l'Artugna 94 2001

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Spedizione in abbonamento postale art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone.

Periodico della Comunità di Dardago · Budoia · Santa Lucia Anno XXX Dicembre 2001 Numero 94


Sommario

Dove sono i giovani de ’l Cunath?

in questo numero... 2

Dove sono i giovani de ’l Cunath? di Roberto Zambon

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La lettera del Plevan di don Adel Nasr

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L’ultimo sogno di don Nillo di padre Luigino Da Ros Una sera di marzo... di Alessandro Bozzer Benedizione e concerti d’inaugurazione di Stefania Gioia Wiley

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I Pup(p)in(i) di Osvaldo Puppin

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Un varsor con suo ferro di Alessandro Fadelli

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René, un bel mattino... di Anna Pinal

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Il mezzo miglio in Cansiglio di Guido Spada

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Lungo la Livenza in bicicletta di Mario Cosmo

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Festa granda pa’ Padre Rito a cura della Redazione

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Carità senza confini di suor Albertina

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La vôs del mede di Fabrizio Fucile

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’N te la vetrina

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Pierre, un campion de rallye di Espedito Zambon

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Intorvìa la tóla a cura di Adelaide e Melita Bastianello

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L’angolo della poesia

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Lasciano un grande vuoto

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Cronaca

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I ne à scrit

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Palsa, Bilancio e Programma

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Avvenimenti

In copertina. Don Nillo durante la visita alla bottega organaria «A. Zeni». È il 24 agosto 2000. Il suo sogno si sta avverando.

Periodico quadrimestrale della Comunità di Dardago, Budoia e Santa Lucia (PN) Direzione, Redazione, Amministrazione Tel. 0434/654033 - C.C.P. 11716594 Internet: http://www.naonis.com/artugna E-Mail: l.artugna@naonis.com Direttore responsabile Roberto Zambon - Tel. 0434/654616 Per la redazione Vittorina Carlon Impaginazione Vittorio Janna Ed inoltre hanno collaborato Ennio Carlon, Mario Cosmo, Espedito Zambon, Giovanni Bufalo Autorizzazione del Tribunale di PN n. 89 del 13-4-73 Spedizione in abbonamento postale. Art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone. Stampa Arti Grafiche Risma - Roveredo in Piano/Pn

Sfogliando questo numero non troverete ’l Cunath, l’inserto che per otto anni ha accompagnato le uscite de l’Artugna. Era gestito autonomamente dai giovani che realizzavano gli articoli, effettuavano le correzioni, impaginavano le bozze; esisteva, insomma, una piccola redazione giovanile. In questo numero ’l Cunath non c’è, perché - come succede spesso anche al torrente da cui prende il nome - è rimasto con poca «acqua», quasi in secca. I giovani – si sa – crescono, lavorano, studiano: alcuni sono lontani da casa, per i loro impegni, per diversi giorni della settimana. Per questi motivi, la redazione giovanile è rimasta quasi vuota. Dei giovani che otto anni fa iniziarono questa «avventura», alcuni sono ora pronti per entrare nella redazione de l’Artugna, ma molti non collaborano più. Se da un lato possiamo essere lieti per quelli che hanno tratto profitto da questi anni di «gavetta» e possono portare nuova linfa ne l’Artugna, dall’altro constatiamo con amarezza che dopo di loro non vediamo nessun altro. Sarebbe un vero peccato che non ci fossero più giovani per ’l Cunath. Non è una difficoltà avvertita solo da noi. Anche i responsabili di altre associazioni lamentano una carenza di impegno tra i giovani. E non solo nei nostri paesi. Come mai? Forse l’errore è nostro, perché non sappiamo proporci, non sappiamo come rendere interessanti ai giovani queste iniziative. Forse i ragazzi le vedono


La lettera del Plevan

estranee ai loro interessi ed è nostro compito cercare varie strade per avvicinarli e renderli partecipi. Ma, cari giovani che ci leggete, permetteteci una critica costruttiva. Voi siete pieni di vita e di entusiasmo ma, spesso, siete incostanti, specialmente con le iniziative che richiedono impegno. La vita non è fatta solo di canzonette e di televisione. Ci sono anche altri interessi ben più profondi che richiedono costanza e talvolta sacrificio. D’altronde dovete anche preparavi ad affrontare e superare le difficoltà che prima o poi la vita riserva. Tra i compiti dei noi genitori rientra anche questo tipo di «educazione». Ma non vogliamo perdere la speranza. Rinnoviamo l’invito ai giovani delle medie e delle superiori: ’l Cunath ha bisogno anche del vostro aiuto. È un «lavoro» che talvolta sarà impegnativo ma che, possiamo assicurarvelo, è anche molto interessante e ricco di soddisfazioni. E, mentre auguriamo ai nostri lettori che il Bambino di Betlemme porti nei nostri cuori, nelle nostre case e nel mondo intero pace e serenità, ci auguriamo anche che la prossima Pasqua possa vedere ancora ’l Cunath assieme a l’Artugna. Sarebbe un piccolo segno di speranza. ROBERTO ZAMBON

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«O Eterno splendore del Padre, tu sei luce e sei vita, o Cristo, vieni a noi per guarirci dal male e aprirci le porte del cielo». Gesù è la luce che splende nell’umanità immersa nella notte del dolore e della sofferenza. Gli angeli, nella notte santa, hanno cantato «Gloria nel cielo e Pace sulla terra». E noi cantiamo gloria e pace, contempliamo il bambino che è nato da una Vergine senza peccato. Chiediamo insieme adorando il nostro Dio con noi «l’Emanuele» di donarci la serenità del cuore, la concordia e il dono dell’unità. Cari fratelli e sorelle ci accostiamo a celebrare questo gran mistero con fede semplice, come quella di un piccolo che aspetta da suo padre protezione, aiuto e comprensione. Proprio per questo il Figlio di Dio è tra noi per dirci che lui conosce la nostra condizione. La sua umanità ci salva da tutto ciò che è male. Andiamo incontro a Lui e confidiamo nella sua misericordia affinché potremo vivere meglio la nostra vita. Molta gente pensava che nel 2000 dovesse finire il mondo! Passato il 2000, non è successo niente. È arrivato il 2001 e fino a settembre le cose erano tranquille. L’11 settembre ha generato nel mondo – soprattutto quello occidentale – sgomento, rabbia, tristezza, paura, dolore, morte… Però, mi sento di dirvi, che – nel nostro ambiente – non abbiamo capito fino in fondo quello che è successo l’11 settembre. Svegliatevi dal vostro sonno, cristiani di occidente! Cominciate a ragionare da saggi, perché tutto quello che avete costruito nei secoli non venga distrutto. Permettetemi anche di dire: Voi che vivete in Europa e avete unificato la moneta, cercate di unificare lo spirito e la tradizione. Sento dire negli Stati Uniti: «God bless America»; non sento mai dire pubblicamente: «Dio benedica l’Italia». Mi sembra che ci sia più fede altrove che qui dove la fede è presente da 2000 anni. Bisogna chiedere perdono a Dio e pregare per quelli che hanno sofferto e sono stati uccisi l’11 settembre. Vorrei esprimere il mio dolore a tutte le vittime e dire ai cristiani di tornare alla fede vera e alla luce che illumina gli uomini. Vorrei non sentire nei nostri ambienti la disgregazione. Non ci è più permesso vivere in una indifferenza religiosa e culturale. Bisogna ritornare alle nostre radici. Saluto i malati e i sofferenti e le persone che si trovano in qualsiasi difficoltà ed invoco la benedizione di Dio su tutti. Auguro a tutti un glorioso Natale e un 2002 felice, non posso non ricordare tutte le persone che vivono nel resto dell’Italia e del mondo. DON ADEL NASR


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L’ultimo sogno di don Nillo

Ad un anno dalla scomparsa di don Nillo, guida spirituale ed amico della Comunità di Santa Lucia, l’Artugna lo ricorda con affetto e riconoscenza attraverso la devozione fraterna di Padre Luigino e i pensieri di Stefania Gioia e dell’organista Alessandro Bozzer, i quali ci presentano il grande sogno di don Nillo: la realizzazione dell’importante organo della «Bottega Zeni», a perenne ricordo dell’Anno Giubilare.

Infiniti sono gli insegnamenti, gli esempi e i ricordi che ci lascia don Nillo. Dal 1959, quando arrivò a Santa Lucia con la bicicletta per la festa della Santa Patrona del Paese, io facevo la seconda media ad Oné di Fonte, e via via fino al compimento dei miei studi e al sacerdozio e poi alla missione. Don Nillo è stato per me più che un padre spirituale e una guida; direi un fratello maggiore che mi ha seguito con attenzione, quasi geloso nel custodire in me i semi della vocazione e indicarmi il modo per rispondere a quanto il Signore mi chiedeva di volta in volta. In questo momento non mi sento tanto in forma per farlo per iscritto, ma ho rivissuto nella preghiera davanti al Signore tutto questo lungo itinerario di 40 anni in cui egli è stato per me un punto di riferimento sicuro, uomo di Dio, servitore sobrio ma efficace, sensibilissimo e pronto a darsi da fare in tutto i modi per un problema che gli veniva sottoposto. Da lui mi sono sempre sentito come a casa mia e mi è stato vicino soprattutto dopo la morte dell’uno e dell’altro dei miei genitori. Insieme a lui devo ricordare suo padre che tanto somigliava al mio; e alla carissima zia Maria, alle preghiere della quale, come a quelle di mia madre e di tante anime buone e generose di Santa Lucia devo certamente la grazia della mia vocazione sacerdotale e missionaria e la perseveranza fino ad oggi. Ero ancora ancora un liceale quando lui mi iniziava ai problemi della vita pastorale sia della Parrocchia che della Foranìa o della Diocesi. Ero sempre fiero della fiducia che mi faceva e di co-

me mi chiedesse la collaborazione per delle iniziative sia in chiesa che nelle varie attività... La sua stima mi ha fatto crescere e maturare. Molte volte, essendo io stesso formatore di preti, di religiosi e missionari, ricordavo ai miei allievi gli insegnamenti e gli esempi da lui ricevuti e sempre ho cercato di ripetere con loro l’atteggiamento costruttivo che lo caratterizzava e che mi ha formato. Durante i miei studi prima e poi fin dalla prima missione, egli è stato per me la mano concreta della Provvidenza. Contemporaneamente aveva intessuto relazioni con altri missionari diocesani, religiosi di tutti i Continenti e da 15 anni a questa parte, il suo cuore aveva trovato una paternità nuova e direi più palpabile dedicandosi direttamente ai bambini dell’Est europeo... Non sono che degli accenni di un’infinità di ricordi indelebili. Penso che alla Messa di congedo abbiate letto il Vangelo di Matteo 25, 3140: «Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il Regno che vi è stato preparato fin dalla fondazione dei mondo. Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero uno straniero e mi avete accolto; nudo e mi avete vestito; malato e mi ave-

La maestosa opera trova collocazione nella parrocchiale. Accanto: don Nillo Carniel per 40 anni parroco di Santa Lucia.


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Una sera di marzo...

te visitato; in prigione e mi avete assistito. Perché ogni qualvolta l’avete fatto a uno di questi piccoli che sono miei fratelli, lo avete fatto a Me!» Il capitolo conclude «e i giusti entreranno nella vita eterna!» Grazie don Nillo, di tutto quel che hai fatto e che hai incoraggiato e fare alimentando nella popolazione del Paese e d’altrove, questa solidarietà cristiana che costituisce il solo tesoro che non svanisce e il passaporto per il Paradiso. Una di queste forme di carità squisitamente sacerdotale, era quella di provvedere le intenzioni di sante Messe da celebrare in Missione contemporaneamente a quelle che lui celebrava in Parrocchia. E lui stesso con voi, è sempre stato il primo donatore di queste intenzioni di sante Messe di cui mi faccio scrupolo di assolvere il compito puntualmente. Nell’Eucarestia sperimentiamo la più profonda comunione dei santi: tra noi, ancora pellegrini in questa «valle di lacrime» e con quelli che già si riposano nel Signore delle loro fatiche! Certamente il vuoto che don Nillo lascia è incolmabile sotto tantissimi punti di vista! La fede ci dice di essere riconoscenti al Signore d’aver avuto un fratello e un Pastore come don Nillo! Prego perché dal cielo vegli su tutta la Comunità di Santa Lucia, rimasta orfana del suo Pastore, su tantissimi amici e collaboratori, e anche su di me, perché il Signore mi conceda di continuare, per il tempo che mi resta e dove Lui mi vuole, il cammino che don Nillo mi ha mostrato coi suoi consigli e il suo esempio. PADRE LUIGINO DA ROS

Una sera di marzo del 1998, ricevetti una telefonata dall’amico Fabrizio Fucile «don Nillo vorrebbe parlarti perché è intenzionato a fare l’organo». Fu il primo passo di quella che fu definita l’avventura del «progetto organo» di Santa Lucia. Conobbi Fabrizio nel 1993, quando chiese la mia collaborazione con il Collis Chorus che allora dirigeva. In quelle occasioni ebbi modo di conoscere don Nillo – ricordo ancora che mi venne incontro con discrezione durante l’intervallo di una prova per un concerto di Natale nella «sua» chiesa di Santa Lucia, mi salutò come era nel suo stile essenziale. Già allora si discuteva con Fabrizio sull’importanza di dotare il tempio appena restaurato di un organo per l’accompagnamento delle sacre funzioni. Il progetto e la realizzazione della cantoria fu, come mi spiegò in seguito don Nillo, una necessità, data la capienza modesta della chiesa, al fine di recuperare dello spazio utile alla Schola Cantorum per l’animazione musicale nelle occasioni di maggior affluenza di fedeli. Probabilmente già era in lui il desiderio di dar corso ad un’opera così importante, ma l’enorme impegno economico e finanziario per la parrocchia suggerì di aspettare che i tempi fossero maturi. Determinante fu in questo periodo l’incoraggiamento a proseguire oltre che da Fabrizio, da Elena Lacchin, Daniela Fort, Bruno Fort, i giovani dei vari organismi consiliari, ai quali non mancava di chiedere il parere sulle decisioni importanti per la parrocchia. La costruzione di un organo non è un processo scontato come potrebbe sembrare: le problematiche da affrontare sono molteplici e richiedono soluzioni diverse a seconda di dove lo strumento viene collocato, dell’ambiente cultuale e culturale che lo circonda, delle esigenze della committenza, e della sensibilità e competenza di chi dovrà fare funzionare tale macchina. Fatte le opportune considerazioni, a seguito di diversi incontri e sopralluoghi con don Nillo, il primo problema da affrontare riguardava la tipologia costruttiva per il nuovo strumento di


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Santa Lucia. Ogni organo è uno strumento musicale unico ed irripetibile. Come tale, se costruito artigianalmente e nel pieno rispetto dell’arte organaria, ha delle caratteristiche che lo rendono unico sia per l’appartenenza alle diverse scuole europee, che per far rivivere in maniera appropriata una parte mirata del vasto repertorio organistico. Dato l’importante investimento che la parrocchia si accingeva a compiere, la consulenza di un organista si rendeva necessaria, sia dal punto di vista progettuale che durante la fase di costruzione ed intonazione (nel diploma di Organo e Composizione organistica è prevista pure una prova di progettazione ed è richiesto un minimo di competenza organaria onde risolvere eventuali piccoli problemi come ad esempio l’accordatura dei registri ad ancia). Don Nillo aveva le idee molto chiare: non fu necessario consigliare la collocazione in cantorìa, luogo acusticamente ideale per l’ascolto e la partecipazione dei fedeli ma anche per l’organista che può cosi seguire ed accompagnare i vari momenti delle celebrazioni con la necessaria concentrazione; inoltre «l’antico» sistema trasmissivo meccanico avrebbe permesso il controllo del tocco ed una esecuzione più viva ed interessante. È mia opinione che la musica sacra e l’accompagnamento dei riti non abbiano bisogno di «teatralità»: l’organo è uno strumento che per trasmettere, emozionare ed elevare gli animi a Dio richiede l’alienazione dell’Io di chi lo suona. Ma questo significa, per contro, un adeguato incremento della personalità interpretativa dell’esecutore per dar esclusivamente vita musicale a ciò che spesso è condizio-

nato (e spesso disturbato) dall’aspetto esteriore visivo. Considerati gli strumenti già presenti nelle parrocchie vicine e nella Diocesi, la scelta di uno strumento di impostazione classica francese fu la soluzione ideale concordata con don Nillo, (soleva ripetere che i suoi natali francesi lo avrebbero esposto al giudizio severo dei suoi parrocchiani), che permetteva di conciliare diverse esigenze: la grande tavolozza timbrica degli strumenti del periodo di Re Sole in rapporto al numero dei registri, la grande versatilità d’uso, l’unico strumento in Diocesi di questa scuola, il primo con positivo tergale e, non ultimo, il costo adeguato alla disponibilità della parrocchia. Ottenuta la giusta carica di entusiasmo da don Nillo mi misi all’opera, presentando il progetto elaborato con l’appoggio del Maestro Carnelòs. Su nostra indicazione la parrocchia contattò quattro ditte organarie che, dopo opportune visite della chiesa e animate discussioni in canonica, avanzarono le loro proposte. Risultò vincitore la ditta «Andrea Zeni» di Tèsero (Tn), giovane (39 anni) e promettente organaro con una più che ventennale esperienza di costruttore e restauratore di organi in Italia e all’estero. Di tutto ciò, dopo l’approvazione all’unanimità, vennero costantemente aggiornati i Consigli Affari Economici e Pastorale i quali si dimostrarono entusiasti del progetto. Durante i due anni di attesa la collaborazione con don Nillo non venne mai meno. Infatti non mancò di informarmi su come procedevano le pratiche burocratiche necessarie a preparare l’arrivo dell’organo. Approfondì le sue conoscenze su argomenti di organaria e musicali in genere. Don Nillo sapeva agire nel momento giusto, e sapeva ascoltare il prossimo, senza pregiudizi. Cercava le opinioni altrui anche se divergenti, per poterle valutare ed interpretare secondo le proprie esigenze e sensibilità. Quando si accingeva ad affrontare qualche impegno particolarmente importante cercava la competenza di chi era chiamato a collaborare con lui, valorizzando in tal modo le caratteristiche di ogni singolo individuo per il raggiungimento qualitativo della mèta. Nel prendere la decisione finale non esitava mai e ciò che resta del suo operato è continuamente misurabile. Rimasi poi particolarmente colpito dalla sua passione per la musica: la sorella Elena custodisce ancora la fornitissima discoteca che raccoglie esecuzioni dei più grandi interpreti del passato, delle vere e proprie rarità. Si teneva co-

Visita alla ditta «A. Zeni» da parte di don Nillo accompagnato da Secondo Gislon e dai maestri Carnelòs e Bozzer. Alle spalle, l’organo in costruzione.


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stantemente informato con l’organaro. D’altro canto cercavo di approfondire le mie conoscenze sull’arte organaria francese de l’age d’or al fine di un miglior risultato possibile. Con il Maestro Carnelòs e Andrea Zeni ci tenemmo in contatto con alcuni organisti d’oltralpe e un costruttore, particolarmente competenti sugli organi del periodo in questione, dai quali ricevemmo delle utili informazioni e consigli che furono reinterpretati e adattati all’organo di Santa Lucia. La conoscenza di questi studiosi permise di recarmi in Francia per visitare, studiare e provare alcuni strumenti ritenuti particolarmente interessanti. Il 24 agosto dello scorso anno la visita ufficiale alla bottega organaria «A. Zeni» a Tèsero per constatare lo stato di lavorazione dell’organo e la struttura esteriore del mobile montato. Da parte di don Nillo si percepiva un’aria di fierezza per un’opera tanto importante e desiderata, che nulla lasciava presagire al triste epilogo che di lì a quattro mesi sarebbe avvenuto. L’11 settembre iniziarono i lavori di collocazione. Presente una folta schiera di santaluciesi che per l’occasione si adoperarono per scaricare e depositare in chiesa le grosse casse contenenti le canne, le varie parti del mobile e delle meccaniche. Il montaggio del mobile e di tutte le sue componenti comportò cinque giornate di lavoro per la ditta organaria. Il mobile completato, con la sua imponenza fece una certa impressione e in paese cominciarono a circolare simpatiche opinioni alle quali don Nillo diede poco credito: forse era troppo grande, non se lo aspettava così enorme, forse si era fatto prendere troppo la mano... Feci presente che secondo me era ancora piccolo, forse altri due o tre registri, una terza tastiera... Era solo un fatto di abitudine, dal momento che la controfacciata era stata fino ad allora ornata dalla sola cantorìa lignea. Certo è che date le misure della chiesa, più di così non si poteva fare. Riguardo poi le dimensioni bisognerebbe recarsi in Francia, Germania, Austria, Olanda, ecc. entrare nelle chiese ed osservare le proporzioni dei loro magnifici organi, la loro collocazione, e, possibilmente, assistere ad una celebrazione o ascoltarli durante i concerti. Ciò ci consentirebbe di intuire in quale e quanta considerazione siano tenuti e mantenuti. Con la seconda settimana si diede inizio alla sistemazione delle canne sui somieri (le casse orizzontali dell’organo che sostengono le canne e ne distribuiscono il vento), al controllo di tutte

le parti meccaniche che assicurano la trasmissione tasto-ventilabro e il movimento dei registri, e alla delicata fase di intonazione e accordatura delle canne durata un mese e mezzo. Nella costruzione di un organo questo momento è importante perché è qui che viene data voce e pronuncia, il soffio vitale e il carattere allo strumento. Da parte dell’organaro è richiesta una grande attenzione e pazienza perché il suo lavoro è concentrato sulle bocche e sulle anime delle canne. Queste componenti delicatissime dovranno far «parlare» l’organo secondo la sensibilità e bravura dell’intonatore. L’organo fu consegnato completamente il 22 novembre 2000. Ma don Nillo era da un mese ricoverato in ospedale. Potè vedere l’organo montato ma non ne udì il suono. A lui il ricordo e l’ammirazione per aver portato a compimento un opera cosi meritoria e per la fiducia accordata a tutte le persone che hanno collaborato al «Progetto Organo». ALESSANDRO BOZZER (organista titolare)

Benedizione e concerti d’inaugurazione

Don Nillo aveva già stabilito la data della benedizione dell’organo e dei due concerti inaugurali dei maestri Carnelòs e Bozzer; la prima in occasione della festa di Cristo Re, gli altri, per la festa della patrona Santa Lucia e il Concerto di Natale. Ma dopo il ricovero in ospedale e il successivo intervento a cui fu sottoposto, le sue condizioni si aggravarono. Tutti i preparativi per la cerimonia furono sospesi, per sua esplicità volontà, ma anche perché in tanti aspettavamo il suo ritorno a casa per poter condividere con lui questi momenti così importanti, che egli stesso aveva ben preparato in ogni particolare e dettaglio sia con gli organisti concertisti che con i membri del consiglio pastorale. Spirò il giorno di Santo Stefano.


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Poi a cinque mesi esatti dalla sua morte, il 26 maggio, il momento che tutta la comunità aveva atteso: l’inaugurazione ufficiale dello strumento, che don Nillo volle a perenne ricordo dell’Anno Giubilare, realizzando così il sogno di dotare la chiesa di un organo importante. Egli aveva predisposto tutto con determinazione e sensibilità, affinchè il risultato fosse un’opera d’arte unica nel suo genere, orgoglio per la nostra gente e vanto per i posteri. La cerimonia di Benedizione è stata celebrata dal nuovo parroco don Aldo Gasparotto e presieduta dal Vicario Generale, Monsignor Sante Boscariol, il quale nel ricordare la figura e l’opera di don Nillo ha ringraziato i vari organismi parrocchiali e le persone che hanno attivamente collaborato al progetto organo. Il concerto inaugurale del maestro Sandro Carnelòs, che ha eseguito musiche di De Grigny, Clérambault, Balbastre, Lefébure-Wély e Plum, ha suscitato una grande emozione e commozione fra i presenti. Si percepiva l’assenza fisica di chi aveva reso possibile la realizzazione di uni opera così bella e quel primo concerto nel cuore di tanti è stato un omaggio a don Nillo. L’esecuzione del maestro Carnelòs ha innondato la nostra piccola chiesa della forza di una musica che sembrava ricordare l’energia e la tenacia del nostro vecchio parroco: lui non c’era, ma la potenza espressiva di quella musica parlava di lui. Lo scopo principale dell’organo è quello dell’accompagnamento delle funzioni liturgiche cosi come ricordato dall’avvocato Lorenzo Marzona, presidente dell’Associaziono per la Musica sacra «Vincenzo Colombo» di Pordenone e Ispettore onorario degli organi storici della Soprintendenza ai Beni storici e artistici della regione Friuli-Venezia Giulia, che presentando i brani della serata ha citato Sant’Agostino il quale affermava che «cantare è pregare due volte». Il valore di quest’opera quindi non è puramente estetico, ma ha anche un intento pedagogico: aiutare i fedeli a partecipare in maniera più consapevole al gesto liturgico. La realizzazione stilistica dello strumento, ispirata all’organaria classica francese, costituisce un unicum per la nostra Diocesi e tra gli strumenti presenti in regione. La consulenza e il progetto fonico sono stati curati dai maestri Alessandro Bozzer e Sandro Carnelòs, mentre l’intonazione, la costruzione di tutte le singole componen-

ti meccaniche e lignee ed il progetto architettonico sono stati affidati al maestro d’organi Andrea Zeni. Fra le autorità locali erano presenti il Sindaco di Budoia, p.i. Antonio Zambon e l’avv. Mattia Callegaro, assessore provinciale alle iniziative culturali per il Giubileo. * * * Nell’iniziale programma che il consiglio pastorale aveva concordato con don Nillo, il secondo concerto d’inaugurazione (in occasione delle festività natalizie) prevedeva solo l’esecuzione del maestro Bozzer. Ma nel ripensare alla data del concerto non è stato casuale che si coinvolgesse anche Fabrizio Fucile. Fabrizio, che fino al 1997 è stato membro del consiglio affari economici della parrocchia di Santa Lucia, seguiva anche la direzione del coro parrocchiale e del Collis Chorus, ed è uno dei ragazzi di don Nillo, che, come già ricordato, nel fedele e costante rapporto con il suo parroco, ha fortemente sostenuto e accompagnato tutte le delicate fasi preliminari che hanno dato l’avvio alla progettazione e realizzazione dell’organo giubilare. Il secondo concerto ha visto un numero ancora maggiore di partecipanti, segno del crescente interesse che lo strumento suscita tra gli appassionati della grande musica e, come il primo, è stato suggellato da un momento conviviale. Un ringraziamento particolare a don Aldo che nel portare a termine la prima fase del «progetto organo», ha accolto con umiltà l’eredità spirituale di don Nillo, così importante per la nostra comunità, e si è adoperato con entusiasmo nel coordinare l’organizzazione per la buona riuscita dei concerti. Entrambe le manifestazioni si sono svolte sotto il patrocinio del Comune di Budoia, della Provincia di Pordenone e della Fondazione Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone. STEFANIA GIOIA WILEY

Presso la chiesa parrocchiale è disponibile il volumetto «L’organo Giubilare “Andrea Zeni” numero unico per l’inaugurazione», dove viene presentato dettagliatamente lo strumento.


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I Pup(p)in(i) Descrizione e diffusione di quattro gruppi di famiglie presenti in Friuli a partire dal 1250-1400

LE PERSONE Abbiamo già accennato come la ricerca delle origini sia sempre affascinante, ...vorremmo saperne sempre di più: purtroppo si incontrano limiti oggettivi: i registri parrocchiali ci hanno riportato all’indietro generalmente fin verso al 1600, e sovente con qualche lacuna dovuta a incendi, a sedi vacanti, a macchie di muffa... talora anche a qualche topo affamato. Qualche pievano, intelligente e solerte, all’inizio della stesura dei registri [per i più antichi gli indici, quando esistono, sono ordinati per nome e non per cognome! ma è per nome non per cognome che ci rivolgiamo alle persone... forse oggi si è persa anche questa dimensione del comunicare!], si era preoccupato di registrare, per 2-3 generazioni, gli ascendenti noti. Oltre? Più indietro ritroviamo solo brandelli, spezzoni, qualche contratto, atti notarili, donazioni alla parrocchia, testamenti, tutti elementi che ci hanno comunque consentito di tracciare un quadro generale abbastanza attendibile, anche se non sempre perfetto, dei nostri PUP(P)IN(I) a partire dal 1450 circa. Quattro sono i nuclei di insediamenti certi di PUP(P)IN(I) con una certa rilevanza anche numerica che al 1500 troviamo in Friuli: Budoia. Cavazzo Carnico, Costalunga sopra Faedis e Roverbasso di Codognè (quest’ultimo anche se oggi in terra trevisana, era storicamente legato al Friuli tramite il Comune di Brugnera e l’influenza dei conti di Porcia). Schio, Bologna, l’Austria (da Bagnarola) e la Serbia sono poi casi a sé, che quasi sicuramente celano qualche aggancio con una delle quattro località sopraccitate. BUDOIA I lettori de l’Artugna non necessitano di presentazioni geografiche e storiche su Budoia, per cui passiamo subito a ricordare che il documento più antico relativo ai PUPIN budoiesi (che presenteremo dettagliatamente in un prossimo articolo dedicato ai «veci» di Budoia) è un contratto del 1515. Ci basti per ora ricordare che a tale epoca sono presenti in Paese almeno 4-5 gruppi di PUPI(P)IN «consorziati» e che tale legame socio-econornico [chissà, forse anche di parentela se fosse possibile far risalire una verifica per altre 5 o 6 generazioni!] perdurerà fino alla seconda metà dei 1700 coinvolgendo tutti i casati (contratto del Maso PUPPIN del 23 agosto 1788). Tra il 1724 ed il 1728 la famiglia di Marco si trasferisce a

San Giovanni di Polcenigo in calle dei morti (oggi via Favola) dando poi origine (con Giacomo) ad una diramazione veneziana di gondolieri e a due diramazioni brasiliane (da Giovanni e da Sante, cugini di terzo grado, emigrati nel 1883 nello Stato di Espirito Santo, 600 km a nord di Rio (vedi l’Artugna n. 58, dicembre 1989, pag. 7-9). Numerose le figure che si impongono in questo ramo, sia in Italia che in Brasile e che in un prossimo futuro riprenderemo singolarmente... medici eroici e luminari internazionali... presidenti di federazioni industriali, tecnici aerospaziali, ministri, figure di primo piano a livello internazionale nella professionalità alberghiera... A San Giovanni negli anni ’20 si separa anche un altro ramo, che dapprima si insedia in via Sant’Antonio (la strettoia), poi poco più a monte, verso Budoia, ove un tempo sorgeva il vecchio monastero di San Bartolomeo oggi purtoppo andato distrutto. Da segnalare una emigrazione relativamente recente anche in Canada. Dei Budoiesi il ramo tradizionalmente più antico (come lo confermerebbe la frequenza di citazioni del soprannome nei secoi scorsi) è quello dei Freal, ormai localmente quasi estinto e consolidato solo in Francia. I Putelate? che attorno al 1750 hanno dato vita ai Budelone sono oggi a Milano con figure di spicco tra cui un docente universitario, Roma, Trieste, nel Trevisano ed in Belgio. I Budelone non sono più stabilmente presenti a Budoia, continuano nel Milanese, e sono genealogicamente in estinzione sia Venezia che in Francia ed in Gran Bretagna. I Los, scaturiti dai Budelone attorno al 1840 oltre a conti-

Budoia, casa Freàl ora di proprietà di Giovanni Bufalo, in via Lunga Superiore. (Foto Giovanni Bufalo)


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nuare la presenza a Budoia. sono inseriti anche negli Usa ed in Germania. In un prossimo articolo riproporremo una revisione delle varie connessioni fra questi gruppi, correggendo ed integrando quanto già pubblicato nell’inserto de l’Artugna n. 50, aprile 1987 e soffermandoci sulle personalità più significative. CAVAZZO CARNICO Già sede di un presidio romano e di una storica pieve il paese è collocato, poco lontano da Tolmezzo, su di una piana che si estende fino all’estremità nord orientale dei lago omonimo. Raso al suolo dal doppio sisma del 1976 è ora riedificato exnovo. La presenza dei PUP(P)IN(I) vi è gia documentata agli inizi del 1300 con figure di spicco (vedi articolo sul cognome in l’Artugna n. 92, aprile 2001, pag. 10-12) e certamente con un numero di famiglie relativamente considerevole se al 1550-1600 possiamo gia contare una quindicina di casati (soprannomi) citati negli archivi. Segnaliamo: i Mini, i Fari da cui si origineranno gli Zuanros e i Lizzardo attuali, i Titin, i Catarinutta che daranno vita ai Culau, i Lizzardo, i Morida (già Norida) fonte degli Squadra e degli Zorz, i Sovran (Sauran) da cui gli Stroc, i Pupino origine dei Turtiz (con poi Codul e Zuf), dei Muezzana e del ramo di Romans gli Jezzana con i Mora ed i Nola, i Ferin, i Molinar fonte dei Nodar, dei Cepar e del ramo di Alesso, gli Zussenia (Luseria, Zarania) antenati dei Moretut, dei Ghiaulin(?) e del ramo delle autovie di Pordenone, gli Asìno... Le traversie del periodo tra i due sismi di maggio e settembre 1976 han fatto sì che i registri venissero temporaneamente «salvati» (ora sono feficemente restaurati) in trascrizioni effettuate da amici di Alesso a matita su fogli di quaderno al lume di candela, e debbo proprio a Decio Tomat e a sua cognata, che mi hanno poi ceduto tali note, la possibilità di aver potuto iniziare a dipanare quell’intricata matassa di nomi (sono qualche migliaio, con inevitabili omonimie...); altri amici di Cavazzo (Mauro, Geremia, don Amato Puppini, Mie Filose... ) mi stanno dando una mano per le figure più recenti. Descrivere le innumerevoli interconnessioni e dispersioni dei Puppini di Cavazzo è impresa ardua! Quasi sicuramente è ad essi legata anche la discendenza veneziana di quel notaio esercitante ad Osoppo nella prima metà del 1700... e che

sarà l’argomento di un’indagine per le prossime ferie... Tre sono comunque i grossi nuclei di PUPIN sicuramente scaturiti da Cavazzo. – GioBatta PUPIN, nato il 12 maggio 1710 da Giacomo (n.v.1667, di Cavazzo e residente a Venezia) e da Caterina, sposa Maria Stefanutti di Bortolomeo da Alesso il 12 febbraio 1732, si accasa presso il suocero, e dà origine ad una numerosa discendenza; oggi troviamo PUPIN di Dalés oltre che in Friuli, nel Milanese, in Piemonte, Liguria, in Italia Centrale, ed a seguito degli eventi dell’ultimo conflitto (la Repubbliche libare di Ciarnie) anche in Russia. – Su Friuli nel Mondo dell’agosto 1992 a pag. 4 compare un trafiletto. L’autore è un PUPIN con cui si era iniziata una ricerca che, incrociando i dati dell’Isontino con quelli raccolti a Cavazzo, portava alla conclusione che Michele PUPIN, figlio di fabbri a Cavazzo, si era istallato a Romans d’Isonzo; personalmente avrei preferito posticipare l’annuncio di tale «connessione CavazzoRomans» dopo aver tentato di chiarire qualche altro problema irrisolto (era Michele o più verosimilmente il padre Lorenzo ad essersi trasferito

Budoia, casa Freàl, particolare del cortile.


Un varsor con suo ferro... Due inventari budoiesi degli inizi del ’700

nella seconda metà del 1700?, c’è poi un duplice matrimonio con l’assegnazione dei figli non ancora risolta per la linea materna), ma l’entusiasmo dell’aver trovato le proprie radici è stato preponderante in chi con me stava collaborando alla ricerca e si sentiva coinvolto in primis ed ha così subito passato alla rivista la segnalazione quanto fino ad allora scoperto... I PUPIN di Romans, fabbri, costruttori e riparatori di carrozze (bellissimo il museo assemblato da «nonno Bonaventura») continuano la professione costruendo rimorchi. Alcuni rami collaterali sono sparsi nell’Isontino. – Pordenone. Molti ricorderanno le «storiche» Autovie PUPIN fondate all’inizio del secolo in piazza Cavour e da qualche anno non più operative. Ebbene il fondatore Giobatta PUPIN (n. 1852) era nipote di un altro Giobatta nato a Cavasso nella Cargna come si legge nei registri della parrocchia di San Marco in occasione del battesimo dell’ultima figlia nata il 20 aprile 1829; dalle trascrizioni dei battesimi degli altri figli apprendiamo che era industriante e tessère, ossia operaio tessile come tanti altri carnici scesi, all’epoca, prima a Rorai, poi a Pordenone. Pietro, il padre del fondatore delle autovie viene infatti battezzato a Rorai; domestico si trasferisce a San Giorgio ove il figlio inizierà la propria attività di meccanico e poi di imprenditore. Attualmente la famiglia è diffusa in tutto il Friuli (ricordiamo la fioreria PUPIN a Montereale Valcellina) e presenta una presenza femminile anche in Argentina. Da segnalare una crocerossina insignita di medaglia di bronzo al merito. I PUPPINI bolognesi annoverano anche Umberto (n.1884), sindaco della città, rettore della prestigiosa Università, e poi ministro del Regno d’Italia. Essi sono probabilmente ricollegabili al pittore veneziano Biagio Dalle Lame (nome dal quartiere di Bologna ove risiedeva a metà dei 1500), amico del Giorgione, che portava infatti il cognome PUPPINI (o PIPINI o PUPIN). Non va dimenticato che all’epoea abbiamo presenze costanti nella città lagunare di PUPPIN sia da Budoia che da Cavazzo e che potrebbero esser collegate appunto con Biagio Puppini. Ricordiamo anche un ennesimo GioBatta che, medico condotto a Calderara (borgata a nord di Bologna), esegue nel 1756 un intervento su di una persona caduta da una pianta. Oggi alcuni nipoti di Umberto risiedono a Milano. OSVALDO PUPPIN

Se al giorno d’oggi dovessimo metterci a fare l’inventario completo di ciò che possediamo, probabilmente impiegheremmo diversi giorni e forse alla fine non riusciremmo a elencare tutto: vestiti, calzature, mobili, piccoli e grandi elettrodomestici, stoviglie, posate, attrezzi da giardinaggio, giochi, giocattoli, libri, mezzi di trasporto... Ne verrebbe fuori una lista interminabile, tale da riempire sicuramente molte pagine. Chi ha esperienza di traslochi da una casa a un’altra sa che quelle sono occasioni nelle quali solitamente si scopre, tra il divertito e il preoccupato, di essere proprietari di tantissime cose, alcune indispensabili, altre utili, altre ancora superflue, inutili, ingombranti. Non era certo così anche nel passato: fino a tempi non lontani (basta chiedere a chi è nato prima della seconda guerra mondiale) le case delle persone comuni avevano ben pochi oggetti: qualche mobile, gli utensili necessari per la vita di casa, gli attrezzi per il lavoro e poco altro. La scarsa ricchezza (un eufemismo per non dire la miseria!) impediva che le abitazioni si riempissero come ora di cose non sempre utili, anzi, un tempo in molte case mancavano pure quelle essenziali. Solo il rapido progresso verificatosi nel dopoguerra, pur con tempi e modi diversi da paese a paese e da famiglia a famiglia, ha portato all’abbondanza materiale di cui oggi godiamo (e talvolta, a dir il vero, soffriamo). Tutto ciò per fare da introduzione un po’ retorica a un paio di interessanti documenti storici che vogliamo presentare ai lettori de l’Artugna. Si tratta di due inventari di beni stesi nello stesso giorno, il 18 luglio 1719 (ovvero 282 anni fa), dal notaio polcenighese Gio Batta Curioni1. Il qual Curioni, per ordine del conte Antonio Andrea di Polcenigo, si era recato a Budoia, accompagnato dall’ufficiale di giustizia, per annotare scrupolosamente tutto ciò che era posseduto da due budoiesi, Giacomo del fu Agnolo (Angelo) Burigana e Osvaldo del fu Iseppo (Giuseppe) pure lui Burigana. I due risultavano entrambi debitori del nobile giurisdicente polcenighese, anche se non sappiamo di quanto e perché: forse non avevano restituito al conte dei soldi prestati, oppure non gli avevano pagato affitti dovuti per terre o case. Il conte, inflessibile, aveva dunque spedito loro il notaio e l’ufficiale a casa per inventariarne i beni, primo passo verso il sequestro e la confisca degli stessi. La disgraziata occasione (disgraziata per i Burigana, che devono aver certo tremato e pianto alla visita del notaio e dell’ufficiale) ci

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consente di gettare un’occhiata da vicino a quanto possedevano i due budoiesi. Giacomo Burigana aveva nella cusina (cucina) sive (ossia) tezza (tettoia, ripostiglio) due caldare de rame, una grande e l’altra piccola; due secchie da portar acqua; una cadena di ferro da focco; una panera da far pan niova (nuova); una bote da poner il vino; due brente da poner l’uve; una cassa da tenir farina et altra roba; inoltre, disponeva nello stesso ambiente di diversi ferri et imprestamenti per l’uso del arte di marangon di più sorte. Fermiamoci un momento e spieghiamo un po’ meglio questo primo elenco, dato che alcuni termini possono non essere chiari o risultare del tutto sconosciuti al lettore del XXI secolo2 . Innanzitutto, notiamo che la stanza era contemporaneamente cucina, ripostiglio e cantina, cosa che al giorno d’oggi farebbe senz’altro inorridire. ma che all’epoca non doveva sembrare una soluzione insolita. Accanto alle caldare di rame, cioè ai paioli per cucinare, ai secchi per l’acqua (l’acquedotto non esisteva, e non sarebbe esistito che molto tempo dopo) e alla catena di ferro per appendere i paioli, convivevano infatti tranquillamente anche la botte e le brente che ci saremmo aspettati di trovare in una cantina, locale che probabilmente Giacomo non aveva. Come mobili, solo l’immancabile panera (madia) e una modesta cassa per conservare la farina e altri cibi e oggetti. In più, sempre in cucina, gli attrezzi da falegname (marangon), arte che Giacomo dunque esercitava. Continuiamo con l’ispezione del notaio alla casa. Lasciata la cucina, il Curioni visita il cortivo (cortile) e la stalla. In questi spazi Giacomo Burigana aveva un carro agricolo con quattro ruote con suoi scalari, gratone et belluga; un cavestro; un varsor fornito con suo ferro; un solzariol con due ruote et suo ferro. Anche qui qualche spiegazione: il carro era dotato di scalari, ossia del piano (o letto) di carico; del gratone, cioè dell’asse laterale; e infine della belluga, ovvero di un altro piano leggermente concavo. Il cavestro era quell’insieme di corregge di cuoio o di corde usato per legare le corna dei buoi aggiogati al timone, mentre il varsor era ovviamente l’aratro e il solzariol l’aratro sarchiatore (o vangheggia); entrambi erano forniti del loro ferro, cioè dei vomere metallico. La stalla vantava tre manzi, diciotto pecore da frutto, tre capre pure da frutto, che al momento, secondo il Burigana, erano in montagna, e un animal porcino (ossia un maia-

Lungo e paziente lavoro di aratura dei campi col varsor.

le). C’erano poi gli attrezzi agricoli: tre forche, tre badili, tre falci e quattro zappe. In più, sei tolle di castegnaro greze, cioè sei tavole di legno di castagno ancora non lavorate. Nella camera sopra la lezza, utilizzata a mo’ di granaio, si trovavano tre staia di segalla (segale) e un carro di frumento in mana (cioè ancora raccolto in mannelli o manipoli, non battuto: va ricordato che si era a metà luglio, a poca distanza dalla mietitura); nella camera abasso c’erano due banchi di pezzo, entrambi pieni di mobilia (qui intesa come vestiti) parte da donna e parte da uomo. I banchi erano una specie di casse nelle quali si riponeva un po’ di tutto, usati anche come panche, cassapanche, bauli; quelli di Giacomo erano in pezzo, ossia in legno di abete rosso. Tutti qui i beni di cui poteva disporre Giacomo Burigana nella sua minuscola casetta. E non si trattava certo di uno dei più poveri del paese: la discreta presenza di animali nella stalla e di attrezzi agricoli, unita al fatto che facesse part time il falegname, oltre a essere contadino e allevatore, ci garantiscono che Giacomo non era proprio un miserabile. Almeno fino ad allora, fino a quella sgradita capatina del notaio e dell’uf-


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ficiale di giustizia... Molto simile, ma lievemente più «ricca», la situazione dell’altro Burigana «visitato» quel giorno, cioè Osvaldo. In cucina aveva una caldata grande da formaggio, due secchi per condur acqua, due cavedoni da focco, una cadena da focco, una panara per fabricar (sìc!) pan, un armereto o credenza. Chiarito che la caldara serviva per fare il formaggio in casa, basterà aggiungere soltanto che i cavedoni erano gli alari metallici dei focolare. Rispetto a Giacomo, Osvaldo contava pure su dodici chuchiari di otton, segno di una maggior agiatezza. Nel cortile c’erano un carro fornito con i soliti scalari, belluga e gratone, un varsor e un solzariol. Nella camera al primo piano il notaio trovò due banchi di pezzo o sii altro legno evidentemente non era un esperto di essenze legnose!) pieni di mobilia femminile; in un’altra stanza al primo piano c’erano altri due banchi con molta diversa sorte di mobilia da huomo et da dona. Sotto il portico nel cortile si vedevano due tolle (tavole) da mangiar con suo bancho e una molla da guare (ossia una molla per aguzzare lame) con suo sostegno, oltre a sette tolle di castegnaro appoggiate alli muri. Nella tezza giacevano due staia di frumento battuto e due carri, sempre di frumento, ancora in mana, più uno staio di segala e due staia di fava con altra minestra (probabilmente altri legumi per preparare le consuete minestre, base dell’alimentazione dell’epoca). Nella caneva (cantina) c’erano un brento per paner l’uve e due botti, insieme a tre falci da segar l’erba, tre badili, tre forche da fieno et da stalla, cinque zappe e una manara (scure, accetta). Per quanto riguarda gli animali, Osvaldo Burigana aveva in quel momento in monte (cioè all’alpeggio) tre manzi, un’armenta da frutto, diciotto pecore e tre capre pure da frutto, oltre a un animal porcino. Anch’egli aveva diversi imprestamenti per uso di marangone (era forse in società con l’altro Burigana?). Che dire dei due inventari? Abbiamo già fatto notare che i due Burigana non erano certamente tra i più poveri del paese. Eppure, possedevano pochissimo, anche se quel poco era sufficiente a svolgere i più comuni lavori agricoli: il carro serviva per trasportare erba, cereali, letame; gli aratri per arare e sarchiare; gli attrezzi agricoli per sfalciare, raccogliere, scavare, zappare, tagliare. Le pecore e le capre da vive davano lana e latte, mentre le mucche forza-lavoro e latte; da morte fornivano carne e pelle. Se appare strana l’assenza

negli inventari dei gioghi, meno strana è invece la mancanza di posate e stoviglie, tolti i cucchiai di ottone di Osvaldo: se c’erano, com’è quasi certo, erano vecchie e forse di legno, e dunque di scarso o nessun valore in caso di sequestro e perciò non inventariate. Prevedibile la carenza di mobili, tavole e sedie comprese, quest’ultime spesso sostituite da panche mobili o da semplici ceppi di legno. Inconsueta risulta invece la mancanza nei due elenchi del letto, mobile principale della casa, quasi sempre costituito da un insieme di tavole di legno, appoggiate sopra dei cavalletti pure lignei, sulle quali si stendevano pagliericci, materassi e cuscini. I letti nelle due case sicuramente c’erano, ma pensiamo che il conte creditore non avesse il coraggio (o più probabilmente la possibilità giuridica) di pignorarli. L’immagine complessiva che i due inventari ci trasmettono è quella di un mondo nel quale la miseria era grande e diffusa, e dove solo la tenacia, l’orgoglio e l’attaccamento alla vita consentivano di tirare avanti, pur se a fatica. Sempre che non arrivasse prima o poi un meticoloso conte Antonio Andrea a presentare implacabilmente i conti... ALESSANDRO FADELLI

L’aratura con due paia di buoi e il Ciaridel. (tratto da «Vandi e Regolà» di Diogene Penzi).

Note 1) I due inventari si trovano all’Archivio di Stato di Pordenone, Fondo notarile antico, busta 590, filza 4561. 2) Per il significato dei vari termini, parte in friulano e parte in veneto (o in italiano con venature venete), ci siamo serviti di G.A. PIRONA - E. CARLETTI G.B. CORGNALI, Il Nuovo Pirona. Vocabolario Friulano, seconda edizione con aggiunte e correzioni riordinate da G. F RAU , Udine 1992; E. E R. APPI - U. S ANSON , Aggiunte al «Nuovo Pirona» - Zona di Budoia, Udine 1970; G. BOERIO, Dizionario del dialetto veneziano, seconda edizione, Venezia 1856 (rist. anast. Firenze 1998); C. VISENTIN, Aspetti della cultura materiale a Brugnera nei secoli XVI-XVIII, in Brugnera feudo e comune, a cura di M. B AC CICHET - P.C. BEGOTTI - E. CONTELLI, Brugnera - Pordenone 1990, pp. 233-286: G.B. PELLEGRINI - C. MARCATO, Terminologia agricola friulana, 2 voll., Udine 1988-1992.


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René, un bel mattino...

C’è un giorno di San Silvestro, nella vita della nostra Budoia, che ha fatto storia: 31 dicembre 1960. Mentre la baldoria rumoreggia dappertutto e in giro si respira l’atmosfera pazza del boom economico, due giovani intraprendenti, con l’aiuto dei loro amici, danno un colpo di spugna a tutto quello che di vecchio e logoro esiste in piazza, per poi accogliere tutti, il primo giorno dell’anno, in un’atmosfera augurale nuova, elettrizzante. È il debutto di René, affiancato dalla sorella e dai suoi. Alle 8 precise di fine anno, avviene la consegna delle chiavi della storica e malandata bottega di Marianna Patrizio, gestita da Piero Lachin. Subito dopo scatta l’operazione di rifacimento del «look», con rinfrescamenti totali, dai soffitti ai pavimenti. Un’impresa frenetica che si conclude con soddisfazione in meno di 24 ore. Mentre nei bar e ristoranti di tutto il mondo le orchestrine, i complessi, i microsolco suonano i mambo, le rumbe, il rock o il liscio… per festeggiare l’anno nuovo che arriva, nella piazza di Budoia, quella notte, c’è un silenzio rotto solo dal tramestio di una squadra di giovani, René con i suoi amici, che raschiano porte e pareti, spennellano muri, lucidano tavoli, riparano fessure, martellano… per ore e ore… Ma al mattino, il Capodanno del 1961, mano mano che la gente arriva in piazza, è felicemente sorpresa di trovare il locale tutto nuovo, è una freschezza di atmosfera inattesa: i due giovani fratelli, René e Mirella Del Zotto, raggianti e felici di salutare i clienti, emanano l’allegria contagiosa dei tempi nuovi arrivati anche a Budoia. L’impronta del mestiere acquisita da René lavorando in ristoranti qualificati, in Germania, a Venezia, a Cortina, a Jesolo, è apprezzata da tutti e non spiace agli abitudinari dell’antica bottega solitamente refrattari ai cambiamenti. Ad aprire i battenti per loro, clienti della prima ora, è il padre, Giovanni Del Zotto, pronto a servire il caffè a quelli della corriera, Nible e Piero Sartorel, che si presentano già all’alba delle 5. La clientela che giunge bonora, fino alle 8, è tutta sua e gode di speciali privilegi: consuma spesso a credito, regolando il dovuto a forfait di tanto in tanto. Dopo quell’ora, Giovanni lascia il banco e si ritira per le sue occupazioni tra le piante dell’orto e i suoi allevamenti. Appena sei mesi dopo, siamo nel luglio 1961, demolizione totale della struttura e riedificazio-

ne ampliata ex-novo, con l’appoggio e l’incoraggiamento dello zio Basilio. Tutto è pronto e rifinito già per fine 1961, così un altro capitolo di storia si apre, con la piazza che cambia aspetto, Budoia, oltre al bar nuovo, inaugurato a Natale, ha nel centro del paese l’albergo e il ristorante. Lo si inaugura con il Cenone di San Silvestro, e il prezzo di allora è di L. 4.000 per persona. Arriva la clientela di prestigio, che con il tempo si moltiplica: gli Zanussi di Pordenone, i professionisti di Sacile e dintorni, i capi di aziende note, gli operatori della Fiera di Pordenone, i personaggi della politica e dello sport… Toros di Udine, Fioret Sottosegretario alla Difesa con Andreotti… Il Ristorante Da René a Budoia appare presto nella prestigiosa «Guida Michelin», che notoriamente ospita ambienti qualificati e raccomanda-

In alto: la gioventù budoiese degli anni ’50. Sullo sfondo la botega di Piero Bof. (Foto proprietà di Angelo Varnier) Sopra: l’Albergo appena costruito. Da una cartolina degli anni ’60.


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Sopra: alcune delle numerose benemerenze della lunga carriera di René. In alto a destra e sotto: l’interno del bar e René al lavoro.

ti. La segnalazione dà spicco al paese, per tutti gli anni ’80. Quando prende consistenza la progettazione per la nuova località sciistica denominata Venezia delle Nevi, ad opera di investitori belgi, si mette in moto un fermento di attività che coinvolgono le autorità comunali e provinciali. Il Ristorante Da René è il punto di incontro per accordi e disaccordi consumati allegramente tra pranzi e cene. In uno di quei momenti viene preparato un menù celebrativo comprendente antipasti di pesce a forma di barchette veneziane e un dolce modellato come una gondola messa sulla punta della nostra montagna, costruita in perfetta riproduzione. Furoreggiano le idee e anche la partecipazione a concorsi gastronomici miete successi. La pre-


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sentazione di un piatto preparato con coniglio disossato, ripieno, avvolto in una fasciatura di polenta, già affettato e arricchito di sugo, guadagna una lettera di encomio a firma del Conte Cavallini della Commissione. Un nome di spicco, come il prof. Rizzetto del Reparto Cardiologia di Pordenone, rilascia il suo apprezzamento per la cucina vergato su un tovagliolo. La continua presenza di clientela d’élite porta René a farsi degli amici in tutte le classi sociali e professionali, anche le più esclusive, ma gli amici che gli sono più cari rimangono sempre quelli del luogo, che aveva da ragazzo. Gli anni trascorrono all’insegna del successo e la vita del ristorante è punteggiata di occasioni speciali, come il pranzo per il matrimonio di un appartenente a Ca’ Foscari di Venezia. Al tavolo dei clienti sono i più collaudati camerieri ritornati dalle loro tournée, da Gildo Cunicio a Giorgio Fort, a Luigi Zambon, a Mario Ite ad altri. A rendere possibile tutta l’attività sono anche due figure importanti, la madre Maria Janna e la moglie Rosapia Bravin. Sorvegliano, decidono, progettano, guidano l’organizzazione in tutti i momenti con gli occhi esperti che arrivano dappertutto. Due colonne sulle quali la vita di René è saldamente appoggiata. Grazie alla loro costante presenza e al loro insostituibile aiuto, René può occuparsi anche d’altro e divertirsi a seguire come un buon papà i ragazzi di Budoia che fanno sport. In 40 anni di attività, ne spende con loro 22, come presidente della squadra di calcio. Ora che ancora una volta mezza piazza è stata spazzata via dalle ruspe e siamo prossimi alla terza inaugurazione di un ambiente nuovo per tempi nuovi, restiamo in speranzosa attesa. Nel frattempo, quando arriviamo in piazza, seguiamo l’innalzamento dei muri giorno per giorno. Sappiamo che René ci ha promesso un bar favoloso, scintillante, di ben 200 m2 di superficie. Un bel mattino... ANNA PINAL

A lato: inesorabile la ruspa demolisce il fabbricato dell’albergo. Restiamo in speranzosa attesa.

Accanto: tovagliolo con dedica del Prof. Rizzetto. Sotto: l’ultima inquadratura della cucina.


Il mezzo miglio in Cansiglio

«Ho veduto gli boschi che ha la Serenità vostra in Alpago-Cansiglio, cavalcando tre giornate per quelli et si come deono esserle carissimi a guisa de pretioso tesoro, poiché essendo copiosissimi di faggi, avendone la debita cura, suppliranno per sempre abbondantissimi al bisogno che possa avere de remi per galee o fuste la più grossa et potente armata che essa in qualsivoglia tempo si risolvesse di mandar fuori». Con queste parole Alvise Mocenigo, podestà di Belluno, esprime il fascino del bosco del Cansiglio al Collegio riunito, nella primavera

Il diritto di «mezzo miglio» ...et anco ben dar conto particolare nel quale si ritrovano, et anco riverentemente accennarLe il bisogno loro, affinché possa provvederLe in quel modo che detterà la sua molta prudenza. Circondano li boschi d’Alpago 36 miglia circa, a quali come per muraglie serve il mezo miglio, questo hora è quasi in tutto distrutto e tagliato così verso Caneva, come verso Serravalle et altrove, valendosi di quello li comuni et regole vicine come se fose bene comunale et proprio tagliando in quello a suo beneplacito, onde se presto non viene provveduto vedremo il bosco bandito tutto disarmato, essendo privo del riparo di esso mezo miglio in gran parte tagliato e rovinato. Del danno che apportano quelli di Caneva pretendono il possesso del mezzo miglio... ... ma per ovviar a queste fraudi, et difficoltà altro non retrovo, se non uno stradone che separi il mezo miglio del bandito... Così scriveva il Podestà e Capitano di Belluno Francesco Duodo nella sua relazione presentata al senato il 17 novembre 1621. Ufficialmente però il titolo di mezzo miglio appare per la prima volta nell’articolo 4 del protocollo di «conterminazione» eseguita dal Rettore Federico Coraro nel giugno 1622, operazione peraltro censurata dai suoi contemporanei e successori. Ma per poter comprendere l’origine del problema e la vera funzione che questa fascia di rispetto aveva per la salvaguardia del patrimonio boschivo, bisogna fare alcune considerazioni.

del 1608. Coglie immediatamente la questione di fondo: dei boschi bisognava aver cura, soltanto così Venezia avrà per sempre ed abbondantemente i faggi dal cui legno ricavare i lunghi remi delle galee. La foresta, oggi, non fornisce più materia per i remi delle galee, ma ha mantenuto tutta la sua importanza per l’equilibrio ecologico del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia. Nei secoli fu luogo soggetto a rigide disposizioni, in particolare sull’uso del «mezzo miglio», come evidenziato dal dott. Guido Spada, del Corpo Forestale, nel suo articolo.

Sotto: documento (Archivio di Stato di Venezia) in cui si afferma che fino a cento anni l’abete rosso mantiene un legno tecnologicamente valido.


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Quando, per buona sorte della Serenissima Repubblica, la foresta del Cansiglio, o Bosco d’Alpago come solevasi chiamarla all’epoca, venne bandita, il Consiglio di Dieci provvide ad emettere tutta una serie di atti amministrativi a tutela e difesa dell’immenso patrimonio boschivo, limitando al massimo le attività antropiche all’interno della foresta, se non quelle strettamente necessarie e connesse all’utilizzo dell’ingente risorsa boschiva ad uso della Casa dell’Arsenale. Tra i problemi più pressanti e impopolari vi era quello di limitare o vietare il pascolo all’interno della foresta e razionalizzare il diritto di pascolo in quelli interni ed esterni al Cansiglio. Questi provvedimenti di tutela sollevarono tutta una serie di ricorsi, lagnanze, suppliche e conflitti di interesse difficilmente sanabili. Di fatto le popolazioni dei Comuni vicini, sentendosi danneggiate dalle ferree limitazioni imposte dal Governo Veneziano, cercarono anche con la frode di dimostrare i loro diritti, tutti aventi come scopo ultimo la possibilità di pascolare liberamente nella fascia contigua alla foresta. Il Senato, per venire incontro alle popolazioni e ribadire nello stesso tempo l’assoluto divieto di pascolo all’interno della foresta, fece tracciare a confine con il bosco una zona di rispetto della larghezza di un miglio veneto, dal confin in fuori. In detta fascia di territorio veniva concesso ai privati o regolieri di poter pascolare con le proprie armenta ma con divieto assoluto di tagliare qualsiasi pianta presente. Questa concessione, peraltro temporanea, era suggerita più da spirito cristiano nei riguardi delle misere popolazioni locali che da vera convinzione. Veniva ribadito infatti, con Parte 29 dicembre 1570 del Consiglio di Dieci, che tale concessione non costituiva, ne poteva costituire, una servitù passiva di pascolo, in quanto tale fascia boscata era e doveva rimanere di proprietà statale, era quindi esente da qualsivoglia diritto di prescrizione. Alla luce di quanto sopra con Parte del Consiglio di Dieci del 17 novembre 1622, ratificata con Ducale 25 novembre, all’articolo 4 vi si legge che nel mezzo miglio che era stato lasciato fuori dal bandito era si possibile pascolare, ma non tagliare senza licenza, e tale licenza doveva essere concessa, con il riguardo dovuto, solo dal Rettore di Belluno. In conclusione si può affermare, senza tema di smentita, che il mezzo miglio era niente meno

che uno spazio di terreno demaniale, su cui poter esercitare il solo diritto di pascolo, non una servitù ma una concessione, una deroga alla norma imposta dal bando, non una sdemanializzazione a favore dei singoli o dei Comuni, come in seguito fu fatto credere da chi aveva tutto l’interesse a frodare il Governo Veneto. La Repubblica di Venezia, mediante il bando, ossia con la proclamazione della riserva esclusiva del territorio soggetto a bando imponeva di fatto un servitù a tutte le terre confinanti per passi cinquecento ossia mezzo miglio; fascia dunque di massimo rispetto a tutela della foresta. In questa fascia di nessuno, nessuno poteva condurvi animali non di sua propria età, costruire casere o ricoveri di varia natura, tagliare alcunché, ne tanto meno erigere delle carbonaie. I Comuni sapendo di mentire a se stessi, accreditavano la tesi secondo cui nella fascia periferica della foresta fossero di fatto incluse nelle località prive di utile copertura arborea per gli usi specifici della Casa dell’Arsenale e perciò utilizzabili a loro piacere. Con sotterfugi di varia natura, frodi e quant’altro attuarono una politica di dissennato disboscamento, trasformandoli in zone a pascolo. Risulta inspiegabile che il Consiglio di Dieci, così geloso delle sue prerogative e fiero del suo ruolo di controllore delle leggi, tanto severo nella tutela dei bene pubblico e delle foreste in particolare, potesse tollerare nel seno del suo prezioso bosco del Cansiglio l’esercizio di una servitù siffatta, da lui stesso scritta sotto severe pene di bando, galera ecc.

Lungo la strada che da Caneva conduce al Bosco di San Marco del Cansiglio.


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Anche da un punto di vista del diritto la Repubblica aveva pieno titolo di poter bandire le terre esterne dei nostro mezzo miglio poiché prima della conquista veneziana, esse erano infeudate ed i Comuni stessi erano legati dai ceppi del vassallaggio verso i rispettivi Signori, ragion per cui tutte le terre rivendicate dai Comuni come proprietà comunali, derivavano da concessioni imperiali fatte dopo il dodicesimo secolo, ed erano per loro natura allodiali, cioè usurpate dagli stessi Comuni in momenti di torbidi sociopolitici. Nel 1660 Marino Zorzi assunse la carica di Podestà e Capitano di Belluno e lo stesso, benché non fossero trascorsi che quattro anni dall’ultima confinazione generale della foresta, pensò bene di far cosa gradita al Governo proponendo di effettuare una nuova general conterminazione. Purtroppo tanto zelo non fu ben ripagato poiché tale riconfinazione portò ad un capovolgimento dei concetto di mezzo miglio trasformando di fatto in diritto di pascolo a favore delle popolazioni locali quella fascia oramai disboscata con la frode, trasportando verso l’interno della foresta la nuova fascia di rispetto. Questa scellerata visione causò un danno rilevante allo stato, contravvenendo ai principi di tutela vigenti all’epoca, operando di fatto una sdemanializzazione di circa 1000 ettari. Qualche autore riconoscendo la buona fede dello Zorzi, che mai si sarebbe sognato di contravvenire alle severe regole imposte a tutela della foresta, ritiene che lo stesso sia caduto nel grossolano errore per il suo buon cuore e per una certa dose di ingenuità o di credulità, prendendo per oro colato le studiate querele e lamentazioni dei rappresentanti comunali presenti. Altri, come Giovanni Maria Magoni, (1830) giudicano invece positiva quella mossa e la considerano dettata da profonda saggezza, non da debolezza o dabbenaggine. Sottrarre interamente i pascoli agli abitanti avrebbe vanificato, a parere del Magoni, ogni misura protettiva dei bosco perché il sostentamento degli animali era essenziale alla sopravvivenza stessa e sarebbe stato perseguito comunque. La concessione del mezzo miglio sarebbe stata assai lungimirante, si sacrificava una piccola parte per salvare il resto della foresta. Queste osservazioni, se giuste da un punto di vita umano, non possono essere accettate da un punto di vista di mero diritto, in quanto lo Zorzi

Il mezzo miglio dopo la caduta della Serenissima L’utilizzo abusivo del mezzo miglio durante il primo periodo dell’I. R. Governo austriaco. L’imperial Regia Presidenza dell’Arsenale Marittimo di Venezia che all’atto di sottomissione delle province venete all’Imperatore Francesco I, di gloriosa memoria, assunse l’Amministrazione generale dei boschi di tarraferma nell’anno 1798, non tardò a prendere dei provvedimenti per tamponare i danni inflitti alla foresta del Cansiglio, a seguito dei torbidi socio politici del primo periodo di dominazione francese, che gravi danni aveva inferto alla compagine boschiva delle foreste venete in generale e del Cansiglio in Particolare. ... Disposizioni impartite dal Governo Italico relative al mezzo miglio. Con Proclama del 18 maggio 1809, portante il Decreto di Napoleone I che attribuiva l’Amministrazione generale dei boschi alla direzione Generale del Demanio, sotto gli ordini del Ministro delle Finanze, per la nostra foresta del Cansiglio iniziò un periodo non certo felice. Ad amministrare la foresta furono inviate persone prive di professionalità specifica, mancanti delle più elementari norme tecniche e a nulla valsero le leggi chiare e ben articolate promulgate dal governo del Regno d’Italia. L’esistenza di una servitù di pascolo su terreni di sicura proprietà demaniale, sotto il particolare nome di mezzo miglio, risultò essere una sorpresa per gli amministratori dell’epoca, per cui il direttore generale del Demanio, Boschi e diritti Uniti, incaricò, con proprio decreto 14 giugno 1809, n. 16440, i «conservatori» dei boschi affinché si procurassero tutti i ragguagli possibili intorno alle concessioni di tali diritti, raccogliendo documenti utili al fine delle indagini. ... Disposizioni relative al mezzo miglio durante l’I. R. Governo del Lombardo Veneto. Il principio professato ed osservato dall’I. R. Amministrazione forestale sotto il governo austriaco nel regno del Lombardo Veneto, a partire dal 1817, fu quello di conservare e difendere quasi con senso religioso il patrimonio boschivo trasmesso dal precedente Governo Italico, impedendo che avvenisse la seppur minima alienazione dei beni demaniali ricevuti in possesso. Conseguentemente non ebbero luogo alterazioni nelle aree concesse ai Comuni tranne nel pascolo delle Rotte che ebbe vicende alterne. ...


I pascoli dall’unità d’Italia ad oggi

non aveva nessun titolo per concedere quanto concesse, non avendo egli ricevuto dal Governo Veneto nessuna delega in merito, e mai avrebbe potuta ottenerla dal Consiglio di Dieci, il cui intendimento non era certo quello voluto o meno dallo Zorzi. Di fatto egli abusò del suo potere, seppur per scopi umanitari. Facendo un riferimento tra la linea di confine tracciata dai Dolfin nel 1653 e quella dello Zorzi si nota chiaramente che quest’ultimo ha, di fatto, sottratto al bosco bandito tutta la superficie compresa tra Pian dell’Erba, Campo di Mezzo e Pizzoc. Non pago dei danni inferti al bosco, lo Zorzi volle, per troppo zelo, confinare anche il mezzo miglio di Farra, Tambre e Polcenigo, permettendo alle Regole di Farra e Tambre di penetrare all’interno del bosco.

Conclusioni Stando a quanto fin qui esposto è facile comprendere l’origine ed il significato del mezzo miglio, eppure dalla Caduta della Serenissima in poi, nessuna Amministrazione dell’epoca ha saputo o voluto definirlo correttamente e sia il Governo di Vienna che quello italiano si lasciarono influenzare dai Comuni ai quali non parve vero approfittare di tale situazione per millantare la magnificenza della Serenissima Repubblica che, a sentir loro, si era manifestata con la concessione del mezzo miglio a salute delle poveri genti. GUIDO SPADA

A seguito delle norme dettate dalla legge 1 novembre 1875 veniva accordata facoltà all’allora Ministero Agricoltura di affrancare i boschi demaniali da qualsiasi «diritto d’uso sia mediante cessione agli utenti a titolo enfiteutico o in proprietà assoluta, di una parte del bosco di un valore eguale a quello che si giudichi competere al diritto d’uso sia mediante un corrispondente compenso in denaro (art. 3)». A seguito di ciò venne portato allo studio della Commissione Provinciale il progetto di affrancazione dei diritti di pascolo del Cansiglio, sia interni che esterni e nel giugno 1877 la commissione stessa fece le seguenti proposte: 1. per le località Pian Cansiglio, Code, Valmenera, Costa di Valmenera, Cornesega, Montagnola Gritti un compenso di lire 242.045,67; 2. per i Mezzi Migli dei Comuni di Farra, Polcenigo, Tambre e Fregona di rendere definitiva l’affrancazione provvisoria stabilita in precedenza fra gli utenti e l’Amministrazione Forestale; 3. per la località Prese non si doveva fare alcuna innovazione trattandosi di un pascolo esterno che non grava propriamente il bosco di nessuna servitù, sebbene sia un appezzamento limitro al bosco stesso. Sullo stesso argomento l’Amministrazione forestale esprimeva quanto segue: 1. per i pascoli di Pian Cansiglio, Code di Pian Cansiglio, Valmenera, Costa di Valmenera, Le Rotte ecc, non adatti ad essere rimboschiti, ci si astenesse per il momento a procedere ad un loro affrancamento; 2. per la località Montagnola Gritti, avendo gli utenti rifiutato di accettare il compenso pecuniario di Lit. 411, si ricorresse in sede di Tribunale; 3. per i Mezzi Migli dei Comuni di Farra, Tambre, Polcenigo e Fregona si rendesse definitiva l’approvazione provvisoria facendo pagare ai Comuni le piante estirpate nell’area da cedere loro; 4. per la località Prese si ricorresse in tribunale, avendo gli utenti rifiutato qualsiasi affrancazione, sostenendo che il diritto è d’uso e non di carattere demaniale. In conformità quindi alla deliberazione del predetto Consiglio Forestale venne abbandonata ogni idea per l’affrancazione dei pascoli interni, men-


tre vennero riprese con i Comuni le pratiche, già da lungo tempo avviate, per la definitiva affrancazione dei diritti di pascolo nei cosidetti Mezzi Migli. … Mezzo Miglio a Polcenigo Il comune di Polcenigo vantava un diritto di pascolo su una superficie pari a ettari 120.05.60, carico stabilito 50 vacche. Con il suddetto comune l’Amministrazione forestale intavolò le prime trattative per l’affrancamento di tale diritto a fine degli anni ’60 ma non furono peraltro condotte a termine. La convenzione provvisoria stipulate tra il Comune di Polcenigo e l’Amministrazione porta la data 27 ottobre 1883. Con tale preventivo accordo si cedeva al Comune di Polcenigo in proprietà assoluta ettari 74.84.54. Non si conoscono le altre condizioni in quanto non fu rinvenuto nessun atto in proposito. Si sa solo che il contratto definitivo non poté venir stipulato stante una lite intercorsa fra i Comuni di Polcenigo e Budoia, quest’ultimo accampava un preteso diritto di proprietà sul mezzo miglio, lite che si protrasse per anni e anni, sino al 1898.

Il definitivo affrancamento del mezzo miglio avvenne con atto 4 agosto 1898, approvato con Regio decreto 11 settembre 1898, registrato Corte dei Conti il 21.10.1898 Reg. 788. In virtù di tale atto i Comuni di Budoia e Polcenigo rinunciavano al diritto di pascolo per 50 vacche su una superficie di mezzo miglio pari a ettari 163.33.40 (162.11.60 dati discordanti). Di contro l’Amministazione forestale cedeva ai suddetti Comuni in assoluta libera proprietà ettari 88.77.30 di terreno affrancato. Per il Comune di Polcenigo tale diritto figurava: Erario Civile e Comuni di Budoia e Polcenigo per Mapp.li 2889, dal numero 3374 al 4378, 4389, 8282. Superficie pertiche metriche 1200,56, Rendita censuaria lire austriache 346,38, pari a lire italiane 299,27. Complessiva superficie mezzi migli affrancati. Dall’analisi testè fatta se ne deduce che i diritti di pascolo di mezzo miglio goduti dai Comuni gravavano su una superficie pari a ettari 962.87.00 che venne affrancata con cessione ai Comuni di ettari 550.67.04 rendendo liberi da qualsiavoglia servitù ettari 412.19.96.


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Lungo la Livenza in bicicletta

Dal luglio 1994 è stata ufficializzata la proposta dell’Associazione Civiltà Altolivenza di un itinerario lungo la Livenza. Grazie anche al Comune di Budoia è stato possibile nel maggio dei 1999 stampare una guida curata da Carlo Favot di cui qui di seguito, si richiama parte della presentazione che risulta illuminante della filosofia di vita che l’iniziativa persegue. Gli stress generati dalla frenetica vita moderna in generale, ed i problemi di inquinamento e traffico in particolare hanno portato ad una maggiore sensibilizzazione nei confronti delle problematiche ambientali. Anche l’organizzazione del tempo libero è stata influenzata dal maturare di questa sensibilità provocando un progressivo spostamento di interessi verso mète localizzate in scenari ambientali naturali. Si va affermando sempre più la ricerca di una vita sana e di ritmi a misura d’uomo ed in un siffatto contesto la scelta della bicicletta come mezzo per vivere il proprio tempo libero si colloca in modo privilegiato. Riscoperto in antitesi all’imperante dominio delle automobili sulle strade, il turismo in bicicletta si sta imponendo anche come stile di vita perché consente un coinvolgimento globale con l’ambiente che si attraversa permettendo di fissare nella memoria immagini, emozioni e ricordi che vanno a far parte dei patrimonio culturale di ognuno di noi. Seguendo il corso della Livenza ci si viene a trovare al di fuori da aree fortemente urbanizzate riuscendo a percorrere stradine secondarie che attraversano luoghi insospettati ricchi di fascino ambientale dove è facile imbattersi ancora in un mondo genuino e sincero. Il filo conduttore è il fiume Livenza inteso non solo come linea direzionale, ma in una globalità che ne comprende i momenti interpretativi più ampi e significativi, va da sé che la scelta delle strade veda privilegiata la logica della natura, anziché quella della circolazione viaria e da ultimo ci si propone di superare lo sterile concetto di moto a luogo per valorizzare quel romantico modo di vedere e di sentire che solo la bicicletta consente e che l’ambiente fluviale liventino ha il suggestivo potere di stimolare. Questa proposta di itinerario è stata fatta propria dalla Provincia di Pordenone che ha predisposto, grazie al solerte e partecipato lavoro dell’Ufficio Tecnico un progetto di massima d’intesa con le Province di Treviso e Venezia ed i 20 Comuni dell’area del Livenza. La parte di itinerario ricadente in Friuli è già stato parzialmente

Schema grafico e sviluppo chilometrico

LOCALITÀ

COSA VEDERE

Sorgenti del Livenza

Ambiente naturalistico

0

Polcenigo

Borgo storico, Interesse ambientale

4

Dardago, Budoia Santa Lucia

Ambiente naturalistico, Borghi storici, Antica Pieve, Chiesetta San Tomè (Dardago), e Santa Lucia al Colle in omonima località

14

Sacile

Centro storico

24

Brugnera

Area del mobile

33

Gaiarine

Area del mobile

36

Portobuffolè

Borgo antico

44

Mansuè

Mutera Castelir, Ambiente naturale

46

Motta di Livenza

Chiesetta di San Giovanni Basilica, Centro storico, Riviera Scarpa

57 59

San Stino di Livenza

Ville Venete

69

Torre di Mosto

Ambiente agricolo

77

Caorle

Stazione balneare, Centro storico Foce del Livenza

97 99

finanziato dalla Regione per circa 1500 milioni per la tratta Budoia-Sacile; la progettazione esecutiva è in corso. Già da solo questo itinerario sarebbe significativo ma vieppiù lo diventa come tassello di una rete internazionale come si sta verificando, in ciò attualizzando una proposta della FIAB (itinerario n. 4). Infatti ci sono intese tra Carinzia e FriuliVenezia Giulia per un riutilizzo della sede ferroviaria dismessa da Villaco a Gemona mentre le Province di Udine e Pordenone sono coinvolte per la medesima e l’una per la prosecuzione da Gemona a Grado/Lignano e l’altra, d’intesa con le Comunità Montane del pordenonese, per un itinerario sulla direttrice della ferrovia Gemona-Sacile. MARIO COSMO (Vicepresidente Associazione Civiltà Altolivenza)

KM PROGRESSIVI


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Festa granda pa’ padre Rito

Grande festa a Santa Lucia per uno dei suoi figli più illustri: padre Rito Cosmo che ricorda con gioia e gratitudine i 50 anni di sacerdozio. Grande e meritata festa, perché padre Rito, sebbene chiamato a svolgere la sua missione in zone lontane dal Friuli è sempre molto vicino con il cuore, a questa terra, alla sua gente, ai suoi valori. Appena si presenta l’occasione egli non se la lascia sfuggire ed è spesso tra noi: per le ferie in agosto, per le ricorrenze importanti, per qualche ritrovo con i coscritti. E per ogni occasione ha sempre pronta una poesia! Il suo legame con i nostri paesi lo dimostra costantemente anche con la assidua collaborazione con l’Artugna. Sempre pronto ad apprezzare il lavoro svolto ma anche ad incoraggiare e a stimolare la Redazione. Molti gli amici, i parenti ed i conoscenti che partecipano alle Sante messe concelebrate – nella parrocchiale e nella chiesetta al colle – e ai momenti conviviali. Alcuni arrivano appositamente da lontano. Padre Rito, con la consueta vivacità, ma con la voce talvolta affievolita dalla commozione, ricorda le tappe del suo cammino, dall’infanzia trascorsa nei cortili e nei campi di Santa Lucia, fino ai nostri giorni. In entrambe le occasioni i presenti possono apprezzare, declamata da padre Rito la poesia appositamente composta e che volentieri pubblichiamo. La Redazione si congratula con il proprio collaboratore per l’importante traguardo raggiunto e gli augura, con l’aiuto del Signore, molti altri anni di feconda attività sacerdotale. Padre Rito celebra con Padre Luigino, don Daniele e don Aldo il suo giubileo sacerdotale.

Thinquant’ani i è passadi Thinquant’ani i è passadi da chel dì che, prete fat, ne la glesia al me paese Messa Granda mi àe ciantàt. E Luigin Da Ros, pì moro da la so Africa tornàt, a ricordo de l’evento al paés el m’ha clamàt. Cussì che da la Toscana fin a ciasa son vegnùt con autista un ex-allievo, che ha pensàt, ma proprio, a dhut. E respire aria furlana, che fa tanto ben al cuor, ricordando cose e fati dei biéi tempi che era alor. Me ricorde nonna Nuta, che in t’el stale ogni matina la curava vàcia e mussa, petenando e dando el fen. Me ricorde de DON NILLO, che vegniva da Sathì1, e ogni an portava i fiòi de la russa Cernobìl. A far festa a dhuti doi l’è el bel organo rivàt, che implenìs la bella glesia e che uncuòi vien auguràt.

In trent’anni de plevàn quanto ben ca n’à1o fat, quanta dhent co le adothioni da pardhùt no àlo idhàt! A leàne nei ricordi vien le ferie e ferragosto, che richiama chièi de fora a tornare ca sul posto. e a salir su pa la riva a la glesia vecia e bella, dal bel verdhe un fià scondudha, ma che resta sempre chela, e che andando via pa ’l mondo, ognun porta dentro al cuor, co persone, cose e fatti dei bei tempi che era allor, quando s’era pi contenti co che poòc che la ne dava una terra suta e magra, che i paesani lavorava. Sarà ben: persone e cose de chèi tempi ricordare, quando col filò a la sera se diséva ància el rosare e ogni magio e ogni ottobre ne la glésia se tornava e el rosare col fioretto dhuti quanti se ciantava! PADRE RITO LUIGI COSMO Santa Lucia di Budoia, 12 agosto 2001


Carità senza confini

I Figli della Consolazione, chiamati anche i Consolatori del Sacro Cuore di Gesù e del Cuore Immacolato di Maria formano una famiglia religiosa alla quale io appartengo. Fondata nella Repubblica Democratica del Congo nel 1997, è composta dai fratelli laici sposati e non, e da una comunità religiosa. È una famiglia molto piccola che tende però a diventare sempre più grande con l’aiuto di Colui che chiama alla Sua sequela. Noi vogliamo portare al mondo e soprattutto alla Chiesa cuori che soffrono insieme a Gesù e a sua Madre, Maria Santissima, i cuori che vogliono stare strettamente vicino a Gesù per fargli sentire che anche noi uomini miserabili e peccatori soffriamo profondamente per il fatto che Egli sta soffrendo a causa dei nostri peccati. Noi provochiamo le sue sofferenze con guerre, bestemmie, bugie, cattiverie, maldicenze... Quindi noi peccatori lo vogliamo consolare, e nello stesso tempo vogliamo anche riparare le ferite recate al suo dolcissimo cuore e al cuore immacolato della sua inseparabile madre, che soffre sempre assieme al suo figlio. Le ferite le ripariamo tramite preghiera e opere di carità. La preghiera, cioè, è il punto centrale della nostra vita. Nella preghiera noi amiamo Dio, Lo consoliamo e ripariamo le offese. Il nostro carisma ci porta anche verso i deboli per alleviare le loro sofferenze. I primi sono i bambini che sono il punto di partenza della nostra strada di carità senza limiti. Noi accogliamo i bambini senza distinzione di tribù, di razza, religione e nazione. La cosa che ci interessa è salvare la Persona che si nasconde nella figura di quella piccola creatura indifesa. A questo scopo lavoriamo in collaborazione con le famiglie, poiché per il momento i nostri bambini orfani sono ospitati nelle famiglie. Noi infatti li sosteniamo lì. La maggior parte di loro è formata da bambini orfani di guerre, oppure si tratta di bambini i cui genitori sono morti a causa della malaria e dell’AlDS. Abbiamo costruito per ora due dormitori, con annessa cucina, sala da pranzo e due piccole stanze. Questo lavoro lo abbiamo fatto grazie alla generosità di tutti. Mancano ancora le porte, le finestre, il tetto e qualche rifinitura. La parte della congregazione che sta in Africa ha ringraziato Parrocchia di Sant’Agostino di Pordenone, per il suo grande contributo che ha permesso la costruzione di un ambulatorio e l’acquisto di una fotocopiatrice che permette un guadagno mensi-

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le di circa 80.000 lire. Hanno ringraziato anche i ragazzi delle Parrocchie di Budoia, Dardago e di Santa Lucia che hanno fatto la cresima, tramite un fax mandato al parroco di Dardago-Budoia don Adel Nasr, per il contributo di L. 125.000. Ringraziamo continuamente tanta gente di buona volontà per il sostegno offerto, perché se la comunità continua ad operare lì, è grazie a voi. Così ringraziamo anche il gruppo del Rosario Perpetuo di Budoia per il suo fedelissimo contributo mensile. «Tout fait nombre» diceva La Fontaine. A nome della mia congregazione ringrazio tutti quelli che fin d’ora hanno aiutato i bambini dell’Africa. A dire la verità la nostra Congregazione è nata con il vostro aiuto. Il nostro è un lavoro molto difficile in quanto vi è la grande responsabilità di provvedere alla vita di più di 250 bambini. Noi, però, non ci scoraggiamo, siamo determinati e fermi, il nostro traguardo è vedere i bambini cresciuti e bene. In Italia vogliamo continuare ad operare con i bambini, ma in ottica diversa. Ci vogliamo occupare di quei bambini, i cui genitori non possono pagare le rette di un asilo nido privato o che non trovano posto nell’asilo nido comunale. Il nostro scopo è quello di dare l’opportunità ai genitori di lavorare occupandoci dei loro figli. Il mio lavoro in parrocchia a Budoia è quello di essere sempre a disposizione di quelli che hanno bisogno di me, chi vuole sa sempre dove trovarmi per qualche motivo io possa esser utile: con le preghiere, con il lavoro e con la compagnia. SUOR ALBERTINA


La vôs del mede

25 La vôs del mede è la rubrica curata da medici del nostro Comune che desiderano dare, ai nostri lettori, informazioni e consigli utili sulla salute.

La rubrica «La vôs del mede» esce in questo numero in modo insolito, non con i consueti consigli e suggerimenti del nostro competente collaboratore dr. Adore, bensì con il benvenuto alla dott.ssa Daniela Fort, concittadina conosciuta e stimata anche dalla comunità di San Giovanni, luogo in cui presta servizio come medico di base, da alcuni anni. Il saluto è portato da Fabrizio, amico sincero de l’Artugna e di Daniela. Accogliamola con un «in bocca al lupo!» e affidiamo la preziosa salute delle comunità a lei e al dr. Adore, altrettanto apprezzato medico di base del territorio da diversi anni. Complimenti ancora a Daniela e auguri di sereno operato tra noi. LA REDAZIONE

In bocca al lupo, Daniela! Sempre difficile spendere due parole su qualcuno. Soprattutto quando non si tratta di un epitaffio o di un encomio a fine carriera. Proviamoci comunque con buona pace degli altri amici, dei nemici – caso mai ce ne fossero – ed ovviamente dell’interessata. Scuola elementare di Santa Lucia. Dodici alunni tra I, II e III in quell’anno scolastico 1969/70 che è anche l’ultimo ad ospitare gli scolari prima che tutti i bambini del comune passino a frequentare la sede di Budoia. In cattedra c’è Armando, maestro del suo paese, che ad una dei dodici, oltre a tabelline, storia e geografia, insegna qualcosa che agli altri sfugge e nemmeno lei in quel momento è consapevole di imparare. Le insegna ad essere «del suo paese». Che, in altre parole, significa svolgere la tua professione tra la gente che ti ha visto e che hai visto crescere. Maestro, prete, medico del tuo paese. Una fortuna che non tocca a tutti, ma anche un grande impegno, una grande fatica nel distinguere la tua dimensione familiare e da quella comunitaria ben più ampia. Una fortuna perché puoi camminare nella storia della tua gente. Tra quanti oggi e nel futuro dovrai curare troverai i compagni di scuola e i loro figli. Le nonne degli amici e le amiche di mamma. Incontrerai le loro gioie e le loro ansie. Scoprirai il gusto di parlare con chi pensavi non fosse così simpatico, le paure di chi si dimostrava così sicuro di sé, il coraggio nell’affrontare la vita di qualcuno che sembrava molto timido.

Una scuola di vita che ti arricchirà maggiormente di quanto abbiano fatto le dispense che hai dovuto leggere nel corso degli anni. Ma sulla strada di questo privilegio dovrai fare i conti col dolore, spesso di chi conosci molto bene; un cammino durante il quale non sempre potrai trovare con facilità il necessario distacco per lavorare e ponderare con la giusta serenità. Il mio ovviamente è un augurio speciale, da compare, nonché mutuato a distanza, ma che in questo momento vuole farsi interprete del sostegno e dell’incoraggiamento di quanti ti hanno amica e di quanti ti hanno medico. Lontano dal poterti dare consigli professionali ti ricordo cose che sappiamo entrambi e che credo in buona parte siano state una palestra per quello che oggi devi affrontare. Quando sarai stanca, scoraggiata o avrai poca voglia di ridere ricorda la fatica spesa sui libri e nello studio, le corse in reparto e quelle per

non perdere il treno tra Padova e Mestre, la costanza durante tutti gli anni in cui ti sei preparata a quanto oggi sei chiamata a svolgere. Ricorda la gratuità che abbiamo imparato in tanti anni di coro, di presepi e raccolte carta in parrocchia. Ricorda le risate – e ne abbiamo fatte tante – delle giomate e serate trascorse con gli amici. Ti servirà a rinnovare le forze e la volontà nell’affrontare il lavoro. In bocca al lupo, Daniela! FABRIZIO FUCILE


’N te la vetrina

Anni 1935-1936. Un gruppo di budoiesi, ritratti davanti al caffè Lacchin Bof, ex cooperativa, edificio che lasciò spazio, nel ’60, all’albergo Da Renè. Sulla facciata è ben visibile la vecchia segnaletica stradale che include in un unico segnale sia il nome della località, ovviamente in provincia di Udine con la rispettiva altitudine (139 m), sia l’indicazione della direzione per Aviano (6 km) e per Maniago (23 km). In piedi, da sinistra: Andrea Sanson (Andreuta Pasqual), Giuseppe Panizzut (Bepi Furbo), Emilio Carlon (Milio Burigana), Fausto Lacchin (Bof), Ines Nadin Lacchin (Bof), Eugenio Carlon (Genio Burigana), Pietro Lacchin (Bof), Andrea Panizzut (Scussat). Accucciati, da sinistra: Alcide Sanson (Pasqual) i fratelli Marco e Riccardo Panizzut (Donisio), Ruggero Carlon (Fassiner), Nadia Lacchin (Bof). Non sono stati riconosciuti i due a lato della fotografia con il cappello in testa. (Foto di proprietà di Noemi Alberta Panizzut Boschin)

30 aprile 1938. Alunni di Budoia e di Santa Lucia con la loro maestra Maria Scalari. Prima fila in basso, da sinistra: Silvana Steffinlongo, Caterina Carlon, Maria Zambon, Ermenegilda Fort, Maria Panizzut, Onelia Mezzarobba, Rolanda Burigana, Rita Varnier, Bruna Puppin, Teresina Puppin, Angelina Besa, Liliana Del Maschio, Maria Zambon. Seconda fila, in ordine sparso: Costantino Zennaro, Antonio Soldà, Giovanni Besa, Patrizio Rosa, Giuseppe Lachin, Serafino Lacchin, Umberto Del Maschio. Terza fila: Domenico Fregona, Giosuè Renato Del Maschio, Giuseppe Carlon, Nello Sanson, Renzo Panizzut, Ferruccio Zambon. (Foto e ricerca di Elda Del Maschio)

Anni ’20. Famiglia budoiese. Marina Sanson (Gigia Pasquala) e il marito Alfredo Del Maschio (Fredo Besut) con la loro figlia Argia, morta all’età di 12 anni. (Foto di proprietà di Elda Del Maschio)


Anni ’20. Famiglia dardaghese a Venezia. Romano Zambon del Biso con la moglie Silvia Zambon Colus e le figlie Maria e Adelia, quest’ultima deceduta tragicamente a Venezia all’età di 19 anni per lo scoppio di un residuato bellico. (Foto di proprietà di Rosalia Bocus Ciuti)

23 novembre 1946. Matrimonio di Rosina Vettor Cariola con Camillo Bastianello Thisa. La sposa è accompagnata dal fratello Agostino; alle spalle si nota lo sposo. Sullo sfondo, la ciasa de Moreal porta i segni dell’incendio ad opera delle truppe tedesche. (Foto di proprietà di Adelaide Bastianello Thisa)

Budoia, 11 settembre 1928. Giuseppe Del Maschio Fantin con la moglie Elena: un’immagine cara al nipote Pietro. (Foto di proprietà di Pietro Del Maschio)

Ermido Zambon del Biso al lavoro in un locale della nota stazione sciistica di Gastaad (Svizzera), nel 1957, con alcuni amici dardaghesi, Luigia Janna Tavan con il marito Sauro Vettor Muci e Marino Zambon Cep. (Foto di proprietà di Marino Zambon. Ricerca di Giovanni Bufalo)


Pierre, un campiòn de rallye Da la faméa de Simòn al è vignùt fora un campiòn

La nostra, si sa, è stata per lunghi anni terra di emigrazione. Intere famiglie lasciarono questi paesi alla ricerca di un lavoro. Tra queste, anche la famiglia Ianna Simon. Da informazioni raccolte dai fratelli Valentino e Vincenza, figli di Osvaldo Ianna Simon, apprendiamo che, prima della guerra 1915-18, i fratelli Giuseppe e Osvaldo Simon partirono alla volta degli Stati Uniti in cerca di una miglior situazione. Prima arrivarono a Boston e poi si diressero in California. Anche la moglie di Osvaldo, Luigia, doveva partire, con i figli Costante e Vincenza, ma l’avvento della guerra mandò a monte i loro piani. I due fratelli rientrarono dopo 7 anni e, nel 1922, ripartirono per la Francia accompagnati dall’altro fratello Umberto e da Costante, figlio di Osvaldo. Giuseppe, il fratello maggiore, portò con sé la moglie Teresa ed i figli Pietro, Mario ed Anna: prima ad Annecy e poi ad Annemasse nell’Alta Savoia. Quest’ultima è una ridente cittadina in fondo alla bella e verde vallata che scende dalle pendici del maestoso Monte Bianco fino ai confini della Svizzera, a Ginevra e al suo lago. La vallata è caratterizzata dagli chalet in legno con i balconi fioriti. In questa città hanno dimorato numerose famiglie provenienti da Dardago e da Budoia. Ricordo che nel periodo in cui anch’io lavoravo ad Annemasse, vi risiedevano oltre ai Simon, i Ciampaner, i Theco, i Bocus, gli Zambon Pala, Curadela, Pinal Riveta, Tarabin, Biso, Vialmin, Marin, Petol, i Santin Tesser, i Bocus Frith, Ciuti, i Puppin Freal, i Carlon. Ci vivevano anche famiglie di Castello, Villotta, Aviano e Marsure. Riprendendo la storia dei Simon, Osvaldo e Umberto rientrarono in Italia, mentre Giuseppe rimase con la famiglia. Rimase in Francia anche Costante. Pietro, figlio di Giuseppe, sposò Rosa Rigo Barisel ed ebbero due figlie: Rita e Liliana. Liliana sposò il Signor Colard, appassionato pilota di rally ed ora manager nello stesso ambito sportivo. Nel 1972 nacque Pierre. Dopo la maturità, Pierre si specializza in Design ed apre uno studio a Ginevra dove abita. Nello stesso tempo pratica lo sport automobilistico, sia sui circuiti di ghiaccio che nel rally su terra. Inizia le gare nel 1988 coi go kart. Nel 1994

passa al rally con una Peugeot 106, poi con una 306 Maxi E. 2 al Campionato di Francia e al San Remo. Nel 1997 partecipa a sei manche del Campionato del Mondo (Portogallo, Spagna, Corsica, Grecia, Finlandia, San Remo) con una Subaru WRX Gr.A e al Trofeo Andros e alle 24 Ore su ghiaccio di Chamonix con una Peugeot 306 Maxi S16 Turbo. Nella gare su ghiaccio, dal ’91 al ’99, è vincitore nella categoria «meno di 2 litri». Nel 1999, Pierre arriva terzo a Chamonix ed è vice campione di Francia dei Rally su terra con una Subaru WRX Gr.A. Al Campionato del Mondo su ghiaccio (Chamonix, Canada, Germania, Finlandia) si classifica al 3° posto con una Peugeot 206 WRC. Nel 2000, Pierre è campione di Francia dei Rally su terra al volante di una SEAT Cordoba XRC. Ulteriori informazioni sulla attività di Pierre si possono trovare sul sito internet: www.pierre-colard.com ESPEDITO ZAMBON in collaborazione con Liliana Ianna in Colard

Pierre nei momenti del trionfo in Provenza.


Intorvìa la tóla

di A cura ello Bastian ta li e M e e id Adela

La thùcia potassio, fosforo e magnesio. Dal colore giallo emerge la presenza di Betacarotene sostanza che contrasta i radicali liberi e rallenta l’invecchiamento. È da consigliare per i suoi effetti ricostituenti, sedativi e lassativi è infatti ottima per combattere le malattie dei reni, dell’intestino, del cuore e del sonno.

La zucca è tra le verdure più saporite e più ricche d’acqua. Ne contiene infatti il 94%. Il suo maggior pregio dal punto di vista nutritivo sta nella ricchezza di vitamina A, benefica per gli occhi e la pelle. Contiene anche sali minerali in quantità: calcio,

Risoto co’ la thùcia

Risi e late co’ la thùcia

Ingredienti per 4 persone 280 g di riso 350 g di zucca una noce di burro 70 g di formaggio grattugiato brodo di carne (il doppio del riso)

Ingredienti per 4 persone 180 g di riso 300 g di zucca 1 litro di latte 50 g di formaggio grattugiato

Preparazione Mettere la zucca a cuocere in poca acqua salata per circa 20 minuti dopo averla tagliata a pezzi piccoli e averne eliminato la buccia ed i semi. A cottura ultimata scolarla e farla raffreddare. In un tegame far rosolare un po’ di cipolla nel burro. Appena la cipolla imbiondisce aggiungere il riso e farlo tostare qualche minuto. Unire quindi la zucca precedentemente schiacciata con la forchetta o passata al setaccio e amalgamare il tutto. Versare il brodo un poco alla volta fino a terminare la cottura, dopo circa 15 minuti. A cottura ultimata, unire il restante burro e mescolare. Terminare con una manciata di formaggio grattugiato.

Preparazione Eliminare la buccia della zucca, tagliarla a pezzetti e metterla a cuocere per 15 minuti in pochissima acqua (la zucca deve appena essere coperta). A cottura ultimata, passare la zucca a setaccio o schiacciarla con una forchetta riducendola ad una purea, aggiungere il latte e portare il tutto ad ebollizione. Unire il riso e cuocere per 10 minuti. Servire cospargendovi sopra una manciata di formaggio grattugiato.

Alcuni mettono insieme zucca, riso e brodo nel tegame a freddo, mescolando e amalgamando bene il tutto. Il procedimento successivo ed il tempo di cottura è uguale per entrambe le versioni.

. e da sola na anch o u b è la sa che angiar soliti m e e gusto rla li erano nte dolc o e c e mette ic e lm p tt ta aè che da cca a fe u rla ta z e n c o La zucc la o c u c e a tagliar iunta. C ma mi r ce: … « una agg li s La mam p , s a e m n e id s b a senz molto rà mor nte così in modo ando sa pliceme ca e qu m e ir s c , ti o u n in in for er 20 m suo caldo p altare il na a forno e per es h c liva e u o to i d . ta » n o servirla a racco lo d’oli h fi i n m u o e n nger Qualcu uò aggiu nso si p te in e r sapo le. ta di sa mancia

lta... Una vo


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L’angolo della poesia

Il giorno di Dardago

Crode

Ho sognato di te nel nido del cuore un infinito giorno d’amore

Crode dei miei paesi, che l’intemperie e il gelo staccaron dalle rocce, che s’àlzan verso il cielo,

vedendo il sole delle Alpi rosso d’aurora e d’emozione dipinto all’alba sul tuo volto sorgere dai confini del cielo dalle colline di DARDAGO luoghi cari alla tua infanzia. Corre il treno al tramonto con i miei pensieri veloce sulle ali della speranza. A.M.

Ti farò regina Bionda valkiria e dea come nordica stella nelle brume di San Tomé tu sei.

e da Val Granda lente scendeste piano piano sul letto de l’Artugna al sottostante piano! Quasi celeste dono còlservi i nostri avi e con saggio lavoro v’érsero a mura, e travi su voi posaron, tolti da’ boschivi pendii e fur sicuri nidi per dei lor cari i volti.

Una bianca collana, tu la perla, ti farà regina, cinto il collo dei miei pensieri. A.M. Poesie trovate e fatteci pervenire dalla signora Clelia Zambon.

Crode de la Val Granda, un dì giacenti inerti, qual vita a voi donàron forti artigiani esperti! Amor, costanza e fede cambiàr le rocce dure in vita ancor parlante a le genti future! PADRE RITO LUIGI COSMO

Nel cuor d’ogni dimora, con crode i focolari sorgon, tepor e affetto òffrono ai propri cari. E un dì, lì attorno accolti, dopo la parca cena, snodavan al ciel rosari, quasi pia cantilena.

Bella ed altera fiera d’orgoglio e vestita di luce.

Ma le crode più belle, con maestria sottile, vengono scelte e poste su l’erto campanile, che, qual pastor, le pécore con scampanio raduna e al cimiter, infine, séguele ad una ad una.

A gruppi avrie case cìngonsi a girotondo: dentro portoni arcati chiùdesi piccol mondo. A vari snodi e incontri s’àprono in campicelli e le forti pareti schiùdonsi in capitelli. E quasi pio rosario su strade allineate, attorno alle loro chiese sembrano accoccolate. S’érgon le chiese in mezzo, e dentro gli ampi tetti sembran accôrre insieme dei focolar gli affetti.


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Lasciano un grande vuoto...

Ciao, Riccardo In un tragico incidente avvenuto sulla strada denominata della Comina, che da Roveredo porta a Cordenons, perde la vita il ventenne Riccardo Zambon mentre si reca a scuola. Il padre di Riccardo è il nostro compaesano ing. Valerio Pala. Affranta per il triste fatto la Comunità di Dardago porge alla famiglia le più sentite condoglianze. I funerali si svolgono nella Chiesa di Roveredo, paese dove risiede la famiglia, con la partecipazione commossa di numerosi amici dardaghesi. Riccardo era molto inserito nella vita della Comunità. Partecipava all’attività dei gruppi dell’oratorio, del campeggio ed era iscritto alla sezione locale dei Donatori di Sangue.

Grande sensibilità e dignità... Lunedi 3 dicembre, dopo lunghe e atroci sofferenze sopportate con grande dignità, la zia Santina cessava di vivere. Poco prima di spirare, ha chiesto alla sorella di recitare con lei una Ave Maria: quale migliore testimonianza della grande devozione che aveva per la Madonna e di come cristianamente sia vissuta. Un profondo legame la univa a mia madre, un legame fatto di amore, ma anche di dolore per le tragedie che la loro famiglia aveva vissuto: i fratelli Agostino e Costante dispersi in Russia, la malattia e la morte del fratello Luigi, le sofferenze dei loro genitori erano sempre presenti nei loro ricordi e nella zia in particolare avevano lasciato un segno profondo. La ricordo nelle cerimonie in memoria dei caduti o degli alpini: una lacrima rigava sempre il suo volto. Non ha avuto la gioia della maternità, ma ha saputo essere moglie fedele e premurosa: ha riversato tutto il suo amore e la sua grande sensibilità a quanti le stavano vicino, alla casa, al lavoro, alle piccole cose di ogni giorno. Schiva e riservata, non ha mai cercato la prima fila, non ha ostentato ma ha sempre dato la propria disponibilità alla parrocchia, al Gruppo Famiglia e a quanti cercavano il suo aiuto: ha

dato senza nulla chiedere. Ai funerali la chiesa gremita, il suono dell’organo che tanto amava, il coro di cui faceva parte e di cui era una delle voci più belle, i celebranti hanno voluto essere testimonianza viva di quanto preziosa e cara fosse la zia Santina per la nostra comunità. P. J.


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Cronaca

DARDAGOSTO 2001

Anche quest’anno in occasione della tradizionale festa dell’Assunta, il Comitato Festeggiamenti, oltre alle serate del torneo di calcetto e di ballo per giovani (e non) organizza, come ogni anno, una mostra nelle sale della Scuola Materna, (gentilmente concesse dall’Amministrazione Comunale di Budoia) sia sulla pittura astratta del pittore Saon di Sacile che paesaggistica del pittore Bortoluzzi di Polcenigo raffiguranti la nostra pedemontana. La signora Rosanna Santin Minguzzi di San Giovanni di Polcenigo prepara un grazioso angolino di statuine in ceramica di pregevole fattura modellate e dipinte da lei stessa. Diversi sono i soggetti, come il presepe, il calzolaio, il barbiere, l’ubriaco dal naso paonazzo, i vecchietti attorno al caminetto acceso, i giocatori di carte e così via. Il signor Angelo Michelin di Sacile – ormai noto a Dardago per la sua costante presenza d’amicizia nella nostra comunità (sia per i diversi lavori eseguiti nell’arco degli anni, sua per alcune opere scultoree donate) – quest’anno, su invito, espone un capo di Cristo, una colonna con fregi e fiori, delle targhe con leoni, una possente aquila ed alcune teste di fanciulle in meditazione in marmo, in pietra e in legno. Pregevole una statua lignea raffigurante Afrodite. A completamento della mostra alcuni attrezzi d’altri tempi ed utensileria da cucina nonché una stampa dell’albero genealogico dei Savoia del settecento. A tutti un sentito grazie ed un arrivederci alla prossima.

La parrocchia ringrazia anche i numerosi collaboratori che si impegnano per la riuscita delle varie relizzazioni. In questo numero si vuol ricordare i tanti collaboratori della pesca di beneficenza.

GRATHIE! DOE GRANDE FESTE Un sentito grazie ed un plauso a Raffaele Zambon Momoleti per la sua costante solerzia e buona volontà. Recentemente ha riparato l’altare del Cimitero e la porta del campanile, ha provveduto alla tinteggiatura oltre che di questi lavori anche del portale e delle porte laterali della Chiesa.

Il parroco emerito don Alfredo Pasut ha tagliato, nello scorso giugno, il traguardo del sessantesimo anniversario di vita sacerdotale, ricordato durante la solenne Messa cresimale in DuomoConcattedrale di Pordenone. Una rovinosa caduta, con rottura dei femore lo hai poi costretto ad una

Opere esposte durante il Dardagosto.


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degenza presso l’ospedale di Maniago e successivamente è stato trasferito presso la Casa del Clero di San Vito al Tagliamento, ove, don Adel, accompagnato da alcuni parrocchiani gli ha fatto visita. Don Alfredo ha molto gradito questa visita e nonostante i suoi 88 anni, il fisico sempre più asciutto, ha riconosciuto tutti, augurando al suo successore di fermarsi a Budola per tanti anni, «come me» ha detto con una punta di commozione. Gli rinnoviamo, di cuore, l’augurio di ogni bene. * * * Padre Venanzio Renier, anni 92, cappuccino, combattivo Vice Postulatore della causa di beatificazione del friulano padre Marco d’Aviano, è stato invitato a Budoia, nella Festa di Cristo Re, per ricordare il traguardo dei settant’anni di Messa. Arguto e brillante, l’indomito frate, nativo di Chioggia, viene volentieri a Budoia, ove lo lega la lunga amicizia con Monsignor Signora, ma anche con la Comunità, cui presta servizio di cappellano festivo quando impedimenti pastorali tengono lontano don Adel. Padre Venanzio ha ringraziato dell’invito e dell’icona che il Parroco gli ha donato come augurio di pace, di bene, in salute e di ringraziamento per il lungo servizio a Dio nella Chiesa.

Sopra: cerimonia per i 70 anni di Messa di padre Venanzio Renier. (Foto di Antonietta Torchetti)

MARIO POVOLEDO I neo cinquantenni in festa e l’artistco piatto ricordo.

I È THINQUANTA

Cinquant’anni sono una tappa importante e i coscritti del 1951 del comune di Budoia non perdono l’occasione per ritrovarsi. Il 17 novembre, un buon numero di neo cinquantenni, accompagnati dai rispettivi consorti, si danno appuntamento prima in chiesa, a Dardago, per la Santa Messa di ringraziamento e quindi in un noto ristorante della zona per passare alcune ore in spensierata allegria. La serata, allietata da una bravo musicista, offre anche l’opportunità di rivedere coscritti che abitano in altri paesi o città. In occasione della riuscita festa, una offerta viene devoluta in favore di un’associazione benefica.


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4 NOVEMBRE

In occasione dell’anniversario della Vittoria, giornata dell’Unità d’Italia e delle Forze Armate, si è svolta a Santa Lucia di Budoia la cerimonia ufficiale commemorativa. Alle ore 9.30 presso il Monumento si sono radunati il Sindaco di Budoia con gonfalone, le rappresentanze delle Associazioni d’arma, Alpini, Combattenti e Reduci, Associazioni di Volontariato, Donatori di Sangue con rispettivi stendardi, l’Appuntato dei Carabinieri Schiavon, in rappresentanza del Comando Carabinieri di Polcenigo, il Parroco don Aldo Gasparotto e la popolazione. Totalmente assenti gli alunni delle scuole, mancanza, questa, grave, considerata l’importanza dell’avvenimento, che cade in un momento grave dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre e la crisi internazionale che ne è seguita; le giovani generazioni devono ricordare per non dimenticare. Dopo l’alzabandiera e la deposizione della corona d’alloro, il Col. dr. Mario Ponte ha tenuto un discorso, che riportiamo sotto, seguito dall’allocuzione ufficiale del Sindaco. Durante la Santa Messa si è pregato per il riposo eterno dei Caduti e per la pace nel mondo. La giornata si è conclusa presso il centro AUSER di Santa Lucia, ove gli anziani hanno predisposto un signorile rinfresco offerto dal l’Amministrazione Comunale. MARIO POVOLEDO

Amici, permettetemi di dire due parole poiché credo di avere il diritto-dovere di farlo. Diritto, perché su quelle lapidi avrebbe potuto esserci anche il mio nome; Dovere per l’obbligo morale di ricordare quanti non sono tornati. Quindici giorni fa sono stato sul Don, nei luoghi nei quali era dislocata l’ARMIR e dove sono stato ferito e fortunosamente raccolto quasi esangue da alcune donne russe che mi hanno salvato. Lo scopo del mio avventurosissimo viaggio era principalmente quello di cercare se ancora vivevano le mie salvatrici: purtroppo erano decedute. Ho rivissuto la tragedia dei nostri soldati ed ho ripercorso con la memoria quelli che ho visto morti sparsi qua e là nella steppa gelata: quelli

che si trascinavano barcollando, esausti, protesi in avanti verso quella che ritenevano la direzione della salvezza ed alla fine cadevano con la faccia sulla neve gelata e le braccia allargate come dei crocifissi abbattuti. Se io non ho fatto quella fine lo devo alle mie ferite, che mi hanno bloccato a duecento metri dalle isbe, dalle quali sono uscite le mie salvatrici. Oggi è il giorno della memoria e mi rivolgo particolarmente alle giovani generazioni, perché non dimentichino i nostri morti, che si sono sacrificati anche per dare loro un avvenire di pace e prosperità, pace del cui valore nessuno può conoscerne la portata, come noi che abbiamo vissuto la tragedia della guerra. MARIO PONTE

In alto: gita a Roma dei coscritti del 1940 dal 27 al 30 settembre 2001. (Foto di Antonietta Torchetti) Sopra: i coscritti del 1931 si ritrovano il 30 agosto 2001 per festeggiare il loro settantesimo compleanno. (Foto di Luigi Zambon)


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PRO LOCO

Balletti a Villa Manin L’Associazione Regionale fra le Pro Loco del Friuli-Venezia Giulia organizza mercoledì 22 agosto un importante momento di aggregazione per i Soci e i loro famigliari a Villa Manin di Passariano. Anche la Pro Loco di Budoia ha aderito all’iniziativa con più di 50 partecipanti. Nella splendida cornice dei cortili interni dell’incantevole dimora dogale, assistiamo ad uno straordinario evento di folklore cosmopolita. Con danze, canti, musica e suggestioni provenienti dalla Cina e dal Cile, si esibiscono compagnie riconosciute a livello mondiale: il Gruppo di canto e danza della Provincia dello Shaanxi porta dalla Cina lo splendore dell’illustre dinastia Tang (618-907) presentando uno spettacolo stupefacente e meraviglioso, in cui realtà e fantasia, storia e leggenda, teatro, musica e danza si fondono intimamente per far riscoprire la grazia e la freschezza dell’anima cinese ed i fasti delle grandi civiltà, che di volta in volta hanno regnato su quel lontano Oriente. Accanto ad esso, il Balletto Folklorico «Bafochi», con più di 400 costumi ed una quarantina di strumenti musicali (a corde, a fiato, a percussione) presenta il Cile in tutta la sua ricchezza e varietà, facendoci sognare ad occhi aperti le meraviglie del deserto di Atacama, del Polo Antartico, dell’Arcipelago Chiloè fino all’Isola di Pasqua. Funghi strani protagonisti La Mostra Micologica già da 34 anni è la colonna portante della Festa dei Funghi e dell’Ambiente. Proprio per questa longevità essa non solo è diventata un punto di riferimento per i sempre più numerosi appassionati di micologia, ma costituisce anche un’interessante attrattiva per tutti coloro che sono animati da semplice curiosità. Infatti si ha la certezza di non rimanere delusi: sono più di 400 le specie, corredate di cartellino identificativo e notizie sulla commestibilità, che vengono esposte nei due fine settimana, tutte appositamente raccolte pochi giorni prima. Soggetto della sezione speciale quest’anno sono i funghi strani, cioè quegli esemplari caratterizzati da sembianze e colori tali da evocare gli oggetti più disparati. La cosa più sorprendente è che questi funghi, a forma di lanterna, di stella, di

gabbia (solo per fare alcuni esempi), non sono rare specie esotiche, ma, all’attento osservatore, si possono presentare anche nei nostri boschi. Sant’Andrea el porc su la brea A Budoia da alcuni anni riscontra un successo anche superiore alle iniziali aspettative la tradizionale festa «Sant’Andrea, el porc su la brea», organizzata in occasione del Patrono del paese. Questa riscoperta delle tradizioni interessa anche persone esterne al paese, e sono sempre più numerosi coloro che si riuniscono in piazza ad assaggiare la gustosa porchetta. L’iniziativa deriva da un’antica usanza dei nostri vecchi, che in questa stagione uccidevano il maiale, per farne insaccati da stagionare durante l’inverno. Proprio dalla saggezza popolare, dettata dall’esperienza consolidata nel tempo, deriva il proverbio in dialetto locale «Sant’Andrea, el porc su la brea», che sta a significare che con l’arrivo della ricorrenza del patrono, è giunto il tempo di uccidere il maiale (el porc); il tavolaccio dove avveniva la macellazione era appunta la «brea». Concerto dell’8 dicembre Un altro appuntamento che ormai è diventato una tradizione a Budoia è il concerto dell’8 dicembre, Festa dell’Immacolata. Anche quest’anno la manifestazione è organizzata dalla Pro Loco, in collaborazione con l’Istituto di Musica della Pedemontana, Comune e Parrocchia. Sono protagonisti della serata i due cori dell’ Associazione Musicale Corale Contra’ Camolli, che comprende il coro Giovani Del Contra’ di-

È ormai tradizione festeggiare con la Pro Loco la sagra di Sant’Andrea. (Foto di Antonietta Torchetti)


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retto da Roberto Brisotto e il coro Contra’ Camolli (voci virili) diretto da Loris Varnier. Aprono la serata gli uomini, facendo ascoltare al pubblico canti popolari che hanno accompagnato le vicende del nostro paese nel secolo scorso. I giovani invece si impegnano in due brani rinascimentali e in alcuni spirituals. Le due formazioni si uniscono poi per un augurio di Buon Natale in musica. Al termine il presidente dell’Istituto di Musica della Pedemontana consegna una targa a Loris Varnier, allievo della scuola. Il sindaco Antonio Zambon loda la collaborazione tra giovani e adulti all’interno dell’associazione di Camolli, e anticipa che il 2002 sarà l’anno dei giovani e della montagna: a questo proposito il comune di Budoia dedicherà ai giovani il Col Cornier. Prossimi appuntamenti... Per la Pro Loco, l’anno che si conclude, ricco di gite, spettacoli, mostre e feste, non può essere festeggiato in una maniera più appropriata che con la Festa in Fameja: anche quest’anno il 31 dicembre c’è il cenone con i soci della Pro Loco, aspettando il Capodanno 2002, tra piatti tipici, musica e l’immancabile tombola. C’è già un appuntamento con la Pro Loco nel 2002: il 25 gennaio 2002 si andrà a Milano per la mostra a Palazzo Reale su Picasso e, per chi lo desidera, per ammirare le donne di Toulose Lautrec; per l’occasione si visiteranno anche la Pinacoteca di Brera, il Duomo e il Castello Sforzesco. Gli interessati possono telefonare ai n. 0434.653244 o 654171.

BUDOIA SENTHA POSTA?

L’anno 2001 si chiude con Budoia senza ufficio postale. La vecchia sede della posta, infatti, viene demolita assieme a tutto il complesso del bar ristorante da René e l’Amministrazione delle Poste, sebbene abbia da tempo ricevuto lo sfratto, non è stata in grado di trovare una sede alternativa. Conclusione: l’ufficio postale di Budoia viene trasferito a Santa Lucia. «Quale sarà il futuro delle poste nei nostri paesi»? Il sindaco Antonio Zambon, da noi interpellato, si dichiara amareggiato e contrariato per l’atteggiamento delle Poste che dimostrano di non avere un progetto definito in merito alla situazione di Budoia. L’Amministrazione comunale si è mossa più vol-

te per cercare di risolvere il problema, ma sempre senza risultato. Non si sa, infatti, quando e dove riaprirà l’ufficio postale di Budoia e, per inciso, non si sa quale sarà il destino degli uffici di Dardago e di Santa Lucia, attualmente aperti a giorni alterni.

ANCJA STO AN: GRATHIE

Il 25 novembre gli agricoltori del comune di Budoia si ritrovano per la Festa del Ringraziamento: ogni anno la comunità ringrazia Dio per i «frutti della terra e del lavoro dell’uomo». Questa è anche l’occasione per festeggiare i nostri contadini, paladini di uno dei lavori più antichi e nobilitato da numerosi passi del Vangelo. È incoraggiante vedere tra i nostri coltivatori diretti anche delle facce giovani: congratulazioni e... grazie a Dio!

UNA MIÈL DA RECORD

Il miele delle nostre colline è veramente eccezionale. Così è giudicato dagli esperti che l’hanno premiato in vari concorsi. Il merito di tutto ciò va alle api e al sapiente lavoro di Florio e Fiorina Bernardis che da anni dedicano tanta cura e amore all’apicoltura. Anche «la nostra mièl» può entrare tra i prodotti tipici della Pedemontana. E come tale si me-

Una rappresentanza dei Coltivatori Diretti del Comune il giorno della Festa del Ringraziamento.


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rita un posto d’onore anche alla Festa dei Funghi e dell’Ambiente durante la quale centinaia di visitatori possono capire i segreti di questa meraviglia della natura e hanno modo di gustare le ottime varietà di miele prodotte.

PA’ TELEFONÀ MEIO

Sono in corso, sulle pendici della collina, nelle vicinanze del cimitero di Budoia, i lavori per la costruzione dei ripetitori GSM per rendere migliore il segnale del servizio radiomobile Tim ed Omnitel. L’utilizzo dei telefonini, piccola rivoluzione dei questi ultimi anni, nella nostra zona non era molto agevole e si sentiva la necessità di migliorarne il servizio. Dopo i controlli effettuati dall’ ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente), il consiglio comunale, all’unanimità, si è espresso a favore di questo progetto.

SCOATHE: SE CAMBIA

Preceduta da una azione di informazione abbastanza efficace, da settembre ha inizio la raccolta differenziata dei rifiuti. In pratica la varie famiglie, invece di gettare i sacchetti delle immondizie nei cassonetti, devono suddividere i rifiuti «secco» e «umido» utilizzando gli appositi contenitori distribuiti dall’Amministrazione comunale. Due volte alla settimana, la domenica sera e il giovedì sera, si devono sistemare i sacchetti del secco e dell’umido sulla strada per permettere la raccolta porta a porta. Va ricordato che chi provvede a smaltire in proprio i rifiuti umidi con la concimaia o con gli appositi contenitori da compostaggio può richiedere una riduzione delle tasse sui rifiuti. Per completare la raccolta differenziata esistono numerose piazzole ecologiche con le campane per la carta, il vetro e la plastica, mentre nell’apposita area dietro i magazzini comunali si possono far convogliare i rifiuti ingombranti, le ramaglie e l’erba prodotta dallo sfalcio dei giardini. Nonostante le difficoltà iniziali, l’operazione «raccolta differenziata» sembra dare i primi frutti. Bisogna naturalmente insistere sulla informazione tenendo presente anche la necessità di far conoscere le modalità di raccolta anche ai nuovi inquilini delle case affittate.

Sot ’l Crep: incontro con la poetessa Era stato fissato per settembre, mese dei funghi per antonomasia a Budoia, dei cieli tersi e degli ultimi tepori ancora estivi, l’incontro con Lei, la vestale della cultura friulana, Novella Aurora Cantarutti. L’appuntamento avvenne, ma la giornata non fu come programmata nei nostri pensieri. Nuvoloni galoppanti d’un grigio cupo nascondevano quelle bellezze che compongono a tasselli i nostri paesi, che ci compiaciamo di avere e che ci eravamo prefissi di far apprezzare alla squisitezza d’animo di cui solo la poetessa è dotata. Nonostante l’aspetto metereologico, fu un incontro in amicizia con l’Artugna, don Adel e il sindaco per apprezzare ancora una volta una persona che, oltre a comporre versi, ricerca con consapevolezza e scientificità il suo mondo friulano. Un arrivederci... tutto sereno.

Udine, 26 settembre 2001

Gentilissimi, voglio dire un grazie profondo a tutti per dire che mi avete guidato a vivere una giornata di cui serbo una memoria rasserenante, legata, oltre che alle persone, ai luoghi. Poi la serietà e l’impegno che si leggono nei lavori de l’Artugna sono per me una scoperta bella e un caso raro tra le pubblicazioni locali che troppo spesso illustrano malamente gli argomenti che contengono. Unisco i saluti cordiali alle congratulazioni a voi responsabili de l’Artugna, al sindaco, agli amici. I fiori, che la vostra gentilezza mi ha donato, sono ancora vivi e mi conducono a salutare con tutti voi, il cielo sopra San Tomè. Con affetto molto grato. NOVELLA CANTARUTTI


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Inno alla vita...

Al centro: Angela Carlon e Valentino Janna Simon, circondati dalle figlie, generi, parenti ed amici in occasione del loro 50° anniversario di matrimonio.

Giulia Minca con il suo inseparabile fratellino Andrea il giorno della sua Prima Comunione, a Treviso.

60° anniversario di matrimonio per Angelo Zambon ˆ Pinal e Stanislava Krescevec.


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Maria Janna Pol ha ricordato, attorniata dai suoi figli René e Mirella, con le rispettive famiglie, i nipoti ed alcuni amici, il traguardo del novantesimo anno, partecipando alla santa Messa, celebrata da don Adel (non aveva ancora visto i restauri della Parrocchiale, entrata si è commossa) e continuando presso la casa in via Cialata, ove risiedono, i meritati festeggiamenti. Dopo una intensa vita di lavoro e di sacrificio, sempre sulla breccia, a servizio della gente prima al Cral, poi al banco del Bar in piazza, accanto al marito Giovanni Del Zotto, poi con il figlio e la nuora, Maria può ora godersi in tranquillità gli anni che ancora la Provvidenza vorrà concederle. Auguri vivissimi. MARIO POVOLEDO

Dedicato a te mamma Angela. Hai trascorso le tue novanta primavere e non ti sei mai arresa nonostante le difficoltà della vita siamo tutti riuniti per ringraziarti di aver formato questa grande famiglia. Festeggiando i tuoi novant’anni, ti auguriamo di proseguire il tuo lungo cammino sempre in salute e amore per la tua famiglia. Nella foto, da sinistra: figlia Vanda, mamma Angela Regina, Emilia e Maria Assunta.

I 91 anni di Maria Zamboni, la prima a sinistra, con Ines Zambon, Caterina Bocus, Franca Piazza e Gigetta Della Fiorentina.

Auguri a tutti dalla Redazione


I ne à scrit

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Milano, 5 settembre 2001

Gentile Redazione de l’Artugna, puntualmente ricevo il periodico e ve ne sono grato. In questi ultimi anni la Redazione ha fatto passi da gigante nel rendere più fruibile e gradevole la lettura del «nostro giornale» attraverso Internet. Ora vi chiedo perché non creare un archivio dei numeri molto vecchi – peraltro non più disponibili come arretrati, magari dal numero 1 – visualizzabili attraverso lo stesso Acrobat Reader? Offro la mia collaborazione se l’idea può interessarvi. Distinti saluti VALTER ZAMBON

Caro Valter, siamo felici che la pubblicazione delle pagine del nostro periodico su Internet (www.naonis.com/artugna) trovi sempre maggior gradimento. Infatti molti lettori ci fanno sapere di apprezzare tale iniziativa che permette di leggere l’Artugna tramite il computer in qualsiasi momento e da ogni parte del mondo. La tua idea di archiviare tutti i numeri sul sito, per averli sempre a disposizione è stimolante. Ne abbiamo parlato e ci sono alcuni problemi tecnici da superare. Se penseremo di metterla in pratica, approfitteremo senz’altro della tua preziosa collaborazione. Grazie!

La Sua lettera ci fa ricordare e ringraziare tanti nonni, tanti genitori, che hanno affrontato enormi sacrifici per preparare una strada migliore ai propri figli. Poveri e senza istruzione, ma con tanto amore e tanta buona volontà.

Taggì, 11 settembre 2001

Carissimi, con tanto piacere abbiamo l’Artugna, da noi tanto desiderata. Bravi, bravi! Noi, sentitamente e con gioia, Vi ringraziamo. L’abbiamo guardata, letta, riletta; anche in Comunità. Ci sentiamo commosse. Noi vi assicuriamo che vi saremo vicine con la preghiera. Nelle nostre necessità ricorriamo alla nostra bella Madonna della Salute. Lei di certo ci aiuterà. Noi stiamo abituandoci nella nuova fraternità ma il pensiero è spesso a Dardago. Ora vi salutiamo tutti caramente. Con tanto affetto SUOR FELICE E SUOR NATALINA

Carissime Madri, il tempo passa veloce ma senz’altro non cancella il ricordo del tanto bene che avete fatto a Dardago. Sapeste quante volte Vi ricordiamo quando si parla tra di noi! Vi ringraziamo anche del bene che continuate a fare: il mondo ha tanto bisogno di preghiere. Basta guardarci attorno per rendercene conto! Attendiamo ancora qualche Vostra notizia!

Milano, 6 settembre 2001

Cari de l’Artugna, potreste pubblicare sul periodico che Victoriano Fort Pitus di Milano (ma con il nonno nativo di Santa Lucia) ha conseguito la Laurea in Giurisprudenza alla Statale di Milano? Grazie. Questa Laurea mi ha dato molta gioia soprattutto se penso al bisnonno Giovanni Battista che faceva il contadino, povero e senza istruzione. Un abbraccio. MARIO FORT

Egregio Sig. Mario, come vede il desiderio è stato esaudito. Come Lei, di sicuro, da Lassù è contento anche il bisnonno Giovanni Battista.

Sori, 23 ottobre 2001

Carissimi amici de Dardac, l’emozione è stata grande nel vedere la foto del 1921 nel cortile della canonica. Verso l’entrata c’ero anch’io. Mi ricordo di Toni Cariola e di Carletto Riveta che si distinguono nella foto dove c’è Piero de la coperativa e Carlo Moreal. È stato proprio un momento grande. Noi eravamo, col coro, sulla vasca che era stata coperta con le tavole e canta-


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vamo col maestro Cussol. Fino Ponte fece il discorso… Grazie di cuore. Seguo le novità e sento che anche le Suore sono andate. Ma ’l plevan al sta a Dardac, elo vero? Avevo il progetto di sempre, tornare a Dardago, ma non posso allontanarmi da mia moglie ammalata. Così vi scrivo per salutare tutti quelli che operano per il bene di Dardago, dal Direttore de l’Artugna a tutti i suoi collaboratori e anche i canais de ’na volta che spero ritornino con tutto il loro entusiasmo. Gli anni corrono e necessita il ricambio. Ho visto la piazza con il monumento libero e mi sembra perfetta. A tutti l’augurio più sentito e il grato sentimento per il gran bene che distribuite ai dardaghesi lontani.

Antonella ed Ottaviano ci salutano dal lontano Giappone.

VOSTRO BEPIN CIAMPANER

Egregio Sig. Giuseppe, grazie per le Sue graditissime lettere che periodicamente riceviamo con molto piacere. Alcune non le abbiamo pubblicate perché troppo piene di complimenti per la Redazione. Facciamo quello che si può anche se si potrebbe fare di più se ci fosse maggior collaborazione. La Sua corrispondenza è la testimonianza dell’amore sincero e commovente che molti nostri lettori, costretti a vivere lontani, nutrono per il proprio paese. È una lezione per noi e per i nostri figli. Dice bene, caro Giuseppe, gli anni corrono e necessita il ricambio. Ci auguriamo di riuscire a insegnare ai nostri giovani l’amore per il proprio paese e l’entusiasmo di impegnarsi per la sua crescita. Tanta serenità a Lei e a Sua moglie.

A tutti cordiali saluti ed auguri di buon lavoro. OSVALDO SOLDÀ – MESTRE

* Per l’Artugna. Cordiali saluti a tutti. MARIA LILIANA PATRON DEL MASCHIO – TREVISO

* Cordiali saluti, auguri alla redazione per la bella l’Artugna. YVONNE VETTOR TERRANEO – LENTATE (MI)

* Ricordando tutti i parenti defunti. MARIO GIUSSANI – VERUNO

* In memoria di Giuseppe Bastianello. MARIA VIDALE BASTIANELLO – VENEZIA

* Nel leggere l’Artugna a Milano è come se fossi tra voi. Un brivido di gioia mi pervade il cuore. Grazie per questa emozione! MARIO FORT PITUS – MILANO

* Con i più fervidi auguri di buon proseguimento. LINA PUSIOL – SANTA LUCIA

Tokyo, 5 dicembre 2001

Auguriamo a tutta la comunità di trascorrere un sereno Natale ed un Felice Anno Nuovo. ANTONELLA ED OTTAVIANO

* Bell’articolo del Sig. Carlon con il ricordo dell’affondamento della nave in cui perse la vita mio fratello Bruno.Grazie e cari saluti. GIORGIO PUSIOL – LUGANO (SVIZZERA)

Carissimi Antonella ed Ottaviano, grazie! Auguri sinceri anche da parte nostra. Arrivederci a presto!

* Buon lavoro e cordiali saluti. CATERINA BOCUS PIZZINI – MELEGNANO


Palsa

Bilancio e Programma

El vin de Messa

Bilancio

’Na volta le Messe i le disea a la matina prest, parché dopo la dhent andea a lavorà in tei ciamps. In un paese de ’sto mondo, el prete fea cussì e el se era metùt d’acordo col chiericheto (che el fea ancia la Cuminion), de lassai un fià de vin in te l’ampolina, par completà la marenda. Una matina no vinlo a dise Messa un prete foresto che no ’l savéa de ’sto acordo? Co ’l è ora de butà el vin par resentà el calice dopo la Cuminiòn del prete, el chiericheto el buta piàn par vanthai un puoc, come al solito. Ma el prete el fa segno che el bute anciamò e i l’a dovut tràilo dhut. El chiericheto el tira fora el pan de marenda da la scarsela, el fa par dàilo al prete e el ghe dis: «E adhés el pan sec el se lo magna lu, sior plevan!». Avévelo dhuti i torts?

* * *

Porc e porthél Un fiol a scuola l’avea fat un sèst thentha creantha. El maestro i lo rimprovera: «Non fare il maiale in classe!» El fiol a ciasa el se lagna co so pare: «Papà, el maestro me à dit porthél!». El pare sent el dover de fai osservathion al maestro e i dìs: «Me fiol, porc sì, porc sì, ma porthél no».

* * *

Fradhiei scarperi Doi fradhiéi i fea e scarperi, fin che un, dopo, el se ciata un post come stradìn comunal. Una volta che se à rot i scarpons, el va dal fradel e ei dìs: «Ti che te tache i tac, tàcheme ti i me tac». L’altro ghi responth: «Mi che te tache i tac? Tàchete ti i to tac!». a cura di PADRE RITO LUIGI COSMO

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Situazione economica del periodico l’Artugna Periodico n. 93

entrateuscite

Costo per la realizzazione + sito Web Spedizioni e varie Entrate dal 21/07/2001 al 25/11/2001

7.220.000 520.000 6.311.000

Totali

6.311.0007.740.000

Differenza

1.429.000

Programma religioso natalizio LUNEDI 24 DICEMBRE 2001 • Santa Messa a San Tomé • Santa Messa della Natività

BUDOIA DARDAGO ore 20.30 – ore 24.00ore 24.00

MARTEDI 25 DICEMBRE 2001 · SANTO NATALE • Santa Messa solenne • Santa Messa

ore 10.00ore 11.00 ore 18.00 –

MERCOLEDI 26 DICEMBRE 2001 • Santa Messa • Concerto del Collis Chorus

ore 10.00ore 11.00 ore 17.00

LUNEDI 31 DICEMBRE 2001 • Santa Messa e canto del TE DEUM

ore 18.00ore

17.00

MARTEDI 1° GENNAIO 2002 • Santa Messa solenne • Santa Messa e canto del VENI CREATOR SPIRITUS

ore 17.00ore 18.00

SABATO 5 GENNAIO 2002 • Santa Messa e benedizione acqua, sale e frutta • Accensione dei Panevin

ore 17.00ore 18.00 ore 20.30ore 20.30

DOMENICA 6 GENNAIO 2002 • Santa Messa • Benedizione dei bambini • Santa Messa

ore 10.00ore 11.00 ore 17.00 – ore 18.00 –

ore 11.00


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Avvenimenti

Nascite

Matrimoni

Benvenuti! Abbiamo suonato le campane per l’arrivo di:

Hanno unito il loro amore: felicitazioni a…

Gabriele Pujatti di Stefano e Elisabetta Crovato – Budoia Alex Sguassero di Devis e Laura Pellegrini – Muzzana Reza Cancian di Alessandro e Azzurra Lanranconi – Budoia Angelica Maria Zuliani di Giuliano e Yrma Maria Molinaro – Santa Lucia Francesca Lachin di Mario e Elisabetta Favro – Santa Lucia Alessandro Zaccaria di Ciro e Orietta Pastorutti – Santa Lucia Sonia Alfieri di Orlando e Lucia Gucciardo – Budoia Laura Baracchini di Alessandro e Antonella Del Puppo – Budoia Fabio di Paolo Delgrosso e Valeria Angelin – Bresso/Mi Cecilia Lanzini di Luca e Silvia Zambon – Milano

Marco Marcoz con Laura Azzola – Budoia Mirco Zambon con Elisa Cozzarin – Dardago Alessandro Battisti con Paola Pavan – Dardago Stefano Steffan con Debora Carlon – Budoia Nicola Chiandotto con Monia Piasentier – Budoia Gianfranco Gervasi con Nadia Fontana – Budoia Francesco Biscontin con Moira Zanon – Budoia Marco Zambon con Erica Paiero – Trieste Fabio Bastianello con Roberta Favaro – Milano

I nominativi pubblicati sono pervenuti in Redazione entro il 12 dicembre 2001. Chi desidera usufruire di questa rubrica è invitato a comunicare i dati almeno venti giorni prima dell’uscita del periodico.

Nozze d’argento Daniele Bedogni e Jole Zambon Pinal – Milano Quinto Zambon e Ivana Toffoli – Dardago Nozze d’oro Valentino Janna e Angela Carlon – Roveredo in Piano ˆ Nozze di diamante Angelo Zambon Pinal e Stanislava Krescevec

Lauree e diplomi

Defunti

Complimenti...

Riposano nella pace di Cristo: condoglianze ai famigliari di…

Lauree Francesca Zambon – Scienze Politiche – Trieste Simone Immordino – Economia – Torino Paola Burigana – Storia dell’Arte – Sorbona – Parigi Marco Burigana – Ingegneria Meccanica – Milano Victoriano Fort Pitus – Giurisprudenza – Milano Bettina Ronchetta – Lettere Antiche – Dardago Enrica Rigo – Magistratura – Torino Flavia Zambon – Chimica industriale – Budoia Simone Consonni – Lingue Straniere – Milano

Lucia Gerarduzzi di anni 77 – Milano Rosina Fort di anni 79 – Santa Lucia Angelina Santin di anni 93 – Mestre Antonia Carlon di anni 87 – Milano Nicolina Marin di anni 59 – Budoia Gabriele Modolo di anni 55 – Range Maria Andrean di anni 80 – Santa Lucia Luigi Michilin di anni 90 – Castello d’Aviano Ilde Carlon di anni 88 – Budoia Tiziana Basso di anni 78 – Venezia Attilia Bocus di anni 98 – Dardago Rosetta Rosolen di anni 68 – Trieste Battistina Fort di anni 87 – Marsure Riccardo Zambon di anni 20 – Roveredo in Piano Giuseppina Basso di anni 74 – Dardago Armando Del Maschio di anni 81 – Budoia Beppino Chicco di anni 55 – Torino Maurizio Bonneau Soldà di anni 57 – Santa Lucia Elio Del Ponte di anni 89 – Aviano Giovanni Bastianello di anni 89 – Venezia Paolo Zambon di anni 62 – Londra Santina Carlon di anni 76 – Dardago Luigia Fantin Del Puppo di anni 67 – Budoia

IMPORTANTE Giungono talvolta lamentele per omissioni di nominativi nella rubrica Avvenimenti. Ricordiamo che la nostra fonte di informazioni sono i registri dell’Anagrafe comunale. Pertanto, chi è interessato a pubblicare nominativi relativi ad avvenimenti fuori Comune o relativi a particolari ricorrenze (nascite, nozze d’argento, d’oro, risultati scolastici, ecc.) è pregato di comunicarli alla Redazione.


Notevolissima è la tradizione dei panevin, fuochi dell’Epifania, che già sul far della sera del 5 gennaio di ogni anno punteggiano di vive luci i nostri paesi, nonostante la tradizione abbia subìto processi di modernizzazione, poiché le famiglie non hanno più diretto rapporto con la terra per cui il rito ha perso gran parte del suo profondo significato. Si trattava, infatti, di un rito magico-agrario che doveva propiziare la crescita dei raccolti e creare le condizioni favorevoli per i lavoratori delle campagne e per gli animali. Suggestiva è l’immagine del panevin del Brait della precedente edizione, fissata dall’obiettivo del nostro bravo fotografo Cornelio Zambon Marin.


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