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Periodico della Comunità di Dardago · Budoia · Santa Lucia Anno XXXI Dicembre 2002 Numero 97
Sommario
Natale, festa della famiglia
in questo numero... 2
Natale, festa della famiglia di Roberto Zambon
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La lettera del Plevan di don Adel Nasr
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Umberto Sanson, amico e maestro di MGB. Altàn, di Mario Cosmo, di Pier Carlo Begotti, di Dani Pagnucco, di Elvia Moro Appi
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Dono e Mistero - Festa per don Adel di Walter Arzaretti, di mons. Giuseppe Romanin
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Budoia-Pompei per mons. Aurelio Signora di Mario Povoledo, di mons. Domenico Sorrentino
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Scloss, iserte e fiaschi de vin di Anna Pinal
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Scelta non marginale di Antonio Zambon, di Alberto Del Maschio
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Visita al Quirinale tra sogno e realtà di Raffaella Del Maschio
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El dì de le nothe di Adelaide Bastianello
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Grandi valori da difendere di Cellia Ontelus Boro
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Chei de Moreal di Vittorina Carlon
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Danza di voci per il 25° di Giorgia, Chiara, Laura, Sara, Luisa e Fabrizio
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’N te la vetrina
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Intorvìa la tóla a cura di Adelaide e Melita Bastianello
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Cronaca
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Lasciano un grande vuoto...
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Inno alla vita...
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I ne à scrit
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Dalla missione di San Carlos in Bolivia di Pietro Janna
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Bilancio, Auguri e Programma
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Avvenimenti
In copertina. Dardago, località Mulin de Bronte, tramonto invernale visto dall’Artugna.
Periodico quadrimestrale della Comunità di Dardago, Budoia e Santa Lucia (PN) Direzione, Redazione, Amministrazione Tel. 0434/654033 C.C.P. 11716594 Internet: http://www.naonis.com/artugna E-Mail: l.artugna@naonis.com Direttore responsabile Roberto Zambon Tel. 0434/654616 Per la redazione Vittorina Carlon Impaginazione Vittorio Janna
Ed inoltre hanno collaborato Melita Bastianello, Ennio Carlon, Espedito Zambon, Adelaide Bastianello, Bruna Fabbro. Autorizzazione del Tribunale di PN n. 89 del 13-4-73 Spedizione in abbonamento postale. Art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone. Stampa Arti Grafiche Risma Roveredo in Piano/Pn Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione di qualsiasi parte del periodico, foto incluse, senza il consenso scritto della redazione, degli autori e dei proprietari del materiale iconografico.
Natale è la festa della famiglia, nucleo essenziale della società. Nelle famiglie nascono, crescono, vengono educati i figli che saranno il futuro della società. Essere genitori e educatori dei propri figli è difficile ed affascinante allo stesso tempo. Nel libro del cardinal Carlo Maria Martini Sette dialoghi con Ambrogio, Vescovo di Milano troviamo questo breve brano sull’educazione dei figli. Sono parole di quasi 1700 anni fa, valide ancor oggi perché la saggezza non ha età. Le proponiamo come strenna ed augurio. L’educazione dei figli è impresa per adulti disposti a una dedizione che dimentica se stessa: ne sono capaci marito e moglie che si amano abbastanza da non mendicare altrove l’affetto necessario. Il bene dei figli sarà quello che sceglieranno: non sognate per loro i vostri desideri. Basterà che sappiano amare il bene e guardarsi dal male e che abbiano in orrore la menzogna. Non pretendete dunque di disegnare il loro futuro: siate fieri piuttosto che vadano incontro al domani con slancio, anche quando sembrerà che si dimentichino di voi. Non incoraggiate ingenue fantasie di grandezza, ma se Dio li chiama a qualcosa di bello e di grande non siate voi la zavorra che impedisce loro di volare. Non arrogatevi il diritto di prendere decisioni al loro posto, ma aiutateli a capire che decidere bisogna e non si spaventino se ciò che amano richiede fatica e fa qualche volta soffrire: è più insopportabile una vita vissuta per niente. Più dei vostri consigli li aiuterà la stima che hanno di voi e che voi avete di loro; più di mille raccomandazioni soffocanti, saranno aiutati dai gesti che videro in casa: gli affetti semplici, certi ed espressi con pudore, la stima vicendevole, il senso della misura, il dominio della passione, il gusto per le cose belle e l’arte, la forza anche di sorridere. E tutti i discorsi sulla carità non mi insegneranno di più del gesto di mia madre che fa posto in casa per un vagabondo affamato, e non trovo gesto migliore per dire la fierezza di essere uomo di quando mio padre si fece avanti a prendere le difese di un uomo ingiustamente accusato. I vostri figli abitino la vostra casa con quel sano trovarsi bene che ti mette a tuo agio e ti incoraggia anche ad uscire di casa, perché ti mette dentro la fiducia in Dio e il gusto di vivere bene. [S. Ambrogio, Vescovo di Milano, IV secolo dopo Cristo] ROBERTO ZAMBON
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La lettera del Plevan
«Salve, o piena di grazia, Madre di Dio e Vergine, poiché da te spuntò il sole di giustizia, Cristo Dio nostro, ad illuminare coloro che sono nelle tenebre» da PREGHIERE BIZANTINE ALLA MADRE DI DIO
Questo Natale abbiamo bisogno di rifugiarci sotto il manto di Maria Madre di Dio. Sono successe e stanno capitando tante cose nella nostra società e di conseguenza nella nostra vita. Abbiamo bisogno di riscoprire la nostra identità e le nostre radici. Ci sono cambiamenti veloci sembra che l’uomo voglia fare da solo, ma il tempo dà un insegnamento preciso. L’uomo, se vuole praticare la giustizia, deve non dimenticare la luce di Dio che solo Gesù può dare. Il mondo musulmano ci definisce come infedeli e pagani impuri e immorali. Non so se hanno completamente ragione, ma so che non hanno completamente torto. Certo loro non sono meglio, perché nel nome di una religione fanno tante azioni altrettanto immorali e ingiuste. Però voglio pensare a noi. La mia preoccupazione e la mia sofferenza aumentano pensando ad una società bimillenaria di cristianesimo che a conclusione ha scelto la cultura della morte e non della vita, della ingiustizia e non della giustizia, della guerra e non della pace, della vendetta e non del perdono, del male e non del bene. E purtroppo le scelte sono molto mascherate e sono ben truccate e legalizzate da un codice di diritto che non riesco a chiamarlo civile, perché molto incivile e contro natura. Povero Gesù, un’espressione molto amata a santa Gemma Galgani, giovane di Lucca. Quel Povero Gesù venuto nella nostra carne, nella nostra natura umana per dare splendore, ma adesso facciamo di tutto per vivere nel buio della notte. Spero, in questo Natale, che tutti noi torniamo alla Luce, a convertire i nostri costumi e abitudini per una vita più autentica e santa. Colgo l’occasione per ringraziare le comunità di Budoia e Dardago, le sue varie associazioni, i consigli pastorali ed Affari economici e i cori per l’affetto manifestatomi per il mio decimo anniversario di sacerdozio. A tutti e specialmente ai malati, agli anziani e a quelli che stanno nella solitudine, auguro un santo Natale e felice Anno Nuovo. Il vostro sacerdote DON ADEL NASR
Riscopriamo una vecchia tradizione Il mado Su iniziativa della Redazione de l’Artugna questo Natale vede il ritorno di una vecchia tradizione, cessata ai tempi dell’ultima guerra: il mado. Forse non tutti sanno cos’era il mado; anzi abbiamo ragione di ritenere che ormai solo pochi anziani si ricordino di tale tradizione. Per spiegarvelo prendiamo spunto da quanto scritto dal compianto Umberto Sanson, nel numero 36 de l’Artugna di 21 anni fa. Piccola cronistoria «È probabile che la tradizione del mado abbia effettivamente avuto origine a Dardago e sia passata più tardi a Budoia e Santa Lucia dove è meno ricordata. Il mado era un ramo di sempreverde o una piccola pianta di ginepro, più raramente di pino o alloro; era alto da uno a due metri e veniva sistemato in un cesto zavorrato sul fondo da pietre ricoperte di muschio. Il mado era preperato dalle singole famiglie e veniva portato in chiesa la vigilia dell’Epifania per la cerimonia della benedithiòn dei pons. In questo rito si portava anche acqua, sale, cipolle e aglio. Per la chiesa è la «Benedictio aquae in vigilia vel festo Epiphaniae homini» e ancor oggi in tale occasione, il sacerdote passa a benedire i fedeli e ciò che hanno portato con loro. Le ragazze avevano il compito di allestire il mado appendendo ai suoi rami: mele, arance, carrube, arachidi, noci, castagne secche ed immagini sacre. Dalla punta, dove veniva legata una vistosa ciocca, venivano fatti scendere fili di lana colorata e nastri di vario colore che molto spesso erano gli stessi di cui le spose si erano ornate. Per dare più colore spesso vi si appendevano frangiati fazzoletti dalle vivaci tinte che le donne usavano mettere sulle spalle. Portati in chiesa i madi venivano collocati lungo la corsia centrale della chiesa ed il sacerdote passava per benedirli (ultimamente a Dardago i madi non erano più di una dozzina). Terminata la cerimonia si portava tutto a casa. Alcuni madi venivano utilizzati nelle contrade per il «Pan e Vin», si usava mangiare una mela al rientro a casa mentre le altre venivano tenute per San Biagio». I madi di quest’anno A differenza del passato, i nuovi madi, preparati da alcuni incaricati, rappresentano le vie di Dardago e vengono portati in chiesa, posizionati lungo la navata centrale, non alla vigilia dell’Epifania, ma la notte di Natale e lasciati per tutte le feste natalizie. Questo sarà un ulteriore modo per adornare la chiesa, ma soprattutto sarà una strada nuova da percorrere per sentirsi comunità, stretti e presenti vicino al presepio. Se l’esperimento di quest’anno sarà soddisfacente, potrà essere esteso anche nelle parrocchie di Budoia e di Santa Lucia il prossimo Natale.
Umberto Sanson, amico e maestro
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I maestri Armando Del Maschio, Vincenzo Besa e Umberto Sanson, tre significative figure di cittadini, di educatori e di amministratori, trascorsero buona parte della loro vita lavorativa gomito a gomito nelle scuole dei nostri tre paesi. Con le scomparse dei maestri Cencio e Berto, avvenute nel giro di un paio di mesi l’una dall’altra – anticipata alcuni anni fa da quella del coscritto Armando – si chiude una ricca pagina di storia locale. Li ricordiamo con affetto per aver istruito generazioni di budoiesi fino agli anni ‘70, condividendo insieme anche i primi anni dell’innovativa esperienza della scuola a tempo pieno. Cencio, fu l’ultimo maestro ad insegnare con competenza i canti patriottici che tanto amava, da dedicare ai Caduti in guerra, davanti alle lapidi, in occasione dei momenti «forti» della patria, il 4 novembre e il 24 maggio. Armando si era ben inserito nella scuola a tempo pieno, incaricandosi di insegnare una lingua straniera, iniziativa che qualcuno dall’alto delle cariche ministeriali – oggi – tenta di far credere innovativa. Di Berto, invece, ricordiamo la passione per tutto ciò che era «locale», dalla parlata alle tradizioni, dalla storia alle «sue» montagne, senza mai scordare i suoi anni giovanili in laguna e le sue imprese belliche in zona di confine. Di seguito commemoriamo la figura del maestro Berto e nel prossimo numero quella del maestro Cencio. LA REDAZIONE
L’amico Umberto Sanson Tra il mistero della vita e della morte v’è sempre un senso di incredulità; più ti è vicino e meno ci credi. Vedevo Umberto, il «maestro» discreto, distinto, pieno di interessi, affascinato dal mondo «suo», piccolo, armonioso della «sua» Budoja, del suo Polcenigo, delle «sue» puntate ad Aviano. Il tutto al centro delle «sue», montagne spalancate nel cielo appoggiato al verde dei picchi contro le nuvole. Il «suo» Mezzomonte: paesino silente dalle attrattive arcane, verso il quale andarci sul quel trattùro, sin a poco tempo fa, era un'avventura. Il regno dei Mezzarobba. Paesino silente annegato tra i prati ed i sassi a raccontare una storia di stenti, travaglio esistenziale impossibile nascondente una introversa, elementare poesia, fatta di dialoghi inespressi tra lui, il «maestro» Umberto ed il suo mondo. Egli sapeva tutto e di tutti. Insegnante impareggiabile e falsamente severo esternava il suo amore composto, fatto più che di parole, di sguardi eloquenti, lapidari. Era l'espressione di una signorilità squisita, dal gestire parco, dall'eloquio stringato. Il suo mondo, il suo piccolo mondo: la famiglia, Budoja, il Friuli. E il mondo suo nel miracolo di una cultura polivalente, profonda, dispiegata. Di questo mondo egli sapeva tutto, stimolato, com’era da un interesse filiale verso i suoi sassi, i suoi sentieri, la conoscenza di funghi, fiori: tutto il popolo animato ed inanimato dei suoi monti. L’assoluta, paziente ricerca delle sudate carte:
la storia, la toponomastica, le tradizioni celate dalla ritrosia di una stirpe certamente non esibizionista, quasi gelosa dei propri sentimenti. Una poeticità introversa che si rivelava come un miracolo lancinante e doloroso. La serie delle sue pubblicazioni; veramente magistrali dati gli arcaismi inesplorati. Un piccolo universo folgoramentemente rivelato, dagli orizzonti insperati. Il lento progredire dei suoi anni operosi, circondato dalla sua affettuosissima famiglia che amava ed era riamato. La signora, i suoi figlioli, il loro impagabile «pater familias». – Per Budoja, e
Sopra. Il maestro Sanson con il sindaco Antonio Zambon, in occasione della presentazione del libro «La toponomastica del Comune di Budoia». Sotto. Anno scolastico 1977-78. Sanson con la collega Gilda Moro e i ragazzi di classe quinta.
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non solo, ma lungo tutta le «sue» Prealpi Carniche, conosceva ed era conosciuto assieme ai «Sacri Padri» di Udin. – Mancherà, e non solo a me il «maestro» Umberto. Son sempre i migliori che se ne vanno. Una casa, la piazza di Budoja, son un poco più vuote. Mancherà al Friuli che perde un impareggiabile interprete della gente del Friuli occidentale. MGB. ALTÀN
* * * Berto è stato vicino per una vita alla mia famiglia. Collega della mia mamma Luciana, ha condiviso con lei molte esperienze scolastiche nelle quali ha espresso il suo alto senso del dovere; la stima e l’amicizia sono continuate anche nel crepuscolo della vita e con commozione ricordo ancora l’omaggio floreale per i 90 anni della mia mamma. L’amore per i nostri paesi e la loro storia ha cementato il mio sodalizio con Berto e Mario Altàn. Il primo episodio significativo che mi viene in mente è la collaborazione per le celebrazioni del millenario di Polcenigo nel 1973. Sono seguite numerosissime occasioni nelle quali ho potuto godere della sua signorile amicizia e della sua profonda, e non ostentata, scienza. Or non è molto gli ho portato, a casa, l’ultimo nostro libro su Polcenigo. Ci siamo lasciati commossi: entrambi sapevamo che era l’ultima volta. A rivederci amico Berto! MARIO COSMO
Cun Gjò, mestri Berto! Nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità, ci sono persone che diventano riferimenti importanti, a volte fondamentali, una certezza, una sicurezza per gli altri. E non per superbia, abuso o volontà di sopraffazione: al contrario, è perché sanno mettere a frutto con umiltà e consapevolezza le possibilità e le capacità ricevute, i talenti di cui parlano i Vangeli. Così è stato ed è anche per la grande famiglia della Società Filologica Friulana: di generazione in generazione, alcuni suoi figli diventano padri e madri e segnano la via che viene percorsa poi da coloro che li seguono e che, come è capitato a un gruppo di noi un anno e mezzo fa, ne assumono la guida. Alcuni di questi nostri padri e madri hanno varcato la soglia della Casa del Padre: da Renato Appi ad Andreina
Nicoloso Ciceri a Manlio Michelutti, per giungere – è cronaca dolorosa degli ultimi mesi – a Riedo Puppo, a Tito Miotti, a mons. Aldo Moretti, a Nelso Tracanelli. E, ora, al maestro Umberto Sanson. Ci sono tanti titoli con cui potremmo ricordarlo: consigliere, cavaliere, ufficiale... Ma nel momento in cui lasciamo questa terra e tutti i suoi onori, contano solo la fede e le opere: e, dunque, la parola «maestro» è quella che rende meglio di tutte la fede e le opere di Umberto Sanson. Perché fu maestro di scuola, ma fu maestro in famiglia, nella Filologica, nella comunità, nella redazione e nella famiglia de l’Artugna, nelle associazioni di cui più volte fu l’anima o l’intelligenza. Maestro non è solo colui che comunica nozioni: è colui che trasmette insegnamenti, consigli, esperienze, i fondamenti della cultura, i valori. Maestro è colui che valorizza la cultura e la fa amare agli allievi come ai famigliari e agli amici, ai lettori, a coloro che ricercano le testimonianze, le forme del vivere, le vicende del passato, le tradizioni. Maestro è colui che – acquisiti la conoscenza e il sapere – non li tiene per sé, ma li condivide con gli altri. E il maestro Umberto Sanson conosceva benissimo la sua patria, la sua regione, la sua comunità, il suo territorio, il suo ambiente: che non è solo ciò che la natura ha forgiato nei millenni, ma è soprattutto ciò che è derivato dal rapporto ormai lunghissimo degli esseri umani con la natura. Rispetto, valorizzazione, sviluppo: chi ama la natura, chi ama il Creato, non può che amare gli esseri umani, le loro fatiche, le loro speranze, le loro realizzazioni. Il nostro caro Umberto ha indagato a fondo questi aspetti, lasciando a noi un’eredità immensa: che è fatta soprattutto del rispetto per tutte le realizzazioni, siano esse i monumenti e le opere d’arte, la letteratura dei grandi autori, la bellezza delle lettere classiche ovvero le malghe e i fienili, l’odore dell’erba tagliata sui pendii della montagna, le voci dei dialetti o il fascino dei nomi dei luoghi. Numerosi scritti trasmettono il frutto delle sue ricerche e del suo sapere: altro ancora, molto altro ancora, è invece stato trasmesso dalla sua parola, dalla sua vicinanza, da ciò che pensava e che diceva ai famigliari, agli amici, ai conoscenti. È sempre stato un grande piacere conversare con lui, ascoltare la sua voce, le sue parole, i suoi ideali. Si poteva essere o no d’accordo con lui: contavano però sempre il livello della conversa-
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zione e della discussione, il rispetto. Sono valori immensi, quelli che ci ha lasciato, e che noi vorremmo fossero accolti come guida dei nostri passi e dei nostri pensieri. Per questo, la grande famiglia della Filologica, la famiglia de l’Artugna e le altre comunità di cui il maestro Sanson ha condiviso il percorso, non possono che abbracciare caldamente la famiglia sua, quella dei legami di sangue, degli amori e degli affetti. Cun Gjò e mandi, mestri Berto! PIER CARLO BEGOTTI
Mandi, Mestri! «Mandi, Mestri» erano le parole con cui rivolgevo sempre il saluto cordiale e di rispetto a Umberto Sanson. Molti anni dopo averlo conosciuto ed essere riuscito ad entrare in vera confidenza e, solo alcune volte, aggiungevo «Berto». Attaccato all’insegnamento nelle scuole elementari aveva dedicato il suo sapere e la pazienza, affinché le cose che conosceva venissero trasmesse ai ragazzi senza alcuna riserva e nel pieno dell’entusiasmo. Cultore della sua Budoia e del Friuli partecipava come un allievo attento alle lezioni dei grandi studiosi che hanno valorizzato, con le loro molteplici discipline, la nostra regione nell’ultima parte del secolo scorso. Dagli insegnamenti traeva spunti per approfondire gli studi sulla sua terra che, pur quasi ai confini occidentali della Regione, sentiva totalmente e generosamente friulana. Curava con meticolosità ed intelligenza gli interessi che maggiormente lo affascinavano, tra questi i funghi e la vita delle api. Spesso dopo qualche giro in Pedemontana, trovandomi con lui, venivo omaggiato di un vaso di miele ben etichettato e di sicura provenienza floreale. Orgoglioso del suo hobby mi decantava sapori e qualità del prodotto: ne serbo ancora un piccolo vaso integro. Ha ormai qualche anno ma nel colore tipico e limpido rivedo l’inconfondibile sagoma del Maestro, uomo ricurvo, carico di saggezza, coperto da cappotto ed al collo la lunga sciarpa. Ricordo pure la sua passione per i funghi. Un anno, nei primi giorni dei mese di maggio, sono arrivato a Budoia per una escursione alla ricerca di una specie particolare. Ero e sono completamente privo delle più elementari cognizioni del
settore; non so neanche dove cresce una specie ed in quale periodo. Mi sono «assorbito» una lezione teorica completa e un’uscita nel bosco. Ricordo che andavamo in cerca del «Tricholoma Georgii» o «fungo di San Giorgio», fungo primaverile dalla decantata bontà. Non l’abbiamo trovato; la colpa non era nostra ma di tanti mascalzoni e distruttori della natura che arrivavano da chissà dove raccogliendo quello che trovavano senza il minimo rispetto. Quel tipo di fungo a tutt’oggi non l’ho mai visto né mangiato. Ho però imparato com’è fatto, quale sia il suo colore e quale può essere il suo sapore. Berto è riuscito a trasmettermi queste informazioni che serbo con tanta serenità. Per il resto «caro Mestri Berto» mascalzoni e distruttori ce ne sono molti. Quelli sì li vedo! E rovinano il felice e pacato mondo che tu hai sempre sognato e auspicato.
Spettacolo di Natale a scuola nel 1974. Il maestro Berto (primo a sinistra) con i colleghi Carmela Turchetto, Armando Del Maschio, Carlo Zoldan e i bambini della scuola a tempo pieno di Budoia. (Archivio fotografico della scuola)
DANI PAGNUCCO
A rivederci, maestro! Da quando lo conoscemmo – tanti anni fa, durante un’inchiesta per un riscontro su taluni termini riguardanti la flora, lavoro per l’ASLEF su incarico del professor Pellegrini – per quanto ricordo, né io né Renato ci siamo rivolti a lui con un titolo diverso. Maestro, non per la qualifica di insegnante, ma perché la sua personalità, il suo modo di essere imponevano un certo stile, un certo comportamento, soprattutto nei rapporti con le persone con le quali, insieme a lui, si entrava in contatto. Ricordo ancora la deferenza con la quale gli si rivolgevano i nostri informatori della pedemontana quando raccoglievamo il materiale per i «Racconti popolari friulani». Gran parte di essi ci ha lasciato cosi come ci han lasciato Renato ed ora il maestro Sanson. Certamente si saranno tutti ritrovati e qualcuno andrà raccontando le vecchie storie. A rivederci! ELVIA MORO APPI
Dono e Mistero Festa per don Adel
«Dono e Mistero»: questo è il sacerdozio per Giovanni Paolo II, ma soprattutto la prima definizione è apparsa chiara durante la festa per i dieci anni di messa del parroco don Adel Nasr. Al concerto d’onore nella Pieve di Dardago da parte della corale locale (diretta da Fabrizio Zambon, con all’organo Alessandro Bozzer e alla tromba Augusto Righi) e alla successiva concelebrazione di ringraziamento nella parrocchiale di Budoia, una folta assemblea di fedeli ha fatto corona a un prete amato per la suo gioviale disponibilità nel ministero, resa più viva e condivisa grazie al sale dell’amicizia e a una spiritualità attinta alle origini orientali (i suoi natali sono libanesi). Questo particolare accresce la dimensione del dono nella presenza di don Adel non solo in queste sue comunità, ma presso vari gruppi e iniziative in diocesi e oltre. Ecco il succo del discorso gratulatorio pronunciato da monsignor Giuseppe Romanin, arciprete del duomo-concattedrale San Marco in Pordenone, che viene pubblicato di seguito. Diversi i sacerdoti presenti, amici del festeggiato, che ha ricevuto il regalo di una bella casula e, dal Santo Padre, della benedizione apostolica, cui si è unito il vescovo Poletto. Tra le autorità oltre al sindaco Antonio Zambon con la giunta municipale e al comandante dei Carabinieri di Polcenigo, da sottolineare la presenza del primo cittadino di Frisanco, Angelo Bernardon, in rappresentanza dei paesi che don Adel ha servito fino a tre anni fa e che pure conservano di lui immutato e grato ricordo, come i pordenonesi della Parrocchia di San Marco. WALTER ARZARETTI
Rinnovo il mio ringraziamento ai Cari parrocchiani di Dardago e di Budoia, che hanno cantato per il decimo anniversario del mio sacerdozio. Auguro a tutti il detto «chi canta, prega due volte». DON ADEL
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Accanto e sotto. Don Adel durante il concerto a lui dedicato dal Coro Parrocchiale di Dardago. (Foto di Vittorio Janna) Al centro. Don Adel attorniato da un gruppo di sacerdoti amici, dopo la celebrazione della Messa nella chiesa di Budoia. (Foto di Fortunato Rui)
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L’omelia di mons. Giuseppe Romanin per il decimo anniversario di sacerdozio di don Adel Siamo qui raccolti per… • ringraziare il Signore che opera ancora meraviglie con noi. Lo facciamo col grande grazie dell’Eucaristia; • cantare insieme la gioia della nostra comunione fraterna resa profonda dalla presenza del Signore che ci parla e ci dona il suo Corpo e Sangue; • ricaricare la nostra speranza e costruire, giorno dopo giorno, la civiltà dell’amore, tanto auspicata dal nostro santo Papa Giovanni Paolo II e dai nostri Pastori, i Vescovi. Sono tre gli eventi che motivano questa celebrazione. • L’anniversario della Consacrazione di questa Chiesa avvenuta il 24 ottobre l875 e da sempre ricordata nell’ultima domenica di settembre. La chiesa è il luogo santo, casa di Dio e degli uomini. Qui da quasi 180 anni i cristiani di Budoia, come quelli di Dardago nella loro pieve ancor più antica si incontrano con Lui, il Signore, nell’intimità del colloquio personale oppure per affidare a Lui pene e gioie,vivere insieme i momenti di festa o di lutto, che caratterizzano la nostra esistenza. La chiesa e il campanile danno identità e qualificano le nostre comunità. Che cosa sarebbero i nostri paesi senza le chiese con i loro campanili? Degli agglomerati di case insignificanti, comunque monotoni. I nostri antenati lo hanno capito e ci misero fede e cuore nel costruirle e abbellirle, come continuate a fare lodevolmente anche voi. (Complimenti per il restauro così armonioso e luminoso di questa vostra chiesa!) • Il 38° compleanno del Parroco don Adel. Il ricordarlo oggi colora questo nostro incontro come festa della vita. Un messaggio significativo per il nostro tempo caratterizzato dal fenomeno della denatalità, che intristisce la vita dei nostri paesi. Vorremmo ringraziare mamma Renè che è qui con i suoi cinque figli, per aver dato alla luce Adel e allevato così robusto e pieno di vitalità, ce lo ha donato dal lontano Libano! Ma grazie soprattutto a te, don Adel, per la testimonianza di vita sempre esuberante ed entusiasta. Ci attesti in modo eccezionale che la vita è bella! • I tuoi dieci anni di sacerdozio che sono «dono e mistero» come ti ha scritto il nostro Vescovo Ovidio. Dono per te e per i tuoi cari. Ricordo la tua commozione di gioia e di gratitudine durante l’ordinazione avvenuta nella Concattedrale di S. Marco Pordenone e che poi manifestavi frequentemente durante il mi-
nistero che abbiamo condiviso per quattro anni nella parrocchia di San Marco e in quella di Frisanco. Il tuo sacerdozio è dono anche per la nostra diocesi in questo tempo di scarsità di vocazioni e specialmente lo è per queste comunità di Dardago e di Budoia (dove sei tanto amato perché tu le ami) oltre che per le innumerevoli persone che ti cercano e avvicini. Sei un dono mi pare di poter dire per tre motivi. • Sai comunicare a noi occidentali o latini la ricchezza della tua mente fragrante di cultura, di teologia e di spiritualità orientali, caratterizzate dalla presenza più evidente e dall’azione palpitante dello Spirito Santo che opera in te, nella Chiesa e nella storia degli uomini. Ci hai portato fermenti spirituali che conoscevamo poco. Talvolta ci sconcerti, magari un po’. Ma ti ringraziamo. In particolare ti dicono grazie le tante persone del «Rinnovamento nello Spirito» qui presenti. • Sei dono perché hai un cuore grande, aperto, generoso, che vorrebbe sollevare tutte le sofferenze di questo mondo. Ti interessa il povero che ha bisogno del tuo aiuto spicciolo, l’immigrato che chiede l’appoggio per una pratica burocratica (e lì sfondi sempre non ledendo i diritti di terzi ma caricando di sentimenti le carte fredde della burocrazia); ti sono grate anche le monache clarisse di Moggio che hanno avuto necessità della tua competenza non solo spirituale ma anche della tua apparente «incoscienza economica». Il tuo nome, Adel, significa «colui che fa giustizia»! Ma tu sei capace solo di misericordia. • Sei dono perché hai mani grandi, anche fisicamente, che benedicono con fede e ampiezza di gesti tutto e tutti e sempre (Benediresti anche il diavolo, se ciò gli giovasse). Ma il tuo sacerdozio è anche «mistero» scrive il Vescovo; cioè una realtà più grande di noi che nel ministero sacerdotale ci rivela l’amore nascosto nel cuore di Dio. E questa celebrazione la viviamo insieme, appunto nel grande mistero d’amore di Cristo Crocifisso che si farà presente mediante l’invocazione dello Spirito che tu farai scendere sul Pane e il Vino nella consacrazione. A Lui, nostro Redentore, la nostra lode, in Lui la nostra festa. Da Lui la nostra speranza. E affidiamoci tutti alla misericordia di Dio. Rivolgiamo a te, Adel, l’antico augurio ecclesiastico: ad multos annos, ad multa gaudia, ad majora, semper! Amen. DON GIUSEPPE ROMANIN
Budoia-Pompei per mons. Aurelio Signora
La comunità di Budoia ha onorato solennemente un suo figlio illustre, la cui vicenda è stata paradigmatica di quella di tanta gente comune di questa Pedemontana, che numerosa emigrò in anni passati proprio nella Venezia in cui monsignor Aurelio studiò, si fece prete e mise a frutto i primi fervori sacerdotali. Il ricordo dell’arcivescovo Signora, unito a quello del benemerito professor Mario, è stato condiviso con Pompei, da dove è giunta una delegazione di sacerdoti capeggiata dall’attuale prelato monsignor Domenico Sorrentino che all’omelia della Messa, – animata dai cori parrocchiali di Dardago e Budoia, alla presenza delle autorità comunali – ha tratteggiato con vivaci pennellate la figura e l’eredità spirituale del suo predecessore e ha pure reso omaggio alla sua tomba nel camposanto accendendo un lume. Non è mancata la solennità anche fuori di chiesa: il sindaco Antonio Zambon ha ricevuto il prelato di Pompei nella casa municipale e gli ha fatto dono della riproduzione di un affresco sacro scoperto recentemente nella chiesetta di Santa Lucia al Colle. La parrocchia, dal canto suo, ha donato una mitra a monsignor Sorrentino, che ha risposto invitando i budoiesi e anche la gente di Dardago (salutata la sera dell’arrivo, nella Pieve di Santa Maria Maggiore, ove l’Arcivescovo ha potuto ammirare antiche opere e suonare lo stu-
pendo organo del Callido) nel suo santuario, famoso centro di irradiazione della pratica del Rosario, raccomandata specialmente in quest’«Anno del Rosario» indetto dal Papa. L’invito di monsignor Sorrentino, – che ha pure incontrato il vescovo diocesano, manifestandogli la sua ammirazione per le nostre due chiese – è stato accolto con gioia dal parroco don Adel Nasr e dalle comunità, legate da duraturi vincoli affettivi alla Chiesa di Pompei, la cui celebre Supplica alla Vergine del Santo Rosario è stata recitata dai numerosi fedeli convenuti all’incontro. Con l’occasione è stata aperta al culto la nuova cappella per le celebrazioni feriali e della riconciliazione, denominata «Domina Mea», che si rifà al motto episcopale dell’arcivescovo Aurelio. È collocata alla sinistra dell’altare, nel vano un tempo sede dell’antica Confraternita dei Santissimo Sacramento, delle adunanze dell’Azione Cattolica e delle lezioni della dottrina cristiana. È ricordata pure per l’esposizione del grande presepio. Dopo il completamento del restauro della chiesa – riaperta al culto nell’anno giubilare 2000 – anche questo luogo è stato oggetto di ristrut turazione, in vista del suo utilizzo come cap pella per le celebrazioni eucaristiche feriali e le confessioni. A tal fine, nell’anno 2002, sono state ritinteggiate e rifinite le pareti e si è proceduto alla posa del nuovo pavimento in marmo d’Istria giallo e bianco (omaggio di un estimatore). La cappella è stata arredata recuperando alcuni elementi e suppellettili liturgiche in dotazione alla chiesa, sottoposte per l’occasione a re-
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Sopra. Il giorno della benedizione della nuova cappella della Madre di Dio, Regina del Rosario, i cori parrocchiali, diretti dal maestro Fabrizio Zambon, con l’organista Claudio Sottile, hanno cantato la Santa Messa presieduta dal delegato pontificio di Pompei, l’arcivescovo Sorrentino. Questa è la seconda volta che i cori parrocchiali di Budoia e Dardago si riuniscono insieme per cantare. (foto Martin) A sinistra. La nuova cappella «Domina Mea», nella chiesa di Budoia.
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stauro: la mensa e l’ambone (già sull’altare maggiore), il tabernacolo, il crocifisso ligneo (un tempo esposto nel catino absidale), la lampada del Santissimo (ricavata da un antico fanale processionale), un recente confessionale. Sopra la porta d’ingresso il bozzetto dell’affresco del «Giudizio Universale» di Alberto Marinoni, che si trova sul-
la volta della navata centrale. Da notare l’esposizione, nella cappella, dell’immagine della Beata Vergine del Santissimo Rosario di Pompei. Il vano fungerà anche da sacristia delle celebrazioni feriali, grazie al dono di un apposito mobile da parte di Noemi Alberta Panizzut (Donisio). MARIO POVOLEDO
L’omelia di Mons. Domenico Sorrentino ...Quella che oggi facciamo, di Mons. Signora, è memoria ecclesiale, memoria di comunione, ricca di gratitudine, per un pastore che ha ben meritato, ed oggi vede riuniti intorno alla sua memoria i luoghi e le persone delle sue origini, e quanti a Pompei gli furono figli, ne sperimentarono il calore di padre, e gli restano memori e affezionati. Io non ho avuto modo di conoscere Mons. Signora. Ne ho un ricordo fisico vago, e non meno vagamente mi riecheggia il suo tono di voce solenne, appena udito in qualche circostanza della mia gioventù. Meglio di me possono dirne quanti si sono formati al suo magistero e alla sua testimonianza. Solo alcuni sono qui presenti, ma ben rappresentano una gratitudine e un affetto che sono certamente «corali» nella Chiesa di Pompei. Ho provato, in questi giorni, a non leggere solo delle carte su Mons. Signora, ma a chiedere delle testimonianze dal vivo. Mi sono lasciato esprimere delle impressioni, dei ricordi. Superfluo dire che ho avuto solo testimonianze positive. Mi sono fatto l’idea di un pastore dedito e zelante, dalla statura imponente ma dal cuore tenero, capace di fermezza e di dolcezza. Accendere la lampada, e procurarsi l’olio. In questo simbolo il cammino di ogni vita cristiana. In questo simbolo anche la vita di Mons. Signora. Alle radici di queste qualità c’è indubbiamente il dono delle origini. La sua lampada – la lampada della vita e della fede – fu accesa nel 1902, qui a Budoia, per essere poi trasferita a Venezia. Chi ha testimoniato di lui, lo ha visto ben inscritto, anche caratterialmente, tra questi due scenari: il paesaggio carsico e Venezia, la fermezza dei monti, pur attraversati da acque latenti, e la gentilezza della laguna, tutta ricamo. Lampada accesa, ma anche lavoro sodo, per raccogliere e mettere in serbo quell’olio evangelico della perseveranza, che è fatto di educazione, di spiritualità, di ascesi, di esperienze anche sofferte. ...Il 25 aprile 1957 comincia una nuova fase della sua vita, la più cara a noi pompeiani. È consacrato vescovo a Santa Maria Sopra Minerva dal Card. Adeodato
Piazza, per essere pastore a Pompei. Ci sarà per ventuno anni, fino al 1978. È difficile per me sintetizzare la storia delle sue realizzazioni. Ne ho visto un elenco: una interminabile litania. Non sorprende che, al suo lasciare Pompei, un sacerdote pompeiano e due suore pompeiane gli resteranno a fianco, e le due suore fino alla fine, come si fa con un padre. Lo accompagneranno fino al 1990, quando il Signore lo ha chiamato a sé per dargli il premio dei buoni. Al di là delle cose realizzate, Mons. Signora ha lasciato a Pompei la testimonianza del suo amore ardente per la Vergine, la sua opera di evangelizzatore, il suo calore di padre. Uomo del Nord trapiantato al Sud, non ha mai svestito i panni delle sue origini, ma è stato capace di amalgamarli con quelli della sua nuova patria e della sua nuova gente. Oggi ne facciamo memoria in un momento che è anche per Pompei momento di grazia. Il centenario della sua nascita coincide infatti con una data nella quale egli si ritroverebbe, non meno di noi, gioioso, grato ed entusiasta. È la data della Lettera Apostolica Rosarium Virginis Mariae, con la quale lo scorso 16 ottobre il Santo Padre ha voluto rilanciare nel mondo la preghiera del Rosario, che è l’insegna e la missione di Pompei. È stato concesso a me di guidare quella ideale colonna sonora che, al ritmo del Rosario e della contemplazione della Pentecoste, ha accompagnato la mano, la mente e il cuore del Papa mentre firmava la Lettera Apostolica, prostrandosi idealmente nel nostro Santuario, ed avendo a fianco l’icona della Vergine del Santo Rosario di Pompei. Dall’alto, doveva far capolino Bartolo Longo. Ma sicuramente accanto a lui, a rimirare la Madre accanto al Successore di Pietro, c’era Mons. Aurelio Signora, a dirla ancora «Signora» della sua vita, «domina», come scrisse nel suo stemma ispirato forse anche dal suo cognome. Domina, ma soprattutto Madre. A questa Madre noi con lui ci affidiamo, ringraziandola per avercelo dato, e serbando di lui imperitura memoria. MONS. DOMENICO SORRENTINO
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Scloss, iserte e fiaschi de vin Anna Pinal llaboratrice La nostra co orsi, , nei mesi sc ha raccolto erazioni lesse consid alcune perp collocazione sulla nuova di cittadini i di Budoia. to ai Cadut del monumen Sindaco seguente, il Nella pagina le decisione. ta ivazioni di ot m le ne espo
Pare che dicano: «Non ti curar di lor ma guarda e passa», e hanno le loro buone ragioni. Ci ignorano più che possono, e fanno bene. Ci trattano con tranquilla e disinvolta noncuranza, ed è giusto cosa c’è di più inutile di chi è morto? Se ci hanno messo buoni buoni in angoli fuori dagli sguardi, diventati a volte persino rifugi per urgenze igieniche, vuol dire che almeno a qualcosa dovevano servire. E non avremmo niente da dire se anche ci togliessero di mezzo. Anzi. Se si liberassero del tutto di noi, li ringrazieremmo. Finché si vedranno i nostri nomi elencati sulla pietra con il titolo I CADUTI DI BUDOIA, praticamente i vecchi nonni e bisnonni di metà paese, morti giovani al fronte, stroncati tra sofferenze indescrivibili, per noi e per alcuni che guardano quelle lapidi, l’imbarazzo continuerà. Dateci l’ultimo colpettino: tirate quattro mazzate a quelle tre lastre e farete una gran bella cosa. Vedere quei nomi familiari vi deve far frullare un pensierino: ma che «thus» quelli lì... andare a morire. Avete ragione. Quando abbiamo lasciato Budoia l’ultima volta, siamo partiti pieni di coraggio e di speranza. Pensavamo di tornare qui tra queste mura, tra queste contrade, per essere festeggiati come dei vittoriosi. Sono tornati solo i nostri nomi. I nostri corpi sono finiti tra gli orrendi «masarons» delle guerre: non vogliamo né possiamo raccontare i dettagli, senza turbare la tranquillità digestiva che rende tutti così belli grassottelli, pasciuti e smemorati. Quando nelle celebrazioni del 4 novembre di ogni anno vedete deporre delle corone di alloro e proclamare che noi siamo eroi e abbiamo reso possibile, pagandola con la vita, tutta la libertà che vi circonda, fatevi quattro risate. Se insistono nel dire che quella libertà che si è moltiplicata e valorizzata nel tempo, attraverso un crescendo di agi, diritti, opportunità, «schei in scarsela», è stata conquistata anche con il nostro sacrificio, fate uno sberleffo. Quella libertà che sentite bella e gioiosa quando con un colpo di acceleratore sgommate con la vostra auto, godetevela spensieratamente, senza arrampicarsi sugli specchi nel pensare che beneficiate di doni che vengono da lontano. Noi siamo semplicemente felici che, dai giorni della nostra scomparsa, piano piano si sia realizzato un benessere così totale, che da vivi noi non abbiamo né conosciuto, né immaginato. Da morti siamo senza pretese, siamo tolleranti, lasciamo fare senza disturbo, ma non siamo di-
stratti. Ogni spostamento delle nostre lapidi, nei vari anni, ci è parso una lenta emigrazione verso i recinti della via Cialata, verso i cumuli inutili e ingombranti. Dubbio: eravamo noi ad ingombrare la piazza? Quella piazza tanto amata e che ad ogni rimaneggiamento esce come rimpicciolita e risucchiata in se stessa? Quando hanno demolito l’edificio di Renè e il Vecchio Mulino, per qualche ora si è visto uno slargo che faceva brillare gli occhi di commozione... Oh, una vera grande piazza finalmente...! Eh no, il grande spazio in poche ore è stato tolto dalla vista, con un recinto alto e fitto: togliendo la visuale, si toglievano le illusioni. Ci siamo detti: ma perché noi di Budoia abbiamo così poco amore e così poca attenzione per Budoia, da rimodellarci, di tanto in tanto, una piazza sempre più «ingrumada»? Dopo tutto è il capoluogo, rappresenta tre paesi. Ma noi morti non possiamo dare consigli né possiamo tirare la giacca a nessuno. Guardate come siamo ridotti... vi sembra che potremmo essere ascoltati? «Thito e basta». Una piccolissima cosa, però, vorremmo dirla: solo degli estranei, che hanno in antipatia le nostre «crode», hanno potuto progettare la sparizione di un «mulin» secolare. Anche abbandonato com’era, un’incuria che rasenta l’odio, non si poteva spendere una parola per salvarlo? Ormai anche lui fa parte dei caduti. Anche lui, come noi, è morto. Morto per tutti. Dopo tanti progetti edilizi, tanti rifacimenti di strade e di fossati aperti e richiusi con la bacchetta magica, dopo costruzioni di sale comunali spaziose e piene di vuoto, scalinate e muretti belli da morire, cassettoni con fiori da festival di san remo, i soldi per il decoro del monumentino ai caduti sono sicuramente accantonati da qualche parte, a far «musinia guai a un mal». In attesa di un’altra guerra e di nuovi caduti, da riunire ai vecchi, per fare «dut un grun e sparagnà». Intanto, sui nostri nomi «i scloss i va su e do», grati per l’umidità e la penombra. «Le iserte le se cor drio» sulle lastre di pietra, come sul loro parco-giochi. Mancano solo «le pite, i cunici, i pui...» Ma se le nostre lapidi saranno poste su «cavaleth» da robuste braccia, con una tovaglia sopra, alla festa dei funghi, a servire da tavola per le scorpacciate di «polenta e tocio», in quei giorni avremo anche noi un po’ di allegria... Umili voci udite da ANNA PINAL
Scelta non marginale
L’ubicazione del monumento di Budoia, non è stata scelta per essere marginale, ma centrale all’interno di un progetto complessivo di riqualificazione del centro di Budoia che non vede solo la piazza davanti agli uffici comunali. La sala consigliare, luogo di rappresentanza ufficiale, si trova proprio a ridosso, come pure la biblioteca civica, la sede della Pro Loco, il mercato e l’area delle feste. È certamente difficile spostare i monumenti, lo si è fatto con decisioni prese qualche anno fa a seguito delle discussioni, anche pubbliche, sulla nuova piazza. Ora ora è necessario attendere il completamento dei lavori che fanno seguito al concorso di idee che l’amministrazione ha indetto e finanziato per la rivalutazione del piazzale antistante i magazzini comunali che diventerà area pubblica per le feste, per il cinema, il mercato ed il collegamento pedonale con il parcheggio di Via Cialata. Nel ripetere l’importanza simbolica del monumento precedente, si è deciso, per rafforzare la memoria sui fatti storici, di inserire i nominativi dei caduti della seconda guerra mondiale. La scelta di esporre le lapidi come un leggio è stata quella di tenere in un luogo importante, che ha come sfondo le colline, un libro sempre aperto, leggibile da tutti e percorribile, quindi vivo e non statico. Certamente il timore che sia sempre più diffusa la carenza di educazione civica, può portare a pensare che ci si possa mangiare sopra la polenta con i funghi, ma credo che a questo pensiero ci si debba ribellare ed avere fiducia nel comportamento della tanta gente civile che a questo non ci pensa e che sa giudicare con severità le visioni miopi e sacrileghe. D’altro canto anche a Budoia, pur raramente, avvengono fatti spiacevoli che coinvolgono non solo i monumenti centrali, ma anche i cimiteri, i bidoni delle immondizie e che dire dell’ abbandono dei rifiuti (ahimè più sovente anche se in miglioramento) lungo i fossi, l’Artugna o fuori dalle piazzole nonostante l’efficienza dei servizi a disposizione ? Questi fatti sono purtroppo sempre avvenuti ed avverranno ovunque siano collocati i simboli, le strutture o le iniziative in quanto chi li commette non comprende, ma la reazione della gente è sempre stata sincera e positiva ed è a questa che dobbiamo fare riferimento senza timori per vincere tutti assieme l’ignoranza. ANTONIO ZAMBON · SINDACO
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Lo sviluppo urbano prevede alcuni collegamenti diretti e diversificati all'interno degli spazi per le Attrezzature Collettive. La piazza principale con un percorso alternativo collegherà via Cialata con via Panizzut. Il masaron costituisce la spina dorsale; l'area di fronte la Casa del Comune sarà così divisa longitudinalmente da questo elemento dell’architettura rurale spontanea, risolvendo in modo tradizionale un salto di livello, divenendo struttura di svago e relax non solo per i più piccoli. Un dosso articolato e artificiale, in cemento lavato o lisciato per la distribuzione dei vari percorsi; una cornice alla vegetazione spontanea che arricchisce i cumuli di confine nel territorio comunale. La vegetazione autoctona diverrà importante. Il monumento ai caduti è stato nobilitato e costituisce, il nodo principale attorno al quale tutti i percorsi si intrecciano. Il suo divenire elemento principale nella riqualificazione di uno spazio che sarà ancora più vitale per il paese offrirà il giusto affetto ai Padri della Patria. Il monumento originario composto da cinque massi e dalla scultura in ferro è sospesa da terra perdendo la sua materialità divenendo simbolo. Il piazzale, che oggi è al servizio dei magazzini comunali, manterrà questa immagine di grande ariosità, la pavimentazione definirà gli spazi specifici ed un muro in legno schermerà la brutta facciata del deposito. Le linee fluide del progetto si contrappongono all’irregolare rigidità del presente. ALBERTO DEL MASCHIO
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Visita al Quirinale tra sogno e realtà
La nostra vita è un susseguirsi interminabile di eventi, di esperienze e di fatti talvolta comuni e quotidiani, talvolta unici e memorabili. Spesso quest’ultimi risultano difficili da cancellare tanto che a distanza di anni appaiono come accaduti da poco e la loro narrazione si presenta ancora precisa e dettagliata. Sotto quest’ultima definizione colloco la visita al Quirinale e l’incontro con il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, accanto dalla moglie Franca e con il Ministro della Pubblica Istruzione Letizia Moratti: sebbene tutto ciò si sia verificato all’inizio di quest’anno, nella mia mente vivo ne è tuttora il ricordo, Negli ultimi tempi sempre più frequenti sono i momenti di contatto tra i vari tasselli che costituiscono il considerevole ed immenso mosaico chiamato scuola. infatti, mentre un tempo tra studenti ed organi direttivi centrali (Presidente della Repubblica, Ministro della Pubblica Istruzione) era impossibile qualunque forma di comunicazione, ora, invece, tale muro invalicabile ha lasciato spazio a tentativi, anche se non tutti riusciti in modo ottimale, di relazione diretta tra il vertice e la base di tale «piramide scolastica». Tra le varie iniziative, importanti sono quelle proposte in corrispondenza della diffusione dell’Euro, al fine di sensibilizzare ed informare i giovani riguardo alla nuova moneta: il Comitato Euro, l’Unione Europea, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e il Parlamento Europeo hanno distribuito materiale informativo e bandito un concorso a premi riservato agli studenti. Le prove andavano da un gioco per le elementari a una storia illustrata per le medie inferiori, sino alla realizzazione di una campagna pubblicitaria per il biennio delle superiori; un’altra sezione, riservata alle quinte classi degli istituti con indirizzo artistico o grafico, riguardava un disegno a mano libera. Il bozzetto vincitore fa parte dell’emissione filatelica speciale sull’Euro.
Nella pagina accanto. La nuova collocacazione del monumento ai caduti di Budoia. (Foto di Pietro Del Maschio) A destra. La classe V B del Liceo scientifico Grigoletti, durante la visita al Quirinale.
La premiazione è avvenuta il 18 febbraio 2002, alle ore 10.00 al Quirinale alla presenza del Presidente Carlo Azeglio Ciampi, della moglie Franca e del Ministro Letizia Moratti. Ad assistere alla cerimonia come ospiti sono state invitate, oltre ai premiandi, sette scuole italiane, tra le quali il Liceo Scientifico «M. Grigoletti» di Pordenone, rappresentato dalle classi V B (cui io facevo parte) e V G. Anche se per sole poche ore ci è sembrato di indossare le vesti di grandi personalità: in realtà al di sotto dei nostri abiti seppur eleganti, si celavano semplicemente degli studenti, che con volti meravigliati e sbalorditi, si guardavano intorno quasi increduli di trovarsi in un simile luogo. Prima dell’incontro con il Presidente, in uno degli incantevoli saloni, ci è stata offerta una ricca colazione, accompagnata da un piacevole sottofondo musicale. In seguito alla premiazione, come è consuetudine, le note di un maestoso pianoforte a coda, posto al centro della sala, ci hanno accompagnato nel cantare l’Inno degli Italiani, noto come «Inno di Mameli» dal nome del compositore, Goffredo Mameli. A conclusione, dopo un excursus sui presidenti della republica eletti a partire dal 1946, abbiamo potuto visitare alcune sale del Quirinale, ammirandone così le sfarzo e l’eleganza. Sono stati momenti di grande intensità ed emozione, che certamente rimarranno nella memoria di tutti noi, soprattutto per la singolarità e l’eccezionalità dell’evento. RAFFAELLA DEL MASCHIO
El dì de le nothe
Le nozze sono sempre un momento importante nella vita di una famiglia. Importante per il genitore, che accompagna il figlio o la figlia ad iniziare una nuova fase della vita ben conoscendo i rischi e i problemi che dovrà affrontare, importante per il giovane che lascia il nido accogliente e protetto e si appresta pieno di speranze e timori a costruirne uno suo. In vista di questo speciale evento, fino dalla più tenera età, nelle lunghe sere invernali, le giovani, al caldo nelle stalle, usavano prepararsi il corredo, mentre le mamme e le nonne rammendavano, i padri e i nonni lavoravano o recitavano il rosario oppure intrattenevano i giovanotti che «andavano in fila» in cerca di morose. Il corredo variava da famiglia a famiglia, secondo le possibilità di ognuna: in realtà visto il considerevole numero di figli che ogni famiglia aveva, pochi potevano permettersi un corredo ricco e abbondante. La vera ricchezza del corredo stava nella capacità e nella bravura della ragazza nel renderlo «unico e prezioso» con ornamenti e merletti. All’inizio del secolo scorso le stoffe erano grezze ma resistenti e la biancheria del corredo era ricca di splendidi ricami e pizzi che, ancora oggi, a distanza di 50/70 anni, molte figlie, nipoti e pronipoti gelosamente conservano come cimelio. Il modo di vivere di oggi permette a pochi, infatti, il piacere di mantenere queste abitudini, rischiando così di perdere questo prezioso bagaglio di conoscenza che fa parte delle nostre tradizioni. Uno dei momenti importanti delle nozze è ed era il pranzo. Contrariamente ad oggi, questo veniva consumato in casa: i grandi cortili di allora lo permettevano. Veniva chiamato un cuoco che si occupasse della cucina e la mamma mi racconta che a Dardago Tino Ite, conosciuto per la sua capacità e precisione, è stato spesso chiamato a ricoprire questo ruolo, con l’aiuto anche di Maria Pinal. Racconta Mario Ite – il figlio – che, in previsione del gran giorno, si riunivano le due famiglie degli sposi ed ognuna contribuiva a fornire la «materia prima». I galli e le galline non mancavano a nessun pranzo di nozze! C’era poi un pezzo di carne per fare l’arrosto, che veniva acquistato «da Ponte». Era abitudine anche che gli invitati più stretti portassero come regalo alla famiglia degli sposi qualche pollo, o coniglio o altri prodotti di casa. Poco si comprava, tutto proveniva dall’aia, dagli orti o dalle stanthie. Agli ospiti che andavano a portare il loro dono
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agli sposi si offriva una tazza di buon brodo caldo. Si può quindi capire quanto necessari fossero i doni in natura, che ognuno portava per la «gran giornata». Naturalmente, visto che era una «Grande Festa», questa durava tutto il giorno; la sera quindi la maggior parte degli ospiti, essendo quasi tutti parenti, si fermava per la cena, che consisteva nel mangiare quello che era rimasto dal pranzo di nozze. Ecco dunque di nuovo il brodo, il bollito e l’arrosto, verdura e frutta: tutto naturalmente condito con musica e danze che si protraevano fino a tarda sera. Se gli ospiti alle nozze erano molti, si poteva contare su una considerevole quantità di cibo e così molto spesso restavano delle pietanze. Ecco quindi che si faceva «la Rivoltada»: la domenica, il giorno dopo le nozze, i genitori dello sposo invitavano di nuovo i parenti acquisiti per terminare gli avanzi e si faceva ancora festa. Quindi più ospiti .... più «Rivoltade»! Essendo una giornata in allegria, la musica era presente fin dal mattino con le campane che suonavano a festa: era usanza che lo sposo, insieme ai parenti e preceduto da «i sonadori» (abitual-
Pranzo di nozze degli sposi Cardazzo Panizzut, nel cortile di casa Cardazzo. (Proprietà di Giovanni Bufalo).
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ozze Menù di n
i di pollo on fegatin c o d ro b Riso in risotto) (raramente * to e bollito s o rr a o Poll * di vitello to s o Arr * io, te, radicch ia ta a (p ra u tec Verd o verdhe in giardiniera o stagione) second * ) ns, cùcole o (p a Frutt * sa fatte in ca e ri a v e rt o T * r) di Fassine (o a s a c i d Vino * l calderin o c è ff a C
mente venivano da Castello), andassero a prendere la sua sposa a casa e insieme, accompagnati lei dal fratello o compare, lui dalla «morosa» del futuro cognato o da una amica comune, andassero in chiesa con i musicanti che aprivano il corteo; questi intrattenevano poi gli ospiti per tutta la giornata con la loro fisarmonica, il violone e il violino. Anche allora, come oggi, «era costume» giocare scherzi agli sposi novelli che si preparavano a trascorrere in famiglia la loro «prima notte di nozze»: quasi sempre in casa del marito c’era a disposizione una camera destinata al nuovo nucleo famigliare che si era appena costituito. L’usanza voleva che lei portasse in dota il corredo e, per contribuire al pagamento della mobilia, comprasse il comò (una volta il banc). Lo sposo pensava invece al resto, ovvero il letto, i comodini, l’armadio e le sedie. A proposito di scherzi, mia madre mi ha raccontato che appena ritiratasi in camera con mio padre, i nuovi cognati, a turno, bussarono alla loro porta ogni quarto d’ora con le scuse più strane ...i cognati erano ben quattordici! La notte fu lunga, movimentata e imbarazzante! A.B.
Molto raramente e solo in alcune famiglie si poteva trovare la costa come antipasto. Era la carne che si otteneva ripulendo finemente le costine del maiale e veniva poi arrotolata e affumicata. Dato che le coste di maiale venivano usate abitualmente in cucina per dare condimento a molti piatti come la pasta e fasoi, le coste de porthit co la verdha, o altro, si può capire che avere ad un pranzo la costa diventava un lusso e quindi non si trovava in tutte le famiglie.
La foto ritrae Italia Bastianello Thisa e Luigi Zanus Perelda, nel giorno del loro matrimonio avvenuto il 5 febbraio 1933, nella Pieve di Santa Maria Maggiore di Dardago. Il rito fu celebrato dall’allora pievano don Romano Zambon.
Grandi valori da difendere
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120 anni dall’arrivo in terra romena
Ci è pervenuta dalla città di Greci, a sud-est della Romania, la voce di Cellia, una cordiale signora italo-romena, incontrata l’estate scorsa, a Dardago, in casa della signora Dosolina Zambon Pala, con la collaborazione dell’amico prof. Mario Cosmo, a cui va il nostro cordiale ringraziamento.
Sono Cellia Ontelus Boro, nata a Greci-Tulcea, in Romania nel 1939, dagli italiani Riccardo Boro e Angelina Fauro. Sono un’insegnante e ho lavorato per 43 anni nella scuola. Prima di andare in pensione ho insegnato ai bambini la lingua italiana e ho formato un gruppo folklorico con i discendenti degli italiani; con loro ho partecipato a sette festival con le minoranze nazionali della regione e del paese. Le più belle canzoni imparate sono «La Teresina», «Il canto del marinaio», «La canzone del calandron»,..., in totale una ventina di canzoni che ci sono state trasmesse dai nostri nonni. Desidero raccontare ai lettori de l’Artugna la storia dei miei avi, lunga 120 anni in terra romena ed invio le foto più significative della loro vita quotidiana... * * * Al richiamo di re Carlo I è arrivata in Romania, nel 1880, una colonia di emigranti italiani; la maggior parte arrivava dal Friuli, per lavorare la pietra, mestiere, quello dello scalpellino, tramandato di padre in figlio.
Arrivati in territorio romeno, hanno portato la cultura, la lingua, la musica, l’arte e tutto quello che caratterizzava la latinità. Il governo romeno donò loro terreni per costruire le case e per avviare l’agricoltura, ma anche per trattenerli in Romania. Furono sistemati vicino alle cave di granito, che si trovano nei Monti Macin-Greci, nella regione Dobroger situata nel sud-est della Romania, e sono rimasti lì fino ai nostri giorni. Conosciuti come buoni e bravi lavoratori, sono stati chiamati a realizzare differenti lavori – edifici sociali e culturali – in Romania e anche all’estero. A Greci hanno lasciato un grande monumento dedicato agli eroi caduti nelle due guerre mondiali, tra i quali anche degli italiani (due miei zii, Fauro Ernaldo, fratello della mamma, e Boro Alfredo, fratello del papà, sono morti in Italia, perché avevano i passaporti italiani e questa è stata la loro disgrazia. Loro stessi hanno lavorato per l’altare in granito della chiesa). Anche i monumenti funerari in molti camposanti sono opere dei nostri scalpellini. A Bicaz i nostri emigranti hanno eretto una grande idrocentrale e altre dieci micro-centrali; a Costanza, hanno realizzato la Casa Bianca, la Casa dello sport e il faro al largo del Mar Nero; inoltre, il ponte di Cerna-Voda, Cimpu Lung, una stazione a Moldovenesc, il Liceo Militare, il ponte sul Danubio a Surgeni-Ruse. Hanno anche lavorato al restauro del monumento di Adam Clisi, eretto dai romani dopo la colonizzazione della Dacia. Col granito ricavato dalle cave di Greci e lavorato dagli italiani è sorto un grande stadio a Muncken, in Germania, e molte altre importanti opere d’arte realizzate con attrezzi primitivi ereditati dai nonni. Esempi di italiani che hanno lavorato sono i Del Puppo, i Sachetti, i Boro, i Faoro, Savoli Vals, Armanoschi, Spadon, Bonavetti, Bertit Candido, Fantini, Masuco, i Fontanini, i Di Grande, i Pastorici e altri dei quali molti non ci sono più ma sono rimasti i figli che fanno lo stesso mestiere. I nostri avi costruirono anche la chiesa e la dedicarono a Santa Lucia, scelsero la santa protettrice degli occhi, perché i loro occhi erano molto esposti a pericoli nel lavoro che facevano. La chiesa ha avuto un ruolo molto importante nella vita della comunità. Il parroco era anche il maestro che insegnava vari mestieri; infatti, vicino alla chiesa c’erano officine di falegname, di incisore, ecc. Questo finché lo stato italiano
A sinistra: un gruppo di italiani, dopo la Messa. La prima a sinistra è Cellia con le sorelle; alla destra quattro scalpellini, citati precedentemente nell’articolo.
Nella pagina accanto, in alto. «Italiani che oggi non ci sono più. Loro hanno lavorato nelle cave di granito per guadagnare e mantenere la famiglia. Il loro mestiere di scalpellino viene praticato anche oggi. È grazie a loro se oggi noi siamo qui a parlarvi della loro vita molto pesante e piena di nostalgia per la madre patria, l’Italia». Al centro. «Scalpellini italiani e romeni. Lavoravano a mano la pietra e il trasporto veniva eseguito con i carri trainati dai buoi. Mio nonno, Angelo Boro, soprannominato Caciulea, era responsabile di una squadra di lavoro».
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non costruì una scuola dove gli insegnanti venivano dall’Italia; così funzionò fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. La prima insegnante italiana si chiamava Irene Barotto, poi Ruta Macucci, Don Carlo, Don Zanon e tanti altri che sono ritornati in Italia. Dopo questo periodo i nostri giovani (la generazione dei miei genitori e anche la nostra) sono stati obbligati a frequentare la scuola romena. Io non ho frequentato neanche un’ora di lingua italiana. In famiglia abbiamo parlato il dialetto friulano e veneto che si parla anche oggi. Vivendo fra i romeni si sono formate famiglie miste; in questi nuclei di famiglie si sono fatti cambi di abitudini, di tradizioni. Si prepara ancora la pastasciutta, con la pasta fatta in casa, gli gnocchi con le patate, i crostoli; si lavora la carne di maiale come cento anni fa: si fanno luganeghe, museti, ossacoli, figadei, salami ecc... Si confezionano in casa le scarpete e la maggioranza delle donne badano ai lavori di casa e al campo. Dopo la rivoluzione del 1989, in chiesa si celebra la messa in lingua italiana; abbiamo i libri bilingui. Il coro conosce tante canzoni religiose in lingua italiana per tutte le feste dell’anno, le abbiamo conservate come un grande patrimonio, una vera ricchezza. CELLIA ONTELUS BORO
«In questo gruppo sono i nostri nonni, bisnonni e parenti, che vivevano insieme in grandi baracche, giunti da poco a Greci, negli anni 1887/88.»
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Chei de Moreal
Domenico n. 1660 ca. sposa
Bernardina de Fort
Ci scrive Severino Rigo, dal Belgio.
Francesco n. 16.10.1691 sposa
Giustina Janna
«Mio nonno si chiamava Rigo Gregorio, nato a Dardago il 3 luglio 1869 e morto il 23 novembre 1916 a Vysme Ruzbachy
Domenico n. 25.3.1720 sposa
(appartenente all’Impero Austro-ungarico, adesso Slovakia).
Margherita Zambon Pinal
La nonna si chiamava Pellegrini Angela, nata a Dardago il 14 novembre Zuanne n. 3.8.1747
1871 e morta nel 1955 a Chaleroi in Belgio. Mi fareste un grande piacere
sposa
Domenica Janna
(e anche alla famiglia sparsa in Belgio, Francia, Svizzera, Slovakia e Ungaria, che farò sapere) cercare le date di nascita dei miei avi e di risalire nel tempo. Vi ringrazio per l’aiuto e vi saluto».
Giammaria n. 19.6.1778
Giustina n. 19.2.1776
sposa
Lucia Zambon
Valentino n. 10.3.1808
Giuseppe n. 13.10.1804
Maria/Beatrice n. 14.8.1898
Lucia n. 21.8.1833
Ferdinando n. 4.8.1839
Amabile n. 21.8.1865
Candido n. 9.11.1869
Regina n. 4.8.1902
Vincenzo n. 31.10.1860 Maria Schereder
Anna n. 9.8.1884
Vincenza n. 22.2.1886
Teresa/Maria n. 2.5.1888
Vittorio/Emanuele n. 13.1.1890
Vincenzo/Giuseppe n. 22.3.1892
Marcellina/Rosa n. 11.9.1905
Vincenza n. 4.2.1864
sposa
Leone n. 2.9.1894
sposa
Teresa Rigo
N.N. n. 14.7.1867
sposa
Anna Santin
Lino n. 25.11.1895
Angelo n. 5.10.1835
Giomaria n. 16.8.1842
sposa
Angela Cecchelin
Genoveffa/Angela n. 25.7.1900
sposa
Anna Cecchelin
Osvaldo/Pietro n. 19.10.1896
Emma n. 18.10.1907
Gregorio n. 3.7.1869 m. 23.11.1916 (a Vysnie Ruzbachy-Slovakia) sposa
Angela Pellegrini n. 14.11.1871 m. 1955 (a Charleroi-Belgio)
Santa/Luigia n. 30.5.1899
Giuditta n. 2.11.1894
Amalia n. 26.3.1902
Pietro/Fortunato n. 21.7.1901
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Accontentiamo il signor Severino, che leggendo l’albero genealogico si sentirà sicuramente più vicino alla terra dei suoi padri. Il cognome RIGO appartiene a quell’interessante categoria del sistema cognominale derivato da nome proprio. Alla base è il nome personale Rigo, ipocoristico aferetico di Arrigo o anche di altri personali in -rigo come Federigo, Alderigo, Amerigo. Ha subìto un’evoluzione del significante, nei quattro secoli circa di presenza in Dardago. La forma attualmente in uso è la stessa
Giovanni n. 28.2.1806
Giovanni n. 5.8.1844
Vito n. 7.10.1850
Pietro n. 31.12.1847
sposa
sposa
sposa
Lucia Bocus
Maria Carlon
Maria Zambon
Clemente n. 17.7.1873
Cristina n. 13.5.1874
Matilde n. 18.8.1875
Adamo n. 16.1.1866
Santa n. 18.1.1873
Fiorina/Veronica n. 1.12.1897
versione iniziale, citata in documenti secenteschi. Nel diciottesimo secolo il cognome inizia ad assumere la variante di Rigo (Zuanne di Rigo 1747), per modificarsi in Dorigo con Giammaria, nel 1778, e Valentino, 1808. Dal 1761 al 1954 – pari a 193 anni – le persone abitanti a Dardago con il cognome Rigo sono 337, equivalenti a 87 nuclei familiari, mentre i Rigo registrati con la variante Dorigo dal 1778 al 1808, sono 54, pari a dieci nuclei familiari. I soprannomi sono per la maggior parte quelli attualmente presenti nel territorio: Moreal, Barisel/Barisela, Vendramin, Caporal/Buset Caporal, Peghez, per i Rigo, mentre per i Dorigo, oltre a quelli sopraccitati, appare la versione Quain.
Agata n. 6.7.1877
Onesta n. 21.9.1875
Serafino n. 9.11.1878
Scolastica n. 30.11.1880
Noè n. 11.9.1882
Romano n. 7.1.1887
Antonia n. 17.5.1884
Giuditta n. 23.12.1876
Eva n. 9.3.1880
Pierina n. 26.1.1882
Valentino n. 15.1.1884
Clemente n. 20.5.1880
Matilde n. 4.8.1884
Serafino/Giuseppe n. 8.4.1886
Rosa n. 6.11.1888
Sisto n. 16.8.1888
Secondo il De Felice, il cognome Rigo, presente nelle Venezie e diffuso prevalentemente nell’Italia settentrionale dal Piemonte e Valle d’Aosta alla costa triestina, è una delle varianti di Righi, quest’ultimo diffuso prevalentemente in Toscana. Sono circa 2500 le persone con questo cognome presenti negli elenchi telefonici della rete italiana; tra questi, numerosi si individuano nel Veneto e – in particolare – in alta percentuale nella provincia di Pordenone rispetto alle altre tre province friulano-giuliane. VITTORINA CARLON
Rosa n. 14.11.1891
Valentino n. 28.11.1893
Danza di voci per il venticinquesimo
Esprimere in un articolo il significato di un venticinquesimo non è semplicissimo, soprattutto se si tratta del 25° di un gruppo, in cui questa ricorrenza assume valenze diverse per ciascun componente. Abbiamo pensato allora di riunire tante voci e di far raccontare ad ognuna qualcosa s u l Gruppo Artugna che, pochi ci avrebbero Dopo tanti anni in cui ho ballato con entusiasmo… sono passata dall’altra parte, perché mi è stato proposto di seguire le prove di danza dei ragazzi più grandi. Ho accettato volentieri, perché sarebbe stato un vero peccato dimenticare e perdere le coreografie di danze che sono state create più di vent’anni fa, ma che giudico ancora le più belle tra quelle dei gruppi che si dedicano al folclore friulano. Non nascondo che spesso è faticoso, che sembra di dover ricominciare sempre daccapo, perché la costruzione armoniosa di queste coreografie è anche ciò che le rende più difficili per i ragazzi da memorizzare. Vorrei però che riuscissero a scoprire qual è il piacere del ballo, cioè il seguire quasi istintivamente le variazioni della musica, il divertirsi, nonostante lo sforzo per imparare «l’un-due-tre», soprattutto quando il gruppo è unito e basta un’occhiata d’intesa per capirsi con i compagni e per affrontare tutti insieme l’emozione che comunque, in grandi e piccini, il palco crea. GIORGIA CONZATO [maestra di danza]
I giovani generalmente ritengono che i ragazzi dell’Artugna compongano una realtà isolata e che il portare avanti le tradizioni folcloristiche non rientri nei parametri comuni di divertimento. I motivi che ci spingono a frequentare il gruppo sono essenzialmente due: oltre al mantenimento della nostra cultura, sono gli incontri settimanali che ci offrono l’impulso per continuare; infatti essi diventano occasione di ritrovo fra amici, come accade in un normale sabato sera in compagnia. Tale opportunità, comunque, ci si presenta anche durante i viaggi quando, nei momenti in cui non dobbiamo esibirci, sappiamo sempre come rendere piacevole il tempo libero. In questi venticinque anni l’Artugna è stata tutto questo per molte persone, attualmente lo è per noi e in futuro per chi lo sarà? Ci auguriamo che a questi valori venga attribuita la giusta importanza da un numero sempre crescente di bambini e ragazzi, affinché possano provare le nostre stesse emozioni. CHIARA, LAURA E SARA [danzerine del Nord]
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Come tanti altri genitori anch’io cerco di dare un po’ del mio tempo al gruppo Artugna. Mi sono avvicinata nel 1980, con il primo dei miei tre figli e successivamente ho continuato con gli altri due i quali, compatibilmente con gli impegni scolastici e universitari, sono ancora presenti nell’associazione. Devo dire che l’accoglienza è stata affettuosissima sia da parte delle insegnanti che di don Giovanni Perin e spesso faceva una visitina alle prove anche don Mario e i ragazzi sentivano questa attenzione che li incitava a far sempre meglio: la visita dei nostri sacerdoti è sempre gradita e attesa. Ricordo che la «piccola» quando è entrata aveva quattro anni e mezzo e i primi tempi, appena aveva ballato l’unica danza che riusciva a fare, chiedeva il permesso di andare dai genitori e poi si addormentava; così dopo le esibizioni lei perdeva il rinfresco finale, al quale faceva onore il fratello più grande… che non dimenticava di riferire che «c’erano anche tanti pasticcini alla cioccolata ma non si potevano mettere in tasca altrimenti si sporcava il costume!». (Inutile dire che i pisolini sono finiti molto presto…). A seguito di una brillante promozione era stato espresso in casa il desiderio di una telecamera, così anche i nonni che vivevano in un’altra regione hanno potuto ascoltare i canti e vedere le danze della tradizione friulana. I nostri nonni ora non ci sono più ma la stessa gioia, la stessa luce che illumina i loro occhi la vediamo sul viso dei nonni delle case di riposo quando il gruppo viene chiamato per allietare le feste. I viaggi sono un’iniezione di linfa nuova; cito solo alcuni tra i momenti più significativi: • a Roma in San Pietro con i Pueri Cantores e poi l’udienza con il Papa in Sala Nervi; • a Venezia, quando i ragazzi hanno cantato «Signore delle cime» sull’Amerigo Vespucci; • in Polonia, dove non si può dimenticare il silenzio di Auscwitz; • in Repubblica Ceca, quando siamo stati premiati per la Quadriglia; • a Sorrento, dove la Tarantella ha suscitato un successo da «ola»… Una piacevolissima sorpresa è constatare lo spirito di appartenenza che ritorna in più occasioni (matrimoni, cene, ecc.), anche quando la vita porta i ragazzi a lasciare il gruppo. LUISA (una mamma)
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Negli anni 1975/1977, durante il periodo estivo, don Giovanni Perin, per tenere impegnati noi ragazzi con qualche attività, si «inventò» il Dardagosto, un mini festival della canzone tipo lo «Zecchino d’Oro». Finita la scuola, i bambini dei nostri paesi, assieme quelli che arrivavano da Milano, Roma, Torino, Venezia, ecc. per trascorrere le loro vacanze, frequentavano le prove per la preparazione dei canti da eseguire in occasione della serata della Festa dell’Assunta. Parallelamente, alle nostre maestre delle scuole elementari venne l’idea di preparare un saggio di fine anno scolastico con scenette, danze, barzellette, giochi, da offrire ai genitori. Nel settembre 1977 a Pescara venne organizzato il XIX Congresso Nazionale dei Pueri Cantores: i nostri don Giovanni Perin e don Mario Del Bosco, colsero al volo questa occasione per unire i ragazzi delle comunità di Dardago, Budoia, S.Lucia e Roveredo in Piano e decisero di organizzare la nostra partecipazione a Pescara per rappresentare il Friuli-Venezia Giulia. L’altra grande idea fu quella di integrare ai canti popolari friulani le danze friulane e non, grazie alle maestre sig.ra Bruna Fabbro e sig.ra Nadia Ragagnin che, con la loro pazienza, ricerca e capacità, diventarono l’anima artistica delle danze del Gruppo. Il 10 settembre 1977, con grande euforia e spasmodica attesa, partimmo dalla stazione di Pordenone per Pescara, dove ottenemmo da subito un grandissimo successo per la simpatia, gioia e bravura. Iniziò così una vita di gruppo tra incontri per le prove, esibizioni e con l’importante servizio liturgico di Pueri Cantores nelle nostre parrocchie animando le celebrazioni delle S. Messe. Per noi ragazzi far parte del gruppo diventò parte integrante della nostra vita: abbiamo vissuto questa esperienza come fossimo stati fratelli, sempre uniti per far fronte agli impegni a cui eravamo chiamati. Ci sono state anche giornate di forte spiritualità nella partecipazione dei Congressi Eucaristici e ad alcuni ritiri spirituali dove, guidati da esperti parroci, ci confrontavamo per esaminare la nostra fede cristiana e le problematiche relative alla crescita del gruppo. Anche allora facevamo preoccupare i nostri insegnanti perché non ci impegnavamo nelle prove, specialmente nell’imminenza di alcuni appuntamenti importanti. Ricordo in particolare che a Roma nel 1983, durante le prove per l’esibi-
zione serale sul Tevere, c’era un continuo sbaglio nelle posizioni e figure delle danze e un’inquietante svogliatezza generale. Saliti sul palco, abbiamo dato il meglio di noi stessi facendo, come al solito, una meravigliosa esibizione che ha appassionato tutto il pubblico presente con somma soddisfazione dei nostri accompagnatori. Un altro ricordo, che mi ha riguardato da vicino e che mi ha fatto crescere musicalmente, è stata la formazione dell’orchestra del gruppo. Nei primi anni, infatti, tutte le danze erano incise su musicassette. Nell’autunno del 1981, con la preziosa collaborazione della prof.ssa Tina Flavia Zambon, sono state trascritte le partiture di tutte le danze e, prova dopo prova, è nata l’orchestra: tre fisarmoniche (Fabrizio Zambon, Roberto Ianna, Mauro Burigana); un violino (Giuseppe Martin); un clarinetto (Giuseppe De Mattia); un contrabbasso (Jean Pierre Zanette); tre chitarre (Marina Cadelli, Cristina Barbariol, Orietta Montalbano). L’augurio che posso fare ai ragazzi, ai dirigenti ed ai genitori del gruppo attuale è di credere nelle tradizioni che stanno portando avanti, di ricordare che prima di loro ci sono state persone che si sono prodigate per far nascere e crescere il gruppo, e di rivivere le esperienze che abbiamo vissuto nei primi anni della storia dell’«Artugna», pieni di allegria, soddisfazioni ed amicizia. Infine, senza far altri nomi, colgo l’occasione per porgere un abbraccio a tutti i «vecchi» componenti del gruppo: presidenti, «compagni d’avventura», accompagnatori, genitori e lavoratori vari; chissà se un giorno potremmo ritrovarci tutti per rivivere le emozioni di una «nostra» esibizione. FABRIZIO ZAMBON (uno dei primi componenti)
Correvano gli anni ’70 e Don Giovanni creò un piccolo coro estivo, che diverrà successivamente Gruppo Artugna.
’N te la vetrina
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I bo’ de Svaldo Basso Foto scattata davanti alla casa di Osvaldo Basso, in via Pedemontana. Con Piero Basso gran parte dei famigliari. (Foto di proprietà di Michele Basso)
Dardago, 1940. Basilio Santin Tesser e la moglie Rosa Zambon Pinal co i vestiti de la festa. Per la ripresa fotografica, Basilio si è tolto il cappello, posandolo – come era usanza – su un ginocchio, e con atteggiamento interessato legge il giornale, mentre Rosa, estranea alla curiosità del marito, fissa con compostezza l’obiettivo. (Foto di proprietà di Vittoria Santin)
Budoia. Correvano gli anni 1919-’20. Giacobbe Del Maschio Andholet con la moglie Teresa Signora, attorniati dai loro sette figli. Sedute: le figlie minori Benvenuta e Silvia. Alle spalle, da sinistra: Caterina, Silvio, Antonio, Angela e Domenico. (Foto di proprietà di Elena e Laura Carlon)
In basso: anni ’50. Marcella Bastianello alla stazione ferroviaria di Sacile, accanto alla mitica «litorina» Sacile-Gemona, che trasportava periodicamente i nostri emigranti stagionali, unendo e dividendo i nuclei familiari. (Foto di proprietà di Marcella Bastianello)
Intorvìa la tóla
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di A cura ello Bastian ta li e M e e Adelaid
Minestra di riso con fegatini di pollo*
Cuore di mamma**
Ingredienti per 10 persone Un pezzo di gallina, un pezzo di pollo e un pezzo di manzo (in mancanza, un osso di bue) 2 carote 2 gambe di sedano 2 cipolle sale 4 fegatini di pollo riso olio, burro
Ingredienti 500 g di farina 100 g di farina gialla da polenta 100 g di strutto 100 g di burro 200 g di zucchero 80 g di lievito 8 uova intere 9 scorza di limone, un bicchierino di grappa sale q.b.
Preparazione per il brodo Mettere a bollire l’acqua necessaria con la carne. Aggiungere i sapori: cipolla, carota, sedano e far bollire a fuoco basso per un paio d’ore fino a che la carne sarà cotta. In una pentola a parte versare poi il brodo, aggiungere il riso, aggiustare di sale e far cuocere per 15 minuti. Nel frattempo lavare molto bene i fegatini di pollo e tagliarli a pezzi sottili. Farli saltare in una padella con l’olio e il burro per un minuto e aggiungerli alla minestra di riso a cottura ultimata.
Preparazione In una terrina sbattere le uova intere con lo zucchero. Unirvi lentamente le due farine precedentemente amalgamate tra loro. Far sciogliere il burro e lo strutto e unirlo al composto, aggiungere una presa di sale, lavorare bene l’impasto ottenuto, unirvi poi il lievito, la buccia del limone e la grappa. Stendere l’impasto in una tortiera, metterlo in forno caldo per 50 minuti circa. [ In alcune famiglie, la torta veniva arricchita con uvetta o fichi a pezzetti ]
* Normalmente nella minestra di riso si usava aggiungere anche le frattaglie del pollo (durone e cuore) lavate bene, tagliate sottili nel senso della lunghezza, fatte prima rosolare da sole in padella con olio, burro e cipolla e poi cotte per circa venti minuti con l’aggiunta di un po’ di brodo, ma, per rendere «più nobile» il pranzo di nozze, venivano usati solo i fegatini.
** La ricetta per questo dolce è molto antica, risale ai primi del ’900. Angela Basso l’ha trovata tra le ricette della suocera Gusta Simon e si presume che in quel periodo fosse normalmente usata nei pranzi di nozze.
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Cronaca
THENA IN RUI DE COL
L’idea di riorganizzare dopo molti anni una rimpatriata di quanti vivono o sono vissuti in via Rui de Col è venuta da Fabio e Alessandro Theco. Sebbene fossero molto piccoli ricordano l’avvenimento e ben volentieri hanno lanciato l’idea subito accolta da più di 50 persone. L’organizzazione si è messa in moto e dopo un rinvio per il maltempo finalmente la cena è stata effettuata martedì 13 agosto. L’allegra compagnia si è sistemata in Rui de Col dove è stata allestita una lunga tavolata. Verso il rui la zona cottura e l’indispensabile cantina. I cuochi dal pomeriggio fino a sera inoltrata si sono adoperati a cucinare succulenti piatti innaffiati da ottimo vino. Grandi e piccoli hanno così goduto qualche ora di allegra compagnia e di vecchi ricordi gustando poi ottimi dolci per l’occasione preparati da volenterose pasticcere. Un grazie a quanti si sono prodigati per la buona riuscita della serata dandoci quindi appuntamento per il prossimo anno. Se vedòn ’n tel 2003. FRANCESCA DANÙT
COSCRITI DEL TRENTADOI
I coscritti della classe 1932 di tutto il comune, hanno voluto festeggiare le loro settanta primavere con la Santa Messa nella Chiesa di Dardago per ringraziare il Signore del traguardo raggiunto. È seguito il pranzo a Budoia a «Ca’ del Bosco». RAFFAELE ZAMBON
I NONI PA’ I PITHUI
Da lunedì 16 settembre le scuole elementari e materna di Budoia hanno riaperto i battenti e gli alunni hanno ripreso le attività scolastiche dopo la pausa estiva. Ma all’inizio dell’anno scolastico gli alunni devono fare i conti con il problema della carenza dei nonni volontari alla vigilanza sullo scuolabus del Comune. Attualmente i volontari che esercitano questo importante servizio sono rimasti all’incirca una decina, divisi fra il servizio dei mattino e del pomeriggio, decisamente insufficienti per riuscire a coprire i turni settimanali. Un servizio iniziato diversi anni fa dai nonni in pensione del Centro Sociale Anziani aderente all’AUSER di Budoia. All’inizio dei servizio volontario i nonni erano una trentina. Ora sono tutti ultra settantenni e decimati dalla vecchiaia, invalidità, malattie e ...
Sopra. I settantenni in festa. A sinistra. La grande tavolata de chei de Rui de Col.
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Per incrementare questo utile servizio, facciamo un vivo appello a genitori, parenti, nuovi pensionati che possono rivolgersi al Centro Sociale che gestisce il servizio. Si tratta di turni di cinque giorni alla settimana, dalle 8.00 alle 9.00 per volontari di Budoia e Santa Lucia e dalle 15.00 alle 16.00 per quelli di Dardago. Per particolari informazioni rivolgersi al Presidente Zambon Marcello e al Segretario Gislon Alessandro. MARCELLO ZAMBON ALESSANDRO GISLON
DARDAGOSTO 2002
Anche quest’anno in occasione della festa dell’Assunta, si è svolto il «Dardagosto» che, oltre al consueto torneo di calcetto in memoria di Abramo Prizzon ed alle serate svoltesi nel cortile delle ex scuole allietate da danze per giovani e non, è stata allestita a cura del Comune una mostra di vecchie fotografie molto interessante dal punto di vista dei vecchi ricordi che tanto amati e rinnovati i dolci sentimenti dei vecchi tempi. In occasione si è svolta pure un’altra mostra come consuetudine ogni anno, di sculture di legno, pietra e marmo dell’artista Angelo Michelin di Sacile, ormai noto da noi e da un altro amatore scultore di svariate figure in legno di Tamai di Brugnera. Per finire, c’era pure un’esposizione di quadri di pittura astratta dell’artista Salamon «Saon» di San Odorico. ESPEDITO ZAMBON
I À SLARGIAT LA VETRINA
«Le opere e i giorni - Budoia: una storia per immagini» è il titolo della rassegna fotografica presentata alla comunità nel mese di agosto dall’Amministrazione Comunale. Hanno collaborato alla raccolta la popolazione e le associazioni. Anche l’Artugna ha fatto la sua parte, mettendo a disposizione tutte le immagini e le informazioni pubblicate nei suoi trent’anni di vita. Coordinatrice della ricerca è Nancy Michilin che, con la consulenza scientifica del Centro regionale di catalogazione e di restauro dei Beni Culturali di Villa Manin, ha catalogato le immagini.
Sopra. Alcune opere di Angelo Michelin al Dardagosto 2002. A sinistra. Un momento dell’inaugurazione della mostra fotografica «Le opere e i giorni». A sinistra il sindaco Antonio Zambon, al centro il presidente della provincia De Anna e Antonio Giusa, curatore della mostra. Sotto. Alcuni collaboratori del CFD dopo il rinfresco preparato in occasione della cerimonia di inaugurazione della mostra fotografica.
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EL MARESCIAL «CAVALIER»
Il Capo dello Stato ha conferito con decreto in data gennaio 2002 (ma solamente in settembre è stato reso pubblico), il Cavalierato al Merito della Repubblica Italiana, al maresciallo Franco Sciarrino, comandante della Stazione Carabinieri di Polcenigo. Tale prestigioso riconoscimento (fra l’altro attribuitogli in servizio attivo), viene a premiare il lungo lavoro nella benemerita Arma verso la collettività servita con dedizione. Al comandante Sciarrino l’Artugna si unisce alle attestazioni di stima e felicitazioni, pervenutegli da più parti. MARIO POVOLEDO
DONATORI IN FESTA
È stato festeggiato domenica 8 settembre il 35° Anniversario di fondazione della sezione di Dardago donatori di sangue, in comunità con la sezione di Budoia e Santa Lucia. Ritrovo dei partecipanti nel cortile delle ex scuole, quindi, formazione corteo con gonfalone comunale in testa, seguito dai vari labari delle sezioni, deposizione di un anno di fiori al monumento ai caduti e foto ricordo. A questi momenti importanti ha fatto seguito la celebrazione della Santa Messa, officiata da Don Adel, in memoria dei donatori e sostenitori defunti allietata dal coro parrocchiale anche con il canto in friulano «Salvà une vite», che sovente si sente cantare nelle varie Chiese, in occasione delle ricorrenti giornate dei donatori. Alla fine della Santa Messa, è seguita la cerimonia ufficiale con i vari discorsi dei presidenti delle due sezioni Corrado Zambon e Umberto Coassin, nonché del Sindaco Antonio Zambon e del Vice presidente Ivo Baita, che hanno illustrato la situazione attuale e hanno lasciato un caldo ed accorato invito ai giovani di farsi donatori. Il programma prosegue con la consegna degli attestati di benemerenza ai premiati delle due sezioni e omaggio d’un bel piatto raffigurante le nostre montagne e la Chiesetta di San Tomè alle autorità e alle sezioni partecipanti. In un noto locale della zona il pranzo e la conclusione. ESPEDITO ZAMBON
BUDUOIA IN ONDA!
Cindy Cattaruzza, meglio conosciuta tra i giovani semplicemente come Cindy, ha portato Budoia in TV. Lo scorso luglio, insieme con altri 15 ragazzi, grazie alla sua bella voce rock, Cindy superò brillantemente la selezione per partecipare alla trasmissione televisiva «Operazione Trionfo»: un reality-show in programmazione su Italia 1, una delle reti Mediaset. I vincitori di questa selezione canora avrebbero avuto la possibilità di frequentare un’Accademia di canto a Roma i cui insegnanti sono nomi illustri della musica italiana: oltre che dai ragazzi, il cast è composto da insegnanti di canto, improvvisazione teatrale, co-
In alto. Durante una celebrazione pubblica, il neo cavaliere maresciallo Sciarrino (il primo a sinistra). Sotto. Labari delle varie sezioni dei donatori di sangue in festa, nel sagrato della chiesa di Dardago, in occasione del 31° di fondazione della sezione di Dardago.
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reografia e fitness. Una bellissima opportunità per un giovane che desidera cimentarsi nel mondo della musica. Cindy ha dunque avuto la possibilità di frequentare questa Accademia per nove settimane, crescendo musicalmente, dimostrando, via via che il tempo passava, grandi doti canore e ricevendo i complimenti e gli applausi da tutto il corpo insegnante per la sua voce da rocker e per la sua interpretazione, facendosi inoltre apprezzare anche come persona. Ora l’augurio che vogliamo fare a Cindy è un futuro pieno di musica e la realizzazione di tutti i suoi sogni. Le chiediamo però di restare sempre come l’abbiamo apprezzata in televisione e di non dimenticare mai le sue origini e Dardago. A.B.
Momenti della «Festa dei Funghi e dell’ambiente», organizzata dalla Pro Loco: alcuni volontari in cucina e le bancarelle dei prodotti tipici della pedemontana lungo le vie del paese.
PRO LOCO PA’ I DOVINS
Quest’anno, in occasione della Festa dei Funghi e dell’Ambiente, una collaborazione fruttuosa è stata quella tra Pro Loco e Progetto Giovani, che si è reso disponibile a gestire la Pesca di Beneficenza. I ragazzi si sono dimostrati ancora più efficienti delle aspettative, hanno lavorato sodo, e hanno scoperto che alla fine ci si può rendere utili alla comunità anche divertendosi. La Pro Loco ha voluto ringraziare il Progetto donando qualcosa che potesse servire alle sue attività: i ragazzi hanno scelto un calcetto che è stato acquistato lo scorso novembre. Speriamo che questo sia di buon auspicio per un avvicinamento dei giovani alla Pro Loco e in generale alle iniziative che vanno a vantaggio della collettività. MARTA ZAMBON
GANTE EUROPEO
Il 6° concorso pianistico europeo Luciano Gante, organizzato dall’Istituto di Musica della Pedemontana in memoria dell’artista triestino scomparso nel ’93, quest’anno ha assunto carattere europeo: i concorrenti infatti provenivano da varie nazioni. La giuria internazionale ha assegnato il primo premio, consistente in seimila euro, diploma
di partecipazione e cinque concerti ad Alberto Nosè (Italia). Al secondo posto si sono classificati ex aequo Davide Cabassi (Italia) e Alì Hirèche (Francia). Al terzo posto si sono classificati ex aequo Michelangelo Carbonara (Italia) e Federico Lovato (Italia). Il premio speciale per la miglior concorrente femminile è stato assegnato a Laura Mc Donald (Gran Bretagna). I vincitori sono giunti alle finali dopo aver superato le prove eliminatorie, durante le quali i 18 pianisti ammessi si erano cimentati in un programma della durata di 45 minuti. La manifestazione si è conclusa con il concerto finale eseguito dai vincitori, applaudito da un pubblico entusiasta, che sabato 27 ottobre gremiva l’Auditorium Concordia. MARTA ZAMBON
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SALVÒN EL BOSC DEL CANSIGLIO
Affollati i locali della scuola elementare di Budoia in cui si è svolto l’incontro con Fulco Pratesi, presidente nazionale del WWF Italia, per discutere sulle iniziative che minacciano l’importante ed antichissima foresta del Cansiglio: si prevederebbero l’urbanizzazione di alcune sue aree, in zona demaniale, e la costruzione di una strada di collegamento Alpago-Piancavallo. Ci auguriamo che il territorio che sta alle nostre spalle con la sua spiccata individualità non venga deturpato.
SPERÒN CHE NOL NE LASSE
Nel mese di luglio/agosto alcuni temporali di notevole violenza di sono abbattuti sulla nostra zona. I disagi non sono mancati. A Dardago l’albero secolare della piazza, el balèr, ha subito, da parte dei vigili del fuoco, un ulteriore taglio alla sua già sfoltita chioma, perché giudicata pericolante. Speriamo che il male non sia venuto per nuocere e che la forzata potatura serva per rinforzarlo. Dai, vecio, tin duro.
NIKOLAJEWKA
26 gennaio 1943. Sessant’anni fa si consumava la tragedia degli Alpini in terra russa a 42 gradi sottozero. Partiti in molti, tornati in pochi. Tra i fortunati, il reduce Paolo Busetti, che anche a nome degli altri due budoiesi viventi, il col. Mario Ponte e il sergente medaglia d’argento Angelin Augusto, ha avuto l’idea di commissionare al pittore Umberto Coassin un quadro della realtà vissuta in quella sacca, tragica, quanto sono tragiche le conseguenze della guerra. Coassin ha disegnato, ovviamente a titolo gratuito, quanto Paolo Busetti gli raccontava, non senza commozione. Il dipinto (2x1 metri), è stato donato alla Sezione Alpini di Pordenone, durante la cerimonia annuale che si tiene al Villaggio del Fanciullo. Proprio nel prossimo 2003, la ricorrenza si rivivrà domenica 26 gennaio. Sessant’anni esatti
fa, per non dimenticare il sacrificio di tanti Italiani caduti nell’adempimento di un preciso dovere e per esprimere, ancora una volta, più che mai, l’orrore per le guerre e l’anelito di pace che scende dall’alto e che l’uomo deve dilatare in ogni dove. Un dono prezioso per un futuro di pace. MARIO POVOLEDO
NO I LO LASSA SPORC
Anche nel comune di Budoia, come in tutti i comuni d’Italia, il giorno 4 novembre è doverosamente ricordato il sacrificio dei caduti di tutte le guerre. Per la cerimonia ufficiale è di turno, quest’anno, Dardago. Nella settimana precedente il giorno 4, le signore Vittoria Santin e Marcella Bastianello hanno pulito e adornato con vasi di crisantemi il monumento ai caduti. Grazie alla buona volontà e allo spirito che alimenta il volontariato.
PA’ I MORTI IN GUERA
Nell’ambito della riqualificazione della piazza del capoluogo, l’Amministrazione Comunale ha proceduto alla collocazione del monumento ai Caduti, nei pressi dell’area ove hanno sede l’aula dei consiglio comunale, la biblioteca civica, l’ingresso delle scuole che diventerà piazza a tutti gli effetti.
Il dipinto di Umberto Coassin donato alla Sezione ANA di Pordenone dai reduci di Budoia.
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Anche da queste poche righe, si deve sottolineare che non sono stati gli Alpini di Budoia a far spostare il monumento, ma questi hanno il merito di aver spronato l’Amministrazione Comunale a restituirlo alla pietà e alla considerazione della popolazione. La celebrazione, resa più solenne dal ricordo del 130° anniversario di costituzione del corpo degli Alpini, organizzata dai Gruppi ANA della Zona Pedemontana, ha riunito autorità, alpini in congedo e popolazione in un vincolo di gratitudine verso i Caduti. Dopo la cerimonia dell’alzabandiera e dell’onore ai Caduti, della benedizione impartita dal Parroco don Adel Nasr, e la celebrazione della Santa Messa, sono seguiti i discorsi del Sindaco, del rappresentante dell’Amministrazione Pro vinciale dr. Arnaldo Grandi, e la commemorazione ufficiale tenuta dal presidente provinciale dell’ANA, cav. uff. Giovanni Gasparet. Al termine, gli Alpini con alcuni volontari hanno offerto ai numerosi intervenuti un rinfresco. Fra le autorità presenti: il Comandante la Stazione carabinieri, Maresciallo Cav. Franco Sciarrino, la rappresentanza della Brigata Alpina Julia capeggiata dal capitano Antonio Esposito della 132a Brigata Corazzata Ariete, la rappresentanza del Gruppo ANA di Milano-Crescenzago e dei Bersaglieri in congedo. Presenti pure i reduci di Russia col. Mario Ponte, Augusto Angelin e Paolo Busetti. Una considerazione: il monumento, deve essere considerato luogo di rispetto e di devoto raccoglimento. È come se ci recassimo in mesto pellegrinaggio davanti alle tombe dei nostri morti. Al termine della cerimonia il loro sacrificio è stato ricordato dalla bella ode che la concittadina Rosa Palma Talamini ha composto vent’anni fa e che è riecheggiata anche in questa occasione. Per non dimenticare! MARIO POVOLEDO
’N A CANTHON PA’ «LO ZECCHINO D’ORO»
È un giovane insegnante dell’Istituto di musica della Pedemontana l’autore di una delle canzoni della 45° edizione dello Zecchino d’oro. Si tratta di Loris Varnier, che ha scritto la musica della composizione che ha vinto il concorso «Invito allo Zecchino d’Oro»; le parole sono della signora
Patrizia Amoruso. Il brano, cantato dal coro «Piccoli del Contrà» di Camolli-Casut, si intitola «Mio Fratello» ed è inserito nel CD di quest’anno dello Zecchino d’Oro come 15° canzone della rassegna internazionale dell’Antoniano. Martedì 19 Novembre dalle 17 alle 19 il coro Piccoli del Contrà e il maestro Varnier sono stati ospiti in diretta TV su RaiUno allo Zecchino d’Oro per presentare il loro lavoro. MARTA ZAMBON
E FECE GRAN MONTANA
A fine novembre e nei primi giorni di dicembre anche sulla nostra provincia cade pioggia torrenziale. L’Artugna si riempie di montana e fa sentire in paese la sua cupa voce. Trascina con violenza alberi e crode, finché, giunta in picchiata alla rosta, lasciando isolato Ligont, aumenta il suo rumoreggiare lungo l’alveo, che echeggia nella valle, richiamando l’attenzione della popolazione dardaghese e... foresta. L’Artugna scuote gli animi e rammenta che lei è sempre li, pronta a destarsi dal suo assopimento, a far gran montana.
SANT’ANDREA, EL PORC SU LA BREA
Anche quest’anno la Pro Loco, in collaborazione con la parrocchia di Budoia ha organizzato la festa del patrono (30 novembre), che quest’anno cadeva di sabato. Alle 17.00 è stata celebrata la Santa Messa, al termine della quale tutti hanno potuto riunirsi in piazza dove era in funzione il chiosco: oltre alla tradizionale porchetta, c’erano pastasciutta, pasta e fagioli, musetto, capretto e formaggi, insomma, per tutti i gusti! Accanto al chiosco era stato allestito anche un pozzo di San Patrizio, in questo caso si potrebbe dire di Sant’Andrea, che ha portato quasi tutti, specialmente i bambini, a tentare la sorte, visto che ad ogni pescata il premio era sicuro. Certamente una festa riuscita che ha dato tanta soddisfazione agli organizzatori, a coronamento di un anno particolare, che segna il quarantesimo anniversario della Pro Loco. MARTA ZAMBON
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AGA CLAMA AGA
L’Artugna è giunta fino al Quartiere Lavanderie di Segrate (Milano), in occasione della Festa del Crocefisso di settembre con l’allestimento di una mostra sulla storia, il territorio, l’arte, le tradizioni, la cucina del Friuli-Venezia Giulia. Ci ha fatto piacere essere stati vicini ai dardaghesi e budoiesi del milanese e far ammirare ai visitatori anche di altre regioni le bellezze della nostra terra. Ci scrive Maria Carlon, una delle organizzatrici della festa: «Grande emozione, per me friulana di Budoia, quando Don Alberto, Parroco della Chiesa “Beata Vergine Immacolata” di Lavanderie di Segrate, ha proposto di aggiungere, ai tradizionali tre giorni di festeggiamenti parrocchiali di settembre per la Chiesa del Croceficco, anche uno stand della regione Friuli-Venezia Giulia. Con molto entusiasmo ho iniziato contattando il Fogolâr Furlan di Milano, parenti e amici vicini e lontani, e in tutti ho trovato tanta disponibilità. Durante il periodo di ferie in agosto, in giro per il Friuli abbiamo riscoperto luoghi e tradizioni della nostra regione e insieme abbiamo ricordato tante identità: la famiglia, il lavoro, la miseria, la semplicità, il reciproco aiuto. Gli amici di Budoia e Dardago hanno costruito dei bellissimi pannelli, descrivendo la storia, ma soprattutto la cultura e le tradizioni, a noi tanto care. Oggetti di antiquariato e tanto materiale illustrativo, fornito dai diversi enti di soggiorno, hanno fatto bella mostra nello stand. C’era anche la bandiera del Friuli, per molti sconosciuta. Dopo l’adorazione del Crocefisso, nella memoria del Venerdi santo, e la Benedizione, hanno avuto inizio i festeggiamenti della prima serata con l’apertura dello stand gastronomico. La nostra polenta bianca, cucinata nella cialdiera granda, prestata da un alpin furlan di Dardago (Luciano Bocus Frith), è stata assaporata con i prodotti tipici: vini della zona di Cormons, prosciutto di San Daniele, speck di Sauris, salumi, formaggi, miele, olio e farina della Pedemontana Sacilese. La polenta, che ha destato meraviglia perché bianca, è piaciuta tantissimo ed è stato necessario cuocerne una seconda per accontentare tutti. Domenica la Santa Messa, l’Angelus e
la Benedizione; e poi insieme per un brindisi e un pranzo con tutta la comunità. La partecipazione e l’esibizione del «Coro Fogolar Furlân di Milano» diretto da Mario Gazzetta hanno allietato le cerimonie ed io nel mio scialle mi sono sentita tanto friulana. Con gratitudine desidero ringraziare Don Alberto, i miei familiari e tutti gli amici per avermi dato la possibilità di esprimere e vivere sentimenti un po’ abbandonati. Sabato 7 dicembre alle ore 21 in Chiesa, ancora un’occasione d’incontro con un concerto strumentale, la lettura di poesie e preghiere alla Madonna scritte da Padre David Maria Turoldo ed un brindisi di tanti auguri dicembrini. Mandi. MARIA CARLON BOSSER
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I FRITH I SE CJATA A MILAN
I Frith i se cjata a Milan intorvia la tola per... «quater ciacer». Per alcuni Frith residenti a Milano, discendenti di Antonia e Paolo, sabato 30 novembre è stata l’occasione per incontrarsi e conoscersi. È stato l’incontro di tre generazioni, per la maggior parte di loro il primo incontro tra cugini che ancora non avevano mai avuto l’opportunità di conoscersi e non solo i più giovani. Si è rivelata una bellissima serata piena di «Ciao, io sono..., il figlio di... e tu chi sei?». Mentre i ragazzi hanno passato la serata tra loro a cercare di capire e riconoscere le varie discendenze e parentele, grazie ad un albero genealogico approntato per l’occasione, i «meno giovani» hanno ricordato i tempi della loro infanzia. Passando tra i tavoli coglievi parole tipo «mont, sloitha, frithe, cao e salat» oppure «quella volta che sono venuta con la mamma... mi ricordo di quella signora anziana... di quel cortile... di quella via che va verso...». Due modi di ricordare, diversi per età, ma comuni nell’entusiasmo. Nostalgia nel primo, rievocazione nel secondo, ma una certezza comune: «Dobbiamo rivederci presto, facciamo che diventi un appuntamento annuale. La prossima volta tutti a Dardago?» Perché no? A.B.
PARLÒN PAR FURLAN
È il quarto anno che l’Amministrazione Comunale, in collaborazione con la Società Filologica Friulana, realizza corsi di lingua friulana. Complimenti all’insegnante Erica Cristante e agli studenti che volonterosi proseguono il cammino d’istruzione della marilenghe.
Nella foto. L’incontro dei numerosi discendenti di Antonia Ianna Barnardo e Paolo Bocus Frith. Per favorire le nuove generazioni ogni partecipante era dotato di un «cartellino di riconoscimento» per identificare il ramo di appartenenza.
Nel ricordo di Antonia e Paolo 3 generazioni di Frith
Antonia e Paolo
Catina
Rosa
Damo
Gigia
Cencia
Angelina
Bino
Ustin Gigeto Rosina Otelo
Gina Santina Marino Maria Italo Maristela
Antonieta Franca Eva Ada Luisa Luigino
Fabio Fiorenzo Antonia Augusta
Liliana Gigeto
Gianina Maristela Alves Ezio Melita
Paolin Grassiano Erna
Lasciano un grande vuoto...
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Caterina Del Maschio Padova, 26 agosto 2002
Sei uscita dalla nostra vita, ma non dal nostro cuore. Nessuno muore sulla terra, finché vive nel cuore di chi resta. LE FIGLIE ELENA E LAURA CARLON
Riccardo Zambon PRIMO ANNIVERSARIO
La sua giornata terrena si è conclusa all’alba del 31 ottobre 2001, ma anche all’alba della vita, nei suoi vent’anni. È partito in silenzio, come silenziosa è stata la sua breve vita, adorato dalla sua famiglia, amato dai suoi amici, stimato dai suoi insegnanti ed educatori. È partito senza conoscere il male, ma gioioso e riconoscente solo del bene ricevuto in tutti gli anni della sua formazione e della sua crescita e, per questo, osiamo credere abbia vissuto abbastanza per cogliere ciò che di bello concede la nostra esistenza. La nostra vita è nelle mani di un Padre che sa quanto lasciarci e quanto chiamarci a sé. Ho sognato che camminavo in riva al mare con il Signore e rivedevo sullo schermo del cielo tutti i giorni della mia vita passata. E per ogni giorno trascorso apparivano sulla sabbia delle orme: le mie e quelle del Signore. Ma in alcuni tratti ho visto una sola orma, proprio nei giorni più difficili della mia vita. Allora ho detto: «Signore, io ho scelto di vivere con te e tu mi avevi promesso che saresti sempre stato con me.
Perché non eri accanto a me proprio nei momenti più difficili?». E lui mi ha risposto: «Tu sai che io ti amo e non ti ho abbandonato mai; i giorni nei quali c’è soltanto un’orma sulla sabbia sono proprio quelli in cui ti ho portato in braccio».
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Vittorio Del Maschio MARESCIALLO DELL’AERONAUTICA (QUINTO ANNIVERSARIO 4.9.1997 - 4.9.2002)
Cinque lunghi anni sono trascorsi dal giorno che hai lasciato questa terra, ci conforta tuttora il ricordo di essere stati vicino a te fino al tuo ultimo respiro e tu lo hai capito. Ti ricordiamo sempre con immutato affetto, preghiere di suffragio e la Santa Messa. Ciao Vittorio, tua moglie e figli. Potremo mai credere morto chi è sempre nel nostro cuore?
(SANT’AGOSTINO)
Girolamo Zambon A quattro anni dalla sua scomparsa (23.8.1998-23.8.2002) vi inviamo una fotografia di nostro padre, Girolamo Zambon, insieme ad un piccolo «scritto» a lui dedicato, che gentilmente vorremmo pubblicati nel prossimo numero del vostro bellissimo periodico. In tal modo vogliamo ricordare, insieme a nostra madre, l’interminabile affetto che ancora ci lega al nostro papà. Grati della vostra disponibilità, vi ringraziamo anticipatamente. BETTA, ALESSIO E FABIO ZAMBON
«Girolamo, papà non abbiamo più parole da pronunciare, ti vediamo sempre accanto a noi in qualsiasi luogo. Torniamo indietro nel tempo pensando a quegli attimi passati allegramente.
Elia Zanolin
Soltanto adesso capiamo la nostra non rassegnazione. Sappiamo di aver perduto un grande uomo e un indimenticabile papà».
Elia, piccolo fiore non sbocciato, angelo volato direttamente in cielo.
Inno alla vita...
Sopra. Luigia Ariet, attorniata da figlie, generi, nipoti e pronipoti, ha festeggiato il 90° compleanno. Un’infinità di auguri. Le figlie Clelia, Rosella e Laura
Simone De Poli di Alessandro e Marta Villanti è nato a Mestre il 5 agosto 2002. Benvenuto nella nostra comunità!
Sopra, a sinistra. Antonietta Bocus e Fortunato Zambon festeggiano il loro 50° anniversario di matrimonio. (23 aprile 1952-2002)
Sopra. Vittoria Santin e Agostino Vettor, festeggiano il loro 55° anniversario di matrimonio (16 novembre 2002). A lato. Anche Maria Janna e Guerrino Bocus, hanno raggiunto il loro 55° anniversario di matrimonio (30 novembre 2002).
A tutti, gli auguri della Redazione
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I ne à scrit
Le 2 mai 2002
Je suis un vos lecteurs de France grâce à la présence de mes grands-parents à Dardago, Monsieur Da Ros Antonio. Ayant vu dans votre magazine que vous êtres intéressé par les nouvelles concernant des membres du village, je vours écris afin de vous informer de la naissance du petit Da Ros Yoann, né le 31 mars 2002 à Cenon (33) fils de Da Ros Thierry et de Mademoiselle Chasson Laurence. Je serai très ravi que vous puissiez inscritte cette naissance dans votre chronique naissance. Veuillez recevoir mes salutations distinguées. THIERRY DA ROS
Egr. Sig. Thierry, la ringraziamo delle sue parole e con piacere inseriamo l’annuncio della nascita di suo figlio Yoann nella nostra rubrica. Un saluto a tutta la sua famiglia.
pava del ripristino sentieri, ma ora non vedo più loro cartelli recenti. Mi piacerebbe ricevere l’Artugna. Grazie per la vostra opera. Cordialmente, FORTUNATO CARLON
Egr. Sig. Fortunato, siamo felici che la pubblicazione della foto della classe frequentata da suo padre sia stata da lei molto gradita. Certo! È nostra intenzione continuare la pubblicazione di foto storiche, come del resto già facciamo da parecchi anni. Per quanto riguarda i sentieri, molti sono abbastanza ben tenuti. Anche quello che dalla «Panerata» porta a Mezzomonte. Lo provi quando ha occasione. Non ci risulta che il Gruppo Alpini abbia un indirizzo e-mail. Quello della Pro Loco è: prolocobudoia@tin.it Le spediremo l’Artugna. Cordialmente.
30 settembre 2002
Arese, 10 settembre 2002
Spett. Redazione, ho visitato la mostra di foto storiche della vostra comunità, quest’estate nel mese di agosto presso la biblioteca di Budoia, ma non ho trovato nessun viso conosciuto. Nell’ultimo numero della rivista, invece, è riportata la foto di una classe scolastica del 1922. Ho provato una forte emozione quando vi ho trovato mio padre (aveva 10 anni)! Non possiedo foto dell’adolescenza e gioventù dei miei genitori. Poiché anche mia madre era nativa di Budoia, mi sto chiedendo se riporterete altre foto del genere nei prossimi numeri e quanti altri lettori desidererebbero la stessa cosa. È stato piacevole constatare il ripristino dei vecchi sentieri intorno a Budoia, Dardago, San Tomè ecc. Non ho trovato traccia dello storico sentiero Budoia-Mezzomonte; esiste un indirizzo e-mail del gruppo Alpini di Budoia o altro? Un tempo era la Pro Loco Budoia che si occu-
Gentile Redazione, per motivi di lavoro sono spesso lontano dalla mia casa in Belgio; quando la famiglia mi spedisce la rivista nei luoghi dove mi trovo per ragioni di lavoro è sempre un grande piacere. È sempre una gioia quando scorro tutte le pagine, leggendo i vari fatti della vita delle nostre terre lontane. A riguardo dell’annuncio dell’edizione del libro di Renato Appi, sono interessato a riceverlo, al mio indirizzo in Belgio. RingraziandoVi ancora per tutte queste belle cose, Vi auguro buon proseguimento Cordiali saluti ELIO FR. PUPPIN
Caro Sig. Elio, le abbiamo spedito in Belgio il volume «Vere o no Vere». Siamo sicuri che le piacerà anche perché oltre che leggere, potrà ascoltare le radioscene nella nostra parlata, registrate sui 3 CD. Siamo molto felici che lei apprezzi il nostro lavoro. Lo facciamo, in particolar modo, per i nostri concittadini che sono lontani. Grazie di tutto, anche della generosa offerta che ci è arrivata.
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Greci (Romania) novembre 2002
Gentile Redazione, mando questo materiale e spero vada bene. Chiedo scusa per il ritardo dovuto a seri motivi. Vi prego, se è possibile, trasmettere ringraziamenti per la loro gentilezza e generosità alle famiglie Zambon – Ugo, Mauro, Paolo, Dosolina – a don Adel e a tutti coloro che ho conosciuto a Dardago, e al prof. Mario Cosmo. Auguro a tutti tanta salute e felicità. Ogni bene per l’anno nuovo e Buon Natale! Affettuosamente saluti con viva simpatia! CELLIA ONTELUS BORO
Gentile Signora Cellia, siamo lieti di avere ricevuto i suoi scritti e le splendide fotografie che vedrà pubblicate in questo stesso numero. Ricambiamo cordiali auguri di Buon Natale e sereno 2003.
Siamo lieti di sentirci presenti nella sua famiglia; con le sue gentili parole ci invita a proseguire il cammino: non possiamo deludere né lei né Simone, nostro futuro lettore.
Mestre, 19 novembre 2002
Spett. Redazione, Vi comunico il conseguimento della laurea (108/110) per Infermiere di Pietro Zambon, Mestre. Non avevo comunicato precedentemente del conseguimento della licenza media superiore di Giovanni Zambon, maturità scientifica (100/100). Mi prendo in anticipo annunciando il 25° di matrimonio, Gino Zambon e Lucia Pistellato, del 11 Marzo 2003. Invierò una foto della famiglia. Continuate così, cordiali saluti anche dal nonno Mario Zambon Pinal. Buone feste natalizie. GINO
Caro Gino, abbiamo inserito nella apposita rubrica i dati dei risultati scolastici dei suoi figli. Attendiamo la foto della festa per i vostri 25 anni di matrimonio. Ricambiamo gli auguri a tutta la famiglia e anche a nonno Mario. Mestre, 5 novembre 2002
Spett. Redazione de l’Artugna, aspetto con ansia, come sempre, il prossimo numero de l’Artugna perché ho fatto inserire il nome del mio nipotino Simone De Poli, figlio di Alessandro e Marta Villanti nato il 5 agosto 2002, a Mestre. Conservo la raccolta con affetto e cura perché ogni tanto sfogliando le migliaia di pagine, i miei ricordi non sbiadiscano ma restano vivi attraverso le fotografie, gli avvenimenti, i racconti e le storie delle origini; quindi anche Simone farà parte dei lettori de l’Artugna perché, come si legge sul n. 1 di trenta anni fa, vi è scritto che non deve essere un «giornale» per pochi. Ringrazio tutti i collaboratori che dedicano il loro tempo per tenere accesa una piccola luce per tutti i paesani sparsi nel mondo. Saluto e auguro Buon Natale e Buon Anno Nuovo a tutti. SILVANA ZAMBON
Jony-aux-Arches-France
Spett. Redazione, un contributo per il nostro giornale, l’Artugna. Congratulazioni a tutti coloro che collaborano alla realizzazione di questo bel periodico, che leggo sempre con piacere e curiosità. Aggiungo questa vecchia foto scattata davanti la casa del nonno Osvaldo Basso, adesso via Pedemontana, io non ci sono e nemmeno il nonno, però c’è suo fratello Piero e parte delle nostre famiglie, zii e cugini. Cordiali saluti a tutti. MICHELE BASSO
Grazie, caro Michele, per i complimenti e per la significativa fotografia della sua famiglia. La può ammirare nella rubrica «’N te la vetrina».
Dalla missione di San Carlos in Bolivia
DAI CONTI CORRENTI Per l’Artugna, il filo che ci tiene uniti al nostro paese d’origine. Saluti. FAM. ANTONIO BASTIANELLO – MILANO
* Ho visto la foto dei miei nonni Busetti sul n. 96. Che piacere! Grazie. LAURA TRADATI – MILANO
* Quando arriva l’Artugna porta aria della mia terra. Cordiali saluti.
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In occasione della festa dell’Assunta 2001 con il mercatino di prodotti dell’artigianato boliviano e con libere offerte abbiamo raccolto 1.400.000 lire che sono state inviate alla missione salesiana di San Carlos in Bolivia a sostegno delle opere di carità che la missione salesiana svolge in quella zona. Parte del denaro è stato devoluto al centro del bambino denutrito, parte per la costruzione di un pozzo. Come documentato dalla foto n.1, l’acqua veniva tirata su a mano, con il nostro aiuto è stato fatto un pozzo più profondo e dotato di una pompa: nella foto n. 2, vediamo la nonna con i suoi nipoti che contentissimi ci ringraziano. Il pozzo serve una piccola comunità che vive all’interno della foresta. Ora padre Dario, direttore della missione, ci chiede ancora un aiuto per la costruzione di un altro pozzo. Io ritorno nella missione di San Carlos l’8 gennaio 2003: chi volesse dare un contributo per l’esecuzione di un nuovo pozzo e per il centro del bambino denutrito lo può dare a me Pietro Janna, (via Rui de Col, 18 – 33070 Dardago, tel. 338.6707619). Approfitto per ringraziare a nome del gruppo «amici» della Bolivia, tutti coloro che con le adozioni a distanza e in qualsiasi modo aiutano i missionari nella loro opera. PIETRO JANNA
GIORGIO PUSIOL – LUGANO A sinistra. Prima della costruzione del pozzo.
* Sempre con interesse e gioia leggo il vostro periodico. Auguri di buona continuazione. LINA PUSIOL – SANTA LUCIA
* Vi ringrazio per la Vostra preziosa opera. PIETRO COVRE – TRIESTE
* Grazie per l’Artugna sempre gradita. GABRIELLA E SILVIA KLINGER – USA
* Vi ricordiamo la nostra cara defunta Luisa Maestri. Tanti complimenti a tutta la Redazione. Buon lavoro. VINCENZO E PINA BURIGANA
* Grazie per l’Artugna e cordiali saluti a tutti. VERA ZAMBON DE ROBERTIS
ERRATA CORRIGE Nel numero precedente, nella rubrica «Avvenimenti» tra le nascite è stato erroneamente inserito il nominativo Matilde Zambon, anziché Matilde Vettor di Paolo e Monique Zambon – Venezia (7.1.2002).
In basso. Il pozzo dotato di pompa meccanica.
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Bilancio e Auguri
Programma
Bilancio
Programma religioso natalizio
Situazione economica del periodico l’Artugna
MARTEDI 24 DICEMBRE 2002
Periodico n. 96
entrateuscite
Costo per la realizzazione + sito Web
• Santa Messa a San Tomè • Santa Messa della Natività
BUDOIA
DARDAGO
ore
ore 20.30 23.45ore 24.00
ore ore
10.00ore 11.00 18.00 –
ore
10.00ore 11.00
ore ore
10.00ore 11.00 18.00
ore
17.00ore 18.00
ore
11.00ore 18.00
ore
10.00ore 11.00
ore ore
18.00ore 17.00 20.30ore 20.30
ore ore ore
10.00ore 11.00 15.30ore 14.30 18.00 –
MERCOLEDI 25 DICEMBRE 2002 · SANTO NATALE 3632,00
Spedizioni e varie
331,67
Entrate dal 14/07/2002 al 4/12/2002
3517,49
Totale
3517,493 9 6 3 , 6 7
• Santa Messa solenne • Santa Messa vespertina GIOVEDI 26 DICEMBRE 2002 • Santa Messa DOMENICA 29 DICEMBRE 2002 • Santa Messa • Santa Messa vespertina
A tutti i lettori e amici de l’Artugna un augurio di lieto e «vero» Santo Natale
MARTEDI 31 DICEMBRE 2002 • Santa Messa e canto del TE DEUM di ringraziamento MERCOLEDI 1° GENNAIO 2003 • Santa Messa solenne e canto del VENI CREATOR SPIRITUS DOMENICA 5 GENNAIO 2003 • Santa Messa • Santa Messa vespertina e benedizione acqua, sale e frutta • Accensione dei Panevin LUNEDI 6 GENNAIO 2003 • Santa Messa solenne • Benedizione dei bambini • Santa Messa vespertina CONFESSIONI Sabato 21 dicembre, durante il catechismo, per i bambini Lunedi 23 dicembre ore 16.00/17.00 Martedi 24 dicembre ore 16.30/18.30
ore14.30/15.30 ore18.30/20.00
Prepariamoci al Grande Giorno della nostra salvezza, accogliendo il Salvatore, nato dalla Vergine Maria; raccomando la confessione e la santa Comunione per vivere intensamente la venuta di Cristo sulla terra. A lui, principio e fine di tutte le cose, la gioia, l’onore e la potenza nei secoli. Il Parroco DON ADEL NASR
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Avvenimenti
Nascite
Matrimoni
Benvenuti! Abbiamo suonato le campane per l’arrivo di:
Hanno unito il loro amore: felicitazioni a…
Matteo Zambon di Marco ed Erika Magliaro – Trieste Lida Angeli di Giordano e Monica Zambon – Trento Simone De Poli di Alessandro e Marta Villanti – Mestre/Ve Chiara Michelazzi di Danilo e Tiziana Bocus – Milano Elia Zanolin di Michele e Stefania Zucchet – Dardago Alessio Filippozzi di Mario e Patrizia Galli – Codogno/Mi Yoann Da Ros di Thierry e di Laurence Chasson – Grandrien/Francia Christopher Baller di Craig Douglas e Gloria Bonassi – S. Lucia Elisa Ceschin di Fabrizio e Patrizia Decaro – Budoia Dania Elena Bulboaca di Ionel e Daniela Bulboaca – S. Lucia Marco Della Putta di Antonio e Michela Barraco – Dardago Andrea Puppin di Luigi e Eliana Gobbato – Dardago Andrea Basaldella di Ivan e Susanna Fabbro – Budoia Giada Malisan di Gianluca e Franca Sartor – Santa Lucia Cristiano Masutti di Eric e Natalia Gafton – Dardago Emilia Sandrin di Alberto e Eugenia Presot – Budoia
Manuela Vignola con Daniele Zambon – Venezia Monica Zambon con Giordano Angeli – Trento Antonella Zambon con Luca Zambon – Dardago Silvia Zoni con Emiliano Lorenzini – Milano Chiara De Robertis con Marco Sogne – Vimodrone/Mi Susanna Coassin con Stefano Franceschi – Budoia Tetyana Konko con Vittorio Sarri – Santa Lucia
Lauree e diplomi
Defunti
Complimenti...
Riposano nella pace di Cristo: condoglianze ai famigliari di…
Lauree Federica Quaia – Laurea in Giurisprudenza – San Giovanni di Polcenigo Marco Bonneau Saler – Laurea in Disegno Industriale – Santa Lucia Pietro Zambon – Infermiere – Mestre/Ve Tiziana Bastianello – Laurea in Economia e Commercio – Dardago Valentina Janna – Laurea in Architettura – Dardago Licenza Media Superiore Giovanni Zambon – Maturità Scientifica – Mestre
I nominativi pubblicati sono pervenuti in Redazione entro il 12 dicembre 2002. Chi desidera usufruire di questa rubrica è invitato a comunicare i dati almeno venti giorni prima dell’uscita del periodico.
Nozze d’argento Nicoletta Zambon con Giancarlo Bastianello – Dardago Nozze d’oro Antonietta Bocus con Fortunato Zambon – Dardago 55 anni di matrimonio Vittoria Santin con Agostino Vettor – Dardago Maria Janna con Guerrino Bocus – Dardago
Agostino Zambon di anni 85 – Milano Luisa Maestri di anni 60 – New York/U.S.A./Budoia Gianni Lanzi di anni 74 – Cologno Monzese/Mi Elia Zanolin – Dardago Caterina Del Maschio di anni 90 – Padova/Budoia Edoardo Del Maschio di anni 88 – Budoia Emilia Teresa Mariggia di anni 88 – Santa Lucia Ida Ianna di anni 84 – Ancona Elena Cancian di anni 84 – Santa Lucia Ugo Fort di anni 74 – Bassano del Grappa /Santa Lucia Silvio Fort di anni 69 – Bassano del Grappa Vincenzo Besa di anni 86 – Santa Lucia Regina Maria De Chiara di anni 86 – Dardago Norma Burigana di anni 92 – Budoia Umberto Sanson di anni 86 – Budoia Licia Calessini di anni 82 – Milano Giuditta Mellina di anni 96 – Dardago Vanda Zorzetto di anni 70 – Dardago Paola Busetto di anni 64 – Villotta di Aviano Egidio Peretto di anni 76 – Biella Albino Bortolini di anni 79 – Dardago Guerrino Zambon di anni 87 – Dardago Luigia Rosa Tessara di anni 85 – Dardago Franco Bocus di anni 59 – Marsure Antonia Fort di anni 89 – Santa Lucia Ester Zambon di anni 90 – Dardago Maria Carlon di anni 68 – Milano /Budoia Angelo Zambon di anni 78 – Budoia Giovanna Zambon di anni 90 – Sacile Enrica Meroni di anni 81 – Budoia Agostino Angelin di anni 85 – Budoia
IMPORTANTE Giungono talvolta lamentele per omissioni di nominativi nella rubrica Avvenimenti. Ricordiamo che la nostra fonte di informazioni sono i registri dell’Anagrafe comunale. Pertanto, chi è interessato a pubblicare nominativi relativi ad avvenimenti fuori Comune o relativi a particolari ricorrenze (nascite, nozze d’argento, d’oro, risultati scolastici, ecc.) è pregato di comunicarli alla Redazione.
L’albero di cachi * * * Il cachi (o kaki) è un albero di origine giapponese, sconosciuto in vari Paesi, specialmente in quelli continentali e nordici. I fiori, caratteristici per la corolla verdastra a quattro lobi, si formano sui germogli dell’anno; la fioritura è relativamente tardiva (maggio) e sfugge spesso alle gelate; ma la specie, di per sé, è alquanto sensibile al freddo. L'obiettivo di Antonietta Torchietti ha colto un cachi «in veste invernale» a Budoia.