Sommario in questo numero... 2
Don Italico trentatreesimo pievano di Roberto Zambon
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La lettera del Plevan di don Italico Gerometta
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El Plevàn nôf
Don Italico trentatreesimo pievano
La mia amicizia di don Igor Simonovis Il saluto di don Italico ai dardaghesi di don Italico Gerometta 6
Grande e invisibile di Anna Pinal
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Accanto ai poveri per tutta la vita di Lorenzo Bedeschi
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Microcosmi dardaghesi: i Busetti Caporai di Vittorina Carlon
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Il Bottegaio di Tramonti di Pietro Covre
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Dalle mie riflessioni: «Il Giudizio Universale» di Carla Andreini
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Pasqua 1947 di Clelia Zambon
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La vôs del mede di Demetrio Adore
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Grazie! di Bruna Zambon
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La mia musica per sognare di Fabrizio Fucile
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Gita a Marano a cura dei bambini delle elementari
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Intorvìa la tola di Melita e Aide Bastianello
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Foto storiche
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Cronaca
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I ne à scrit
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Palsa, Bilancio, Auguri El lunare di Padre Rito Luigi Cosmo
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Avvenimenti
ed inoltre… nel supplemento ’l Cunàth 1
A.A.A. Cercasi di «3x1»
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Tra le favelas del Venezuela di Andrea Agostini
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Ricordo della Cresima di Annalisa Zambon e Paolo Signora
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Progetto Burundi del Gruppo ACG
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L’arrivo dei Re Magi di Laura Fabbro L’accoglienza della Croce delle giornate Mondiali della Gioventù di Stefano Zambon
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Incontro Ecumenico di CPG Nuove voci a Budoia di Michela ed Elena Carlon Benvenuto don Italico di Michela Bocus
In copertina: il 33° Pievano della storia dardaghese, don Italico Josè Gerometta. Illustrazione di Guido Benedetto.
periodico quadrimestrale delle comunità di Dardago, Budoia e Santa Lucia (PN) Direzione, Redazione, Amministrazione Tel. 0434/654033 - C.C.P. 11716594 Internet: http://www.naonis.com/artugna E-Mail: l.artugna@naonis.com Direttore responsabile Roberto Zambon - Tel. 0434/654616 Per la redazione Vittorina Carlon Impaginazione Vittorio Janna Ed inoltre hanno collaborato Ennio Carlon, Espedito Zambon, Cornelio Zambon Autorizzazione del Tribunale di PN n. 89 del 13-4-73 Spedizione in abbonamento postale. Art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone. Stampa Arti Grafiche Risma - Roveredo in Piano/Pn
Dardago ha il suo pievano: secondo la documentazione disponibile, il trentatreesimo dal lontano 1285, anno in cui fu nominato tale Francesco da Polcenigo. Don Italico José Gerometta, parroco di Budoia da due anni, è stato chiamato dal vescovo ad essere il nuovo pastore di questa antica comunità. L’Artugna dà il benvenuto al nuovo pievano. Siamo convinti dell’importanza che Dardago continui ad avere un proprio pastore e siamo contenti che questo sia don Italico, un sacerdote giovane di cui abbiamo potuto apprezzare le numerose doti in questi anni di ministero pastorale a Budoia. Il nostro periodico, con don Italico, ha un nuovo Direttore proprietario ben convinto dell’utilità e della necessità della sua pubblicazione. Questa nomina è un «segno dei tempi». La scarsità di vocazioni e di ordinazioni sacerdotali impone che un sacerdote assuma la guida di più parrocchie. È un fenomeno che ormai ha una certa diffusione e tenderà a diventare sempre più comune nei prossimi anni. Guardando alle nostre realtà, possiamo dire che viene iniziata una nuova pagina del libro della nostra piccola storia. Nei secoli passati Dardago era la Pieve che comprendeva anche le comunità ecclesiali di Budoia e di Santa Lucia. Non sono mai mancati «movimenti di pensiero» più o meno accesi per far ottenere l’autonomia ai due paesi e non moltissimi anni fa, Budoia e Santa Lucia diventarono prima curazie e poi parrocchie, ognuna con il proprio parroco. Ora uno stesso parroco assume la guida pastorale di Budoia e Dardago. Cambia il corso della nostra piccola storia ma non è un ritorno al passato. Ogni parrocchia continua a rimanere autonoma anche se la guida è comune. Ora è necessario adeguarsi a questa nuova realtà e dobbiamo imparare a vivere in un modo un po’ diverso la nostra vita parrocchiale. Bisognerà di certo mutare qualche abitudine. Ad esempio, non essendo possibile celebrare contemporaneamente a Budoia e a Dardago le Messe e le funzioni, i due consigli pastorali dovranno trovare nuovi orari, cercando non di non voler imporre la propria volontà ma mediando le varie proposte. Superati i primi tempi di possibile confusione e disagio si scoprirà che lavorare insieme è anche utile e bello e ci convinceremo che certe attività come il catechismo, gli incontri giovanili, particolari cerimonie riusciranno meglio e più partecipate se organizzate di comune accordo. Tanto dipende dal nostro impegno a far crescere le comunità parrocchiali. Assumerà sempre maggior valore l’impegno dei laici nella conduzione delle singole attività. Ogni cristiano impegnato deve sentirsi responsabile e deve comportarsi di conseguenza, non delegando gli altri ma scendendo in campo in prima persona. Noi ne siamo certi: un parroco giovane e dinamico come don Italico, con l’aiuto delle nostre comunità e, soprattutto, con l’assistenza dello Spirito Santo potrà fare molto per la crescita spirituale dei nostri paesi. ROBERTO ZAMBON
La lettera del Plevan
Speranza. È per il cristiano una parola carica di significato. Tale parola a Pasqua risuona con maggior freschezza ed entusiasmo. Cristo, il Signore della vita, è risorto ed ha vinto la morte. Non solo, ma ha promesso a tutti questa eternità di una vita nuova. Se Cristo ha vinto la morte, ogni delusione, ogni debolezza e sofferenza possono essere superate con la forza della Resurrezione di Cristo stesso. Illuminati ed incoraggiati da questa Pasqua, desideriamo continuamente sollevarci dalle nostre cadute ed insieme ci chiniamo per aiutare quanti sono affaticati dalle fatiche e dalle preoccupazioni della vita.
È la carità di Cristo che deve concretizzarsi attraverso la nostra carità. A tutti desideriamo rivolgere questo augurio: che la gioia della Resurrezione di Cristo possa confortare ognuno di noi. Sulle nostre comunità, sulle nostre famiglie e su quanti vivono momenti difficili, scenda la bontà e l’amore del Padre Celeste. *** Auguri di Buona Pasqua a tutti i lettori de l’Artugna e alle nostre comunità. DON ITALICO JOSÈ GEROMETTA Pievano di Dardago · Parroco di Budoia DON NILLO CARNIEL Parroco di Santa Lucia
Chiesa di Sant’Andrea Apostolo di Budoia. «Apparizione di Gesù a Tommaso e agli apostoli» di Lorenzo Rigo. L’artista friulano evidenzia nell’opera budoiese tinte vivaci e cariche di luminosità.
El plevan nôf
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La comunità di Dardago accoglie con gioia il suo nuovo pastore. Don Italico Josè Gerometta, da due anni parroco di Budoia, fa il suo ingresso ufficiale in parrocchia nel pomeriggio del 20 febbraio scorso. L’Artugna, certa di interpretare i sentimenti dei dardaghesi, saluta il nuovo pievano e si augura che la comunità inizi con don Italico un lungo e fruttuoso cammino di fede. La particolarità del duplice mandato a don Italico, parroco di Budoia e pievano di Dardago, è una grande occasione per imparare ancor di più a lavorare insieme e per eliminare le residue remore campanilistiche che, talvolta, ancor dividono le nostre comunità.
Italico Josè Gerometta, nato il 24 luglio 1961 ad Acarigua, in Venezuela, è ordinato sacerdote il 21 novembre del 1987. Esercita la sua vita pastorale dapprima come vicario parrocchiale alla chiesa del «Sacro Cuore» di Pordenone, poi parroco a Palse e a Grizzo – in quest’ultima parrocchia dal 1991 al 1996 – e dal 30 novembre 1996 è parroco di Budoia. Dal 20 febbraio 1999 è anche il 33° pievano di Santa Maria Maggiore di Dardago.
Sopra: don Italico all’età di tre anni, nella sua terra natale. A sinistra: al nuovo pievano don Italico si spalancano le porte della maestosa chiesa di Santa Maria Maggiore. Suor Felice e Milena Bocus gli danno il benvenuto. Nella pagina accanto, a sinistra: don Italico nei primissimi anni di seminario: è il 1978.
ni, i tu vie o n a r F o. e buon Pastor cielo el E sei d so dono! io d n Gra
e vieni A te ch di Dio e In nom sanna u porti o A noi t cuore n u ale tto e S oso e pio: t n e Nel re d r Fest ma a , La fiam amore. cclama o r nun t’a e, u g p O l e D to cor eghi, con lie omette, i tu pr o n r e pr P e. offre e ore! l’altar re l u s à L am o filiale al Sign i t t u t A re! i porta Ci vuo
A destra: Il 20 novembre 1987 è ordinato sacerdote dal Vescovo mons. Abramo Freschi. È presente a questo importante momento anche l’ex pievano mons. Giovanni Perin.
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Pievani e Parroci
La mia amicizia Dio spesso conduce le nostre vite per strade che noi non conosciamo e molte volte ci troviamo in situazioni che avremmo pensato di esperimentare. Si scopre qualche volta tardi il perché Dio agisce in certi modi. Ma, nulla per il cristiano dovrebbe succedere per caso. Sono con la presente a raccontare l’amicizia che mi lega a don Italico. Da poco tempo ci conosciamo e le nostre vite sono nate in Venezuela pochi giorni di distanza l’una dell’altra. Poi, ognuno di noi è stato condotto per mille motivi, altrove. Da alcuni anni ci accomuna prima di tutto la bellezza della fraternità sacerdotale, una amicizia serena e santa.Insieme cerchiamo, pur con i nostri limiti, di comunicare agli altri, la gioia di aver incontrato Cristo nella nostra vita, la grande felicità di essere per il Signore e per la sua Chiesa, Sacerdoti. Con umiltà e discrezione cerchiamo di essere vicini agli amici latino-americani che risiedono in Italia. Inoltre, il Signore ha voluto intrec-
ciare la mia vita e il mio ministero con quello di don Italico, diventando parroco della sua Anduins. Devo dire con grande gioia che il dono del sacerdozio che il Buon Dio ci ha donato nella sua infinita bontà e misericordia, insieme al resto del nostro clero diocesano, nella amicizia chiara e sincera, diventa per il popolo di Dio una testimonianza, un segno e una sfida. Una testimonianza è un segno perché trasmettono agli altri Cristo, unico vero amico. Una sfida, perché fa riflettere alla nostra società, sempre più ripiegata su se stessa, all’impegno del dono totale di se stesso per gli altri. Auguro di cuore a don Italico un buon inizio del suo ministero a Dardago e una buona continuazione con i suoi parrocchiani budoiesi. Colgo l’occasione per indirizzare alle care comunità di Budoia, Dardago e Santa Lucia un affettuoso saluto nella Gioia del Signore Risorto. DON IGOR SIMONOVIS
1285 Francesco da Polcenigo 1°pievano 1299 Antonio decano di Concordia pievano 1314 Nicolò pievano 1319 Artico pievano 1356 Alberto Rafanello vicario 1382 Raffaele vicario 1414 Antonio da Buia vicario 1440 Domenico vicario 1456 Bennone pievano 1507 Antonio Massari da Porcia pievano 1548 Girolamo Campi da Aviano pievano 1552 Girolamo Camperio da Aviano pievano 1554 Luigi Horia da Pordenone pievano 1563 Luigi Pellipari pievano 1587 Domenico Pilloni pievano 1626 Domenico Pilloni nipote del precedente pievano 1628 Fiorentino Fiorentini di Aviano, padrino di Cresima del Venerabile Padre Marco d’Aviano pievano 1673 Pietro Fiorentini pievano 1675 Gio Maria Agostini pievano 1711 Antonio Monaco pievano 1735-38 vacante 1739 Domenico Concina che rinunciò e poi ridivenne pievano nel 1744 1755 Marco Tommasini pievano 1796 Leonardo Bortoluzzi pievano 1810 Giacomo Gozzi pievano 1841 Giacomo Cescutti pievano 1844 Andrea Cardazzo di Budoia pievano 1896 Romano Zambon di Dardago pievano 1942 Nicolò Del Toso di Castelnovo pievano 1956 Alberto Semeia di Montona d’Istria pievano 1971 Evaristo Cassin di Savorgnano, pievano per alcuni mesi 1971 Giovanni Perin di Sedrano pievano 1987 Franco Zanus Fortes di Castel d’Aviano pievano 1999 Italico Josè Gerometta di Anduins pievano
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Il saluto di don Italico ai dardaghesi Sia lodato Gesù Cristo! Desidero porgere il mio saluto al Vicario Generale, a don Aldo Gasparotto Vicario foraneo e fino ad oggi amministratore parrocchiale di Dardago, ai sacerdoti concelebranti, in particolare a don Maurizio Busetti originario di questa parrocchia, al parroco della mia Anduìns e Val d’Arzino, il carissimo amico fraterno don Igor che saluto con particolare affetto e stima; indirizzo il mio ossequio ai reverendi sacerdoti miei predecessori presenti nella concelebrazione o con la loro fraterna preghiera; porgo il mio saluto al sig. Sindaco di questo Comune di Budoia, al sig. Sindaco di Vito d’Asio, alle Autorità, al Maresciallo dei Carabinieri, ai rappresentanti delle varie Associazioni di volontariato ed Enti. Al Consiglio parrocchiale di Dardago che mi ha accolto affettuosamente attraverso le parole di un suo rappresentante, al coro parrocchiale con il maestro Fabrizio e l’organista Alessandro, al gruppo Pueri Cantores Artugna con il maestro Matteo che ringrazio per la magistrale esecuzione dei brani sacri, alle reverende suore di Dardago e di altre comunità un rispettoso saluto, ai molti amici che hanno accolto volentieri l’invito di unirsi a noi in questo giorno: l’A.C. diocesana, Pastorale giovanile, gli amici di Taizè, l’A.C. delle nostre tre comunità, i compagni di scuola, gli amici latino-americani, la Comunità Missionaria di Villaregia. Mi si permetta indirizzare un caloroso saluto alla mamma e alla mia carissima famiglia, ai congiunti e ai tanti amici qui oggi presenti; spero di contraccambiare tanta stima, simpatia e fiducia. Non posso non ricordare la Val d’Arzino, Palse e l’indimenticabile Grizzo. Alla comunità di Budoia desidero riconfermare la mia piena disponibilità nel servirli come pastore. Ricordo al Signore in questo momento gli ammalati, i sofferenti e quanti li assistono; sento vicina la loro provata preghiera. Abbiamo presente oggi anche i giovani che accolgono la croce delle Giornate Mondiali della Gioventù che sta passando per la nostra Diocesi. Cara comunità di Dardago, io mi impegno, con l’aiuto di Dio, a dare il mio meglio per la Sua gloria e per il vostro
bene, convinto che le mie fragilità troveranno la comprensione del vostro perdono. Come due anni fa mi sono rivolto ai cristiani di Budoia, così oggi rinnovo questo augurio: ho bisogno della vostra collaborazione e soprattutto della vostra schiettezza e sincerità che amo da buon friulano. Mi auguro, infine, che le nostre comunità sappiano sempre più collaborare in modo fraterno illuminate dal Cristo che ci ordina l’Amore disinteressato. Perderemmo il nostro tempo e spenderemmo le nostre vite inutilmente se non sapessimo amare. Concludendo, desidero ricordare quanti oggi sono impossibilitati a partecipare, ma sono presenti con la preghiera. A tutte le persone che in questo periodo si sono prodigate per l’accoglienza del nuovo parroco vada la mia gratitudine. Alla comunità di Dardago confido che ho già presenti i sofferenti, le famiglie, i giovani, i bambini, gli emigranti. La Vergine Santissima, che in questa Pieve viene venerata nella sua Gloriosa Assunzione, benedica, protegga e indichi a tutti la strada per giungere ad amare il Cristo presente anche nei fratelli. DON ITALICO JOSÈ GEROMETTA
Ringraziamento La comunità parrocchiale di Dardago, riconoscente, ringrazia Don Aldo Gasparotto (Vicario Foraneo) per il puntuale servizio liturgico e di amministratore parrocchiale svolto durante il periodo di vacanza; Don Alberto Semeia, già pievano di Dardago; Don Andrea, vice-rettore del seminario di Pordenone; Don Vincenzo e il missionario Padre Giorgio della comunità di Villaregia. Siamo a loro riconoscenti per esserci stati particolarmente vicini durante questo periodo.
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Grande e invisibile
Nascosto. Avvolto nelle tenebre come qualcosa che non deve essere visto. Incredibile. Le sagome dei vari campanili, che nel buio della notte rendono riconoscibile e distinguibile un paesino dall’altro, splendono tutti di fulgore, illuminati a giorno. Lui, il grande, la «torre ferma che non crolla», l’orgoglio di generazioni di dardaghesi, nelle ore buie scompare. È cancellato dalla geografia notturna, oscurato. Tenuto fuori dagli sguardi come luogo da nascondere. Perché proprio el nostre ciampanil? Di giorno svetta da lontano per chiunque arrivi da ovest, da est, da nord, da sud e primeggia come una delle bellezze della zona. Al primo apparire è come una enorme matita bianca puntata verso il cielo per tracciare nuvole nell’azzurro. Da vicino ha l’aria di una fortezza, costruita per sfidare ogni tempo. È uno spettacolo di forza, che regge alle scariche di acqua, vento, sole, grandine: da secoli resta imperturbabile. Quelli che l’hanno costruito devono averci messo del genio. Ora, all’imbrunire, quando si accendono le luci lungo le strade, lui, il campanile di Dardago, esemplare pezzo di architettura, non ha i diritti degli altri campanili. Entra in un buio anonimato, è reso invisibile, non c’è, è assente, inghiottito dalle tenebre, declassato nella povertà di chi non possiede nulla e non ha amici.
Perché alla sera si vedono illuminati come costruzioni di cristallo solo gli altri campanili, in verità più modesti, e lui, quello più alto, è ignorato? Quando il Friuli tremava e si sbriciolava macinato dal terremoto, lui sosteneva la prova gravosa, dimostrandosi superiore alle forze più tremende. Oggi questa «star» della pedemontana, che molti ci invidiano, è lasciata a luci spente. A chi farà piacere, quel buio, ai nótui? O forse l’illuminazione notturna, è cancellata da una vernice antiradar che volutamente oscura il campanile? La sola lucettina visibile, cimiteriale, sopra il portoncino di ingresso, è tutto quello che ha. Che cosa si potrebbe dedurre? Che forse stia per arrivare un ordine da qualche ufficio di pleni-potenziari, che dice a un altro ufficio di sotto-potenziari che comunichi a un ufficio di esecutori di provvedere alla rimozione di quel campanile eccessivo in tutto. Troppo alto. Troppo bello. Troppo stupidamente amato, cioé trascurato. Così un giorno ci svegliamo e il campanile non c’è più. Disintegrato durante la notte, con silenziatori, e aspirato sasso dopo sasso senza lasciare traccia. Bah! Scrollata di spalle. Ci restano i campanili dei paesi vicini. Guardiamoli e accontentiamoci (i nostri avi, nell’aldilà, ci aspettano con i forconi). ANNA PINAL
«Orgoglio di generazioni di dardaghesi...», «spettacolo di forza...», «esemplare pezzo di architettura...»: el nostre ciampanile. (Foto di Cornelio Zambon Marin)
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Accanto ai poveri per tutta la vita
Era stato il suo vescovo, monsignor Isola (dimostratosi più di ogni altro attento alle rapide trasformazioni sociali e antropologiche di quegli anni), a nominarlo parroco di Torre, all’indomani dell’ordinazione sacerdotale, forse impressionato dalla promessa fatta da lui nel salire per la prima volta l’altare che si sarebbe impegnato, per quanto poteva, affinché «ogni desiderio del lavoratore non fosse più un reato punibile». Proprio a Torre, che da minuscolo borgo spopolato stava diventando un grosso centro industriale cotoniero con una catena di opifici e quasi duemila operai in maggioranza donne, ci sarebbe stato bisogno di impedire la punizione di quei «reati»! E don Lozer se ne ricordava, nel distaccarsi dopo mezzo secolo a 78 anni di età e 55 di sacerdozio da quella parrocchia con queste parole di addio: «Non potendo più attendere, come dovrei e vorrei, rinuncio alla mia parrocchia di Torre e mi ritiro nella Casa di ricovero di Pordenone, dove mi è concesso un piccolo studio con una cameretta anche come umile benefattore del Pio Istituto. La necessità mi costringe perché sono senza pensione e senza risorse sufficienti per vivere da solo. Può apparire, ed è realmente, alquanto duro e umiliante. Ma sono anche contento e mi ritiro volentieri, dopo tante lotte e tanto lavoro, a convivere e a morire coi poveri che ho sempre, per dovere cristiano e sacerdotale, confortato e assistito». La sua gente, cui queste parole erano destinate, non poteva non intravedervi la vita travagliatissima di un prete coinvolto con la triste realtà sociale nella quale essa, la gente, era cresciuta e dalla quale lui l’aveva aiutata in parte a liberarsene. Don Lozer s’era preparato fin dagli anni del seminario, nell’epoca ardente della «Rerum novarum», a interessarsi della condizione operaia. Proveniva egli pure da quella miseria. Per varie ragioni le sue simpatie andavano alle organizzazioni democratiche murriane piuttosto che a quelle clericali. Era uno dei tanti giovani affascinato dagli scritti del leader marchigiano considerati più aderenti alla realtà moderna. Verso Romolo Murri lo stesso vescovo inizialmente nutriva fiducia; motivo poi questo di disagio con Pio X che gli ordinava di impedire il sindacato cristiano che il neoparroco invano già progettava per realizzare l’unità d’azione fra socialisti e Lega cattolica del lavoro. Nella lettera inviata ai componenti di
a sario dell r e iv n n a ° 974), ne del 25 r (1880-1 e z o n occasio L e p ep don Gius nif icativo ig s n u mor te di n o ac te e ne ricord travolgen la redazio la i h c s e ri, d enzo Be a ai pove r o in L ic i v d e r o p prof il , sem a a di prete r u ig tesi f ino f a in s tt o s i a genero ioni e rante alle allus ia r a tt cerità, du a r in f s re ta n ta re col carce scontare li. tti mondia li f n o c e i du
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quest’ultima, don Lozer aveva scritto: «Si constata dolorosamente che sussistono incomprensioni, contrasti, divisioni fra i soci delle due organizzazioni con grave danno di tutta la massa cotoniera. Un’intesa comunque si impone, altrimenti sarà paralizzata la loro azione(...). Unità nel campo del lavoro e libertà politica, religiosa e di stampa. Accettazione comune del programma della lega di miglioramento per i contratti, dichiarazioni di sciopero di comune accordo». Nessuna risposta era giunta dalla parte socialista, impastata di troppo anticlericalismo. Il giovane parroco di Torre non desisteva tuttavia dal gettare ponti in vista di vantaggi che sarebbero venuti dall’intesa. Sempre in quell’anno 1904, in occasione del primo sciopero nazionale, invitava gli operai – socialisti compresi – a partecipare a una messa in suffragio delle vittime dello sciopero di Buggerru, Castelluzzo e Sestri Ponente. Ma, ancora una volta prevaleva la fazione alla solidarietà. Il muro divisorio fra socialisti e cattolici appariva, ed era, invalicabile nonostante le mani tese di quest’ultimi. Ogni tentativo di parte cattolica anziché avvicinamenti, richiamava insulti, minacce, calunnie e talvolta anche percosse. Allora don Lozer decideva di realizzare separatamente gli strumenti associativi, teorizzati dallo stesso Murri, opponendo istituzioni a istituzioni. Nasceva in tal modo a Torre nel 1905 la Cassa operaia cattolica dove operai e contadini depositavano ogni settimana piccoli risparmi che corrispondevano a modesti prestiti con cui, in caso di bisogno, sottrarre il povero indebitato all’usura. Nel dicembre dello stesso anno il giovane parroco fondava l’Unione cooperativa di consumo in opposizione al Magazzino cooperativo socialista dal quale era stata respinta in precedenza la sua domanda d’iscrizione. Tanto fervore però subiva una battuta d’arresto nel 1907 con l’arrivo in diocesi del Visitatore apostolico nella persona del severo frate dome-
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nicano Pio Boggiani che, a causa di troppi daltonismi determinati dalla crisi modernista, era proclive a scorgere – e non era il solo – in ogni espressione difforme da quelle tradizionali un attentato alla fede. Nella relazione inviata alla Santa Sede l’inquisitore apostolico segnalava nella diocesi di Concordia alcuni focolai di modernismo, da lui equiparato al murrismo, e indicava i fautori principali in alcuni «giovani preti partigiani dalle idee moderne e seguaci di Murri», fra cui don Lozer, parroco di Torre, definito «modernista murrista», pur riconoscendolo «sacerdote molto zelante», don Giovanni Concina di Prata «sacerdote zelantissimo e di virtù esemplare» e altri. A salvarli dalla rimozione della parrocchia o da qualche altra sanzione valse, almeno in tale circostanza, la strenua difesa del vescovo monsignor Isola in passione socius per le sue iniziali simpatie murriane, come già accennato. Non valse però a sottrarli a una subdola ipoteca di diffidenza di cui allora si avvaleva l’antimodernismo, peggiore a volte d’una sanzione. Don Lozer però, forte del consenso della sua popolazione aumentata di diverse migliaia per il rispuntare di altre fabbriche a Torre e per conseguenza anche d’un accresciuto tasso di lavoro aleatorio, riprendeva la navigazione avventurosa ricorrendo a forme astute (come quella di mutare etichetta alle iniziative di soccorso) onde sfuggire per un verso ai divieti curiali e per l’altro superare l’ostilità socialista. Si trattava di recare aiuto agli operai più bisognosi o disoccupati, perché – come avrebbe poi ricordato circa quarant’anni dopo in occasione del primo maggio 1945 in un foglietto stampato in 40 mila esemplari e distribuito agli operai – «non ho avuto altra ambizione che quella di veder migliorare le vostre condizioni, di elevarvi nei rapporti intellettuali, morali, economici fondando per voi leghe, sindacati, cooperative, segretariati, scuole serali, biblioteche, assistenze e molte case». Per esempio, aveva promosso collette in fabbrica, camuffandole come iniziative della Conferenza San Vincenzo, attraverso foglietti passati da mano a mano per la sottoscrizione, con la scritta «La fame non è né cattolica né socialista». Poi verso gli anni dieci, di fronte a un acuirsi del potere padronale irrispettoso dei patti del lavoro e alla necessità di opporgli una controparte sindacale più forte, suggeriva alla Lega cattolica di sciogliersi e di iscrivere i soci nel sindacato cotonieri non confessionale, aderente al sindacato
Nobile figura di prete, don Giuseppe Lozer vide i natali a Budoia nel 1880.
italiano tessile di Achille Grandi. Per lo stesso motivo, d’accordo con don Concina, che aveva le stesse sue idee, persuadeva i contadini della destra Tagliamento a iscriversi alle Leghe bianche, le quali, nel 1913, avrebbero eletto al Parlamento per il Collegio Spilimbergo/Maniago, l’onorevole Marco Ciriani primo deputato murriano al quale lo stesso don Lozer scriveva il programma elettorale. Dinanzi alla propaganda interventista e nazionalista, egli, per una sua convinta avversione alla guerra in linea con Miglioli della bassa mantovana, veniva arrestato come «prete austriacante». Però il Tribunale di Pordenone e la Corte d’Appello di Venezia dichiaravano non doversi procedere per mancanza di reato. Rimesso in libertà il parroco di Torre tre settimane dopo lo si confinava a Firenze e poi in Sardegna, da dove era richiamato a Roma per svolgere funzioni di cappellano militare al Celio. Dopo tre anni di esilio, ritornato finalmente a Torre riparava le opere sociali già fondate che la guerra aveva disastrato, cui ne aggiungeva altre come una cucina economica per allestire pasti per i reduci, l’asilo con connesse una scuola di lavoro, una cooperativa dell’ago per giovani ricamatrici, una cooperativa per la costruzione di case popolari e una rinnovata biblioteca. Profilandosi l’ascesa al potere del fascismo, il centro operaio di Torre si opponeva alla nuova fazione politica antidemocratica. Naturalmente anche il parroco veniva coinvolto in tale opposizione e tacciato di sovversivismo ora dai fascisti, come prima era stato tacciato di filopadronato dai
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socialisti. Perciò la spedizione squadristica dell’ 11 marzo 1921 assumeva un significato ben preciso. Contro di essa gli operai di Torre opponevano lo sciopero compatto altrettanto eloquente. Sciopero che risultava vano dinanzi al ritorno in forza di una seconda ondata di camicie nere che si impadronivano del paese, terrorizzandolo e portando via qualche operaio più esposto. Anche la canonica si perquisiva. Vi si asportavano soldi, oggetti vari e minacciato il parroco in quanto ritenuto uno dei capi morali dell’opposizione. La domenica dopo, due squadristi armati ritornavano in canonica prima dell’alba a prendere don Lozer ancora a letto e costringerlo a salire sull’auto, ferma davanti alla porta. «Dove mi conducete?», chiese. «In cimitero», gli risposero quelli. L’arrivo inatteso e provvidenziale di un tenente di Ps in pattugliamento persuadeva quei fascisti a rilasciarlo. Questi e altri particolari si leggevano in una corrispondenza pubblicata dal giornale di Gramsci, L’Ordine nuovo, del 13 giugno 1921. I fascisti continuavano a tenerlo d’occhio. Gli imponevano fra l’altro di raschiare dalla lapide, inaugurata a ricordo dei caduti in guerra, le parole «inutile strage» mutuate dal noto di-
scorso di Benedetto XV, e nell’agosto 1922 ripetevano un’ultima spedizione punitiva a Torre dove perquisivano abitazioni di socialisti, la canonica di don Lozer mettendo a soqquadro le sedi delle sue opere sociali e poi andando a Budoia, suo paese natale, a strappare dai muri i manifesti che inneggiavano al suo 20° anno di sacerdozio. Il vescovo, monsignor Paulini (succeduto a monsignor Isola, dimessosi), paventando fatti peggiori lo consigliava di lasciare Torre, staccandosi dalla sua gente, e lo nominava vicario a San Giovanni in attesa di ottenere l’imprimatur governativo che però non venne. Allora lo inseriva fra i canonici del duomo di Portogruaro dove peraltro don Lozer si trovava troppo allo stretto. A un nuovo tentativo di ritornare parroco questa volta nella popolosa parrocchia di San Vito al Tagliamento nel 1929, un centurione fascista lo affrontava così: «Lei è un provocatore, vuole sfidare i fascisti, se ne vada subito». Poi il podestà e il maresciallo dei carabinieri lo diffidavano dal ritornarvi. Nonostante tale divieto, la domenica successiva don Lozer non mancava di presentarsi a celebrare la messa; ma, nel viaggio di ritorno a casa, lo aspettavano in fila i fascisti che lo prendevano a sassate tanto che il prefetto di Udine così telegrafava alla Tenenza dei carabinieri di Portogruaro: «Prego informare d’urgenza codesto vescovo, monsignor Paulini, che ove don Lozer si rechi domattina a San Vito al Tagliamento sarà rimpatriato a Portogruaro con foglio di via obbligatorio». La sua vocazione democratica e caritativa non tardava a contrapporlo anche alla Repubblica sociale italiana facendolo oggetto di persecuzione per aver assistito un prigionero di guerra indiano fuggito da un campo di prigionia e mortalmente ferito da un fascista mentre cercava di nascondersi, per aver insegnato ai suoi allievi del collegio Marconi princìpi contrari all’etica «rivoluzionaria», per aver predicato contro la guerra; cui s’era aggiunta l’accusa d’aver aiutato i partigiani e diffuso fogli avversi. I vari capi d’accusa lo portavano nelle carceri veneziane, con una denuncia al Tribunale speciale tedesco. Ma, fortunatamente per lui, giungeva il 25 aprile a liberarlo, e a riportarlo trionfalmente a Portogruaro da dove pochi giorni dopo, essendo la festa del lavoro in quel primo maggio di libertà, inviava agli operai dell’antica sua parrocchia quel saluto già in parte riportato, ma che nella sua parte centrale diceva: «Cari amici operai, vi chiamo così perché nella mia povera vita di prete non ho avu-
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to altre aspirazioni che quella di esservi utile in tutte le forme possibili, con la parola, con la penna, con le opere(…). Per i sacrifici dei nostri volontari della libertà e delle forze alleate finalmente siete liberi, e libero pur io uscito in questi ultimi giorni dal carcere. Con voi e per voi lavorai sempre, per la giustizia, per la libertà, per i sacri diritti della persona umana e del lavoro». Ma lontano da Torre don Lozer non resisteva, ora che si trattava di «far nuove tutte le cose». Vi faceva ritorno a 67 anni come parroco di nuova nomina e vi restava altri dieci anni durante i quali riprendeva alcune delle sue precedenti istituzioni aggiungendovene altre suggerite dai bisogni emersi, come il segretariato del popolo, le Acli, 150 casette per altrettante famiglie costruite coi dividendi della vecchia Cassa operaia. Nel 1957, come s’è detto, si ritirava nella casa dei pensionati Inps di Pordenone dove, lì pure, fondava il segretariato del povero per aiutare a far le pratiche burocratiche quanti non erano in grado di sbrigarle da soli. Ma in quegli anni, che facevano da cornice al suo declino fisico, la Chiesa cattolica aveva sussulti d’incredibile novità con papa Giovanni XXIII e col Concilio ecumenico. A don Lozer sembrava di rivivere la giovinezza che all’inizio del secolo aveva alimentato il suo sacerdozio entusiasta. Richiamava, quasi sognando, i tre volumetti di «Adveniat regnum tuum» della Giacomelli messi all’indice chiaramente ora echeggiati nella riforma liturgica conciliare; ricordava, commosso, la sofferta battaglia di Eligio Cacciaguerra dalle pagine del periodico murriano «L’Azione Democratica» per un laicato all’interno della Chiesa «né schiavo né ribelle»; citava la proposta del napoletano Gennaro Avolio (ripresa poi da Mazzolari) di utilizzare gli ori delle chiese a vantaggio dei poveri. Perciò inviava al massimo quotidiano milanese una lettera – pubblicata in data 30 ottobre 1965 – nella quale sotto il titolo «Oro ai poveri» don Lozer auspicava che i vescovi del Concilio lasciassero le loro catenelle d’oro con le croci più o meno preziose agli «affamati del mondo» sostituendole con cordicelle e croci di metallo comune. Il ricavato sarebbe stato di poche decine di milioni, ma il significato infinitamente superiore ad ogni valore materiale. Infine ringraziava per la lettera, ricevendo risposta, il card. Pellegrino, arcivescovo di Torino, per aver dichiarato nell’ultima sessione conciliare che «nel periodo della lotta antimodernista
gli errori si dovevano condannare, ma non offendere la dignità della persona umana di laici, preti, vescovi e perfino cardinali». Aggiungeva che solo lasciando aperta la libertà della investigazione e della ricerca si poteva «instaurare nella Chiesa quel dialogo auspicato da Paolo VI». Le parole riportate sono tolte da una lettera che don Lozer in data 21 dicembre 1965 inviava all’autore di questo profilo. Quella lettera terminava così: «Oh, se il Murri fosse stato trattato con carità cristiana; se fosse stato compreso, avvicinato, invitato a colloquio, non avrebbe varcato il Rubicone. E invece, con altri suoi confratelli colti e docenti, fu sempre coperto d’ignominie».
Nella pagina accanto: in occasione di cerimonie solenni, don Lozer faceva ritorno alla sua chiesa budoiese, che tanto amava. Foto sotto: 15 settembre 1935, monsignor Lozer sul passo Gran San Bernardo. Le foto sono state gentilmente concesse da Elio Carlon, nipote di don Lozer.
LORENZO BEDESCHI Tratto da «Vita Pastorale» n.1/99
Dagli scritti di monsignor Lozer... «Il 15 settembre 1935 ho voluto arrivare al passo Gran San Bernardo, 2472 metri, dove ho incontrato il famoso professor Augusto Picard dell’Università di Bruxelles. Ha voluto farmi una foto mentre stavo accarezzando i cani di San Bernardo che sono all’ospizio. Sono terribili. Ritornando nel Belgio, l’ha sviluppata e me l’ha mandata in due pose con una bella lettera». (Il Picard è uno scienziato che è disceso fino a 5 mila metri nella profondità dei mari e ha scritto e fotografato la vita degli abissi marini).
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Microcosmi dardaghesi: i Busetti Caporai
Enrico Busetti Caporal, il nostro interlocutore.
La storia che vi presentiamo è sicuramente significativo materiale per trama di un romanzo, per un filo conduttore che connette tutti gli elementi sul tema universale e sempre attuale del fenomeno migratorio, alimentato con impressionante continuità dalla povertà della nostra terra, dal sovrappopolamento o da eventi di calamità naturali. La nostra è un enorme affresco ambientato a cavallo di due secoli, otto-novecento, fino al quarto decennio di questo secolo, nella sconfinata terra degli zar, dal regno di Alessandro III a Nicola II, dalla rivoluzione bolscevica allo stalinismo. Protagonista del ricordo è Enrico, dardaghese del clan dei Busetti Caporai, conosciuto ed intervistato con piacere, su suggerimento di Cornelio Zambon Marin; ad entrambi va pubblicamente il mio sentito ringraziamento. È una persona più vicina ai settanta che ai sessant’anni, dallo sguardo dolce e pacato, i cui occhi, illuminati di bontà, riflettono col ricordo immagini della Russia: paesaggi innevati, fiumi ghiacciati e distese coltivate. Saggezza e intelligenza traspaiono nel suo pacato discorrere, alterno di spontanea serenità e di melanconica espressione, incupita da sorte spesso avversa; sorte che ha sempre accettato ed affrontato con coraggio. Rivive con emozione destini lieti e tragici di persone a lui legate profondamente da immenso amore ed affetto.
Da Dardago alla terra degli zar Personaggio chiave che determina in modo diretto ed indiretto l’esistenza di Enrico è nonno Severino, intraprendente figura di friulano. Corre l’anno 1896 quand’egli, a soli vent’anni, è costretto a rinunciare agli affetti familiari per una terra sconosciuta, non prima di aver lasciato l’impronta delle proprie abilità di tagliapietra. La chiave di volta della sua abitazione, datata 1895, infatti, ne è testimonianza, come evidenzia con vanto il nipote Enrico. Valente scalpellino – come altri dei nostri paesi che, tra l’ottocento e il novecento, lasciarono il segno della loro coraggiosa ed intelligente operatività fuori dal Friuli – Severino parte per l’estesa terra russa, attratto dall’avvio dei novemila chilometri della colossale ferrovia transiberiana, che allaccia Pietroburgo al grande porto di Vladivostok, sul mare del Giappone, voluta e deliberata dallo zar Alessandro III, nella primavera del 1891. L’immenso manufatto fissa ancora nella coscienza popolare il momento eroico del-
la prima stagione migratoria moderna. È richiamo di circa un migliaio di scalpellini del Nord e del Centro Italia, in particolare friulani sulla scia del clauzettano Pietro Brovedani, che tre anni prima aveva preceduto il nostro Severino. Non vi lavora direttamente, ma in breve collabora come azionista nel trasporto di materiale marmoreo; con tenacia tipicamente friulana, il nonno scalpellino diviene benestante, costruisce mulini, diventa proprietario di una fabbrica di piastrelle. Non meno felice e soddisfacente è la vita degli affetti. Sposato a Vittoria Liva di origini friulane, il cui padre possedeva già una piccola azienda nel settore delle costruzioni, tale unione è allietata dalla nascita di cinque figli. Nell’estate del 1902, nasce il primogenito, Fortunato, padre di Enrico, che eredita dal nonno paterno il nome. Negli anni successivi si susseguono le nascite di Carlo, di Vittorio – nome in onore della madre – di Dante ed infine di una femminuccia, Battistina, così chiamata in ricordo della nonna paterna,
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Battistina Ponte. Severino provvede all’istruzione e alla cultura dei figli. Li vuole agronomo, radiologo, imprenditore. Affetti e lavoro vanno a gonfie vele. La sua vita pare ambientata nella straordinaria incisività e perentorietà delle note di «La grande porta di Kjev», in cui Musorgskij evoca i grandi personaggi e i momenti più significativi della storia del popolo russo della seconda metà dell’ottocento. Seppur lontano, Severino mantiene un fortissimo legame con la terra d’origine ed invita la sorella Augusta ed altri parenti a seguirlo. Ma in realtà vive negli anni in cui la storia politica di quella terra è in fermento: la guerra russo-giapponese, scoppiata nel 1904 per il possesso di Port Arthur, è seguita dalla sconfitta della grande Russia in Manciuria, terra verso la quale Alessandro III, nel 1882 aveva vòlto la sua più decisa volontà di espansione. Con Nicola II la crisi interna diviene sempre più acuta; le aspirazioni panslavistiche dei Russi si diffondono contemporaneamente al pangermanesimo e al panamericanesimo; i bolscevichi, guidati da Lenin, si orientano verso la più rigida intransigenza rivoluzionaria.
Dal sogno di una vita gioiosa alla privazione di affetti Fortunato, il primogenito, continua l’attività paterna, diventando un abile e distinto imprenditore. Frequenta la borghesia russa e s’innamora di un’aristocratica, Galina Korciak Nowizkaia, medico. Alla fine degli anni venti la sposa e si accasa nella cittadina di Radomisl, a sud di Kjev, luogo in cui – prima della rivoluzione d’ottobre – il suocero, liberale antirivoluzionario e giudice del circondario, possedeva un’immensa fortuna, in quanto proprietario terriero, ed era persona benvoluta in città. Ora non rimane che la villa. Quell’uomo non solamente fu umiliato con la privazione dei suoi beni, ma pure arrestato e trasferito in un’isola del mar Nero ad allevare conigli. Nel 1931 il matrimonio è allietato dalla nascita di Enrico, nostro interlocutore. Protetto dall’amore materno, come tutti i bimbi si sente felice e spensierato. Gioca nel bel giardino di ca-
sa, all’ombra di un secolare ippocastano; rincorre il suo grosso ed affettuoso cane da slitta e, già agl’inizi dell’autunno si fa trainare lungo il fiume gelato che scorre nei pressi della città; segue nonno Severino in ogni lavoro, soprattutto nell’assidua cura della coltivazione della vite, e lo aiuta a ricoprire le piante con la paglia prima del gelido inverno; insieme al nonno, tenacemente vuol conservare quelle piante, legame con la terra degli avi, nonostante i venti-trenta gradi sottozero della rigidissima stagione russa. Impara il tedesco: le lezioni gli sono impartite dalla sua istitutrice di madrelingua. Pare il fato riservargli un’infanzia serena. Nel frattempo il padre e il nonno Severino continuano la loro attività lapicida: costruiscono monumenti e lapidi cimiteriali. La microstoria deve fare, però, i conti con la grande storia. Nel 1930 avvengono le prime deportazioni in massa dei contadini proprietari, i kulaki, volute da Stalin, che nel 1937 procedette ad una larga epurazione. Per Enrico e i suoi famigliari iniziano le avversità, il sogno di una vita gioiosa improvvisamente sfuma con l’arresto di papà Fortunato, di nonno Severino e del suo immenso amore, mam-
I nonni di Enrico, Severino e Vittoria con Fortunato e Carlo, all’inizio del secolo.
Da Angelo… a Sacha
ANGELO n. (?) sposa Maria Pellegrin GIOVANNI n. 9.12.1802 sposa Anna Santin
MARIA n. 1828
LORENZO n. 1832
ANTONIO n. (?)
AGOSTINO n. 1829
TEODORA n. 1873
LEONE n. 1878 m. infante
LEONE n. 1880 m. infante
AUGUSTA n. 1882
FORTUNATO BUSET CAPORAL n. 13.7.1843 · m. (?) sposa Battistina Ponte TERESA n. 1884
ELEONORA n. 1886
SEVERINO n. 26.9.1876 a Dardago sposa Vittoria Liva m. 27.10.1956 VITTORIO n. 16.5.1906 a Korotiscev m. (?) in Russia
CARLO n. 24.2.1904 a Korotiscev m. (?) in Russia
FORTUNATO n. 16.7.1902 a Korotiscev (Russia) sposa Galina Nowisckaia m. 15.3.1974 a Dardago
VINCENZA n. 1833
ANNA n. 1888
GIOMARIA n. 1838
LEONE n. 1890 sposa Genoveffa Zambon
BATTISTINA n. 1928
BATTISTINA n. (?) m. (?)
MARIA n. 1841
STEFANIA n. 1930
ORTENZIA n. 1894
MARIA LUIGIA n. 1933
DANTE n. 6.3.1908 a Kiev sposa (?) m. 1.8.1979 a Dardago
ENRICO n. 7.4.1931 a Radomisl (Russia) sposa Mariuccia Villani PAOLA n. 10.4.1972
ma Galina, mentre gli zii, Carlo e Dante, vengono immediatamente espulsi dalla Russia, perché non appartenenti all’aristocrazia come i congiunti, e ritornano a Dardago. Ad otto anni, Enrico si trova improvvisamente «orfano», privato d’ogni affetto. Si prende cura di lui la zia, sorella della madre, che abita a Kjev, città occupata dai tedeschi, scenario alluciante di partigiani impiccati lungo la via principale; seppur fanciullo, assiste alla terribile fine di intere popolazioni sradicate e deportate nella lontana Siberia. Due anni dopo, nel ’39, con il patto di non aggressione, tutti i cittadini stranieri residenti in Russia, che erano stati imprigionati per motivi politici, vengono liberati, cosicché anche papà e nonno riacquistano la libertà, ma sono costretti ad abbandonare il paese e a rientrare a Dardago. Della madre di Enrico non si hanno più notizie, nonostante le ripetute ricerche compiute dai famigliari. Unico segno della sua presenza: medico, in un campo di lavori forzati, in Siberia. I primi anni di guerra scorrono tra paure di rappresaglie e dolore per la lontananza dei propri cari. Anche l’ultimo rifugio è bombardato, coSplendida immagine di famiglia borghese. Severino Caporal con la moglie Vittoria Liva e la prole. Fortunato, ai piedi di mamma e Battistina, Carlo con Dante e Vittorio.
SACHA n. 20.9.1974
La Redazione ringrazia sentitamente Ennio Carlon per la collaborazione.
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sicché l’esile filo che legava il figlio al padre s’è temporaneamente interrotto. Siamo nel ’42, quando arriva in casa della zia un ufficiale tedesco a chiedere le generalità di Enrico. Un tonfo al cuore, segni di terrore impietriscono i volti dei due sopravvissuti. Pare che la fine sia segnata: zia e nipote si debbono separare, distacco che provocherà la fine terrena della zia, due anni dopo. Il soldato impone al ragazzino di seguirlo alla stazione, dove viene fatto salire sul treno che lo condurrà in Germania. Giunto a Berlino, dopo un viaggio lungo una quindicina di giorni, attraverso le nefandezze della guerra in terra polacca, è accompagnato all’ ambasciata italiana, perché il padre aveva richiesto il suo rientro in Italia. Affronta coraggiosamente i quindici giorni di quel forzato soggiorno, comunicando abilmente in lingua tedesca. Per timore di fughe, lo rinchiudono in una stanza, ma Enrico non accetta la segregazione, cosicché mette a soqquadro ogni cosa, danneggiando porte e finestre, obbligando gli addetti ad una soluzione migliore: il ragazzo viene affidato ad un responsabile con il compito di fargli visitare Berlino in automobile.
Nella terra degli avi Concluse le pratiche burocratiche, Enrico viene fatto risalire in treno: destinazione Milano, luogo di residenza del padre, che, nel frattempo, non essendo a conoscenza dell’arrivo del figlio, si arruola volontario per la guerra di Russia al fine di ricomporre la famiglia e riportarla in Italia. Accompagnato dalle forze dell’ordine all’indirizzo del padre e convinto di riabbracciarlo, Enrico si trova nuovamente in balia del fato, senza un preciso punto di riferimento. La memoria e la scaltrezza d’animo gli giungono in soccorso. Dardago è l’unico luogo di cui aveva sentito parlare dal nonno e dal padre in terra russa, però non ha idea in quale punto cardinale della penisola si trovi. A seguito di una laboriosa ricerca durata alcuni giorni rintracciano nonno Severino, che prontamente parte ad abbracciare il nipote atteso a lungo. Anche il padre viene avvisato e riesce ad avere alcuni giorni di licenza prima della sua partenza per la triste e penosa Campagna di Russia, nella quale è ferito e decorato. Là spera di ritro-
I figli di Severino al completo: il primogenito Fortunato a destra, con accanto Carlo; alle loro spalle, tra i due maschietti, Vittorio e Dante, Battistina, l’ultimogenita. Foto sotto: per affrontare le fredde temperature russe pelliccia e colbacco ai Busetti Caporai.
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Severino e Vittoria, attorniati dai figli già adulti. Da sinistra: Vittorio, Dante, Battistina e Carlo. Non appare il primogenito Fortunato.
vare la moglie. Intanto Enrico si fa conoscere solo per un breve periodo ai dardaghesi, perché il nonno preferisce fargli frequentare il collegio a Roma. Dalla capitale fa ritorno a Dardago dopo un anno circa; così s’inserisce nella comunità dardaghese, pur frequentando il collegio Don Bosco di Pordenone. Fraternizza con Cornelio ed altri ragazzi della contrada ed impartisce lezioni di russo, mentre il nonno e gli zii insegnano tante novità a tutti. Ma non terminano le disavventure per il giovane e la sua famiglia. Per salvare la vita ad una persona, Enrico e il nonno rischiano di essere fucilati dai tedeschi in piazza a Dardago, assieme ad altri. Anche in questa occasione, solo il coraggio e l’intelligenza dei due permettono di superare il difficile momento. Nell’immediato dopoguerra, in tutta Europa la vita non è certo rosea. Anche Enrico con il padre, come la gran parte dei compaesani, lascia Dardago per cercare lavoro a Milano. E la sua vita inizia a scorrere nella normalità, nonostante i sacrifici. Lavora in una fabbrica di occhiali fino a diventare assicuratore di una grande industria. La signora Mariuccia Villani di Pavia diventa sua moglie; hanno due figli, Paola, lau-
reata in scienze politiche, e Sacha, nome ereditato dal bisnonno russo, studente di ingegneria elettrica. Per motivi di lavoro risiede nella capitale per diciotto anni. Nonostante il paesaggio pavese, luogo in cui vive attualmente, sia terra ricca, non viene meno all’appuntamento estivo a Dardago, nella casa dei suoi avi. Enrico nel momento del ricordo – in particolare della madre – non riesce a trattenere la forte emozione per lo straziante epilogo. La commozione è soffocata da un rassegnato sorriso, che vela il rimpianto, il passato sereno che non torna più, il paradiso perduto in cui vorrebbe vivere ancora e che rende la madre immortale. E prontamente con humour sottolinea che la sua in fondo è una storia divertente. Il filo con la terra d’origine anche se non vi ha più messo piede, interiormente non s’è interrotto. Lì in Russia, oltre alla madre, gli sono rimasti altri parenti: un cugino, figlio dello zio Dante, circa suo coetaneo, di cui si sono perse le tracce, una cugina, figlia di una sorella del nonno, ed altri parenti. Un filo di memoria sempre teso verso la terra che gli ha dato le origini. a cura di VITTORINA CARLON
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Il Bottegaio di Tramonti
Con l’intento doveroso e disinteressato di ricordare quanti più possibile degli umili lavoratori pedemontani che per tutto il secolo scorso contribuirono al progresso economico della città di Trieste, si porta ora a conoscenza la difficile, ma onorata, carriera di un bottegaio proveniente da Tramonti di Sotto. Nel periodo anteriore alla metà del citato secolo, l’esistenza nei piccoli paesi situati a monte di Aviano, era quanto mai misera e precaria, e chi ne aveva la possibilità ricorreva all’emigrazione, tanto che a Trieste i discendenti dei primi arrivati sono ancora tanto numerosi, al punto da formare una fetta cospicua dell’odierna popolazione. Come tanti altri della zona, intorno al 1830 Bartolomeo Bidoli-Lissandri lasciò il natìo Tramonti di Sotto e si trasferì a Trieste. I primi anni trascorsi in città furono piuttosto difficoltosi per il friulano, poiché non conoscendo alcun mestiere, dovette adattarsi ad umili e poco retribuiti servizi, come quello di garzone di bottega presso alcuni pizzicagnoli. Però in questo frattempo il Bidoli-Lissandri imparò per bene il mestiere, con tutte le astuzie inerenti alla compravendita dei prodotti, tanto che nel 1846, con l’aiuto di un peculio racimolato a spese di sudati risparmi, chiese alle autorità comunali il permesso di aprire a suo nome una bottega di generi commestibili. Si immagina che a Trieste l’aspirante bottegaio avrà frequentato qualche corso di scuola serale, dato che la relativa domanda risulta composta in buon italiano e con bella calligrafia. Ma ecco con che dignitoso rispetto il Bilodoli-Lissandri si rivolge alle autorità comunali il 2 maggio 1846: «Sono tredici anni consecutivi ch’io umile sottoscritto Bartolomeo Bidoli-Lissandri quondam Lorenzo oriondo di Tramonti di Sotto (Friuli) ho l’onore di dimorare in questa fedelissima Città e porto-franco, esercitando qual agente di Negozio la professione di pizzicagnolo; non senza meritarmi per il mio zelo, fedeltà, onoratezza morale e buona condotta, l’attestato sotto scritto dai più accreditati cittadini ch’esercitano quali proprietari di Negozio il traffico di Commestibili. Economia la più austera praticata mai sempre mi permise di adunare una piccola somma coi risparmi dei miei annuali stipendi, alla quale unendo il ricavo di alcune sostanze avute in retaggi paterni ho formato il piccolo capitale che possiedo, sufficiente per aprire una Bottega di generi commestibili a mio proprio nome e conto, e così migliorare la mia condizione procacciandomi one-
stamente il mio mantenimento senza essere dipendente». Quando l’aspirante alimentarista presentò la domanda per ottenere il «Decreto permissivo», era già in possesso del locale, che, confessa, aveva aperto abusivamente, e che era situato al N° 683 della centralissima «Contrada Nuova» (ora via Mazzini), ma promette in futuro «una rigorosa osservanza alle prescritte discipline e regolamenti». In quanto ai «più accreditati cittadini» che garantirono la sua buona condotta morale, questi rispondono ai nomi di: Giovanni Maria Zanier (suo padrone di casa), Giovanni Battista Cozzi ed Antonio Albertini, i quali testimoniarono in data 6 marzo 1846 che il friulano «rese manifesto di possedere eminenti qualità in merito alla cognizione dell’arte ch’esercita». A questo punto al Bartolomeo Bidoli-Lissandri non restò altro che aprire legalmente la sua bottega. PIETRO COVRE
Dalle mie riflessioni: «Il Giudizio Universale»
Capita nel corso della giornata di lasciarsi andare, e di raccogliersi in pensieri che ti estraniano dalle cose ordinarie, portandoti verso la meditazione. Io sono frequente a tali stati d’animo, forse perché vivo sola, o forse perché è mia natura; ora più che mai, l’età mi porta a pensieri vicino alla resa dei conti, cioè alla fine della vita. Non è con tristezza che dico questo, ma pura constatazione della realtà. Sfogliando un libro d’arte, a farlo apposta, la prima immagine che mi si presenta è lo stupendo affresco di Michelangelo, per la Cappella Sistina, commissionatogli dal papa Clemente VII nel I533, e concepito e messo in opera dal I534I54I. Se l’opera d’arte è l’espressione dello stato d’animo dell’artista, è detto tutto. Il suo Giudizio Universale, ritrae un Dio colmo di ira, che condanna, in una posa di disprezzo, le anime infedeli che terrorizzate precipitano nell’inferno, mentre poche alla Sua destra, risparmiate dall’ira, si inalzano al cielo. La terra, sotto i piedi del Giudice, si squarcia rigurgitando i morti, che attendono l’eterna sorte, e in alto ai lati di Dio, due lunette dove in una è rappresentato il Sacrificio della Croce, nell’altra la distruzione del tempio: – il sacrificio del Figlio per la nostra salvezza – la distruzione per la condanna degli infedeli. Potenza dell’arte! Quale il suo stato d’animo, quale la sua fede? Se lo stesso tema, l’avesse trattato S.Francesco, senz’altro, avrebbe dato al volto di Dio, l’espressione dolce e severa, di un giudice pietoso e comprensivo della debolezza umana; un giudice che tanto amò l’umanità al punto di sacrificarsi sulla Croce per la sua salvezza; lo stesso che esalando l’ultimo respiro, rivolto al Padre Suo disse: Padre, perdona loro perchè non sanno quel che si fanno. È vero, disse anche: i giusti godranno della mia gloria, i peccatori bruceranno nel fuoco dell’inferno, ma con queste parole ci indicava la via da prendere per la salvezza. Il cammino della vita è lungo e tortuoso per tutti, e certe parole danno da pensare, ma la Bontà Divina, la Misericordia infinita, hanno anche un peso sui piatti della Giustizia, e sono d’accordo con San Francesco, nel credere più nella misericordia che non nella condanna. Basta un mea culpa sincero… E così, meditando, meditando, risalgo su quel famoso treno
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della vita, che sbuffando e arrancando, si trova ogni tanto a percorrere qualche tratto rilassante, in pianura, attraverso campi in fiore, sotto un cielo azzurro e terso, per finalmente raggiungere la mèta. E la Mèta, eccola qui: è la famosa FINE. Mi domando come sarà. Interrogativo che più di una volta mi pongo. Umanamente forse sì è la fine, ma con la fede no di certo. La Vergine Santa, la Mamma Celeste, non abbandona le sue creature, e, se attorno a me non ci sarà nessuno, Lei è senz’altro china su di me, e mi sussurrerà le parole di pentimento per le mie colpe, mentre la Sua mano premerà sul mio cuore, affinché l’ultimo battito sia affidato alla sua pietà Divina. Anche la mamma terrena sa perdonare e far perdonare; ma la Mamma Celeste, che ha vissuto le sofferenze dell’olocausto del suo Divin Figliolo, per la nostra salvezza, farà in modo che non sia stato invano, anche per una sola anima! Oppure ci saranno vicini i parenti, gli amici, o solo estranei; avverrà in casa, sulla strada, in ospedale? Chi lo può sapere. È buffo, ma bisogna prima o poi pensarci, dato che il treno, volente o dolente, deve pur fare quest’ultima fermata. Ed eccoci arrivati. Il percorso che fa il reo, dalla cella di prevenzione, alla camera del giudizio, preceduto, affiancato e seguito da uomini in divisa che lo scortano, deve essere l’estrema sintesi della causa che l’ha condotto ad una duplice conclusione: reo o innocente? Solo la sua coscienza lo sa, lui stesso ne è giudice, e trema al pensiero del giudizio altrui. La speranza vorrebbe aiutarlo, ma la paura la sovrasta. In quel momento è un nulla, nessuno, in
L’umile San Francesco davanti al Giudice. Opera di Carla Andreini.
Pasqua 1947
balia di una sorte che non conosce, e che sarà decisa da una scritta: LA LEGGE È UGUALE PER TUTTI. La moltitudine degli esseri dipinti da Michelangelo nel suo Giudizio, dà la netta percezione dell’accozzaglia di amore, odio, vendetta, orgoglio, presunzione, di tutti i presenti in un’aula di tribunale, e di una stanza, dove un gruppo eterogeneo di persone prese a caso, deve dedurre, da quanto è stato dibattuto in aula, se il reo è colpevole o innocente. E chi lo ha mai visto prima? Chi conosce a fondo il suo dramma? Ecco il senso di solitudine, lo sgomento e la paura. La GIURIA ha deciso… e la sorte è definitiva! La sentenza data al Cristo: Crucifiggi, crucifiggi. Ma per chi ha fede, tanta ignoranza umana ha solo valore su questa terra, e ben sa che Dio vede e provvede, e non commette errori, e come perdonò il buon ladrone, spero dica anche a me: «poiché hai avuto fede, oggi stesso sarai con me in cielo» …fin qui, la fine di tutto; ma l’eternità? La fantasia a questo punto si stacca dalla materia, ed allora ad un tratto si apre una porta, ed una luce che nulla ha di terreno, mi avvolge e mi invita ad entrare. Tutto si confonde in qualche cosa che non ha contorni, che non ha volume, che non ha peso, che non ha colore, che non ha niente, eppure è totale. Una cosa che percepisco ma non sento, che mi avvolge e mi strugge di dolcezza, mi rapisce, mi trasporta… vedo, se si può vedere, la mia mamma e sento il suo abbraccio; percepisco, se così si può dire, l’affetto della famiglia al completo: il papà, i fratellini, e poi tutti. Per sempre, per l’eternità, nell’alito dell’infinito, con la visione del Dio creatore, del Figlio Gesù, dello Spirito Santo, ed il ruolo immenso della Mamma Celeste. Ma io non son qua che scrivo, che tento di andare oltre la realtà, che immagino… e allora mi viene anche spontaneo di considerare mille altre cose molto terrene, come ad esempio la notizia del mio decesso. Chi l’apprenderà per primo, e cosa succederà. Vorrei che nessuno se ne facesse un carico: mi basta un pensiero, una preghiera, una visita ogni tanto, fino a quando tutto sfuma e nessuno ci pensa più. Tanto il mio passaggio su questa terra non lascia tracce. CARLA ANDREINI
Si preparano le focacce. Le focacce si mangiano una volta all’anno. Per questo c’è un grande fermento in casa. Prima di tutto bisogna prenotare il forno a Santa Lucia con un mese di anticipo. In famiglia siamo tanti e (superlusso) ci tocca una focaccia a testa. Poi bisogna andare al mulino a Budoia con il frumento oppure a Roveredo in Piano. Naturalmente con l’asina. Il problema è che la Roma (cioè l’asina) non vuole andare oltre il territorio abituale. Al massimo fino alla stazione ferroviaria di Santa Lucia, dove andiamo a volte a prendere i viaggiatori (taxi con asino). Passato questo territorio si impunta, picchiarla non è il caso; tanto non si muove lo stesso. L’unica cosa è aspettare che si rassegni e dopo circa 10 minuti prosegua. Con il forno prenotato e la farina pronta siamo già a buon punto. Si comincia con la raccolta delle uova; ne servono decine. Ma questo non è un problema, nonna Rosa ha circa 35 galline. Le galline sono la passione della nonna, la sua fonte di reddito; in quanto può barattare le uova con qualche mela da «quel del carret» (venditore ambulante). Si comincia il giorno prima ad impastare, specialista è nonna Rosa. Ad un certo punto tutti fuori dalla cucina. Quel profumo e quel sapore particolari sono un suo segreto, nessuno lo deve sapere (ancora oggi nessuno lo sa). Arrivato il grande giorno tutto sulla carretta, bambini compresi. Dopo ore interminabili finalmente le focacce escono dal forno, tutte perfette con il loro taglio a croce profumatissime e ben cotte. Si mettono nelle ceste, si caricano sulla carretta e via. Ma si sa che i bambini non stanno mai fermi e su per la salita di Santa Lucia si rovescia una cesta e via le focacce che corrono per la strada come ruote. Si raccolgono naturalmente; una soffiatina per mandare via la polvere e buone lo stesso. Certo non si può aspettare un anno per gustare le focacce di nonna Rosa. CLELIA ZAMBON
Nella foto: il sorriso di nonna Rosa Janna Tavan in Zambon.
La vôs del mede «La vôs del mede» è la rubrica curata da medici del nostro Comune che desiderano dare, ai nostri lettori, informazioni e consigli utili sulla salute.
Sin dall’antichità le popolazioni europee si nutrivano per la maggior parte di vegetali. Le piante apportavano ogni giorno da 60 a 120 grammi di fibre alimentari. Oggi dopo quasi due secoli di industrializzazione, il regime alimentare dell’uomo si è modificato e l’apporto di fibre è solo 20-30 grammi al giorno. Lo sviluppo delle tecnologie industriali ci ha indotto ad assumere gli zuccheri raffinati, i grassi, le proteine animali (carne rossa, pollo) ed ha finito per eliminare dalla nostra alimentazione le fibre. Ora, mettendo a confronto la nostra alimentazione di oggi con quella delle popolazioni dei paesi in via di sviluppo, dove i cereali ed i legumi restano ancora alla base dell’alimentazione, si constata un dato piuttosto allarmante: le malattie occidentali, dette della civilizzazione (diabete, obesità, stitichezza,
aterosclerosi,colite, tumori del colon etc. etc.), sono rare tra queste popolazioni ad alimentazione ricca di fibre. Ma prima di conoscere tutti gli effetti benefici delle piante e delle fibre, è meglio sapere il vero significato e la funzione che queste svolgono nel nostro organismo. Le fibre hanno in comune la proprietà di essere praticamente non assimilabili e di rigonfiarsi a contatto con l’acqua, per cui gli alimenti che saranno assimilati con loro, arriveranno progressivamente nel sangue in maniera regolare determinando per esempio un equilibrio di zuccheri e grassi OTTIMALE. Le piante sono un patrimonio che la natura ci ha donato e che l’uomo ha cominciato a scoprire molti secoli fa’ e che ancora oggi chissà quante meravigliose e benefiche scoperte ci riserva. DR. DEMETRIO ADORE
carciofo
Le virtù medicamentose delle piante recenti sperimentazioni hanno dimostraAGLIO to che svolge un effetto sull’apparato cardio-vascolare come vasodilatatore ed ipotensivo, abbassa il colesterolo, migliora la circolazione sanguigna. ricco di enzimi, soprattutto il gambo, è importante per facilitare la digestione. ANANAS
ANGELICA nella sua radice si trova un olio che favorisce la digestione e una sostanza (angelicina) con azione sedativa e calmante.
trova impiego come coadiuvante nella diANICE gestione difficoltosa. BARDANA (erba tignosa): utilizzata nella cura dei
problemi della pelle (acne psoriasi, eczema, ulcere varicose). molto diffusa in Europa, è utilizzato BETULLA come diuretico-depurativo nella gotta, calcoli urinari, fegato pigro. BIANCOSPINO è la «pianta del cuore». Regolarizza il ritmo cardiaco, rinforza la contrazione del cuore e dilata le arterie coronarie. Ha un’azione calmante e antispasmodica (palpitazioni, angoscia, insonnia, emotività). CARCIOFO stimola la secrezione della bile, possiede azione diuretica. È indicato nel «fegato pigro», nella stitichezza, edemi, ritenzione idrica. CAROTA molto ricca in pro-vitamina A e beta carotene, usata per rinforzare le difese dell’organismo e proteggere la pelle agendo sulla pigmentazione. Migliora l’intensità visiva e regola l’abbronzatura della pelle.
aglio
FINOCCHIO usato come galattagogo (stimolante della lattazione) nella colite spastica, aerofagia e «digestioni difficili». GENZIANA conosciuta fin dall’antichità, le sue proprietà sono sfruttate come ricostituente generale e la mancanza di appetito. GINKO-FOGLIE le sue foglie sono molto ricche di principi attivi (flavonoidi, catecolamine, leucoantocianine) che gli conferiscono la proprietà di migliorare la circolazione arteriosa e venosa, cerebrale e periferica. Usato come «stimolatore celebrale».
finocchio
GINSENG è forse la pianta più antica usata in medicina. Contiene principi vitaminici e sostanze stimolanti. Usato nella astenia, fatica generale, stress, impotenza e frigidità, surmenage fisico e psichico. IPPOCASTANO la sua corteccia è utilizzata per la cura delle emorroidi, fragilità capillare, varici, vampate di calore in menopausa. Contiene molta vitamina.
le prime testimonianze del suo uso provengono dall’antico Egitto. Ha proprietà calmanti, fluidificanti dell’apparato bronchiale e ha azione benefica sull’ulcera gastrica.
malva
LIQUIRIZIA
azione lassativa dolce e progressiva. MALVA Usata nelle infiammazioni bronchiali, gengivali, nelle riniti, emorroidi, stitichezza e tosse. usata nelle turbe nervose e spasmi digeMALVA stivi. Svolge un ruolo antalgico in caso di emicrania. usata per le sue proprietà digestive, anMENTA tifermentative, antispasmodiche.
mirtillo nero
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Grazie!
MIRTILLO ricco di vitamina P e antocianoidi tonifica vene e capillari, migliora la visuale. BORRAGINE-OLIO ricco di vitamina F, combatte l’invecchiamento della pelle mantenendo l’elasticità e la morbidezza della stessa rallentando rughe e smagliature. GERME DI GRANO-OLIO ricco di vitamina E, serve a prevenire l’aterosclerosi, regolarizza il tasso di colesterolo nel sangue riducendolo.
diuretico, abbassa la tensione arteriosa OLIVO promuovendo un effetto antiipertensivo, abbassa il tasso glicemico nel sangue (effetto antidiabetico). ORTICA possiede proprietà diuretiche depuranti, ricca in vitamina C, ferro, silicio; impiegata nella gotta, anemia, capelli fragili, mestruazioni abbondanti. PASSIFLORA utilizzata per curare le turbe nervose, possiede proprietà sedative ed ipnotiche. PEPERONCINO stimola la funzione gastrica, i processi digestivi e l’appetito. Da taluni descritto come coadiuvante nell’aumento della libido. POLLINE stimola l’appetito e la crescita; molto usato nella stanchezza fisica e psichica. PUNGITOPO efficace nelle malattie delle vene e come diuretico. È un potente vasocostrittore (diminuisce la dilatazione delle vene). Trova largo impiego nel trattamento della varici, gambe pesanti, emorroidi. ROSA CANINA molto utilizzata in Scandinavia e nei paesi alpini, i suoi frutti sono ricchissimi di vitamine C, B, A, contiene anche del tannino (funzione astringente). SAMBUCO in medicina si utilizzano tutte le parti del sambuco per le sue proprietà diuretiche, sudorifiche, lassative, emollienti. Impiegato negli stati febbrili, malattie virali, influenza, stitichezza e ritenzione idrica.
la sua radice contiene flavonoidi e TARASSACO un principio amaro stimolante la digestione. Molto depurativo. UVA URSINA disinfettante delle vie urinarie, contiene tannino, svolge funzione diuretica. Usata nei calcoli urinari, gotta e ritenzione idrica.
gli antichi consideravano sacra questa pianta, nonostante il suo aspetto misero. Con essa vengono fatti infusi dal profumo molto intenso usati come calmante-inducente il sonno, favorisce la digestione. VERBENIA
VIOLA DEL PENSIERO azione depurativa, lassativa, diuretica, antinfiammatoria per la pelle ed eczemi.
Da tanti anni le strade di Dardago sono testimoni degli innumerevoli viaggi di Bruna Zambon, a bordo di un vecchio motorino per portare la sua disinteressata, amorevole assistenza agli anziani, agli ammalati e a tutti coloro che richiedono il suo aiuto. Quale tangibile segno di riconoscenza, la comunità di Dardago ha voluto donare a Bruna un nuovo motorino. È un augurio per Bruna e per Dardago che questo prezioso servizio possa continuare ancora per molto tempo.
Alla comunità di Dardago Intendo esprimere un vivo e sentito ringraziamento a quanti, residenti e non, hanno generosamente contribuito alla donazione del motorino, che mi è stato consegnato l’8 gennaio. Colpita da una manifestazione di affetto così spontanea e sincera, colgo l’occasione per rinnovarvi la mia riconoscenza e vi ricordo tutti al Signore. Grazie! BRUNA ZAMBON
La mia musica per sognare
», ttore del «Collis Chorus o Fucile fondatore e dire a, lascia la guida Dopo undici anni Fabrizi Rom a re vive a po tem lo portano già da ma solo per motivi di lavoro che orose che non vorresti fare ti impone delle scelte dol e, volt decidere a , tato vita cos La sia o. ti cor del piere. So quanto dell’amore riescono a com rus» e ti sei Cho llis «Co la generosità e la forza il o dat fon hai ra» ad Emanuele, tu che one armonica di canto di affidare la «tua creatu scere e diventare una fusi cre o farl a rno gio per o riusciti in questi anni siam adoperato giorno se e e ttor dire espressione del proprio è o cor Il ne. azio grande professionalità, reg tua e agg va lo dobbiamo a te, alla olta asc ci chi a sa» alco hai diretti nei a trasmettere «qu e con quale «pathos» ci potremo mai dimenticar Non a. a così toccante ntiv sfer inve tmo ed ta ll’a grin nti, riuscendo a creare que orta imp nti ame unt artenere al «Collis app concerti e negli nuova che è cantare e app plicità, emozione sempre com , ing provare le stesse di feel a uro ific aug sign 9, che 199 vo direttore da gennaio nuo , hin Lac ele eso e che ora anu apr Em Chorus». Ad tinuare nel cammino intr hanno dato forza di con emozioni che per anni ci . Per sempre. custodiamo dentro di noi T BRUNO FOR
Come non è facile parlare di se stessi, perché si rischia, per eccesso di modestia, di banalizzare le qualità e di sottolineare i difetti, o per presunzione di dipingersi migliori di quanto la realtà invece testimoni, così mi è difficile parlare, oggi, del Collis Chorus che ho sempre sentito come una espressione di me stesso, come uno dei miei pensieri se non quotidiani, sicuramente più presenti. La musica colta, i suoi linguaggi e strumenti, i suoi segreti, per me, arrivato da altri studi, erano e sono un deserto che ho incontrato per caso sul mio cammino e che ho sentito il desiderio di esplorare, perché credo che i deserti possano riservare spazi pieni di luce che aspettano solo di essere accesi. Se dovessi dire che il Collis è stato un viaggio accarezzato, progettato a tavolino e da subito cesellato con amore e dedizione, direi una bugia. L’amore e la dedizione sono venuti dopo, nel tempo, vedendo altri che credevano in questo modo di stare insieme. Non erano fortuiti incontri di una notte in discoteca o di una gita al mare, ma di persone che condividevano la mia stessa realtà, che potevo vedere ogni giorno a fare la spesa, di ritorno dal lavoro o al bar per l’aperitivo. Credo che questa comunione sia stata la formula vincente, al di là del vero interesse per il canto: sapere di far parte della stessa terra, la coscienza dello stesso modo di sentirsi gente di campagna, delle uguali feste e della medesima spicciola storia passata. Con una matura consapevolezza di fondo: il tempo del coro non è quello della vita. Si mescola al ritmo familiare, a quello lavorativo, ai sentimenti e alla noia, ma rimane una breve occasione. È solo un attimo, per ognuno differente, di sentirsi altro, irripetibile nell’esprimere, in un modo così naturale ma sempre nuovo, quello che altri, prima di te, hanno scritto, cantato, ascoltato. Quando cominci a cantare tutto resta fuori: per mezz’ora, un’ora o più, il mondo diventa quello che canti e come lo canti, il mondo è quello che senti. Potrei riconoscere tra cento cori diversi il timbro del mio, ritrovare il colore dei miei cantanti in mezzo a mille voci. È in questa profonda emozione dell’orecchio che ritrovo la memoria del mio essere prima di tutto ascoltatore; se sai ascoltare capisci qual è il modo migliore per farti sentire. La musica non può essere solo ritmo metronomico, stile e storia. Basta per trapassare il timpano ma non altre corde interiori. Se ripenso a quando ero bambino risento ancora il Regem venturum dominum della novena di Natale, o lo stanco ora pro
nobis delle litanie del mese di maggio, dove inginocchiato accanto a mia nonna, nell’ingenuità dell’ascolto, quelle voci stanche, consumate dalla fatica della giornata, rivelavano senza l’aiuto di parti o chiavi musicali, gli angoli più sensibili dell’anima, accanto a quelle più giovani, timbrate, attraverso le quali il canto diventava effusione di spensieratezza prima che di preghiera. In quei ricordi c’è tutto l’amore che è venuto dopo; c’è tutta una scuola di linguaggio della voce che crea emozioni. Là, per la prima volta, ho sentito voci che mai avrei dimenticato. Molti anni dopo, quando con umiltà mi chiedevo se fosse stato il caso di cantare le grandi pagine della musica, se non fosse stato troppo presuntuoso, ho capito che in ogni voce, in ogni coro c’è un modo proprio di espressione: come un’auto che cambia la sua corsa secondo chi la guida. Ciò che conta è dare un contributo all’armonia, sapere che anche la tua voce ha cantato. E in un coro diventa tutto più coinvolgente e appagante. Come ricordi i profumi, il sorriso, lo sguardo di un uomo o di una donna, così non dimentichi il respiro più o meno corto, la dolcezza o la grinta della voce che ha cantato nella fila dietro e nel posto accanto a te. Sono fotografie sonore che restano impresse per sempre nell’anima. Ascoltare il Collis per questi undici anni è stato uno dei più bei modi per sognare. Se lo avessi diretto da professionista avrei ottenuto risultati diversi, avrei insegnato molto di più ai miei cantanti: saprebbero solfeggiare e leggere la parte a prima vista, ma non so se avrebbero imparato che creare dal niente è una gioia concessa a pochi; che parlare piano per non disturbare, ma con parole chiare per farsi capire, è uno dei traguardi più desiderati. L’augurio che già ho espresso al mio coro è di poter vivere le emozioni che in questi anni mi hanno dato la voglia di inventare, di faticare e di andare avanti, vivissime e nello stesso tempo inesprimibili. Sono dentro di me e solo il tentativo di dar loro una voce potrebbe renderle meno vere. Ma ancor di più auguro a me stesso che almeno una volta tutti abbiano sognato. Contrariamente a quanto la vita insegna, così serrata nei suoi ritmi, a volte tanto rigida nelle sue regole, dobbiamo tutti trovare il nostro sogno. O rincorrendo un pallone, o sopra una moto, dentro un aereo o davanti ad uno spartito. Anche da grandi. Soprattutto da grandi. FABRIZIO FUCILE
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Gita a Marano
La mattina del venti gennaio mi sono svegliato molto presto pensando che quella sarebbe stata una bellissima giornata perché sarei andato in gita con i miei compagni e non avrei lavorato usando i libri. Mi sentivo un po’ agitato, temevo infatti di non fare in tempo ad arrivare in orario, ma quando ho visto la corriera a due piani mi sono rassicurato ed ho subito sperato di poter salire nella zona più alta: era la prima volta che mi capitava una simile occasione! Per fortuna così è stato. Dopo circa un’ora e mezzo di viaggio un ornitologo ci ha accolti presso la sala di un bar dove, con l’aiuto di diapositive, ci ha spiegato le caratteristiche della laguna di Marano, dei suoi «abitanti» e ci ha illustrato brevemente il percorso che avremmo compiuto con una motonave, risalendo anche una parte della foce del fiume Stella, fino ad arrivare in un posto ricco di «casoni», antichi rifugi costruiti dai pescatori. Da lì ci siamo diretti lungo un percorso pedonale costruito dal WWF, dal quale abbiamo osservato i primi uccelli: anatre selvatiche, cigni, cigni reali, gabbiani e folaghe; alcuni stavano dolcemente appoggiati sull’acqua, altri volavano allontanandosi. Raggiunta la motonave, questa si è subito intrufolata tra le briccole: pali di legno che delimitano le acque navigabili della laguna e durante tutto il percorso siamo stati accompagnati da grup-
pi di gabbiani che ci volavano così vicini da poter essere quasi toccati! Tra le barene si potevano notare falchi di palude, cormorani, anitre, quattrocchi, poiane, aironi, svassi e moltissime folaghe nere. Man mano che ci si inoltrava nel fiume Stella i canneti diventavano sempre più estesi e ben presto tra essi sono apparsi i primi casoni. I miei conpagni ed io cominciavamo a sentire un certo appetito, così abbiamo capito che era già ora di pranzo, infatti Capitan Geremia (il proprietario dell’imbarcazione) ci ha fatto accomodare all’interno del suo casone, costruito anch’esso, come tutti gli altri, con canne raccolte lì vicino e costituito da un’unica stanza, in mezzo alla quale ardeva un bel fuoco. Durante il pranzo ci ha divertiti con giochi di prestigio, cantando e suonando la chitarra: è davvero bravo! Verso le quindici la motonave era pronta ad accoglierci di nuovo, così abbiamo iniziato il viaggio di ritorno verso il porto di Marano e, grazie alla bassa marea, si vedevano le velme, isolotti prima coperti dall’acqua salmastra. Ringraziati e salutati Capitan Geremia e l’ornitologo che ci ha fatto da guida, ci siamo diretti verso la piazza del paese e dopo una breve passeggiata siamo risaliti in corriera diretti verso Budoia, dove siamo giunti un po’ stanchi ma molto contenti.
❖ Siamo partiti dalla scuola alle ore 8.30. C’era la corriera a due piani ed è iniziato questo grande viaggio verso il mare. Il viaggio è durato un’ora e mezza; siamo arrivati alle 10.00 in punto. Siamo andati al centro visite Valle Canal Novo. Accompagnati dalla guida naturalistica, siamo andati a vedere una parte di laguna e c’erano: volpache, cigni, germani reali, folaghe. Lungo il tragitto abbiamo visto anche svassi piccoli che facevano immersioni. Poi siamo saliti sulla motonave Saturno pilotata dal capitan Geremia; mentre guardavamo i gabbiani che ci volavano attorno, facevamo merenda.
Con la motonave abbiamo seguito la strada delle barche, limitata dalle briccole e abbiamo osservato le barene e le velme; le velme sono isole che, quando c’è l’alta marea, vengono sommerse, le barene rimangono sempre asciutte. All’interno della laguna ci sono i casoni. Siamo scesi dalla motonave e siamo entrati in uno di questi – che era il più grande di tutti – e abbiamo incominciato a mangiare i nostri panini. Ci siamo goduti il viaggio di ritorno. Quando siamo arrivati abbiamo passeggiato per Marano. Il viaggio di ritorno in corriera ci è sembrato molto meno lungo di quello di andata.Avremmo voluto rimanere a Marano Lagunare.
Ore spensierate dei bambini della Scuola Elementare sulla motonave «Nuova Saturnia», nelle acque della laguna di Marano.
Intorvìa la tóla
re le signo aziano r g in r n i S Santi Vittoria stianello a B a ll e c e e Mar orazion b a ll o per la c
Continua anche in questo numero la rubrica «Intorvìa la tóla». a cura di Melita e Aide Bastianello
Risóto co’ la sclopetina Ingredienti per 4 persone 300 g di riso, 200 g di sclopetina, 50 g di burro, 1 litro di brodo di carne, 1/2 cipolla, 70 g di formaggio grattugiato, sale e pepe q.b. Preparazione Pulire e lavare la sclopetina. Dorare in un tegame il burro con la cipolla, unirvi la sclopetina, tagliata grossolanamente e rosolare molto lentamente per qualche minuto. Quando si sarà ridotta un po’ di volume, aggiungere il riso e far insaporire sempre a fuoco molto dolce; bagnare quindi con il brodo preparato in precedenza e procedere come per la normale cottura del risotto. Dopo circa 15 minuti, aggiustare di sale e pepe, aggiungere il burro rimasto, amalgamare e spegnere il fuoco. Cospargere di formaggio grattugiato, far riposare un minuto e servire. * * *
La sclopetina in tecia Ingredienti 400 g di sclopetina, 1/2 cipolla, 1 spicchio di aglio, 20 g di burro, 15 dl di panna, 4 cucchiai di formaggio grattugiato, sale e pepe q.b. Preparazione Mondare e lavare la sclopetina. Far dorare in una padella il burro con la cipolla e, a piacere, uno spicchio di aglio. Unire la sclopetina, farla rosolare e cuocerla a fuoco molto dolce per circa 10 minuti, coperta. Aggiungere poi la panna, aggiustare di sale e pepe e far cuocere ancora 5 minuti fino a che la panna sa sia un po’ asciugata. Cospargere con una manciata di formaggio grattugiato e servire.
SILENE (SCLOPETINA) Genere di piante Cariofillacee, che comprende una quarantina di specie erbacee o suffrutticole, annue, bienni o perenni, delle regioni temperate eurasiatiche e di parte dell’Africa; hanno fiori con calice gamosepalo, tubuloso, talvolta a forma di campana, bianco o rosso, frutto secco deiscente con numerosi semi rotondeggianti. Fra le specie più note la Silene inflata o vulgaris, dalle foglioline lauceolate di color verde pallido, nota comunemente col nome di «strigolo», la Silene acaulis, con fiori rossi, che forma densi cuscinetti simili a muschi sulle rocce alpine e la Silene gigantea, alta fino a un metro e oltre, con fiori in racemi; alcune specie sono coltivate come piante ornamentali da giardino, specialmente per ricoprire scogliere.
Foto storiche
Foto di proprietà di Silvana Bocus Pisu, Susegana.
PRIMA FILA IN ALTO DA SINISTRA:
8. Lidia Basso 9. Gabriella Zambon
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.
SECONDA FILA DA SINISTRA: Maestro Lorenzo De Togni 10. Giuditta Cecchelin 11. Maria Zambon 12. Antonietta Cecchini
Flora Zambon Giovanna Zambon Bruna Zambon Laura Zambon Rita Parmesan Ada Bocus Fernanda Zambon
13. 14. 15. 16. 17.
Luigia Zambon Rita Pellegrini Diana Zambon Antonietta Busetti Clelia Zambon
AL CENTRO DA SINISTRA: 18. Silvana Bocus 19. Rosetta Zambon
DA SINISTRA:
QUARTA FILA DA SINISTRA:
20. 21. 22. 23. 24. 25. 26.
27. 28. 29. 30. 31. 32. 33.
TERZA FILA Rino Melocco Carlo Janna Pietro Vettor Ferdinando Zambon Paolo Zambon Guido (?) Aldo Zambon
Benito Pellegrini Armando Zambon Silvio Cecchelin Tiziano Basso Marco Bocus Renzo Pellegrini Alfredo Zambon
A sinistra. Anni ’30, a Venezia. Dalla città lagunare veniva la richiesta di ragazze friulane, oneste e capaci, per lavori domestici in famiglie nobiliari. Le sorelle Del Maschio Andolet risposero presto all’appello. Caterina, al centro, Silvia, a sinistra, e Benvenuta, a destra. Sopra: Budoia, 1967. Una delle ultime scene agresti. Caterina Del Maschio Andolet con il marito Giuseppe Carlon Saccon nel cortile di casa, su la careta a corpet.
Foto di proprietà di Elena Carlon - Padova.
Cronaca
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A.C.G. A DARDAC Il 19 dicembre si è tenuto presso la chiesa parrocchiale di Dardago un incontro di preghiera per i giovanissimi di Azione Cattolica di Santa Lucia, Budoia e Dardago in preparazione al Natale a cui ha partecipato anche l’A.C.G. della parrocchia di «San Giorgio di Fontanafredda». Presenti i parroci Don Luigi di Fontanafredda e Don Italico con gli animatori.
INSIEME CONTENTH Ben riuscita anche l’ultima festa degli anziani il 20 dicembre scorso. Un momento di serenità e incontro fra gli anziani delle nostre tre comunità.
CONCERTO DEI «DETSKAJA OPERA» DE KIEV Il gruppo «Detskaja opera» di Kiev, complesso composto di bimbi, cantori e ballerini ucraini, si esibisce nell’edificio scolastico per i nostri bambini, i quali – come ringraziamento – intonano un canto di saluto. È il 22 dicembre 1998.
DA NADAL A LA PIFANIA Le feste natalizie sono state celebrate nelle tre comunità con particolare solennità e partecipazione. Nelle tre parrocchie hanno avuto luogo i riti liturgici e inoltre le tradizioni popolari con particolare partecipazione ai consueti e ben riusciti «pan e vin».
SPAGNOI A SANTA LUTHIA Sabato 26 dicembre alle ore 16.00 si tiene presso la parrocchia di Santa Lucia la celebrazione della Santa Messa in lingua spagnola. Concelebrano i sacerdoti Don Igor e Don Italico. Presenti molti nostri parrocchiani ed amici latino-americani.
Per l’occasione un coro giovanile, composto dai ragazzi di diversa provenienza accompagna egregiamente la Santa Messa. Sono diretti magistralmente da don Igor. Presente alla celebrazione il parroco di Santa Lucia, don Nillo Carniel, che alla fine porta il suo affettuoso saluto. Presenziano pure il signor Sindaco di Budoia, il maresciallo dei Carabinieri ed altre autorità. DON ITALICO
L’ARTUGNA A ANDUINS Domenica 27 dicembre 1998 il gruppo «Artugna» accompagna la Santa Messa nella parroc-
Sopra: il riuscito ed apprezzato numero degli ospiti di Kiev davanti all’attento pubblico dei bambini delle Scuole elementari. Sotto: un tocco di eleganza latino americana alla Messa in spagnolo di Santa Lucia.
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chia di Anduìns e rallegra il pomeriggio con canti e danze in occasione della tradizionale «Festa degli artisti e degli emigranti». Il gruppo è accolto calorosamente dal parroco Don Igor, dal sindaco e da tutte le comunità della Val d’Arzino.
BON AN CO LA SERENISSIMA Domenica 10 gennaio si tiene nella Pieve di Dardago il concerto per l’anno nuovo organizzato dal Comune di Budoia. Si esibisce l’Orchestra la Serenissima di Sacile. La chiesa è gremita da un pubblico affascinato dalla bravura degli orchestrali e dall’ottimo repertorio (Rossini, Albinoni, Vivaldi, Brahms) valorizzato ancor più dall’acustica della nostra chiesa. Un plauso agli organizzatori con la speranza che, come è nelle intenzioni, questo concerto possa diventare un appuntamento fisso per scambiarci gli auguri di ogni nuovo anno.
I CIANTA AL C.R.O. Domenica 7 febbraio la corale parrocchiale di Dardago si reca presso la Cappella del Centro di Riferimento Oncologico di Aviano per accompagnare con i canti la Santa Messa delle ore 9.30, celebrata dal nostro amico don Bruno Della Rossa. Ci fa molto piacere accettare questo invito, perché diamo un piccolo contributo di solidarietà e di fratellanza a tutte quelle persone che sono in cura presso questo istituto e che soffrono quotidianamente. A tutti noi fa molto piacere rivedere dopo tanto tempo don Bruno Della Rossa, cappellano del C.R.O., il quale è stato nostro amministratore parrocchiale 12 anni fa circa. Durante la sua predica sottolinea che non si sente ancora pronto a fare il «vero parroco» in una parrocchia ma, per quello che abbiamo visto ed intuito, la sua solerte e costante presenza presso l’Istituto offre un grandissimo aiuto alle persone bisognose di una parola di conforto, di incoraggiamento e di speranza. Per il suo operato presso il C.R.O. vanno tutta la nostra stima ed i nostri più sinceri complimenti. Un augurio di buon lavoro ed un arrivederci a presto per una nostra prossima visita. FABRIZIO ZAMBON
Sopra: Martedì 22 dicembre l’azienda «Sermac», presso la zona industriale, ha festeggiato i suoi 25 anni di attività. In tale occasione è stata celebrata in sede anche la Santa Messa. Al centro: I ragazzi del gruppo Artugna si preparano per l’esibizione ad Anduins. Sotto: Domenica 24 gennaio i ragazzi della parrocchia di Grizzo, con il parroco don Alessandro Moro e le loro famiglie, ci hanno fatto dono di un recital natalizio, in casa della gioventù.
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ARCO IRIS A SANTA LUTHIA Nella parrocchia di Santa Lucia è celebrata come tradizione, domenica 14 febbraio, la memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes. Durante la Santa Messa, celebrata dal parroco Don Nillo, il coro «Arco Iris» della parrocchia di Budoia esegue alcuni canti liturgici, accompagnati dal maestro Matteo.
I È 65 PAR ROSA E GIGI Rosa Angelin e Luigi Carlon hanno festeggiato il 65° anniversario di matrimonio. Luigi, classe 1911 e Rosa, classe 1915, si sposarono il 10 gennaio 1934, a Budoia. Circondati dai parenti più stretti, in particolare dai figli e dai nipoti, hanno trascorso con serenità un pomeriggio di festa. Impossibilitati a partecipare alla Messa in Parrocchia, gli «sposi» hanno accolto anche la visita del Parroco per ricevere la Benedizione.
Luigi e Rosa hanno felicemente raggiunto il traguardo dei 65 anni di matrimonio.
Sopra, a sinistra: uno scorcio della piazza di Budoia con la neve che ha fatto la sua comparsa domenica 14 febbraio. Sopra, a destra: anche i nostri ragazzi hanno festeggiato con entusiasmo ed allegria l’ultima domenica di carnevale, il 14 febbraio. A lato: il capitello del Brait, ancora oggetto di preziose cure. Nella foto Luigi Zambon Marin, Marco Janna Bocus e Sergio Bocus.
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L’incontro del nostro sindaco Antonio Zambon con il Presidente della Repubblica in occasione della consegna della Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Provincia di Pordenone.
MEDAIA DE ORO A LA PROVINCIA
I ALPINS DE BUDÒIA
Alla Provincia di Pordenone è stata concessa la medaglia d’oro al V.M. per la lotta di liberazione, alla presenza del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Dopo la Santa Messa, officiata dal Vescovo Mons. Sennen Corrà, e dopo gli interventi del Sindaco di Pordenone ing. Pasini, del Presidente della Provincia dott. Rossi, ed una commemorazione tenuta dall’osovano dr. Marzona, sono seguiti i discorsi ufficiali del Rappresentante del Governo e del Presidente Scalfaro, entrambi incentrati sul valore della pace, e sul ricordo dei patimenti subiti dalle popolazioni colpite dalle guerre. Scalfaro, in particolare, ha reso omaggio alla laboriosità ed al coraggio dei friulani, ricordando le sofferenze delle madri ed il caro prezzo pagato dai figli, dicendosi fiero di concedere alla Destra Tagliamento la massima onorificenza per dire il grazie a nome del Popolo Italiano. Dopo la lettura della motivazione, Scalfaro ha appuntato la medaglia d’oro al Gonfalone, mentre la Fanfara suonava l’inno di Mameli, cantato dalla Formazione in Armi e dalle circa mille persone presenti; un momento di forte commozione! Al termine della cerimonia il Presidente ha incontrato i Sindaci presenti. Anche il nostro Sindaco ha avuto il piacere di incontrare personalmente il Presidente e di scambiare alcune parole con lui.
Cambio al vertice del Gruppo di Budoia: Mario Andreazza, classe 1938, Alpino del Battaglione Tolmezzo, è il nuovo Capo Gruppo; subentra a Ferdinando Carlon che lo ha guidato per 18 anni (dal 1981 al 1998) dopo aver svolto per altri 28 anni l’incarico di Segretario dei Capi Gruppo che si sono susseguiti dall’anno della rifondazione: 1952 Bepi Rosa, cui è dedicato il Gruppo, sino al 1971; Giancarlo Del Maschio 1972; Pietro Carlon dal 1973 al 1976; Vincenzo Besa dal 1977 al 1980. Dunque, ben 46 anni di meritorio servizio all’ANA locale. Consiglieri di Gruppo per il triennio 19992001: Ugo Andreazza, Aldino Carlon, Ferdinando Carlon, Gio Batta Carlon, Marino Carlon, Giacomino Del Zotto, Mario Povoledo (riconfermato Segretario), Giovanni Battista Signora, Osvaldo Signora (vice capo gruppo), Marino Zambon.
MARIO POVOLEDO
MARIO POVOLEDO
EL PRESIDENT DEL DOIMILA Il giorno 19 febbraio 1999 si è tenuta l’Assemblea Ordinaria dei Soci dell’Associazione Pro Loco Budoia. L’appuntamento, che doveva essere di routine, è stato caratterizzato dalle dimissioni dell’intero Consiglio Direttivo, avvenute per insanabili incomprensioni interne.
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Molto partecipata l’Assemblea, con 60 Soci presenti; dopo l’approvazione dell’attività e del Bilancio Consuntivo dell’esercizio 1998, dopo articolata discussione sul futuro che attende l’Associazione, si sono svolte le votazioni che hanno eletto i quindici che gestiranno la Pro Loco nel biennio 1999-2000: nuovo Presidente è Gian Pietro Fort; Vice Presidente è stato riconfermato Davide Fregona; Segretaria Organizzativa Maria Antonietta Torchetti; Segretario Amministrativo Mario Povoledo. Consiglieri: Alessandro Baracchini, Aldino Carlon, Maurizio Carlon, Roberto Cauz, Andrea Del Maschio, Maria Fantin, Luigino Morson, Paolo Puiatti, Fortunato Rui, Samuele Scarpat, Angelo Zambon. MARIO POVOLEDO
SE TROVARÒN A MILAN Su invito dell’amico Luciano Bocus Friz e del Gruppo A.N.A. di Crescenzago (Mi), la corale parrocchiale di «Santa Maria Maggiore» di Dardago, assieme ad una rappresentanza del Gruppo A.N.A. «Bepi Rosa» di Budoia (a loro gemellati), sarà ospite il giorno 30 maggio a Milano per la loro Festa di Primavera. Per l’occasione verrà celebrata la Santa Messa Solenne alle ore 11.30 presso la chiesa parrocchiale di «Santa Maria Rossa» di Crescenzago, accompagnata dai canti della corale. Il Gruppo A.N.A. di Crescenzago e la corale saranno lieti di incontrare a questa cerimonia tutti gli amici delle nostre tre comunità di Dardago, Budoia e Santa Lucia residenti a Milano e zone limitrofe per un saluto. FABRIZIO ZAMBON
CHIEI DEL «VOLONTARIATO» «Testimonianze dal volontariato» è il tema dell’incontro organizzato dal Circolo di Solidarietà di Polcenigo e dal Comune di Budoia. Relatori: don Pierluigi Di Piazza del Centro Accoglienza «Balducci» di Zugliano su «Immigrati: saper accettare culture diverse» e don Gigi Vian della Piccola Comunità di Conegliano su «Come porsi di fronte alle dipendenze: un esempio le nuove droghe».
È una grande festa quando un bambino riceve il Sacramento del Battesimo. L’Artugna partecipa alla gioia dei genitori e di tutta la comunità cristiana con questa nuova rubrica fotografica. In questo numero ricordiamo il battesimo di Martina, Riccardo, Alberto e di Francesca Adriana.
A sinistra: Giuseppe Angelin e Lea Janna hanno ringraziato il Signore per le loro nozze d’oro. Era il 15 gennaio. A destra: Gianni Zambon Rosit e Francesca Fort: 25 anni di vita matrimoniale. Auguri dalla Redazione agli sposi d’argento collaboratori de l’Artugna.
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Ngaoundere – Cameroun, Natale 1998
...BUON ANNO 1999! Ormai stiamo facendo il «conto alla rovescia» per il fatidico 2000. Arrivederci tutti a quell’appuntamento, se, come speriamo Dio ci conserverà ancora su questa terra: altrimenti il nostro appuntamento è per il Paradiso, là dove ci attendono tanti che anche quest’anno ci hanno preceduto, come mia sorella Elsa partita rapidamente, senza far rumore il 2 settembre scorso. Nella «comunione di vita» che cerchiamo di realizzare già da qui, anche attraverso queste righe, siamo sicuri di ritrovarci tutti davanti a Colui che dà valore e senso alla vita presente e nel Quale siamo vivi per sempre! Un abbraccio faterno e affettuoso a tutti in particolare. Vostro fratello e amico, P. LUIGINO DA ROS
4 febbraio 1999
Vi mando un saluto dalla Francia, sono stato sorpreso di trovare novità su Dardago. Distinti saluti. Sorry for italian but I speak only dardaghese!! FREDERIC ZAMBON
Caro Frederic, come vedi, il mondo è piccolo. Facci sapere qualcosa della tua vita in Francia. E non preoccuparti del tuo italiano. Ti comprendiamo anche in dardaghese!
Padova, 4 febbraio 1999
Spettabile Redazione de l’Artugna, sono Massimo Cesaro e scrivo da Padova. In questi giorni sono venuto in possesso di una copia della rivista l’Artugna portata a Padova da mia madre, Elena Carlon, durante la scorsa estate passata a Budoia con la «nonna di famiglia» Caterina Del Maschio (la Catina Sacona). Discutendo con mia madre dell’interessante iniziativa e dell’ottima qualità generale della rivista ci siamo chiesti se sia possibile riceverla. Personalmente sono stato interessato dagli arti-
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coli «storia per immagini» e «fadìe e fadìe», che portano nel presente le storie vissute molto tempo fa da persone come noi e che fanno in qualche modo riflettere sulle difficoltà che in ogni epoca o realtà storica l’uomo è costretto ad affrontare. Sfruttando il mezzo informatico è desiderio di mia madre inviarvi due foto. Vi porgo i miei saluti e i migliori auguri per i numerosi prossimi numeri che l’Artugna merita. MASSIMO CESARO
Gentile Signor Massimo, siamo contenti che l’Artugna sia tanto apprezzata. Sarà nostra cura spedirle il periodico. Grazie per le belle foto inviateci. Come può vedere le abbiamo già utilizzate in questo numero.
San Telmo (Argentina), 11 febbraio 1999
A tutta la redazione de «l’Artugna», un saluto affettuoso. FABRIZIO FUCILE
chi simpatici in ricreazione, nei quali ci si impegnava con passione, più che nello studio: saltar la corda, a campanon, a sassetti. …E poi la dottrina di don Nicolò con i premi a giugno per quelli che sapevano meglio, a memoria, risposte e preghiere anche in latino. …E il carnevale: semplici mascherine, fatte con le cotole delle nonne e i gruppi che bussavano alle case: in cambio di una fritola, cantavano o recitavano qualcosa. …E poi «andare a muschio» per il presepio della chiesa o andar a fiori sui coi per la processione del Corpus Domini. Una foto, tanti ricordi! Sono passati molti anni e a Dardago torno di rado, perciò non so se riconoscerei i «ragazzi» di questa foto, ormai nonni come me. Purtroppo di tanti non ricordo il nome, di altri il cognome. Fatevi aiutare, perché loro, i ragazzi più o meno sessantenni, si riconosceranno certamente! Vi ringrazio e vi saluto con tanto affetto SILVANA BOCUS PISU
Cara Silvana, quanti bei ricordi! La sua lettera testimonia il grande affetto che prova per Dardago! Con piacere pubblichiamo la foto «che ha il profumo degli anni della fanciullezza» con i nomi che siamo riusciti a rintracciare.
Susegana, 12 febbraio 1999
Cari amici de l’Artugna, ho ricevuto in questi giorni l’ultimo numero del periodico e vi ringrazio di cuore. Vedendo la foto dei sessantenni del Comune ho pensato subito alla foto del mio album che vi mando: vi prego, tenetela come una reliquia e restituitemela, quando non vi servirà più. I miei ragazzi mi hanno fatto una copia al computer, ma volete mettere con l’originale? La foto autentica ha il profumo degli anni della fanciullezza: è tutta un’altra cosa! Brevemente vi spiego perché ci tengo tanto: noi abitavamo a Trieste (mio zio Camillo Zambon, fratello di mamma, vi abita ancora) perciò le scuole le ho frequentate a Trieste, meno la 4ª, anno scolastico 1948-49. Siamo rimaste da nonna Santa Cep, in piazza, perché mamma Ida si era ammalata gravemente, la guarigione lenta, la convalescenza lunga. Però quell’anno di scuola a Dardago mi ha dato cose bellissime, che a Trieste non avevo conosciuto: amicizie vere, gio-
13 febbraio 1999
Spett.le Redazione, mi farebbe molto piacere ricevere l’Artugna. Grazie tante! Finalmente potrò imparare qualcosa di più del paese della mia famiglia. I miei avi erano gli Steffinlongo di Budoia e i Fort di Santa Lucia. Ho anche alcuni parenti Carlon. Purtroppo pare che di Steffinlongo non ce ne siano più. Mia madre Gabriella Caprani è budoiese (il cognome proviene dal bisnonno che s’era trasferito da Como). Io considero Budoia «casa», ed ho molti amici che vivono là. Sono cresciuta a Milano, ma poi la mia famiglia s’è trasferita negli USA per via del lavoro di mio padre (lui è americano), ed ormai sono quasi 20 anni che viviamo qui. Però uno dei miei piaceri più grandi è di tornare in Friuli il più spesso possibile, che al momento significa ogni due anni. Cerco di avere sempre più notizie della regione, e di imparare un po’ di friulano, almeno quando ho
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l’opportunità. Adesso vivo a San Diego, che è una città molto bella ed attiva – c’è sempre qualcosa da fare o da vedere. C’è un sacco di italiani (siciliani). È pure possibile recarsi in una sezione «italiana» di San Diego, e comprare riviste, giornali e certi cibi italiani che non si trovano altrove. Vi ringrazio di nuovo per la vostra generosità nel mandarmi l’Artugna. Ciao. SYLVIA KLINGER
Cara Sylvia, grazie per queste righe dalla lontana California. È bello questo scambio di notizie ed ora è anche tanto facile e veloce grazie a questi nuovi mezzi informatici. Le spediremo l’Artugna. Attendiamo da lei altre informazioni da San Diego!
DAI CONTI CORRENTI Rinnovo abbonamento alla rivista: con tanti auguri. PIETRO COVRE – TRIESTE
* Come contributo per il bellissimo e interessante periodico ed il calendario con le riflessioni spontanee, tipiche dei bambini. Congratulazioni e buon lavoro a tutti. MARIA LILIANA PATRON DEL MASCHIO – TREVISO
* Un piccolo contributo a l’Artugna che leggo sempre con tanto piacere, anche perché mi aiuta a non dimenticare gli anni della mia giovinezza. Saluti a tutti. GIROLAMO ZAMBON (MOMI PINAL) – TORINO
* Somzée, 19 febbraio 1999
Distinti Signori, è sempre un grande piacere trovare la rivista quando si rientra a casa dopo un’assenza più o meno lunga come mi succede in questi ultimi tempi e così mi sento un po’ più vicino alle mie radici, al mio paese che mi ha visto nascere, anche se da lungo tempo sono lontano. Vi ringrazio dell’attenzione che mi portate, inviandomi regolarmente la rivista sempre gradita. Vi aggiungo un piccolo contributo. Mi farebbe molto piacere acquistare il volume di Umberto Sanson «Budoia e il suo territorio». Sono oltre 50 anni da quando ho lasciato le colline di Budoia con i genitori per raggiungere il Belgio. Viaggio nei vari stati dove mi mandano per motivi di lavoro. L’anno scorso mi trovavo in Cina e da quest’anno sono in Turchia. Sono solo rientrato per pochi giorni, tanto per affari che per salutare l’arrivo del nostro sesto nipote. Colgo l’occasione per salutare tutti i parenti rimasti a «casa», le varie conoscenze e gli amici della famiglia Putelate. AugurandoVi buon proseguimento per l’avvenire. Cordiali saluti ELIO F. PUPPIN
Egregio Signor Elio, la sua lettera dimostra ancora una volta quanto sia gradita l’Artugna a chi, come lei, abita lontano dai paesi di origine. Speriamo di riuscire a portare nelle case dei nostri emigranti una ventata di aria paesana. Ci segua ancora e, ogni tanto, ci faccia avere sue notizie.
Complimenti e buon lavoro! GIOVANNI ZAMBON BONAPARTE – VENEZIA
* Rinnovo l’abbonamento al periodico l’Artugna. Tanti cari saluti e auguri di buon lavoro a tutta la Redazione. DONATELLA ANGELIN – VENEZIA
* Per l’Artugna 1999 con tanti, tanti auguri. ANNA JANNA – MILANO
* Tanti cari auguri per la nostra cara Artugna SILVANA ZAMBON – ROMA
* Cordiali saluti e auguri a tutta la Redazione. MARIO AGOSTI ZAMBON – REGGIO EMILIA
* In memoria di Luigia Del Maschio. FAMIGLIA FERRARI – MILANO
* Ricevo sempre con piacere il periodico l’Artugna, perciò invio di cuore un’offerta. Complimenti vivissimi a tutta la Redazione. MARIA ZAMBON BOCUS – MILANO
* Siete sempre ne mio cuore. Con affetto. CRISTINA ZAMBON E FAMIGLIA – MILANO
* Una «gocciolina» per sostegno l’Artugna. Con auguri d’ogni bene dalla «terra» e dal Cielo… soprattutto. DON GIOVANNI PERIN – SESTO AL REGHENA
* Abbonamento 1999. Avanti verso il III millennio. BRUNO GAGLIARDI – VENEZIA LIDO
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Palsa
Battute di Gero e dell’amico Carlo Frequentava le conferenze convinto che anche sbadigliando s’impara. Ricordi i cari nonni ancora vegeti e sani? Li abbiamo seppelliti nei lager per anziani. TV pubblica, TV privata: la grande scherma per il piccolo schermo.
Bilancio Situazione economica del periodico «l’Artugna» Periodico n. 85
entrate
Costo per la realizzazione Spedizioni e varie Entrate dal 16/ 12/98 al 17/03/99
7.425.900
Totali
7.425.900
uscite 5.707.000 534.850
Oh, i bei tempi di Vivaldi! Quando le stagioni erano quattro! Agli italiani piace molto la puntualità… degli svizzeri.
Differenza
6.241.850 1.184.050
Ormai l’Italia che conta è quella che canta. Ma non è più un bel canto. Mistero Italiano. La lira tiene, la borsa tira, l’inflazione cala, la disoccupazione cresce. Oggi una ragazza che va in convento fa… novizia; Acqua inquinata? Niente paura è stato emesso l’ordine di cottura. Puntualissimo com’era sempre stato, trasalì quando il medico gli disse che era arrivato… troppo tardi.
Auguri Stà unchì co’ nealtre nó stà svolà via, mai come uncuòi avon bisóign de la to vera pase.
Bóna Pasqua a duth!
El lunare L’è rivàt el lunar novantanove, verde, par fa i auguri de sperantha che el mondo de doman, miei de ancuoi de bel el àbia un fià de pì sostantha.
Deit, fioi, a spas su rive e su mont, a vedé la natura sempre bela, a tirà su ciastegne, cuche e pons e, pi sconduda, ància qualche nosela.
Me plasarave che fantolins e fantoline i parlàs e i scrivès ància nel bel furlan. Che no perdòn la nostra bela usantha, se a scuola i parla duti par ‘taliàn.
E passét a netà e i prat e i troi de rami de talpons e ciastagners; portéli a ciasa pa s’cialdàve a sera, duti sentàdi intor al bel foghér,
a dì rosare. E po se déa a dormì; e le ciàmbere l’era bel glathade e se metéa le bothe de aga cialda trai do lenthiòi…e via, bele dormide PADRE RITO LUIGI COSMO
Dai registri parrocchiali
Battesimi Benvenuti! Riccardo Bastianello di Sandro e Silvana Cecchelin - Dardago Francesca Adriana Arcicasa di Angelo e Marisa Basso - Budoia Alberto Edoardo Forti di Stefano e Maria Grazia Masutti Budoia
Defunti Riposano nella pace di Cristo: condoglianze ai famigliari di… Vittorio Oliva di anni 66 - Budoia Angela Paties di anni 67 - Budoia Sergio Angelin di anni 69 - Budoia Anna Sanson di anni 89 - Budoia Antonia Calderan di anni 86 - Budoia Angela Panizzut di anni 95 - Budoia Luigi Carlon «Cec» di anni 72 - Budoia Andrea Burigana «Spinel» di anni 61 - Budoia Maria Naibo di anni 93 - Budoia Graziella Bassignani di anni 88 - Budoia Renato Bachero di anni 80 - Budoia Gino Marton di anni 66 - Dardago Pietro Santin «Tesser» di anni 82 - Dardago Carla Oriana di anni 78 - Dardago Gina Zambon di anni 86 - Dardago Angelo Fausto Bravin di anni 41 - Santa Lucia Luigia Zanus Michiei di anni 77 - Santa Lucia Pietro Mario Lachin di anni 78 - Santa Lucia Eletta Lachin di anni 82 - Santa Lucia Antonia Comin di anni 96 - Santa Lucia
Abbiamo ricevuto notizia… Nati
Lauree e Diplomi
Benvenuti!
Complimenti...
Martina Brunat di Corrado e Rita Carlon - Pordenone Marco Basso di Antonio e Silvia Bastianello - Mestre Francesco Coassin di Luca e Tiziana Droetti - Brescia Carlo Venerus di Fortunato e Franca Zambon - Cordenons
Laurea Cristiana Vuerich - Laurea in Economia e Commercio Budoia
Matrimoni
Defunti
Hanno unito il loro amore: felicitazioni a…
Riposano nella pace di Cristo: condoglianze ai famigliari di…
Nozze d’argento Francesca Fort e Gianni Zambon - Dardago Nozze d’oro Giuseppe Angelin e Lea Janna - Budoia 65° di Matrimonio Luigi Carlon e Rosina Angelin - Budoia
Cirillo Zambon di anni 78 - Milano Teresa Leone di anni 82 - Rougiers (Francia) Giovannina Zambon di anni 94 - Venezia Antonio Bocus di anni 51 - New York (Usa)
Questa pagina è divisa in due parti. Nella prima vengono riportati i dati rilevati dai registri parrocchiali di Dardago, Budoia, Santa Lucia e nella seconda quelli non trascritti nei registri poiché avvenuti fuori parrocchia o perché non soggetti a registrazione (anniversari, lauree, ecc...). Chi desidera usufruire di tale rubrica è invitato a comunicare i dati ai parroci o alla redazione almeno venti giorni prima dell’uscita del periodico.