l'Artugna 095_2002

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Periodico della Comunità di Dardago · Budoia · Santa Lucia Anno XXXI Aprile 2002 Numero 95


Omaggio a Renato, cantore della nostra gente

Sommario

in questo numero... 2

Omaggio a Renato, cantore della nostra gente di Roberto Zambon

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La lettera del Plevan di don Adel Nasr

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Ulifs su i nostre cói di Marta Zambon

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’Na sera co’ Renato di Federico Vicario

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Un sorriso per un bambino del Gruppo «Don Nillo Carniel»

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La cucina di René di Claudio Sottile

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I Comuni di Budoia e Polcenigo corsi e ricorsi storici di Mario Cosmo

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Vasti orizzonti sul nostro andare di Marisa Romanut

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Intorvìa la tóla a cura di Adelaide e Melita Bastianello

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’N te la vetrina

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Cronaca

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I ne à scrit

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Palsa, Bilancio e Programma della Settimana Santa

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Avvenimenti

In copertina. Doppia croce trigigliata, dal significato trinitario, si staglia contro il cielo, al culmine della guglia che racchiude il sagrato dell’antichissima pieve di Dardago. Non rappresentazione dell’oggetto croce in quanto tale – antico strumento di esecuzione di condanne a morte – ma la croce del Cristo, il simbolo cristiano fondamentale, incontro fra cielo e terra, combinazione di trascendente ed immanente. Ad ogni cristiano, che osservi bene questa croce torneranno facilmente alla memoria tanti riflessi della liturgia che ogni anno la Settimana Santa ripropone a tutti. (Foto di Vittorio Janna)

Periodico quadrimestrale della Comunità di Dardago, Budoia e Santa Lucia (PN) Direzione, Redazione, Amministrazione Tel. 0434/654033 C.C.P. 11716594 Internet: http://www.naonis.com/artugna E-Mail: l.artugna@naonis.com Direttore responsabile Roberto Zambon Tel. 0434/654616 Per la redazione Vittorina Carlon Impaginazione Vittorio Janna

Ed inoltre hanno collaborato Ennio Carlon, Espedito Zambon, Francesca Janna, Elena Zambon, Marta Zambon. Autorizzazione del Tribunale di PN n. 89 del 13-4-73 Spedizione in abbonamento postale. Art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone. Stampa Arti Grafiche Risma Roveredo in Piano/Pn Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione di qualsiasi parte del periodico, foto incluse, senza il consenso scritto della redazione, degli autori e dei proprietari del materiale iconografico.

Se questo numero esce con un numero di pagine inferiore al solito, non è per pigrizia della redazione o per mancanza di materiale. La ragione è che la redazione, in questo periodo, è stata molto impegnata per curare gli ultimi dettagli della pubblicazione di «Vere o no vere» e per organizzare la presentazione del volume avvenuta lo scorso 9 marzo. «Vere o no Vere», come spiegato più dettagliatamente nell’apposito articolo che pubblichiamo all’interno, è il titolo di un ciclo di 12 radioscene scritte nel 1974 da Renato Appi nella parlata delle zone di Budoia, Castello di Aviano, Cordenons, Arzene e Azzano Decimo sulle superstizioni nel Friuli Occidentale. Le radioscene furono trasmesse dalla RAI di Trieste. Renato Appi, poeta, drammaturgo, studioso delle tradizioni popolari, nutriva un sincero amore per il Friuli e soprattutto per la sua gente. In tutta la sua attività di ricerca ci teneva molto al rapporto con gli abitanti dei paesi che stava studiando. Assieme alla moglie ebbe modo di conoscere a fondo anche Dardago, Budoia e Santa Lucia, e tutti i paesi della pedemontana. In quelle occasioni, grazie al suo carattere, nacquero e si svilupparono molte amicizie. Tutti questi studi e indagini gli permisero la pubblicazione di molte opere: tutte ebbero come protagonista la nostra gente, la vita e il parlare di tutti i giorni, le sue tradizioni, le superstizioni… L’obiettivo di Renato Appi era quello di documentare per salvare. Documentare il nostro piccolo mondo per salvarlo – almeno sulla carta – prima che l’omogeneizzazione dei comportamenti e dei modi di vivere, imposta dal rapido progresso di questi decenni, lo faccia sparire. Un po’ come anche l’Artugna, nel suo piccolo, cerca di fare. Il bel volume – con i 3 CD allegati contenenti le registrazioni di tutte le 12 radioscene trasmesse dalla RAI, arricchito dai disegni di validi illustratori e dagli approfondimenti di alcuni studiosi sulla figura e sulle opere dell’autore – viene pubblicato in occasione del decimo anniversario della morte di Renato Appi. È l’omaggio de l’Artugna all’amico Renato, cantore della nostra gente, della nostra terra, delle nostre tradizioni. Da queste colonne, giungano alla Signora Elvia e alla famiglia Appi i nostri sinceri ringraziamenti per aver reso possibile la pubblicazione di questo volume. ROBERTO ZAMBON


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La lettera del Plevan

Lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi Fratelli e sorelle carissimi, siamo giunti a questa Santa Pasqua sperando di essere stati purificati dal nostro uomo vecchio e rinnovati a immagine dell’uomo nuovo che Gesù Cristo ne è autore e prototipo. San Paolo esorta i cristiani di Roma di vivere secondo lo Spirito e non secondo la carne, perché quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a Dio. La carne è intesa come atteggiamento che soffoca lo spirito dell’essere cristiano. La carne è il male con tutte le sue sfumature e inganni che colpiscono l’anima e la rendono impura e oscura. Basta pensare alla cattiveria, egoismo, divisione maldicenza, invidia, impurità, adulterio e omicidio... «Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi». Certo i cristiani di oggi vivono a metà strada tra lo spirito e la carne, viviamo in una società che non ci aiuta a decidere la via retta. «Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene» dice san Paolo. E se non apparteniamo a Gesù, a quale «dio» siamo legati?! Penso che siamo legati a un dio che non dà vita e produce morte. Solo con una vera conversione dei nostri costumi e mentalità possiamo lasciare risorgere Cristo in noi «E se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustificazione. E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi». Carissimi fedeli, aderiamo con tutte le nostre forze al Dio della vita, al Dio onnipotente, al Dio eterno nell’amore. Invochiamo lo Spirito Santo che è Signore e dà vita di crescere nell’amore e nella pace. La Settimana Santa che viviamo ci aiuti a rinnovarci nello spirito. Dalla domenica delle Palme alla Pasqua, si passa per il Cenacolo e il Calvario. Vi invito a trascorrere insieme a Gesù questa settimana, ad adorarlo nella Santissima Eucaristia, a sentirlo vicino nel perdono della confessione a gustarlo e riceverlo nella Santa Comunione. Vi invito a pensare ai poveri, con il salvadanaio «un pane per amor di Dio». I poveri li avremo sempre con noi.

Vi invito a sentirvi attratti dalla sua croce e dal suo amore. Quando io sarò elevato da terra, attirerò tutti a me! Auguro a voi tutti una Santa Pasqua: ai giovani e bambini perché riscoprano la bellezza del Suo volto; agli ammalati ed anziani, sempre presenti nella mia quotidiana preghiera; alle persone lontane dalla fede, perché possano vivere l’esperienza della misericordia di Dio. Cristo risusciti in tutti i cuori. Buona Pasqua. Vostro DON ADEL NASR


Ulifs su i nostre cói

Nel tempo pasquale molti sono i simboli protagonisti. Come è frequente nella liturgia cristiana, molti simboli religiosi sono legati alla vita e al lavoro dell’uomo. Tra questi c’è senz’altro l’ulivo che allo stesso tempo è simbolo di pace, ed è utilizzato fin dall’antichità per ottenere il prezioso olio. Quando si parla di olivi, subito la nostra mente rievoca regioni affacciate sul Mediterraneo; difficilmente si arriva a pensare che anche in Friuli ci siano zone vocate alla coltivazione dell’ulivo, e che proprio la nostra Pedemontana ne faccia parte. In realtà le notizie riguardanti la coltura dell’olivo in Friuli risalgono ai tempi dei Romani. Parlano di olivi e di olive già gli statuti medioevali di Polcenigo e di Aviano, ma le prime notizie sicure risalgono al XV secolo: nel 1422 si ricorda un oliveto sul colle di S. Floriano, mentre nel 1477 sono menzionati olivi a Caneva; in seguito le citazioni si fanno sempre più fitte. L’olio era utilizzato sia per l’alimentazione umana che per l’illuminazione delle chiese. Certamente il clima è sempre stato il fattore limitante, tanto che la grande gelata del 1929 ha provocato la morte della maggior parte delle piante. Un ulteriore abbandono di questa coltivazione si è avuto con la seconda guerra mondiale. Da allora in Friuli non si è più pensato all’ulivo, se non dalle parti di Trieste: altre colture erano senz’altro più redditizie (un uliveto giunge alla piena produzione dopo una decina d’anni, per un vigneto si ottengono buoni risultati già dopo quattro anni). Nell’ultimo ventennio però è risorto un interesse nei confronti dell’ulivo, consapevoli che nonostante le periodiche gelate, in Friuli esistono zone con un microclima favorevole, come testimonia la presenza della pianta anche nei secoli scorsi. È proprio per incentivare questo ritorno che l’ERSA ha deciso di regalare le piante di ulivo ai coltivatori e agli appassionati disposti a dedicare un pezzo di terreno a questa coltura, garantendo anche l’assistenza tecnica e un continuo aggiornamento. La Comunità Pedemontana del Livenza ha abbracciato questa iniziativa, che ben si inserisce in un’ottica più generale di promozione dei prodotti tipici. Dopo l’intuizione felice dell’Azienda Casagrande di Caneva, che con le sue diecimila pian-

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te vanta l’oliveto con le dimensioni maggiori in Friuli, attualmente sono una trentina coloro che hanno intrapreso questa coltura nei comuni di Caneva, Polcenigo, Budoia e Aviano. Ge ne ralmente si tratta di piccoli appezzamenti e le olive vengono molite al frantoio di Casagrande: si tratta di un frantoio a percolazione, sistema che permette di ottenere l’olio di qualità migliore. L’intento è quello di ottenere un prodotto caratteristico, che non sia una brutta copia degli oli del Sud. Nella nostra regione il comparto olivicolo – oleario non può reggere il confronto con altre realtà regionali e internazionali le cui condizioni produttive consentono l’ottenimento di un prodotto finale a costi notevolmente più bassi. Diventa quindi vitale puntare sulla qualità, su un prodotto con elevati requisiti organolettici e nutrizionali, legati alla zona di produzione. La distribuzione dell’olivo nella nostra regione è a macchia di leopardo, a causa della presenza di microclimi particolari: la coltura trova espansione solo in quei comprensori collinari caratterizzati da climi miti, leggermente ventilati e riparati da correnti fredde: quindi provincia di Trieste, Collio, zone collinari della provincia di Udine e dei comuni della Comunità Pedemontana del Livenza. Il fatto che il Friuli sia collocato nella parte più settentrionale dell’area di coltivazione dell’ulivo in un certo senso porta dei vantaggi: infatti il clima più rigido costituisce un ostacolo agli attacchi dei parassiti, il più noto dei quali è la mosca dell’ulivo. Viene data la preferenza a varietà resistenti al freddo, come Pendolino, Grignano, Leccino, Leccio del Corno, e soprattutto ad una varietà autoctona, la Bianchera, selezionatasi nel tempo in Friuli Venezia Giulia. Gli oli ottenuti vengono analizzati, sia con le analisi previste per legge, volte a verificare che gli oli rientrino nella categoria dell’extravergine, sia con altre prove volte a testare altre caratteristiche qualitative, come la resistenza all’ossidazione. Ne emerge un olio con valori di acidità e numero di perossidi che rientrano ampiamente nei limiti di legge: si può quindi affermare che gli oli sono ottenuti con olive di buona qualità e pratiche di conservazione adeguate prima della molitura. L’influenza della zona di produzione si nota soprattutto nella composizione in acidi grassi: il valore in acido oleico è molto elevato, con

Pidela de l’aga santa co’ l’ulif benedet.

percentuali che arrivano anche all’80%, tipiche degli oli delle regioni a clima più freddo. In generale le analisi evidenziano come gli oli prodotti in regione siano di ottima qualità, con un buon contenuto in sostanze antiossidanti, che rendono l’olio ben conservabile e rivestono un’importante funzione nutrizionale nella dieta. Anche la qualità sensoriale viene valutata, con la tecnica del Panel Test. I punteggi assegnati dagli assaggiatori sottolineano ancora la tipicità del prodotto, che presenta una caratteristica nota pregevole di fruttato, non ancora riconosciuta e apprezzata dal consumatore medio. Dopo tante lodi all’olio che si può produrre in Pedemontana, l’augurio è che gli ulivi siano sempre più numerosi sui nostri pendii: passeggiando tra i prati collinari il loro caratteristico fogliame grigio verde forse ci rievocherà antichi messaggi di pace, il loro fusto contorto e nodoso forse ci farà riflettere sulla vita, come accadde secoli fa al buon San Francesco, a cui il tronco dell’ulivo ispirò il simbolo del tau, la caratteristica croce mancante del braccio superiore. MARTA ZAMBON


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’Na sera co’ Renato A dieci anni dalla sua morte

Una serata in ricordo di Renato, un gesto di amicizia, la presentazione di una sua opera, un convivio in compagnia come piaceva a lui, a Renato Appi. Così, il nove marzo, il numeroso pubblico che lo conosceva, lo amava e lo stimava, ha vissuto in un’atmosfera familiare, nei locali della scuola elementare di Budoia, la presentazione del volume «Vere o no vere». dodici testi per radioscene, con CD, sulle superstizioni popolari del Friuli Occidentale, create dal drammaturgo Renato Appi per la RAI, a cavallo degli anni 19741975, e illustrate da Guido Benedetto, Umberto Coassin, Federica Pagnucco. Il merito va agli intervenuti, dalle autorità al presentatore che ha magistralmente tessuto tra trama ed ordito la serata. al pubblico intero, se si è potuto rivivere il lirico ed eloquente linguaggio di Appi, voce assetata d’infinito, che con rara maestria entrava nel cuore della gente per carpirne i più remoti sentimenti. E questo lo si coglie anche nei protagonisti delle radioscene, perso-

naggi della Pedemontana (Budoia, Dardago, Santa Lucia e Castello), delle Grave e dei Magredi (Cordenons e Arzene) e della pianura (Azzano Decimo), che degli improvvisati attori nostrani – Valeria Bocus, Fernando Del Maschio, Pietro Janna, Francesca Fort e Cinzia Del Maschio – hanno fatto rivivere vivacemente con «La roba dei àltres». Tra gli attori mancava il maestro Umberto Sanson, che ricordiamo con affetto. Si deve all’intelligente e cortese collaborazione della signora Elvia Moro Appi, presente alla serata con i figli e i parenti, se oggi, si è giunti ad avere nelle nostre case la viva voce degli «attori» di quel tempo. Nel 1997, infatti, donò in segno di amicizia e di stima a l’Artugna la registrazione, su bobine, dell’opera del marito. La «voce» del drammaturgo – a dieci anni dalla morte – ha ripreso completa sonorità, grazie anche al contributo di tanti amici comuni che da queste righe ringraziamo con la mano al cuore, gestualità espressiva sempre viva di un indimenticabile Renato.

Si riporta il testo della relazione del prof. Federico Vicario.

Ringrazio gli organizzatori della manifestazione per avermi invitato qui questa sera, in questa bella cornice di amici e anche per l’onore che mi hanno fatto di avermi chiesto di dire qualcosa in questa occasione, io che ho sicuramente molto meno titolo di altri ad esprimere qualche breve considerazione sulla figura di un uomo, di un poeta e di uno studioso della levatura e della profondità di Renato Appi. Prima di fare ciò consentitemi però di ricordare, brevemente, l’episodio che mi ha fatto conoscere Renato Appi, direi in modo del tutto casuale, ormai alcuni anni fa. Precisamente era il 1985 e mi trovavo a Padova, appena iscritto al primo anno di Lettere. Forse motivato dalla lontananza da casa, che poi così lontana non era, ho deciso di partecipare al premio letterario Pedrocchi, che si svolgeva (o si svolge ancora, non lo so) nei locali dell’omonimo caffè storico di Padova. A questo concorso letterario c’era una sezione per la poesia italiana e una sezione per la poesia friulana, credo perché l’organizzatore del premio fosse friulano. Ho presentato quindi, per la sezione friulana, cinque poesie – che non mi sentirei proprio di infliggervi – e sono stato segnalato. Insieme con me è stato segnalato anche Renato Appi, per componimenti penso di ben altro spessore e impegno. Si dice che da giovani tutti sono poeti e che i veri poeti si vedono nella maturità. Se non sono tanto sicuro della prima parte di questo detto, nel senso che considerarmi un «poeta», anche a venti anni, mi sembra eccessivo, sono certo più d’accordo con la seconda parte di questo detto,

che richiama l’affermazione della coscienza e della vena poetica nella maturità, come nel caso appunto di Renato Appi. Vengo quindi al libro. La presentazione di un libro costituisce sempre un momento di festa, penso, un momento in cui si può concretamente vedere, e apprezzare, il frutto di un lavoro di studio, di ricerca, di approfondimento, di valorizzazione di qualche cosa che prima era sconosciuto o poco conosciuto. Anche il nostro incontro di questa sera costituisce dunque un momento di festa, un momento in cui ci viene data l’occasione di apprezzare un nuovo importante lavoro di Renato Appi, di riconoscere i meriti di quanti si sono impegnati per la realizzazione di questo libro e per raccogliere e diffondere parte dei ricco patrimonio della cultura popolare friulana, così bene il-

Il tavolo dei relatori. Da sinistra: Pier Carlo Begotti, vicepresidente della Società Filologica Friulana per il Pordenonese, Roberto Zambon, direttore de l’Artugna, Silvano Antonini Canterin, presidente della Fondazione CRUP di Udine e Pordenone, Lorenzo Pelizzo, presidente della Società Filologica Friulana, Antonio Zambon, sindaco del Comune di Budoia, Federico Vicario, vicepresidente della Società Filologica Friulana per l’Udinese, Dani Pagnucco, presentatore della serata.


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lustrata da questo autore. Premesso che mi associo convintamente a quanto delineato nelle note introduttive dei volume, in particolare nei contributi di Piera Rizzolatti sulle cinque parlate di Budoia, Castello d’Aviano, Cordenons, Arzene e Azzano Decimo, che costituiscono il mosaico di queste radioscene, e di Angela Felice, sulle linee di fondo che costituiscono e sostengono la trama delle radioscene stesse, mi limiterò ad alcune brevi riflessioni personali, anche al di là dell’aspetto più tecnico della materia, cercando di integrare quanto è già stato detto da quanti mi hanno preceduto. Un’osservazione riguarda intanto l’operazione che sta alle spalle di questa realizzazione, un’operazione che chiama in causa direttamente più Istituzioni, testimoniando la corale adesione al progetto delle comunità locali e regionali: l’associazione l’Artugna, la Società Filologica Friulana, la Fondazione della Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone, oltre che, naturalmente, il Comune di Budoia, la Pro Loco di Budoia. Questa sera mi pare dunque che il frutto di questo lavoro, grazie all’impegno dei numerosi curatori del volume e degli enti promotori dell’iniziativa, si possa considerare a buon diritto una realizzazione editoriale di pregio non comune, un libro che si presenta in una veste grafica decisamente molto curata e accattivante. Ciò risulta fin dalla prima sèrcia, dal primo «assaggio», del libro: basta prenderlo in mano, guardarlo, pesarlo e sfogliare alcune pagine per averne una convincente esperienza diretta. Partiamo quindi dalla copertina, direi molto indovinata. Significativa la presenza di un gatto,

per di più nero. Il gatto, animale considerato da sempre depositario, nelle credenze popolari, di qualità magiche, di poteri divinatori e premonitori, cui si attribuiscono sette vite e altro ancora; qui abbiamo un gatto, per di più nero, che si considera normalmente portatore di sfortuna, di sventura, sempre legato comunque ad un’aurea in qualche modo di arcano e di segreto. Si collega a questo discorso di mistero anche l’altro carattere forte della copertina, il fatto che sia nera, il colore della notte, quando i contorni delle cose non sono chiaramente definiti, ma restano sfumati, incerti. Sulla quarta di copertina una bella riproduzione, ancora bianco su nero, della comunità di Dardago, Budoia e Santa Lucia. Restando ancora sull’oggetto «libro», devo dire che non appena l’ho visto mi sono venuti in

In alto, a sinistra: Renato Appi in una foto del 1988, in occasione del Premio Rotary di Pordenone. Sopra: alla signora Elvia Moro Appi viene donato il primo volume dell’opera. Si scorgono, in prima fila a sinistra, il figlio Alberto con la moglie, e, a destra, mons. Giovanni Perin, fondatore del nostro periodico, con l’attiva collaboratrice Anna Pinal. Sotto: il gruppo degli attori nostrani che ha ben recitato «La roba dei àltres». Un grazie pubblicamente a Pietro Janna, Cinzia Del Maschio, Fernando Del Maschio, Francesca Fort e Valeria Bocus, rispettivamente nelle parti di Jacun, Cia, Pasqual, Gena e Geia.


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mente, per associazione (diciamo così) «di formato», i Numeri Unici della Società Filologica Friulana, gli impegnativi volumi monografici dedicati alle località del Friuli che annualmente vengono visitate dalle manifestazioni del Congresso. E del Numero Unico questo volume Vere o no vere ha più di qualcosa: di sicuro il progetto grafico e la cura nell’impostazione dei documenti che vengono presentati, come già dicevo, il livello degli interventi contenuti, l’interesse dei materiali proposti e, in fin dei conti, anche il suo essere monografico. Di solito i Numeri Unici hanno come soggetto una singola località o una singola area del Friuli; qui abbiamo come soggetto un singolo uomo, una singola personalità del nostro Friuli. Quanto Renato Appi meriti un riconoscimento di questo genere, a poco più di dieci anni dalla scomparsa, non spetta sicuramente a me dirlo, ma a quanti hanno avuto la fortuna di dividere con lui il cammino della vita e del suo impegno civile e culturale. Trattare tuttavia questo libro come un «riconoscimento», considerandolo qualche cosa di dovuto, di scontato, di tributo alla memoria, non è a mio avviso corretto. Nel mondo accademico si susseguono le cosiddette Festschrift, diremmo «scritti di festeggiamento», dedicate, magari alla memoria, ai Maestri delle diverse discipline, volumi nei quali gli amici e gli allievi producono contributi di studio su questo o quell’argomento con la simbolica intenzione di farne dono al festeggiato. Ma qui non sono gli amici e gli allievi a donare qualcosa è ancora una volta il Maestro a produrre un nuovo impegnativo lavoro, a dare un ulteriore prezioso contributo alla conoscenza degli usi tradizionali e delle parlate della nostra terra. Il regalo quindi, come vedete, è ancora una volta per noi, non è per lui. Passando alla raccolta vera e propria delle dodici radioscene, mi associo, come dicevo, al giudizio stilatone da Angela Felice nella parte introduttiva, sottolineando però, in particolare, almeno un aspetto del lavoro. Il lavoro non è solo un libro che raccoglie dodici pezzi di teatro, ma risulta anche, come già diceva il Presidente de l’Artugna, con la riproduzione delle dodici radioscene nei tre compact disc allegati, una testimonianza direi molto viva e fruibile del diretto intervento esecutivo, interpretativo, dell’autore dei brani raccolti. Non saprei valutare dal punto di vista tecnico, non essendo uomo di teatro, quale impressione possa dare la presentazione di

un’opera teatrale accompagnata da una sua realizzazione, curata dallo stesso autore dell’opera, – come questa – con una registrazione sonora o magari con una cassetta video. Nel momento in cui il regista e l’attore prendono in mano un certo testo e decidono di entrare nello spirito dell’autore per rappresentarne caratteri e umori, quale aiuto o quale condizionamento possono ricavare dal trovare già pronta l’interpretazione più «giusta»? Passando per un attimo ad un campo per me più familiare, quello della musica, provo a immaginare che cosa potrebbe essere affrontare l’interpretazione delle opere dei compositori del passato, se ne avessimo memoria non solo attraverso il loro testamento su carta, cioè le loro opere scritte, ma anche su nastro o su disco. I principali problemi di interpretazione, diciamo in una parola

Sopra: il «Gruppo folkloristico Artugna» che, con il Collis Chorus, l’altro coro del Comune di Budoia, ha allietato la serata con canti friulani. Sotto: oltre 150 persone hanno partecipato alla serata culturale, conclusasi con un bocòn in compagnia, organizzato con cura dalla Pro Loco. Tra il folto pubblico erano presenti, oltre ai budoiesi, studiosi, giornalisti, scrittori della regione.


Un sorriso per un bambino

«filologici», risultano proprio dalla difficoltà di sapere, ad esempio, quali fossero le sonorità e le consistenze delle orchestre del passato, quali fossero i timbri dei diversi strumenti, quale fosse la levatura tecnica degli strumentisti, quali fossero i tempi di esecuzione, quali le differenze agogiche tra piani e forti e altro ancora. Richard Wagner ci ha lasciato il teatro di Bayreut, dove eseguiva le sue opere con gli impasti acustici che preferiva, ma per la grande maggioranza dei compositori (Vivaldi, Bach, Mozart, Schubert, Brahms) dobbiamo per forza rileggere e interpretare quanto hanno lasciato sulla carta, con quella sorta di «stenografia» del loro pensiero che è la notazione musicale. Lo stesso credo che si possa dire anche per i compositori di teatro. Che cosa comporta, per gli attori, il disporre di una versione così precisa come quella di una registrazione sonora prodotta dallo stesso autore della composizione? Quali sono i nuovi margini, i nuovi vincoli, dell’interpretazione personale di un’opera da parte di un attore? Non c’è dubbio che queste sono domande che sempre più risultano di attualità, dal momento che gli autori contemporanei hanno la possibilità di usare dei mezzi tecnici per conservare in modo sempre più preciso l’aspetto delle loro creazioni. A queste domande non so dare una risposta; le giro a quanti si devono misurare, a partire già da questa sera, con l’impegnativo compito di riprodurre quanto Renato Appi ci ha lasciato. Anche per questo, a ben vedere, il lavoro Vere o no vere costituisce una novità e, in qualche modo, una sfida. Siamo qui per presentare questo libro, siamo qui per ricordate questo uomo, Renato Appi, ma io dico che siamo qui ancora per un altro motivo. Noi siamo qui per testimoniare che la strada che egli ha perseguito con determinazione e passione durante la sua vita è quella giusta e che noi ci riconosciamo in quella strada e in quei valori. Il nostro auspicio, in questa occasione, è quindi rivolto da una parte all’opera che si presenta e al suo autore, che possano riscuotere l’apprezzamento e il successo che meritano; dall’altra alle nostre Associazioni – quindi direttamente o indirettamente anche a tutti noi – che sappiano continuare ad essere momento di forte impegno e proposta per le ricerche e le imprese che ancora attendono di essere realizzate nel settore dell’investigazione e della valorizzazione dei tesori del nostro Friuli. FEDERICO VICARIO

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Poco più di un anno fa Don Nillo tornava al Padre, e su queste pagine scrivevamo di lui e delle eredità che ci aveva lasciato. Due eredità ugualmente importanti: la prima, l’aver costituito una comunità trasversale, oltre i confini di una singola parrocchia; la seconda, portare avanti il progetto da lui fondato a favore dei bambini orfani, o meno fortunati, della regione bielorussa colpita dal disastro di Chernobyl. La prima, forse più facile da accettare e coltivare in quanto l’uomo, si sa, è un animale sociale, e quando persone differenti si identificano attorno ad interessi comuni non è difficile «far gruppo». La seconda, raccolta con mille preoccupazioni (chissà se saremo in grado di affrontare e risolvere le mille difficoltà che si prospettano?) ma con un pizzico di incoscienza (tipica dei principianti), riguardava il proseguire nel progetto di accoglienza che Don Nillo aveva sviluppato in sei anni di duro lavoro. Oggi, dopo che il peso principale di questo fardello è stato egregiamente raccolto dall’amica Ivana Rizzo e dagli altri che la supportano, e dopo aver trovato nuova «accoglienza» presso la parrocchia di Porcia (quella di Santa Lucia di Budoia è stata accorpata con San Giovanni di Polcenigo) dove Don Daniele Fort (nostro compaesano) ci ha offerto una nuova sede e la «copertura» dell’ombrello della sua parrocchia, possiamo dire di aver imparato a camminare con le nostre gambe. Gli insegnamenti di Don Nillo hanno impresso una traccia che, seppur con qualche difficoltà, siamo riusciti a non perdere. Continuiamo quindi ad accogliere i bambini per un soggiorno che consente loro di disintossicarsi e «metter su» qualche chilo, ma soprattutto offrire loro, anche se per poco tempo, il calore di una famiglia che non hanno. A giorni arriveranno alcuni bambini normalmente ospitati presso un istituto di Ivenez, una cittadina a cinquanta chilometri ad ovest della capitale Minsk, ove trovano accoglienza coloro che soffrono di handicap prevalentemente motori. Questi bambini saranno operati presso le strutture sanitarie provinciali e, a seguito dell’intervento, si spera possano cominciare a camminare o a muovere le mani. L’accoglienza post intervento sarà di alcuni mesi e comprenderà anche la terapia riabilitativa. Grande quindi è l’impegno delle famiglie che li ospiteranno. Così come grande è l’impegno economic o che il gruppo si è accollato per tentare di offrire un futuro «normale» a questi bambini. Sappiamo di farcela perché dalla nostra abbiamo la disponibilità del gruppo, l’aiuto della Divina Provvidenza e perché sappiamo di essere guidati anche in questa «avventura» dagli insegnamenti di Don Nillo.


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La cucina di René

Per completare e ampliare l’articolo pubblicato sul numero precedente de l’Artugna, parleremo un po’ della cucina di René e dei personaggi che le hanno dato vita, essendo una delle parti fondamentali che distinguono e promuovono insieme agli altri servizi un albergo-ristorante. La zona pedemontana pordenonese è per tradizione una terra di CUOCHI, infatti ha dato le origini a decine e decine di più o meno noti professionisti di quest’arte, che hanno fatto diffondere e apprezzare in tutto il mondo lo stile e la tradizione italiana. Questa categoria è per sua natura schiva e poco in vista, essendo sempre attiva dietro le quinte, pur rappresentando una delle colonne portanti di qualsiasi locale che si rispetti. Per onorare questa categoria, nel 1998 a Polcenigo, in occasione della «Sagra dei Sèst» è stata inaugurata una delle poche mostre permanenti in Italia (se non l’unica) dedicata all’arte di far cucina, ossia alla capacità professionale dei cuochi di preparare le pietanze per una ristorazione qualificata. Il «Museo dell’arte cucinaria» custodisce una serie non indifferente, in quantità e qualità, di fotografie, di ricordi, di cimeli, di

documentazione e di attrezzi, frutto di tanti anni di lavoro e successo. Ma torniamo al nostro «Ristorante da René»di Budoia, che nel 1962 a pochi mesi dall’inaugurazione vede approdare come cuoco Nunzio Sottile. Diplomatosi casaro nel 1942 presso il Regio Istituto Agrario Pastori di Brescia, terminata la seconda guerra mondiale, fu dirottato sui fornelli, e dopo aver svolto una dura e impegnativa gavetta, che lo porterà a perfezionare la sua professione, si distingue come cuoco in alcuni noti ristoranti di Roma (con tanto di Anno Santo 1950), Venezia, Caorle e Abano Terme. Per Nunzio cucinare era qualcosa di più che non mescolare qualche ingrediente insieme, cucinare era una forma di arte strettamente connessa con la sua sensibilità e con le varie culture locali con cui era venuto a contatto. Le sue ricette, assieme al locale nuovissimo in stile anni Sessanta, conferirono sin dall’inizio al «Ristorante da René» un aspetto esclusivo, ma anche popolare e affollato, in un paese dove poteva succedere di mangiare seduti con persone sconosciute, ma anche di sedere accanto ad importanti esponenti dell’imprenditoria, della politica e della cultura friulana e veneta. Nunzio, aiutato in cucina nelle ocCon la soddisfazione di chi conosce l’arte culinaria e la sicurezza del giudizio favorevole della clientela, Nunzio mostra con gioia la sua «creatura» a René e al giovane cameriere. 13 aprile 1965.


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casioni più importanti dal collega Gelsomino Carlon di Budoia, aveva un carattere cordiale e spesso si fermava con i clienti a conversare e a parlare dei cibi che venivano serviti. La cucina non era per lui un’arte esclusiva, ma un qualcosa da diffondere, per far tutti partecipi di quest’arte che è uno dei piaceri della vita. Per un ristorante proporre un buon piatto di pasta è un vero e proprio asso nella manica, che può far iniziare con «successo» un pranzo o una cena senza troppa difficoltà: bastano davvero poche regole e qualche trucco per cuocere la pasta a puntino e per condirla con sughi facili e veloci da preparare, ma saporiti e fantasiosi. Nunzio questo lo sapeva molto bene e perciò ideò un piatto dal sapore mediterraneo che intitolerà a René del Zotto, chiamandolo i rigatoni alla René, che distingueranno per due decenni il ristorante di Budoia in tutta la provincia di Pordenone. Gli ingredienti erano particolarmente presi in considerazione e meticolosamente selezionati dal cuoco stesso, e molte volte, come le verdure e i derivati del maiale (salami, soppresse e ossocolli), prodotti direttamente dal «signor Giovanni»,

padre di René, nella sua casa chiamata «al Cral». La signora Maria Janna, titolare dell’esercizio, vigilava su tutto e il figlio René non trascurava il minimo dettaglio per la selezione dei vini e per il servizio in tavola, ben accurato e all’altezza di ogni situazione, prestato per numerosi anni dai valenti camerieri Umberto e Giorgio Fort, entrambi di S. Lucia di Budoia. Anche la cantina di René era tenuta in grande considerazione; preposto ad essa era una figura molto conosciuta in paese, il mugnaio Eugenio Cardazzo, detto anche «Genio muliner». Egli si preoccupava della custodia e dell’imbottigliamento dei vini locali, necessari sia per il bar che per il ristorante, compito che ha svolto fino alla chiusura nell’agosto 2001. Tutta questa accuratezza sia nella cucina che nel servizio non passava inosservata tanto che, negli anni Settanta, in occasione della visita in Friuli prima del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e poi del presidente Giovanni Leone, il «Ristorante da René» fu scelto per la preparazione della cena di gala, che ebbe luogo, la prima volta, nella caserma di Tauriano e la seconda nella caserma Zappalà di Aviano. Nel 1980, E Nunzio non manca di far partecipi delle sue specialità sior Giovanni Del Zotto e la siora Maria Janna Pola, genitori di René e di Mirella.


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Nunzio Sottile, durante una manifestazione gastronomica, assistito dal collega Tito Zanolin, anche lui da S. Giovanni di Polcenigo, affermava che i piatti che gli avevano dato più soddisfazione erano stati i rigatoni alla René e gli antipasti di pesce. I menù erano vari e numerosi, andavano dal mangiar nostrano al raffinato, come possiamo intendere leggendo un menù caratteristico di quell’epoca, che ha inizio con il grande antipasto di pesce, che a Budoia si chiamava Arlecchinata veneziana: aragoste, scampi, gamberoni, canocchie, capesante, folpi, peoci, gamberetti ed altro ancora. Poi gnocchi di zucca con la ricotta affumicata grattugiata sopra e le crespelle ai formaggi: due primi, non di pesce, ma sufficientemente delicati per poterli abbinare. Un ritorno con i filetti di sogliola «bone femme», anche per non dimenticare del tutto i funghi, e bocconcini di vitello al limone. Gran finale con un dolce da leccarsi i baffi, il gelato al forno, che veniva servito fiammeggiante a luci spente. Ritiratosi Nunzio nel 1983, il posto fu occupato da Tito Zanolin che ormai lo affiancava da qualche anno, aiutato a sua volta dalla signora Concetta Verderame, per portare avanti quella tradizione di buona cucina iniziata 21 anni prima. Tanto impegno restò sempre nel ricordo di quelli che lo conoscevano e lo apprezzavano, chiamandolo sempre, anche dopo essere andato in pensione, il «cuoco di René». CLAUDIO SOTTILE

In alto: Nunzio tra i fornelli sotto lo sguardo del cameriere Giorgio Fort (a sinistra). Sopra: sugli splendidi piatti si posano gli sguardi di Nunzio, di Augusto Angelin Pelat, della proprietaria Mirella, di Luigi Zambon e del giovane Claudio Puppin, competenti collaboratori di René. (Anni ’60). Accanto: Natale 1966. Dolce e fantasiosa interpretazione del progetto turistico «Venezia delle Nevi», con Ciamp, Sauc, Pietins, Cornier di panna montata, racchiusi in una gondola di cioccolato.


I Comuni di Budoia e Polcenigo, corsi e ricorsi storici

In un recente bollettino/periodico della Associazione Pro Loco di Fontanafredda, il noto e apprezzato storico vigonovese m.o Nilo Pes ha citato il decreto di Eugenio Napoleone, che nel 1810, costituiva il Comune di Fontanafredda con le dimensioni rimaste fino ad oggi. Il decreto era motivato dalla «necessità» di riordinare quelli che noi oggi chiamiamo Enti locali e recita «I comuni vicini che non raggiungono i 3000 abitanti possono essere aggregati fra loro». Era il caso dei Comuni di N Vigonovo (comprendente Nave, Ranzano e Talmasson) alle dipendenze del Podestà e Ca pitano di Sacile; N Villadolt, Ronche, Ceolini e Fontanafredda, con parte di Talmasson, alle dipendenze del conte di Porcia. E così nacque l’attuale Comune di Fonta nafredda. Mi sono detto: lo stesso decreto dovrebbe riguardare anche Budoia e Polcenigo. Ho subito chiesto ad un mio prezioso collaboratore, il dott. Giacinto Mezzarobba, che ha rintracciato al l’Archivio di Stato di Milano il documento (cfr. foto a lato). Sarà utile por mente alla situazione precedente così efficacemente descritta da Giorgio Zoccoletto nel libro edito nel 1995 a cura dei Comuni di Budoia-Polcenigo e de l’Artugna, pag. 18, «La giurisdizione di Polcenigo» che si riporta per la parte che interessa. I comuni di Polcenigo, Coltura, Budoia, Dardago, Santa Lucia e San Giovanni formavano un nucleo feudale a ridosso dell’arco montano da cui scaturiscono le diverse sorgenti del fiume Livenza. L’aggregazione del territorio risaliva almeno fin dall’anno 963, quando l’imperatore Ottone lo concesse al vescovo-conte di Feltre e Belluno, seguendo la politica di assegnare ai prelati l’amministrazione civile e di trasmettere in commenda al potere ecclesiastico, più vicino ai luoghi, i benefici economici e le immunità giuridiche del troppo lontano potere temporale. I vescovi-conti furono riconfermati in tale godimento dall’imperatore Corrado nel 1031, sempre nell’intento di salvaguardare l’unità dell’Impero, riconoscendo la Chiesa come unica struttura allora in grado di mantenere l’ordine sociale. Successivamente, con atto formale redatto a Feltre nel 1290, il feudo fu trasmesso dall’amministrazione vescovile alla famiglia detta di Polcenigo, i cui esponenti erano già stati per lun-


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Particolare del territorio di Polcenigo in un disegno del secolo XVIII. (Archivio di Stato di Venezia).

go tempo intendenti sopra i beni locali dalla mensa episcopale. Dopo l’affermazione del dominio veneziano in Friuli nel 1420 (anticipata nel 1411 da accordi bilaterali tra i feudatari di Polcenigo ed i procuratori ducali), la legittimazione politica e giuridica del potere dei conti fu sancita con l’investitura del 1433 ed in seguito riconfermata varie volte secondo le norme del diritto feudale della Serenissima. Per tale normativa giuridica, quello di Polcenigo si configurò come feudo parlamentario, retto e legale, giurisdizionale, nobile ed antico: vale a dire che la titolarità doveva trasmettersi per linea maschile diretta e legittima, e che contemplava specifiche competenze nell’amministrazione della giustizia, oltre al titolo di conte in forza dell’antica costituzione. Le prerogative assegnate alla famiglia erano di mero e misto imperio, cioè estese sia alla giurisdizione civile che a quella criminale, con possibilità di irrogare pene di sangue e d’ultimo supplizio, esercitabili in prima ed in seconda istanza, mentre l’eventuale ultimo appello era riservato al luogotenente di Udine, massimo rappresentante di Venezia nella Patria del Friuli. Ai conti spettava il diritto dinastico di seggio e parola nel Parlamento della Patria nella classe dei castellani. Alle attribuzioni giurisdizionali si assommavano facoltà e diritti esclusivi di eseguire opere edili ed ogni altra prerogativa onorifica e patrimoniale solita assegnarsi ai vassalli. Non trascurato era il privilegio di scegliere per primi, ed a prezzo favorevole, i pesci ed i gamberi pescati alle sorgenti: i pescatori dovevano aspettare per due ore che i conti facessero le loro scelte, solo dopo potevano vendere agli altri. Alla fine del secolo XVIII le funzioni feudali, cui si aggiungevano quelle dell’altro territorio separato di Fanna, erano ormai gestite da un consorzio diviso in quarantotto carati, intestati a vari esponenti della famiglia originaria, nonché dell’altro gruppo nobiliare friulano dei Manin (entrato nella compagine per delle sovvenzioni fi-

nanziarie concesse ai Polcenigo), ed i poteri venivano esercitati a rotazione da un titolare di carati, che fungeva da rettore pro tempore. Il rappresentante di turno aveva competenza esclusiva sulle materie criminali ed in questo comparto veniva coadiuvato da tre giurati di giustizia: due, detti minori, presi da Coltura e da San Giovanni, ed uno, detto maggiore, da Polcenigo. Loro compito prevalente era di vigilare sul rispetto dei pesi e delle misure. L’esame in prima istanza delle cause civili era assegnato ad un consesso, detto banca di comun, sempre di esclusiva nomina dei giurisdicenti, composto da sei giudici e presieduto da un podestà: tre giudici provenivano da Budoia, Dardago e Santa Lucia, uno alternativamente da Coltura o da San Giovanni, due da Polcenigo, da cui veniva preso anche il podestà. La banca di comun utilizzava gli stessi dipendenti e gli stessi uffici dei conti, per l’esercizio pratico delle funzioni e per la conservazione delle carte, e non poteva emettere alcun giudizio in seconda istanza, perché riservato esclusivamente al feudatario rettore. La popolazione aveva il diritto di radunarsi in assemblee ristrette nell’ambito del vicinato, dette vicinie, o in quelle appena più allargate del villaggio, dette regolati, per trattare principalmente l’amministrazione dei beni comunali e la ripartizione pro capite delle imposte stabilite dai conti, senza disporre in proposito di alcun proprio fondo di cassa. Più vicinie e più regolati, insieme a forma di comun, nominavano un meriga, che era l’interlocutore privilegiato della amministrazione comitale. Considerazioni: sono passati quasi 2 secoli da questa «operazione numerica», non è forse il caso di ripensare al fatto che prima, per ben più di mille anni, le popolazioni dei paesi di Budoia, Coltura, Dardago, Gorgazzo, Mezzomonte, Polcenigo, San Giovanni, Santa Lucia hanno vissuto un comune destino civile? MARIO COSMO


Vasti orizzonti sul nostro andare

È una melanconica e grigia giornata di fine febbraio quella che ci lasciamo alle spalle, con pioggia e nebbia. Ci sentiamo ancora immersi nell’inverno, pur desiderando e cercando i segni della primavera che, purtroppo, quest’anno tarda a venire. Ma noi siamo felici ugualmente, perché stiamo partendo e, senz’altro, la primavera la troveremo laggiù, in Libano e in Siria, dove siamo diretti. Difatti Beirut è illuminata da un caldo sole primaverile, la visione del mare è la prima immagine che balza al nostro sguardo e, sullo sfondo, le montagne innevate creano un contrasto di indicibile bellezza. Il primo abbraccio accogliente ce lo offre la natura che ci viene incontro con la sua varietà di fiori, di profumi e di colori. Sogno e realtà qui si armonizzano donando pace ai nostri cuori e calda amicizia tra noi. Chissà perché, durante tutto il mio soggiorno in Libano, associo l’immagine della natura al Paradiso terrestre e mi sembra facile pregare, perché sento Dio vicino che mi accarezza nel vento, mi riempie il cuore di bellezza, mentre contemplo i colori e respiro l’aria colma di profumi. Vasti orizzonti accompagnano il nostro andare. Le vallate si aprono a ventaglio dalla montagna, riesci sempre a vedere il mare e hai l’impressione che il tuo cuore si apra e capisci che non esistono solamente i tuoi problemi o le tue gioie, ma che ci sono un dolore e una gioia universali e che, all’interno di questa umanità, devi collocare la tua vita, aprendoti all’accoglienza, alla solidarietà, all’amore. Il secondo abbraccio, caldo e affettuoso ci viene offerto dalle persone che incontriamo durante il nostro soggiorno laggiù. Sono parenti e amici di don Adel: ricordiamo per tutti il fratello Halim e la sua carissima famiglia, il Vescovo di Banyas e di Cesarea di Filippo, il nuovo sacerdote Padre Nader con i suoi genitori, fratelli e nipotini. Tutti ci accolgono come se fossimo noi pure amici e parenti loro e difatti nel nostro cuore li ricordiamo così. Ci accolgono nelle loro case e condividono con noi, oltre al cibo, anche l’esperienza di vita, non sempre facile, ma tenacemente sostenuta da progetti per il futuro. Impariamo che le difficoltà vanno superate in un’ottica di speranza e di attesa del domani, perché l’avvenire comunque è pieno di poten-

Accanto: resti del Tempio del Sole di Baalbak.

Sotto: don Adel con Michela Panizzut, Elsa Carlon, Marisa Romanut, padre Milad, superiore del Monastero Libanese-Maronita di Kfifan, e con Rosa Pia Bravin, nel Nord del Libano. In basso: Tempio del dio Bacco a Baalbak.


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zialità e di vita, così come sprizzano gioia e voglia di vivere gli occhi dei bellissimi bambini che incontriamo numerosi in ogni angolo. Ma ciò che maggiormente ci stupisce è l’accoglienza e la gentilezza delle persone comuni; la gente che ci indica la strada, i commessi nei negozi, l’autista del pulmino, le persone che ci fanno da guida a Baalbeck, a Bosra, a Byblos, a Palmira…, i gestori dei piccoli ristoranti che, oltre l’orario di chiusura si fanno in quattro per garantirci, comunque, una cena a base di «falafel» fino al caffè, nel Museo Marie Baz di Deir-elKamar, offertoci dal principe proprietario nel giardino del Palazzo dell’Emiro. Non possiamo dimenticare l’accoglienza nei monasteri cattolici, ortodossi e maroniti. Senti che qui l’accoglienza è davvero speciale, perché parte dal cuore stesso di Dio, profondamente cercato e contemplato e che si fa tenerezza per l’uomo che arriva quassù in cerca di riposo interiore e di pace. Ma è pure accoglienza e partecipazione ai problemi sociali, politici e culturali degli uomini del nostro tempo, perché quello dei monaci, non è un vivere staccato dai problemi del mondo, ma è profondamente inserito nella realtà umana. Padre Milad (Natale), giovane superiore del Monastero di Kfifan, fa parte di questi uomini coraggiosi del nostro tempo ed è colui che ci invita a pregare con loro e a pranzare insieme ai suoi monaci. Sorridiamo commosse e divertite: «quattro donne in clausura». E qualcuna, in vena di scherzare, soggiunge: «E fu così che quattro si fecero monache». Il terzo abbraccio, e questo ci parla di fede, lo riceviamo dalla statua del Cristo che sovrasta Beirut e da Maria che, sulla sommità della collina prospiciente il mare, nel quartiere di Harissa, veglia sull’intero Libano. Arriviamo quassù molto presto, sono le sette locali, le sei in Italia, io ho bisogno di pregare e come me tanta gente che nella chiesa sottostante sta celebrando l’Eucarestia. Ci meravigliamo del numero della partecipazione, della fede che esprimono nella preghiera, così come eravamo rimasti stupiti a Byblos, venerdì pomeriggio quando, entrando in una chiesa strapiena di persone abbiamo pensato di assistere ad un funerale, perché tanta gente da noi si riunisce solo in quell’occasione e invece avevamo scoperto che stavano pregando la via Crucis.

Nella moschea di Tripoli del Libano, già chiesa bizantina, Michela, Rosa Pia e Marisa con il chador.

In tutti i Monasteri vediamo persone, soprattutto giovani, in profondo raccoglimento e preghiera. Entrando nelle famiglie percepiamo, e ce lo esprimono pure con le testimonianze di vita, che Dio non è un optional, ma è il Vivente, Colui che ispira e accompagna il loro cammino, la loro vita di relazione, i loro rapporti sociali, il lavoro, gli impegni. Mi sembra di cogliere una spiritualità del quotidiano, della ferialità, ma profondamente vivificata da una vita di comunione con Dio. Spontaneo, in questi casi, è chiedersi: «perché». Faccio confronti con la mia incerta vita di fede. Penso che l’Orientale, per sua natura, è portato più di noi, alla riflessione e all’interiorizzazione, penso che dovendo convivere con altre religioni sia richiesta una ricerca profonda della propria identità religiosa, mi sembra che il dolore e la sofferenza costituiscano terreno per grandi scelte e che la precarietà della vita dia il senso del limite dell’uomo e lo aiuti ad aprirsi al Trascendente, ma io qui sono una turista e non ho tempo oggi di approfondire, forse lo farò domani se il fascino del Libano continua a parlare al mio cuore. MARISA ROMANUT


Intorvìa la tóla

di A cura ello Bastian ta li e M e e Adelaid

Radicia co’ le frithe

Ravitha in tecia

Ingredienti per 4 persone 500 g di radicchio 150 g di lardo* sale, aceto

Ingredienti per 4 persone 1 kg di ravizzone 30 g di burro 1/2 quarto di panna fresca aglio, sale, pepe

Preparazione Pulire e lavare e asciugare il radicchio. Ungere un tegame con l’olio, farlo scaldare, mettervi il lardo tagliato a pezzetti e farlo rosolare qualche minuto fino a che risulta leggermente croccante. Aggiungervi quindi una bella spruzzata di aceto, farlo scaldare un minuto. Versare questo condimento sul radicchio, mescolare e... mangiarlo subito, meglio se accompagnato da uova sode o salsiccia.

Preparazione Pulire e lavare bene la ravitha. Mettere a scaldare una pentola d’acqua e quando l’acqua bolle mettervi la ravitha e cuocerla per 5 minuti quindi scolarla e strizzarla dall’acqua. Far rosolare in una padella un poco di burro (o olio) e due o tre spicchi d’aglio e aggiungervi la ravitha precedentemente tagliata grossolanamente. Farla insaporire per cinque minuti, salarla e peparla. Aggiungervi quindi la panna e far cuocere ancora per 10 minuti circa per far asciugare lentamente la panna. Quando sarà pronta, un minuto prima di spegnere, coLa ravitha vien e usata spargere con una manciaanche nella prep ta di formaggio grattugiato. arazione

* Abitualmente, ai giorni nostri, il lardo è sostituito quasi sempre dalla pancetta per rendere meno grasso il condimento.

di un buon risot

to. La preparazione

della ricetta è de l tutto simile a quella già pubblicata nel numero di Aprile ’99 per il «Risoto co’ la Sclopetin a», basta sostituire la Sclopetina con la Ravitha.


’N te la vetrina

Un nutrito gruppo di alunni delle classi 1921, 1922 e 1923, nell’anno scolastico 1930 ca., all’esterno dell’edificio scolastico di Dardago. Prima fila: Esperia Bocus Frith, Laura Carlon Salute, Vittoria Ianna Theco, Maria Zambon, Luigi Bocus Frith, Camillo Bastianello (?), Luigi Zambon Momoleti, Ferruccio Zambon Tarabin (?), Cilo Zambon Colus, Nando Rigo Moreal, Giuseppe Ianna Stiefin, Carlo Basso. Seconda fila: Maria Zambon Tunia, Anna Basso, Anna Zambon Petol, Marina Ianna Geromin, Gemma Busetti, Gaetano Busetti Caporal, Bruno (?) Marin, Benito Zambon Marescial, Mario Zambon Pinal, Cornelio Zambon Marin, Enrico Zambon Pinal, (?), Bruno Piol. Terza fila: Flora Pellegrini Cucola, Augusta Zambon Pinal, Tea Bocus Frith (con il fratellino Gianni), Giovannina Zambon Pinal, Lidia Bastianello Thisa, Maestra, Cornelia Basso, Maria Basso, Lidia Bastianello Thisa, Nerina Zambon Colus, Celestina (?), Rosina Zambon Mao. (Foto di proprietà di Cornelio Zambon Marin)

Una coppia di altri tempi: Nato e Bepa Pinal (Fortunato Zambon e Giuseppa Carlon) nel loro vigneto. (Foto di proprietà di Vittoria Santin)

Negli anni ’20, Giuseppe Rigo Moreal, lasciati in paese moglie e figli, cerca lavoro in Svizzera. Agli emigranti l’arrivo di una foto-ricordo della famiglia spesso leniva la lontananza dagli affetti, negli interminabili giorni e mesi d’assenza dal paese. E così Aurelia Vendramin Rigo, l’ultima a destra nella foto, il 6 giugno 1929 raggiungeva Aviano insieme con Anna (1914), la primogenita (accanto alla madre), con Maria (1918), la secondogenita (la prima a sinistra), con Marcella (1920), con Nando (1921) e con la piccola Isa (1923) per una foto-ricordo da inviare al marito. (Foto di proprietà di Maria Rigo Moreal)


I giorni che precedevano la vigilia dell’Epifania, gli uomini del paese, giovani ed anziani, si mobilitavano con carri e trattori, alla raccolta di tutto ciò che veniva eliminato dai campi o dai boschi durante la potatura o il taglio della legna, per contribuire alla buona riuscita dei fuochi epifanici. Era una gara tra contrade, tra chi riusciva a erigere il panevin più alto. Anche Giuseppe Carlon Saccon era sempre disponibile a collaborare, lo vediamo in un’edizione del 1975, a Budoia. (Foto di proprietà di Elena Carlon)

Quanto era bello mascherarsi a Carnevale! Era proprio il mascheramento fatto di semplici abiti e di improvvisati trucchi, ottenuti con il sughero bruciato sul fuoco, a far gioire i bimbi, anzi in questo caso le due bimbe budoiesi, Sonia Signora (a sinistra), e Laura Carlon (a destra). Era il 1958. (Foto di proprietà di Laura Carlon)

Gruppo di signore di Santa Lucia, all’inizio del ’900, con splendidi abiti. Sono Pierina (1891) con la sorella Santina Besa in Fort Palanca e con la cognata Maria Fabretti, moglie di Anacleto Besa proprietario della filanda. (Foto di proprietà di Orfeo Fort Palanca)


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Cronaca

Il negozio di Lina e Luigi Zambon, luogo della rapina.

I À ROBAT DA LA «LALA»...

C’è da non crederci ma, purtroppo, è vero. Budoia si guadagna uno spazio nelle pagine di cronaca nera dei giornali anche per una rapina a mano armata. In una umida serata di febbraio, quando la piazza è ormai deserta – non c’è il bar da René che porta un po’ di movimento – due malviventi, con la minaccia di un coltello, costringono i titolari a consegnar loro l’incasso della giornata. Tutto dura pochi minuti: per fortuna non ci sono danni alle persone, ma restano l’amarezza e lo sconforto. Questo fatto si aggiunge a tanti altri furti nelle abitazioni nei nostri paesi e negli altri centri della pedemontana. Il sindaco, giustamente chiede ai Carabinieri un maggior controllo anche del nostro territorio. Il mondo cambia. Tante volte anche in peggio.

...E DA SALVATORE

Anche l’azienda agricola di Salvatore Buffalo, in via San Martin a Dardago, è visitata dai ladri. Di notte, alcuni ignoti fanno man bassa di tutto quello che trovano. Il bottino è abbastanza rilevante. Portano via di tutto: tra le altre cose, addirittura, tre galline e una tanica di miscela.

CARNAVAL DEI CANAIS

Sabato 9 febbraio, alle ore 15.00 presso i locali del nuovo edificio scolastico si tiene la Festa di Carnevale organizzata dalla Pro Loco per tutti i bambini da 0 a 11 anni del Comune di Budoia. Quest’anno l’obiettivo è intrattenere e divertire le maschere facendo loro trascorrere un intero pomeriggio da protagoniste. Per questo sono presenti alcuni animatori che coinvolgono i bambini in allegri giochi.

QUARANTA ’STO AN, PA LA PRO LOCO

Venerdì 1 marzo, si tiene l’assemblea dei soci della Pro Loco. Da sempre questa è un occasione per fare il punto della situazione e presentare i programmi per il futuro. Quest’anno purtroppo l’associazione deve fare i conti con un disavanzo economico dovuto agli


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investimenti fatti per il chiosco e al maltempo che ha compromesso un fine settimana della Festa dei Funghi. Per questo la Pro Loco ricorre al prestito sociale per far fronte alle spese sostenute nel 2001 e realizzare le attività del 2002: si ringraziano tutti coloro che con il prestito hanno accordato la loro fiducia, dimostrando sensibilità e partecipazione in questa complessa attività di volontariato. Durante l’assemblea ancora una volta emerge la necessità di una maggior collaborazione tra le varie realtà del territorio in modo da ottenere risultati migliori ed evitare di ostacolarsi a vicenda. Si è inoltre ricordato che nel 2002 ricorre un importante anniversario, in quanto la Pro Loco compie 40 anni. L’augurio è che non manchi il sostegno di enti e collaboratori, in modo da valorizzare insieme il nostro patrimonio artistico e culturale.

IN GIRO PA’ VENETHIA

Sabato 23 febbraio una quarantina di soci della Pro Loco si sono recati a Venezia per una gita culturale. La compagnia era formata da compaesani ma anche da parecchi amici provenienti da tutta la provincia, attirati dall’iniziativa. In mattinata sono stati visitati l’Arsenale e il Museo Navale. La giornata è proseguita con il pranzo al ristorante Sempione di Luigi Zambon. Nel pomeriggio tutti a Palazzo Grassi per visitare la mostra «Da Puvis de Chavannes a Matisse a Picasso verso l’arte moderna». Insomma, una piacevole giornata che apre una stagione ricca di iniziative a carattere naturalistico e culturale.

UN INVER DA RICORDÀ

L’inverno appena trascorso sarà ricordato per la stranezza del suo clima. Dapprima un lunghissimo periodo di siccità: da noi come in gran parte della penisola. Gli ultimi mesi dell’autunno e i primi dell’inverno non vedono vere e proprie gior-

nate piovose, tant’ è vero che si teme fortemente per gli incendi. Infatti, la notte di Capodanno un vasto incendio interessa la zona di Castaldia, sotto i ripetitori. In montagna non c’è un centimetro di neve, con grande disappunto degli appassionati degli sport invernali e soprattutto degli operatori turistici. Il 13 dicembre, solamente in pianura, cade la prima neve: non tanta – dieci o venti centimetri – ma il gelo che subito dopo investe la nostra provincia causa enormi disagi. Le strade si trasformano in piste ghiacciate con gli immaginabili problemi. Molti automobilisti, senza catene o pneumatici adeguati, non riescono a proseguire creando code e causando tamponamenti. La strada che da Roveredo sale a Budoia, la sera del 13 dicembre è come un campo di battaglia: automobili che non riescono a salire, lasciate sulla carreggiata o parcheggiate alla meno peggio. I mezzi spargisale sono insufficienti e non riescono, in breve tempo, a liberare dal ghiaccio neppure le strade principali. Anche viaggiare sulla Pedemontana è molto rischioso. Il gelo non abbandona la nostra zona e dura per molti giorni. In alcune mattinate il termometro scende anche a meno dieci-dodici gradi. In queste condizioni, in alcuni tratti delle strade meno frequentate, il ghiaccio rimane per settimane. Intanto continuano le giornate di alta pressione, non piove e in molti centri si fa sentire il problema dello smog. In montagna, la neve continua a mancare fino a metà febbraio, quando, finalmente, in un paio di giorni, cade in Piancavallo quasi un metro di neve, limitando i danni ad una stagione turistica da dimenticare.

Budoia sote la neif. (Foto di Vittorina Carlon)


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Ora inizia la primavera, salutata il 18 e il 19 marzo con due mattinate nebbiose mai viste neanche in novembre: ‘l è proprio un inver da ricordà.

ANCIA I FIOI I CIANTA IN GLESIA

Con l’inizio dell’anno catechistico nasce un nuovo coro: è quello dei bambini che si stanno preparando alla Prima Comunione, che ogni sabato mattina dedicano un’ora al canto grazie alla collaborazione di Emanuela e Elena. L’idea originale era quella di aggiungere un’ora di canto alla normale ora di catechismo, sia a Dardago che a Budoia. Poi, visto il numero consistente, i rapidi progressi e l’entusiasmo dimostrato, sono stati uniti i due gruppi, per avere un bel coro che conta più di venti bambini. Li abbiamo già ascoltati durante la Santa Messa sia a Dardago che a Budoia. Hanno anche accompagnato la Santa Messa domenicale al Duomo di Pordenone assieme al gruppo dei «Pueri Cantores m° Onofrio Crosato». Considerando soprattutto la sua importanza come esperienza formativa, speriamo che questa attività che procura molte soddisfazioni, ma richiede costanza ed impegno, possa continuare nel tempo.

L’ORGANO DE LA GLESIA DE BUDUOIA

Muto da alcuni anni l’organo della chiesa di Budoia riceve in questi giorni una prima visita da parte della sovrintendenza regionale, su richiesta del Consiglio per gli affari economici, per rilevare il suo stato di salute, che è considerato buono, poiché lo strumento musicale non subì – negli anni – modifiche strutturali. Dopo un accurato intervento di restauro, affidato alla ditta Zanin di Codroipo, esperta nel settore, i fedeli potranno riascoltare il potente e melodioso suono, che accompagnò generazioni di fedeli nelle tappe più importanti della vita del paese, fin dal lontano 1890, anno in cui l’organo venne installato dalla ditta Bazzani, successore della Scuola veneta di Nacchini e Callido. Fu fatto funzionare per oltre un secolo da validi maestri locali. Subirà dei restauri anche la struttura lignea che racchiude l’organo. Ci auguriamo che avvenga quanto prima.

Inno alla vita... Amore, gioia, dolcezza traspaiono nei volti di Michela e Marco Puppin per l’arrivo del secondogenito Tommaso. Anche Gabriele gioisce con i genitori e i nonni.


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Occhietti vispi e sguardo simpatico: è Laura Baracchini, nata il 13 ottobre 2001, figlia di Alessandro e Antonella Del Puppo, battezzata a Budoia, domenica 3 febbraio 2002.

Matteo Cesaro festeggia le 90 primavere della nonna-bis Caterina Del Maschio, in casa di nonna Elena, a Altichiero (Padova), insieme a tutti i famigliari.

Matilde e Girolamo Zambon Petol, in occasione del loro 60° anniversario di matrimonio.

Auguri cordiali dalla Redazione.


I ne à scrit

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Padova, 4 febbraio 2002

Spettabile Redazione de l’Artugna, è desiderio di Elena Carlon e di Laura Carlon inviarvi alcune foto per le vostre rubriche. Chiediamo cortesemente se è possibile ricevere il file della foto o il recapito del proprietario della foto presente su l’Artugna n. 87 agosto 1999 alla pagina 23 ritratto della ciasa dei Sacons. Nell’occasione porgo i miei più cordiali saluti. FEDERICO CESARO

Mestre, 3 marzo 2002

Spettabile Redazione, è la prima volta che mi collego con il vostro sito: ottimo e ottima l’idea di mettere in rete la rivista. Non sapevo ci fosse, ho sempre letto la copia che arriva a mio padre. Ho scritto per comunicare la nascita del nostro decimo figlio: Davide Zambon, di Gino e Lucia Pistellato, Salutoni e buon anno. GINO

Milano, 18 febbraio 2002

Carissimi, vi invio la fotografia dei miei genitori, Matilde e Girolamo (Petol) che hanno festeggiato il 16 febbraio 2002 lo loro nozze di diamante. Spero che potrete metterla sul prossimo numero de l’Artugna. Grazie e cordiali saluti.

pre rimarranno le sue radici. Tra le sue cose abbiamo trovato un quaderno su cui appuntava i pensieri più profondi. Ve ne inviamo uno come spunto di riflessione: «Vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo». Grazie e un abbraccio. I suoi cari. YVES TASSAN TOFFOLA E FAMIGLIA

Verona, 9 marzo 2002

Spett. Redazione de l’Artugna, lo scorso 26 febbraio è venuta a mancare mia madre, Lucia Carlon Favre – era nata a Budoia il 10 luglio 1928 – ed abitava a Mestre. Vi sarò grato se ne inserirete il nome nell’elenco di chi riposa in pace. Complimenti per la rivista, che tra l’altro credo inviavate a mia madre... Cordiali saluti. ALESSANDRO MARIN

Zoppola, 18 marzo 2002

Spett. Redazione de l’Artugna, spesso per comodità si invoca per i consensi il concetto dell’assenso-tacito. Per il grosso lavoro e per l’ottimo risultato ottenuto con «Vere o no vere», voglio esprimere il mio apprezzamento con un assenso esplicito: COMPLIMENTI! CLAUDIO PETRIS

DANIELA ZAMBON

Padova, 20 marzo 2002

Milano, 8 marzo 2002

Gentile Redazione de l’Artugna, il giorno 5 marzo 2002 è mancata al nostro affetto Maria De Chiara di anni 89. Da anni viveva a Milano, ma era nata a Budoia e cresciuta a Castello nei pressi delle fornaci. Ci piacerebbe ricordarla con voi che rappresentate la voce della terra e della gente che amava tanto e dove per sem-

Spett. Redazione, vi invio la foto ritraente la nonna «Catina» (Del Maschio Caterina) nel giorno del suo 90° compleanno con il nipotino Matteo felicissimo di festeggiare la «nonna bis», come la chiama lui! Matteo è nipote di Carlon Elena, figlia di Caterina. Vi invio inoltre altre foto con la speranza che possano essere utili nella creazione dei prossimi numeri de l’Artugna. Grazie per l’attenzione e buon lavoro per la rivista. MASSIMO CESARO


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Ringraziamo i molti lettori che ci inviano notizie e fotografie per ricordare gli avvenimenti delle loro famiglie. È un modo significativo di condividerli con parenti ed amici. Sarebbe bello che la collaborazione dei lettori si estendesse anche all’invio di racconti, impressioni, piccoli brani da pubblicare. In tal modo il nostro periodico risulterebbe ancora più vario e interessante. LA REDAZIONE

Tanti auguri di buon anno 2002. REMIGIO IANNA – VENEZIA

* Grazie per l’opera di ricerca e conservazione delle radici e della memoria storica. GRUPPO ALPINI – CRESCENZAGO

* Grazie a tutti. RESI ZAMBON BUSETTI – REGGIO EMILIA

Mario Burigana, «poeta nascosto», svelato dagli amici

DAI CONTI CORRENTI Come ogni anno Vi giungano i miei migliori auguri. MARIA ANGELIN – TRIESTE

* Grata per il Vs. impegno, auguro a tutta la Redazione buon anno e buon lavoro! DONATELLA ANGELIN – MILANO

* Un augurio cordiale e sincero a tutta la comunità e alla redazione de l’Artugna. SILVANA ZAMBON – ROMA

* Auguri di buon anno e di buon lavoro. MARIO AGOSTI – REGGIO EMILIA

* Bravi, continuate così. Grazie. ALFEO ZAMBON – MESTRE

* Rinnovo l’abbonamento per l’Artugna che mi permette di rievocare gli anni dell’infanzia e della giovinezza presso i miei nonni Busetti Luigi Caporal e Santa Del Maschio. JOLANDA RIGO – SACILE

* Con cari auguri per il 2002. ANNA JANNA – MILANO

* Sono sempre contento di leggere il periodico l’Artugna. BRUNO ZAMBON – MESTRE

Scrive da una vita, ma non si preoccupa di pubblicare, compito che da qualche anno si accollano i suoi fedeli amici, raccogliendone in volume i versi. È Mariano Burigana, nato nel 1936, vicentino, anche se il cognome nasconde chiare origini budoiesi. Scrupoloso dipendente del Comune di Vicenza, ha sempre coltivato i suoi interessi più spiccati e duraturi: lo studio dei vari aspetti della storia, della letteratura, della filosofia, i frequenti viaggi, l’affettuosa e rigorosa custodia di testimonianze della nobiltà vicentina, materie che affollano i densi versi. Tra gli autori vicentini è il più under group per i temi talvolta segreti che tratta e, soprattutto per il suo atteggiamento di fronte al mercato. Non pensa, infatti, nemmeno a raggiungere gli scaffali delle librerie, gli basta la circolazione di copie distribuite come dono. E proprio come dono ci sono giunti due suoi volumi. Non sappiamo chi ringraziare, se direttamente l’autore o i suoi amici, poiché manca completamente il mittente.. «Paradigmi e riflessi. Il giro rifuso» è una raccolta di versi, pubblicata nel 1996 in occasione dei suoi cinquant’anni. Sono meditazioni, dotte congetture e squarci lirici. «Commedia minima. Catàbasi, anàstasi, anàbasi» il sottotitolo, bonariamente traslitterato dal greco della Chiesa ortodossa, sta per Discesa, Resurrezione e Ascensione; sono espressioni di sintesi per i contenuti delle tre sezioni in cui la raccolta si articola; è allusione alla commedia di Dante, perciò il titolo di «Commedia minima». Segue un opuscolo con presentazione e commento d’illustri accademici.


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Palsa

Programma

La fine delle lire

Programma della Settimana Santa

Il 28 febbraio qualcuno suona alla porta di San Pietro. San Pietro apre la porta e si trova davanti miliardi e miliardi di lire, banconote e spiccioli. San Pietro esclama: «E voi cosa fate qui?». «Il 28 febbraio noi siamo morte, nessuno ci vuole più e noi da qualche parte dobbiamo pure andare» rispondono le lire. Allora San Pietro pensa un po’ a come risolvere il problema e decide: «Gli spiccioli e le banconote da mille lire in paradiso, le 5 mila lire e le 10 mila lire in purgatorio, le 50 mila lire e le 100 mila lire all’inferno». Le 50 mila lire e le 100 mila lire protestano: «Ma cosa abbiamo fatto noi di male?» E San Pietro risponde: «Voi in chiesa non vi ho mai viste!!».

Situazione economica del periodico l’Artugna entrateuscite

Costo per la realizzazione e sito web Spedizioni e varie Entrate dal 26/11/2001 al 17/03/2002 3.941,22 Totale Differenza

BUDOIA

DARDAGO

• Benedizione dell’Ulivo in piazza, processione e Santa Messa di Passione

ore

9.30ore

11.00

• Santa Messa e apertura della solenne Adorazione Eucaristica delle 40 ore

ore

9.00ore

9.30

• Chiusura dell’Adorazione Eucaristica

ore

18.00ore

12.00

• Santa Messa Vespertina «In Cœna Domini», riposizione del SS. Sacramento all’Altare del Sepolcro, spogliazione degli altari e adorazione ore

20.00ore

18.30

LUNEDI, MARTEDI, MERCOLEDI SANTO

GIOVEDI SANTO

VENERDI SANTO

Bilancio in Euro Periodico n. 94

DOMENICA DELLE PALME

3.997,17 84,45

ore

15.00

• Azione Liturgica della morte di Gesù, recita del Passio, adorazione della Croce e Santa Comunione

ore

15.30ore

17.00

–ore

20.00

ore

22.00ore

20.30

• Santa Messa Solenne

ore

10.00ore

11.00

• Santa Messa Vespertina

ore

18.00

ore

10.00ore

11.00

• Solenne Via Crucis, con partenza dalla Chiesa di Dardago e conclusione in Chiesa a Budoia (in caso di maltempo, la Via Crucis si svolge nella Chiesa di Dardago) SABATO SANTO

3.941,224.081,6 140,40

• Suono dei 33 rintocchi «nell’ora della morte del Cristo»

• Benedizione del fuoco ed accensione del Cero Pasquale sul sagrato, Veglia Pasquale, benedizione dell’acqua con rinnovazione delle promesse battesimali e Santa Messa di Risurrezione. DOMENICA DI PASQUA

LUNEDI DI PASQUA • Santa Messa CONFESSIONI Lunedi, martedi, mercoledi Santo

ore 17.00/18.00

Venerdi Santo

ore 14.30/15.20

ore 18.00/19.30

Sabato Santo

ore 16.00/18.00

ore 14.30/15.30 ore 18.00/20.15

Bambini e ragazzi (con l’orario del Catechismo)


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Avvenimenti

Nascite

Matrimoni

Benvenuti! Abbiamo suonato le campane per l’arrivo di:

Hanno unito il loro amore: felicitazioni a…

Tommaso Puppin di Marco e Michela Baldan – San Donato Milanese/Mi Alice Gazzoli di Massimo e Marina Angelin – Bresso /Mi Noemi Chiandotto di Nicola e Monia Piasentier – Budoia Alessia Pellegrini di Luca e Erica Cosmo – Dardago Andrea Pauletti di Michele e Francesca Lazzarotto – Dardago Chiara Zambon di Stefano e Maria Guadalupe – N. J./Usa Davide Zambon di Gino e Lucia Pistellato – Mestre

Alessandro Giacomini con Monica Giacobbe – Budoia Alfiero Scarpat con Iwana Pellizotti – Budoia

Lauree e diplomi

Defunti

Complimenti...

Riposano nella pace di Cristo: condoglianze ai famigliari di…

Lauree Paola Ceccato – Scienze dell’educazione – S. Lucia Flavia Zambon – Chimica industriale – Budoia Stefania Zambon – Lingue moderne – Budoia Irene Carlon – Lettere – Budoia

Angela Fort Panizzut di anni 75 – Budoia Regina Artusi Bastianello di anni 75 – Dardago Giorgio Zambon di anni 67 – Venezia Linda Del Ponte di anni 87 – Genova Caterina Besa di anni 96 – S. Lucia AnnaMaria Fort di anni 58 – S. Lucia Matteo Mezzarobba di anni 81 – Budoia Antonio Sperandio di anni 77 – Vittorio Veneto Rina Bocus Zambon di anni 88 – Dardago Bianca Bruna Lazzer Melconi di anni 69 – Pordenone Gisolfo Rizzo di anni 87 – S. Lucia Mario Fort di anni 72 – S. Lucia Rosa Da Ros Puppin di anni 90 – Budoia Romeo Verga di anni 70 – Ardenno/So Maria Zamboni Del Maschio di anni 91 – Budoia Ermes Cescut di anni 76 – Dardago Fedora Calaon Lacchin di anni 89 – S. Lucia Marianna Zambon di anni 80 – Monza Leonilda Zambon Melocco di anni 91 – Dardago Clori Zambon Capovilla di anni 88 – Aviano Rosina Alice Borotto Zambon di anni 76 – Dardago Dionisio Cauz di anni 70 – S. Giovanni Giovanni Lozer di anni 65 – Germania Giulia Gislon Pes di anni 78 – Budoia Maria Zambon di anni 89 – Dardago Santina Carlon – Inghilterra Lucia Carlon Favre di anni 73 – Mestre Maria De Clara di anni 89 – Milano

I nominativi pubblicati sono pervenuti in Redazione entro il 17 marzo 2002. Chi desidera usufruire di questa rubrica è invitato a comunicare i dati almeno venti giorni prima dell’uscita del periodico.

Nozze di diamante Girolamo Zambon Petol e Matilde Zambon Tarabin – Milano

IMPORTANTE Giungono talvolta lamentele per omissioni di nominativi nella rubrica Avvenimenti. Ricordiamo che la nostra fonte di informazioni sono i registri dell’Anagrafe comunale. Pertanto, chi è interessato a pubblicare nominativi relativi ad avvenimenti fuori Comune o relativi a particolari ricorrenze (nascite, nozze d’argento, d’oro, risultati scolastici, ecc.) è pregato di comunicarli alla Redazione.


Budoia. Piazzetta di Sant’Andrea Apostolo. Suggestiva l’inquadratura dell’antichissima plathuta de Sant’Andrea, che all’origine era molto più ampia, poiché la primitiva cappella della Villa di Budoia occupava uno spazio ridotto rispetto all’attuale. Sarebbe interessante ripristinare il toponimo. La foto è di Cornelio Zambon Marin.


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