Periodico della Comunità di Dardago · Budoia · Santa Lucia
Spedizione in abbonamento postale art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone.
Anno XXXVIII · Dicembre 2009 · Numero 118
Grazie, don Alfredo! L’economia forestale a Budoia, un tempo e oggi
È vivo... ritornerà! La piazza e la parola
di Roberto Zambon
[ l’editoriale ]
Sempre più vicini ai nostri lettori Sicuramente uno degli strumenti che caratterizzano questo periodo è Internet che permette la diffusione in ogni angolo del mondo di notizie, idee e commenti in tempo reale. Il nostro periodico, già da anni, si è dotato di un sito Internet, www.naonis.com/artugna, in cui vengono presentate le nostre pubblicazioni. Ultimamente sta affermandosi un tipo di sito, più informale, in cui le notizie possono essere inserite in modo semplice e veloce e in cui ognuno può commentare ed esprimere la propria opinione su quanto pubblicato: è il blog. Per un periodico come l’Artugna, di cui la maggior parte dei lettori vivono in molte regioni italiane e in diversi paesi esteri, e che esce solo tre volte l’anno, è molto interessante avere uno strumento che possa permettere un riscontro immediato del grado di interesse di quanto viene pubblicato. Per tale motivo la redazione ha ri-
tenuto utile creare il blog de l’Artugna a cui si accede con l’indirizzo artugna.blogspot.com. In questo spazio viene inserito, per ogni numero del periodico, un piccolo sommario degli articoli e i lettori hanno la possibilità di scrivere i loro commenti, le loro idee, riflessioni oppure suggerimenti e proposte. Il blog de l’Artugna può diventare, quindi, un punto di incontro tra la redazione e i lettori e, naturalmente, dei lettori tra di loro. Verranno inserite anche le recensioni delle altre realizzazioni editoriali che periodicamente vengono da noi realizzate e tutte le altre notizie che riguardano la vita e l’attività del periodico. È un esperimento. All’inizio il blog potrà sembrare scarno, ma con l’inserimento di nuovi argomenti e, ci auguriamo, con gli interventi dei lettori, esso potrà diventare uno strumento vivace e interessante. E, ci auguriamo, un modo per essere sempre più vicini ai nostri lettori.
la lettera del
Plevàn «Glorioso e potente Signore che alterni i ritmi del tempo, irradi di luce il mattino e accendi di fuoco il meriggio... Dinnanzi alla Sua gloria anche il sole si oscura, risplende la Sua grazia nell’intimo dei cuori». [dall’Inno dell’Ora Media]
Fratelli e sorelle, con due frasi tratte dal Breviario, che scandisce la quotidiana preghiera di noi sacerdoti, porto alla vostra attenzione, con questo augurio natalizio, l’importanza della grazia di Dio, apportatrice di salvezza, (San Paolo a Tito) che ci viene donata con la nascita di Gesù. In questo Anno Sacerdotale che Papa Benedetto XVI ha indetto, non solo per noi preti, ma per tutti, perché tutti formiamo un solo cor2
po, la Chiesa, viene sottolineata l’importanza delle stato di grazia, l’essere in pace con Dio, il sentire, attraverso il Sacramento della Riconciliazione (Confessione) che la pace interiore è sinonimo di pace con il creato. Il Natale non è soltanto il ricordo della nascita di Gesù nella grotta di Betlemme, oltre duemila anni fa, è anche un evento che si ripete oggi, non più in una grotta ma nel nostro cuore. È infatti il cuore di
ogni uomo la culla dove la Vergine Maria desidera deporre il Bambino Gesù. Noi celebreremo davvero il Natale, se avremo preparato la culla del nostro cuore. Senza questo impegno invano avremo elaborato il Presepio o addobbato l’albero e anche lo scambio degli auguri e dei regali rischierebbe di trasformarsi in un rito vuoto e senza anima. Come preparare la culla del cuore? Innanzi tutto purificandolo. La Confessione natalizia è un grande momento di grazia perché ci riconcilia con Dio e ci ricolma di gioia e di pace, quella cantata dagli Angeli nel momento in cui prese carne il Figlio primogenito del Padre. Con il cuore così predisposto, saremo pronti a guardare negli occhi il nostro prossimo, incominciando dai nostri familiari, vedendo in loro la presenza di Gesù. Allora ci renderemo conto della grazia che Dio ci fa mettendoci accanto delle persone da amare e alle quali fare il dono del nostro cuore. In questo Natale e nel Nuovo Anno che il Signore vorrà concederci, lasciamo un po’ di spazio alla preghiera personale e alla riflessione. Entriamo in Chiesa per lodare Dio e riflettiamo sul nostro stato d’animo, sulle nostre miserie, sulle nostre necessità, sui nostri bisogni quotidiani, sulle nostre gioie. Sentiremo nel nostro intimo che siamo ascoltati e amati dal Padre. Quando usciremo, ci sentiremo meno soli, con il cuore libero e disponibile verso gli altri, pronti a testimoniare l’amore di Dio e amare di più il prossimo. Sull’orizzonte del mondo si addensano ancora nubi di guerra, di miseria, di distruzione della vita, di egoismo, di ingiustizia. Nell’Assemblea della FAO, anche quest’anno i potenti del mondo hanno soltanto parlato a vuoto,
Gerard David, La Natività, olio su tela, 1510-15.
ma nel loro cuore freddo e insensibile, prima che nella statistica, rimane lo spettro degli oltre 17.000 bambini che muoiono ogni giorno di fame. Che avvilente realtà! Non è questo il progetto di Dio. Noi abbiamo un compito preciso, invertire la tendenza di questa tragedia, con la testimonianza, senza aver paura. È questo il regalo che dobbiamo fare nel giorno benedetto in cui la Vergine Maria ci ha donato il Salvatore, il Cristo, Sole di Giusti3
zia: un cuore natalizio umile, sincero, buono, aperto, cordiale e disponibile. E con tutto il cuore, voglio augurarvi, anche a nome di don Angelo, di Padre Egidio, dei fratelli don Antonio e don Stanislao che le feste natalizie e l’anno 2010, portino a tutte le nostre famiglie, alle nostre comunità, al mondo, ogni desiderato bene. VOSTRO DON ADEL
NASCITE
[ la ruota della vita]
Benvenuti! Abbiamo suonato le campane per l’arrivo di... Azzurra Tea Sinesi di Michele e Tiziana Bertolini – Cordenons Karim Leo Fakih di Ali e Annalisa Quaia – Trieste Alessandro Sottana di Simone e Barbara Ardemagni – Signoressa (Tv) David Zanussi di Roberto e di Eleonora Compare – Bracciano (Roma) Nicola Puiatti di Armando e di Erica Gandin – Budoia Nicoletta Pozzali di Sergio e di Elena – Trieste Maya Zambon di Massimiliano e Vera Disarò – Dardago Nicolò Terruzzi di Paolo e Valentina Janna – Milano Angelica Esposito di Luigi e Paola Gislon – Budoia Mario Brunetti di Christopher e Kristin Fischer – Budoia Aurora De Nardo di Paolo e Paola Cescutti – Budoia Samuele Modolo di Claudio e Susanna Donadel – Budoia Bianca Bocus di Gianandrea e Raffaella Pozzi – Brugherio (Monza Brianza) Elisa Pulcini di Terenzio e Lorena Zambon – Praturlone (Pn) Andrea Savio di Sandro e Leonia Sgnaolin – Venezia Ginevra Muzzin di Mauro e Federica De Franceschi – Porcia (Pn) Annaïs Bocus di Giuliano e Estelle Ledrappier – Dardago
M AT R I M O N I Hanno unito il loro amore. Felicitazioni a... Tiziana Bufacchi con Francesco Busetti – Dardago – Perth Irene Messina con Maurizio Vettor – Monza 25° di matrimonio Letizia Cattaruzza e Luigi Usardi – Dardago 50° di matrimonio Iride Ariet e Giuseppe Lachin – Budoia 60° di matrimonio Tina Lachin e Mario Ponte – Santa Lucia
L A U R E E , D I P LO M I Complimenti! Lauree Giorgio Zambon – Laurea in Lettere moderne – Dardago Sara Zambon – Laurea specialistica in Ingegneria Informatica – Dardago Edoardo Bastianello – Laurea specialistica in Architettura – Dardago
DEFUNTI Riposano nella pace di Cristo. Condoglianze ai famigliari di…
IMPORTANTE Per ragioni legate alla normativa sulla privacy, non è più possibile avere dagli uffici comunali i dati relativi al movimento demografico del comune (nati, morti, matrimoni). Pertanto, i nominativi che appaiono su questa rubrica sono solo quelli che ci sono stati comunicati dagli interessati o da loro parenti, oppure di cui siamo venuti a conoscenza pubblicamente. Naturalmente l’elenco sarà incompleto. Ci scusiamo con i lettori. Chi desidera usufruire di questa rubrica è invitato a comunicare i dati almeno venti giorni prima dell’uscita del periodico.
Iria Ricchieri di anni 88 – Santa Lucia Fortunato Zambon di anni 86 – Dardago Savino Zambon di anni 79 – Dardago Angela Bocus di anni 87 – Dardago Bernardo Vincenzini di anni 67 – Budoia Giuseppina Sanson di anni 95 – Budoia Giuseppe Zambon di anni 72 – Dardago Remo Carlon di anni 53 – Budoia Luigi Ianna di anni 65 – Milano Rita Zambon di anni 57 – Torino Francesco Madormo di anni 67 – Tarsia (Cs) Ermelina Bocus di anni 90 – Dardago Marcello Zambon Pinàl di anni 84 – Torino Don Alfredo Pasut di anni 95 – Budoia Erica Cauz di anni 63 – Dardago Licia Travanut di anni 69 – Budoia Elia Zambon di anni 76 – Dardago Marcellina Angelin di anni 81 – Agordo Francesco Romano di anni 78 – Budoia Angela Carlon di anni 89 – Budoia Marino Janna di anni 74 – Brugherio (Monza Brianza) Silvano Giaretta di anni 75 – Dardago Girolamo Momi Zambon Pinàl di anni 89 – Torino Italia Turrin di anni 81 – Budoia Maria Janna Geromin di anni 85 – Milano Luigi Zambon di anni 79 – Londra Wilgeforte Bastianello di anni 101 – Venezia Lino Poletto di anni 87 – Budoia Maria Zambon Glir di anni 91 – Padova
In copertina. Una stella nel cielo. Una stella che ancor oggi ci parla di buona volontà, di solidarietà, di pace.
Periodico della Comunità di Dardago, Budoia e Santa Lucia
Una stella che ancor oggi ci guida alla fonte dell’amore e della vita. Una stella che ancor oggi ci dona la sua luce per illuminare il nostro cammino.
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Sempre più vicini ai nostri lettori di Roberto Zambon La lettera del Plevàn di don Adel Nasr
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La ruota della vita
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Grazie, don Alfredo! di Mario Povoledo
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La piazza e la parola di Fabrizio Fucile
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Pagina delle Associazioni Collis Chorus di Roberto Cauz
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Pro Loco Budoia di Mario Povoledo
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Lasciano un grande vuoto...
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Cronaca
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Inno alla vita
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I ne à scrit Bilancio
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Programma religioso Auguri
L’economia forestale a Budoia di Mauro Zambon
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Direzione, Redazione, Amministrazione tel. 0434.654033 · C.C.P. 11716594 Internet www.naonis.com/artugna http://artugna.blogspot.com www.artugna.it e-mail l.artugna@naonis.com Direttore responsabile Roberto Zambon · tel. 0434.654616 Per la redazione Vittorina Carlon
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Impaginazione Vittorio Janna Contributi fotografici Archivio de l’Artugna, Vittorina Carlon, Vittorio Janna, Antonietta Torchetti, Vittorio Vuerich, Massimo Zardo, www.artugna.it
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Procerus gigas, un gigante nel Vallone di San Tomè di Osvaldo Puppin I cippi storici nel Cansiglio Orientale di Mario Cosmo Sót ’l balèr a cura della Redazione
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Ricordo di Cornelio di Vittorio Janna Tavàn
Spedizione Francesca Fort
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Ed inoltre hanno collaborato Adelaide Bastianello, Francesca Janna, Espedito Zambon, Marta Zambon
È volata in cielo a cura di Vittorina Carlon
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È vivo... ritornerà! di Tina Ponte
Stampa Arti Grafiche Risma · Roveredo in Piano/Pn
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Piccola cronaca di un lontano passato di Domenico Diana
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La carità non avrà mai fine di Stefania Gioia Wiley
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I Cosmo, settant’anni di attività di Mario Povoledo
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Veri campioni di Alessandro Fontana
Autorizzazione del Tribunale di Pordenone n. 89 del 13 aprile 1973 Spedizione in abbonamento postale. Art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone. Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione di qualsiasi parte del periodico, foto incluse, senza il consenso scritto della redazione, degli autori e dei proprietari del materiale iconografico.
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e inoltre... Albero genealogico I Carlon Ros, il ramo de Gigi a cura di Vittorina Carlon, con la collaborazione di Redento Carlon, Ennio Carlon, Tranquilla Battistuzzi, Luciano Angelin e Reddi Fort.
Don Alfredo Pasut, parroco emerito di Budoia per oltre cinquant’anni, ha lasciato la vita terrena: un’esistenza dedicata generosamente alle anime della sua parrocchia.
L’intero paese ha partecipato commosso alle esequie, insieme ai famigliari del defunto e ai fedeli delle parrocchie in cui Egli fu pastore.
Giovedì 10 settembre, presso l’Ospedale di San Vito al Tagliamento, si è spento don Alfredo Pasut, nostro parroco emerito, alla veneranda età di 95 anni, dopo breve ricovero, per un ictus cerebrale, sopraggiunto improvviso domenica 6 settembre. Ci ha lasciati in punta di piedi, quasi senza voler disturbare, confortato dalla preghiera dei familiari, in particolare del nipote sacerdote, don Matteo Pasut, degli amici, degli Ospiti della Casa di Riposo del Clero, ove dimorava dal 2001, e della Sua Budoia, amata sin dal primo istante dell’ingresso da parroco nel 1946. Alle ore 9, i mesti rintocchi della campana da morto, seguita da uno scampanio in terzo, annunciavano il pio transito. Dal segnale, la popolazione aveva capito che il loro Parroco emerito non c’era più. E subito si è fatto grande il cordoglio per la dipartita. Presi gli opportuni accordi con i nipoti e la Curia Vescovile, si è subito mossa la macchina organizzativa per le esequie. Accanto
all’annuncio della Curia, la parrocchia ha voluto fare una sua epigrafe, per ringraziare il parroco defunto del servizio svolto ininterrottamente per dieci lustri. Venerdì 11 alle 18.30, la veglia con il santo rosario, preghiera particolarmente cara a don Alfredo, presieduta da don Adel assieme a don Matteo e don Antonio Prikulis, sacerdote lettone, studente al Marcianum a Venezia. Sabato 12 alle ore 9.15, la salma del venerato defunto, dopo la benedizione impartita dal nipote don Matteo, è stata attesa in via Stefani, da don Adel e dai fratelli sacerdoti lettoni, don Stanislao e don Antonio Prikulis, nello stesso punto ove fu ricevuto il giorno dell’ingresso a parroco, ed accompagnata al suono della campana dei defunti sino alla chiesa parrocchiale, accolta dalle note dell’organo e dai numerosi fedeli già presenti. Giunta la salma ai piedi dell’altare, don Adel ha appoggiato sulla bara le insegne sacerdotali: la stola e il Libro dei Vangeli.
Grazie, don Alfredo! di Mario Povoledo
In alto. Agosto 2004, don Alfredo con il sacrestano Elio Carlon, in occasione del suo compleanno. Nella pagina accanto. L’arrivo della salma a Budoia (Alle Crositole) e benedizione del feretro. Il Vescovo, monsignor Ovidio Poletto, presiede la concelebrazione. Il Vescovo, tra il parroco don Adel e il nipote di don Alfredo, don Matteo Pasut.
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Monsignor Ovidio Poletto, nostro Vescovo, con una quarantina di sacerdoti, ha presieduto la concelebrazione, accompagnata dal coro parrocchiale diretto da Claudio Sottile, che ha eseguito la Messa di requiem in gregoriano. All’organo sedeva Fabrizio Zambon di Dardago. Presenziavano il vice Sindaco di Budoia, Pietro Ianna, con il gonfalone del Comune e l’omologo di Porcia, il
Comandante della Stazione Carabinieri di Polcenigo, m.llo Claudio Zambon, la rappresentanza degli Alpini con gagliardetto, retto dal Capo Gruppo Mario Andreazza, e i vessilli della Sezione AFDS Budoia-Santa Lucia, retto dal presidente Piero Zambon, e del Gruppo Folkloristico Artugna, con il vice presidente Sante Ugo Janna. Al termine del rito, dopo il ringraziamento di don Adel, de-
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poste le insegne sacerdotali, la salma, portata all’esterno a braccia da sei sacerdoti, è stata accompagnata al camposanto di Budoia ove riposerà nella cripta della cappella del cimitero, accanto a mons. Aurelio Signora. Il lungo corteo di fedeli era preceduto da don Adel, don Matteo e don Maurizio Busetti. A cura della parrocchia è stato subito presentato il santino ricordo, con il curriculum breve, ma intenso di don Alfredo. Prima della tumulazione, ha preso la parola il professor Fernando Del Maschio che non ha fatto l’elogio funebre ma ha ricordato, con alcuni flash, il percorso di don Alfredo a Budoia. Domenica 20, nel settimo di morte, è stata officiata la Santa Messa dal nipote don Matteo, che ha ringraziato la comunità di Budoia della solenne accoglienza tributata allo zio defunto. Quindi, il 12 ottobre, a cura della Forania di Aviano, i sacerdoti con altri amici dello scomparso hanno ricordato don Alfredo nel trigesimo della dipartita. Una lapide posta alla destra della cappella del cimitero ricorda il parroco don Alfredo che attenderà la Risurrezione dei giusti nel nostro camposanto, ove ha accompagnato nel corso dei suoi cinquant’anni di servizio pastorale tutti i nostri defunti. Restano ai posteri due segni del suo operato: sul pavimento della navata il nome del parroco don Alfredo, dopo un restauro effettuato durante l’Anno Santo del 1950, e l’imponente costruzione della Casa della Gioventù, eretta senza chiedere una lira alla nostra gente. Di questo don Alfredo andava fiero, ma non disdegnò le numerose e spontanee offerte ricevute. *** Le varie testimonianze verranno raccolte in una pubblicazione per dire grazie al nostro parroco emerito, ricordato come un sacerdote accogliente, generoso e dal grande cuore.
di Fabrizio Fucile
la piazza e la parola Il cammino degli uomini che cercano il confronto nella storia di una piazza qualunque.
In alto. Cartolina d’epoca degli anni ’50. Nella pagina accanto. Particolare del Monumento ai Caduti.
C i avevano messo un bel po’ di anni e di fatica quelli di Santa Lucia per trasformare la disabitata e solitaria Crosera nella piazza intitolata a San Giuseppe. Alla fine del Settecento con una supplica al serenissimo doge di Venezia avevano chiesto la possibilità di demolire la chiesa sul colle e ricostruirla in piano, avvertendo il bisogno di dare al paese un appropriato e comodo luogo di incontro religioso, sociale e civile. Quando alla metà del secolo successivo rinunciarono al trasporto dando inizio ad una nuova fabbrica, la manciata di case fino ad allora raccolte nei nuclei abitativi delle varie famiglie, cominciarono a far corona attorno all’edificio sacro, alla scuola e alla filanda Besa, segno dei nuovi tempi ed emula di una elementare industrializzazione incipiente. Era stata sicuramente la necessità dell’esercizio della parola intesa come dialogo costruttivo – una sorta di moderno umanesimo – che aveva spinto gli abitanti della piccola villa, polis in miniatura, a cercare uno spazio dove fosse possibile incontrarsi. Non 8
un agone per la diatriba delle idee, ma un asilo del confronto, per pesare e vagliare al setaccio le diverse posizioni e convinzioni, nella mitezza, affinché la diversità potesse stemperarsi in decisioni per il bene comune. Persone che credevano nell’ascolto e nello sforzo di aprirsi all’altro. Col passare degli anni anche il centro commerciale prima ubicato nel cortile dei Mandolin, aveva
optato per una offerta differenziata nella bottega de Stromboli e in quella dei Bof. I servizi prima decentralizzati avevano dunque ceduto oneri e onori alla nuova piazza, più tardi arricchita dal monumento, memoria e riconoscenza storica per i caduti della prima grande guerra combattuta dall’Italia unita. Quella che era già una realtà comunitaria per fede, usi e abitudini, aveva individuato l’epicentro fisico e architettonico per lo scambio e lo sviluppo delle iniziative comuni. Era avvenuta in sostanza una conversione dal privato al pubblico. Era stata vinta la paura che ispira atteggiamenti di chiusura in difesa di una identità esclusiva. Si era rinunciato a coltivare un piccolo orto dove maturano frutti creduti agli altri sconosciuti o di migliore pregio. Avevano capito che l’identità acquisita non è un valore che rimane stabile nel tempo, capace di garantire sicurezza perpetua. È piuttosto nell’apertura e nell’incontro con altri che si costruisce la ricchezza di un paese e la salvezza di un popolo.
La prima metà del Novecento vede il pieno sviluppo della funzione pubblica di Piazza San Giuseppe, con l’aggiunta dell’ufficio postale e – poco discosti – del forno e della latteria sociale. Qui si sono vissuti in allegria affollati giorni di festa; qui una televisione posizionata su una finestra dell’osteria Lachin ha impartito pubbliche lezioni di italiano, le prime per alcuni; i ragazzi hanno fatto le ore piccole, estate e inverno, seduti sulla panchina accanto al monumento, loro feudo per giochi e primi amori. Il tramonto del secolo ha portato con sè il calo demografico, l’emigrazione, la riduzione dei servizi ed il risparmio delle risorse, una nuova concezione del commercio. A poco a poco un cammino inverso ha visto chiudere la scuola, le botteghe, l’ufficio postale, e ha visto la piazza spopolarsi. Accanto a questa naturale emorragia, le è stata inferta la ferita dell’anonimato; toltole il nome, è stata ridotta a parcheggio per auto, depauperata di una dignità che le è propria e le era sta-
ta garantita dalla ricchezza e nobiltà della parola. La parola è il supremo momento dell’incontro, l’eccellenza della dialettica. Dobbiamo fare attenzione ed evitare l’abuso di nuovi mezzi e possibilità di confronto che esulino dalla parola detta; quella scritta – con buona pace della massima «verba volant, scripta manent» – per la comunione dei cuori ha sicuramente meno forza. La tentazione del virtuale e dell’alternativo è oggi molto forte. Lo leggiamo chiaramente a proposito di una realtà assai vicina: «…sono sempre più rare le occasioni di incontro, di scambio di idee e di ricordi… Allora perché non creare una grande vetrina, uno scaffale pubblico, una bacheca dove ognuno possa esporre le sue idee, annunciare qualcosa, offrire spazi di ricerca e colloquio? Quando eravamo più spesso in piazza o dalla Rossa o da Moreal le idee correvano svelte, ci si vedeva più spesso… Ecco allora che una piazza possiamo trovarla in internet, aperta a tutti, senza limiti di tempo e di spazio» (www.artugna.it). Plauso e incoraggiamento vanno espressi a queste iniziative, ma non assegniamo loro il nome di piazza, non confondiamo diverse dignità. È compito di oggi ritrovare la parola e salvaguardare il luogo ad essa dedicato. In un epoca in cui assistiamo alla difficoltà di ascoltarci reciprocamente, custodiamo con amore lo spazio che i nostri vecchi avevano costruito per il dialogo «un dialogo che non sia il semplice sovrapporsi di due monologhi… con la profonda volontà di capire in profondità anche al di là delle espressioni usate, lo sguardo capace di abbracciare ambiti e periodi storici più ampi del contingente: l’arte del dialogo è ben altra cosa della retorica raffinata» (E. Bianchi, Per un’etica condivisa). Torniamo in piazza, torniamo alla parola.
L’economia forestale a Budoia
un tempo e oggi di Mauro Zambon
Tra le varie iniziative tenutesi nell’ambito della 42a edizione della Festa dei funghi e dell’ambiente di Budoia, il 19 settembre si è svolto il convegno di studio intitolato «I nostri boschi: parliamone». Al convegno, sono intervenuti in qualità di relatori due docenti dell’Università di Udine e uno di quella di Firenze, due funzionari della Regione Friuli Venezia Giulia e un rappresentante dell’Associazione agricoltori – Kmecka zveza – di Cividale del Friuli. I diversi interventi sono stati presentati, moderati e commentati dal dott. Massimo Stroppa, direttore dell’Ispettorato ripartimentale delle foreste di Pordenone. Il convegno si poneva l’obiettivo di gettare le basi per l’avvio, a livello locale, di una discussione riguardante le politiche di gestione del territorio boscato, considerata l’attuale fase di diffuso abbandono in cui esso si trova. Per ricordare quali sono i motivi che stanno alla base di questo abbandono, riportiamo un sunto dell’intervento di Mauro Zambon, nel quale vengono riportate le principali tappe che hanno portato i nostri boschi dall’eccesso di sfruttamento del passato all’attuale fase di disinteresse verso gli stessi.
Descriveremo brevemente come è cambiata l’economia legata al bosco nel territorio pedemontano negli ultimi sessant’anni, cioè dal secondo dopoguerra in avanti. Molte informazioni riportate sono tratte da testimonianze dirette di persone che hanno vissuto sia il contesto socio-economico del passato che i profondi cambiamenti che ne sono seguiti. Negli ultimi cinquanta-sessant’anni l’espansione del bosco su tutto il territorio montano e collinare ha determinato un paesaggio molto diverso da quello del passato. Questo cambiamento lo possiamo percepire più facilmente mettendo a confronto delle immagini del paesaggio attuale con quello di un tempo. Osserviamo una foto risalente ai primi anni del 1900, scattata da Angelo Bernardis, un compaesano a cui fu dedicata una apposita mostra fotografica. Si notano chiaramente il paese di Dardago e le retrostanti montagne, in particolare la Val Granda
Foto dal satellite del nostro territorio, tratto da Google Earth.
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e Brognasa. Rispetto a oggi si nota una grande differenza nell’aspetto del paesaggio. In questa immagine, di bosco ce n’è veramente poco: la sua massima espressione la si nota verso le località di Ligónt e Sant’Agnol, che appaiono comunque spoglie. Per farsi però un’idea di come potesse essere il bosco di allora, si osservi la parte bassa della foto, dove si nota della vegetazione boschiva di dimensioni molto contenute. Possiamo dire che il bosco non era, come invece lo è oggi, la componente preponderante del paesaggio, mentre lo erano le superfici a prato naturale disseminate di rocce affioranti, di sassi in cumuli derivanti dallo spietramento dei fondi (i masaróns) e delimitate spesso da muri a secco di confine (le murade). L’aspetto generale del paesaggio era perciò più aspro di quello attuale, in conseguenza delle pratiche agro-silvo-pastorali che hanno contraddistinto quel periodo e che sono continuate fino ai primi anni del secondo dopoguerra. L’economia locale del passato, fino alla seconda guerra mondiale, era basata quasi esclusivamente sullo sfruttamento delle risorse naturali presenti sul territorio. Si trattava di un’economia di mera sussistenza, che soddisfaceva i bisogni primari delle persone (l’alloggio, il mangiare, il vestire e poco altro). Le attività più diffuse erano quelle di tipo agricolo e zootecnico, senza le specializzazioni che conosciamo oggi. La coltivazione dei fondi e l’allevamento del bestiame (soprattutto ovini, bovini, suini e animali da cortile), assieme alla bachicoltura e al taglio dei boschi, costituivano un variegato insieme di attività presente in quasi tutte le famiglie. Altre attività, di tipo artigianale, erano funzionali e complementari al settore agro-silvo-zootecnico. La necessità di allevare il bestiame e di coltivare i fondi era direttamente legata al doversi rendere il più possibile autosufficienti in fatto di alimentazione e di vestizione (latte, carne, lana,
mais, frumento, segale e altro ancora). Per i bovini serviva principalmente il fieno, motivo per cui lo sfalcio delle superfici prative naturali era diffuso a tappeto su tutto il territorio, dalla pianura fino all’alta montagna. È proprio la pratica dello sfalcio dell’erba, assieme al pascolamento, che ha influenzato l’assetto vegetazionale del passato in tutta la nostra zona, impedendo l’avanzare del bosco e, talvolta, riducendone la superficie. Nella parte più alta delle montagne il territorio era (lo è anche oggi) ripartito tra il bosco e i pascoli delle malghe in maniera ben definita, grazie al regime di proprietà quasi totalmente comunale. In questo contesto il bosco era più tutelato rispetto ai boschi situati alle quote inferiori, tutti di proprietà privata. In questi ultimi, lo sfalcio dell’erba, il pascolamento primaverile e autunnale degli ovini, il prelievo di frasche come foraggio e la raccolta invernale di strame e foglie secche come lettiera per il bestiame erano tutte pratiche che impedivano l’accumulo di fertilità nel terreno, che col tempo si impoveriva. Il bosco era praticamente assente sui terreni poco acclivi dato che erano i più adatti allo sfalcio, era poco presente su quelli pendenti e quindi si trovava per lo più relegato in prossimità degli impluvi e nei luoghi con molta roccia affiorante o comunque di difficile accesso. Oltre alle esigenze di carattere agro-zootecnico, che portavano all’utilizzo dei prati e dei pascoli naturali, si deve aggiungere il fatto che la legna era la principale risorsa energetica presente. Si pensi non tanto al riscaldamento domestico, che era poco diffuso, quanto alla cottura dei cibi e alla trasformazione delle materie prime in prodotti alimentari, come nel caso dei forni per il pane e le latterie. Per gli usi ove la legna si rivelava inadatta (per esempio per le forge artigianali, ma anche per bracieri e ferri da stiro), essa veniva sostituita dal carbone di legna, ottenuto mediante il processo di carbonizzazione. Sempre per ricordare l’importanza della legna nell’economia del passato, è interessante citare lo scambio, cioè il baratto, che era in uso tra legna e cereali, come il mais e il frumento, indispensabili per l’alimentazione umana, che non si riuscivano a produrre in loco nelle quantità necessarie. Era usanza rivolgersi ai paesi
«della bassa», specialmente Fontanafredda, Sacile e dintorni. Là i terreni erano più adatti per i seminativi e le superfici coltivate erano molto ampie, consentendo delle discrete produzioni. All’inizio della seconda guerra mondiale, per un quintale di mais si barattavano sette quintali di legna e per un quintale di frumento ben undici di legna. Verso la fine della guerra il
nei terreni di pianura e della chimica sotto forma di fertilizzanti e fitofarmaci, iniziò per gli agricoltori una minore dipendenza dalle risorse montane, che ebbe come effetto l’abbandono dello sfalcio di diverse superfici prative alle quote più elevate e nelle condizioni più impervie e scomode. Nei decenni che seguirono (anni ’50, ’60 e ’70), l’abbandono delle su-
Dardago con le sue montagne visto dai Coi de Buduoia. Foto di Angelo Bernardis, fotografo vissuto tra l’Ottocento e il Novecento.
rapporto era molto più sfavorevole per la gente di qua: 12 quintali di legna per uno di mais e ben 17 quintali di legna per uno di frumento. Un altro aspetto importante è che il legno locale era molto più di oggi utilizzato nelle costruzioni civili, sotto forma di architravi, travature e tavolame (per solai e tetti), per serramentistica e per svariati altri usi (pali, doghe, utensili di vario genere, manici di attrezzi, ecc.). Ancora oggi molte delle nostre case hanno il tetto costruito con legname di castagno, mentre i classici portoni ad arco, un tempo per lo più di castagno, oggigiorno sono stati rinnovati e ricostruiti con altro legno, chiaramente non più di origine locale. Ricordiamo che il castagno era molto considerato come legno da costruzione, compatibilmente col noto problema della cipollatura (ciastignèr thegolón). Nei primi anni del secondo dopoguerra ebbe inizio la svolta economica: cominciarono i flussi migratori verso molte città italiane e verso l’estero, in cerca di lavoro e di altre opportunità, da parte di numerose persone. Da quel momento in avanti, anche grazie alla comparsa dell’irrigazione 11
perfici prative e pascolive montane proseguì ininterrottamente, tranne che nelle malghe considerate migliori, aprendo una nuova fase ove il bosco tendeva in vario modo a ricomparire. La comparsa della vegetazione boschiva che vediamo oggi fu preceduta da quella cespugliosa, con gran presenza di ginepro e nocciolo. Seguirono quindi le latifoglie rustiche come il carpino nero, l’orniello e la roverella (in certe zone anche la betulla e il pioppo tremulo), che sono le specie che attualmente caratterizzano questi boschi di neo formazione. Durante questa lunga fase di passaggio da prato a bosco, dato che la copertura arborea era discontinua, con la presenza di estese radure con alte erbe e felci, vi fu un periodo caratterizzato da frequenti incendi nel periodo invernale. Ciò nonostante, l’avanzata del nuovo bosco, anche se rallentata, continuò lo stesso. Progressivamente poi, negli anni ’70 e ’80, avvenne un deciso cambiamento nel settore agricolo, con la chiusura di molte stalle e lo spostamento di quelle rimaste dal centro abitato verso nuovi insediamenti periferici. Prese piede anche l’impiego di
trinciato di mais per alimentare il bestiame, svincolando ancora di più gli allevatori dall’utilizzo del fieno. L’agricoltura riuscì perciò a sostenersi utilizzando solamente i terreni di pianura. Si completò così il quadro che ha portato al totale abbandono della pratica dello sfalcio dell’erba non solo in montagna ma, più in generale, laddove non conviene. In questi ultimi decenni abbiamo però visto non soltanto l’affermarsi del bosco di neo formazione sui terreni non più falciati ma anche la crescita dei boschi già esistenti. Il riferimento è ai boschi di faggio che si trovano in quota e anche a quelli più vicini ai nostri paesi, come per esempio Fontana, Le Thénte, Ligónt, eccetera. Mentre per i boschi di faggio di proprietà comunale ci è chiaro il percorso che stanno seguendo, cioè l’avviamento all’alto fusto attraverso dei tagli previsti da una gestione pianificata, per gli altri boschi, di proprietà privata, non è facile prevedere il futuro. Parliamo allora di quest’ultimi. Partiamo da un dato di fatto, che è quello che vede questi boschi non più tagliati come in passato. Intendiamo un passato recente, circa quindiciventi anni fa, rispetto al quale anche i tagli per autoconsumo, che sono sempre stati i più diffusi, sono drasticamente diminuiti. Frequentando i boschi durante il periodo invernale dei tagli, non si sentono più tante motoseghe in funzione. Attualmente molti di noi, pur essendo proprietari di boschi, comperano la legna già pronta, che spesso proviene da lontano. Si potrebbe pensare, con un certo spirito ambientalista: «meno male, così almeno qui da noi la natura è meno contrastata dall’uomo che non altrove». È più probabile invece che ci siano parecchi altri aspetti da valutare prima di considerare positivamente il fenomeno dell’abbandono dei boschi, se così lo possiamo chiamare. Ricordiamoci che il taglio rimane ancora l’azione principale con cui si gestiscono le superfici forestali. Bisogna riconoscere che è in corso un rinselvatichimento progressivo del territorio e questo è più evidente per quanto riguarda i boschi dei neo formazione cresciuti sugli ex prati e pascoli. In aggiunta, va però considerato il progressivo degrado dei boschi già esistenti, quelli più vicini ai paesi. Quest’ultimi infatti, in conseguenza
del loro graduale abbandono, non assicurano una buona fruibilità per quegli usi diversi da quello tradizionale del taglio delle piante. Ci riferiamo agli usi di tipo didattico-naturalistico, di tipo turistico e ricreativo, che sempre di più interessano a molte persone. Nonostante tutto, questi boschi sono abbastanza frequentati, dimostrando quindi di possedere una discreta attrattività. Citiamo in proposito il comprensorio dei Colli di Santa Lucia e del Col Pizzoc, anche se una parte ricade in comune di Polcenigo, e la zona di Ligónt, in questo caso una parte è in comune di Aviano. Nel caso dei Colli di Santa Lucia e del Col Pizzoc siamo in presenza di una vasta area boscata posta a contatto con i paesi su tre lati, con al suo interno dei percorsi che collegano Budoia a Santa Lucia, a San Giovanni di mezzo e a Polcenigo, molto agevoli da percorrere. Nello stesso ambito vi è poi la zona umida di Fontana e Gór, molto conosciuta, discendendo la quale si arriva a Polcenigo. L’area di Ligónt, invece, è posta a nord di Dardago e si trova in un punto centrale, una specie di crocevia che collega la parte più occidentale del territorio di Aviano (Pra de Plana) con la Val de Croda, con l’area attrezzata di Ciàmpore e con i percorsi che portano verso Mezzomonte e verso Budoia. Le due aree anzi descritte sono molto frequentate da appassionati di mountain bike, da escursionisti a cavallo e da molti altri soggetti che evidentemente ne ricavano una gratificazione. Siamo quindi in presenza di boschi che denotano delle potenzialità per alcune funzioni diverse, ma non meno importanti, di quella strettamente produttiva. Per poter garantire una migliore fruibilità, si può ipotizzare di gestire questi boschi in maniera pianificata, cercando di coniugare la funzione produttiva, che andrebbe opportunamente orientata, con le altre esigenze appena illustrate. Potrebbe così svilupparsi una filiera della legna da ardere con possibilità di avere degli scarti per la produzione del cippato da teleriscaldamento (piante storte, ramose, tagli fitosanitari sul castagno, alcuni impianti di conifere da eliminare…). È chiaro che prima di giungere a qualsiasi decisione, si debba conoscere e far conoscere bene la realtà 12
attuale, aprendo un dibattito tra tutti i soggetti interessati (proprietari, amministrazione comunale, associazioni, ecc.) e giungere a una sintesi conclusiva. È importante anche ricordare il ruolo che il Comune può svolgere per promuovere un processo di questo tipo, nell’ambito di una più ampia politica del territorio. Prima di concludere, vediamo un rapido elenco di alcuni problemi attuali che potrebbero trovare qualche risposta attraverso una gestione pianificata di questi boschi più vicini ai paesi: – le strade, gli accessi, i sentieri sempre meno curati e agibili; – lo sviluppo di formazioni vegetali regressive, con specie invasive o infestanti di scarso pregio o addirittura dannose; – le piante schiantate e stroncate dagli eventi atmosferici intensi (sempre più frequenti) che molto spesso rimangono a terra; – nessuna occupazione nel settore boschivo, non ci sono imprese boschive; – ci sono solo pochi utilizzatori privati per autoconsumo; – le utilizzazioni sono sporadiche e talvolta mal condotte; – non c’è più la trasmissione del sapere da una generazione all’altra (le tecniche di taglio); – il ruolo delle aziende agricole in ambito boschivo è quasi irrilevante; – il cippato per teleriscaldamento non è prodotto in loco; – la mancanza della filiera della legna da ardere. Chiudiamo con una riflessione, utile per evidenziare la grande differenza tra l’economia passata e quella recente: abbiamo prima accennato al baratto che era in uso durante la guerra, quando si scambiavano dai 7 ai 12 quintali di legna per uno di mais. Nel 2009, verso la fine di agosto, all’inizio della campagna di raccolta del mais, quando il prezzo era più alto che in seguito, il mais veniva conferito ai centri di raccolta al prezzo di 8 euro/quintale. Sappiamo tutti che la legna da ardere vale come minimo 12 euro/quintale, cioè almeno il 50% in più. Per dirla in altri termini, adesso potremmo barattare 60-70 kg di legna per un quintale di mais. Nonostante questo, la coltivazione del mais continua a essere molto più praticata del taglio del bosco, probabilmente per la maggiore meccanizzazione e semplicità produttiva.
Procerus gigas un gigante
nel Vallone di San Tomè di Osvaldo Puppin
Premessa Cerco di non lasciarmi sfuggire ogni pubblicazione relativa a Budoia, così queste righe hanno avuto origine con la mia richiesta a Vittorina di procurarmi una copia del volume «Il Vallone di San Tomè», copia prontamente omaggiatomi. Se a Vittorina debbo i ringraziamenti, devo qui complimentarmi con l’Associazione Naturalisti di Sacile ed in particolare con Emanuele Campo per la parte micologica e Roberto Pavan per quella botanica che coniugano in modo esemplare gli aspetti scientifici e quelli divulgativi dei funghi e della flora della Val de Croda. Ho trovato invece, con un certo disappunto, non presentati gli aspetti della fauna degli invertebrati. Come lavoro faccio il medico delle piante, oggi più orientato verso le malattie propriamente dette (peronospore, ruggini, oidi, ecc.), ma la mia professione è nata inizialmente come passione per raccogliere e catalogare, fin da quando frequentavo la seconda-terza media, i vari insetti, dannosi ed utili, approdando così all’agronomia (l’attenzione allo sfamare chi è nel bisogno) attraverso le scienze naturali (l’attenzione a nostra madre-natura). Il fatto Era un afoso pomeriggio del 26 luglio 1961 (la data è citata con precisione in quanto registrata sul cartellino identificativo dell’esemplare che tuttora conservo) e stavo entrando in Val de Croda provenendo da quel sentiero, poi carrareccia, che usava-
mo come scorciatoia «PanerataSalere-acquedotto» per raggiungere il Crep; (48 anni fa gambe e fiato erano decisamente più efficienti e guadagnavamo circa 20 minuti rispetto al percorrere l’attraversamento di Dardago…). All’improvviso, poco prima di raggiungere la strada, allora sterrata, vedo correre innanzi a me, quasi passandomi tra le gambe il più grande (circa 6 cm) Carabo europeo! Un balzo, lo afferro, e lì tra le mani lo ammiro, lo scruto nei particolari, nella sua livrea nera lucente (foto 1), brillante, screziata, le sue mascelle possenti (foto 2) che cercano di mordere il mio pollice, secernendo un liquido repulsivo brunastro… l’esemplare finirà poi nella mia collezione-studio. La specie Debbo il pronto riconoscimento del Procerus gigas, questo è il suo nome scientifico, alle frequentazioni dei laboratori del Civico Museo di Storia Naturale di Milano che, nonostante la giovanissima età, mia e di altri amici, l’allora conservatore degli insetti il compianto sig. Italo Bucciarelli, e il suo direttore, prof. Cesare Conci, rendevano possibili mettendosi a nostra disposizione quali preziosissimi maestri. Ricordo inoltre, e li ringrazio per la loro disponibilità, i periodi trascorsi in Cansiglio (Val Seraie, Val di Piera, Casera Palantina…) a «caccia di insetti» in compagnia di esperti a livello internazionale, provenienti, tra l’altro, anche da Roma e dai Musei di Venezia e Trieste. Quanto ebbi modo di apprendere non solo sul 13
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campo, ma anche a cena e nelle chiacchierate serali nel Rifugio «Al Sasso» non lo scorderò mai. Ma, torniamo al nostro Procerus gigas. Si tratta di un Coleottero Carabide, descritto per la prima volta da Creutzer nel 1799, ed anche se regolarmente diffuso nella ex-Jugoslavia, fino alle nostre Alpi Giulie, è tuttora ritenuto raro per il numero estremamente basso di individui presenti nelle sue popolazioni. Alla fine degli anni ’50 venne rinvenuto a Possagno (Treviso), e questa espansione verso ovest dell’area di diffusione fino ad allora nota creò un certo scalpore tra gli entomologi... si trattava non di una specie
qualsiasi, ma del più grande Carabo europeo! Ed anche per un quattordicenne come me il Procerus gigas era un vero miraggio! L’averlo raccolto nel Vallone di San Tomè, confermava la continuità di diffusione dalle Alpi Giulie al Trevisano (Possagno); successivamente, il 20 agosto 1966, ebbi poi modo di imbattermi in un secondo esemplare, a Malnisio, in una valletta a lato della strada, ove questa sale per un centinaio di metri verso i rettilinei che portano a Giais. Ulteriori conferme-aggiornamenti sulla diffusione mi sono state fornite qualche giorno fa dall’attuale conservatore degli insetti del Museo di Milano il dr. Maurizio Pavesi, (colgo
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qui l’occasione per ringraziarlo), che citando la letteratura scientifica più recente confermava ritrovamenti, sempre sporadici, a Piancavallo (con Cansiglio e Alpago), Andreis, Poffabro, Campone, per limitarci alla Destra Tagliamento. Come si nutre Dicevo che è il Procerus gigas è il più grande carabo europeo ed il suo gigantismo favorisce l’attacco a prede di «grandi» dimensioni e ben protette, come le chiocciole del genere Helix (foto 3). Purtroppo la foto 4 (che compare in Brandmayr, Zetto, Pizzolotto 2005) non è sufficientemente definita, ma lascia ben immaginare come il nostro gigante sia comunque costretto a ritirarsi brevemente durante gli attacchi per ripulirsi la parte anteriore del corpo e le antenne ed i tarsi, sedi di organi sensoriali, invasi dal muco del mollusco. Le sue larve (la foto 5 riproduce la larva di specie molto simili) sono munite nella parte caudale di robusti cerci (uncini) che usano per colpire gli aggressori con temibili «colpi da scorpione». Nella foto 6 è rappresentato un Cychrus (Carabide, «cugino» dei Procerus) che sta nutrendosi di una chiocciola. Anche se alcuni Carabi si nutrono di lombrichi, i Procerus sembrano specializzati nel rivolgersi principalmente a grossi sclos. Quali ambienti frequenta I Procerus son sempre stati trovati in luoghi molto umidi, ma non bagnati, per lo più (è il caso delle mie due catture) mentre attraversavano un sentiero o una carrareccia; anche se apparentemente goffi, tutti i Carabi sono in realtà eccezionali 14
camminatori, in grado di muoversi senza difficoltà anche su superfici molto irregolari grazie alle loro zampe slanciate ma robuste. Per quanto mi risulta solo a Possagno l’esemplare è stato raccolto sotto un grande masso smosso, un rifugio diurno che è comune a molte specie simili di dimensioni più ridotte. Gli ambienti umidi sono certamente legati alla dieta basata sulle chiocciole. Una specie quindi «utile» all’agricoltura (se potesse contare su numeri consistenti di individui) e nel contempo concorrente, per la sua alimentazione, con i palati dei buongustai raffinati… Questa sua prevalenza nelle regioni piovose è confermata dal fatto che le più recenti ed estreme segnalazioni verso ovest [in provincia di Vicenza (Marostica) e di Trento (Grigno in Valsugana)] appartengono a zone di più ridotta pluviosità e sono pertanto caratterizzate da presenze ancor più sporadiche, sia come numero di siti che di individui, se comparate con Gemona e le Prealpi Giulie. Verso nord il suo areale si limita a Tolmezzo e Forni. Concludendo Queste note non hanno la pretesa di essere una pubblicazione a carattere scientifico, ma trattandosi di una specie estremamente sporadica in quanto a numero di individui, ritengo che la segnalazione in Val de Croda (e Malnisio) apporti un contributo ulteriore alla conoscenza della diffusione del nostro «gigante», presente anche sui nostri monti nel Vallone di San Tomè.
ITINERARIO
ARCHEOLOGICO
i cippi storici
di Mario Cosmo
nel Cansiglio Orientale LE CONFINAZIONI
P ercorrendo il sentiero CAI n.
DELLA STORICA FORESTA
991 da località Crosetta in direzione dapprima Est poi Nord si costeggia in gran parte il confine superiore della Foresta regionale del Cansiglio Orientale. Questa si estende per circa 1.550 ettari nei Comuni di Caneva, Polcenigo e Budoia (Pn) ed è di proprietà della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia dal 1966, quando la parte friulana della Foresta demaniale del Cansiglio venne assegnata alla Regione a seguito dell’istituzione della stessa. In precedenza, esattamente per un secolo, l’intera foresta demaniale del Cansiglio era stata di proprietà dello Stato Italiano dal 1866 (annessione di Veneto e Friuli con la Terza Guerra d’Indipendenza). La natura demaniale della Foresta risale però ancora prima: nel 1548 infatti la Repubblica di Venezia nazionalizzò il Cansiglio decretandolo bosco pubblico a disposizione dell’Arsenale. Da quel momento nulla poteva essere sottratto alla diretta disponibilità statale senza precisa concessio-
DI SAN MARCO
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ne. Con tale forma continuarono a sussistere il prelievo di legna da ardere e il pascolo da parte delle Comunità limitrofe, in aggiunta alle utilizzazioni forestali statali che erano finalizzate soprattutto alla produzione di remi per la flotta della Serenissima. Uno degli strumenti necessari a garantire l’integrità della foresta fu la precisa determinazione dei suoi confini, sia esterni che interni, mediante le cosiddette conterminazioni o confinazioni. La prima fu effettuata nel 1550 direttamente dal Patrono dell’Arsenale, Antonio da Canal, mentre le successive furono eseguite dal Capitano del Bosco, autorità costituita in Belluno nel 1552. L’ultima è del 1795, due anni prima della soppressione della Repubblica ad opera di Napoleone. Le conterminazioni furono generali e parziali, quest’ultime per dirimere dispute di poco conto. In tutto ce ne furono ben 35, di cui 9 generali, il che evidenzia una indubbia conflittualità intercorsa nel tempo su tale aspetto. I segni delle con-
terminazioni erano incisi su rocce affioranti, quindi non spostabili e riportano le iniziali del funzionario addetto (Es.: A C per Antonio da Canal), l’anno di effettuazione del rilievo e un numero progressivo. Lo Stato Italiano provvide ad effettuare tra il 1874 ed il 1875 una propria confinazione, ancora oggi valida, apponendo cippi lapidei recanti la sigla F.N. (Foresta Nazionale), l’anno di posa del cippo e un numero progressivo, da 1 a 300, a partire dal n. 1 in cima al Col Grande (confine tra Caneva e Polcenigo), in senso orario. La proprietà regionale friulana è delimitata da 242 cippi di cui 116 di tale epoca (n. da 1 a 28 e da 212 a 300) sul confine meridionale ed orientale, ossia quello nei pressi del sent. CAI 991, e 126 sul confine tra Veneto e Friuli tracciato nel 1965 (n. da 1 a 126). I cippi F.N. del confine meridionale e orientale si trovano quasi sempre vicino a quelli storici. Sussistono alcune divergenze in quanto lo Stato Italiano, per chiudere le vertenze legali sui pascoli, cedette ai Comuni interessati, in particolare a Polcenigo, parte del demanio. Il
confine di proprietà regionale è rimarcato da segni a strisce bianche e nere apposti su alberi o rocce, mentre l’interno è delimitato in sezioni con cippi secondari numerati e segni a strisce bianche e rosse nonché in sottosezioni con segni blu. Quanto precede è il testo elaborato dal dott. De Biasio Pier Paolo del Servizio gestione forestale ed antincendio boschivo della Regione Friuli Venezia Giulia in collaborazione con il Gruppo Archeologico Polcenigo (acronimo: Gr.A.Po,) e col Cai di Sacile che prossimamente si troverà su pannelli specifici in alcune località del Cansiglio Orientale, cioè la parte di Cansiglio sulla quale ha demanialità la Regione Friuli Venezia Giulia, e specificamente in località Crocetta, Candaglia e Archeton. Il lavoro del Gr.A.Po. e del Cai Sacile in Comune di Budoia La ricerca è partita nel 2004 sulla base del documento «La foresta scritta» dell’arch. Moreno Baccichet che ha riportato in mappa, in
scala 1:15.000, i cippi censiti nel catasto austriaco 1842. Le iscrizioni dei cippi veneziani finora rintracciati con molta fatica, perché rimossi anche dalla memoria sociale (tanto che generazioni di malghesi non li avevano mai notati!), dopo il lavoro di pulizia da terra, muschi e licheni sono state verniciate con colore rosso; solo quelle sicure, lasciando sospeso il lavoro per quelle dubbie. I cippi della F.N. in Comune di Budoia sono 21 numerati dal 219 al 240; noi siamo partiti dal confine tra Polcenigo e Budoia e, quindi, ci siamo mossi in senso antiorario trovando prima il 240 e poi il 239, il 238 e così a scalare. I cippi veneziani e le relative scritte, non necessariamente sullo stesso sasso, sono il risultato di una secolare sedimentazione e di qualche decina di sopraluoghi successivi con probabili sovrapposizioni in buona fede per risparmiare tempo e fatica (nota 1). Quelli rintracciati finora nell’attuale territorio del Comune di Budoia sono 7; di essi riportiamo le coordinate geografiche e le
Cippi rintracciati nel Comune di Budoia numero
località
cippo
coordinate
scritte
1
Col di Piero m 1570
F.N. 240
46° 04’ 46,9’’ N; 12° 28’ 26,5’’ E
M/+/A G /L D 1653/LX/XXV/n 8/1709 L S/A C 1790
2
F.N. 237
46° 04’ 53,6’’ N; 12° 28’ 35,8’’ E
N 81 1709 L S / F A B 1779/ p q / A M 1774/foro di croce
3
F.N. 236
46° 04’ 57’’ N; 12° 28’ 37,4’’ E
1667 C C
4
F.N. 232
46°05’ 03,8’’ N; 12° 28’ 36,4’’ E
D B 1784 / 1653 L D / N VII/ 2 fori di croce
5
Zuc di Valliselle m. 1625
F.N. 228
46° 05’ 03,8’’ N; 12°28’ 44,2’’ E
1709 / 1729 D B/ 1734 M D/ p q 1748 / A B 1753 / LXXX MZ / N 50/1 (in bianco) / foro di croce
6
verso i Croseraz un centinaio di metri verso nord all’incrocio tra il CAI 991 e 984
F.N.222
*
A C 1790 / A B 1795 / B T 1763 / + /+ /17/C V
7
in cima al Croseraz (quello nudo)
F.N. 219
*
m z / + / 1734 M S
* coordinate sospese: si pensa di procedere l’anno prossimo. 16
scritte certe. Qui accanto la sequenza dei nominativi dei Rettori della città di Belluno e altre cariche che hanno effettuato operazioni di confinazione (nota 2). L’associazione dei nominativi è utile per interpretare le scritte dei cippi.
Rettori e altre cariche della città di Belluno 1550 1572 1575 1576 1589 1622 1623 1650 1653 1660 1662/63
In base alle coordinate geografiche sopra esposte verrà, al più presto possibile aggiornato il sito del Gr.A.Po. (www.grapo.it) che riporta già in tre dimensioni con Google i cippi di Polcenigo.
1667 1669 1679 1688 1703 1709 1711
Prossimi obiettivi Quando saranno posizionati i cartelli e le frecce segnaletiche da parte della Forestale della Regione Friuli Venezia Giulia si pensa di organizzare una conferenza a Polcenigo per illustrare questo primo successo; contando che l’iniziativa della nostra Regione spinga Veneto Agricoltura (l’Ente della Regione Veneto che si occupa anche del Cansiglio) a fare altrettanto o anche di più! Ci si impegnerà per effettuare analoghi interventi in Comune di Polcenigo, perché è quello in cui il confine della foresta non coincide in buona parte del territorio con quello storico come effetto della cessione nel 1895 da parte del Demanio di 88 ettari in cam-
Antonio da Canal * Antonio Miani Andrea Pasqualigo Giovanni Dolfin Federico Contarini Federico Cornaro* Angelo Giustinian I. B.** Leonardo Dolfin* Marino Zorzi* Federico Cornaro/ Angelo Giustinian* Cornelio Contarini Daniele Renier Bernardo Trevisan* Federico Cornaro B.T.** Leonardo Sagredo Giuseppe Barbaro (I.B.)
1724 1729 1732 1735 1738 1740 1748 1749 1750 1753 1763 1770 1774 1776/77 1779 1784 1790 1795
M.D.** Domenico Balbi Agostino Barbaro Mario Soranzo Marino Donà P.Q.** Polo Querini* Antonio Contarini B.T.** Antonio Barbaro Bartolomeo Trevisan A.C.** Agostino da Mosto M.A.** Francesco Ermolao Balbi Domenico Balbi* Alessandro Contarini Antonio Barbaro*
* conterminazione generale, ** sono note solo le iniziali. bio della rinuncia al pascolo di 50 armenti. Faremo proposte ai Comuni di Budoia e Caneva perché anche loro collaborino alla segnaletica sui cippi storici. Con le Amministrazioni Regionali, e con quanti altri sarà possibile cercheremo di produrre un dèpliant illustrativo delle Confinazioni. Faremo inoltre la proposta all’editrice Tabacco che nell’aggiornamento della loro carta topo-
grafica N. 12 «Alpago-CansiglioPiancavallo-Valcellina» facciano comparire anche i cippi storici e ciò per l’intero perimetro della foresta, parte veneta compresa. Già ora comunque questa carta consente, grazie all’evidenziazione dei confini dei demani regionali in verde scuro, di seguire e rintracciare gran parte dei cippi grazie alle indicazioni che abbiamo dato. Note
Un gruppo di appassionati con l’autore durante una pausa dei lavori di rilevazione dei cippi.
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1. Nel V cippo c’è, come in numerosi altri casi, un possibile problema di «interpretazione» perché gli scalpellini potrebbero aver «ritoccato» delle cifre preesistenti. Le cifre del n. 50 sono appunto ritoccate e, accompagnando l’1 (rimasto «orfano» e in bianco), al posto della N leggendo 6, al posto del 5 leggendo 6 e riciclando lo 0 si ottiene 1660; il che sarebbe coerente con gli M Z particolarissimi – le lettere sono molto grandi, più grandi di tutte le altre – di Marino Zorzi. 2. La maggior parte delle notizie storiche sulle confinazioni sono tratte dal testo «Il gran bosco da remi del Cansiglio nei provvedimenti della Repubblica Veneta» a cura del dott. Guido Spada, edito nel 1995 nella «Collana verde» con il n. 97 dal Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali-Corpo Forestale dello Stato.
Un libro, un CD e gli spartiti musicali di otto composizioni... per cantare, sorridere meditare.
Sót ’l balèr
Una sequenza di immagini della serata di presentazione di Sót ’l balèr, tenutasi in teatro a Dardago. In alto. Il coro del Gruppo Artugna, alle spalle di alcuni relatori. Sotto. Da sinistra, la moglie e le figlie di Cornelio. La maestra Tina. Mons. Giovanni Perin e il relatore prof. Carlo Zoldan. Lino Cadelli, presidente del Gruppo Artugna, e la prof.ssa Laura Crosato, presidente della Federazione Italiana Pueri Cantores, mentre consegnano il volume a Fabrizio Zambon che ha diretto il coro. [foto di Massimo Zardo]
alèr Sót ’l b resso le edicole
ile p disponib n il CD è ago e Budoia ia. Il libro co rd » di Budo di Da l Girasole rtoleria «I a c la a o erlo e press ò richied Dardago/Pn sidera pu 0 Chi lo de Chiesa 1 · 3307 ail a · via della -m a e n a g n u u rt o l’A o inviand bon@tele2.it am li) di posta roberto.z di spese (+ 2 euro ro u e 0 è di 1 Il costo
Il nostro periodico e il Gruppo Artugna, cantori e danzerini del Friuli, hanno presentato, il 21 novembre, Sót ’l balèr, raccolta di canzoni scritte da Cornelio Zambon Marìn e musicate dalla moglie Giustina Favia. Molti di questi brani non sono inediti per i lettori de l’Artugna, perché alcuni di essi sono già stati pubblicati nel tempo sulle pagine del giornale, ma mai
amava. In queste pagine le parole dell’autore incontrano la musica di Tina, la moglie che si lasciò amorevolmente coinvolgere nell’originale avventura, e diventano un tramite di conoscenza e di diffusione della cultura popolare dei nostri paesi. Nella seconda parte della raccolta trovano spazio testi in lingua italiana, esclusivamente della maestra Giustina, che
come in questo libro hanno trovato un’organizzazione organica e analitica. L’opera è strutturata in due capitoli. La prima parte raccoglie cinque canti nella viva ed arcaica parlata dardaghese, che Cornelio tanto
trattano temi universali. L’opuscolo si propone di essere strumento di lettura e di approfondimento dei temi delle canzoni, e – grazie anche alla sua rilegatura a spirale – un mezzo funzionale a quanti, singoli, gruppi o corali, volessero
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Ricordo di Cornelio intraprendere l’esecuzione dei canti. Il volume è accompagnato da un CD contenente tutti i brani pubblicati, eseguiti dal Coro Artugna, cantori e danzerini del Friuli, diretto, per l’occasione, da Fabrizio Zambon Sartorèl. Con questa pubblicazione, che avrebbe fatto gioire Cornelio giunto recentemente al termine del suo cammino terreno,
l’Artugna vuole diffondere un patrimonio musicale esclusivo del suo microcosmo al fine di tramandare parlata, tradizioni e storia della sua gente alle giovani generazioni di Dardago, Budoia e Santa Lucia e in particolare agli alunni delle scuole locali.
Cornelio Zambon Marìn tra le crode dell’Artugna che tanto amava.
Ciao Cornelio… […] stasera c’è il libro che sognavi, è fatto delle «tue parole» tradotte in canzoni dalle musiche di tua moglie Tina, per tutti noi, la maestra Tina. Parole che restano, come il tuo ricordo; canzoni rivitalizzate dalla direzione di Fabrizio Zambon Sartorèl e interpretate dai ragazzi dell’Artugna, canzoni che sei riuscito ad ascoltare nei tuoi ultimi giorni, in ospedale, quasi fossero la più soave delle parate per il tuo saluto d’addio. ‘Ascoltarti’ per noi ora è un piacere che non richiede il tuo cipiglio orgoglioso come quando, nel mezzo di accorate discussioni, mi dicevi «I à da scoltame, devono ascoltarmi, parché mi, soi de Marìn!». Allora, in quelle animose discussioni, per smorzare i toni, ti rispondevo «Cornelio… e mi soi de Tavàn!» e tutto finiva lì, a guardare inteneriti i nostri monti, come due vecchi nostalgici. *** I nostri monti, già, lo scenario del nostro primo incontro. Ti ricordi? Era l’estate del 1967 […] in quell’occasione, con mio fratello Sante e tuo cugino Angelo Bocùs Frìth, s’era organizzata un’escursione verso la Casèra de la Val e Plan de la Thentolina. Fu Angelo ad annunciare, qualche giorno prima, la partecipazione di un suo parente «tutto dardaghese» ma proveniente da Brindisi. […] La partenza avvenne di buon mattino […] nonostante i prolungati silenzi, ciò che quasi subito mi ha colpito è stato quello di scoprire un carattere oltremodo schietto, a volte ruvido, forse spigoloso e irruento, così poco addomesticato alla cautela dei giudizi e alla diplomazia del pensiero. Un carattere da ‘duro’, espressione di chi affronta la vita di petto e con risoluta determinazione […] Colti d’improvviso da un temporale estivo, come può accadere in
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montagna, ci siamo ritrovati, zuppi d’acqua ed infreddoliti, a ricercare un riparo nel mezzo di grossi cespugli di faggio e li, al termine della pioggia, tu non hai esitato ad accendere un fuoco per riscaldarci ed asciugarci, sfidando una delle più elementari regole da osservare in montagna, quella che sempre ci impone di valutare l’eventuale e pericolosa propagazione delle fiamme. Ma cominciavo a capirti, a muoverti era stata l’urgenza e la necessità di farci stare tutti un po’ meglio […] Dopo quell’estate ci siamo rivisti saltuariamente ad agosto quando potevi tornare al paese da Brindisi o da Treviso. Il nostro vedersi è stato più intenso solo dopo il 1990, l’anno del tuo definitivo trasferimento qui a Dardago per passare i tuoi anni di pensionamento, l’anno che ha concretizzato il tuo «domàn mi torne a ciàsa». Ci ha accomunato la stessa passione per l’ambiente, per la nostra Artugna, per la terra, per i suoi prodotti, per l’orto. Gli argomenti degli incontri ricadevano sempre, sempre su Dardago, sulle sue pietre, le sue strade, le sue case, i suoi abitanti. Hai amato questo paese con amore intenso, viscerale, ti sei rammaricato per la smarrita sensibilità di molti verso madre natura, hai lottato contro la perdita di identità delle nostre genti. L’hai fatto con le tue canzoni, con le tue fotografie così avverse alla freddezza del digitale, con la tua pittura a tinte forti, quasi materica, plasmata spesso dalle tue stesse mani usate come pennello, una pittura figlia del tuo spirito sanguigno ed anticonformista. E l’hai fatto, soprattutto, con il tuo stesso vivere […] Ciao! Vittorio Janna Tavàn DARDAGO, 21 NOVEMBRE 2009 FESTA DELLA MADONNA DELLA SALUTE
È volata in cielo All’alba di domenica 20 settembre, Novella Aurora Cantarutti, poetessa, scrittrice, etnologa friulana s’è lasciata cullare per sempre tra le ali degli angeli del duomo della sua Spilimbergo che tanto aveva amato e cantato. L’intero Friuli ha perso Colei che dedicò la vita alla Cultura friulana. Aveva tessuto un filo anche con l’Artugna; visitò i nostri paesi e rimase positivamente colpita dalla bellezza della loro posizione e dalla cordialità della gente. Desideriamo ricordarLa con alcuni suoi versi. A CURA DI VITTORINA CARLON
CIDINOUR
L’ULTIMA STELA
GENT DA LA GRAVA
Adés al si è cedàt encja il soreli jenfri màis rùzini di bosc. J’m’in vai là-par-entri aghi’ rimiti’ par un plagnour fat su di vous tasudi’ di ombrerai, fat di me tal dispueàsi dal timp.
Tu ch’i tu disflurìs sora la croda, ultima stela, fèrmiti. Tal ceil sblancit da l’alba, ‘i ài poura di un’atra dì da vivi.
Li’ gravi’ a bévin il sarègn da l’aga tal Talimìnt, e ta li pieri’ strachi’ dal cjscjel al duàr un altri timp.
QUIETE
L’ULTIMA STELLA
GENTE DI GRAVA
Ora si è smorzato anche il sole tra le maglie rugginose del bosco. Cammino dentro acque remote, in un pascolo fatto di voci spente, di ombre diffuse, fatte di me nello spogliarsi del tempo.
Tu che sfiorisci sopra la rupe, ultima stella, fermati. Nel cielo sbiancato dell’alba io ho paura di un altro giorno da vivere.
Le ghiaie bevono il sereno dell’acqua nel Tagliamento, e nelle pietre stanche del castello dorme un altro tempo.
Gent da la Grava ingenoglada in Domo, là che i arcs a’ son ali’ di ànzai granc’ e i sans flurìs in coru intòr l’altàr a’ veglin tuna lùs verda di aga.
Gente della Grava, inginocchiata in Duomo, dove gli archi sono ali grandi d’angelo e i santi fioriti in coro intorno all’altare, vegliano in una luce verde d’acqua.
È vivo... ritornerà!
di Tina Ponte
ieri... l’attesa TESTIMONIANZE DI UNA GIOVANE IN ATTESA DEL RITORNO DEL SUO AMORE DALLA GUERRA
15 anni, una ragazzina esile e svagata che, terminato l’anno scolastico, va dai nonni, in campagna, per trascorrere le vacanze e che qui conosce l'uomo che doveva esserle compagno per tutta la vita: un colpo di fulmine per entrambi. Lunghe lettere nei primi mesi che ci separarono: io a Trieste, lui dapprima a Pola, poi a Roma per il corso allievi ufficiali, quindi ad Alba per il servizio di prima nomina, infine al fronte in Russia: ricordi incancellabili... e poi, terribile, il silenzio. Mario era stato ferito, per lunghe ore era rimasto disteso sulla neve, prima di essere salvato da alcune donne russe, da mamma Sonia soprattutto, che vive sempre nei nostri pensieri e che nel nostro recente viaggio in Ucraina non siamo riusciti purtroppo a ritrovare. Quattro anni di attesa indescrivibili, anni durante i quali sognavo, sognavo e pensavo ad una piccola casa bianca senz'altra civetteria che grandi vetrate fiorite di gerani... poi una lettera di un compagno d’armi, miracolosamente tornato dal fronte, nella quale egli mi diceva di essere stato un amico di Mario. Avevano 21
parlato della patria lontana, delle persone care, del loro futuro che poteva essere di morte e si erano scambiati un indirizzo: se uno di loro non fosse tornato, l'altro avrebbe scritto e così, con un nodo alla gola, lessi queste parole: lì 4 maggio 1943 Gentile Signorina, Lei non mi conosce, ma io sì, perché ero amico di Mario... Mario non è tornato. Non tornare non vuol dire morire. Un giorno forse sarà di nuovo con noi, ma intanto l’ansia dell’attesa, il tormento per non ricevere notizie ci opprimono. Eravamo buoni amici... Già avanzavano i carri armati e le forze nemiche premevano sul suo piccolo caposaldo... fu ferito quando era già stato dato l’ordine di ripiegamento... Non voglio pensare troppo male, spero ancora sia prigioniero... Ma non bisogna disperare. Voglia Iddio permettere il suo ritorno, premio alle sue sofferenze ed all’ansia di chi lo attende. Non disperi e non pianga, ma ricordi... Abbia fede ed attenda. La preghiera Le sia di sollievo e sarà a lui di aiuto. Certo non è vicino il giorno del ritorno, ma quando
giungerà, quella che è ora una corona di spine, si muterà in serto di alloro. AGOSTINO LOVERA
Santa e Mario nel loro 60° di matrimonio.
...oggi festeggiamenti calorosi Sessant’anni di matrimonio per Mario Ponte e Santa (Tina) Lachin: il 14 settembre del 1949 si sposarono a Santa Lucia di Budoia, dove in questi giorni sono festeggiati dalla comunità. La festa rappresenta anche un momento per ricordare il percorso difficile di Mario Ponte: classe 1921, nel febbraio 1941 fu chiamato alle armi e assegnato al 5° Reggimento di Artiglieria di Corpo d’Armata a Pola, dopo breve servizio in Albania fu inviato al corso Chimico a Roma. Da sottotenente venne assegnato, nel 1942, alla Compagnia Lanciafiamme della 4° Brigata Chimico d’Armata di Alba e partì per il fronte russo.
Sul Don, nel dicembre 1942, fu ferito, prima a Taly, con una pallottola alla cavità addominale, e poi a Kantemirowka, con una raffica alle gambe. Aiutato da una famiglia contadina che lo raccolse ferito sulla neve, venne tenuto e curato nell’isba per molti mesi e si salvò. Fu mandato poi in un campo di prigionia sovietico e rimpatriò nel 1946. Nel 1998, dopo molte ricerche, riuscì ad abbracciare e ringraziare i familiari, non senza commozione, di quella che lui chiama nel suo libro «mamma Sonia». ROSA OLIVA per il Consiglio Pastorale di Santa Lucia
Disperata, ogni notte a mezzanotte, ad insaputa non solo dei miei, ma di tutti, sfidando un esplicito divieto delle autorità, ascoltavo Radio Mosca, che dava notizie in italiano dei prigionieri. Per quanto tempo lo feci? Non lo ricordo... rimane solo nella memoria la gioia dell’attimo in cui, dopo una lunga attesa, sentii la sua voce: ringraziava «mamma Sonia» per averlo salvato quando giaceva ferito nella neve... Gettai un urlo e corsi da papà e mamma che erano già a letto gridando: «Mario è vivo, è vivo, ritornerà». Non dormii quella notte, piansi lacrime di gioia e l’indomani portai un mazzo di fiori alla Madonna per ringraziarla di aver ascoltato le mie preghiere. A distanza di tanto tempo sollecitata anche dal suo carissimo ex Capitano Melchiorre Piazza, ho voluto ricordare gli anni di un’attesa che parenti ed amici mi dicevano inutile ed assurda, ma che forse è stata tanto disperatamente fiduciosa da meritare il premio del suo agognato ritorno. *** Le stesse mie emozioni, in quattro anni di struggente attesa, ha certamente provato l’amica Lidia Piazza, che, a Lambrate, nel giugno 1942, aveva salutato, con in braccio il figlioletto Bruno, il marito che partiva per il fronte1. 1. Il presente articolo è pubblicato anche sul n. 63, luglio-settembre 2009 del «Notiziario U.N.I.R.R. Unione Nazionale Italiana Reduci Russia».
[ per ricordare] di Domenico Diana Chi frequenta il ristorante Ca’ del Bosco avrà sicuramente osservato la gigantografia che copre tutta la parete di fondo del locale con una bella vista panoramica di Budoia. Si tratta di una fotografia d’altri tempi che rappresenta il paese com’era costituito nel periodo fra gli anni ’40 e ’50. S’intravede in primo piano, in basso a sinistra, l’edificio che un tempo ospitava la «Casa del Fascio» e annesso, quel poco rimasto visibile del «Dopolavoro», sede d’importanti manifestazioni ricreative. Dati i molti anni trascorsi da allora, penso che oggi, solo la popolazione più anziana avrà qualche ricordo di questi edifici passati alla storia e che hanno lasciato spazio a nuove strutture. Un giorno, proprio osservando i particolari di questa foto, riaffiorarono in me, da quel lontano passato, molti ricordi del periodo che io trascorsi a Budoia dopo il rimpatrio della mia famiglia dalla Francia nel marzo 1942, mentre infuriava il 2° conflitto mondiale. Ero allora
un ragazzino di 12 anni. Ho avuto modo così di vivere quegli avvenimenti anche dolorosi che si sono avvicendati nel nostro paese fino al termine della guerra. Suppongo che molti fatti accaduti in quei terribili anni siano stati già narrati da chi li visse personalmente. Perché ricordo specificatamente il «Dopolavoro» e il fatto che portò praticamente alla sua distruzione? Quel giorno c’ero anch’io. Una mattina presto del 1944, tutto il paese fu risvegliato improvvisamente da un forte scoppio che mise tutti in grande apprensione. Si diffuse presto la notizia che un ordigno era esploso all’interno del «Dopolavoro». Quel giorno, come di consueto, recandomi verso la latteria fui attratto dai commenti della gente allarmata e, curioso, mi diressi con loro verso il luogo dov’era avvenuta l’esplosione. A prima vista non sembrava che l’edificio fosse molto danneggiato. Più che altro erano stati scardinati gli infissi e caduti 23
tratti d’intonaco dei muri. Si trattava probabilmente di un attentato da parte della lotta partigiana in quanto pare che il «Dopolavoro» fosse usato come deposito di materiale dalle truppe tedesche. Poi, mentre molti, constatato l’accaduto, si allontanavano, la curiosità spinse me e qualche altra persona ad entrare all’interno della sala dalle parti divelte. Si commentava tra noi il fatto anche con scherzose battute ricordando avvenimenti del passato fino a salire sul palco, sito in testa al locale, che aveva ospitato a suo tempo varie manifestazioni. Improvvisamente una nuova violenta deflagrazione ci fece ritornare di colpo nella dura realtà e ci trovammo immersi in un denso pulviscolo oscuro che invase tutta la sala. Assordato dal boato, mi sono sentito sbalzare dallo spostamento d’aria giù nella sala. Frastornato e disorientato sono fuggito d’istinto all’esterno. Nel contempo questo secondo scoppio aveva richiamato di nuovo i compaesani accorsi
Una panoramica di Budoia con la Casa del Fascio negli anni ’40-’50 (cartolina d’epoca).
Piccola cronaca di un lontano passato
in piazza e mi ritrovai in mezzo a loro. Nella caduta, non so come, sono stato colpito alla fronte, procurandomi una ferita sanguinante più appariscente che grave. Prontamente assistito e rincuorato, stavano per accompagnarmi verso casa quando giunse trafelata e spaventatissima la mamma che qualcuno aveva tempestivamente avvisato. La scena che ne seguì fu l’emozionante incontro di una madre angosciata con il figlio sfuggito ad un grosso pericolo, tra pianto, abbracci e gioia. Visto l’effetto disastroso di questa seconda esplosione all’interno dell’edificio, passata la paura, mi sono reso conto di essere stato veramente graziato assieme a chi aveva corso con me questa rischiosa avventura. Di certo le conseguenze avrebbero potuto essere ben più gravi per noi. In seguito, non ho più saputo nulla sulle vicende che hanno interessato il «Dopolavoro». Quel giorno, comunque, Budoia perse un pezzo della sua storia. Dopo questo fatto, altri avvenimenti ritornano alla memoria come rapide visioni. Essi coinvolsero allora un po’ tutta la popolazione. Nel caso seguente, la mia famiglia vi fu interessata direttamente. Siamo nel periodo 1942/44. La mia famiglia è un po’ divisa. A Budoia ci sono con me
la mamma e mia sorella Lidia. Il papà per lavoro si trova a Venezia, mia sorella Marisa, invece, è a Roma anche lei per lavoro. La guerra in corso con tutto il suo tragico svolgimento, e il susseguirsi di alterne vicende, crea molti ostacoli anche alle comunicazioni e per noi molte preoccupazioni per la mancanza di notizie da parte di Marisa. Papà decide di andare da lei per riportarla a casa, affrontando un viaggio non privo di difficoltà. Finalmente il rientro a Budoia per il sospirato ritorno in famiglia, lieti anche per l’aver potuto procurare un po’ di provviste e con in più alcune bottiglie di liquore e delle sigarette (americane) che la mamma ripone nell’armadio della camera al primo piano. Quasi come medicine. Trascorre il tempo: siamo nel 1944, uno degli anni più duri di questo conflitto combattuto anche dalle forze partigiane. I nostri paesi sono sottoposti al prepotente dominio delle truppe tedesche. Sono frequenti improvvise retate e perquisizioni nelle case. Molte persone sono vittime di queste violente repressioni e rappresaglie, spesse volte accompagnate da incendi di abitazioni. In questo clima di forti tensioni, un giorno toccò anche a noi. I tedeschi ci fecero «visita». In casa eravamo
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mamma, Lidia ed io, mentre papà (pendolare) e Marisa erano, per lavoro, a Venezia. I soldati armati «invasero la casa», guardarono e frugarono in ogni stanza e luogo e fu così che scovarono, con stupore, le bottiglie e le sigarette che prontamente sequestrarono. Alla loro richiesta mamma tentò di spiegarne la provenienza, ma non fu creduta, o forse non capita. Fatto sta che per noi scattò l’accusa di sospetta connivenza con partigiani o altre attività e di conseguenza la pronuncia della terribile sentenza «sta sera noi veniamo a bruciare casa». Di quello che ne seguì poi, io, allora ancora ragazzino, non conservo che ricordi confusi. Credo che la mamma terrorizzata abbia chiesto un disperato aiuto a qualche persona, amica o parente, e anche all’allora parroco don Luigi per un loro interessamento presso le autorità. Intanto noi, in casa, con la paura e l’ansia per la terribile minaccia incombente, ci preparavamo, in qualche modo, a salvare quanto possibile ed essere pronti da gettare fuori casa alla venuta dei soldati. Trascorremmo tutta la notte, in stato di allerta e pieni di paura, alle finestre di casa, sempre tesi in ascolto dell’arrivo di qualche mezzo militare. Il lento passare delle ore ci portò verso l’alba senza che la temuta avvisaglia interrompesse il silenzio della notte. Il mattino fu accolto con un grandissimo sospiro di sollievo per la fine dell’incubo. Non so per quale esatto motivo questa tragedia ci fu risparmiata. Forse per merito di chi si era prontamente prestato o forse perché i tedeschi avevano ritenuto sufficiente incutere una grande paura. Non lo sapremo mai. In ogni caso per noi ci fu un grande ringraziamento al cielo.
Una grande rete di volontari, famiglie e produttori. Nato vent’anni fa da un’idea semplice, oggi il Banco Alimentare è un soggetto economico indispensabile. Lo dicono i numeri.
La carità non avrà mai fine di Stefania Gioia Wiley
Si è svolta sabato in oltre 7600 supermercati e ipermercati la XIII edizione della Giornata Nazionale della Colletta Alimentare. Grazie all’aiuto di più di 100.000 volontari sono state raccolte 8.600 tonnellate di prodotti alimentari che saranno distribuiti agli oltre 8.000 enti convenzionati con la Rete Banco Alimentare che assistono 1,3 milioni di persone ogni giorno. Nonostante il periodo di confusione e crisi come quello attuale, la generosità delle persone è stata immensa: il dono di una parte della propria spesa è entrato nel cuore della gente, diventando un vero e proprio gesto di popolo. La carità continua ad essere più forte della crisi economica e l’esperienza della Colletta Alimentare è una risposta concreta al bisogno materiale del povero e allo stesso tempo al desiderio di rompere la catena della solitudine che sempre più spesso attanaglia le persone. Le «dieci righe» di quest’anno (la frase che accompagna la Colletta) sottolineavano che «anche un solo gesto di carità cristiana, come condividere la spesa con i più poveri, introduce nella società un soggetto nuovo, capace di vera solidarietà e condivisione dei nostri fratelli uomini». Anche la comunità di Budoia ha contribuito a realizzare questo grande gesto di solidarietà, che si è svolto al supermercato Visotto. E chi ha avuto la fortuna di parteci-
Sopra e nella pagina seguente. Alcuni volontari che hanno partecipato alla Colletta Alimentare.
parvi ha potuto assistere ai piccoli miracoli che rendono eroico il quotidiano. Come l’immigrato macedone, padre di tre bambini piccolissimi, che dona un intero carrello di spesa, dicendoti all’orecchio «c’è tanta gente che ha bisogno!». Ti riconosce quando varca la porta del supemercato, si fida a donare, si fida di quella faccia che all’entrata gli offre il sacchettino giallo, anzi decide che un sacchetto è troppo poco e riempe un intero carrello di spesa! È commovente assistere a un gesto così, perché capisci che la capacità di carità non è proporzionale al reddito, ma alla magnanimità del cuore. Come quella dei ragazzi delle superiori e gli universitari, che liberamente decidono di donarti il 25
loro tempo, di sabato, non perché non sappiano cosa fare. Anzi devono decidere che dopo una settimana passata sui libri, quell’unico giorno o quell’unico pomeriggio che potrebbero dedicare allo svago, lo donano a un povero, a dei poveri di cui non conoscono neanche la faccia. Donano il loro tempo, più prezioso dei soldi – a volte è più facile infilare la mano nel portafoglio che dare un’ora o due della giornata – danno il loro tempo libero per indossare una pettorina gialla e proporre ai clienti del supermercato questo gesto di solidarietà. Molti non li guarderanno in faccia, o mugugneranno indispettiti alla loro proposta, come se loro gli ricordassero che esistono ancora i poveri e sono qui a casa nostra,
vicino a noi, e questa idea li infastidisce forse più della richiesta di un piccolo aiuto. La vera crisi dell’umano, ben più grave della crisi economica, è che si indurisca il nostro cuore, che l’uomo non sia più capace di commuoversi (nel senso etimologico del termine muoversi-con) di fronte al bisogno dell’altro pensando solo che la sua pancia non sia abbastanza piena, che il suo portafoglio non sia abbastanza pieno e che le sue giornate siano troppo piene. Ma è sempre la gratuità quella che colpisce di più. La gratuità degli Alpini che si sobbarcano il lavoro più impegnativo e faticoso, la gratuità dei volontari della Protezione Civile che cura i trasporti, la gratuità di chi sta alle porte a distribuire sacchetti, la gratuità di chi aiuta la preparazione del gesto e la gratuità di chi liberamente dona. Nonostante i tempi duri, tutto questo ha reso possibile la raccolta di quasi 15 quintali di alimenti donati dai clienti del super-
mercato Visotto. Un piccolo paese, neanche tremila abitanti, ma con un grande cuore! Nella provincia di Pordenone la raccolta è stata di 83,5 tonnellate con un incremento del 12% rispetto alla scorsa edizione e a livello regionale le donazioni hanno raggiunto le 481 tonnellate, pari ad un aumento del 3,5%. Il lavoro del Banco Alimentare non è solo legato alla Colletta e
non si chiude con la giornata del 28 novembre, ma continua attraverso la rete dei Banchi di Solidarietà, associazioni di volontari che durante tutto l’anno, portano regolarmente pacchi di viveri a famiglie e persone bisognose. All’origine c’è la stessa concezione di carità: non è assistenza, ma un fattore educativo e una possibilità di rapporto che spalanca al significato di tutto.
DOMENICA 27 DICEMBRE, ORE 17.00
Chiesa parrocchiale di Santa Lucia
Messa solenne in canto Accompagnati all’organo giubilare Zeni da Stefano Maso, i componenti dell’Insieme Vocale Elastico canteranno una messa di ringraziamento nella festa dedicata alla Sacra Famiglia. La celebrazione festeggerà i dieci anni di attività, solidarietà e amicizia del gruppo diretto da Fabrizio Fucile e aprirà il decennale dell’inaugurazione dell’organo stesso. Accanto a pagine della nostra tradizione natalizia saranno eseguiti brani della letteratura francese, dai popolari Noël ai classici di Marc-Antoine Charpentier quali la Messe de Minuit pour Noël ed il Canticum in Nativitatem Domini N.J.C.
i Cosmo settant’anni di attività di Mario Povoledo
La famiglia Cosmo, negli anni ’40. Da sinistra, la primogenita Tina, il papà Innocente (Nossente), la mamma Maria Boschin e la secondogenita Zaira. Nel 1949, allieterà la famiglia la nascita di Giacomo (Nino). Sopra. Inizio anni ’50. La signora Maria Boschin Cosmo con la figlia Zaira nel negozio di generi alimentari, attiguo all’osteria.
È raro, ai giorni nostri, con la crisi incombente, che ha fatto chiudere colossi di industria mondiale e piccole imprese, che un’intera famiglia sia sopravvissuta per oltre un settantennio ai ritmi frenetici che impongono cambiamenti, anche radicali. Non è così per la famiglia Cosmo: il padre Innocente, la madre Maria Boschin, Tina, Zaira e Nino, tutti dediti al commercio nelle più svariate attività, macelleria, bar, negozio di generi alimentari. Un’intera dinastia a servizio della gente e della comunità, che ha assaporato con essa le gioie, compartecipato ai lutti e ai dolori, soprattutto nel periodo della guerra e della lotta di liberazione, un periodo duro e drammatico, vissuto sempre con lo spirito di fare del bene. La famiglia Cosmo mette in atto la pietà e la carità verso gli affamati, gli aiuti alle famiglie, e con non poco coraggio sfama sia i te27
deschi che i partigiani, accomunati dalla fame, una dalle tragiche conseguenze imposte dal conflitto. Al termine della luttuosa parentesi anche il mutamento delle condizioni di vita del nostro piccolo paese, porta piano piano al progresso; nel 1958 la prima televisione compare nel bar, una novità che vede subito, non solo la nostra gente, accorrere numerosa a seguire con viva curiosità quello che sin a poco tempo prima non esisteva. Ecco il primo «Lascia e Raddoppia» con il mitico Mike Bongiorno. Compare poi il primo juke box, a rallegrare le serate nella capiente taverna, luogo ove sono passate intere generazioni di giovani. Celestina (Tina più comunemente chiamata) ha seguito le orme della famiglia e dal 1948 si è buttata capofitto nel bar «da Cosmo», poi passato al fratello Nino e successivamente gestito da altri
non di famiglia. Annesso al bar il negozio di alimentari che è andato man mano al passo con i tempi, e si è modernizzato con l’attuale gestione della figlia Alessandra. Le varie fotografie che proponiamo, sono spaccati di vita vissuta in un bar di un piccolo paese ai piedi delle Prealpi, che ha conosciuto non solo il dramma dell’emigrazione ma anche del coraggio di saper sollevarsi e da un paese agricolo-pastorale, mutarsi piano piano in un contesto ove, nonostante il momento non facile che stiamo attraversando, ha saputo tirarsi su le maniche e adeguarsi ai tempi. E questo, grazie al coraggio di piccoli imprenditori che hanno scelto di rimanere ancorati alle loro radici e hanno amato questo lavoro svolto con passione. Ora Tina, lasciata l’attività alla figlia, segue con costanza il marito Attilio, colpito da grave malattia che lo costringe a dover avere sempre accanto una persona. La vedremo ancora nel piccolo negozio di alimentari, accanto ad
Alessandra alla quale auguriamo di poter, come la madre, gli zii, i nonni, trovare soddisfazione nel servizio alla nostra gente e sentirsi pienamente appagata.
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3. 1. Anno 1954. Un gruppo di giovani budoiesi nella vecchia osteria. Sono da sinistra: Dino Carlon, Guido Fort, Zaira Cosmo, Giovanni Loser, Sandro Signora, Oscar Panizzut. Al banco Nossente Cosmo. 2. Anni ’60. Tina tra i giovani avventori. Il bar da Cosmo fu mèta di giovani non solo budoiesi: la gioventù sacilese e quella dell’intera Pedemontana lo conoscevano bene. 3. Anni ’60. Una cartolina del fotografo Angelo Modolo con le quattro ambientazioni: la sala del caminetto, la taverna, il giardinetto, la terrazza. A lato. Alessandra, oggi, nel suo negozio di generi alimentari, che gestisce con la madre.
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L’angolo della poesia
di Alessandro Fontana
Veri campioni Chi oggi abbia più di settanta anni ricorda certamente i trionfi ciclistici di Gino Bartali e Fausto Coppi. Allora non eravamo nell’era della televisione, di questo micidiale tritatutto che propone e macina via con la stessa rapidità avvenimenti di nessuna importanza ed eventi di portata storica: assieme a tutta la gamma di valori intermedi. Andavamo perciò spesso al cinema e i cinegiornali ci proponevano non solo le parole ma anche le immagini di Eisenhower, di De Gasperi, Nenni, della prima Vespa (senza parole) e anche dei nostri ciclisti al Giro di Francia. Quale immensa gioia era vedere Bartali vincere una tappa con mezz’ora, dico mezz’ora di vantaggio sul secondo o Coppi portare a casa la maglia iridata di campione del mondo. Venivamo fuori dal cinema quasi senza toccare terra per l’orgoglio e la consapevolezza di essere italiani. Usciti fortunatamente illesi dagli orrori della seconda guerra mondiale, a dieci o dodici anni eravamo già maturi abbastanza da capire, o almeno intuire, il significato di quelle parole. E quelle immagini avevano il tempo di sedimentare e di dare frutti nelle nostre coscienze e nella nostra cultura. Trascorrevano settimane o più prima che nuovi miti e avvenimenti si proponessero alla nostra attenzione. Avevamo il tempo per «immaginare», per elaborare
nell’intimo ciò che quei pochi fotogrammi non ci trasmettevano. Invece oggi siamo tutti più veloci, efficienti ma privi d’immaginazione. Sappiamo in un millesimo di secondo ciò che avviene all’altro capo del mondo o addirittura fra le stelle ma non sappiamo ciò che stringe il cuore del nostro vicino di casa o di pianerottolo. Assistiamo alla fine improvvisa, in pochi secondi, di trecento mila persone per uno «tsunami» ma non possiamo versare neanche una lacrima o inquietarci per l’ignoranza e il menefreghismo di quei governanti perché dopo cinque minuti arriva la notizia della signora X che ha cornificato il signor Y. Non sono passati neanche cinque giorni dal momento che un’italiana ha vinto il campionato del mondo di ciclismo su strada, ma io sono sicuro che già oggi nessuno, o quasi, si ricorda il suo nome, la bellezza di quel gesto sportivo e quel miracoloso sorriso dopo la fatica e l’arrivo solitario. Ma c’è stato un altro atto della nostra campionessa che mi ha commosso e porterò sempre nella memoria, e perché no? Nel mio cuore: tre piccoli, timidi, non ostentati segni di croce con cui, pur nella immensa gioia di un momento sublime, lei ha ringraziato il Signore Dio che protegge e aiuta. Lei si chiama Tatiana Guderzo, di Marostica.
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LA VECCHIA LEPRE Ode frusciar tra i cespugli e spari di fucile nei prati e nell’ampia collina molte ne vide morir anni prima. Tremante si rannicchia nel gran circolo di spine tra il fiutar e il braccar dei cani con a lato i cacciatori intenti. Ma non la trovano e passano ore ed ore di pazienza. E quando si fa tardi regna pace e gran silenzio. Ora i cacciatori ed i lor cani se ne sono andati e scendono al di là del monte. Ella esce nel suo regno ma qualcuna manca rispetto ai giorni prima. O tiepido sol d’autunno il tuo umil calor fai brullo. La vecchia lepre rosicchia ancora il suo trifoglio bruno e pare dire «grazie…» «… che ancor ho vissuto un giorno in più». ANGELO JANNA TAVÀN
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Collis Chorus
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un anno da incorniciare di Roberto Cauz
Il 2009 per il Collis Chorus è stato un anno ricco di soddisfazioni. A gennaio è finalmente «uscito» il nostro CD titolato «Lets’ go…spel», per il quale l’anno precedente avevamo lavorato sodo. E tale lavoro, collegato ad un progetto di solidarietà per sostenere l’operato dell’istituto musicale «Magnificat di Gerusalemme», ha dato subito
uno palestinese e l’altro israeliano, vincitori del premio sopra citato e all’uopo giunti da Gerusalemme. Il dialogo ed il confronto hanno caratterizzato i nostri incontri con i due musicisti che non si sono limitati alle esibizioni concertistiche, ma sono proseguiti anche in piacevoli momenti conviviali.
di altri gruppi provenienti da tutta Italia. Un traguardo che premia la nostra perseveranza ed il nostro impegno e ci sprona a continuare il nostro cammino, lungo ormai 22 anni, in direzione di nuove e speriamo più importanti mete, viste anche le lusinghiere parole contenute nella motivazione della giuria.
grandi soddisfazioni al gruppo, che lo ha presentato in due serate a Conegliano ed a Sacile in occasione rispettivamente di un galà di beneficenza promosso dall’associazione «Soroptimist» di Vittorio Veneto e Conegliano che ha collaborato con noi per la realizzazione del disco, e del concerto di gala del premio pianistico «A. Tavasani» – Città di Sacile, assegnato allo studente più meritevole dell’istituto musicale di terra santa, tenutosi al teatro Zancanaro della cittadina liventina. In tali occasioni abbiamo avuto il piacere di essere accompagnati da due talentuosi pianisti,
Ad oggi siamo molto orgogliosi di aver raccolto e devoluto all’Istituto circa quattromila euro ed i toccanti ringraziamenti ricevuti da parte della direttrice e del presidente dell’Istituto ci hanno regalato forti emozioni. Emozioni che poi si sono ripetute, più intense ancora, quando al «Festival corale Internazionale» del lago Maggiore, tenutosi a Stresa il 25/10/2009, la giuria ci ha proclamato: «miglior coro nella categoria gospel/pop». Il festival che si è tenuto nella splendida cornice del lago Maggiore ed in una città dove la musica da sempre riveste un ruolo molto importante, ha visto la partecipazione
Non è mancata neanche la nostra partecipazione alla vita paesana con l’organizzazione dell’appuntamento annuale dei «Colori della Speranza» e l’accompagnamento di funzioni religiose particolari quali quella tenutasi per festeggiare il 40° della fondazione dell’A.F.D.S. di Budoia e Santa Lucia e quella relativa alle periodiche cresime. Tali soddisfazioni sicuramente costituiscono la linfa vitale per tutti noi che cantiamo per amore della musica, per la felicità di stare insieme e per la gioia di emozionarvi con i nostri canti. Insomma… «un anno da incorniciare»!
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Pro Loco Budoia festa dei funghi 2009 di Mario Povoledo
Sarà ricordata per le cifre da record, la 42° Festa dei Funghi e dell’Ambiente che va in archivio con profonda soddisfazione. La vivace presenza di migliaia di persone lungo le bancarelle allestite al centro di Budoia, la degustazione di prodotti tipici nella corte ex Andreazza, una rassegna di trattori storici e una rassegna di cani, ha fatto da corollario al programma suddiviso in due fine settimana, arricchito da una serie di iniziative culturali di ampio spessore, a partire dal 4° concorso fotografico «Memorial Marcello Missinato», al convegno sulla qualità e sulla ricchezza dei nostri boschi, con qualificati oratori, sempre sotto l’attenta regia del Consiglio Direttivo dell’Associazione, dell’Amministrazione Comunale, della Provincia di Pordenone, con il Patrocinio della Regione Friuli Venezia Giulia, dell’Associazione fra le Pro Loco Regionale. Una particolare menzione va rivolta al Gruppo Micologico di Sacile, i cui esperti, sapientemente coordinati dal dr. Claudio Angelini, hanno curato nei minimi particolari una Mostra allestita nella palestra comunale, con una ambientazione molto avvincente (sembrava passare in un bosco di conifere). Quasi mille i visitatori della rassegna con 248 e oltre 400 specie classificate dei due sabati.
Di tutti questi particolari e della soddisfazione per i risultati raggiunti si è fatto interprete il Presidente Alessandro Baracchini, non solo durante la cerimonia di inaugurazione della rassegna, alla presenza di un folto gruppo di autorità e di associati, ma soprattutto durante la cena sociale offerta ai quasi duecento volontari che sono l’anima e la sintesi di questi risultati. Un lavoro di squadra, una sinergia di intenti. Un grazie, quindi ai volontari, soprattutto ai giovani di diverse età e a coloro che, in qualsiasi modo e forma si sono prestati per questo lavoro, anche se sono state rilevate alcune imperfezioni oggetto di una attenta riflessione per migliorare in futuro. Per la ristorazione la Pro Loco si è avvalsa della Federazione Italiana Cuochi, sezione provinciale di Pordenone che assieme a personale qualificato ha sfornato un menù di specialità a tema, senza dimenticare il lavoro svolto dall’Enoteca, con abbinati e scelti vini. Non sono mancati gli intrattenimenti per tutti i gusti, ad iniziare dal primo venerdì con un’inedita serata organizzata per i giovani, dopo le due serate «open air», con lusinghieri apprezzamenti. L’aspetto paesaggistico ha avuto la sua nota positiva con la Marcia 31
dei Funghi, nei tre percorsi previsti; record di marciatori oltre 1400 i partecipanti. Anche il sindaco Roberto De Marchi, alla sua prima uscita in questo contesto, ha rivolto un plauso speciale alla Pro Loco, incoraggiando a continuare a lavorare insieme per tenere alto il prestigio della nostra Comunità. Questi momenti sono stati immortalati e il servizio fotografico che presentiamo vuole dimostrare, se ce ne fosse bisogno, dell’importanza del lavoro svolto dalla Pro Loco e dal conforto che possiamo ottenere non solo da questi risultati, ma soprattutto che la nostra gente segue l’attività incoraggiandoci a continuare in questo spassionato lavoro per il raggiungimento di un importante obiettivo: il 50° di vita della Pro Loco nel 2012. Come con viva soddisfazione salutiamo l’arrivo di Riccardo Zambon di Dardago, che a partire da gennaio 2010 è stato assegnato alla Pro Loco, dopo regolare concorso, per svolgere il servizio di volontariato civile e la cui disponibilità, generosità e preparazione ne ha beneficiato già l’Associazione durante le impegnative giornate della Festa. A Riccardo auguriamo un proficuo servizio che lo arricchisca anche interiormente.
Lasciano un grande vuoto... l’Artugna porge le più sentite condoglianze ai famigliari
Marina Carlon Te ne sei andata una sera, all’improvviso, senza salutare, hai lasciato un grande vuoto nel cuore di tua figlia Mariangela assieme a tutta la sua famiglia, dei tuoi fratelli, parenti e a tutti quelli che ti hanno conosciuto e amato. La tua vita non è stata facile, sei stata una donna forte, lavoratrice, generosa, abituata a rimboccarti le maniche: il lavoro e la fatica erano tue compagne. Eri aperta con tutti, ti piaceva conoscere le persone e intrattenerti con loro. Tutto il paese ti conosceva! Budoia, il tuo paese tanto amato che avevi sempre nel cuore. Quando l’hai dovuto lasciare perché la salute e la vecchiaia non ti permettevano più di startene in quella casa tutta sola ti sei
trasferita dalla figlia a Sacile, dove hai avuto amore, cure e compagnia, perché oltre alla figlia, il genero, vedevi i tuoi nipoti Mauro, Dario e Luca con le famiglie e soprattutto i sei pronipoti; Francesco, Giacomo, Alice, Angelica, Alba e Emma. Mi piace ricordare come eri contenta quando ricevevi visite e parlavi dei vecchi tempi e ci lasciavi con il solito saluto e un velo di malinconia: «Salutatemi Budoia!» A quanti l’hanno conosciuta rimarrà sempre il suo bel sorriso e la sua voglia di vivere, il suo animo generoso: lascia un gran vuoto, non ti dimenticheremo… LA NIPOTE ANNA MARIA ANGELIN
Girolamo Momi Zambon Pinàl cordava la sua infanzia a Dardago, desidero ricordarlo con la pubblicazione della sua fotografia.
Il mio carissimo papà Girolamo è deceduto il 23 ottobre dopo una lunga malattia. Giusto un anno fa l’Artugna aveva ricordato il suo 60° anniversario di matrimonio. Visto il suo attaccamento alla terra d'origine e al giornale che tanto gli ri-
LAURA ZAMBON
Marcellino Zambon Pinàl Ricordiamo ancora le estati della nostra gioventù passate nella casa di via Rivetta con i nostri nonni e i nostri genitori: ciao papà, vogliamo ringraziarti per tutto quello che ci hai dato e insegnato e per quei valori che cercheremo di trasmettere ai nostri figli. Te ne sei andato troppo presto ma, forse, era quello che desideravi.
Il 4 settembre 2009 è mancato nostro padre Marcellino Zambon, nato a Dardago il 20 aprile 1925. Trasferitosi a Torino con i suoi genitori e i suoi fratelli Girolamo e Virginia, ha dedicato la sua vita alla famiglia, al lavoro e allo sport. Sempre disponibile e sorridente con tutti ci ha lasciato senza preavviso, in silenzio, come non volesse disturbare noi figli e nostra madre.
I TUOI FIGLI, DARIO, BRUNO, MAURO
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Maria Zambon Ciao Nonnina, quanta voglia di abbracciarti, di stringerti tra le nostre braccia di sussurrarti che ti vogliamo bene. È incredibile il vuoto che c’è in questi giorni senza di te. Ogni momento della giornata pensiamo alla nostra nonnina a cosa avremmo potuto fare ancora insieme. Quanto ci mancherà quando d’estate venivamo a trovarti; come entravamo dal portone tu ci aspettavi fuori in giardino con le braccia aperte e un sorriso che non finiva più e dentro, la tavola già preparata, e da mangiare pasticcio e coniglio. Ogni amico che portavamo a casa si affezionava a te al tuo modo di fare al tuo modo di essere. Ti diciamo la verità però nonna… molti se non tutti all’inizio non capivano cosa dicevi, ma ridevano lo stesso con quelle tue espressioni uniche e con quel tuo mo-
do di parlare il dialetto budoiese. Eravamo proprio un bel trio, quando poi c’era anche Berto, come lo chiamavi tu, allora eravamo una squadra perfetta, indistruttibile. In giro parlavi sempre bene di noi, dei tuoi manigoldi, dicevi sempre questa frase «Guai se non avessi loro», e le
persone dicevano che eri fortunata ad averci. Però nonna, credici, i fortunati siamo stati noi. Ci bastava una tua parola un tuo abbraccio, un tuo bacino per tirarci su il morale. Anche in questi ultimi giorni trovavi la forza di sorridere, di chiedere la nostra mano un abbraccio, continuavi a ripeterci che volevi tornare a casa, che ti bastava solo camminare un pochino, mi avevi chiesto di organizzarti una festa come il giorno del tuo compleanno quando saresti uscita dall’ospedale, era incredibile la voglia che avevi di vivere. Nonna ora che non ci sei più trova la forza di aiutarci a portare avanti quei valori che tu ci hai sempre insegnato. Il rispetto la gioia di vivere e l’allegria… Ci manchi, nonna, ci manchi proprio tanto. Un bacino… MARCO, ENRICO E PAPÀ
Giuseppe Zambon Marìn muratore. Negli ultimi anni il lavoro lo portò a trasferte in vari stati europei. Risale al 2006 l’ultima visita a Dardago in occasione della festa dei coscritti del 1936. Ora riposa accanto al papà nel cimitero di Dardago.
Negli ultimi giorni del mese di agosto è venuto a mancare, a Parigi, il caro Giuseppe, lasciando nel dolore i famigliari e gli amici, in particolar modo la mamma novantasettenne. Emigrato in Francia all’età di diciannove anni, dapprima lavorò nella zona di Clermont Ferrand quindi si trasferì nella capitale dove lavorò come
Un caro ricordo dagli amici e famigliari.
Argelia Lachin Cara mamma e nonna, la tua scomparsa il 16 settembre di un anno fa ha lasciato in tutti noi un grande vuoto. Nei nostri cuori e nella nostra mente riaffiorano tanti bei momenti passati insieme. Grazie per tutto quello che hai fatto per noi, per la forza e il coraggio che hai sempre avuto nell'affrontare fino all'ultimo le difficoltà della vita. In centouno (101) anni hai vissuto, sofferto, gioito e lavorato senza sosta.
Sei stata una grande lezione di vita e di amore e ora il tuo ricordo ci accompagna pieni di speranza. Pace a te e a tutti quelli che ti hanno voluto bene. I FIGLI MIRELLA, IRIDE, RENATO E I NIPOTI
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Ermelina Bocus Ciao «noni», non avremmo mai voluto che arrivasse questo momento, ma purtroppo è arrivato. Eri talmente forte che pensavamo fossi quasi immortale e invece la morte ti ha colto all’improvviso e ti ha portato via da noi. Sicuramente lassù dove sei ti potrai finalmente riposare, visto che hai lavorato tanto nella tua vita. Sicuramente lassù sei nuovamente in compagnia di tuo marito, il nonno Antonio, dopo ben 36 anni, e della Madonna a cui eri tanto devota. A noi mancherai tanto: ci mancherà il tuo sorriso aperto, la tua generosità, la disponibilità nell’aiutare sempre tutti, la vitalità che mettevi nel fare le cose, la mentalità aperta (con te si poteva parlare di tutto!). Eri sempre allegra, ma anche testarda (difficilmente cambiavi idea!). Non dimenticavi mai un compleanno o una ricorrenza, che segnavi metico-
losamente sul calendario. Eri orgogliosa dei tuoi figli, dei tuoi nipoti e dei tuoi pronipoti, di cui parlavi sempre. Non eri una cuoca provetta, ma ti venivano bene le tagliatelle al pomodoro, il pollo con le patate e soprattutto le frittelle a Carnevale. Eri brava a cucire, a rammendare, piegavi talmente bene i panni asciutti che quasi non serviva stirarli. Eri bra-
va anche a lavorare a maglia, soprattutto a fare i «sgalferoti» di lana per l’inverno. E potrei elencare un’infinità di altre cose che sapevi fare bene… Purtroppo qualche anno fa la malattia che ti ha colpito ha preso il sopravvento ed ha oscurato a poco a poco la tua mente. Il dolore nel venirti a trovare e nel vedere che non ti ricordavi più chi fossimo era insopportabile (immagina cosa provassero i tuoi figli!) e ci faceva rabbia perché ti eravamo indifferenti come estranei: ma di certo non era colpa tua, era la malattia. Perdonaci se abbiamo mancato nei tuoi confronti. Ti abbiamo sempre voluto bene e sarai per sempre nei nostri cuori. Siamo sicuri che da lassù veglierai su di noi e ci proteggerai con le tue preghiere. Forse un giorno ci rivedremo. Intanto ti salutiamo. Ciao «noni» e riposa in pace. ALESSIA ZAMBON
Il loro ricordo non sfuma Agostino Vettor E così quel giorno di settembre in cui se ne andò, si portò via anche qualcosa di me, esattamente come prima di lui avevano fatto tutte quelle persone con cui ho condiviso momenti della vita, che ho stimato e alle quali ho voluto bene. Poi la vita continua apparentemente uguale ma profondamente diversa: la finestra che trovavi sempre aperta d’un tratto non lo è più, la voce che non arriva più dal suo giardino, l’incontro del mattino, una parola un sorriso. C’è solo un grande senso di vuoto. Perdiamo così inevitabilmente la gioia di ritrovarsi, la possibilità di dimostrare un affetto, la felicità di un abbraccio. Quante volte sono tornato a Dardago con la morte
Vincenzo Bocus La famiglia di Concordia Sagittaria, la sorella Elda e la nipote Roberta ricordano il fratello Vincenzo mancato un anno fa.
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nel cuore, quante volte i ricordi si sono sovrapposti gli uni sugli altri, di momenti felici, spensierati, dove una parola, un ricordo, una sensazione riempivano facilmente un pomeriggio, una serata… Quanta nostalgia di un tempo che non c’è più. «… ci sono state molte morti nella mia vita, ma il più morto di tutti è il ragazzo che io fui…» Questa frase letta chissà dove e chissà quando è rimasta lì nel mio cuore e nella mia mente per parecchio tempo per riaffiorare prepotentemente in un giorno di settembre di un anno fa. Ciao zio Agostino e ciao zia Vittoria. ENRICO
Cronaca Cronaca nell’anno a venire. Alla fine una raccolta fondi per solidarietà con l’Abruzzo terremotato (1.000 euro) sono andati a quelle comunità così tragicamente colpite. Un successo per tutti dunque nel segno della festa di una Comunità come quella di Santa Lucia che cerca attraverso l’arte e l’impegno di esprimere i sentimenti dell’accoglienza e della migliore convivenza possibile tra i suoi abitanti e con quanti hanno partecipato. IL CONSIGLIO PASTORALE PARROCCHIALE DI SANTA LUCIA
In Canada col pensier a Dardàc
Concerto sotto le stelle «Buona la prima» è il giudizio che dà il regista quando approva la prima scena di un film. A Santa Lucia di Budoia «buona la prima» è stato il giudizio sulla prima vera iniziativa di intrattenimento musicale all’aperto (sotto le stelle) che i cittadini del borgo e il Consiglio Parrocchiale hanno promosso nella sera del 12 giugno scorso. In una frizzante notte di fine primavera , sotto uno splendido cielo stellato si sono esibiti due grandi artisti del panorama del canto lirico leggero italiano: Andrea Binetti (tenore) Gisella SanVitale (soprano) che hanno proposto un programma di brani tratti dalle più note operette internazionali. Una platea incantata ha seguito il concerto quasi a fiato sospeso riconoscendo con lunghi applausi il successo ed il valore dell’esibizione. Importante è stato lo sforzo organizzativo che ha visto impegnati gli operatori del Consiglio Pastorale Parrocchiale e molti cittadini di Santa Lucia, vera e propria nota lieta che fa ben sperare per una riproposizione di un prossimo evento
Sono volato in Canada (Toronto) a trovare mia sorella e la sua famiglia, per trascorrere un periodo indimenticabile di vacanza. Ho trovato il tempo e l’occasione per incontrare l’amico Antenore, uno dei tanti emigranti che hanno cercato fortuna, trovandola con la forza delle loro braccia. Ho parlato a lungo con lui, visitando il suo «residence» nell’immenso verde della sua grande tenuta dove ho portato usi e cotumi del nostro paese. Attimi di comGianni e Francesca in visita all’amico Antenore.
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mozione l momento dei saluti ed un pensiero fisso nel cuore: «Dardàc». GIANNI ROSÌT
Budoiesi a Lignàn
Non conosce soste l’attività della famiglia Lacchin a Lignano. Anche quest’anno i «Sunset Party», che si sono svolti nel tardo pomeriggio di tutti i giovedì nel giardino antistante l’Agenzia Lignano, hanno avuto molto successo. Per l’occasione i titolari offrivano ai loro ospiti degli snack con prodotti tipici friulani, un buon bicchiere di prosecco e la musica dal vivo di Luigi Lacchin, I fratelli Alessandro e Luca Lacchin.
soprannominato la voce di Lignano in quanto il suo timbro vocale ricorda il mitico Frank Sinatra e della moglie Clara. I Lacchin hanno inciso un nuovo C.D. intitolato «From Lignano with love 2009». Molti sono stati gli artisti (pittori, scultori, musicisti, cantanti, danzatrici) che hanno trasformato i party in evento culturale. Le azioni di co-marketing, intraprese da Luigi e dai figli con altre realtà lignanesi e friulane, hanno anche permesso ai numerosi ospiti di conoscere molti prodotti e aziende della nostra regione.
W i coscriti
23 agosto 2009 Classe 1934.
L.L.
Dardagosto
Anche quest’anno, l’estate dardaghese è stata caratterizzata dal Dardagosto, manifestazione che si svolge a cavallo della festa dell’Assunta, patrona del paese. Buona è stata la collaborazione tra il Comune, il CFD, la Parrocchia, il nostro periodico, la Pro Loco e Artugna.it. Ciò a fatto sì che molti volontari abbiano offerto tempo ed energia per organizzare e realizzare i vari eventi. Non sono mancate le manifestazioni culturali come la presentazione del libro Il Vallone di San Tomè, lo spettacolo teatrale Portare, il concerto di Musica Sacra con Stefania Antoniazzi, Silvia Migotto e Andrea Tomasi, la Mostra di Pittura di Alfeo Zambon e di artigianato artistico di Maria Assunta Gambarini e di Maria Grazia Zambon. Le varie serate sono state caratterizzate dalle esibizioni del DJ Alfonso e dai gruppi musicali Alto Gradimento e Formula Due che intrattenevano un pubblico numeroso richiamato anche dalle specialità proposte dal chiosco enogastronomico gestito con maestria da Franco Zambon con la sua squadra. Il torneo di bocce ha raccolto molti consensi, in particolar modo nella serata in cui alcuni campioni hanno dimostrato cosa si può fare con le bocce. Particolarmente applaudito il nostro Mirco Zambon, dardaghese
3 ottobre 2009 Classe 1939. (Foto Torchetti).
La classe 1959 del Comune di Budoia.
verace, con un palmares di trofei e di riconoscimenti di tutto rispetto. Il pomeriggio dell’Assunta è stato caratterizzato dai giochi popolari, una tradizione che dura da decenni e che, quest’anno ha visto una partecipazione entusiasta di bambini più numerosa degli anni scorsi. La Pesca di Beneficenza, organizzata nei locali della canonica, ha richia36
mato come sempre un pubblico numeroso. Il Dardagosto è stato documentato, quasi in tempo reale, sul sito www.artugna.it, in cui sono state pubblicate decine di fotografie relative a tutte le manifestazioni. Un plauso ai molti volontari che rendono possibile la riproposta, anno dopo anno, di una tradizione tanto cara i dardaghesi.
Dhuti in teatro
Il teatro di Dardago vive una seconda giovinezza. Quest’anno, infatti ha ospitato decine di manifestazioni tra incontri, dibattiti, proiezioni di film, rappresentazioni teatrali, esposizioni, presentazioni di libri… Grazie alle iniziative proposte dall’amministrazione comunale e da varie associazioni, la sala si è spesso riempita di gente richiamata dal ricco calendario proposto. Durante il Dardagosto, il teatro ha ospitato una mostra di pittura e di artigianato ed un applauditissimo monologo, Portare, ispirato all’attività delle portatrici carniche durante la Grande Guerra. Successivamente è stata organizzata una mostra sul «fumetto», sono stati proiettati 3 film (nell’ambito della manifestazione Salam Shalom), si sono tenuti alcuni incontri-dibattito. Due sono stati i libri presentati, Il Vallone di San Tomè e, recentemente, Sót ’l balèr. Va ricordato che, quest’anno, il nostro teatro è stato inserito nel circuito di TeatriAssociati, insieme a quelli di Polcenigo, Prata, San Vito al Tagliamento e al Don Bosco di Pordenone. Il progetto vuol dare maggiore visibilità e fruibilità ai teatri di piccole e medie dimensioni della provincia e fornire un'offerta culturale valida anche al pubblico dei piccoli centri. Ciò ha permesso a un folto pubblico di applaudire i Papu in Non è mai troppo tardi, e Gigi Mardegan in Veneti se nasse. Un momento dello spettacolo dei Papu.
I prossimi appuntamenti sono 3 eventi musicali organizzati dall’Associazione G. Fauré e da Vastagamma (9, 16 e 23 gennaio). Sabato 6 febbraio, invece, ritorna il teatro con La lezione di Eugène Ionesco proposto dalla Compagnia della Sabbia.
Su e do pa’ le mont La guida insieme ad un gruppo di escursionisti, a Longiaréthe.
Su e do pa’ le mont, alla scoperta della «resistenza di segni territoriali». Un’esperienza di archeologia del paesaggio è stata vissuta con la visita guidata ai siti del Cjastelàt e di Longiaréthe, sabato 3 ottobre, in occasione della settimana dell’Ecomuseo, in collaborazione con il Comune di Budoia, Legambiente e LisAganis. L’escursione è iniziata da Ciàmpore con la salita al Cjastelàt per constatare come questo «fossile», dopo la sua riscoperta, sia stato adottato dai vicini e ormai riesca a spiegare la sua storia a chi si avvicina. È seguita la discesa per raggiungere la pista forestale che taglia il versante, quindi, si è intrapreso l’antico sentiero dei Coi, proveniente da Budoia, che s’inerpica verso Longiaréthe, uno dei più importanti e «battuti» sentieri di collegamento del paese con la sua montagna. Raggiunta la località, è seguita la visita al primo dei masi medievali che costituivano l’originario abitato di Longiarethe. Esperto ed infaticabile accompagnatore: l’architetto I coscritti del ’49 de Dardac.
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Moreno Baccichet, docente di archeologia del paesaggio all’Università di Venezia e di Ferrara.
Chiei del ’49 de Dardàc
Sabato 31 ottobre i nati nel 1949, di Dardago, ad eccezione di alcune defezioni dovute ad improrogabili motivi di lavoro, ci siamo ritrovati per festeggiare il raggiungimento dei sessant’anni. Per tale ricorrenza ci siamo dati appuntamento alle ore undici, nella chiesa della Pieve, assieme a parenti ed amici, per partecipare alla messa di ringraziamento officiata dal pievano don Adel, il quale nell’omelia ha avuto, nei nostri confronti, parole di plauso per il raggiungimento delle sessanta primavere, ma anche di sprone affinché gli anni a venire vengano vissuti in operosità, dinamismo e gioia di vivere. Terminata la cerimonia, dopo le foto di rito, è stata fatta una doverosa visita in cimitero per deporre un fiore e recitare una pre-
ghiera sulle tombe dei tre coscritti prematuramente scomparsi. Quindi preso posto su di un autobus, appositamente noleggiato, ci siamo avviati verso un paese del trevigiano, ove in un rinomato ristorante ci attendeva un succulento pranzo tutto a base di pesce. Abbiamo trascorso uno splendido pomeriggio e tra una forchettata e l’altra, i discorsi ed i ricordi si susseguivano, venivano alla memoria, in special modo gli anni dell’infanzia, delle elementari e gli aneddoti, siano essi stati gioiosi o meno, venivano esposti in modo incalzante e colorito; in tarda serata, ancora festanti e felici per la indimenticabile giornata trascorsa assieme, ci siamo avviati verso Dardago. Un particolare ringraziamento e plauso vada a coloro i quali hanno organizzato, con maestria e competenza, lo svolgimento di tale ricorrenza, non ne citiamo i nomi per loro espressa volontà. Un secondo incontro, lo abbiamo avuto, il giorno 8 di dicembre, in occasione di una messa in ricordo dei coscritti defunti, al termine della quale, è seguito un altro gioviale convivio; durante il quale si è stabilito di ritrovarci ogni anno in tale data. Arrivederci alla prossima ed un... Evviva per il 1949!
Un momento della cerimonia del 4 novembre.
Marchi, degli Assessori Ianna, Carlon Omar e Zambon Elena, accompagnati da alcuni Consiglieri Comunali. Nutrita la presenza degli Alpini del Gruppo inquadrati dietro il Gagliardetto e di un discreto numero di cittadini. Dopo la celebrazione della Santa Messa, da parte di Mons. Angelo Santarossa, è seguita la parte civile con la deposizione della corona d’alloro al Monumento della Frazione e a quelli di Budoia e Dardago. Un rinfresco, preparato
dagli iscritti all’AUSER, è stato poi servito presso la sede sociale del sodalizio. MARIO POVOLEDO
I à seràt bótega
Dopo dieci anni, gli eredi della tabaccheria Fregona, Luigi e Lina Zambon, cedono l’attività. L’edicola, che si riempiva di clienti fin dalle
FLAVIO ZAMBON TARABIN MODOLA
El 4 novembre
Ogni anno la ricorrenza del 4 novembre, ci trova sempre più in pochi a ricordare, per non dimenticare. Da anni, neppure le scolaresche sono presenti. Chi scrive ricorda come, sin dalle Elementari, ci preparavano a questa giornata, anche di gratitudine verso le Forze Armate, cittadini che vestono la divisa e servono la Patria in questo ambito, senza poi sottolineare il sacrificio di quanti hanno offerto e offrono la vita per il bene comune, la pace, la comprensione fra i popoli, la libertà, la giustizia. Con questo contesto, la Comunità di Santa Lucia ha ospitato la ricorrenza, alla presenza del Sindaco Roberto De
Anche quest’anno la Madonna della Salute ha benedetto le vie di Dardago.
I gelsi, opera di Umberto Coassin esposta insieme ad altre incisioni di paesaggi e elementi naturali ricche di forti emozioni, alla mostra collettiva «Artisti della nostra terra», che si è tenuta in settembre-ottobre, nella splendida cornice di Villa Varda a Brugnera.
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prime ore della giornata, è stata a lungo centro di socialità per Budoia. Sarà difficile, soprattutto per Lina, adattarsi esclusivamente alla vita di casa, avrà il tempo, però, da dedicare al nipotino, insieme a Luigi. Auguri di buon pensionamento! L’attività continua con nuovi proprietari, le stesse persone che gestiscono il bar «Da Renè».
A Buduoia nóve bóteghe
La via Cardazzo si anima per l’apertura di nuove attività commerciali: accanto al campanile, è stato inaugurato, il 5 dicembre, La Mont, negozio di abbigliamento per vivere la montagna di Alessandro Fort di Santa Lucia; poco distante, nella casa Fregona, è stato aperto Pizzeria ai Sapori, servizio di asporto. E oltre la curva, la vecchia taverna di Cosmo ha cambiato pure nome Come ’na volta, bar e ristorantino. Auguriamo a tutti i nuovi commercianti buona fortuna.
I à scominthiàt a lavorà in platha A metà novembre hanno avuto inizio i lavori per la riqualificazione della piazza di Dardago secondo il progetto pubblicato nel numero 115 de l’Artugna. Il primo intervento è stato quello di realizzare un parcheggio per 11 posti macchina in via della Chiesa, al posto del campo da bocce.
I coscritti del ’49 di Budoia e Santa Lucia.
Quindi si è provveduto all’asportazione dell’asfalto di tutta l’area interessata e sono iniziati i lavori relativi agli impianti tecnologici. Successivamente verrà rifatto il manto stradale utilizzando ciottolato spaccato e lastre di pietra piasentina. Per quanto riguarda la viabilità, in via San Tomè e in via della Chiesa rimane il doppio senso di marcia; non si potrà circolare, invece, intorno al monumento e verrà istituito un senso unico dal campanile verso via Rui de Col. La fermata delle autocorriere è stata spostata nella zona tra la scuola materna e il bar «al Campanile». Al termine dei lavori, la piazza avrà cambiato volto. Dovrebbero essere valorizzate le sue caratteristiche che la rendono una tra le più belle piazze della Pedemontana.
El ’49 in festa, a Buduoia Intense emozioni, vissute dai coscritti sessantenni di Budoia e di Santa Lucia, hanno acceso l’atmosfera pomeridiana e serale del primo sabato di dicembre: gioia, meraviglia, liete sorprese godute
Il nuovo parcheggio in via della Chiesa e la piazza di Dardago durante i lavori di sistemazione.
intensamente con persone che non si vedevano dagli anni dell’adolescenza; amicizie infantili profondamente riaffiorate attraverso vivi ricordi. È stato un piacevole stare insieme, dapprima in Chiesa per il raccoglimento spirituale nel ricordo anche dei coetanei defunti di Santa Lucia, e poi in due momenti conviviali, in allegria come negli anni più spensierati d’infanzia. Molto gradito dalle coscritte è stato l’omaggio floreale dei coetanei. L’augurio di tutti è di continuare ad incontrarci, magari allargando il cerchio dei festeggiati.
Pa’ i dhovins del C.R.O.
Anche quest’anno, l’8 dicembre, il Gruppo Oratorio ha organizzato la vendita delle torte, offerte dalle famiglie, a sostegno del Progetto Area Giovani del C.R.O. di Aviano, al quale è stato devoluto l’incasso di 1.019,00 euro. Anche il Gruppo amatori moto d’epoca di Budoia e Pordenone ha allestito una mostra di moto e scooters d’epoca, presso l’Oratorio di Budoia, per lo stesso scopo.
Inno alla vita
Un abbraccio affettuoso di Soraya al fratellino Karim. Sono la gioia di Ali Fakih e di Annalisa Quaia.
Il 7 giugno 2009 è stata battezzata Zoe Marson. Eccola ritratta, dopo il rito religioso, in braccio al prozio Antonio Del Maschio, con accanto la bisnonna Caterina Bocus. Al centro il padrino Davide Fabbro e alla sua destra Andrea Redolfi, proprietario del Bar «Madonna del Monte». Una festa tutta alpina per la piccola Zoe!
Per la gioia dei miei genitori, nonni, zii e parenti tutti sono arrivata a dare un ulteriore tocco di felicità al Natale, mi chiamo Maya Zambon e sono l’ultima della dinastia dei Rosit, figlia di Massimiliano e Vera Disarò.
Ciao a tutti. Sono Simone Terruzzi e desidero presentarvi Nicolò, il mio fratellino nato il 6 settembre. Insieme vogliamo salutare papà Paolo, mamma Valentina Janna Tavàn e augurare a tutti Buon Natale.
Mi chiamo Samuele Modolo. Il mio arrivo ha fatto felici mamma Susanna, papà Claudio e i nonni Alida e Orfeo.
Sono Julie Carlon, l’amore di papà Franck e mamma Christine e la gioia dei nonni Severino Carlon e Edda Ianna Simon. Sono nata e vivo ad Annemasse (Francia) e ho compiuto da poco nove mesi.
Alessandro Sottana in braccio a mamma Barbara e accanto papà Simone.
Auguri dalla Redazione!
Mi chiamo Paolo Joseph Feeley e sono stato battezzato a 4 mesi, a Santa Lucia, il 16 agosto 2009. Ho avuto la gioia di avere alla cerimonia tutta la mia famiglia con tanti amici e anche il nonno, gli zii e una cugina che mi hanno raggiunto dalla lontana America e che si sono tanto commossi per me. Ho avuto l’onore di aver ricevuto il battesimo da don Adel e da padre Luigino Da Ros O.M.I., che mi guardavano con tanto amore. Alla fine, quando mi hanno alzato per prestarmi alla Comunità, ho pianto perché faceva molto caldo, ma il mio cuore era contento, perché sentivo Gesù tanto vicino.
Francesco Busetti e Tiziana Bufacchi si sono sposati lo scorso 28 agosto presso le Terme di Caracalla a Roma. Auguri dalla Redazione.
Il 30 novembre, Iride Ariet e Giuseppe Lachin, attorniati dall’affetto della figlia, del genero, dei nipoti e dei parenti, hanno festeggiato i 50 anni di matrimonio.
Felicitazioni a Letizia Cattaruzza e Luigi Usardi per il raggiunto traguardo dei 25 anni di matrimonio, festeggiati con i figli Eleonora e Andrea nella chiesa di Dardago. La cerimonia è stata celebrata da mons. Giovanni Perin, zio di Letizia e abate di Sesto al Reghena, che li sposò nel 1984.
Angela Rigo Barisel attorniata dai figli Nicoletta, Irma e Gianpietro nel giorno del suo 90° compleanno. Un augurio speciale ad Angela anche dalla nuora Luisa, dai generi Enzo e Giancarlo e dai nipoti e pronipoti.
Uno dei momenti felici di Marina Carlon Cech assieme ai fratelli Maria (classe 1922) e Giobatta (classe 1920), nel 2004, in occasione del suo 90mo compleanno. La figlia, il genero, i nipoti e i fratelli la ricordano con affetto.
Il 19 agosto 2009, grande festa per la prima collaboratrice de l’Artugna a Santa Lucia, Rosina Zambon Rizzo, il giorno del suo novantasettesimo compleanno, qui ritratta insieme con il pronipote Pietro.
Gentilissima Redazione, un sentito ringraziamento per la bella impaginazione e la stima dimostrataci. RENÈ E MARIA DEL ZOTTO
Cari Renè e Maria, grazie a voi per la sensibilità e l’affetto nei confronti de l’Artugna.
Milano, dicembre 2009
Carissima Redazione, proprio ieri ho avuto il piacere di vedere, ascoltare ed apprezzare il vostro ultimo prodotto editoriale: il libro con il CD Sót ’l balèr. Davvero una piacevole sorpresa! Un’opera elegante, di pregio, ben fatta e soprattutto un cd che dà emozione e commozione. Ho ascoltato le canzoni insieme a mia mamma e con il libro aperto davanti a noi abbiamo seguito e «cantato» insieme le musiche più volte, divertendoci con Sót ’l balèr e Comare Tonina e commovendoci con Torne a ciàsa, canzone nella quale tutti noi lontani da Dardago ci identifichiamo. Una parte delle canzoni le conoscevamo per averle già ascoltate dal Gruppo Artugna durante qualche festeggiamento a Dardago: invece nuove erano per noi le «Lodi». Il primo sentimento che ad entrambe è venuto appena terminato il CD è stato di meravi-
Tanti cari auguri per l’Artugna.
AIDE BASTIANELLO
ROSINA SECCO ZAMBON – TORINO
C’è sempre una sottile soddisfazione quando riceviamo lettere dai nostri lettori che siano di approvazione, per il lavoro svolto, o di sprone a fare meglio o di più. Il tuo desiderio di ascoltare e pregare in chiesa con alcune delle lodi, scritte dalla maestra Tina, sarebbe bello e significativo. La decisione non spetta a noi ma a Fabrizio Zambon e don Adel, nostri lettori, a cui «giriamo», sottoscrivendolo, il tuo appello.
PIETRO ZAMBON VIALMIN – FRANCIA
Grazie per l’Artugna. ENRICO SPINA – CANADA
Auguri di buon lavoro, cari amici! SILVANA BOCUS PISU – SUSEGANA
Ringraziamenti ed auguri di buon proseguimento. ELIO PUPPIN – CINA
La mia offerta per l’Artugna. FLORA BALLARDINI – LODI
Per onorare la memoria di Irene De Carolis. CAMILLO ZAMBON – TRIESTE
In ricordo del mio papà, Girolamo Zambon Tarabin Modola. ALESSIO ZAMBON – GENAZZANO (ROMA)
A ricordo di mio Romano Zambon.
marito
La mia offerta per l’Artugna. GIOVANNA ZAMBON – CASSINO TORINESE
Grazie per l’Artugna. BASILIO ZAMBON – FRANCIA
Riconoscente per l’Artugna che ricevo con puntualità. MIRKO DEL ZOTTO
bilancio Situazione economica del periodico l’Artugna Periodico n. 117
entrate
Costo per la realizzazione + sito web
uscite 4.681,00
Spedizioni e varie
203,00
Entrate dal 11.07.2009 al 5.12.2009
4.895,00
Totale
4.895,00
4.945,00
[...dai conti correnti]
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Budoia, 26 agosto 2009
glia e la domanda: «come mai non sono mai entrate nel repertorio della nostra Corale Parrocchiale?» Noi siamo ignoranti in materia e senz’altro un motivo valido ci sarà, però sarebbe bello e appagante per tutti noi poter ascoltare durante la Santa Messa qualcuna di queste «Lodi» nate a Dardago da autori dardaghesi e interpretate dalla nostra bella e brava Corale. Che soddisfazione! È solo un desiderio, un sogno, mai rinunciare ai sogni! Comunque grazie per questo ulteriore regalo che arricchisce la già pregiata «collana» editoriale de l’Artugna. Esprimo la mia riconoscenza a voi che avete avuto l’iniziativa di progettare e realizzare quest’opera e naturalmente un GRAZIE speciale alla maestra Giustina e Cornelio Zambon per averci donato queste canzoni e per l’amore che traspare per Dardago nell’ascoltarle.
programma religioso natalizio
Dardago
Budoia
Santa Lucia
NOVENA DEL SANTO NATALE Sabato 19 dicembre 2009 Domenica 20 dicembre 2009 Lunedì 21 dicembre 2009
17.30 – –
– 17.30 –
– – 20.30
GIOVEDÌ 24 DICEMBRE 2009 VIGILIA DEL SANTO NATALE • Santa Messa in nocte
24.00
22.30
22.00
VENERDÌ 25 DICEMBRE 2009 SANTO NATALE • Santa Messa solenne • Santa Messa vespertina
11.00 –
10.00 18.00
10.00 –
SABATO 26 DICEMBRE 2009 SANTO STEFANO • Santa Messa
11.15
10.00
10.00
DOMENICA 27 DICEMBRE 2009 • Santa Messa • Santa Messa vespertina
11.15 –
10.00 18.00
10.00 –
GIOVEDÌ 31 DICEMBRE 2009 • Santa Messa e canto del Te Deum
18.00
17.00
17.00
VENERDI 1 GENNAIO 2010 SANTA MADRE DI DIO GIORNATA MONDIALE DELLA PACE • Santa Messa solenne Veni Creator • Santa Messa vespertina
– 18.00
11.00 –
11.00 –
18.00
17.00
17.00
CONFESSIONI
MARTEDÌ 5 GENNAIO 2010 VIGILIA DELL’EPIFANIA • Santa Messa vespertina e benedizione acqua, sale e frutta
Segue nelle rispettive comunità la tradizionale accensione dei panevin MERCOLEDÌ 6 GENNAIO 2010 EPIFANIA DEL SIGNORE • Santa Messa solenne
Bambini sabato 19 dicembre, durante il catechismo Budoia: prima della Messa della sera e giovedì 24 dalle 15.00 alle 17.00 Dardago: prima della Messa della sera e giovedì 24 dalle 17.00 alle 19.00 Santa Lucia: prima delle Messe serali e giovedì 24 dalle 15.00 alle 17.00
Natale Ma quando facevo il pastore allora ero certo del tuo Natale. I campi bianchi di brina, i campi rotti dal gracidio dei corvi nel mio Friuli sotto la montagna, erano il giusto spazio alla calata delle genti favolose. I tronchi degli alberi parevano creature piene di ferite; mia madre era parente della Vergine, tutta in faccende, finalmente serena. Io portavo le pecore fino al sagrato e sapevo d'essere uomo vero del tuo regale presepio. DAVID MARIA TUROLDO
• Benedizione dei bambini e arrivo della Befana • Santa Messa vespertina
11.00
10.00
10.00
–
15.00
–
–
18.00
–
Bon Nadhàl par duta l’an Nadhàl no lè la fin de un an vecio ma ’l printhìpio de un nóf...
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Gallus gallus domesticus Gallina · Pita, gjalina O La familiare gallina, vestita senza pretese, che non si è mai sognata di deporre uova d’oro, ha animato per secoli cortili ed aie dei nostri paesi. Appena le si apriva il cancello del puliner, si accovacciava in tel savalon o in te la thenisa, si avvoltolava tutta, la scocodava strofinandosi in un grande arruffio di penne per liberarsi dei parassiti, pollìni, che solitamente la tormentavano quando stava per avvicinarsi un temporale e variava l’elettricità atmosferica che elettrizzava le sue penne: Quan che la pita la va in tela thenisa, riva prest la ploia. Vive all’ombra dell’autorevole gallo, tanto da subire un processo di degradazione simbolica come testimoniano alcuni modi di dire e proverbi. Te à un thervel da pita, quando una persona dimostra un livello intellettivo bassissimo. Te scrive come ’na pita; te à ’na scrittura da pita: chi scrive con una calligrafia inintelligibile. Quando una persona si corica molto presto, la va a dormì co’ le pite. Proverbi visti in negativo: La pita la scocodéa parchè ’l à fat ’l vof (o uof) o La prima pita che la scocodéa ’l à fat ’l vof, riferito ad una persona la quale insiste o si infervora su argomenti che denotano l’ansia di nascondere una colpa. Anche Al è ’na bona pita è il simboleggiare ancora negativamente la gallina per definire qualcuno che è molto scaltro, in senso cattivo. Inoltre, Mèio un uof uncuoi che ’na pita doman è l’invito a prendere una cosa certa, seppur modesta, e lasciare l’incerto, l’ipotetico, anche se può valere molto di più. Un modo di dire meno malevole è Pita vecia fa bon brodo. In senso letterale è vero, perché la gallina vecchia fa il brodo saporito, anche se ha la carne dura, ma l’espressione è usata soprattutto metaforicamente per indicare la persona esperta che vale più di una giovane senza esperienza. Anticamente la gallina, che ci dona l’uovo, il cui simbolismo ci riconduce all’origine del cosmo, era l’immagine della prosperità della famiglia, delle virtù domestiche e della fecondità della donna, come testimoniano scrittori greci e latini. Testo e foto di Vittorina Carlon