo anche in strada. Nella vita di casa, gli esempi di calma e laboriosità erano continui. I vecchi ci educavano cristianamente senza neppure fare uso di parole. Calma nel pensare, calma nell’ascoltare, calma nel capire. Rara la contrapposizione. La
coerenza ha le sue strade silenziose. Quello che dovevano dire lo facevano. Con successo, senza rincorrere riconoscimenti. Se il contadino non avesse fatto il suo dovere, i campi e le vigne sarebbero cresciuti soffocati dalle erbacce. Senza dar frutto. Per noi non ci sarebbe stato posto nel ciclo della vita. I friulani considerano le difficoltà come reali difficoltà solo per gli altri. Per se stessi invece i momenti duri sono come cose da by-passare, da andare oltre senza tante moine. Fare le cose rustiche è più difficile che farle artistiche. Perché le rustiche devono reggere agli urti, e all’usura di impieghi pesanti, di maltrattamenti e trascuratezze. Devono essere pensate per superare i crac. Le artistiche sono fatte per essere ammirate, sfiorate appena. Non sono strumenti, sono idee, figure; si fanno «per
ventiamo obbedienti a ciò che hanno fatto pensato e realizzato gli altri. Anche noi siamo diventati un po’ cose nelle mani di fabbricanti astuti e abbiamo perso la capacità creativa di provvedere autonomamente. Nelle raccolte di foto di famiglia, vediamo i nonni giovani, vestiti con eleganza, con cravatta, gilet, giusto taglio di capelli, aspetto curato, seri, dignitosi come volessero lasciare il miglior ricordo. La forma è sostanza, pareva volessero affermare. Noi siamo circondati dai risultati del passato, fissati nelle foto, nelle case, nei cimeli, nei racconti, nei diplomi incorniciati, e soprattutto nei rogiti che ci rendono intestatari di beni trasmessi con fiducia e amore. Spesso guardiamo tutto con disattenzione, senza immedesimarci nel passato che contiene lezioni di valore immenso. Il contadino è
bellezza», per il gusto di guardarle, come i soprammobili, i ninnoli, l’oggettistica. Le nostre case sono piene di ninnoli che esprimono l’assenza di durezza nella nostra vita. Compriamo tutto fatto e di-
fissato sull’idea che tutto si ottiene per merito, cioè che bisogna guadagnarselo. Perché altrimenti non sai neppure quello che hai. Solo se lo hai guadagnato, sai quanto vale perché ti è costato.
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Aurelio e Mario Signora di Walter Arzaretti
Il mese di aprile si chiude con il ricordo caro di monsignor Aurelio Signora e quello di maggio con la memoria riconoscente del professor Mario, fratello dell’arcivescovo. I due anniversari inducono a non tralasciare un «ritorno» a queste illustri figure budoiesi: 30 aprile, vent’anni da don Aurelio (19021990); 31 maggio, dieci anni da Mario (1909-2000). Uno aprì, l’altro
Madonna venne a prenderseli; da lì andarono, a veneranda età, «a vederla un dì»: prima Aurelio, dieci anni dopo Mario. Monsignor Aurelio non ha bisogno di presentazioni, Mario meriterebbe forse un recupero di memoria, se non altro per il suo singolare ardimento per la patria alla fine della guerra e per le realizzazioni di cui fu capace nella vita professionale.
chiuse – entrambi, crediamo, nell’abbraccio della Madre – il mese di Maria, che, mutuando dal cognome, essi onorarono quale Domina, che in latino vuol dire Signora. Monsignor Aurelio poteva ben chiamarla così per averla servita soprattutto nel santuario di Pompei; Mario poteva invocarla perché di lei portava, al maschile, il bel nome. Li vediamo, i due, specialmente nella casa di via Conditta, che Mario aveva acquistato per il rientro e il soggiorno del già sofferente fratello maggiore. In quella dimora la
Anche l’arcivescovo fu gran lavoratore. Per esempio egli mostrò una certa sensibilità ai secolari problemi delle genti del Sud (agli orfani anzitutto), dalle quali fu amato e alle quali fece dono, in nome del Vangelo dei deboli, dell’intraprendenza, fortezza nei valori, dedizione al dovere delle genti veneto-friulane. È una pagina del suo servizio nel Meridione d’Italia che meriterebbe di essere messa a fuoco. E pensare che tanto si dava da fare nonostante il diabete che lo aveva aggredito sin da giovane, con le li20
mitazioni conseguenti. Che cosa lo spingeva? Crediamo che lo abbia sostenuto proprio la sua solidissima devozione alla Madonna, praticata nel Rosario, imparato ancora a Budoia da mamma Pierina (figura insostituibile per questi due fratelli). Del Rosario monsignor Signora esaltò il valore, cristocentrico e biblico, in molti dei suoi impareggiabili sermoni, che trasportavano i fedeli; e la sua voce si era levata in «difesa» anche in una sessione del Concilio Vaticano II. Budoia ricorda però meglio l’ultimo monsignor Aurelio: quello cui il parroco don Alfredo portava in casa (stava seduto in una poltrona, assistito dalle sue suore del Santo Rosario di Pompei) i bimbi della prima comunione. E allora si svelava la pur austera bontà di questo vescovo, prodigo di benedizioni: il suo era lo stesso sorriso dei tanti incontri che lo avevano avuto protagonista a Pompei e dai quali non erano stati esentati i conterranei che capitavano laggiù: egli interrompeva impegni anche ufficiali pur di risentire il suo dialetto! Mario era diverso di carattere, ma cordialmente partecipe, in un rispetto pieno di riserbo, al ministero del fratello. Anche lui lavorò al Sud, esattamente diresse per un periodo lo stabilimento siderurgico dell’Italsider di Castellamare di Stabia, proprio vicino a Pompei. Cercò anche lui di riscattare quelle popolazioni dall’endemica disoccupazione. Ecco un punto di contatto tra i due fratelli: preoccupati dei loro connazionali, impegnati in un’opera di affrancamento dalla povertà, che a Budoia era pure stata di casa, poi debellata grazie alla cultura del lavoro dei friulani. Due fratelli e, si direbbe oggi, due «eccellenze» (parola da intendersi non solo come titolo vescovile): un vanto per Budoia, che dovrebbe pensare, venti e dieci anni dopo, di dedicare loro almeno una via.
con gioia in oratorio
Foto di Fulvia Mellina
Festa dell’Epifania L’unione fa la forza dice il proverbio e così è stato per la Festa dell’Epifania 2010, organizzata come sempre dall’oratorio delle tre parrocchie e più bella del solito grazie alla collaborazione con Associazione Pro Loco Budoia, Farmacia
Due Mondi e alcuni commercianti di Budoia. Una partecipazione senza precedenti di bambini accompagnati da genitori e nonni a dimostrare come la tradizione si perpetui con semplicità nei nostri paesi.
Dopo la funzione religiosa, officiata da mons. Angelo Santarossa, tutti a festeggiare in oratorio rallegrati dalle animatrici Elisa e Alida che, tra musica e canti, hanno raccontato la storia della Befana, «una vecchietta che indicò ai Re Magi il cammino per la casa di Gesù ma non si unì a loro perché aveva troppe faccende da fare. Pentita e non riuscendo più a raggiungerli, decise di portare ad ogni bambino un dono nella speranza che uno di loro fosse Gesù». Da allora continua a portare i doni per farsi perdonare... Una Befana buona, un po’ vecchiarella ma quest’anno... tanto elegante, con il suo sacco traboccante di calzette per tutti i bambini che l’hanno circondata con il loro entusiasmo. Dopo la distribuzione dei doni, nutella party e proiezione di un film a cura di un gruppo di volontari della parrocchia che don Adel non ha mancato di ringraziare unitamente agli sponsor. FULVIA MELLINA
Foto di M. Zanolin
Il carro mascherato «Braccio di ferro» È il prodotto finito di intensi mesi di entusiasmo, di lavoro e di preparazione, quello che i giovani e i loro genitori dell’oratorio di Budoia hanno presentato alla Comunità, domenica 7 febbraio. La giornata di festa, prima di partecipare alla sfilata del Car-
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nevale di Aviano e poi in seguito ad altre manifestazioni, è iniziata con la Santa Messa presso la Chiesa Parrocchiale di Budoia. Don Adel, in questa occasione, ha ringraziato non solo i piccoli e grandi vestiti da «Braccio di Ferro», Olivia e altri personag-
gi del mitico marinaio mangia spinaci, ma soprattutto i genitori delle tre comunità per il forte impegno che li ha coinvolti e trovati insieme per questo momento di gioia e di folclore. Al termine la benedizione allo «scafo» della nave dal carro e, mentre la musica riempiva le vie di Budoia, dal carro piovevano lanci di coriandoli e stelle filanti in grande allegria. Apprezzamenti e lusinghieri commenti da parte delle persone che hanno fatto ala all’allegra brigata che, dopo una breve sfilata, si è ritrovata in piazza a condividere un rinfresco preparato da bravi volontari e volontarie in collaborazione con l’Associazione Pro Loco di Budoia, mentre il Comune ha inteso dare il patrocinio dell’iniziativa. Immancabile la foto ricordo dell’evento che rimane un sano momento di fraterno svago, caratteristica, questa, che de-
ve offrire l’oratorio, «in primis» luogo di aggregazione e di aiuto anche in tempi difficili come quelli attuali che devono indurre alla riflessione: non è solo la forza delle braccia del mitico personaggio a risolvere problemi tanto complessi quanto il pensare e l’agire con correttezza e rettitudine, dare un messaggio di fiducia e speranza alle giovani generazioni con punti fermi e maestri cre-
dibili. L’oratorio, quindi le nostre parrocchie, devono dare una chiara e convinta testimonianza, insieme al tessuto sociale, dell’importanza dei valori etici e dei sani principi. Un grazie quindi a tutti coloro che hanno partecipato all’iniziativa con l’augurio che possa continuare anche in futuro. MARIO POVOLEDO
La pubblicazione degli alberi genealogici con gli inserti «Le nostre radici» riscuote sempre molto interesse tra i lettori. Alcune volte ci viene richiesto di pubblicare altre notizie sulle varie famiglie che non hanno trovato spazio nell’inserto. Per la famiglia Pinal Glir, Sergio, Luciana e Vilma ci hanno inviato queste testimonianze. Dardago inverno 1931/32. In alto. In piedi da sinistra: Carmela, Guerrino, Danilo, Gino, Maria. Seduti: Virginia, moglie di Guerrino, con il neonato Sergio, Regina, Antonio e Armido.
Guerrino e Gino lavoro e famiglia Guerrino Glir
Gino Glir
Guerrino, nato nel 1905, era il primogenito di Antonio Zambon Glir e di Regina Vettor Taribol. Già all’età di 13 anni andò a lavorare come apprendista muratore, assieme al padre, in varie località del Veneto e del Friuli. Erano lavori brevi, accompagnati da periodi di inattività che non davano alcuna sicurezza. Di conseguenza, decisero di emigrare in Svizzera con contratti stagionali da marzo a novembre. Ciò fino al 1933. Durante i lunghi inverni di quel periodo migratorio, costruirono con gli altri fratelli la nuova casa in via Rivetta e vi si trasferirono (nel 1933) dalla vecchia casa dei Glir. Finalmente nel 1934, trovato un lavoro stabile a Venezia, Guerrino vi si trasferì stabilmente. Nel 1936 aprì un negozio di pavimenti e rivestimenti per l’edilizia. L’attività, proseguita poi proficuamente dal figlio Sergio e dai nipoti Fabio e Guido fino al 2003: quindi per ben 67 anni! Dopo il 2003, Sergio ed i figli hanno ceduto il negozio e aperto, con risultati più che lusinghieri, un grande ristorante sempre a Venezia.
Come gli altri fratelli, anche Gino Zambon Glir (nato nel 1909) per trovare lavoro dovette lasciare Dardago, giovanissimo, ed andare nei luoghi più disparati; Svizzera, Veneto, Friuli, Trentino - Alto Adige. Nel periodo in cui lavorò a Venezia nel settore edile, alle ore 20 – dopo un’intera giornata di lavoro! – frequentò le scuole serali presso l’Istituto Paolo Sarpi conseguendo il diploma di Capomastro. Ebbe così la possibilità di ottenere incarichi di responsabilità e prestigio presso importanti società di costruzioni: ricordiamo, per esempio, il primo palazzone del Corso del Popolo di Mestre, per il quale papà fu incaricato della direzione e coordinamento lavori dalla Soc. Mantelli. L’intraprendenza, lo spirito di sacrificio e l’intelligenza lo aiutarono sempre! E qui merita ricordare un aneddoto significativo. Circa l’anno 1946 il Comune di Venezia indisse una gara per conficcare dei pali di legno nella Laguna offrendo mille lire a colui che fosse resistito più a lungo nell’acqua. Nostro padre certamente non voleva perdere l’occasione, ma non sapeva nuo-
SERGIO ZAMBON GLIR
1909. Francesco, padre di Antonio, Vincenzo, Leone, Armellina, Giuditta, Regina, Concetta.
1925. La recluta Guerrino Zambon.
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1916/17. Antonio e Regina con i loro figli Guerrino, Gino, Danilo, Carmela e Armido.
tare! E allora la domenica precedente si recò a Venezia con una tavola; prima attraversò per due volte il Canal Grande sdraiandovisi sopra, poi aggrappandosi sulla tavola e poi… sapeva nuotare! La domenica successiva, quando ci fu la gara, vinse e con le mille lire comperò il terreno ove costruì la sua prima casa a Mestre. La mamma Olga Lucia, nata a Venezia nel 1914, sin da giovanissima ha lavorato presso una sartoria sino al matrimonio con il papà (1936); dopo di che il papà volle che stesse sempre in casa ad accudire alla sua famiglia. Nel 1948 una società di Calalzo (BL) chiese in «prestito» per sei mesi un capocantiere all’ing. Mantelli (titolare della società in cui lavorava nostro padre) per la costruzione della diga al Passo San Pellegrino; a papà piacque l’idea: era una sfida, non aveva mai fatto un lavoro di quel genere e soprattutto nessun altro garantiva il lavoro in sì poco tempo! Accettò e a tale costruzione seguirono altri impianti idroelettrici : Falcade, Santa Cristina di Val Gardena, Soranzen di Feltre, Arson, Auronzo, ecc. Erano lavori in cui il papà dava il massimo di se stesso, in quanto era legato a tempi predeterminati (quasi sempre da 9 a 12 mesi) con premi per consegna anticipata
dell’intero impianto (galleria di vari km, condotta forzata, centrale con abitazione del centralinista) o penali per ritardi; cercava però di finire sempre prima per poter dividere i premi tra gli operai, in quanto a loro attribuiva il merito e, per incentivarli, «pretendeva» che la società desse loro l’indennità di rischio, di alta montagna, di trasferta, ecc... ben sapendo che così poteva «contare sempre sui suoi uomini!»! Per rispettare i tempi aveva sempre molti operai alle sue dipendenze, sia del luogo in cui veniva costruito l’impianto sia del proprio paese Dardago, cui è stato molto legato.
mattino e rimontato la stessa sera sul luogo del nuovo cantiere, che magari distava 200 km dal primo! Quindi era sempre la stessa casa che piaceva alla mamma, che aveva sempre gli stessi mobili, le stesse cose a lei più care ecc.. così aveva risolto il primo problema. Per quanto riguarda il secondo, quello degli studi delle figlie, la soluzione è stata il collegio a Feltre, con rientri in famiglia durante le vacanze! Dopo l’intenso lavoro dal lunedì al sabato, il papà dedicava la domenica alla famiglia: gite per visitare i luoghi vicini alla residenza, una
1983. Guerrino e Virginia con Sergio, Bruna e i nipoti Fabio e Guido nella nuova casa, a Budoia.
Ma in questo «girovagare tra le montagne» si erano presentati due grossi problemi: l’abitazione per la famiglia e gli studi delle figlie. Posto che la mamma ha sempre seguito il papà, nonostante abbia lasciato il cuore nella sua casa di Mestre, il papà non riusciva mai a trovare una casa confortevole e vicina al cantiere per rendere alla mamma meno pesante il distacco e a lui più agevole la presenza sul lavoro. Così quasi subito fece costruire un bungalow bellissimo, confortevole e che poteva venir smontato al 26
volta al mese a Dardago per visitare i genitori o – durante l’anno scolastico – per trascorrere un giorno con le figlie a Feltre. All’età di sessant’anni il papà andò in pensione e la famiglia fece ritorno a Mestre, ma il papà non riusciva a stare lontano dal suo paese e così nel 1975 si costruì la casa davanti a quella paterna, in via Rivetta. Questa in sintesi la storia dei nostri genitori: nostro padre è stato un «grande» ma dobbiamo veramente ripetere il detto: «un uomo è grande se ha vicino a sé una grande donna»! LUCIANA E VILMA ZAMBON GLIR
Questo lavoro nasce da una collaborazione con lo Stadtmuseum di Dresda per l’organizzazione della mostra «Menschen im Gasthaus», che ha avuto luogo nel museo dall’8 maggio al 5 ottobre 2008. La mostra ha trattato il tema delle locande nella città, dalle origini agli anni della Repubblica democratica. Una bacheca dell’esposizione dedicata alla storia delle locande nella città di Dresda, 2008.
Benvenuto Zambon breve storia di un friulano a Dresda di Daniele Codarin
La stazione Neustadt negli anni Trenta; il ristorante dove lavorava Zambon era ospitato nell’ala sud dell’edificio, la parte a sinistra nella foto.
Durante il lavoro di archivio sono venute alla luce importanti testimonianze sulla vita di Benvenuto Zambon, friulano che durante la seconda guerra mondiale lavorava come cameriere nel ristorante della stazione Neustadt, di proprietà di Rudolf Hoppe. Caso abbastanza singolare di friulano nella Germania orientale, tanto da suggerire nuovi studi sull’emigrazione friulana in quella parte d’Europa.
Benvenuto Zambon Benvenuto Zambon nacque a Dardago di Budoia, piccolo paese del Friuli (Italia), il 15 febbraio 1907 da Luigi e Maddalena Paties. Assieme a lui nacque il fratello gemello Fortunato. La sua era una famiglia di piccoli contadini che coltivava terra sassosa e poco fertile. Le condizioni economiche costrinsero Benvenuto, come molti suoi coetanei, a lasciare L’interno del ristorante, anni Trenta.
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il paese a 16 anni per trovare lavoro nelle grandi città dell’Italia del nord. Il primo impiego fu aiuto cameriere a Venezia. Cominciò, così, una carriera faticosa, ma gratificante che portò il giovane Benvenuto fino all’incarico di Maitre d’Hotel in prestigiosi alberghi in tutta Europa. Entrato in una società di grandi alberghi, lavorò in Francia e poi in Germania; a Dresda lavorava quando la città fu al centro della guerra. Fortunatamente lui lavorava in quella parte di città, la Neustadt, che non subì gravi danni durante la tempesta di fuoco. Grazie all’aiuto della sua compagna Rina Volpi, che viveva in Italia, riuscì a ritornare in patria. Al suo ritorno, Benvenuto raccontò a parenti ed amici la distruzione di Dresda ed i morti che letteralmente ricoprivano le strade della città. Durante il suo lavoro aveva messo da parte un buon capitale in valuta tedesca ma, alla fine della guerra, la grossa svalutazione lo lasciò quasi sul lastrico. Dopo un periodo trascorso a Dardago, si fece prestare dei soldi dai parenti e partì con il nipote Guerrino Zambon verso Genova, dove aprì un bar. A Genova vivevano le due figlie che la sua compagna aveva avuto nel precedente matrimonio. Benvenuto non ebbe figli. Continuò a lavorare per molti anni a Genova. L’ultimo lavoro fu Maitre d’Hotel a Genova Sampierdarena. Morì a Genova nel 1983 a 74 anni.
Sopra. Lettera originale di Benvenuto Zambon del 1947, dove parla del suo datore di lavoro a Dresda, Rudolf Hoppe; dall’archivio della famiglia Hoppe.
Notizie fornite da: Maria Bastianello, cognata, moglie di Fortunato Zambon, anno 1912. Gabriella Zambon, nipote, figlia di Fortunato Zambon, anno 1938. Luigi Zambon, nipote, figlio di Fortunato Zambon, anno 1949. Roberto Zambon, direttore del periodico l’Artugna.
Benvenuto Zambon con il nipotino Giorgio e la nipote Gabriella, estate del 1961 nella casa paterna di Dardago.
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[ recensione ]
L’angolo della poesia
il genio delle donne il libro di Chiara Rossi SEMPRE RICORDO TE, MAMMA
II mondo ha bisogno del genio femminile, in tutti gli ambiti, a tutti i livelli nella risoluzione dei gravi problemi dell’umanità. A dirci questo, con una lucidità e una chiarezza disarmanti e forse inaspettate, è più di ogni altro la Chiesa cattolica, attraverso molti suoi documenti ufficiali. Ma come si concretizza, nella realtà, il genio femminile? Lo dimostra l’esperienza di alcune donne, dai capi di Stato alle donne «della porta accanto», che hanno saputo occuparsi delle questioni che più stanno a cuore alle persone: qualità della vita, rapporti umani, salute, famiglia, scuola ed educazione, servizi sociali, tutela dell’ambiente, pace, diritti umani, e molto altro ancora. Molte madri hanno dimostrato non solo che l’essere tali le ha aiutate a svolgere meglio il lavoro fuori casa, ma anche che il loro impegno a favore della società al di fuori della famiglia nulla ha tolto al-
l’educazione dei figli (anche in caso di famiglia numerosa), ma anzi ha fornito loro una marcia in più. L’impegno femminile deve attuarsi senza contrapposizione con gli uomini: al contrario, donne e uomini devono collaborare per costruire un mondo migliore. Molti uomini credono davvero al genio femminile, ritengono corretto valorizzarlo e collaborano attivamente alla gestione della casa e della famiglia, senza perdere nulla della loro mascolinità, invitando ad un cambio di rotta quegli altri uomini che ancora considerano la donna secondo vecchi stereotipi. I personaggi di questo libro, diversi tra loro ma uniti da obiettivi comuni, forniscono lo stimolo per un ripensamento del nostro stile di vita, dei tempi e degli spazi della nostra quotidianità, dei meccanismi che regolano l’economia e la politica, affinché a tutti gli abitanti del pianeta sia garantita una vita dignitosa e serena. 29
Il papà, i nonni, i bimbi tutti mi voglion bene perché piccola ancor io sono, ma grande è il voler mio crescere. Tutto va, ma lunghi sono i giorni e nella notte palpita il mio cuore. Sogno di udire la tua voce: «Oh mamma, perché mi manchi?» Non più le tue parole al mattin quando mi vestivi, non più dolci carezze e tuoi respiri mentre con amor mi pettinavi. Ogni giorno all’asilo con bimbi e tante amiche felici ore passo in compagnia. Ma poi mi nascondo, dove nessun mi trova per guardare te e qualche bacio lascio alla fotografia che porto nella tasca. Un brivido corre e tante lacrime mi cadono, eri buona, brava e laboriosa. Ora dal cielo, col tuo sorriso dai speranza e coraggio alla mia vita. Ma resta il vuoto nella casa e sempre regna, perché così sarà e non è sogno. Quando al finir del giorno si fa sera sempre ricordo te, mamma, nella mia preghiera. ANGELO JANNA TAVÀN
GIOVANNI PAOLO II
di Adelaide Bastianello
O Dio, nostro Padre, ascolta la nostra voce perché è la voce di tutte le vittime della guerra. Ascolta la nostra voce perché è la voce di tutti i bambini che soffrono e soffriranno quando i popoli ripongono la fiducia nelle armi e nelle guerre. Ascolta la nostra voce perché parliamo per le moltitudini di ogni paese e di tutta la storia che non vogliono la guerra e sono pronte a percorrere insieme il cammino della pace. Ascolta la nostra voce e donaci l’intelligenza e la forza per rispondere all’odio con l’amore; alle ingiustizie con la giustizia; ai bisogni dei poveri con la solidarietà; alla guerra con la pace. Ascolta la nostra voce e infondi nel cuore di ogni uomo la saggezza della pace, la forza della giustizia e la gioia dell’amicizia. Ascolta la nostra voce e concedi al mondo per sempre la tua pace.
Riflessioni
PREGHIERA PER LA PACE
Questa preghiera, che ho recitato insieme con altri coordinatori dei Centri di Ascolto in occasione di una serie di tre incontri di formazione nella sede Caritas, mi ha indotto a riflettere, soprattutto sul fatto che, se non ci si affida a Dio, non si ha la forza di andare avanti nella grande complessità del mondo. Oggi più che mai, attorniati da disvalori, notizie di violenze, fatica di vivere, poteri forti e nuove povertà, quando apro il Centro di Ascolto e mi dispongo all’attesa, non vedo altro da fare che cercare di essere sempre più un operatore di pace. Nell’esperienza che sto vivendo in quel luogo, non sono poche le volte che mi sento impotente e quindi frustrata, anche se so che ogni persona che trova il coraggio di suonare alla porta per chiedere aiuto dà il vero senso del perché della scelta di fare il volontario. Non mi nascondo però che proprio l’ondata di problemi che si riversa su noi operatori, a volte improvvisi e violenti come uno tsunami, mi coglie impreparata. Vorrei poter risolvere tutto e subito, dare qualcosa lì, presto, perché quella persona possa
uscire dal Centro un poco più sollevata e un poco più serena. Ma lo faccio per lei o per vedere «sparire» il più in fretta possibile quel problema che mi spaventa? Incontrare faccia a faccia l’indigenza e la sofferenza degli altri fa paura, spesso entra in risonanza con la tua sofferenza; non farsi travolgere è difficile. Usare la ragione senza soffocare il cuore: ecco la grande scommessa. Imparare a convivere con la frustrazione di non poter risolvere tutto, fa riflettere sul fatto che l’Onnipotente è uno solo e che la strada è pregare di saper utilizzare al massimo i tuoi talenti, caparbiamente. Infatti, il più grosso disagio che provo è quando scopro che non ho fatto fino in fondo quanto era in mio potere di fare: questa è la vera frustrazione. L’operatore deve per prima cosa accogliere con animo disponibile, sincero e soprattutto non giudicante. Ma poiché non sono un essere speciale, a volte istintivamente mi viene da giudicare chi ho davanti oppure non ho nessuna voglia di ascoltare: ne ho già abbastanza dei miei di problemi; eppure so
che è proprio in quel momento che non devo mollare perché è il contatto con i miei problemi e con le mie esperienze che mi rende ricettiva nei confronti di quelli degli altri. Per tutto ciò il Centro di Ascolto è una grande scuola, ti fa stare con i piedi in terra e ti protegge dalla superficialità morale e materiale che ci circonda; è un’isola di speranza sia per il volontario che per le persone che vi si rivolgono. Anche se l’aiuto che la persona riceve è solo una possibilità di sfogo, una borsa di alimenti, una informazione, una pausa dalla sua solitudine, è pur sempre un passo in direzione della pace: infatti, sciogliere una difficoltà, ascoltare una telefonata, prendere a braccetto un individuo fino a quel momento sconosciuto, dà la consapevolezza di operare per il «disarmo» sociale. Quando ho deciso di essere volontario era per occupare il mio tempo libero, rendermi utile alla mia comunità aiutando chi poteva avere bisogno di me. Se, negli attimi di sconforto e di delusione per un successo mancato, penso sia «impossibile» farcela perché sono di più le
persone che hanno bisogno e sempre poche le soluzioni che sei in grado di dare, so anche che siamo in tanti che stanno «facendo», goccia dopo goccia, l’impossibile e questo mi sostiene nei momenti bui. La speranza è che sempre più persone diano un poco del loro tempo al volontariato, qualsiasi esso sia: l’aiuto al vicino che ha bisogno, alla parrocchia, alla propria comunità, per arrivare poi anche agli ospedali e a qualsiasi altra necessità che si presenti. Questo farà bene non solo alla persona che vai ad aiutare, ma soprattutto a noi stessi: la conquista di una grande ricchezza interiore. Per quanto mi riguarda prego Dio perché mi tenga la sua mano sulla testa e mi aiuti a far diventare sempre più pura la mia goccia. I miei compagni, che sono gli altri operatori del Centro, condividono sempre le difficoltà con me, ma anche la gioia dei risultati positivi, rari purtroppo. Sapere poi che ci sono tanti altri Centri di Ascolto e tanto volontariato in luoghi insospettabili, dà la vera speranza di vedere, alla fine, una grande svolta positiva.
di Serena Chiesa
Miele territorio in barattolo Il miele, primo dolcificante utilizzato dall’uomo, fin dai tempi antichi è stato considerato alimento prelibato quando non perfino magico o sacro. In epoche recenti è stato però in gran parte sostituito nelle nostre dispense dallo zucchero ricavato dalla canna o dalla barbabietola, di più semplice utilizzo e di gusto neutro. Sono tuttavia ancora vive le tradizioni popolari che attribuiscono erroneamente al miele proprietà terapeutiche o che vi associano le attività farmacologiche delle piante da cui sono stati prodotti. È stata invece verificata un’attività antibatterica del miele dovuta probabilmente all’enzima glucosio ossidasi che a partire dal glucosio, e in particolari condizioni di diluizione, produce acqua ossigenata e acido gluconico. La maggior parte degli effetti curativi associati dalla tradizione popolare al miele possono essere tuttavia ricondotti ad uno zucchero in esso contenuto, il fruttosio, per il suo effetto emolliente, leggermente lassativo e detossificante. È comunque inopportuno utilizzare il miele come un farmaco. Esso è un alimento che, pur mancando di proteine, grassi e vitamine, è particolarmente ricco di zuccheri semplici facilmente digeribili, apportatori di energia immediata. L’attenzione crescente per l’ambiente sta portando alla
rivalutazione dei prodotti naturali, tra cui il miele che ci viene fornito dall’ape già pronto per il consumo e conservabile senza nessuna aggiunta né manipolazione da parte dell’uomo. Ma oltre alla genuinità del prodotto, ciò che ci induce a consumarlo sono sicuramente le sue caratteristiche organolettiche. Ma cos’è il miele? Il miele viene prodotto dalle api (Apis mellifera) a partire dal nettare dei fiori o dalla melata che si trova sulle piante. Queste soluzioni zuccherine vengono bottinate, cioè
raccolte, e trasportate nell’alveare dove vengono passate da ape ad ape. Questo scambio tra individui porta due conseguenze: la diminuzione del contenuto in acqua e la trasformazione degli zuccheri complessi in semplici ad opera di enzimi prodotti dalle api (invertasi e glucosio ossidasi). Il risultato di questo processo è il miele. Questo viene immagazzinato e lasciato maturare nell’alveare andando a costituire, insieme al polline, la riserva alimentare che le api accumulano per il periodo invernale.
Florio Bernardis è un apicoltore che del territorio ha fatto il suo mestiere. Sul barattolo del miele prodotto dalle sue api c’è un’immagine in cui si riconoscono i paesi, la pianura e le montagne del territorio del comune, che fa da sfondo alla scritta «Miele di Budoia». Per sfruttare al massimo le potenzialità di un territorio che si estende da quote di 50 ad oltre 1000 metri di altitudine, egli applica la pratica del nomadismo che consiste nello spostamento degli alveari inseguendo le fioriture. Ciò è necessario per ottenere i diversi mieli che è possibile produrre in un territorio dove montagna e pianura si incontrano.
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I prodotti dell’alveare Il miele è composto da diversi zuccheri, principalmente da fruttosio e glucosio, in minor parte da saccarosio, e da altre sostanze contenute in piccole quantità quali acidi organici, enzimi, sali minerali e sostanze aromatiche. Il miele può presentarsi sia allo stato liquido che cristallizzato. La maggior parte dei mieli tendono a cristallizzare naturalmente a temperatura ambiente in quanto sono soluzioni soprassature, contengono cioè più zucchero di quanto ne possa rimanere disciolto. La tendenza a cristallizzare dipende dalla composizione in zuccheri dei nettari di partenza. Pochi sono i mieli che rimangono liquidi a lungo (acacia, castagno e melate), mentre per gli altri la cristallizzazione è da considerarsi sintomo di genuinità. Ma quanti mieli ci sono? Teoricamente tanti quante sono le piante che producono nettare. Più un territorio ha una flora ricca e più potrà dare origine ad una grande varietà di mieli. Di miele pertanto non possiamo parlare al singolare. Innanzitutto è possibile differenziare i mieli di nettare dai mieli di melata. I primi sono prodotti a partire dal nettare dei fiori, i secondi derivano invece dalla raccolta delle escrezioni di insetti che si nutrono della linfa delle piante. I mieli di nettare possono essere differenziati sulla base dell’origine botanica in mieli uniflorali e mieli multiflorali o millefiori. I mieli uniflorali derivano principalmente da una sola specie vegetale e presentano colore, odore e aroma caratteristici. In Italia vengono prodotti più di 20 mieli uniflorali. Al contrario i mieli millefiori, costituiti da nettari di numerose piante, possiedono caratteristiche diverse a seconda delle specie vegetali che lo compongono. In pratica ogni arnia può produrre un miele diverso. Di melate ne esistono due tipi:
PRODOTTO
PRODUZIONE
FUNZIONE NELL’ALVEARE
Miele
Nettare e melata raccolte dalle piante e trasformate dalle api
Costituisce le scorte energetiche per l’inverno
Polline
Prodotto dagli organi maschili delle piante
Nutrimento proteico utilizzato per le larve
Pappa Reale
Secrezione di alcune ghiandole delle api nutrici
Utilizzata come nutrimento dalle larve nei primi giorni della loro vita e dalla Regina
Propoli
Resine e gomme raccolte e lavorate dalle api
Ha funzione antibatterica e di mastice
Cera
Prodotto da una ghiandola delle api
Utilizzata per la costruzione dei favi
I mieli prodotti a partire dai nettari o dalle melate delle diverse specie vegetali possono essere molto diversi anche dal punto di vista dell’aspetto.
la melata di abete, derivata dalla melata raccolta sulle conifere, e la melata di Metcalfa, ottenuta dalle escrezioni dell’insetto Metcalfa pruinosa che si alimenta sulle latifoglie. Le differenze tra un miele e l’altro sono pertanto conseguenza dell’origine botanica e non dell’intervento delle api o dell’uomo. Fino a pochi decenni fa si produceva principalmente il miele millefiori, ottenuto prelevando dall’arnia tutto il miele raccolto in un’intera stagione produttiva. Oggi vengono molto apprezzati i mieli uniflorali, ottenuti grazie 33
all’abilità degli apicoltori che raccolgono separatamente il prodotto delle diverse fioriture, prelevando dall’alveare il miele di una specie vegetale prima che cominci a fiorirne un’altra. La produzione di questi mieli è possibile perché le api rimangono fedeli alla medesima tipologia di pianta da cui per la prima volta hanno prelevato il nettare o la melata, continuando a raccoglierne fino ad esaurimento. In realtà non è sempre possibile separare il raccolto delle diverse fioriture, soprattutto quando queste avvengono contemporaneamente.
Le api sono in grado di bottinare nettari e melate in un raggio di 5 km intorno all’alveare. Il miele raccolto da una famiglia di api rappresenta quindi il territorio circostante. La sua composizione è caratteristica per ogni zona rispecchiandone la composizione della flora e quindi delle fioriture. È così particolare che tramite l’analisi dei pollini in esso contenuti è possibile risalire all’area geografica di provenienza. Parlare di miele porta inevitabilmente a parlare anche di api. Questi insetti sono degli indicatori biologici, cioè organismi viventi che riflettono la salute dell’ambiente in cui vivono. Esiste uno stretto rapporto tra api e mondo vegetale: le api traggono dalle
Fiorina Bernardis, ritratta nella foto insieme a Serena Chiesa, espone le sue varietà di miele nel cortile della sua abitazione.
piante tutte le sostanze nutritive per il loro sostentamento, mentre le piante beneficiano dell’impollinazione necessaria alla produzione di semi e frutti. Ciò garantisce la sopravvivenza di molte specie vegetali spontanee nonché la produttività di svariate colture. Senza l’attività delle api e di altri
insetti impollinatori probabilmente i prati e i boschi avrebbero un altro aspetto rispetto a quello attuale. Sarebbero popolati solo da piante ad impollinazione anemofila, cioè che diffondono i pollini col vento. Il risultato? Nessun fiore colorato nei prati, nessun viale profumato.
Tornòn a parlà de ciavài di Massimo Zardo Chiacchierando del mio articolo sui cavalli, Flavio Zambon mi faceva notare come le notizie da me fornite sulla loro presenza a Dardago fossero incomplete. Invitato ad integrarle con i suoi ricordi, mi ha scritto: Chel che me pense sui ciavai (e i so paròns) de Dardacˇ. Ve ne riferisco in breve.
Attorno agli anni ’60 Nicolò (Nicoletto) Zambon Luthol, che abitava in via Castello era proprietario di un magnifico stallone dal manto bianchissimo, chiamato «Cesare», che utilizzava nei vari lavori agricoli: traino del carro, aratura etc. Negli anni ’70, in via Tarabin, era propietario di due cavalli da calesse Attilio Zambon Tarabin-Canta. Tornato da Milano a vivere a Dardago, per alcuni anni si era dilettato nell’accudire quei due slanciati animali, poi, non si sa il perché, li vendette e ritornò a Milano, dove, di lì a qualche anno, morì. Proprietario di cavalli fu, sempre in quel periodo, Giancarlo Pauletti: ne aveva due o tre (uno era nero). Li usava per cavalcare nei campi e li teneva in via Parmesan, dove ora ha un deposito di materiali. Negli anni ’70-’80, in via Masarlada, allevava un paio di cavalli Beatrice Zanchet, figlia del famoso maestro Giacomo: nel giardino di casa aveva una specie di maneggio, con ostacoli ed altre barriere,
in cui allenava i cavalli. A proposito di muli, visto che ne l’Artugna di agosto è stata citata, con foto, la mula di Andolùt Marin, Flavio ricorda che in via Castello, nella casa dei Frith, ci fosse stato un mulo, il cui possessore probabilmente era Paolo Bocus Frith, nonno di Graziano. Alla fine Flavio ci regala una chicca: a suo tempo anche il nostro compaesano, nonché pievano per ben 46 anni della nostra antica pieve, don Romano, aveva un cavallo, col quale si spostava nei paesi vicini al nostro, ma intraprendeva anche viaggi abbastanza lunghi, sia per andare a cerimonie religiose sia per affari. La conferma di ciò sta in un diario che lui scriveva giornalmente, con scrupolo ed a volte abbastanza particolareggiato. Il giorno 8 luglio 1912, egli annota: «Oggi a Maron ho venduto il cavallo». Non specifica né la somma ricevuta in cambio, né, eventualmente, di averne acquistato un altro.
Lasciano un grande vuoto... l’Artugna porge le più sentite condoglianze ai famigliari
Italia Ariet Cara sorella e zia Italia, pensavamo di poter festeggiare il tuo novantesimo compleanno; purtroppo è andata diversamente. Sappiamo che ci tenevi tanto! Hai lasciato un grande vuoto, perché tutti i venerdì venivamo a trovarti e a portarti tutto quello che desideravi, ma ogni volta ci stupivi, perché nel tuo piccolo mondo dov’eri… avevi sempre tante cose da raccontarci, ed eri sempre vivace e gioiosa. Tra le cose guardavi e cercavi sempre le caramelle. Un giorno, incuriosita, ti ho chiesto perché le desiderassi così tanto. Scuotendo la testa, come facevi tu, mi
confidasti: – Sai, io non le mangio. Bisogna dare per ricevere, così in cambio di una o due caramelle ricevo un sorriso. Questo mi ha fatto riflettere e ho provato tristezza. Penso sovente che, ora, non diamo più importanza agli affetti, non certo per colpa nostra, ma perché siamo sempre preoccupati e non pensiamo alle persone che ci stanno vicino e che hanno veramente bisogno di un sorriso e di tanto amore, specialmente le persone sole. Ti avremo sempre nei nostri cuori e speriamo che tu continui a pregare per tutti da lassù. TUA SORELLA ROSINA E I TUOI NIPOTI
Renzo Bocus Vogliamo ricordarti com’eri, pensare che ancora vivi e come allora sorridi... ed ora vegliaci da lassù... FRANCA E YURI
Manlio Prizzon È già passato quasi un anno e ancora non sembra vero. Certo, il rimpianto di non averti più tra noi non è misurabile, però sappiamo che tu non ci vorresti vedere cupi e tristi, ma allegri e spensierati come sei sempre stato tu. È proprio con questo spirito che la tua famiglia e i tuoi amici ti ricordano e ti portano nei nostri cuori.
Quando alziamo lo sguardo sulle cime innevate non possiamo non pensare a te, appassionato sciatore, e ti immaginiamo sereno tra le vette del Paradiso. Ora che hai ritrovato il nostro amato Abramo, veglia con lui su di noi. I TUOI CARI
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Cronaca Cronaca Panevin 2010: ancia se plof!
La vecia controlla la situazione dall’alto del panevin.
Anche quest’anno le condizioni atmosferiche non sono state benigne con il panevin: pioggia e neve hanno rallentato i lavori di taglio di boschi e giardini, riducendo la quantità di materiale a disposizione e bagnando abbondantemente quello raccolto in via Rivetta, facendo temere rinvii come due anni fa. Comunque lunedì 4 gennaio ci si ritrova numerosi e iniziano i lavori: il cielo è coperto e minaccia pioggia, ma abbiamo fiducia. In breve il materiale raccolto è accatastato (un grazie a Massimiliano per la sua disponibilità e perizia ), curandone in modo particolare la disposizione per favorire l’accensione del falò. Memori delle difficoltà dell’anno scorso, causate appunto dalle abbondanti precipitazione nevose e dalle piogge, per tranquillità copriamo tutto con un telone (mai vedut un panevin cuert!). Il martedì preparativi per la serata: allestimento del chiosco, pre-
El panevin al taca a brusà ancia se ’l plof.
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parazione del fornello per il brulè (lavoro per il grande Brunetto!), ultimi ritocchi al panevin (’na volta i doperava sorgial e bordici) con paglia, rami di pino e fascine secche: la cosa sembra finita, quando, slancio di fantasia dei giovani, parte l’idea della «vecchia». Mettendo insieme epifania e quaresima, ricordandosi del panevin di due anni fa bruciato appunto con la vecchia a metà febbraio, causa maltempo, i vari Andrea, Alessio, Alessandro, Francesco, Federico, Matteo e Michele preparano il fantoccio: una vecchia munita di borsa, cialthe longe e fatholet ’n tel ciaf, che ricorda le nostre bisnonne. Un piacere vederli lavorare entusiasti, protagonisti; significa che hanno colto lo spirito del conservare le tradizioni e la memoria, noi veci possiamo essere contenti: avon semenat pulido. Alla sera, come da programma, tutto è pronto: si attende don Adel per la benedizione rituale prima dell’accensione. Intanto comincia ad arrivare gente, tra i primi molti americani, che ormai da qualche anno partecipano alla nostra festa, curiosi di capirne il senso, forse con la voglia di sentirsi un po’ a casa. Manca stavolta, causa freddo e maltempo, il coro delle litanie. Al momentio fatidico comincia a piovere, ma stavolta il panevin si accende prontamente e brucia senza indugi: è andata bene, possiamo rilassarci. Nonostante la pioggia, a tratti insistente, numerose sono le persone, i gruppi di amici e le famiglie con bambini, forse più degli anni scorsi, che rimangono a lungo a scaldarsi e a bere l’eccellente vin brulè distribuito al chiosco assieme ai dolci fatti in casa e alla tradizionale pintha. L’organizzazione è ormai ben rodata e tutto fila liscio; arriva gente anche da Budoia dove il panevin fatica a bruciare, mentre due gruppi di ragazzi allietano la festa con un estemporaneo spet-
tacolo pirotecnico. Ma chi attira l’attenzione è la vecchia che, lassù in alto, non accenna a bruciare, si piega, fuma ma resiste a lungo, prima di cedere al fuoco. Eccoci allora al rito dei pronostici per il nuovo anno: del fumo, che all’inizio si alza dritto in cielo per poi formare una nuvola densa poco possiamo dire, se va a marina è colpa dell’aria dell’Artugna; è stata più intrigante la figura della vecchia, la sua resistenza, il suo non cedere al fuoco: per molti una allegoria dello spirito della nostra gente, della sua costanza, della sua forza, e un invito a non cedere, a tener duro anche nei momenti difficili. Con questi discorsi e, speriamo, con una speranza in più nel cuore, piano piano la gente si avvia verso casa. A mezzanotte il panevin brucia ancora, ma la pioggia aumenta e così anche gli ultimi coraggiosi abbandonano il campo, sperando in un tempo migliore per l’anno prossimo.
Le nostre montagne, come i nostri tre paesi, sono state ripetutamente avvolte in un mondo ovattato in questo rigido e lungo inverno.
Coscritti della classe 1936 di Budoia. Approfittando degli ultimi giorni dell’anno 2009 han voluto festeggiare una serata in lieta compagnia per augurarsi un buon fine d’anno ed un migliore anno nuovo, soprattutto in salute. Un ricordo è stato rivolto a quei coscritti che purtroppo non ci sono più ma che sono sempre presenti nel nostro cuore. A tale scopo è stata deposta una offerta alla «Via di Natale».
note Sorgial: canna secca del mais. Bordicio: ginepro. Pintha: dolce tipico a base di uvetta e farina da polenta.
Thanksgiving day Ringrathion el Signor
MASSIMO ZARDO
Ancia ’sto àn i madhi in glesia Anche quest’anno i madhi impreziosiscono, con la fantasia dei loro addobbi, la navata centrale della chiesa ed ancora una volta denotano la volontà delle «contrade» di onorare, non solo con l’impegno nel realizzarli ma anche con la generosità delle donazioni, il significato solidale del Natale. Infatti la loro esposizione serve anche per la raccolta di fondi che quest’anno ammontano a 1.058 euro (di cui 113 spesi per l’acquisto degli abeti) da destinare all’acquisto di arredi per la nuova sala parrocchiale della Scuola Materna.
Già da qualche anno la Parrocchia Cattolica presso la Base U.S. Air Force di Aviano festeggia in oratorio il Giorno del Ringraziamento insieme con la Parrocchia di Budoia offrendo cibi tradizionali: il tacchino ripieno con un condimento a base di castagne, purè di patate con salsa o purè di cime di rape, patate dolci, torte di mele, zucca o noci. È un momento di simpatica convivialità che unisce i residenti agli ospiti accomunati da un unico pensiero: ringraziare per quello che si ha dalla terra in ricordo dei tempi difficili. Il giorno del ringraziamento è un’antica festa religiosa nordamericana per ringraziare della buona riuscita del raccolto, in origine di derivazione cristiana ma 37
ora ormai secolare e si rifà all’arrivo sulle coste americane dei Padri pellegrini, a bordo della Mayflower nel 1620, dopo un duro viaggio attraverso l'Atlantico in cui perirono molti dei 102 pionieri imbarcati. Con l'inverno ormai alle porte, i sopravvissuti si trovarono di fronte ad un territorio selvatico e inospitale, fino ad allora abitato solo da nativi americani. Il primo anno fu molto duro: i pellegrini vivevano in ripari di fortuna, il cibo scarseggiava e quasi la metà di loro non sopravvisse al rigido inverno ma con l'arrivo della primavera del 1621 la situazione migliorò. Per l'inverno i coloni riuscirono a mettere sotto sale del pesce e ad affumicare della carne. Dopo il duro lavoro degli inizi, il governatore William Bradford indisse un giorno di ringraziamento a Dio per l'abbondanza ricevuta e per celebrare il successo del primo raccolto. Alla festa i
S’incontròn anciamò in oratorio
Don Adel con i confratelli durante il momento conviviale.
coloni invitarono anche gli indigeni. Nel menù di quel primo Ringraziamento americano ci furono delle pietanze che divennero tradizione per le feste – in particolare il tacchino e la zucca – insieme ad altre carni bianche, torte di cereali, frutta secca e noccioline. FULVIA MELLINA
Chiara e il Genio delle donne 7 marzo 2010, vigilia della Festa delle donne. Nel teatro di Dardago, una giovane donna madre
di tre figli, con i nonni materni nati a Dardago e a Santa Lucia, presenta il suo libro sul genio femminile. Chiara Rossi, questo è il nome dell’autrice, ha spiegato il contenuto del suo lavoro rispondendo alle domande del nostro direttore Roberto Zambon. In conclusione, Santino Janna Tavan ha letto alcuni passi del libro che parla dell’esperienza di alcune donne che, superando molte difficoltà, sono riuscite a mettere a frutto il «genio femminile» in molteplici campi. Peccato che, forse a causa della fredda serata, il teatro non sia stato affollato come in altre occasioni.
L’oratorio e la parrocchia di Budoia hanno in calendario due manifestazioni. Il 4 giugno, nella Chiesa Parrocchiale di Budoia, alle ore 20,45 si terrà il Concerto dell’UPCC, University of The Philippines Concert Chorus – Manila, coro ufficiale dell’Università delle Filippine. Costituitosi nel 1962, si è trasformato da semplice coro universitario ad una forza musicale di fama internazionale. Dal 14 giugno al 2 luglio: «Finalmentestate 2010» in oratorio dal lunedì al venerdì dalle ore 14.00 alle ore 18.00.
La platha quasi finidha…
Dallo scorso mese di novembre non hanno avuto tregua i lavori per la riqualificazione della piazza di Dardago. Tutta l’area è stata messa sottosopra per l’asportazione del vecchio asfalto, per la posa degli impianti tecnologici, per la costruzione dei marciapiedi, per il getto del calcestruzzo. Ora si sta eseguendo la pavimentazione e si comincia ad avere un’idea di come sarà la nostra «platha».
…e l’Artugna?
Durante il Consiglio Comunale del 26 marzo, il sindaco Roberto De Marchi ha consegnato una targa al geometra Antonino Zambon, che da ottobre è entrato in pensione. L’Amministrazione Comunale lo ringrazia per i 38 anni di servizio svolto a favore della comunità presso l’Ufficio Tecnico del Comune di Budoia.
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Dopo le polemiche sorte a causa della delibera regionale che, nonostante il parere contrario delle Amministrazioni Comunali di Budoia e di Aviano, aveva autorizzato l’escavazione di circa 60.000 mc. di ghiaia dal torrente Artugna, nei primi giorni di Gennaio sono entrati in funzione le ruspe e i camion. L’intervento è stato sud-
diviso in due lotti: il primo lotto dal ponte sulla Pedemontana verso valle e il secondo dal ponte verso Dardago. Ora i lavori sul primo lotto possono considerarsi conclusi. Il nostro auspicio, e quello di chi ama l’Artugna, è che si trovi un modo per evitare di proseguire i lavori sulla parte a monte del ponte, che è il tratto più interessante dal punto di vista naturalistico e sentimentale.
El Balerùt
Poco prima di andare in stampa ci è giunta la notizia che il nostro caro vecchio balèr ha trovato un degno erede nel centro della piazza. Al nuovo albero, denominato immediatamente «balerùt», per la giovinezza, l’esiguità e la tipologia di pianta, diamo il benvenuto ed auguriamo una lunga ed importante vita. Per se stesso e per la comunità.
Il tratto dell’Artugna verso il ponte di Castello di Aviano come appare dopo i lavori di sghiaiamento. Sopra. Fervono i lavori per la ristrutturazione della piazza di Dardago. A lato. Il Balerùt ha preso possesso della piazza di Dardago.
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Lo scorso 5 ottobre si è aggiunto un angioletto alla nostra famiglia: è nata Elisa Pulcini, nipote di Pietro Zambon di Praturlone, che ha reso felici mamma Lorena, papà Terenzio, nonni, zii, ma soprattutto la sorellina Anna.
Il giorno 29.12.2009 è nato a Pordenone Alessandro Montanaro, un bambino vivace che ha riempito la vita di papà Martino, mamma Barbara (nipote di Franco e Anita Zambon «Biso»), dei nonni, bisnonne e zii!
3 ottobre 2009: Valentina e Giorgio si sono sposati alla Cjasa dal Botêr a Comeglians (Udine).
Serenella Pellegrini e Dennis Belford il giorno del loro matrimonio, nel settembre 2009.
Inno alla vita Auguri dalla Redazione!
Il 6 febbraio, Luisa e Luigi Signora hanno festeggiato i 50 anni di vita matrimoniale, attorniati dall’amore dei loro figli, Fabio e Luca, delle nuore e delle loro amatissime nipoti, Silvia, Federica e Giorgia. Con parenti e amici hanno ringraziato Dio per i doni ricevuti e hanno pregato per il loro futuro.
Cari mamma e papà, questo è un giorno che segna la storia della nostra famiglia e voi avete scritto il capitolo più importante. Il vostro percorso è stato duro e difficile, a volte avventuroso; nulla vi è stato regalato e tutto avete conquistato con grande forza di volontà e con il vostro amore che in mezzo a qualche «battaglia» ha sempre vinto! Oggi siamo qui: figli, genero, nuore, nipoti e nipotini. Tutti insieme per festeggiare e manifestarvi il nostro affetto con l’augurio e la speranza di trascorrere insiemi tanti altri momenti di gioia. Orietta, Enrico, Maurizio.
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Mestre, 4 gennaio 2010
Tanti auguri per un felice anno nuovo alla Redazione de l’Artugna. AGNESE E DOMENICO DIANA
Udine, 20 gennaio 2010
Spett. Redazione, sono pervenuti alla Biblioteca di questo Museo Diocesano i volumi La Pieve di Dardago tra il XIII e il XVI secolo e Paesi di pietra. Nel ringraziare per il gradito omaggio delle due importanti pubblicazioni che testimoniano dell’intensa attività culturale promossa da l’Artugna, con l’augurio di un sereno e proficuo 2010, si inviano i più cordiali saluti.
piacere di annunciare la nascita di Elisa. Cogliamo l’occasione della Santa Pasqua per inviarvi il nostro contributo e per farvi i vostri più cari auguri. PIETRO ZAMBON, SORELLE E FAMIGLIA
Grazie a voi per le gentili parole e per il generoso contributo. Nella rubrica «Inno alla vita» abbiamo pubblicato la bella foto di Elisa e di Anna. Buona Pasqua a tutti voi.
Grazie infinite per l’invio del periodico l’Artugna, graditissimo, che ci permette di vivere la vita della comunità pur non abitandovi. Dardago resta sempre nei nostri cuori. Abbiamo le nostre radici e i vostri cari che non ci sono più. A tutti voi della Redazione un grazie per il lavoro che fate con vero entusiasmo. Cordialmente.
Caro team de l’Artugna, vi scrivo perché mi piacerebbe pubblicare l’annuncio del nostro matrimonio, anche se avvenuto da quasi 6 mesi. I tempi di arrivo della vostra rivista sono un po’ lunghi, ma comunque benvenuti ogni volta. La mia famiglia è di Dardago, anche se siamo (o almeno io ero) residente a Milano. Vi invio la foto che vorremmo pubblicaste e l’annuncio: Serenella Pellegrini, Milano (figlia di Mario e Caterina Busetti) e Dennis Belford (Edinburgh, Scotland) sono felici di annunciare il loro avvenuto matrimonio in settembre 2009 a Johannesburg, Sud Africa, dove risiedono. Vi ringrazio anticipatamente.
EDDA ZAMBON BELLINI
SERENELLA PELLEGRINI-BELFORD
È giusto ricordare le nostre radici. l’Artugna continua ad affermarlo da quasi 40 anni. Grazie a voi per l’affetto che dimostrate.
Eccoti accontentata cara Serenella. La foto la trovi pubblicata nella rubrica «Inno alla vita». Congratulazioni a te e a Dennis.
IL DIRETTORE PROF. GIUSEPPE BERGAMINI
La ringraziamo per la stima da sempre dimostrata al nostro periodico e auguriamo cordialmente Buona Pasqua.
Praturlone, 6 marzo 2010
Cari amici della Redazione, come consuetudine, anche quest’anno siamo a rinnovare il nostro grazie per le emozioni che sapete suscitare in noi con le pagine dell’amato periodico. Questa volta abbiamo anche il
Vi ringraziamo per gli auguri sempre molto graditi e vi auguriamo di cuore Buona Pasqua.
Venezia, 14 gennaio 2010
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In memoria di mio fratello Renzo. MARIO GIUSSANI – VERUNO (NO)
In memoria di un «grande uomo» quale fu il mio indimenticabile compagno di vita Pasqualino Zambon. PASQUITA MAIORANO – SARONNO (VA)
Da molti lustri aspettavo questa sorpresa. Grazie! GASTONE BURIGANA POSTÌN – VENEZIA LIDO
Questo è l’indirizzo del nostro blog che permette di avere sempre sotto mano gli ultimi numeri delle nostre pubblicazioni. Già parecchi lettori hanno avuto occasione di visitarlo. Nel blog viene inserito, per ogni numero del periodico, un piccolo sommario degli articoli ed è possibile visualizzarne tutte le pagine. I lettori possono scrivere i loro commenti, le loro idee, riflessioni oppure suggerimenti e proposte. Ma non basta; infatti sul blog si possono visualizzare gli alberi genealogici e le altre pubblicazioni.
Grazie e buon anno a tutti. ANTONELLA ZAMBON – MILANO
Il mio sostegno per il periodico. JOLANDA RIGO – SACILE
www.artugna.blogspot.com
[...dai conti correnti]
In memoria di Girolamo Zambon. FAM. ZAMBON – TORINO
Dal sito www.artugna.blogspot.com si può accedere direttamente anche a tre altri blog che fungono da archivio storico. Accedendo a Ultimi numeri pubblicati si potranno sfogliare le pagine dei numeri degli ultimi anni. Accedendo a Alberi genealogici si potranno sfogliare i vari alberi genealogici pubblicati. Accedendo a Altre pubblicazioni si potranno sfogliare le pagine dei libri pubblicati.
Buon lavoro per il 2010. Per facilitare i contatti via email con il nostro periodico abbiamo attivato questo nuovo indirizzo:
ANNA JANNA – MILANO
Vi ringrazio per il vostro impegno e porgo i migliori auguri per il 2010 a tutta la redazione.
direzione.artugna@gmail.com vi invitiamo a visitarlo e a lasciare i vostri commenti.
DONATELLA ANGELIN – MILANO
Per il 2010, con ringraziamenti, with tank. AUGUSTO BASSO – SAVONA
Congratulazioni e auguri di buon lavoro. MARIO ZAMBON – MESTRE
Auguro alla redazione de l’Artugna, un felice anno nuovo.
bilancio Situazione economica del periodico l’Artugna Periodico n. 118
entrate
uscite
ANNA FORT – SANTA LUCIA
In ricordo di Zambon Marcellino. VERENA BIONDI ZAMBON – TORINO
Auguri di buona continuazione a tutti. DORINA ZAMBON – GALLIERA VENETA (PD)
Costo per la realizzazione + sito web
4.600,00
Spedizioni e varie
179,00
Entrate dal 9.12.2009 al 7.03.2010
4.550,00
Totale
4.550,00
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4.779,00
SETTIMANA SANTA
programma religioso DOMENICA DELLE PALME
Dardago
Budoia Santa Lucia
Ingresso di Gesù in Gerusalemme
• Benedizione dell’Ulivo, Santa Messa di Passione • Santa Messa Vespertina e apertura dell’Adorazione Eucaristica delle 40 ore LUNEDI, MARTEDI, MERCOLEDI SANTO • Apertura della solenne Adorazione Eucaristica delle 40 ore • Santa Messa
sagrato 11.15
piazza 9.30
sagrato 9.30
–
18.00
–
9.30/11.30
15.00/17.00
9.30
9.00/12.00 15.00/18.00 18.00
18.30
20.00
17.00
17.00 –
15.30 –
15.00 20.00
17.00
GIOVEDI SANTO Ultima Cena
• Santa Messa Vespertina, lavanda dei piedi Riposizione del SS. Sacramento all’Altare del Sepolcro Raccolta salvadanai «Un pane per amor di Dio» e presentazione comunicandi VENERDI SANTO Digiuno e astinenza
• Azione Liturgica, Santa Comunione • Via Crucis • Solenne Via Crucis, con partenza dalla Chiesa di Dardago e conclusione nella Chiesa di Budoia [in caso di maltempo, la Via Crucis si svolgerà nella Chiesa di Dardago]
20.00
SABATO SANTO Vigilia di Pasqua
• Benedizione del fuoco ed accensione del Cero Pasquale sul sagrato, Veglia Pasquale e Santa Messa di Risurrezione
20.30
22.30
20.30
DOMENICA DI PASQUA • Santa Messa Solenne • Santa Messa Vespertina
11.15 –
10.00 18.00
10.00 –
LUNEDI DI PASQUA • Santa Messa
11.15
10.00
10.00
10.00/10.30 16.30/17.00 18.15/19.30
17.30/18.00 15.00/15.30 16.00/18.00
16.30/17.00 – 17.00/19.00
CONFESSIONI Lunedi, martedi, mercoledi Santo Venerdi Santo Sabato Santo
Pomponio Amalteo. La Resurrezione (particolare). Parigi, Louvre.
IL TUO FIANCO Il tuo Fianco scheggiato di lancia e quel fiume di sangue che attraversiamo da millenni a guado ci sospingano tenere ombre all’Approdo supremo senza amare memorie all’abbraccio sereno del Padre. Giuseppe Centore Da Poesie, Laurenziana, Napoli 1977
Buona Pasqua!
Grafico della TAC eseguita sul tronco del Balèr a 190 cm di altezza nel mese di gennaio 2009
Nella figura le zone rosso-arancione-giallo mostrano lo stato del legno più o meno degradato. Le aree in rosso la presenza di cavità.
Platanus occidentalis platano [parlata locale plàtin] O Sintesi della relazione di sopralluogo effettuato dalla ditta «Il Giardino» di De Pra O. & C. Il soggetto analizzato si presenta nella sua fase terminale di sviluppo con il risveglio delle gemme dormienti. La zolla radicale è fortemente compromessa da ferite e da cavità di carie presenti nel colletto. Tutta la parte centrale del tronco non porta più apparato radicale, data la presenza di una grande cavità. Dal punto di vista statico, la pianta è in una condizione di notevole pericolosità. Lungo tutta la sua circonferenza, la zona del colletto presenta ferite di varie dimensioni, con conseguente formazione di marciumi di carie e di cavità collegate con il foro maggiore, sul lato ovest del tronco. Solo il 30% della circonferenza del colletto è fisiologicamente funzionante. Il tronco risulta essere composto di un tubo legnoso, le cui pareti variano di spessore, in funzione all’attacco più o meno intenso della carie e degli effetti di fuochi accesi all’interno della cavità, in tempi
passati. Il residuo di tronco mostra una diffusa presenza di piccole branche e di rametti epicormici. Il castello e la chioma sono praticamente assenti, essendo l’attuale vegetazione la risultante di ricacci inseriti in maniera poco stabile nei tessuti legnosi del tronco. Conclusioni La pianta è nella sua fase terminale di decadenza, che potrebbe trascinarsi, salvo imprevedibili schianti, solo per alcuni anni. Ogni operazione tesa a rivitalizzarla potrà risultare inefficace. L’insieme della struttura è molto instabile dal punto di vista statico per la presenza sia della cavità centrale nel tronco sia di quelle nel colletto. In tale condizione risulta possibile che l’evoluzione della situazione possa determinare lo schianto statico del soggetto, anche in assenza di forze applicate come quelle del vento. Prospettiva di vita è fortemente compromessa. Consiglio Abbattimento e sostituzione.