l'Artugna 130 -Dicembre 2013

Page 1

Spedizione in abbonamento postale art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone.

Anno XLII · Dicembre 2013 · Numero 130 Periodico della Comunità di Dardago · Budoia · Santa Lucia


di don Maurizio Busetti

del Plevàn

la lettera

Evangelii Gaudium

I l Papa Francesco a conclusione del Sinodo sulla nuova evangelizzazione celebrato sotto il Pontificato di Benedetto XVI, nel 2012, ha emanato un’esortazione apostolica intitolata «Evangelii Gaudium» (La gioia del Vangelo), per richiamare ai cristiani ed informare gli altri che il Vangelo ci porta la gioia. È un po’ una tautologia in quanto già la parola Vangelo significa lieta notizia (dal greco Eu’ Anghelion = Buona notizia, felice annuncio). Ma il Papa della Gioia vuole sottolineare questa particolare caratteristica dell’annuncio cristiano. Già a Betlemme l’Angelo appare ai pastori dicendo: «Vi annuncio una grande gioia che è per tutto il popolo. Oggi è nato nella città di Davide…». E rientrati dopo aver visto il bambino annunciavano con grande gioia a tutti la scoperta che avevano fatto. I Magi che arrivano a Betlemme, vedendo la stella che si fermava su quella grotta: «Gavisi sunt gaudio magno valde» (furono colti da una grande gioia). Già prima di questi avvenimenti, Maria, una giovane ragazza di Nazareth, accogliendo un annuncio strano gioisce e andando in visita alla cugina Elisabetta prorompe in quel bellissimo cantico che inizia proprio con un annuncio gioioso: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore». Chi viene in contatto con il Signore Gesù non può non gioire come i pastori, i Magi, i santi vecchi Simeone ed Anna nel Tempio, i ciechi che riacquistano la vista, i sordi

Meaio del

che sentono, gli storpi che camminano, i lebbrosi risanati, i morti che risorgono, i poveri ai quali è annunciato il Regno di Dio, i peccatori che ottengono il perdono. Ricordiamo tutti la gioia di Zaccheo il pubblicano che salta giù dal sicomoro, per accogliere festante Gesù nella sua casa. O la peccatrice che viene salvata da un sicuro linciaggio. Dove arriva Gesù arriva la gioia. La Chiesa deve essere annunciatrice di questo grande dono del Signore. Il cardinale protodiacono affacciandosi alla loggia in piazza san Pietro per annunciare il nome del nuovo Pontefice inizia proprio così: «Annuntio vobis gaudium magnum: Habemus Papam» (Vi annuncio una grande gioia: abbiamo il Papa). Sembra riecheggiare l’annuncio dell’Angelo ai pastori di Betlemme. L’annuncio che nella Veglia Pasquale all’Exultet, il sacerdote canta: «Esulti la madre chiesa inondata da questo grande splendore» è la gioia per la Risurrezione di Cristo. È il frutto completo della gioia del cristiano. Tutta la storia della Chiesa, pur nelle traversie che ha dovuto subire, è un inno alla gioia dell’essere con Cristo. I pagani che condannavano i primi cristiani con atroci metodi di martirio restavano esterrefatti dalla gioia che inondava queste persone che andavano in pasto alle belve, o sui roghi o con le membra trafitte da vari strumenti di tortura. E quando domandavano la causa di questa letizia si sentivano rispondere che era il Si2

gnore Gesù che li avrebbe aiutati in quei momenti difficili ad andare incontro a Lui. Ricordiamo la gioia di Francesco d’Assisi quando, liberatosi delle cose terrene, si dedica totalmente alla ricostruzione della Chiesa, sposando Madonna Povertà, rivolgendosi ai poveri, servendo i lebbrosi, portando ovunque l’augurio di pace e bene, lodando Dio per tutte le realtà create. Gioendo perfino quando gli acciacchi e le sofferenze conseguenti gli creeranno grossi fastidi, il santo assisiate dirà: «Tanto è il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto». San Filippo Neri, san Giovanni Bosco saranno i campioni dell’allegria cristiana. Dirà il grande padre e maestro della gioventù: «Peccato e malinconia lontani da casa mia». Chi non ricorda la paciosa bonarietà di Giovanni XXIII, l’irruente partecipazione all’allegria giovanile di Giovanni Paolo II? La religione cristiana è la religione della gioia. «Andate al Signore con canti di gioia» è un’espressione del Salterio (Libro di preghiera tratto dai salmi della Bibbia) che riecheggia in tutta la liturgia cristiana. La preghiera della Chiesa è in gran parte impregnata di questa caratteristica. Perfino nel momento cruciale della vita che si spegne alla luce di questo mondo, la Chiesa accompagna i suoi figli che partono da questa terra con i bellissimi salmi: «Esultai quando mi dissero andremo alla casa del Signore» e


«Il Signore è il mio pastore non manco di nulla, in pascoli di erbe fresche mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce, ristora l’anima mia». Di fronte a tutto questo tripudio di gioiosa fede, il Papa Francesco nella «Evangelii Gaudium» lamenta che molti, troppi cristiani vivono in un perpetuo clima quaresimale, sempre insoddisfatti, sempre ripiegati ad esaltare i tempi passati quasi fossero stati migliori degli attuali, sempre incupiti nel far pesare il male presente nella società e nella Chiesa più che l’immenso bene che la fede cristiana fa nascere nel cuore e nelle azioni di tante persone che vivono tese nella costruzione del Regno di Dio. Non si nasconde il Papa la difficoltà di molti in mezzo alle traversie della vita che, molte volte, generano tristezza e sa per esperienza che non tutti i momenti della vita sono uguali e che talvolta il cuore dell’uomo sanguina e sanguina forte, ma invita tutti a incontrare Gesù sulla propria strada perché Lui solo è in grado di darci la vera gioia. Sentiamo la parola del Papa. «Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui, perché ‘nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore’.

Adorazione dei pastori Francesco De Mura (1696-1784), Napoli, chiesa di San Nicola alla Carità.

Natale

Chi rischia, il Signore non lo delude, e quando qualcuno fa un piccolo passo verso Gesù, scopre che Lui già aspettava il suo arrivo a braccia aperte. Questo è il momento per dire a Gesù Cristo: ‘Signore, mi sono lasciato ingannare, in mille maniere sono fuggito dal tuo amore, però sono qui un’altra volta per rinnovare la mia alleanza con te. Ho bisogno di te. Riscattami di nuovo Signore, accettami ancora una volta fra le tue braccia redentrici’. Ci fa tanto bene tornare a Lui quando ci siamo perduti! Insisto ancora una volta: Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia. Colui che ci ha invitato a perdonare settanta volte sette (Mt 18, 22) ci dà l’esempio: Egli perdona settanta volte sette. 3

Torna a caricarci sulle sue spalle una volta dopo l’altra. Nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile. Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia. Non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada. Nulla possa più della sua vita che ci spinge in avanti!» Come i pastori corriamo verso la grotta e lasciamoci invadere da questa pace del Presepio, dalla gioia delle cose semplici, un asino, un bue, una giovane donna col marito, un Bambino che dona luce. È questo l’augurio del vostro Parroco per questo Natale. Incontrate Gesù, andate in cerca di Lui, scoprirete la Gioia. Buon Natale!


[ la ruota della vita ]

NASCITE Benvenuti! Abbiamo suonato le campane per l’arrivo di... Tommaso Verardo di David e Alessandra Zambon – Dardago Diego Zambon di Luca e Roberta Giust – Dardago Leonardo Ostoich di Marco e Chiara Rossi – Venezia Gabriele Bitto di Eros e Manuela Rosa – Santa Lucia Alessia Fedrigo di Paolo e Rosanna Lanzillotti – Santa Lucia Alex Lacchin di Andrea e Sonia Liva – Budoia Matteo Milito di Francesco e Cristina Chiesa – Milano Alessandra Brosolo di Alberto e Tiziana Bastianello – Pordenone Sofia Marson di Oscar e Luana Pivetta – Dardago Cecilia Baldissera di Andrea e Anna Morsanuto – Dardago

MATRIMONI Felicitazioni a... Fabio Zambon Biso e Maria Amelia Da Vitoria – Dardago Andrea Dorigo e Alessandra Marcuz – Budoia Elena Carlon e Alessandro Bonadio – Budoia Nozze d’oro Marco Smeraldi e Lidia Basso – Dardago Giovanni Job e Bruna Zambon – Tarcento (Udine) Giancarlo Angelin e Bibiana Colombi – Bresso (Milano) Luciano Bocus Frith e Franca Ianna Theco – Dardago Mario Andreazza e Mariarosa Cauz – Budoia Nozze di diamante Ferdinando Brussato e Ambrogina Rigo – Saronno (Varese)

LAUREE, DIPLOMI Complimenti!

Laurea triennale Eleonora Martinelli – Psicologia della comunicazione – Milano

DEFUNTI Riposano nella pace di Cristo. Condoglianze ai famigliari di…

IMPORTANTE Per ragioni legate alla normativa sulla privacy, non è più possibile avere dagli uffici comunali i dati relativi al movimento demografico del comune (nati, morti, matrimoni). Pertanto, i nominativi che appaiono su questa rubrica sono solo quelli che ci sono stati comunicati dagli interessati o da loro parenti, oppure di cui siamo venuti a conoscenza pubblicamente. Naturalmente l’elenco sarà incompleto. Ci scusiamo con i lettori. Chi desidera usufruire di questa rubrica è invitato a comunicare i dati almeno venti giorni prima dell’uscita del periodico.

Mario Del Zotto di anni 84 – Aix Les Bains (Francia) Battistina Zambon di anni 96 – Venezia Lucia Giacomelli di anni 84 – Polcenigo Resi Busetti di anni 86 – Dardago Caterina Fort di anni 88 – Santa Lucia Emilio Naibo di anni 72 – Budoia Giuseppe Zambon di anni 85 – Dardago Maria Carlon di anni 91 – Budoia Battistina Zambon di anni 96 – Venezia Fernanda Rigo di anni 86 – Dardago Vittorio Zambon di anni 97 – Budoia Franco Zambon di anni 48 – Dardago Osvaldo Carlon di anni 88 – Budoia Luigi Bocus di anni 81 – Budoia Elio De Nadai di anni 74 – Dardago Ermenegilda Bastianello di anni 97 – Dardago Antonia Bragaggia di anni 93 – Santa Lucia Giovanni Angelin di anni 60 – Budoia Maria Luisa Martinotti di anni 64 – Santa Lucia Virginia Giglioli di anni 85 – Budoia Clotilde Teresina Bocus Usardi di anni 89 – Dardago

4


In copertina. 28 agosto 2013. Papa Francesco abbraccia Luca Pauletti in occasione della visita alla comunità degli Agostiniani di Roma.

Periodico della Comunità di Dardago, Budoia e Santa Lucia

Un abbraccio che è simbolo del coraggio, della simpatia, della coerenza, della forza e della fede dell’uomo chiamato nel 2013 a guidare la Chiesa.

2

La lettera del Plevàn di don Maurizio Busetti

[foto di copertina e dell’articolo a pagina 27, © L’Osservatore Romano]

4

La ruota della vita

6

L’orsoglio di Dardago di Roberto Zambon

10

'Meno Sclofa' che bò che ’l aveva di Anna Pinàl

icembre 20 ·d

13

anno XLII

sommario 130

11

Due storie di vita d’oggi Claudia a Dardago e Lucia in Africa di Anna Pinàl

30

Nel giardino di Tina... incontro musicale sotto le stelle di Sante Ugo Janna

16

Cuan che ere ’na canaja… di Rosina Vettòr Cariòla e Adelaide Bastianello Thìsa

31

L’aga de ’l rujàl di Carlo Zoldan

Direttore responsabile Roberto Zambon · tel. 0434.654616

32

19

Per la redazione Vittorina Carlon

El palath del dotor di Alberta e Gabriella Panizzut

Angelo Modolo: l’incanto del colore, la poesia delle parole di Elena Modolo

21

Berto Moro con la sua bottega di Enrichetta Angelin

33

L’angolo della poesia

34

El Comitato del Ruial de San Tomè

Gio Maria, emigrante in Francia di Vittorina Carlon Una generazione che non c’è più di Paolo Emilio Sfriso

36

Collis Chorus A Sarmede e Talmassons Colori della speranza di Bruno Fort

Volontariato in Tanzania Villaggio della Gioia di Martina Pellegrini

37

Lasciano un grande vuoto...

40

Cronaca

43

Inno alla vita

46

I ne à scrit... e bilancio

47

Palsa Programma religioso natalizio

Direzione, Redazione, Amministrazione tel. 0434.654033 · C.C.P. 11716594 Internet www.artugna.blogspot.com e-mail direzione.artugna@gmail.com

Impaginazione Vittorio Janna

22

Contributi fotografici Archivio de l’Artugna, Vittorina Carlon, Pietro Ianna, Vittorio Janna, Francesca Romana Zambon, Roberto Zambon, Ugo Zambon Pala, www.artugna.it

24 25

Spedizione Francesca Fort Ed inoltre hanno collaborato Francesca Janna, Espedito Zambon

25

Me pari e il paradis di Cjstierne di Umberto Coassin

Stampa Sincromia · Roveredo in Piano/Pn

26

Viaggio a Roma di don Maurizio Busetti

27

L’incontro con il Papa di Rosetta Gagliardi Gislon

27

L’emozione non ha voce di Andrea Pauletti

28

Dardagosto 2013 di Adelaide Bastianello Thisa

29

Dalla mia finestra... di Chiara Maccioccu

Autorizzazione del Tribunale di Pordenone n. 89 del 13 aprile 1973 Spedizione in abbonamento postale. Art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone. Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione di qualsiasi parte del periodico, foto incluse, senza il consenso scritto della redazione, degli autori e dei proprietari del materiale iconografico.

5

ed inoltre... Albero genealogico de «I Busetti Caporàl... da Francesco a Ludovico» Ventinovesimo inserto a cura di don Maurizio Busetti


l’orsoglio di Dardago di Roberto Zambon

In questi mesi, grazie all’attività di molti volontari che si sono adoperati per il suo recupero, si è parlato spesso del ruial. Molti, ormai, sanno che è stato costruito nella seconda metà del ‘600 per far funzionare un orsoglio alla bolognese a Dardago. I nostri lettori, già 26 anni fa, erano venuti a conoscenza di ciò grazie ad un articolo di Fabrizio Fucile pubblicato nel 1987.1

M a cos’è un orsoglio alla bolognese? Per soddisfare questa curiosità, il nome stesso ci suggerisce di ricercare in quel di Bologna. La bella città emiliana, per secoli, è stata una delle capitali europee della seta. Il filo di seta, estratto dal bozzolo nelle filande, prima di essere utilizzato per la tessitura deve essere ritorto, talvolta anche assieme ad altri fili. Nell’antichità, questa operazione avveniva manualmente e nel Medioevo si utilizzavano torcitoi, detti anche filatoi, manuali. Sfruttando sapientemente la fit6

ta rete di canali e di corsi d’acqua, i bolognesi costruirono un gran numero di filatoi che, a differenza di quelli allora utilizzati in altre città, non erano azionati dalla forza dell’uomo ma da una ruota a cassette situata nello scantinato dell’edificio che li ospitavano. Per far girare la ruota bastava un limitato flusso d’acqua di un piccolo canale. Si ritiene che l’inventore del filatoio idraulico sia stato un mercante di Lucca che, sfruttando le conoscenze maturate nella sua città natale, migliorò il filatoio tradizionale con l’inserimento di una ruota idraulica e di un incannatoio meccanico.2 Nacque così una comples-


A sinistra. Per ricordare l’importanza che l’orsoglio ha avuto per la storia economica di Bologna, il Museo del Patrimonio Industriale del capoluogo emiliano gli ha riservato un’ampia sezione in cui, tra l’altro, spicca un grande modello di mulino da seta, completo di ruota idraulica, incannatoio e torcitoio. L’incannatoio è stato realizzato lateralmente per motivi didattici. Nella realtà era posto sopra al torcitoio, al piano superiore del fabbricato.

sa macchina idraulica che svolgeva automaticamente e contemporaneamente molte fasi lavorative. Una delle più efficaci descrizioni del meccanismo e del funzionamento dell’orsoglio alla bolognese ce l’offre l’architetto Vittorio Zonea nel suo trattato «Novo Theatro di machine ed edifici» pubblicato a Padova nel 1607: «... bellissima, anzi meravigliosa è la fabbrica del filatoio ad acqua, percioché si vede in essa tanti movimenti di ruote, fusi, rotelle e altri sorti di legno per traverso, per lungo e per diagonale, che l’occhio vi si smarrisce dentro, a pensarvi come l’ingeno humano habbia potuto capire tanta varietà di cose, di tanti movimenti contrari mossi da una sol ruota che ha il moto innanimato…».3 La rivoluzione tecnologica del filatoio bolognese si può, quindi, riassumere sull’utilizzo della forza

idraulica e sulla dotazione di incannatoi meccanici; inoltre la filatura non avveniva sui comuni aspi ma su rocchetti che permettevano una migliore torsione del filo. Nell’arco di tre secoli (dal ’300 alla fine del ’500) grazie a questi filatoi idraulici, chiamati anche torcitoi o mulini da seta, l’industria e il commercio che ruotava intorno a questa attività assunse un ruolo fondamentale per l’economia bolognese. Alla fine del XVI secolo quasi la metà dei sessantamila abitanti della città viveva grazie a questo settore economico. I suoi preziosi filati e tessuti erano esportati in molti paesi europei.4 Tra i prodotti più preziosi e famosi ottenuti con questi filatoi idraulici spiccava l’orsoglio che finirà per dare il proprio nome al filatoio che serviva a produrlo. L’orsoglio, detto anche organzino, è un particolare filato di seta, usato per la produzione dell’ordito di tessuti di gran pregio. I governanti di Bologna custodirono con apposite leggi il segreto della tecnologia dell’orsoglio. Temevano che la sua diffusione in altre città avrebbe dato vita a una pericolosa concorrenza. Malgrado le pene previste, però, il segreto non rimase tale e alla fine del Cinquecento vennero costruiti orsogli alla bolognese anche nella terra-

In questi ultimi anni, si assiste ad un rinnovato interesse verso i filatoi idraulici. Oltre a quello di Bologna, un piccolo torcitoio domestico del XVIII secolo è esposto a Gorizia. Ad Abbadia Lariana (Lecco) sono stati restaurati un torcitoio e un incannatoio che avevano lavorato dagli inizi del 1800 fino ai primi decenni del 1900.5 A Bevagna (Perugia), a cura della «Gaita Santa Maria»15 è stato ricostruito un torcitoio sulla base di quello esposto a Gorizia.

Nella foto. Piccolo filatoio domestico operante nel 1700. È visibile al Museo della Moda e delle Arti Applicate di Gorizia.

7

ferma della Serenissima Repubblica di Venezia.6 Ben presto il capitale veneziano si rivolse anche agli «edifici da orsoglio». Nel 1634 con un decreto, la Serenissima intese favorire la costruzione di questi opifici: veniva garantito l’uso gratuito delle acque, l’esenzione da ogni regolamentazione corporativa, dalle imposte e dal dazio di transito. Nel Veneto gli orsogli ebbero larga diffusione nelle zone ricche d’acqua, come la zona del Brenta. Molti quelli di proprietà dei nobili Morosini.7 Dopo pochi anni il business della manifattura dei filati di seta invogliò anche alcuni possidenti friulani ad impegnarsi in questo settore. Tra questi, uno dei più lungimiranti fu Simone Fullini di Polcenigo. Simone, figlio di Giorgio, era un rampollo di una famiglia proveniente dall’Alpago arricchitasi con i commerci. L’elevato patrimonio consentì alla famiglia di acquisire il feudo e il titolo dei nobili di Zucco e Cucagna. Tra l’altro, a Polcenigo, nei primi anni del ’700 i Fullini costruirono il maestoso palazzo che domina la piazza del paese. Nel prestigioso palazzo alloggiò il principe Eugenio di Beauharnais, figlio adottivo di Napoleone Bonaparte,


Gli storici della Rivoluzione Industriale definiscono l’Orsoglio alla Bolognese come la macchina che ha realizzato per prima il «sistema di fabbrica» meccanizzando la produzione e subordinando il lavoro a compiti di alimentazione, sorveglianza e controllo. Rappresentava la più alta tecnologia europea prima della Rivoluzione Industriale. Anche la famosa Encyclopédie di Diderot e D’Alambert, pubblicata nel XVIII secolo, riportava una dettagliata

descrizione dell’Orsoglio con disegni dell’insieme e di particolari. Le due figure qui riportate rendono bene l’idea di come era strutturato l’edifficio da orsoglio: la ruota idraulica, il torcitoio e, al piano superiore, l’incannatoio. Va rilevato un errore commesso dai disegnatori dell’epoca. L’Orsoglio alla Bolognese non funzionava con una grande ruota da mulino a pale, ma con una piccola ruota a cassette, posta a un livello più basso rispetto al torcitoio, che alimentata per caduta dell'acqua dall'alto, sfruttava il peso dell'acqua che si accumula tra le pale. «Scuolaofficina» Periodico di Cultura Tecnica, Anno settimo, n. 2, luglio 1988 (Bologna).

Altra inquadratura del grande modello (scala 1:2) esposto al Museo del Patrimonio Industriale di Bologna.

la notte tra il 15 e il 16 aprile 1809, prima della battaglia di Camolli. Simone, convinto della bontà della tecnologia arrivata da Bologna e invogliato dagli incentivi fiscali fu il primo a costruire un orsoglio alla bolognese nella nostra regione. Forse possedeva dei terreni a Dardago e decise di costruire qui il suo opificio. Mancando l’acqua, indispensabile per il funzionamento della macchina, decise di presentare una supplica ai Provveditori Sopra li Beni Inculti a Venezia (1669) per portare l’acqua del Cunath fino all’inizio dell’attuale Via Brait. La supplica fu accolta e, in poco tempo, venne costruita – inizialmente in legno – la condotta d’acqua che è l’attuale ruial. La sua lunghezza era di poco inferiore ai 2000 metri! L’anno seguente l’orsoglio di Dardago cominciò ad operare! Solamente nel 1684 l’udinese Giovanni Battista Zamparo fu autorizzato a sfruttare l’acqua della roggia di Borgo Grazzano per un filatoio alla bolognese. Oltre ad essere il primo costruito in Friuli, l’orsoglio di Dardago «fu indubbiamente uno dei primi filatoi di qualità della Repubblica veneta».8 I Fullini investirono molto anche in filande e telai e prosperarono durante tutto il ’700 e nei primi decenni del secolo successivo. Nel 1711 l’opificio fu acquistato dal conte Gio:Battista Fullini. L’orsoglio di Dardago era attivo per 10 mesi l’anno: nei rimanenti due mesi gli operai venivano utilizzati nelle filande per la trattura, cioè il dipanamento dei bozzoli del baco per ottenere il filo di seta. Purtroppo non sappiamo a quanto ammontavano le maestranze occupate a Dardago. Nel 1776 un altro conte Gio:Battista Fullini, nipote del precedente (?), sfruttando le acque del ruial – ormai centenario – costruì il molino sopra l’abitato di Dardago.9 Il conte Gio:Battista era in quel periodo uno degli imprenditori più intraprendenti in tutto il Friuli: pos-


sedeva una filanda con 24 fornelli10 a Polcenigo11 e una a Udine con 21 fornelli. Nel capoluogo friulano operava anche un altro Fullini, di nome Giovanni. Questi ultimi dati si riferiscono al 1805. Riguardo agli anni successivi non ci sono, per ora, altre notizie sulla attività imprenditoriale della ricca e nobile famiglia di Polcenigo. Si può supporre che l’orsoglio di Dardago sia rimasto attivo fino agli albori del ’800. Dove si trovava l’orsoglio? È difficile stabilire con esattezza dove operava l’orsoglio. Di sicuro le mappe relative alle due suppliche del 1669 e del 1775 indicano l’edifficio da orsoglio nella prima parte dell’attuale via Brait, sul lato sinistro scendendo dalla piazza. Alcune ipotesi hanno individuato come possibile ubicazione la zona che va dall’edificio delle ex poste fino alla «ciàsa del Maressial».12 Tuttavia le mappe del catasto napoleonico, che seppur pubblicate intorno al 1830 si riferiscono a rilievi di qualche anno prima, dimostrano con certezza che l’ultimo fabbricato esistente, scendendo per via Brait (a quel tempo chiamata «Strada Comunale detta del Chiesiolo» con riferimento all’«altarol» della Madonna eretto nel 1800),13 era la casa abitata – nel corso del ’900 – da Fort Giovanni Salute, dal figlio Luigi e dal nipote Reddi. L’edifficio da orsoglio, sicuramente esistente all’epoca dei rilievi, non poteva essere ignorato dal catasto a causa delle le sue caratteristiche e dimensioni. Pertanto, dovendo fare riferimento agli edifici indicati, è verosimile che la ubicazione dell’orsoglio fosse proprio in corrispondenza dell’antica casa dei Salute.14 È solo un’ipotesi. Purtroppo, fino ad oggi, non è stato trovato nessun reperto che possa testimoniare con certezza l’ubicazione del primo orsoglio alla bolognese costruito in terra friulana.

Modellino per spiegare il meccanismo della ruota a cassette ideata per far funzionare l’orsoglio alla bolognese. Era posta ad un livello più basso rispetto al filatoio ed era alimentata da una piccola quantità d’acqua: quella del ruial era sufficiente. (Museo del Patrimonio Industriale di Bologna).

NOTE 1. Fabrizio Fucile, La seicentesca origine del «ruial», l’Artugna, agosto 1987, n. 51.

lon, Fabrizio Fucile, pp. 133-134, in Storia di Budoia, di Alessandro Fadelli, Ed. Biblioteca dell’Immagine, Pordenone, 2009.

2. L’incannatoio trasferiva automaticamente la seta greggia dalle matasse ai rocchetti. Una volta pronti, i rocchetti venivano posti sul torcitoio.

10. Il fornello era una specie di caldaia dove si immergevano nell’acqua calda i bozzoli per poterli dipanare e ottenere il filo di seta.

3. Anna Magli, I filatoi idraulici di Bologna, www.soloseta.it 4. Lorella Grossi, La tessitura delle stoffe di seta a Bologna nei secoli XVI-XIX, www.soloseta.it 5. «Scuolaofficina» Periodico di Cultura Tecnica, Anno settimo, n. 2, luglio 1988 (Bologna). 6. Una «spia industriale» inglese, nei primi anni del ’700, fece conoscere in Inghilterra il segreto dell’orsoglio e grazie all’opera di operai italiani costruì a Derby un grande mulino da seta che diventò uno di simboli della Rivoluzione industriale inglese. 7. Antonietta Curci, Le antiche vie dell’acqua, Consorzio di Bonifica del Brenta. 8. F. Bof, Gelsi, bigatterie e filande in Friuli, Pasian di Prato 2001 p. 53 e seguenti. 9. La prima industria budoiese, Schede di approfondimento di Vittorina Carlon, Vittorio Janna, Roberto Zambon, Magda Car-

9

11. Altre filande a Polcenigo, tra parentesi il numero di fornelli, erano quelle del conte Francesco di Polcenigo (11), di Antonio Rossi (12), di Francesco Rossi (18). Ad Aviano operava la filanda di Antonio Cristofori (10). 12. Luigino Zin, Il rujal dell’Artugna, Il Vallone di San Tomé, a cura di Roberto Pavan e Clara Costariol, 2009. 13. Vittorina Carlon, Segni Religiosi nelle vie e nelle case, l’Artugna, agosto 1987, n. 51. 14. Reddi Fort (1958) ricorda che la nonna gli disse più volte che sulla chiave di volta di un vecchio arco demolito era indicata una data del ’600. Ricorda anche di aver sentito che anticamente la casa era abitata dai Tavàns. Una conferma ci arriva dal registro dei battesimi della Pieve di Dardago: gli avi di Giovanni Fort Salute, vissuti nell’800, sono indicati come Tavàn. 15. La Gaita Santa Maria, riscopre l’Arte della Seta, Dimensione Grafica, Spello, 1997.


'Meno Sclofa' che bò che ’l aveva

due storie Domenico Zambon con la moglie Giovanna Bastianello nel 1906, in piazza con i suoi buoi nel 1956 e sulla s’ciàla a sclauth in età avanzata.

E ra in trionfo per lui, mostrarli appaiati, enormi, in un passeggio di dopo-fatica, che sembrava più esibizione che un normale andare. Con grazia, orgoglio, bellezza oggi ignota, quella bellezza che ha la forza fisica quando è calma, inconsapevole di sé, rassicurante. In tutto il ceppo degli Sclofa era così, penso, da secoli, belli tanto, temuti e invidiati. Maschi di quello stile che è finito nei miti delle cinematografie, che hanno girato sugli schermi per mostrare lo stile del coraggio. Mai spavaldi, forti e basta. Oggi con Enrico e la figlia Claudia e il loro lavoro di allevatori, abbiamo l’unica attività che ci lega al passato… che si fanno assistere da una tecnologia complicata, con una saggezza precisa e tutta nuova. E noi, sbigottiti, a guardare il cambiamento da Meno Sclofa

in poi, e domandarci se è stato bene andarcene via. Sono allevatori, cioè contadini, con vace, vedei, fen, late, gli odori sono rimasti quelli. E che elo restat ’n tel nostre ciaf? Se è vero che il tempo è l’unico bene che ci appartiene veramente, si può dire che il contadino è quello che lo ha saputo usare come un gran signore. Con calma, con le mani libere, senza togliere a nessuno, senza pesare su nessuno. Chi ama il proprio lavoro, ama anche la fatica del proprio lavoro. Va incontro agli intralci con volontà di affrontarli e scioglierli. Non cerca il colpevole come si fa in città. Dove si presume che nulla di storto debba sopravvenire senza che ci sia qualcuno da individuare, e che ne è stato l’autore. Di tutti gli uomini il contadino è quello che non ambisce il potere, 10

non lo insegue, non sa neppure che cosa sia, quindi non si presta a giochi di potere, a scambi. Ama il suo Dio, magari a modo suo, con il quale ha un’alleanza di conoscenza, sempre a modo suo, in tutte le circostanze possibili, senza vanteria. Pensiero misterioso a chi non ha esperienza, neanche un pochino, di questa ricchezza di vita. Chi ha fatto o potuto fare qualche confronto, sa che è difficile tirare le conclusioni. Il cittadino sente le sue capacità, si esalta, si autostima, e si mette in gioco per fare scalate sulle rampe organizzative sociali o del lavoro. Il contadino sente le sue capacità e ne fa un uso tranquillo, occasionale, nella semplicità o complessità ma anche nell’ostilità, a volte, della natura. I cittadini sono agitati per la paura di essere travolti nella mobilità di


obiettivi, da gestire a tappe ravvicinate. E messi sempre a rischio da piccoli eventi che si mettono di traverso. Quelli che fanno tutto in fretta, non gustano mai niente, neanche le cose che sanno fare bene o che gli altri fanno bene per loro. Siamo così tutti noi di Milano, e quelli delle altre città del nord, più o meno sono lo stesso. E quando ci prendiamo una vacanza e veniamo qua, i conti dei guadagni della vita sono un po’ in disordine. Non tornano. Sentiamo che abbiamo abbandonato qualcosa che valeva. E che la nostra boria di arrivati è sconsiderata. Di tutti i tipi di lavoratori, il contadino è quello che lavora

senza accorgersene. Non ha una tabella di marcia. Non un orologio con sé. Non un sovrintendente che lo controlla. Non ha chi rifinisce il lavoro, se non fosse ben fatto… Non ha un numero di matricola sull’indumento di lavoro… Non timbra il cartellino quando entra nella stalla o nel campo, e soddisfa le attese dei bovini affamati, o quelle della terra avida di accogliere la semente. È presente per far sorgere e sviluppare la vita in tutte le forme. Lui c’è. Questo è il suo lavoro. Esserci. È uno che ogni giorno raccoglie le forze e ricomincia… Non ha distanze da sottolineare per dire che lui è altro, perché non ha distanze, lui è lì con loro, i suoi

di vita d’oggi

animaloni, attento e previdente. Va allo stesso passo, sotto lo stesso sole, respirando la stessa aria, odorando gli stessi aromi, ascoltando gli stessi stridi e gridi di volatili che giocano girando in alto sopra le fatiche per distrarre e alleggerirle. Il più limitato e fragile degli esseri creati, ha ricevuto l’ordine di dare aiuto a creature più forti, di intervenire nella loro condotta, e metterle ai suoi ordini. L’uomo è il più incapace degli esseri, ma il più accettato, gradito, amato dagli esseri, disposti a fare alleanze, ed a accettarne il comando. E adesso lì dagli Sclofa c’è una donna al comando. Un miracolo del cambiamento.

di Anna Pinàl

Il Signore ha tolto la forza ai vecchi per darla ai giovani. E i giovani? La maggior parte se ne infischiano! Il Signore ha imposto ai vecchi di non giudicare. E i giovani? l più violano allegramente prediche e regole! Il Signore ha regalato ai vecchi l’esperienza per vivere. E i giovani? Se ne guardano bene dall’imitarli. Il Signore ha reso i vecchi sempre meno attraenti, col passare degli anni. E ì giovani? Credono di restare belli per sempre. Alt! Qui abbiamo due esempi che smentiscono e mandano in frantumi tutti questi pregiudizi contro i giovani. Qui sono i giovani a insegnare ai vecchi!

Claudia a Dardago e Lucia in Africa T e li aspetti ciarlieri e supponenti e loro sono assorti e silenziosi. Li immagini autorevoli e dominatori e loro sono umili e accomodanti. Sono i nuovi manager di aziende agricole che fanno funzionare con sistemi telematici le più indispensabili aziende del futuro, quelle che ci permettono di alimentarci cioè di esistere. E quello che immagini di meno è che il più nuovo 11

e il primo in questa zona sia una giovane donna dall’aspetto ancora di ragazza, con un look e uno stile di camminata che fa pensare partecipi alle sfilate di moda e poi smetta il lusso per indossare abiti sobri per la vita in agricoltura. Primo fra tutti, non tacchi vertiginosi ma stivali di gomma, i quali richiedono l’andatura lenta e il passo tranquillo per necessità di movi-


Da sinistra. Anna Pinàl, la piccola Elisa, Claudia con Riccardo tra le braccia. Sopra. La moderna stalla degli Sclofa in località Lingoria. Sotto. Claudia con il marito Federico e i figli.

menti sicuri, non per esibizione come fanno le ragazze nei defilè di moda, sotto i flash dei fotografi. È lei, la Claudia dei Sclofe, la ragazza che si vede qui, mamma di Elisa e di Riccardo e i componenti di una famiglia ridotti al minimo, tra i quali papà Enrico, reale fondatore e comproprietario con lei, e il marito impegnato per tutto

il grosso dell’agricoltura, cioè arature, semine, mietiture, attività nella stalla, (foraggiare, abbeverare, mungere, ripulire); e la mamma costantemente in giro a occuparsi delle infinite e logoranti pratiche burocratiche. A fare muovere l’azienda è lei, forte di un diploma di specializzazione acquisito a suo tempo a Conegliano, al Cerletti, con elevate valutazioni e una passione così spiccata da accelerare e accrescere la sua preparazione, che aveva già nel DNA, un destino segnato dal successo. L’unica sorpresa è che il destino questa volta avesse scelto una donna. Il DNA è come un gomitolo di materia cerebrale con incise le capacità di eccellenza accumulate di generazione in generazione, uno scrigno di tendenze preziose da sentire e assecon12

dare come fantasie che ti frullano in testa. Sembra una minorenne, mentre è una maggiorenne che può salire sulle poltrone del comando, quelle di gente forte, fredda nelle decisioni, responsabile, lungimirante. È un tipo fine, più da rappresentante d’impresa giovane e affermata che da discendente del vecchio Meno Sclofa, personaggio comunque dall’aspetto prestante, che per ricordarlo si dice «Meno Sclofa che bò che l’aveva». Lei, sua discendente, è capace di servirsi di un elaborato sistema elettronico che tiene sotto controllo e fa gestire una per una le 350 mucche nei loro movimenti: ricevere il foraggio, accettare la mungitura, essere abbeverate, secondo spostamenti ordinati, in fila… di andata e ritorno e riposizionamento. E questo nel rispetto delle curiose differenze di carattere dei bovini: la vacca bianca di tipo alpino, è arrivista e prepotente, vuole sopravanzare tutti e spintonando si conquista la posizione di testa; la pezzata nera è una malcontenta, vittimista, che soffre facilmente di mastite se subisce quelle che a lei paiono sgarberie; la pezzata rossa è la tranquilla, tollerante, che non fa bizze e si adegua bene in qualsiasi situazione si trovi. In condizioni di caldo speciale, come è accaduto questa estate, i recinti si aprono e le mucche possono sparpagliarsi per godere la frescura che scende dalla montagna. Questo spettacolo è la più eloquente prova che tutti i vantaggi della tradizione che accudiva e rispettava gli animali con attenzione, sono ancora presenti nella più moderna e aggiornata conduzione agricola, che ha strutture e dimensioni industriali. Questo rende la vita una sfida che può essere sostenuta bene proprio da chi è giovane, ben inserito nel suo tempo, cioè padrone di organizzare le sue scelte con i mezzi nuovi di cui dispone. La persona forte è fidu-


ciosa, ha in sé un elemento vincente, sul quale poggiare ogni iniziativa. Non teme nulla perché sa che ce la farà in ogni caso, ha la vista lunga, farà sogni realistici, misurati con i piedi per terra, mai campati in aria. E mai basati su appoggi esterni o forze altrui. Ma sulle proprie forze, con un apporto di dignità grandissima con la quale si guadagna rispetto e ammirazione. Claudia, a fianco

del suo papà, sta mostrando a tutti come si fa. Claudia conosceva le storie di famiglia fin da piccola e si sentiva orgogliosa di appartenere a un ceppo, i Sclofe, reputato per la prestanza fisica, cioè alti di statura, calmi, ambiziosi di scelte che dovevano primeggiare in bellezza e forza. Parlando di Meno Sclofa, alcuni dicono ancora «che bò che l’aveva». Sorto nel cuore di lei

bambina, che ha assistito sgomenta e spaventata, alla tragedia che si è abbattuta sulla famiglia: il fratellino travolto da una fuoriuscita di materiale dal silos. La madre corre con i fiori freschi per lui ogni giorno e lui è tra noi invisibile. Doveva essere il maschio continuatore. Claudia nel suo piccolo cuore aveva deciso che avrebbe fatto la parte di lui. La stiamo ammirando.

due storie di vita d’oggi

qui Khartoum, tanta nostalgia... qui Dardago, tanti baci di Anna Pinàl [dal colloquio con Lucia Ianna]

I anna, un cognome che suona arabo, Ianna de Theco. Che sembra voler risucchiarti nelle terre lontane, da dove forse sono partiti i tuoi avi, vecchi di secoli fa. Kharthoum sembra voler dirti: «Ciao Lucia, bentornata nelle tue terre bibliche, qui adesso è casa tua. Sapevi? Hai sangue arabo nelle vene. Khartoum è felice di riaverti». Chissà quante volte Lucia ha

fatto questo strano ragionamento, un po’ duro da mandar giù, ma consolante quando a suo marito Roberto e ai due bimbi, Nicola e Alessandro, potrebbe dire: «Non siamo mica in terra straniera, siamo dove migliaia di anni fa i nostri bis-bisnonni vivevano come pastori di greggi». Però come storia di vita vissuta in questi leggendari paesi, da raccontare qui, è più bel13

la e più avventurosa quella recente, spiegata e datata anno 2013 dopo Cristo. Cioè storia di una Ianna, che è in corso, e la vita di quella donna, che sta avvenendo. Tutto ha inizio nel 2006, quando Lucia parte per sottoporsi a una prova sul campo della competenza manageriale. Cioè uno «stage» di valutazione, in cui la giovane e coraggiosa dardaghese va a can-


Lucia con il marito Roberto Crestan e i figli Nicola e Alessandro nella struttura ospedaliera di Emergency in Sudan.

didarsi per la qualifica di administrator di personale e gestione economica. Prova che viene superata e mantenuta egregiamente a tutt’oggi, nella struttura ospedaliera Emergency. È l’associazione italiana indipendente e neutrale, creata nel 1994 a Milano sotto la guida di un medico, il dr. Gino Strada, che si vede presentata con ricchezza di dettagli in Internet, sui social network più diffusi e sulla stampa nazionale nelle campagne promozionali divulgative. Nel luogo in cui arrivano a operare, suo marito e lei, con i loro due bimbi, sono due imprenditori che esportano il loro talento, con tutta la preparazione richiesta, di amministrazione lei, e di costruttore lui, per inserirsi operativamente in un servizio di alta umanità. Attualmente sono presenti a Khartoum, nel Sudan. Quando parti, vai verso un mondo con tutti i suoi pezzi essenziali, quelli che ci vogliono per vivere, ma sguarnito di ogni atmosfera di affetti, di cose che ti aspetteresti debba avere una casa, cioè di oggetti tradizionali e di

luoghi familiari. Lì non ci sono. Lì non li hai. Ti accorgi quanto valgono quando non li hai. Però quando sei là, porti la tua competenza nel lavoro, che è un bene prezioso e la trasmetti a chi è del luogo e ti sta al fianco. E rendi operativi, chiari, cristallini i sistemi di gestione, di controllo, di calcolo, che sono la base del lavoro ben strutturato, del vivere civile, delle relazioni umane. Può sembrare ovvio o di poco conto. Eppure è proprio questo lavoro che rende possibili i compiti magnifici e benefici per la pace e per i soccorsi di tante emergenze. È una routine traslocata automaticamente in un mondo diverso, che si rende fondamentale, e insostituibile, anzi, prioritaria. Là tu lavori come nel più evoluto degli ambienti, ma vivi «inscatolato» in cubi gradevoli e doverosamente attrezzati, ma artificiali e troppo limitati, tali da aver un’aria sempre provvisoria, da fase di trasloco in permanenza. Sono i contenitori cubici abitati da chi viene in Africa per vivere e lavorare in organizzazioni evolute. L’Africa ha il suo fascino nei con14

trasti della temperatura. Torrida e invivibile; di giorno, sopportabile solo in luoghi protetti adeguatamente. Fresca e ventilata nelle notti, con cielo stellato che ti emoziona e quasi ti stordisce con il suo mistero di bellezza. Con l’aria satura di profumi, trasportati dalle brezze, nelle tonalità più diverse, di ora in ora. I bambini si adattano più facilmente all’ambiente, ai nuovi compagni, alla lingua (inglese e araba) e fraternizzano senza difficoltà, nell’apprendimento e nei giochi. Ma diventano impazienti ed eccitati quando, due volte all’anno, rientrano in Italia. A Dardago ritrovano con i nonni, anche gli zii, i cugini, e tutto il mondo della famiglia, con le ricchezze di affetti e di abitudini, di strade, di muri, di montagne, di uccelli, di colori, e di cose buone da mangiare. Quando si recano laggiù in Africa, portano la loro specificità italiana, di cui la mamma Lucia fa sfoggio: l’eleganza e l’ordine del loro vestire (là è subito notato e imitato a volte). E anche la correttezza dei modi, che a scuola esprime rispet-


to per gli insegnanti e tutto ciò che viene usato per l’apprendimento e il gioco. Sono piccoli ma si familiarizzano con un mondo che non è quello italiano e questo, crescendo, li renderà persone facilmente adattabili, intraprendenti, facili alla comprensione degli altri. Cioè per-

di cui il marito Roberto ha la responsabilità e la competenza progettuale ed esecutiva a Khartoum. Agli inizi hanno vissuto un anno in Nicaragua, nell’America Centrale e ora sono giunti qui in Port Sudan in cui inizialmente erano gli unici europei.

rende possibile. Manca la famigliarità del territorio, dei costumi, dei ritmi di vita. Tutto è diverso lì, da capire, da interpretare, da amare con buona volontà, perché ti dà da vivere, perché sei circondato da esseri umani in difficoltà. Sei in zone provate da lotte e discrimina-

Lucia tra due colleghe di lavoro sudanesi e in un momento della sua attività.

sone ricche di conoscenze acquisite nella prima età, da spendere in compiti di responsabilità in età adulta, in ambienti anche fortemente dislocati e differenziati. La famiglia italiana porta in Africa un lavoro modernamente impostato sulle tecnologie. Ma anche un tipo di umanizzazione che sulla base della tradizione friulana, rivela una laboriosità di eccellenza, e un rispetto degli impegni mantenuti anche in condizioni di impreviste difficoltà. Quando si svolge un lavoro, con esso si mette in moto anche lo stile di «come si lavora«, cioè il prezioso «know how» che Lucia ha acquisito trattando con aziende di natura diversa, tra le quali uno studio notarile di Pordenone e un’impresa di costruzioni. Vale a dire tutta l’organizzazione e gestione delle formalità giuridiche, documentali e di registrazione pubblica delle proprietà di ogni tipo. Cioè dei diritti connessi, a tutti i tipi di beni, con tutto ciò che gira attorno all’attività edilizia, partendo dalle planimetrie fino alla materializzazione di progetti costruttivi di ogni tipo. Attività, quest’ultima,

Le condizioni di vita spesso dure, senza asili, con i sudanesi che a volte hanno difficoltà ad adattarsi a sistemi e ritmi diversi. Il ritmo di lavoro è di 6 giorni su 7, con orario che va dalle 7 del mattino alle 18.30. Per riuscire a comunicare nella lingua locale ai primi tempi occorreva ricorrere a una baby sitter. Con la nascita di Alessandro, il più piccolo dei due babies, gli anni dal 2006 al 2010 sono stati vissuti a Khartoum, nel 2010 e 2011 a Port Sudan e di lì, successivamente a Khartoum. Il Sudan è una repubblica nel cuore dell’Africa, che in passato è stata sotto il dominio degli angloegiziani. Costeggia l’Etiopia, comprendente quell’Eritrea che è stata la seconda patria di tanti italiani, negli anni tra il1930 e il 1955. La lingua ufficiale è l’arabo e Khartoum, che è la capitale nazionale, con quasi 500 mila abitanti nella città, e quasi 2 milioni di abitanti nel territorio, è la parte industrialmente più sviluppata del paese. Le condizioni di vita sono estreme, ma con le dovute protezioni e una forte dose di coraggio tutto si 15

zioni, nate da cause belliche insensate, da sofferenze di cui non sai spiegarti la causa. Ma fai la tua parte: collabori con l’aiutarli, grazie a una organizzane sorta e specializzata a soccorrere, Emergency. Sappiamo che ogni 2 minuti una persona raggiunta e ospedalizzata riceve sollievo, con l’intervento di medici e terapie di eccellenza. Ci si rende conto di collaborare a promuovere una cultura di pace e di rispetto dei diritti umani. Praticamente, si portano cure gratuite alle vittime della guerra e delle mine antiuomo, delle carestie e dei disastri ambientali. Il lavoro di Lucia e del marito Roberto, si inserisce in un modello di organizzazione, gestione e controlli che assicura condizioni di correttezza e trasparenza nella conduzione delle attività di un’associazione umanitaria. La formazione del personale locale ha un’incidenza nello sviluppo del paese in cui si opera, fornendo modelli di attività e anche corsi di formazione professionali per il recupero di persone che hanno subìto mutilazioni e sono divenuti disabili.


Una domenica di pioggia, una chiacchierata con mia mamma, ricordando…

Cuan che ere ’na canaja… di Rosina Vettòr Cariòla e Adelaide Bastianello Thìsa

...Se pense a cuan che mi ere ’na canaja… le prime parole che associo alla mia infanzia sono: lavoro… fatica… e ancora lavoro. I ricordi gradevoli, di divertimento e di spensieratezza, che quell’età dovrebbe avere, sono molto pochi: parliamo degli anni ’35-’40 e Dardago non era certo come è ora. La botega de Moreal l’era senpre là e in platha se deva ancia a resentà i nethoi ’n te la vasca. Da la Santa Sartorela se conprava

le pleche pa’ dhi a to ’l late e se te veve da inferà al cjaval te deve da Arturo e la Neta Vetora la vendeva sigarete e tabac. Se te veve bisoign de stofe pa’ ’l coredo, ’l era Gildo un lì de Carnitha. Cjanps da darà, prath da seà, vacje da molde, pite e porthith da governà quasi in ogni famiglia. Molti uomini erano emigrati in cerca di lavoro, chi vicino come a Venezia, Trieste, Milano, altri in Francia, Inghilterra o nella lontana America; a casa re-

Le medhe sulle nostre montagne. Un grosso palo conficcato in terra sosteneva una considerevole quantità di fieno e sulla sua sommità, per evitare infiltrazioni di acqua, veniva steso uno strato di terra. In inverno il fieno veniva poi trasportato a valle con le slitte.

stavano le donne che erano il vero motore della famiglia e, con i suoceri, si occupavano della sopravvivenza quotidiana. Oggi se guardo le foto di quei tempi, fatte nelle grandi occasioni e con il vestito de la festa, molto difficilmente vedo espressioni sorridenti o felici sui volti delle donne. Molte di loro a trentacinque o quarant’anni avevano già partorito sette, otto figli e sopportavano una tale mole di lavoro quotidiano che le aveva rese ‘vecchie’ prima del tempo. A una donna non veniva chiesto se fosse felice, se fosse contenta, era sufficiente che i figli stessero bene e che ci fosse da mangiare per tutti e, se erano abbastanza grandi, che avessero un lavoro; questa era la massima soddisfazione di una donna, a quei tempi. Me pare ’l è dhut poc pa’ ’l mondo a laorà…Venethia e Trieste, la sua vita l’ha fatta a Darda-


go, e poiché era una persona instancabile e con molte iniziative (oggi si direbbe iperattiva) in casa nostra non c’era mai da perder tempo in chiacchiere o divertimento, c’era tanto lavoro per tutti, grandi e piccoli. ...E tra i piccoli c’ero anch’io, avevo circa otto, dieci anni. La matina, sveja bonora, desbrigà le cianbre, desvodhà i bucai, va a portà ’l late in lateria e dhopo dhi a scola. Finalmente un fià de palsa. Eco parché dhuti i dheva a scola volentieri…ancja se podheva senpro rivà cualche castigo: in dhoneglon drio la lavagna o cualche sbachetadha su le mans! Era un momento di riposo e di compagnia con i coetanei. Al ritorno da scuola, veloci a casa, una minestra e via di corsa in bicicletta (alora le strade no le era sfaltadhe!), la pignata su ’l manubrio, pa’ portà da magnà a me pare e me nono dho de le Grave o fin dho in Cjampagna e po’ dhopo da ’na man a restelà, o pur a sapà ’l sarturc, to su patate o portà a cjasa ’l fen. Questi, a casa nostra, erano i compiti, i ‘doveri sottintesi’ di una bambina durante la primavera o l’estate. Oltre le mansioni di cui ho appena parlato, facevo molte altre attività... ‘sportive’: footing, trekking, sollevamento pesi! I genitori

però non mi accompagnavano con l’auto in palestra ma... da la platha co’ ’l thanpedon e co’ doe pignate, una co’ la farina da polenta, l’altra co’ la cjaldiera e dhut chel che ne ocoreva in mont pa’ thinque-sie dis, partive bonora co me pare, par dhi a seà in Brognasa o su i Perussins. Così, di buon passo su verso el Mulin de Bronte, Perer e su su inver Brognasa. Dopo circa tre ore di buon cammino con tutto quel peso sulle spalle, riveane su ’l nostre loc e se scominthiava subito a laorà. Me pare ’l seava e mi restelave. De not dormeane sote ’n’ anbrela parchè in Brognasa no aveane ’l casòn. Cuan che la matina me dessedhave, ciatave tanta erba seadha, pronta da restelà. Me pare ’l me diseva – ah... stanot a l’era ’na cussì bela luna che pareva dì, tant che l’era ciaro! Dhopo thincue dhis de ’sto laoro, ’vòn finit de rincurà dhut el fen e finalmente podhòn fa su ’na bela medha. Ora soddisfatti e contenti potevamo concederci il meritato riposo: una bella fetta de polenta e formai, una piccola sosta riparati dall’ombrello portato per molti usi e poi finalmente a casa… ma… ’nà ela la thesta co’ la polenta e co’ ’l formai? Therca, varda d’intor… niente, no la cja-

ton. Un flash… per mantenere gli alimenti al fresco lontani da la sfèra de ’l sol e da i carbonath, me pare ’l aveva metut la thesta da prendia sote ’l fen! Desfa dhut, tira fora la thesta da drento la medha e torna a fala su. Quando fu tutto finito era quasi buio; messo il thanpedon co’ la cialdiera e la thesta in spalla abbiamo ripreso la via del ritorno; non so proprio come siamo arrivati a casa, erano già le dieci di sera e nelle ultime due ore abbiamo camminato al buio, met...’na ela la thesta da prendia? Me pare i l’aveva metudha sote el fen de la medha... La thesta da prendia. Un’utile cesta in vimini munita di coperchio per trasportare e custodire le vivande.


tendo un piede dietro l’altro cercando di non cadere. Quella notte la canaja ha dormito finalmente nel suo letto e non sotto un ombrello! *** Un altro episodio che mi è accaduto da canaja, è stato quello di vivere una prova così ‘dura’ che ancor oggi mi fa male ricordare, perché ho provato tanta paura, anzi terrore, proprio a causa della mia giovane età. Do de Lingoria i Cariola avevano una vigna che serviva per il fabbisogno famigliare: una planta di uva fragola ad uso della mamma e cinque plante di uva da cui ricavare il vino per la famiglia e per coloro che venivano a opera. Era circa metà settembre, proprio gli ultimi giorni prima della raccolta, aspettavamo giusto che il tempo si ‘sistemasse’ per poi vendemmiare. Un giorno papà rientra a casa pre-

occupato: si era accorto che da qualche tempo qualcuno rubava l’uva. Le viti erano un bene prezioso, avevano bisogno di cure, la terra era magra e il tempo non sempre aiutava la maturazione, quindi i grappoli dovevano essere guardati, puliti e controllati con attenzione. Vista la situazione mio padre mi dice: – Doman ’l è dhominia e mi ài da sonà dì e pa’ le Messe: ti Rosina, a bonora e in conpagnia de ’Telo, te vadhe do de Lingoria, e steit là a fa la guaita ’n tel cason. El di dhopo co’ me fradhel (mi diese ani, lui sete!) a le quatro de la matina, con ’n’anbrela, don do de Lingoria sote un forte tenporal; aveane tanta pura dei lanps e de i crepetóns de i businórs, ma insieme se feane fortha. Rivadhi là non son dudhi ’n tel cason par pura de i carbonath ma deane avanti e indrio la pa’ le plante par vedhe mejo se vigneva cuachedhun; dhopo

La famiglia di Antonio Vettòr (Toni Cariòla) nel cortile della sua casa il giorno della Prima Comunione del figlio Otello (1938). Da sinistra Luigi (Gigeto), Antonio Vettòr, Caterina Bocùs Frith, Luigi Vettòr (nono Gigi), Otello e Rosina. Nella foto non è presente Agostino, il figlio primogenito.

un poc tra i lanps che i scjariva dhut el cianp e le vit, vedhon ’na figura che co’ ’n palegren par tera la tirava dho l’ua. Mi e ’Telo corón da ’sta figura e la fermón – Che feo? No l’è roba vostra! Adhes don da me pare –. E liena: – Làsseme, ai tirat dho sol che un poc de ua pa’ fame ’n fià de vin! – Vigneit da nealtre a laorà, che me pare i ve lo da ’l vin! No aveo rimorso da fa vigne dho doi canais a ’ste ore e co ’sto tenp? La tensione dell’attesa e la paura del temporale, erano in noi così forti, che non abbiamo avuto timore di fronteggiare la donna o chiunque altro si fosse presentato in quel momento, anche un uomo alto il doppio di noi. Così abbiamo accompagnato questa donna da mio padre che proprio in quel momento stava suonando dì. Lui, dopo una bella ramanzina per il gesto fatto e per aver dovuto mandare i suoi due figli più piccoli a correre quel pericolo con il temporale e la pioggia, le ha lasciato l’uva ma le ha fatto promettere che non avrebbe più portato via roba non sua. *** Da questi due episodi sono ormai trascorsi quasi ottant’anni e passate almeno quattro generazioni: ora i bambini sono più tutelati, più protetti, sono anche più svegli, più curiosi, sanno tutto su cellulari, computer, iPad; di contro non sanno essere altrettanto autonomi, non sanno accudirsi, conoscono poco il rispetto verso gli altri, non accettano un ‘No’: spesso sono psicologicamente molto fragili. Noi abbiamo avuto una educazione esageratamente rigida e molto sacrificata, ma proprio questo ci ha permesso di essere più strutturati per affrontare meglio e con più forza le difficoltà e le delusioni, le paure che la vita, in qualsiasi epoca, ti presenta. Davvero bello sarebbe trovare il giusto equilibrio tra il vecchio e nuovo metodo educativo.

18


Anni ’50... via Cardazzo. A sinistra el palath del dotor mentre ’na careta a corpét scende da Dardago verso il mulino di Budoia... allegramente la mussa Pina ‘conduce’ la Mariuta de Theco e il suo nipotino Piereto.

el palath del dotor

di Alberta e Gabriella Panizzut Recentemente è venuta a trovarmi una elegante signora veneziana, Flora Biscontin poiché aveva piacere di parlare con me: la casa della sua famiglia di origine era el palath del dotor Sisto. Dicono che ho una buona memoria storica, infatti Flora ha riconosciuto dalle mie parole luoghi e persone di cui aveva avuto esperienza nella sua giovinezza; è nata e vive a Venezia, per cui ha difficoltà ad incontrare chi possa condividere i suoi ricordi di ragazzina. L’episodio, piacevolissimo per me, mi ha fatto ripensare a quel bel palazzo degli inizi del ’900, che ancora esiste in via Cardazzo e che per molti anni è stato sede

della farmacia, gestita prima dal dott. Rapisarda, di origine meridionale, e infine dal dott. Callegari, che l’ha in seguito trasferita in via Roma, di fronte al lato destro della chiesa, dove è rimasta fino a tempi recenti. La via è intitolata ad Antonio Cardazzo, del ramo detto Schiavon, che era nato a Budoia mi pare nel 1837 e morto agli inizi del ’900. Dopo essersi laureato in Ingegneria, visse alcuni anni a Firenze, dove era protocollista del Ministero degli Esteri. Nel 1868, quando il Friuli entrò a far parte del regno sabaudo, tornò in paese perché era stato nominato segretario comu19

nale. Era anche studioso naturalista e amico di Torquato Taramelli, con cui scalò nel 1872 il Monte Cavallo e di Giovanni Marinelli, anch’egli appassionato alpinista. Collaborò con l’Associazione agraria friulana ai lavori della commissione parlamentare incaricata della grande inchiesta agraria per il Veneto e il Friuli coordinata da Emilio Morpurgo. L’edificio dove abitò il dott. Sisto con i genitori è di elegante fattura, con tre porte di accesso dalla strada, dieci grandi finestre al piano terra, dieci al primo piano, quattordici finestrelle quadrate, tutte le luci e gli angoli in pietra viva; le por-


te del primo piano danno su due terrazzini con ringhiera in ferro battuto a disegni raffinati: tutto ciò sulla facciata rivolta sulla via. La casa è doppia, c’è un corridoio centrale che divide le stanze che si affacciano sulla strada da quelle che danno sul giardino interno. Un cancello sul lato sinistro permette l’accesso anche con carri agricoli o altri mezzi voluminosi. Infatti all’epoca del dottore, Andrea Biscontin, il suo autista, parcheggiava nel cortile una bella Balilla. Come si comprende, si tratta di un edificio non usuale in un paese la cui realtà è stata spesso di miseria; Budoia non è stata sede di famiglie nobili come lo è Polcenigo, eppure il buon gusto nella costruzione ci ha regalato un piccolo gioiello che merita l’attenzione anche delle nuove generazioni. Il mio pensiero vaga però oltre le pietre e gli intonaci, vola alle persone che hanno abitato quella casa, ad aneddoti raccontati dalla mia nonna materna, Maria Lozer, nelle lunghe sere invernali. Avendo io 93 anni, posso ricordare con esperienza diretta chi è nato nell’800. Una storia riguarda la mamma del dr. Sisto, Teresa Del Maschio

(nata il 12.10.1837 morta il 05.11.1927) sposata ad Angelo Cardazzo (nato il 15.03.1830 morto il 24.11.1920). Un giorno bussò alla sua porta el mut de Daviàn un uomo che andava a chiedere la carità sotto forma di farina, casa per casa. Indossava una mantella a metà polpaccio e portava su una spalla una bisaccia in stoffa, mezza cadeva sul davanti e mezza dietro. La donna cortesemente aprì, ma alla richiesta: Una sessola de farina, o ancia un pùign, par carità (evidentemente l’uomo non era muto ma forse parlava con difficoltà), pensierosa rispose: No ài nient da dave, ài doi fioi disocupadi. Non era tirchieria la sua, tutto il denaro andava per i due figli «disoccupati», che in realtà erano studenti, ma nel giro di pochi anni sarebbero diventati: il primogenito mons. don Antonio (nato il 26.11.1863 morto il 10.08.1927), rettore del Seminario diocesano, e il dott. Sisto (nato il 17.09.1869 morto il 03.03.1936), medico comunale, che i più anziani di Budoia forse ricorderanno ancora. Il dottore era consultato dal paese per tutti i problemi di salute, anche se un tempo clamà el dotor

Via Cardazzo. Il palazzo del dottor Sisto anche sede della farmacia di Budoia [foto Gabriella Panizzut].

poteva sembrare di essere a un passo dalla tomba, non parliamo poi di dhì in ospeàl era come dire non tornerò più a casa con le mie gambe. Aveva studiato all’Università di Padova, non si sposò mai e dedicò la sua vita ai concittadini. Uomo imponente e determinato, aveva un fare risoluto e sicuro nelle diagnosi, aveva occhio, come si dice, ricordo che a me per un dolore alla schiena prescrisse una pomata a base di arnica montana, rimedio tutt’ora ritenuto valido. Trascorse gli ultimi anni della sua vita accudito dalla collaboratrice domestica, la signora Santina, moglie di Andrea, l’autista. Un ricordo triste lega il nome di Andrea Biscontin al fratello Giovanni, morto nella campagna di Russia. Apparteneva alla divisione Julia, era dattilografo veloce, un compito molto importante all’interno dell’esercito. La compagnia fu accerchiata e morirono tutti. È stato un lutto molto sentito da tutti gli abitanti, le vicende dolorose non appartenevano solo alla famiglia, tutta la comunità gioiva per il ritorno dei soldati e piangeva con sincero dolore la perdita di alcuni di essi.


SOTTO IL PORTICO, TRA SCAFFALI E STOFFE...

Berto Moro con la sua bottega di Enrichetta Angelin

Tra le varie botteghe presenti a Budoia, nella prima metà del Novecento, in via Lunga superiore c’era la bottega di Berto Moro, ospitata sotto il portico d’ingresso della mia casa paterna, nella piazzetta all’incrocio con via Casale. Originario di Santa Lucia, Umberto Gislon Moro iniziò l’attività di commerciante di tessuti subito dopo la Grande Guerra, portando la sua merce una volta la settimana, in giorni prestabiliti, in diversi paesi vicini. Oltre a Budoia, raggiungeva, infatti, Dardago e allestiva il suo negozio sotto il portico dei Carnitha, in piazza; arrivava anche sino a Sedrano. Era una persona longilinea, distinta, gentile, cordiale con tutti e convincente con le clienti spesso indecise. Esisteva un rapporto di familiarità e di stima con i miei genitori tanto che era diventato mio santolo di battesimo insieme con sua moglie Vittoria, una buona persona, a me cara. Continuò a utilizzare il nostro cortile anche quando noi abitavamo a Venezia. Arrivava il martedì, al mattino verso le sette, col suo carretto coperto, trainato da un bel cavallo bruno. Nei periodi in cui abitavo qui, sentivo il trotterellare deciso provenire da via Casale e correvo ad annunciare alla nonna che stava per arrivare il santolo. Aperto il portone, egli slegava il cavallo, lo collocava al riparo e iniziava ad allestire pazientemente la bottega, disponendo gli scaffali di legno, sui quali esponeva le stoffe impilate di lana

o di cotone per l’abbigliamento, a seconda della stagione, e pure i tessuti di puro cotone per lenzuola, tovaglie e strofinacci. Stendeva su cavalletti delle tavole per formare il banco e vi collocava gli strumenti da lavoro: il metro di legno, le forbici, fogli e matita per fare i conti. Sceglieva pezze di stoffa dai colori scuri, per l’abbigliamento tipico delle persone anziane, ed altre dalle tinte più moderne per le giovani, da esporre sul portone per richiamare l’attenzione delle donne, che attendevano quel giorno per gli acquisti. Alle loro richieste, sfilava la stoffa scelta e con gesti spontanei maneggiava il tessuto con competenza per dimostrare loro la qualità della merce. Consigliava la quantità da acquistare e impugnava le forbici per tagliare con abilità e precisione il tessuto. Tra i suoi articoli vendeva anche il frustagno, che serviva per fare i calzoni agli uomini. All’ora di pranzo arrivava a piedi da Santa Lucia mia santola Vittoria a portargli il pranzo. A conclusione della giornata lavorativa, smontava gli scaffali e sistemava la merce sul carretto. Quando si trattava di slegare il cavallo, questo, un tipo ribelle, infilava il portone aperto e correva verso l’osteria di Mastela come per raggiungere la meritata libertà. Mio santolo utilizzò questi spazi fino ai primi anni Cinquanta, poi fu accostato nell’attività lavorativa dal figlio Gildo che sostituì il cavallo con un furgone molto più comodo. 21

Umberto Gislon Moro nel 1948 e in età giovanile.


LA MEMORIA DELL’EMIGRAZIONE

di Vittorina Carlon

Gio Maria emigrante in Francia A vevamo già parlato di Gio Maria Angelin Pelat nel n. 128 del periodico, in occasione del centenario della guerra di Libia. Ora, altre notizie ci permettono di tracciare a grandi linee altri aspetti della sua esistenza: la vita lavorativa e gli affetti. La nipote Franca Angelin, figlia di Domenico ed Elena, conserva gelosamente le memorie del nonno paterno, nel suo nutrito archivio familiare. Tra le numerose fotografie, rinveniamo pure delle cartoline, scritte dal nonno durante le sue stagioni migratorie, che ci permettono di recuperare la memoria sull’emigrazione e di verificare come la corrispondenza sia sempre stata uno degli strumenti principali, insieme con la fotografia, «per tenersi al corrente» di fatti, che avvenivano a lunga distanza. Per ricostruire il percorso di Gio Maria da emigrante, ci soffermiamo su questi documenti personali e di valore affettivo, pregni di un forte tasso di espressività con il ricorso frequente a strutture linguistiche elative ed esclamative.

Il passaporto rilasciato nel 1926, in cui è specificata la professione di «terrazzaio». In alto. Le cartoline scritte da Gio Maria Angelin alla famiglia.

A conclusione della prima guerra mondiale, dopo un interminabile periodo di morte e distruzione vissuto nell’inferno delle armi, nel 1920, Gio Maria intraprende la via dell’emigrazione verso la Francia, richiamato probabilmente da compaesani, dopo una prima e breve esperienza migratoria vissuta in Germania nel 1911, nei mesi precedenti alla chiamata alle armi per 22

la guerra di Libia. L’impulso all’emigrazione, determinato dal peggioramento delle condizioni di vita dei nostri paesi e dell’Italia intera, conduce anche il nostro protagonista alla ricerca di un guadagno onesto per il raggiungimento di due specifici obiettivi: l’acquisto di una casa per la sua famiglia appena formata e il contributo personale per la costruzione della latteria.


Giunga a te ciò che il tuo cuor attende: un mio gentil pensiero. Marito Gio Maria Ciao mio tesoro stammi bene. Un bacio alla nina.

Ne segue un’altra del 29 novembre 1920. Sul fronte della cartolina, un morbido cuore di fiori bianchi e azzurri di pannolenci accompagna i romantici sentimenti di Gio Maria, che non mancava certo di sensibilità e di buon gusto.

in cui è specificata la professione di terrazziere, oltrepassa la frontiera italiana per raggiungere nuovamente la Francia, mentre il 30 novembre del medesimo anno, probabilmente dopo un breve rientro in paese, transita da Domodossola a Vallorbe, in Svizzera. Nel 1931, lavora nell’antico comune di Belleville, ora 77° quartiere amministrativo di Parigi, da sempre centro di multiculturalità. Da quest’ultima località, il 20 agosto 1931, Gio Maria invia a Domenico una cartolina raffigurante un cestino di viole e mimose, in occasione del settimo compleanno del figlio. Completa il suo messaggio con la raccomandazione di comportarsi da buon ragazzo. La lontananza non gli fa certo smarrire il ruolo di padre.

A te oh! Mia cara ti giunga un mio gentil pensiero dal cuore sì sincero. Tuo marito Gio Maria Un bacio a Giuseppina cara. Addio tesoro. Ricevuto tua lettera. Tutto bene. Ciao.

Al figlio Domenico. Ti augura tante belle cose per il tuo compleanno. Tuo Padre Gio Maria Tanti baci. Addio Bada di essere un buon ragazzo. Sto bene.

Negli anni successivi, egli rientra periodicamente in patria. Il 21 agosto 1924, la famiglia aumenta di numero: egli diventa padre di un maschio, Domenico. Il 30 marzo 1926, dopo tredici giorni dal rinnovo del passaporto

E Domenico lo è, come dimostrano i voti nelle pagelle di quegli anni. I profondi sentimenti di Giomaria sono sempre stati ancorati alla famiglia e al paese, come quelli di tutti i nostri emigranti. 23

Sopra. Un gruppo di emigranti in Francia probabilmente a Belleville, impegnati nel settore edilizio, tra i quali Gio Maria (terzo da sinistra della seconda fila dall’alto) ed altri Angelin di Budoia.

La presenza di lavoratori italiani in Francia costituisce un’antica tradizione che risale fin dal Medioevo, ma fu nei secoli XIX e XX che divenne un’emigrazione economica di massa, tanto che, fin dall’inizio Novecento, gli italiani rappresentarono la più numerosa comunità straniera presente nel territorio francese e mantennero questo primato per oltre sessant’anni, raggiungendo il picco massimo nel 1931 con ottocentomila presenze residenti. Le cause di tale emigrazione sono da ricercarsi sia nello Stato italiano che in quello francese. Il primo, sopraffatto dalla miseria a seguito degli eventi bellici e dalla repressione esercitata dal regime politico, si trovò troppo popolato per la possibilità d’impiego che offriva. Il secondo, che già soffriva in precedenza per un vecchio calo demografico, fu colpito duramente dalla mortalità della Prima Guerra Mondiale e da una diminuzione della natalità durante gli anni 1914-1918. Si formarono così le catene migratorie: molti italiani partivano al seguito di un parente o amico e, quindi, richiamavano altri famigliari.

Un’emigrazione di massa

Lascia la moglie, Maria Signora, e Giuseppina, la primogenita ancor piccola, che egli porterà nel cuore per tutto quel periodo lontano dagli affetti. Raggiunge St. Etienne, capoluogo del dipartimento della Loira, nella regione del Rodano-Alpi, richiamato dal notevole sviluppo industriale, grazie alla presenza in zona di un ricco bacino minerario. Lavora in uno di quei pozzi di estrazione, dove la comunità dei minatori è composta, in gran parte, di immigrati, di cui molti italiani. Tra la documentazione rinvenuta, in una cartolina con un mazzo di rose rosse ricamate del 19 settembre 1920, egli esprime il suo profondo amore a Maria, mentre alla figlioletta Giuseppina invia teneramente un bacio, che non fa pervenire, invece, alla sposa, forse per pudore.


STORIE DI FAMIGLIE

1

di Paolo Emilio Sfriso

una generazione

che non c’è più

2

3

Sono affezionato a Santa Lucia di Budoia perché ci sono nato nel 1945. Mia madre Maria Lachin (detta Anna) con due sorelle (Lucia e Gioconda) e un fratello (Bepi), stava in via Lachin mi sembra ora con il numero 41. Mia nonna si chiamava Paolina Monego e veniva da Zoldo Alto (Bl). Mio zio Bepi è stato l’ultimo ad abitare a Santa Lucia ed è morto anni fa. Ultimamente ci ha lasciato sia mia zia Lucia, che stava in provincia di Torino, sia mia zia Gioconda, che è morta a Padova, dopo aver vissuto una vita a Venezia. Oggi ci ha lasciato anche mia madre all’età di 95 anni, che viveva a Venezia. Tutto questo per la memoria storica. Di questa generazione non c’è più nessuno. Ecco qualche foto a ricordo. Chissà se dei ricordi riaffioreranno a Santa Lucia?

Foto 1. Da sinistra: Lucia Lachin, Gioconda Lachin, Maria Lachin; non so la data della foto ma se mia madre avesse 20 anni la foto è del 1939. Foto 2. A sinistra: Silvana Salvagno figlia di Gioconda Lachin; quello brutto a destra: Paolo Emilio Sfriso (lo scrivente), figlio di Maria Lachin. La foto è probabilmente del 1947. La casa non ha subito molte modifiche. Foto 3. Sul «spassiso» Paolo Emilio Sfriso con la madre Maria Lachin, prima del 1950. Foto 4. Da sinistra: Gioconda Lachin, Ernesto Sfriso (mio padre), Maria Lachin. La foto è probabilmente antecedente al 1945.

4

5

24

Foto 5. Da sinistra: mio padre Ernesto Sfriso con mio zio Bepi Lachin quando stava in via Lachin a Santa Lucia. La foto è degli anni ’90.


UNO SGUARDO, UN SORRISO...

volontariato in Tanzania

Villaggio della Gioia di Martina Pellegrini «È stata un’esperienza grande, che mi ha fatta crescere, e anche se per certi aspetti è stata dura, mi ha dato davvero tanto. Penso sia questo il bello dell’Africa, torni a casa più ricco. Le mie giornate al «Villaggio della Gioia» sono state piene di emozioni, emozioni purissime, nate da uno sguardo, un sorriso, un abbraccio, una camminata per mano ai bambini. Bambini con gli occhi grandi, occhi che parlano, che dicono molto, che ti fanno promettere di tornare, e le promesse, si sa, si mantengono sempre».

Infatti così è stato. Queste erano le parole con le quali avevo concluso il mio articolo lo scorso anno, e come promesso quest’estate sono tornata in Tanzania per la mia seconda esperienza. Ancora più entusiasmante e coinvolgente della prima.

me pari

di Umberto Coassin

e il paradis di Cjstierne Me Pari nol jere contadin ma al preseave la nature e la culture contadine. Al veve rispiet e amor pes bestiis e pes plantis. Une boschete di cazie a rivave dongje la cjase, l’ort al jere plen di dut, cudumars, vuainis, patatis, cesarons, pomodoros, e plui in là la blave, un prat di mediche, il forment, lis vits par il vin e lis pomis, i noglars, e tal cjanton de cjase une plante di ue grispine. Il curtil al jere plen di bestiis: gjalinis, ocjs, rasis, faraonis, colomps, dindis, di dut e il purcit nol mancjave di sigur. La cantine e il camarin jerin i ambients plui impuartants. Jentrà tal camarin, ta cantine par me pari al jere une consolazion. Il salamp, il formadi, la panzete, la cujnce, lis ocjis picjadis a mandavin un bonodor da fà ingropà i voi e ancje i bugjei. Lis formis di formadi a jerin dutis in rie, lis vecjis da une bande e lis frescjis da che atre, il vin prime dentri lis botis e i caratei, e dopo dentri lis damigjanis e i fiascs. Il travas alt jere un lavor che me pari al considerave une cerimonie de massime inpuartance, delicade, esclusive e lungje. Quant ch’al vignive su par cene al jere simpri tant strac, e al diseve che al veve scugnut tirà un poc cu la gome 25

Il «paradiso di Cisterna» negli anni ’50.

ma ch’al jere colpe di ve tant respirat i vapors dal vin in un ambient piciul e poc ariegjat. Cumò che o sin emancipats o vin un frigo fret, glazzat, plen di scjatis, vasus, contenitors di plastiche, che quant cal funzione a nol sa di nuie e quant no, al puce. E jere ancje la stale cun dos vacjis e un picul mus, chest a nol a mai fat nuie, nome mangjat e durmit, me pari al diseve ch’al servive nome par completà il quadri dal nestri piciul paradis.


Scoprire l’importanza dello stare insieme, vivere l’esperienza del confronto. Superare quei pregiudizi che sembrano non volerci mai abbandonare. Esercitare la virtù della pazienza ascoltando e rispettando pareri diversi; accettare i ritmi e le modalità del gruppo a beneficio dell’unità. Ri-crescere e ri-scoprire il vero senso di comunità.

viaggio a Roma di don Maurizio Busetti

D etto, fatto. Siamo partiti in 40 quel lunedì 26 agosto. Puntuali, non si sgarra il minuto. Formiamo un bel gruppo affiatato da subito. A Sacile, ci attende don Paolo Zaghet, parroco di CusanoPoincicco che ci seguirà per tutto il viaggio. Arriviamo puntuali allo splendido Duomo di Orvieto con la sua famosa facciata e splendidi ornamenti architettonici. Si partecipa alla Santa Messa concelebrata con sacerdoti calabresi e presieduta da un prete giovanissimo della Repubblica Ceca. Il Ceco dice che se la cava male con l’italiano, i calabresi che son stufi di predicare alla loro gente e così il plevan principale deve predicare mettendo insieme anche qualche battuta spiritosa. Dopo la visita al pozzo di San Patrizio, arriviamo nella Città Eterna. Ci sistemiamo presso un istituto religioso dei Padri Dehoniani, ora per metà albergo, situato dietro San Pietro con una splendida vista sul cupolone. Nei giorni di permanenza abbiamo visitato la città antica, le splendide basiliche cristiane, piazza di Spagna, via Margutta, piazza Navona, piazza di Trevi con le celebri fontane. Una sera ci portano in corriera a vedere Rome by night: le piazze delle fontane sono gremite di gente. Bella l’uscita a Subiaco nella valle Tiberina. Scorgiamo i resti della villa di Nerone. Raggiungiamo il Sacro Speco, l’eremo dove San Benedetto ha iniziato la sua vita monastica. Ci attende Cecilia (originaria di Dardago da parte di madre) che sarà per tutto il giorno splendida e preparata guida. Ci lasciano stupiti lo splendido paesag-

gio, i bellissimi affreschi magnificamente conservati dopo otto secoli e la misticità del luogo. Partecipiamo alla sentita Messa, presieduta da don Paolo che per una decina d’anni ha vissuto l’esperienza monastica. Nel pomeriggio arriviamo al monastero di Santa Scolastica, dove è presente una ricca biblioteca con i suoi incunaboli, palinsesti e miniature. Salutiamo la compaesana Eugenia, mamma di Cecilia, con lacrime, baci, abbracci e promesse di rivederci in patria (a Dardac). Una soddisfazione grande avviene il 28 agosto, festa di Sant’Agostino. Gli irriducibili che a tutti i costi vogliono incontrare il Papa hanno saputo che in quel giorno Francesco va in visita agli Agostiniani. Chiedono di poter lasciare

il gruppo per recarsi in quella chiesa. La risposta è positiva. Vanno, lo aspettano per tre ore e alla fine il loro desiderio viene premiato. Il Papa, scende dall’auto vicino a loro. Accarezza Erika dicendogli che è una bella bambina, poi prende Luca e lo porta all’interno dell’Istituto Agostiniano dove lo benedice con altri ragazzi e poi lo restituisce alla mamma spaventata e timorosa di aver perso il figlio… È stata una bella esperienza ed almeno qualcuno ha potuto raggiungere lo scopo della gita. L’ultimo giorno visitiamo i musei vaticani e la splendida Cappella Sistina. Riprendiamo il viaggio di ritorno felici e contenti. Alla prossima!

Il gruppo ritratto all’interno del Monastero di Santa Scolastica a Subiaco. Un grande elogio, da parte de ’l plevàn, alle nostre mascottes Erika, Francesco, Luca e Andrea per la buona educazione e lo splendido comportamento, nonostante siano stati costretti a viaggiare con… superadulti per cinque giorni. Bravi.

26


L’INCONTRO CON IL PAPA Questo il motivo del mio viaggio a Roma con mia nipote Erika di 10 anni. Negli ultimi giorni di agosto siamo partite con il viaggio organizzato dalla parrocchia di Dardago. Quando abbiamo saputo che non sarebbe stato possibile vedere Papa Francesco, siamo rimaste molto deluse; noi avevamo bisogno della sua presenza gioiosa e rassicurante. Anche Francesca, Michele, Andrea e Luca Pauletti, in viaggio con noi, erano dello stesso parere. Francesca ha saputo che il Papa quel mercoledì sarebbe andato nella chiesa di Sant’Agostino alle ore 18.00. Subito abbiamo deciso di rinunciare al programma previsto per recarci lì nel primo pomeriggio ad aspettarlo. Nella via del Convento degli Agostiniani c’erano le telecamere della Rai. Ci siamo fermati ai bordi della strada ad attendere. Anche Teresa e suo fratello Massimo sono venuti con noi. Tre ore è durata l’attesa. Finalmente le grida della folla che intanto si era raccolta ad aspettarlo. Ecco la macchina del Papa. Avanzava lenta tra due ali di fedeli. Si è fermata, con il finestrino aperto, proprio davanti a me e a mia nipote. Il Papa sorridente ci guardava. Ha accarezzato Erika, io sono rimasta attonita con la corona del rosario in mano. Quando è sceso, tutti volevano toccarlo. Papa Francesco si è avvicinato alla porta del convento degli

di Rosetta Gagliardi Gislon

Agostiniani e ha condotto con sé Luca baciandolo e abbracciandolo. Che dire? Un senso di pace, di serenità, di gioia ha invaso il mio animo. Quando il Papa è sparito alla nostra vista, ci siamo ritrovati tutti con le lacrime agli occhi.

È stata un’esperienza indimenticabile per tutti noi che speravamo di riuscire a vedere Papa Francesco ma mai avremmo immaginato di «toccarlo con mano». Per questo grande dono ricevuto ringraziamo con tutto il cuore il Signore.

L’EMOZIONE NON HA VOCE di Andrea Pauletti Ricordo quell’emozione come fosse oggi... la folla gridava «Francesco», c’era tanta gente. Poi all’improvviso il Papa. Tra tanta gente da abbracciare, da accarezzare, vedo che prende per mano mio fratello Luca! E lo accompagna all’interno della chiesa. Mia madre piangeva come una bambina e io non credevo a quello che vedevo. Il Papa disse qualcosa a Luca, ma questo è un segreto che Luca non vuole svelare, lo terrà per sempre nel suo cuore e a noi resterà quell’emozione incredibile di vedere che tra mille persone Papa Francesco ha scelto mio fratello Luca. 27

Andrea, Francesco e Erika nel pozzo di San Patrizio a Orvieto.


dardagosto2013 di Adelaide Bastianello Thisa

15 agosto, ore 10.30: le campane suonano a gran festa l’annuncio della Santa Messa che don Maurizio celebrerà tra poco. Oggi è una importante solennità per Dardago e per tutti i dardaghesi: non solo è Ferragosto, come in tutta Italia, ma è anche la Festa di Maria Assunta in cielo. Pur essendo una che la vin da fora, da che ho memoria, credo di non essere mai mancata ad una «festa de l’Assunta». Il 15 agosto ‘bisogna’ essere a Dardago, tutti i miei «piani ferie», potendolo fare, sono sempre stati condizionati da questo «must». Dunque le campane suonano a distesa, la bancarella dei dolci è presente sotto il nostro campanile e fin dal mattino c’è un gran andirivieni per comprare la sagra: anche di questa consuetudine non si può fare a meno! Paste, butholai, spumiglie e stringhe per tutti. I più mat-

tinieri si ritrovano da Nino per un caffè prima della Santa Messa e per salutare i compaesani che, appena arrivati dalle città di provenienza, i va in platha a incontrare amici e parenti. Si formano piccoli gruppi di persone che si rivedono ogni anno per l’occasione: fin dalle prime ore del mattino si sente e si respira aria di festa. Una straordinaria corale, un gran numero di fedeli, il Plevan, i concelebranti e la nostra bella e risplendente Pieve, tutto contribuisce a dare un significato solenne alla cerimonia religiosa. Al termine l’ampio sagrato accoglie in un caldo e festoso abbraccio tutti i fedeli e amici per il consueto scambio di auguri e di ciacole e i bambini possono finalmente dare sfogo a tutta la loro allegria ed energia. Dal sagrato… un salto veloce in canonica dove, come ogni anno, è stata allestita la Pesca di Benefi-

Momenti di festa nel cortile delle scuole.

28

cenza, sperando in un numero fortunato e se non arriva pazienza, ci consola il sapere di aver contribuito alla realizzazione di un buon progetto. È sempre una grande soddisfazione vedere come ogni anno molti giovani sacrificano parte del loro tempo libero per organizzare la Festa de l’Assunta. I volti spesso cambiano: mentre i più giovani e i più piccoli chiedono di entrare a far parte del «gruppo Pesca» per stare in compagnia dei coetanei, i più grandi «migrano» verso il cortile delle scuole dove aiutano nell’allestimento dei chioschi, nella preparazione dei cibi e nel servizio ai tavoli per le cene del Dardagosto... il mio augurio è che continui sempre così. Bravi ragazzi! Il pomeriggio di tradizione è dedicato ai più piccoli e ci trova tutti nel cortile delle scuole dove i bambini trovano gioia e diverti-


mento nei giochi popolari, rassicurati, incoraggiati e applauditi da parenti e amici. È veramente piacevole vedere con quanto impegno e serietà affrontano i vari giochi senza fare poi drammi se non arrivano alla vittoria! Un ringraziamento particolare inoltre a Luigina Zambon che ha gentilmente accettato di preparare una mostra dei suoi quadri presso il Teatro, così abbiamo potuto tutti ammirare e apprezzare le sue opere. La giornata volge al termine e tutti felici ci diamo un arrivederci al prossimo Dardagosto… chissà forse, speriamo, con qualche sorpresa!

Il divertimento dei bambini durante i giochi popolari.

DALLA MIA FINESTRA... D

alla mia finestra riesco a scorgere la periferia nord di Dardago, quella sotto la montagna a ridosso dei boschi. È un piccolo centro che dà la sensazione di essere un luogo riparato e sicuro. Un paese dove la gente si conosce per nome (e soprannome), una comunità serena e unita. Come ogni anno, agosto è un mese particolare per Dardago: le sue case e le sue strade si animano di emigrati provenienti da diverse città italiane, soprattutto dal Veneto e dalla Lombardia, e anche estere, in particolare come Francia, Svizzera e Inghilterra; questi ritornano per ritrovare le proprie radici, case, parenti e amici lasciati per motivi

di Chiara Maccioccu

lavorativi nel dopo guerra. A Ferragosto, per la festa della Madonna Assunta, l’atmosfera è sempre più gioiosa, anche per i tradizionali festeggiamenti che da sempre si tengono in questo periodo. Il «Dardagosto» ha un programma di manifestazioni sia religiose che ricreative, dalle classiche messe e processioni ai giochi popolari che si svolgono nel cortile delle scuole. Ci sono dei simboli in cui tutti i dardaghesi si riconoscono: i principali sono il campanile con i suoi rintocchi, il «Balèr» e il torrente Artugna che con il suo corso segna il confine geografico tra il comune di Budoia e quello di Aviano. Un tempo, i dardaghesi, ironicamente

29

definivano gli abitanti della sponda opposta «trucs» come per definirli diversi, chiusi, un po’ ottusi. Da sempre abito qui, poiché mia nonna paterna è di questo paese e la sua famiglia, da diverse generazioni vive e abita in questo luogo. Se dovessi trasferirmi sono certa mi mancherebbero le peculiarità di questo ambiente come la tranquillità, la pace, il canto degli uccelli che sento ogni mattina quando mi sveglio, il vivere con persone fortemente legate alle tradizioni che parlano in dialetto e che trascorrono le loro giornate a contatto con la natura e gli animali.


nel giardino di Tina...

incontro musicale sotto le stelle

Presentate tredici inedite composizioni musicate da Tina Favia Zambon

1

di Sante Ugo Janna

2

Ultimamente a Dardago il rujàl fa tendenza (applauso a chei del ruial per il loro lavoro edile ed il grande entusiasmo), ma lo scorso 6 settembre sera, nel giardino di Tina Favia Zambon c’è stato un rujàl «poetico». Infatti abbiamo applaudito la presentazione ufficiale di ben tredici composizioni inedite in parlata dardaghese (questa è la definizione dell’autore Vittorio Janna Tavàn) per me sono tredici poesie con la «P» maiuscola. Parliamo anche di musica perché nove poesie erano state musi-

3

cate dalla maestra Tina Favia Zambon, al piano il maestro Stefano Maso ha accompagnato l’esecuzione del soprano Elena Bazzo Fedrigo; inoltre a completare la presentazione quattro poesie sono state lette dal sottoscritto. Per usare una frase fatta: è stata una serata di successo, perché gli intervenuti hanno «respirato» la sostanza dei propri ricordi attraverso la nostra parlata e tramite le loro personali esperienze. Giustamente, nella presentazione del libretto che raccoglie le poesie, Francesco Guazzoni dice che Vittorio Janna 30

Tavàn «guarda con occhi di bambino» ed in alcune composizioni veramente si ritrova il sentire del fanciullo. Le poesie sono una esternazione del suo amore per Dardago, un inno al tempo vissuto dall’autore negli anni Cinquanta quando, qui in vacanza con i nonni paterni, camminava lungo i sentieri nei boschi, quando correva in bicicletta per giungere ai campi, quando andava in montagna per la fienagione; una stagione di formazione, di uomini e natura, di proverbi e parlate.

4


Vittorio parlando di quel tempo cita ancora la religiosità semplice, eppure profondamente genuina e riconoscente verso quella vita spesso contraddistinta da stenti e miserie, ma vissuta come un dono. Non posso dimenticare il presentatore della serata Ugo Zambon Pala che con il suo «savoir faire» ha legato i suoi interventi ai personali ricordi con giusti riferimenti. Ha chiuso gli interventi «il plevan» don Maurizio Busetti, anch’egli non è sfuggito al richiamo dei ricordi di bambino e adolescente quando presso i nonni paterni trascorreva i suoi periodi dardaghesi. Si è complimentato con il soprano Elena Bazzo Fedrigo per la capacità dimostrata nell’apprendere la nostra parlata ma ha anche

di Carlo Zoldan

l’aga de ’l rujàl

5

giustamente ricordato «i valori» racchiusi nei versi scritti da Vittorio che forse ci rimandano al «buon tempo andato» ma che sicuramente vanno considerati come fossero «radici» da cui trarre nutrimento morale. Tutti i salmi finiscono in gloria per cui non è mancato un rinfresco degno della serata, rinfresco durante il quale tra una tartina, una pizzetta, un tramezzino ed un buon bicchiere di vino (sic) gli intervenuti hanno potuto congratularsi con l’autore ed eventualmente approfondire gli argomenti trattati.

Foto 1. Il soprano Elena Bazzo Fedrigo e, al pianoforte, il maestro Stefano Maso. Foto 2. Il presentatore della serata Ugo Zambon Pala. Foto 3. La maestra Tina Favia Zambon in compagnia della figlia Roberta. Foto 4. Sante Ugo Janna Tavàn interpreta alcune composizioni nella parlata dardaghese. Foto 5. Presenti tra il pubblico il pievano don Maurizio Busetti e il vicesindaco Pietro Ianna. [foto di Francesca Romana Zambon e www.artugna.it]

31

Vittorio Janna ha da poco pubblicato un bel libro, elegante, maneggevole… da leggere e da usare; sì, perché si tratta di una raccolta di testi per canzoni, come egli stesso afferma: «Giorno dopo giorno, parola dopo parola, sono diventati testi per canzoni, diciannove componimenti che raccontano scenari passati, riflessioni attuali, sentimenti rinnovati dal ricordo». Quindi sono poesie, fatte di versi, che sono pennellate di sentimenti. In questi componimenti troviamo, tra l’altro, il paese, che richiama il senso dell’appartenenza, il paese salutato quasi con deferenza, arrivando dalla pianura, prima di salire… e poi le crodhe, che sono scuaradhe tra dolors e passion… e poi c’è l’aga de ’l rujàl e la piazza dove si ritrova la gente che… la ingropa la vita co’ lagreme e amor. Vittorio Janna, persona modesta e riservata, non vuole essere definito poeta, gli sembra troppo; noi rispettiamo questo suo desiderio e cerchiamo di accontentarlo; però gli ricordiamo ciò che Dante Alighieri risponde a Bonagiunta da Lucca (Purg., XXIV, 52-57), che gli domanda chiarimenti sulle sue scelte poetiche: «I’ mi son un che quando amor m’ispira noto e a quel modo che ei ditta dentro vo’ significando…». Invito a leggere il libro l’aga de ’l rujàl e a verificare se il nostro ha fatto cose proprio totalmente diverse, scrivendo i diciannove testi, che sono stati musicati dalla maestra Tina Favia, vedova di Cornelio Zambon. Dai versi di Vittorio traspare speranza, fede… di tutto, anche fede nelle tradizioni, da lui tanto amate; così tanto da indurlo a riproporne i messaggi: […] vardha le flame, s’cialda la man / e dal giro del fun, lièdhi ’l doman… Speriamo che Vittorio lo faccia e che la previsione sia magari un altro libro come questo.


Angelo Modolo

di Elena Modolo

L’INCANTO DEL COLORE, LA POESIA DELLE PAROLE E ccoci alla seconda retrospettiva

Inaugurazione della mostra dedicata al pittore Angelo Modolo. Sopra. Alcune delle opere esposte.

sole e vita Bello è passeggiare a primavera quando l’allodola i primi raggi del mattiniero sole rallegra cantando Agitandosi allegra par che aspetti il dolce tepore dal sole di marzo che lentamente sale e ristorare si sente d’alito vitale. Il piano in basso sorridente le appare in mille tinte e tratti in fiore e fili d’or Or come infinite cose sembra nascer allora Come da voce divina sentirsi chiamare e canti e voci e suoni confondersi allor sembrano salutare un coro Il grande sublime immenso Creatore ANGELO MODOLO 1958

32

della mostra dedicata al pittore Angelo Modolo tenutasi nella splendida cornice dell’ex convento di San Giacomo di Polcenigo, dal 29 agosto al 15 settembre di quest’anno. Un sentito ringraziamento quindi a don Vito per la concessione delle sale e al Comune di Polcenigo che ha patrocinato la mostra. Dopo la prima retrospettiva, tenutasi lo scorso anno nel teatro di Dardago, noi figli e nipote abbiamo ritenuto opportuno proseguire con questa seconda mostra nel suo paese nativo visto che i principali scorci e paesaggi rappresentano proprio il Gorgazzo e la Sorgente, la via dell’ex panificio Janes, i rustici, Polcenigo, il colle , il castello e la Chiesa di San Rocco. Il lavoro di allestimento ci ha impegnato per quasi tre giorni e siamo riusciti ad esporre un totale di novantacinque dipinti in gran parte di famiglia e altri gentilmente concessi: si tratta di lavori per lo più ad olio, in minima parte anche eseguiti in bianco e nero con uso di carboncino e matita. Siamo partiti al pian terreno nell’atrio dell’ingresso con paesaggi, Chiese e scorci di case datati primi anni ’70 (secolo scorso) dove abbiamo potuto notare in alcuni dipinti un tipo di pittura quasi naif


L’angolo della poesia la solitudine

con colori piuttosto accesi, per poi proseguir al piano superiore con la parte figurativa di volti, figure sacre e autoritratti. Abbiamo avuto la fortuna di riuscire a recuperare alcuni dipinti molto interessanti con tratti assolutamente originali che ci hanno molto emozionato, dove l’uso di colori molto accesi con il passare degli anni hanno lasciato il posto a quelli più cupi e a una pittura più matura. L’inaugurazione è stata molto sentita da chi vi ha partecipato, per noi quasi un rientro in famiglia e per qualcuno l’emozione di rivedere i luoghi dell’infanzia che ora non sono più gli stessi; anche nelle domeniche successive abbiamo riscontrato un buon afflusso di visitatori, vecchi amici e suoi conoscenti. Ha suscitato molto interesse un album con alcune poesie, i primi studi, e le bozze che partono dagli anni ’70, dove in molti si sono sorpresi della manualità decisa e della fantasia. Abbiamo ricevuto dei ringraziamenti e complimenti anche per l’esposizione, soprattutto da chi sa apprezzare la bellezza dell’arte. Un ricordo particolare a nostra madre, Nina, scomparsa da poco che negli anni lo ha sempre sostenuto e consigliato in questa sua passione.

Molte persone quel vivere sole nulla manca telefono si, se bisogno aiuto arriva in vecchie mura di casa mia cane e gatto ferrea sua compagnia pesce e formaggio sulla tavola a lor cibo non manca sono più che umani non son mai ladri lunghi sono i giorni e più le notti al mattin dell’alba quel manto d’oro goder l’aurora del nuovo giorno luce baciar dal sole la mia finestra lenti a passi che di vestir non mai lacrime cadenti straviar pensier non ci streghi la malinconia palpita il cuor chi baston in man per lenti camminare destri salute chi via fortuna nati siamo giorno mese e l’anno ma l’ora del tramonto non saperla mai se notte oscura non veder la luna perché ogni giorno ne succede una? Come scintilla va’ il pensier lontano più rapido ancor ritorna mio Dio aiuta ognun la sua memoria molti anni son passati sofferma il pensier ride un giovane ma suo amico lacrima non pensi nostra vita come sarà? La speranza di ognun di noi non conosce mai la sua età ANGELO JANNA TAVÀN

Una composizione struggente eppure cadenzata da un respiro di speranza. La solitudine di un uomo senza famiglia, l’inesorabile avanzare degli anni (lunghi sono i giorni / e più le notti [...] Come scintilla va’ il pensier lontano / più rapido ancor ritorna / mio Dio aiuta ognun la sua memoria / molti anni son passati / sofferma il pensier), la constatazione di una realtà senza più umanità (perché ogni giorno ne succede una? [...] ride un giovane ma suo amico lacrima / non pensi nostra vita come sarà?), la certezza di un passato la cui memoria vacilla di fronte all’ignoto del futuro (nati siamo giorno mese e l’anno / ma l’ora del tramonto non saperla mai). Una poesia che restituisce però la dignità dell’uomo nell’affrontare la propria quotidianità (non mai lacrime cadenti / straviar pensier non ci streghi / la malinconia), l’emozione rinnovata di un nuovo giorno che nasce (al mattin dell’alba quel manto d’oro / goder l’aurora del nuovo giorno) e l’agrodolce tenerezza dei suoi compagni di solitudine: un telefono per le necessità, un cane ed un gatto a cui attribuisce la più pura sensibilità umana, ricompensata da succulente libagioni (pesce e formaggio sulla tavola / a lor cibo non manca / sono più che umani / non son mai ladri).


ass oc

s ass oc ioni i iaz

i ion az

Il 15 agosto 2013, festa dell’Assunta, patrona di Dardago, un gruppo di dardaghesi ha costituito El Comitato del Ruial de San Tomè con lo scopo di tutelare lo storico manufatto idraulico, valorizzare la cultura e le usanze locali e promuovere il rispetto dell’ambiente.

el Comitato del Ruial de San Tomè Già negli anni passati, qualcuno si è interessato a quest’area: ricordiamo gli interventi della Proloco (l’Itinerario del torrente Artugna costeggia buona parte del ruial), dell’ANA e di molti volontari che hanno fatto sì che il manufatto non andasse irrimediabilmente perduto. Fare nomi è sempre difficile, ma riteniamo giusto ricordare il grande impegno di Sergio Carlon e di Luciano Zambon che negli ultimi due decenni hanno dedicato centinaia di ore del proprio tempo libero per consolidare quest’opera.

Da settembre, decine di volontari del Comitato, si sono impegnati in un’opera sistematica e tenace di recupero, e alla fine di novembre tutto il tratto esistente è già stato completamente recuperato e rimesso in sicurezza per altri secoli. Il lavoro ha comportato la sistemazione e «fugatura» delle pietre grezze che sormontano e delimitano la canaletta, la pulizia dell’area adiacente, ed il ripristino e messa in sicurezza anche del sentiero laterale per consentire il transito di sportivi e scolaresche.

Il paesaggio visto non solo come una sequenza di espressioni estetiche, ma sentito come sistema basato su delicati equilibri, ritmato da continui rapporti con l’uomo. Il paesaggio respirato come espressione della storia, della cultura e delle tradizioni delle genti che l’hanno abitato. Il paesaggio vissuto come bene, patrimonio dell’intera collettività a cui spetta il gravoso ma entusiasmante compito di conservarlo.

34

Interessante e significativa la giornata del 19 ottobre quando ai volontari si sono aggiunti anche una trentina di americani entusiasti e felici di collaborare per il recupero di un’opera tanto antica. Dopo qualche ora di lavoro, i volontari italiani e americani si sono ritrovati in piazza a Dardago dove è stata spiegata ai nostri amici americani la peculiarità dei soprannomi dardaghesi: Thisa, Canta, Caporàl, Pinàl, Sclofa, Sbac, Luthol, Sclith, Barisel ecc., un tempo assolutamente necessari a dare una identi-


tà più certa ai tanti Toni, Mario e Gigi Zambon, Bepi, Piero e Nani Bocus del paese. Il Comitato ha assunto l’iniziativa di affiggere una targa in pietra sulla Ciàsa del plevàn, per identificare la canonica. Dopo la benedizione di don Maurizio, il sindaco, arch. Roberto De Marchi, ha dato il benvenuto agli amici americani ed ha ringraziato i tanti volontari che, in vario modo, stanno dando un contributo alla comunità. La bella giornata si è conclusa con una grande e riuscita festa, in compagnia, nel cortile delle scuole di Dardago.

Al momento dei saluti, ai volontari americani, è stata regalata una stampa riproducente la mappa, datata 1775, che accompagnava una Supplica (domanda) del signor Conte Gio Battista Fullini ai «Provveditori Sopra li Beni Inculti» della Repubblica di Venezia; la domanda riguardava la possibilità di sfruttare l’acqua del nostro Ruial per «far girrare l’una o due Ruotte a Copedello dell’Edifficcio da Molino da macina di Grano [...] a commodo della Popolazione di far errigiere nel sito indicato....». A questo proposito, è doveroso ringraziare il periodico l’Artugna per l’ottimo lavoro e per il gradito regalo della preziosa stampa! Un ringraziamento va fatto ai vari sponsor e collaboratori (troppo numerosi per elencarli tutti). In primavera 2014, in collaborazione con l’Amministrazione Comunale, che ha recuperato fondi nel l’ambito del progetto «Montagna Leader/Liquentia», verranno messi in opera circa 160 metri di nuove canalette in pietra, che sostituiranno i tubi in plastica provvisoriamente installati, e costruita una nuova diga sul torrente Cunath che assicurerà un flusso costante di acqua al Ruial. [Altre notizie a pagina 41 vedi «Cronaca» Tabéle in piera].

Il gruppo dei volontari con gli ospiti, nel cortile delle scuole, dopo il momento conviviale del 19 ottobre.

Momenti significativi dell’attività di recupero del ruial. Sergio Carlon consegna agli amici americani la stampa con l’antica mappa del ruial. [foto www.artugna.it]

35


s ass oc ioni i iaz

i ion az

Collis Chorus di Bruno Fort

ass oc

> a Sarmede e Talmassons Il «Collis Chorus» ha partecipato sabato 27 aprile c.a. alla manifestazione «Fantasia in note», terza edizione, che si è svolta a Sarmede (Tv) e che nei tre sabati precedenti aveva visto la presenza di cori dai generi popolare rock e pop. Il coro si è esibito nel genere gospel-spiritual presentando un programma che è stato un breve viaggio nel mondo della musica afro-americana, dalla sofferenza e dal desiderio di libertà dello Spiritual tradizionale all’energia ed alla gioia, talvolta sfrenata, del Gospel contemporaneo.

> colori della speranza Sabato 29 giugno alle ore 21.00 presso la chiesa parrocchiale di Santa Lucia di Budoia si è svolta la manifestazione «I colori della speranza», diciannovesimo incontro di canto gospel-spiriual con la partecipazione del gruppo «Soul Circus Gospel Choir» di Ronchi dei Legionari (Go) diretto da Massimo Devitor. Il coro ospite ha presentato un repertorio davvero avvincente ed interessante riuscendo a coinvolgere il pubblico numeroso che ha potuto apprezzare la performance del gruppo e quella dei musicisti. L’esecuzione del brano finale «Oh happy day» a cori riuniti sotto la direzione di Massimo Devitor, ha suscitato l’entusiamo dei presenti in un crescendo di voci soliste appartenenti alle due formazioni corali.

Un piccolo affresco che sintetizza quel processo evolutivo che è durato secoli e che ha visto trasformarsi le canzoni degli schiavi «Slave songs», nel Gospel, genere che nonostante letteralmente significhi «Vangelo» a volte difficilmente viene accostato al mondo sacro, tanta è la contaminazione e l’affinità con generi profani come il Blues, il Soul, il Jazz… perché no il Musical. Il «Collis Chorus» si è esibito inoltre l’8 maggio 2013 alle ore 20.45 presso la chiesa di Talmassons (Ud), nell’ambito

della Manifestazione «I sapori Pro Loco» giunta alla sua dodicesima edizione a Villa Manin di Passariano. Il concerto corale, organizzato dal Comitato Regionale UNPLI in collaborazione con USCI Friuli Venezia Giulia, ha visto l’esecuzione di vari brani gospel-spiritual molto apprezzati da tutti i convenuti e dagli organizzatori. Alla fine della serata è stato offerto al coro un ottimo rinfresco molto gradito da tutti i coristi in un agriturismo tipico della zona.

Un carnet ricco di appuntamenti attende il «Collis Chorus» tra novembre e dicembre 9 novembre > ore 20.45 Concerto gospel-spiritual presso la chiesa di San Martino di Campagna organizzato dalla Pro Loco.

8 dicembre > ore 17.30 «Concerto del cuore» in favore della missione di padre Martin in Mozambico. Canti gospel-spiritual presso il Castello di Cordovado.

12 dicembre > ore 20.30 «Auguri in musica per Natale 2013». Concerto presso il Teatro «don Bosco» di Pordenone.

21 dicembre > ore 20.45 Rassegna corale presso la chiesa parrocchiale di Sant’Odorico, Sacile organizzata dal coro Sant’Odorico con la partecipazione del coro ANA di Aviano.

22 dicembre > ore 17.00 Concerto natalizio presso la chiesa parrocchiale di Andreis all’interno del progetto USCI FVG «Nativitas».


Lasciano un grande vuoto... l’Artugna porge le più sentite condoglianze ai famigliari

Franco Zambon Biso TU ERI LUCE, FRANKO

È mancato Franco e ha lasciato un vuoto incolmabile per i suoi famigliari, i parenti, gli amici... Lo ricordiamo con due poesie: la prima scritta da lui e l’altra composta dai colleghi e letta in chiesa nel giorno dell’ultimo saluto.

Tu eri l’amico che tutti dovrebbero avere. Tu avevi quella Luce con la quale riuscivi a Vedere orizzonti ai più sconosciuti, sentimenti e colori di altri mondi. Non avevi bisogno d’occhi Franko, tu osservavi con il cuore tu pensavi con il cuore tu amavi la vita con il cuore con una purezza che non trovi nel più prezioso dei diamanti.

IO HO PAURA lo ho paura: di non innamorarmi più... dì non avere più curiosità nella mia vita che mi vada peggio di così… di arrivare in ritardo di ingrassare ancora... di non stupirmi più delle emozioni ma soprattutto dì ferire e di deludere coloro che mi amano e a cui voglio bene. lo non ho paura: di dire la verità di fare autocritica, dì mettermi in discussione delle mie convinzioni, della mia razionalità di incontrare sempre nuove persone e sensazioni delle mie insicurezze, della mia inadeguatezza… ma io non ho paura di mostrare la faccia, di far trasparire quello che sono….in libertà!! FRANCO

Con semplicità e umiltà ci hai lasciato tanti insegnamenti ora tesori inestimabili. E senza chiedere nulla. Quel tuo grande cuore ora si è fermato in un giorno di Settembre qando il tuo amato bosco assume i colori più straordinari e irradia i suoi profumi nel giardino dei sensi. La luce del tuo immenso cuore ora noi custodiremo senza confini dentro di noi, per sempre. E non potremo mai ringraziarti abbastanza per tutto quello che ci hai offerto con i tuoi gesti innocenti (erano carezze) solo donarlo a chi non ha avuto l’immensa fortuna di conoscerti. Ciao Franko Sei stato, e rimarrai sempre, unico. I COLLEGHI

Luigi Bocus Il giorno 7 ottobre 2013 è deceduto lo zio Luigi Bocus, nato il 18 ottobre 1931. Lascia nel dolore la moglie Luisa e le sorelle Norma e Caterina, i nipoti e molti amici. Come tutti i Budoiesi, anche lui ha conosciuto da giovane la via dell’emigrazione, dapprima a Venezia, poi un periodo a Roma, quindi, a Londra. Rientrato in Italia, per un lungo periodo, gestì con la moglie un bar a Pordenone; infine, concluse il suo periodo lavorativo a Trieste. Poi, il ritorno nella sua amata Budoia,

per godersi la sospirata pensione. Persona amichevole e gentile, trascorreva qualche ora in compagnia al bar «Da Renè», sempre pronto a dialogare con le persone che incontrava. Ciao, zio! Ci rimane un caro ricordo di te. Riposa in pace. I TUOI NIPOTI

37


Ermenegilda Bastianello «Forte come una quercia, resistevi alle intemperie, ma alla fine il vento si è placato anche per te. Prendendo forza dalla tua profonda fede, ci ispiriamo alle parole di Pes-

soa: La morte è la curva della strada, morire è solo non essere visto. Arrivederci, Gilda, ci mancherai». TUA NIPOTE MANUELA

Vittorio Zambon Petenel Vittorio, marito, padre, nonno meraviglioso. Hai raggiunto oggi la tua Giacomina, in quei cieli che hai meritato. Nella tua vita sei stato un gran lavoratore e la fede ti ha accompagnato lungo il cammino. Continuerai a vivere nel cuore dei tuoi figli con i quali sei sempre stato imparziale e giusto. «Male non fare, paura non avere» era la frase con la quale ci ricordavi di essere corretti e coraggiosi. il tuo grande ma non unico dolore è stato quello di non aver conosciuto tuo padre, caduto da eroe nella Prima Guerra Mondiale, quando tu avevi solo pochi mesi di vita. Le tue gioie le hai avute con tua moglie e i tuoi figli. i tuoi gioielli sono i nipoti, ai quali trasmetti un amore infinito. Ti immaginiamo uscire dalla porta, portando il tuo cappello in testa e con gli occhi sorridenti mentre dici: «...Ti voglio bene». Ciao.

La Parrocchia di Budoia, si è unita al saluto della grande famiglia di Vittorio, ricordando la sua presenza di componente del Coro parrocchiale, di fabbriciere e di membro del Consiglio per gli Affari Economici. Per questo impegno profuso con passione e senso del dovere va il convinto grazie del Parroco don Maurizio e di tutti i Consiglieri, mentre affidiamo alla misericordia di Dio la vita di Vittorio che continua nella Gerusalemme del cielo e la nostra partecipazione al loro lutto. MARIO POVOLEDO

I TUOI FIGLI E NIPOTI

il loro ricordo non sfuma Ferruccio Bocus e Bruno Polanzani Lara Bocus e Francesco Polanzani con Alessandro ricordano i nonni Ferruccio e Bruno.

38


Marisa Romanet Ha addolorato, ma anche meravigliato, la morte di Marisa, avvenuta al CRO di Aviano dopo breve malattia, il 10 novembre. La vedevamo spesso, e sempre sorridente, in chiesa a Budoia ai tempi di don Adel. E sempre in compagnia del marito Giuseppe Qualizza, con il quale aveva avviato e consolidato nella nostra diocesi, per oltre trent’anni, la pastorale familiare, a sostegno della famiglia, «piccola chiesa domestica» e cellula fondamentale della società. Un valore tanto «professato» da Marisa e

Giuseppe che era innaturale vedere lei sola quando perdette il marito solo due anni fa. Ora si sono ricongiunti presso il Signore, che hanno creduto e testimoniato con fede aperta e gioiosa fiducia. WALTER ARZARETTI

Mario Del Zotto paese di origine, per ritemprarsi. Ci ha lasciato il 14 luglio 2013, dopo una malattia sopportata con coraggio.

Mario Del Zotto, nato a Budoia in 1928, ha costruito la sua vita in Francia, ma ritornava ogni anno nel suo

I FAMIGLIARI

Ciao Mario! La notizia della tua improvvisa scomparsa ci ha colto con viva sorpresa, volgendo il pensiero al profondo dolore e sconforto della tua cara famiglia e suscitando in noi tutti grande tristezza. Di fatto riaffacciano alla memoria i vari momenti dell’amicizia che ci ha unito in passato nel periodo trascorso insieme a Budoia. Entrambi noi, figli di emigrati per lavoro in Francia i quali, dopo anni di esistenza dura ma tranquilla e serena, dovettero affrontare condizioni di vita sempre più critiche causa gli eventi drammatici del 2° conflitto mondiale degli anni ’40. Da qui la decisione del ritorno al paese natio nella speranza di maggiore certezza per il futuro. Sono stati comunque anni difficili, per tutti, di ansie, di paure e di violenze. Ma noi ragazzi riuscivamo a trascorrere le nostre giornate fra amici con una certa ingenua spensieratezza, e senza mancare al nostro compito di bravi chierichetti. La fine delle ostilità ci divise e

tu ritornasti a Aix nella tua casa, al tuo lavoro per crescere la tua famiglia. Per diversi anni, il tuo passare a Budoia un periodo di vacanze estive dava modo di rincontrarci con rinnovata amicizia. Tra altri, un ricordo che mi è particolarmente caro riguarda il viaggio, nel ’65, a Aix Les Bains con la mia famigliola quando mi accogliesti, con generosa ospitalità, a casa tua per un piacevole soggiorno che mi permise inoltre di rivedere

con emozione i luoghi dove avevo vissuto la mia adolescenza. Ancora grazie. Ciao Mario. DOMENICO DIANA Chierichetti con don Luigi Agnolutto, nel 1942-43. Mario Del Zotto è il primo a destra, nella fila in alto. Riportiamo alcuni nomi dei ragazzini. Prima fila, in alto. Giorgio Fort, Gennaro Zambon, Domenico Diana, Angelo Varnier, Giovanni Gislon, Enrico Bravin, ?, e Mario Del Zotto. Seconda fila, al centro. Mario Burigana Remondin, Gastone Burigana, Luigino Angelin, Pierino Del Zotto, Lorenzo Angelin Tonela, ?, Sergio Angelin, Ferruccio Puppin Los e il parroco don Luigi. Terza fila, in basso: il terzo, da sinistra, è Gianni Ariet.


Cronaca Cronaca

I coscritti del 1943 a Chioggia.

... chei de ’l ’43

dalla terra del beato Marco d’Aviano e avevano conosciuto il suo illustre concittadino Padre Venanzio Renier (si ricorda che il beato ricevette l’ordinazione a prete a Chioggia). Un pranzo a base di pesce e con notevole movimento di caraffe di vino ha concluso la mattinata. Nel pomeriggio la comitiva si è trasferita nella vicina Abbazia di Pomposa, dove con molto interesse ha ammirato il centro religioso medioevale e le sue magnifiche opere d’arte (succintamente spiegate dalla solita guida). A fine gita tutti si sono augurati di ripetere la festa per gli ottant’anni. Con i pochi denari residui è stato possibile procurare un fiore posto sulle tombe dei coscritti il primo novembre.

Settant’anni vengono una volta sola! I settantenni residenti nel Comune di Budoia hanno pensato bene di festeggiare adeguatamente il traguardo raggiunto. Tutto è cominciato con una riunione, alla quale tutti sono stati invitati e nella quale è stato deciso il da farsi. Da là è poi partita la macchina organizzativa con l’invito scritto non solo ai residenti ma anche ai nati in Comune al momento reperibili. Venerdì 11 ottobre una ventina di coscritti ha partecipato alla Santa Messa di ringraziamento per loro e di suffragio per i loro coetanei defunti. Al termine una allegra bicchierata ha concluso la prima parte della festa. Il giorno dopo un gruppo di «quarantatreini» con consorti e qualche amico è salito su un pullman che li ha portati a Chioggia. Qui hanno effettuato una breve visita della città con la guida di un coscritto non nuovo a queste esperienze. Durante la visita al Duomo (deserto!) sono stati benevolmente redarguiti, perché chiacchieravano, da un diafano monsignore (desavit come un amol de Frantha), in verità poco interessato del fatto che venivano

FERNANDO DEL MASCHIO

treno. Dopo una gita in vaporetto sul Canal Grande abbiamo potuto gustare le bellezze di uno dei più importanti e conosciuti palazzi veneziani: Ca’ Rezzonico. Il grandioso palazzo fu costruito nella seconda metà del ’600 su progetto del Longhena, massimo esponente del barocco veneziano. Ora è sede del Museo del Settecento Veneziano dove si possono ammirare le opere di artisti quali Tintoretto, Sebastiano e Marco Ricci, Tiepolo, Pietro Longhi, Francesco Guardi, Canaletto, Cima da Conegliano... Dopo la parte artistica abbiamo dedicato le nostre attenzioni all’ottimo e abbondante pesce in una vecchia trattoria veneziana. Opportuna, anche per digerire, la bella passeggiata tra le calli per raggiungere la stazione. Arrivederci al prossimo anno!

... chei de ’l ’51 La tradizione della festa della classe 1951 si è rinnovata anche quest’anno. La coscritta Maria Grazia Zambon è stata l’impagabile organizzatrice e guida turistica nella splendida Venezia. Abbiamo raggiunto la laguna in

Coscritti del 1951 e «simpatizzanti» tra le calli della Serenissima.

40

... chei de ’l ’63 Cinquant’anni: un traguardo importante nella vita di ognuno di noi, che merita di essere festeggiato in modo particolare. Infatti noi coscritti del ’63, numerosi, ci siamo trovati sabato 16 novembre. Di buon’ora, accompagnati da una giornata meravigliosa, siamo partiti per Venezia. Intenso si è presentato il programma della giornata (organizzato in maniera impeccabile dal nostro coscritto Gian Pietro) che è cominciato con la visita del convento nell’isola di San Francesco del Deserto accompagnati dal frate custode. Come seconda tappa abbiamo visitato l’abbazia di Torcello, con successiva tappa presso un noto bar dell’isola per un aperitivo.


La Rita i la premiadha

In piazza San Marco a Venezia.

Partenza per San Marco e pranzo presso il ristorante Sempione dove ci è stato servito un ricco e squisito menù a base di pesce. Per finire una passeggiata rilassante e digestiva tra calli e campielli. È stata una giornata piacevole e allegra, e tutto è andato nel modo migliore. Ci siamo lasciati in serata con la promessa di ritrovarci sempre più spesso. ANGELA, GIAMPIETRO, ROBERTA, LUIGINO

... chei de ’l ’48 Sabato 30 novembre una «ristretta» rappresentanza dei coscritti del 1948 si è riunita per trascorrere

una serata in allegria. Un sentito ringraziamento ad Andrea Biscontin, da tutti definito l’infaticabile organizzatore, e un augurio di ritrovarsi più numerosi al prossimo appuntamento.

Rita Marson, con «Fantasia di fiori» si è classificata al secondo posto della sezione Esperti al Concorso Internazionale di merletto a fuselli «Fuselliamo». La giuria ha esaminato ben 56 lavori provenienti da molte regioni italiane e anche da Spagna, Slovenia, Germania, Francia, Croazia ed Argentina.

... chei de ’l ’50 Venerdì 6 dicembre si sono ritrovati per una serata di ricordi in allegria, i coscritti della classe 1950. Al termine della Santa Messa celebrata da don Maurizio – anch’egli del 1950 – i festeggiamenti sono continuati con una pizza in compagnia al ristorante «Da Genio» al Gorgazzo di Polcenigo.

I coscritti del 1948 durante il momento conviviale.

Rita durante la premiazione a Gradisca d’Isonzo.

Tabéle in piera

I coscritti del 1950 al termine della Santa Messa di ringraziamento.

41

Fra meno di trent’anni, nei tre paesi, nessuno ricorderà più l’attuale toponomastica e quindi, ci piacerebbe che tutte le case storiche venissero identificate con una targa in pietra simile a quella della Ciàsa del plevàn inaugurata il 19 ottobre. Il valore di questa iniziativa, promossa dal Comitato del Ruial, è stato ribadito anche dal Sindaco durante l’inaugurazione. Così, oltre al ripristino del Ruial, potremmo lasciare ai nostri figli e nipoti un patrimonio storico e culturale prezioso che renderà i paesi più attrattivi anche dal punto di vista turistico. El Comitato del Ruial si assumerà il compito dell’installazione gratuita, mentre alle famiglie spetterà l’importo della targa. Una simile a quella della Ciàsa del plevàn, con scritte in rilievo, costa


Messa a San Martìn

Il sindaco di Budoia e don Maurizio scoprono la targa di pietra della Ciàsa del plevàn.

200 euro + IVA, mentre con scritte incise, costa 100 euro + IVA (costo in relazione al numero di lettere). C’è anche una proposta «casalinga»: una targa ricavata dalle pietre dell’Artugna tagliate e incise manualmente da nostri volontari abili con lo scalpello. Queste targhe (di forma irregolare) saranno fornite e installate «gratuitamente» dal Comitato. Eventuali offerte serviranno per l’acquisto dei materiali necessari per il proseguo dei lavori. Chi lo desidera può contattare Luciano Tarabìn, Gigi Basso, Giorgio Ciùti o altri volontari del Comitato oppure inviare una e-mail a comitatoruialdesantome@libero.it

Era l’11 novembre e, nella chiesa ‘rimessa a nuovo’ dopo una accurata pulizia, numerosi sono i fedeli di Dardago, Budoia e Santa Lucia che si riuniscono per assistere alla Santa Messa celebrata da don Maurizio. Nell’omelia il pievano ricorda la figura del santo, icona ed espressione emblematica della carità. Si ringraziano i volontari che hanno lavorato per la chiesa e organizzato la castagnata per concludere l’incontro in allegria.

le sino al capitello di Ciathentai in cima al paese per poi ritornare alla chiesa. Un percorso abbellito con i fiori delle nostre case, impreziosito dalla preghiera comunitaria.

Netath i ferai de la glesia

A Dardago i lampadari e i ferai della parrocchiale, dopo la pulizia delle parti metalliche, rifulgono di una luce nuova. Ora guardarli è come ‘vivere’ e ‘sentire’ una senzazione di bello e di pulito. Interessante è stato pure riscoprire le scritte che, molti anni orsono, i donatori avevano fatto incidere.

La Madhona de la Salute

Domenica 24 novembre la comunità di Dardago partecipa numerosa alla Santa Messa e alla successiva Processione in onore della Madonna della Salute. La statua della Vergine, portata da un bel gruppo di volontari, percorre le nostre vie, sa-

Luigina (Gigi) Zambon la fat ’na mostra Domenica 11 agosto in teatro a Dardago è inaugurata la mostra di pittura di Luigina. Ci sorprende per la varietà di temi e di tecniche, dagli acquerelli ai quadri ad olio, alla spi-

Next Landmark 2013. Premiath doi architeti de Buduoia Costruire con qualità nel rispetto dell’ambiente, utilizzando materiali sostenibili e investendo in forme di produzione energetica derivate da fonti ecologiche e rinnovabili: questa la scelta che ha portato la giuria internazionale a selezionare tra i primi 20 il lavoro dello Studio Dmp, dei giovani architetti di Budoia, Anna Pezzetta e Roberto De Marchi, alla seconda edizione del concorso internazionale «Next Landmark 2013», a cui hanno partecipato oltre 800 lavori provenienti da tutto il mondo. L’edificio di Classe energetica A, è stato costruito utilizzando materiali naturali, ed è riscaldato esclusivamente con legname di provenienza locale, consentendo così un elevato risparmio di risorse. Complimenti ad Anna e al nostro sindaco!

Progetto e realizzazione dell’edificio premiati al concorso internazionale Next Landmark.


inno alla vita

Un particolare della mostra di Luigina Zambon.

ritualità delle icone. Gigi nei suoi quadri intreccia, tra percezione e memoria, le sue «favole». Ombrellini, aquiloni, sagome di carta ritagliata, scatole magiche – da cui si liberano fantastiche creature – sono immagini che si rincorrono nelle sue tele per svolgere i racconti di storie fantasiose. La mostra riscuote molto successo e numerosi sono i visitatori. Un ringraziamento particolare all’artista per aver messo a disposizione del pubblico un considerevole numero di acquerelli, il cui ricavato è devoluto in beneficenza per la parrocchia.

Da Roveredo in Piano... i nonni Antonietta Zambon e Giorgio Moras con zia Alessia, papà Andrea e mamma Ivana annunciano con gioia l’arrivo di Emanuele, nato il 13 maggio 2013.

Ciao! Sono Francesca Zambon, figlia di Fabio Zambon Biso e di Maria Amelia Da Vitoria. Il 20 ottobre è stato un giorno di festa perché papà e mamma si sono sposati in Comune e poi mi hanno fatto battezzare. Buon Natale a tutti voi!

Wi-fi gratis in platha

Dalla piazza di Dardago alle piazze del mondo. Da alcuni mesi è possibile vedere giovani seduti sulle panchine oppure ai tavolini del bar, ‘in compagnia’ di portatili o tablet, intenti a navigare in internet. Grazie all’interessamento dell’Amministrazione comunale, infatti, in tutte e tre le piazze dei paesi la popolazione ha accesso gratuito alla rete. Un servizio tecnologico avanzato per mantenere così le nostre comunità... al passo con i tempi.

Toronto, Canada. Il 28 maggio 2013, per la gioia di mamma Lucie, papà Daniel, di parenti e amici tutti, è nata Bianca Adriana Iacob.

43

Toronto, Canada. Anna Zambon festeggia la pro-nipotina Bianca Adriana. La signora Anna è diventata bisnonna dopo il suo 80° compleanno.


Auguri dalla Redazione!

inno alla vita

Lara Bocus e Francesco Polanzani con Alessandro nel giorno del suo Battesimo.

Sabato 31 agosto, nella chiesa di Santa Maria Maggiore di Dardago, Alessandra Marcuz e Andrea Dorigo si sono uniti in matrimonio. Momenti felici condivisi con famigliari e amici.

10 giugno 2013, nozze d’oro a Budoia per Italo e Giulia Callegari, che nel 1963 hanno celebrato il loro matrimonio a Solva di Alassio (Savona). Italo e Giulia Callegari, ambedue farmacisti, hanno condotto e diretto rispettivamente fino a pochi anni fa, la farmacia di Budoia e quella di Col San Martino in provincia di Treviso.

La bisnonna Lina Carnazzola con il figlio Stefano Fort, la nipote Debora e il pronipote Nicola.

Il giorno 3 settembre 2013, Lina Carnazzola ha compiuto 80 anni! Eccola, nel giorno della sua festa attorniata dai sei figli, i nove nipoti, il pronipote e tutta la grande famiglia.

44


Bruna Zambon e Giovanni Job, in occasione del loro 50° anniversario di matrimonio, desiderano, tramite l’Artugna, mandare un caro saluto alle sorelle Leonilda e Anna che sono in Canada e a tutti i parenti. Grazie alla redazione de l’Artugna!

Grande festa il 14 settembre per le nozze d’oro di Lidia Basso e Marco Smeraldi.

In una radiosa giornata estiva, l’11 agosto 2013 in Santa Maria Maggiore di Dardago, don Maurizio Busetti ha celebrato il 50° anno di matrimonio di Franca Ianna e Luciano Bocus. Nel calore della famiglia e degli amici più cari hanno festeggiato ricordando i favolosi anni condivisi da quel 31 agosto 1963... A loro auguriamo tantissima felicità e serenità.

Eccomi, sono Leonardo! Sono nato il 14 febbraio e ho portato tanta gioia a mamma Chiara, papà Marco, ai miei fratelli Nicola, Cristina e Stefano e ai nonni Antonietta Bastianello, Toni e Clelia.

A Saronno (Varese) Ferdinando Brussato e Ambrogina Rigo hanno festeggiato i loro 60 anni di vita in comune.

Giancarlo Angelin e Bibiana Colombi hanno festeggiato il loro 50° anniversario di matrimonio: era il 26 ottobre scorso.

45


l’Artugna · Via della Chiesa, 1 33070 Dardago (Pn)

I ne à scrit...

Carissimi, mi è arrivata da Ankara (Turchia), dove da tempo opera, il seguente messaggio di Mariagrazia Zambon che apprezza molto l’Artugna: «Carissimo Osvaldo, Come stai? Qui tutto tranquillo, ma ti chiedo di continuare a pregare per me e soprattutto per la comunità cristiana qui presente. Ti ringrazio del ricordo costante che percepisco... anche con l’arrivo puntuale de l’Artugna che ci fa sentire in comunione! Un abbraccio caro».

Siamo felici che lei apprezzi sia il nostro periodico, sia la possibilità di seguirci attraverso Facebook. Infatti da qualche mese oltre che all’indirizzo: www.artugna.blogspot.it il nostro periodico è presente su Facebook all’indirizzo: www.facebook.com/lartugna.pe riodico Un altro modo per essere più vicini ai nostri lettori!

[...dai conti correnti ]

San Donato Milanese, 30 agosto 2013

OSVALDO PUPPIN

Caro Osvaldo, ti ringraziamo per il messaggio di Mariagrazia che ci hai fatto pervenire. È bello sentire, da chi è tanto distante, che l’Artugna è uno strumento di comunione. A Mariagrazia assicuriamo il nostro ricordo e la nostra preghiera.

direzione.artugna@gmail.com

Lodi, 10 novembre 2013

Sono venuta a Dardago ma ho dovuto rientrare subito a Lodi. Invio la mia offerta per l’Artugna che ricevo sempre molto volentieri. Saluti a tutti voi della redazione. FLORA PELLEGRINI BALLARDINI

Grazie a lei, Flora, e auguri per il suo 90° compleanno!

Costante ricordo a noi lontani. Grazie per l’invio sempre gradito. VERENA ZAMBON – TORINO

A ricordo di Romano Zambon, la moglie. ROSINA SECCO – TORINO

Vi ringrazio per gli aggiornamenti tramite la vostra rivista. EVARISTO BUSETTI – TRIESTE

In ricordo dei nonni Busetti e dei genitori Rigo Moreàl. YOLANDA RIGO (1922) – SACILE

Un’offerta per l’abbonamento al periodico l’Artugna. GUIDO BISCONTIN – VENEZIA

Annemasse, 1 settembre 2013

Mille grazie per l’Artugna che riceviamo con tanto piacere, e adesso anche con le notizie su Facebook. Fa molto piacere avere in Alta Savoia notizie e foto del mio bel Dardago. Ancora grazie a tutta la redazione. PIETRO ZAMBON VIALMIN

Gentile signor Pietro, grazie per il contributo e per la sua cortese lettera.

bilancio Situazione economica del periodico l’Artugna Periodico n. 129

entrate

Costo per la realizzazione

5.184,00

Spedizioni e varie

271,00

Entrate dal 18.07.2013 al 30.11.2013

4.990,00

Totale

4.990,00

46

uscite

5.455.00


DONNE

Ricordatevi che uno strato di polvere protegge i mobili… Una casa è più bella se si può scrivere «ti amo» sulla polvere del mobilio. Io lavoravo otto ore, il fine settimana, per rendere tutto perfetto, «nel caso venisse qualcuno». Alla fine ho capito che «non veniva nessuno», perché tutti vivevano la loro vita passandosela bene! Ora, se viene qualcuno, non ho bisogno di spiegare in che condizione è la casa: sono più propensi ad ascoltare le cose interessanti che ho fatto per vivere la mia vita. Caso mai non te ne fossi accorta… la vita è breve, goditela! Fa pulizia, se è necessario… Ma sarebbe meglio dipingere un quadro, scrivere una lettera, preparare un dolce, seminare una pianta, oppure pensare alla differenza tra i verbi «volere» e «dovere». Fa pulizia, se necessario, ma il tempo è poco… Ci sono tante spiagge e mari per nuotare, monti da scalare, fiumi da navigare, una birretta da bere, musica da ascoltare, libri da leggere, amici da amare e la vita da vivere. Fa pulizia, se è necessario, ma… Ricorda che la vecchiaia arriverà e non sarà più come adesso… e quando sarà il tuo turno, ti trasformerai in polvere. Trasmettilo a tutte le donne meravigliose della tua vita… Io l’ho già fatto!

22.00

22.00

MERCOLEDÌ 25 DICEMBRE 2013 SANTO NATALE • Santa Messa solenne • Santa Messa vespertina

11.00 –

10.00 18.00

11.00 –

GIOVEDÌ 26 DICEMBRE 2013 SANTO STEFANO • Santa Messa

11.00

10.00

10.00

DOMENICA 29 DICEMBRE 2013 SANTA FAMIGLIA • Santa Messa • Santa Messa vespertina

11.00 –

10.00 18.00

10.00 –

MARTEDÌ 31 DICEMBRE 2013 • Santa Messa e canto del Te Deum

18.00

17.00

17.00

11.00

10.00

18.00

10.00

MERCOLEDÌ 1° GENNAIO 2014 SANTA MADRE DI DIO GIORNATA MONDIALE DELLA PACE • Santa Messa solenne 18.00 e canto del Veni Creator

Sa

nt a Lu cia

24.00

DOMENICA 5 GENNAIO 2014 VIGILIA DELL’EPIFANIA • Santa Messa e benedizione acqua, sale e frutta

11.00

Nelle rispettive comunità la tradizionale accensione dei panevin LUNEDÌ 6 GENNAIO 2014 EPIFANIA DEL SIGNORE • Santa Messa solenne • Benedizione dei bambini, arrivo della Befana • Santa Messa vespertina

11.00 –

10.00 15.00

10.00 –

18.00

programma religioso natalizio

Una gentile e dolce signora di Aviano, che ho conosciuto durante una recente gita a Praga, mi ha fatto leggere queste sue riflessioni, scritte (così mi ha detto) in un particolare momento della sua vita coniugale. Personalmente le ho trovate di una verità disarmante. Mi permetto di condividerle sulle pagine de l’Artugna per provocare qualche lettrice o lettore ad un dibattito condividendo quanto scritto oppure esprimendo il proprio dissenso.

Bu do ia

a cura di Sante Ugo Janna

Da rd ag o

La polvere

MARTEDÌ 24 DICEMBRE 2013 VIGILIA DEL SANTO NATALE • Santa Messa in nocte

CONFESSIONI Confessione comunitaria > domenica 22 dicembre ore 18.45 al Santuario Madonna del Monte di Marsure Dardago Budoia Santa Lucia (Novena)

martedì 24 martedì 24 venerdì 20

dalle 15.00 alle 17.00 dalle 15.00 alle 17.00 dalle 20.00

MOSTRA DI FRANCOBOLLI di tutto il mondo sulla vita di Gesù a cura di Fortunato Rui a Budoia presso la sala dell’oratorio [apertura 24_25_26 dicembre e 1 gennaio dopo le Sante Messe]

CONCERTO DI SANTO STEFANO

> giovedì 26 dicembre ore 17.00 Chiesa di Santa Lucia

CONCERTO DI FINE ANNO

> sabato 28 dicembre_ore 21.00 Accademia Musicale Pordenone > domenica 29 dicembre_ore 17.00 Teatro di Dardago

COLLIS CHORUS

INSIEME VOCALE ELASTICO

Dagli Spirituals ai Carols

Bon termine e bon principio

volo pindarico alla ricerca dei legami tra la tradizione americana e quella inglese attraverso i momenti musicali che trasmettono comunione, pace, armonia celebrando la santità del Natale

Barcarole, brindisi, danze e altre allegrie di Orologio, Donizetti, Brahms, Rossini, Offenbach, Lehar

DIRETTORE_Roberto De Luca

DIRETTORE_Fabrizio Fucile

PIANOFORTE_Fiorella Mattiuzzo ORGANETTO E VIOLONCELLO_Carolina Zanelli


Flavio Zambon

com贸t

Dizionario della parlata di Dardago VARIANTE LINGUISTICA DEL FRIULI OCCIDENTALE

edito da 1972 2012

oltre 7.000 vocaboli 624 pagine formato 17x23 cm

PRESENTAZIONE >

sabato 28 dicembre > ore 16.30 > Sala del Teatro > Dardago


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.