Spedizione in abbonamento postale art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone.
Anno XLIV · Agosto 2015 · Numero 135 Periodico della Comunità di Dardago · Budoia · Santa Lucia
la lettera del Plevàn di don Maurizio Busetti
ricordare il passato per apprezzare Sempre di più l’Italia apre i suoi musei di arte, di storia, di scienze, la domenica e nei giorni feriali, molte volte con ingresso gratuito. File e code di visitatori vengono continuamente presentate da giornali e telegiornali. Sembrava che il passato non interessasse più, sembrava che solo supermercati, discoteche e centri commerciali fossero la carta vincente di questo nostro mondo. E invece l’uomo va alle sue radici. Smarrire la memoria sembra la maledizione che colpisce l’uomo contemporaneo, tutto immerso nel presente. Quando ci si imbatte in una persona anziana che non ri-
corda più è una tragedia per l’interessato e per chi gli sta vicino. Un uomo senza memoria e come una stanza senza sole. Gli oggetti ci sono ma non si possono vedere. E allora anche la nostra comunità cristiana vuol far memoria all’uomo distratto del presente, delle cose che sono servite per l’espressione della devozione e per la celebrazione della fede religiosa. Molti oggetti non ci sono più: l’usura del tempo e l’incuria dell’uomo sono state armi micidiali per distruggerli o farli sparire, ma altre cose sono state salvate e giunte fino a noi. Un tempo la liturgia utilizzava molti simboli ed era
Arredi sacri e registri dell’archivio della Pieve di Dardago in attesa di essere collocati in una esposizione permanente.
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più ricca e complicata di quella odierna. Quando il Concilio Ecumenico Vaticano II riformò e semplificò la liturgia non parve vero a molti di liberarsi di tante cose, anche pregevoli, quasi una catarsi che indicava purificazione, spogliamento del passato per correre dietro a una rivoluzione che avrebbe fatto sorgere una società finalmente libera da legami, schiavitù e nostalgie borghesi (1968) non più dominata da una Chiesa collusa col potere reazionario. Oggi quella specie di ingenua ubriacatura delle idee ha fatto i conti con la realtà. Il nuovo sole dell’avvenire ha perso i suoi dardi
il presente e... costruire il futuro infuocati e l’uomo deluso, spaventato e sempre più solo cerca qua e là risposte che possano dargli sollievo. La nostra Comunità vuole, sia pure in piccola parte, contribuire a far conoscere un passato di fede dove l’uomo la risposta la trovava nella religione, succhiata fin dal petto della mamma, vissuta nelle semplici preghiere che si facevano sul letto con i genitori o i nonni, nelle stalle, salotti buoni e caldi dove ci si riuniva per il santo rosario, nel cimitero dove si entrava da un cancelletto di ferro, dove non c’erano tombe o cappelle mastodontiche ma dove una croce su ogni tomba ricordava qual era il
segno che dava senso al vivere e al morire, in Chiesa dove le solenni funzioni infarcite di una lingua incomprensibile per i più, davano il senso che solo Dio è indispensabile nel vivere quotidiano. A Dardago abbiamo recuperato diversi oggetti che servivano a rendere visibile tutto questo ed ora con l’aiuto di volontari metteremo insieme e daremo possibilità, con un’esposizione permanente, a tutti coloro che desiderano documentarsi o, semplicemente ricordare, di poter esaudire il loro desiderio. Con il patrocinio della Fondazione CRUP stiamo anche recuperando quei registri che documentano la
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storia del nostro passato fin dal 1600 circa. Facciamo un appello a quanti conservano nelle loro case oggetti di culto o di devozione significativi e che vogliono metterli a disposizione di questo nascente museo, di farlo tranquillamente, saranno benemeriti.
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www.parrocchie-artugna.blogspot.it
[ la ruota della vita ]
NASCITE Benvenuti! Abbiamo suonato le campane per l’arrivo di... Enrico Maria Parro di Stefano e di Francesca Furlan – Budoia Giulia Dalto di Gabriele e di Karen Scott – Budoia Elia Fregona di Davide e di Laura Zambon – Budoia Adele Ragogna di Mauro e di Isabella Civiero – Milano Andrea Calderan di Edoardo e di Elena Villa – Milano Pietro Zambon Glir di Francesco e di Paola D’Agostino Orsini – Roma Rachele Asti di Gionata e di Elisabetta Zumbo – Oriago (Ve) Eleonora Borromeo di Christian e di Ilenia Zambon – Pordenone Valentino Balla di Alessandro e di Benedetta Andrigo – Germania
MATRIMONI Felicitazioni a... Luigi Savaglia e Marika Di Benedetto – Dardago Fabio Biasatti e Nicole Bonic – Budoia Lorenzo Quaia e Marina Castelli – Dardago
LAUREE, DIPLOMI Complimenti! Licenza Media Inferiore Sonia Alfieri, David Andreazza, Laura Baracchini, Francesca Bastianello, Werknesh Bertolo, Daniela Bocus, Gabriele Cavallari, Noemi Chiandotto, Maria Dorigo, Federico Fantin, Giada Giuri, Francesca Lacchin, Alessia Pauletti, Marla Pegoraro, Alessia Pellegrini, Daniel Schiavetta, Rares Tau, Alessandro Zaccaria, Greta Zanolin, Bianca Miriam Carla Zimmer, Angelica Zuliani Laurea Simone Zambon – Laurea in Scienze dell'Architettura – Dardago
DEFUNTI Riposano nella pace di Cristo. Condoglianze ai famigliari di…
IMPORTANTE Per ragioni legate alla normativa sulla privacy, non è più possibile avere dagli uffici comunali i dati relativi al movimento demografico del comune (nati, morti, matrimoni). Pertanto, i nominativi che appaiono su questa rubrica sono solo quelli che ci sono stati comunicati dagli interessati o da loro parenti, oppure di cui siamo venuti a conoscenza pubblicamente. Naturalmente l’elenco sarà incompleto. Ci scusiamo con i lettori.
Palmira Zambon di anni 70 – Padova Rosina Zambon di anni 94 – Budoia Pia Del Zotto di anni 93 – Sacile Maria Luisa Gottardo di anni 76 – Dardago Elvira Diana di anni 89 – Budoia Tiziana Celant di anni 60 – Santa Lucia Pierina Zambon Pinàl di anni 96 – Milano Enrico Bocus di anni 73 – Lignano Pierina Zambon di anni 92 – Varese Norma Rovere di anni 90 – Santa Lucia Giovanni Santin di anni 85 – Budoia Anna Zambelli di anni 81 – Dardago Osvaldo Rizzo di anni 100 – Zambia Gabriele Ianna di anni 82 – Dardago Vera Zambon Bonaparte di anni 91 – Scozia
Chi desidera usufruire di questa rubrica è invitato a comunicare i dati almeno venti giorni prima dell’uscita del periodico.
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Umberto Martina (Dardago 1880-Tauriano 1945), La birraia di Monaco, olio su tela, cm 100x180. Proprietà Sandra Micheletto Sartori. In quarta di copertina. Claudio Elia Selva La nonna, olio su legno; Riposo in giardino, olio su legno; Santa Lucia, tecnica mista. Collezioni private.
2 La lettera del Plevàn di don Maurizio Busetti 4 La ruota della vita
sommario
In copertina.
6 Emigrazione e riscatto di Stefania Miotto
osto 20 1 · ag
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anno XLIV
10 Disegnare e dipingere, linfa di vita di Leontina Busetti
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Direzione, Redazione, Amministrazione tel. 0434.654033 · C.C.P. 11716594
11 I campi sono lì che aspettano di Anna Pinàl
Internet www.artugna.blogspot.com
13 Umberto Martina «ritrovato» di Vittorio Janna Tavàn
e-mail direzione.artugna@gmail.com
16 Una Chiesa più piccola del più piccolo dei semi di Mariangela Zambon
Direttore responsabile Roberto Zambon · tel. 0434.654616 Per la redazione Vittorina Carlon
17 Svaldin Ciuik a quota 100
Impaginazione Vittorio Janna
18 25 e 15 anni dalla scomparsa dei fratelli Signora di Walter Arzaretti
Contributi fotografici Archivio de l’Artugna, Francesca Catullo, Vittorio Janna, Francesca Romana Zambon, Valentino Zambon Ite
20 Un giovane sacerdote, amante dello studio di Leontina Busetti
Spedizione Francesca Fort
21 Julia di Alessandro Fontana
Ed inoltre hanno collaborato Francesca Janna, Espedito Zambon
24 2a Festa de ’l Ruial di Chei de ’l Ruial
Stampa Sincromia · Roveredo in Piano/Pn
26 Il «Collis Chorus» a Ginevra di Bruno Fort
Autorizzazione del Tribunale di Pordenone n. 89 del 13 aprile 1973 Spedizione in abbonamento postale. Art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone.
28 Gruppo Alpini di Budoia, 80 anni di vita di Mario Povoledo 29 I miei ricordi dal Fronte Russo
Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione di qualsiasi parte del periodico, foto incluse, senza il consenso scritto della redazione, degli autori e dei proprietari del materiale iconografico.
30 L’angolo della poesia 31 Lasciano un grande vuoto... 5
32 ’n te la vetrina 33 Cronaca 36 Inno alla vita 37 Recensione 37 …dai conti correnti 37 Bilancio 38 Il capitello di sant’Antonio di Pietro Ianna Theco 39 Programma Dardagosto
ed inoltre... Cent’anni dalla Grande Guerra Inserto n. 2 a cura di Vittorina Carlon, Vittorio Janna e Roberto Zambon
Le umili origini del pioniere d’industria Giuseppe Lacchin [1857-1929]
emigrazione e riscatto
di Stefania Miotto
L a vita di Giuseppe Lacchin1 ha i tratti caratteristici del self made man uscito da un romanzo ottocentesco: l’infanzia povera, la caparbia volontà di riscatto, lo straordinario fiuto per gli affari, la tenacia nei confronti delle avversità, la dedizione al proprio lavoro, uno stile di vita che gli aneddoti descrivono frugale e per nulla modificato dalla sbalorditiva ricchezza accumulata. Delle sue umili origini parlano, sia pur indirettamente, i registri parrocchiali2 della chiesa dei Santi Geremia e Lucia a Venezia, dove i
genitori si unirono in matrimonio il 25 settembre 1853 e dove il Nostro, nato il 29 luglio 1857, venne accompagnato pochi giorni dopo al fonte battesimale. Giuseppe Vincenzo Maria era figlio di Domenico Lacchin,3 originario della parrocchia di Dardago e di Giovanna Boschian Bailo,4 che proveniva da Giais di Aviano. All’epoca delle nozze, la sposa faceva la domestica e aveva residenza nella parrocchia dei Santi Giovanni e Paolo; lo sposo, muratore, era domiciliato in calle Priuli 94, dove 6
la coppia si stabilì dopo il matrimonio. I testimoni dell’evento, il sacrista della chiesa e un burchiere, cioè un barcaiolo, entrambi veneziani, condividevano con gli sposi la modesta estrazione sociale. Il nome era stato imposto al figlio a ricordo di almeno due congiunti scomparsi prematuramente pochi anni prima: Domenico aveva perso infatti nel 1852 un fratello minore di nome Giuseppe, morto di encefalite a Venezia (vivevano forse insieme?), a soli sedici anni; quasi scontato, all’epoca, chiama-
re allo stesso modo il primogenito della coppia, nato nel 1854 e «volato in cielo» per febbre tifoidea nel marzo 1857, quando la madre era nuovamente in attesa di un bambino. In questo caso tuttavia, la scelta di rinnovare nell’onomastica i due dolorosi lutti familiari non si rivelò affatto sfortunata. In calle Priuli, al medesimo numero civico 94, risiedevano pochi anni dopo altri due sposi di Budoia, il muratore Antonio Lacchin e la moglie Maria Rizzo, che avevano consacrato la loro unione, il 14 febbraio 1855, a Santa Maria di Dardago. Nel febbraio 1864 ad accompagnare Orsola, figlia di questa coppia, al fonte battesimale nella chiesa veneziana dei Santi Geremia e Lucia risulta la moglie di un certo Gio.Maria Lacchin, Orsola De Diana, domiciliata nella parrocchia dei Santi Giovanni e Paolo. Vi era forse un rapporto di parentela tra questi Lacchin o soltanto un legame dovuto alla comune provenienza dalla zona pedemontana? Nulla di cui meravigliarsi: sin dal Cinquecento numerosi budoiesi si erano spostati in laguna alla ricerca di un lavoro e di una vita dignitosa, e il flusso non si era interrotto nei secoli successivi.5 Nella parrocchia dei Santi Geremia e Lucia la «colonia» friulana risulta piuttosto consistente, come si può evincere dagli atti di matrimonio, che ci permettono alcune considerazioni. Nel periodo esaminato, i decenni centrali del XIX secolo, tra le località friulane di provenienza ricorrono maggiormente Budoia, Polcenigo, Sacile, Maniago, Spilimbergo. Le donne sono per lo più domestiche, lavandaie, cucitrici, mentre gli uomini accettano i lavori di fatica più disparati, spesso saltuari: facchino, muratore, remigante, lavoratore «sulla strada ferrata» (ovvero il ponte ferroviario sulla laguna di Venezia, realizzato nella prima metà degli anni Quaranta dell’Ottocento con l’impiego di enormi risorse materiali ed umane).
Frequenti sono le unioni tra compaesani, e altrettanto le seconde nozze dopo la vedovanza; in modo analogo alle altre comunità di emigranti, i furlani a Venezia intrecciano «reti» parentali e amicali di mutuo sostegno, fenomeno che gli studiosi dell’argomento chiamano ormai comunemente catena migratoria. Ad esempio, in calle Priuli 96 era domiciliata nel 1855 anche la sorella minore di Giovanna, Cattarina Boschian Bailo,6 che nel dicembre di quell’anno andava in sposa a Pietro Gislon di Santa Lucia di Budoia, testimone dell’evento Giambattista Modolo di Polcenigo. A sua volta, nel 1864 Pietro faceva da «compare» al matrimonio tra Osvaldo Santin e Maria Quaia, vedova in primi voti del fu Gio.Batta Modolo, entrambi provenienti dalla parrocchia di Santa Maria di Dardago. Possiamo immaginare che per molti emigranti Venezia, quasi una seconda patria, sostituisse definitivamente il paese natale, così povero di op-
portunità; i genitori di Giuseppe Lacchin, invece, rientrarono a Budoia nel volgere di pochi anni, risultando residenti in paese sin dal giugno 1860, quando nacque la loro terzogenita Lucia.7 Iniziate e presto interrotte le scuole elementari, all’età di dodici anni ritroviamo Giuseppe già all’opera come aiutante di un conduttore (o secondo altre fonti dei genitori stessi, nel frattempo attivi in una piccola impresa di trasporti): nel XIX secolo, per la maggioranza della popolazione italiana, l’età adulta iniziava prestissimo. Ormai temprato dal lavoro, nel 1875 il diciottenne Lacchin si trasferì a Sacile e avviò l’attività commerciale che lo avrebbe reso tra i protagonisti della storia industriale del Friuli: nella sua biografia colpisce in particolare la capacità di far fruttare ogni settore, in un crescendo che ha l’accelerazione convulsa dei primi contemporanei film muti. L’impresa ebbe inizio con la vendita di uova e pollame, che ben pre-
Foto a sinistra. Veduta degli impianti industriali della ditta Lacchin (1912) ripresi dalla ferrovia. Alla vigilia dell’entrata in guerra (1915), l’industria sacilese «primeggiava nelle esportazioni di uova, pollerie, grani, frutta, legname e carbonato; da ciò una estesa relazione con filiali e affari in Italia e all’estero». Sotto. Cartolina pubblicitaria degli anni trenta della ditta Lacchin nella quale sono evidenziate le sue maggiori attività economiche. Smesso l’iniziale commercio di uova e pollame, la ditta stava decisamente puntando in quegli anni sull’industria del legno, la produzione di ghiaccio, la fabbricazione dei liquori e, soprattutto, sulla macinazione del carbonato di calcio.
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sto egli indirizzò verso i mercati esteri con succursali anche a Londra e a Parigi. Per risolvere il problema della conservazione delle uova da esportare, dopo alcuni fallimentari esperimenti compiuti in una vecchia fabbrica del ghiaccio a Milano, costruì a Sacile un apposito frigorifero, il primo in Europa. Per sopperire alla necessità di casse da imballaggio creò una segheria, presto trasformata in uno stabilimento per la fabbricazione di mobili, con magazzini e deposito di legname proveniente dai boschi nel frattempo acquistati; in città aprì inoltre un magazzino di ferramenta, attivò fabbriche di birra e liquori e una fornace di laterizi, con cui produrre materiale da costruzione per le case operaie destinate ai suoi dipendenti. Al 1890 risale l’attività che gli conferì fama internazionale, il commercio della selvaggina giovane viva, fatta giungere direttamente dai mercati egiziani, libici, balcanici, greci.
Sul finire del secolo rivolse la propria attenzione all’industria sacilese del carbonato di calcio, all’epoca alquanto trascurata, presentandosi all’Esposizione di Londra del 1904 con un prodotto di elevata qualità e con una lavorazione di oltre diecimila tonnellate annue. Giova ricordare che per lunghi anni fu suo coadiutore Antonio Della Janna, figlio dello scultore Alessandro: quest’ultimo, origina-
rio di Budoia, dopo un periodo trascorso in Francia era rientrato nel paese natale e aveva rivestito nel 1867 la carica di sindaco.8 All’attività imprenditoriale, Giuseppe Lacchin affiancava la partecipazione alla vita politica, ricoprendo per alcuni anni la carica di sindaco e di consigliere provinciale per il mandamento di Sacile; venne inoltre insignito delle onorificenze di commendatore della Corona d’Italia e cavaliere del Lavoro. Nep-
ALBERO GENEALOGICO DI GIUSEPPE LACCHIN a cura di Vittorina Carlon
Francesco n. 6.11.1712 m. 20.2.1771
sposa Giacoma Gislon
Anzolo n. 25.5.1742 m. 23.6.1798
sposa Domenica Scandolo Particolare del monumento funebre di Giuseppe Lacchin nel cimitero di Sacile.
Osvaldo
Osvalda
Osvalda
n. 3.6.1770
n. 30.5.1775
n. 13.10.1776
Giuseppe n. 27.6.1783
sposa Osvalda De Bortoli
Vincenzo n. 26.12.1806
sposa Lucia Gislon
Giomaria
Giuseppe
Domenico
Giuseppe
n. 25.1.1829 a Santa Lucia
n. 21.9.1830 a Santa Lucia m. infante
n. 24.8.1832 a Santa Lucia – m. 21.11.1988 sepolto a Sacile
n. 14.6.1836 a Santa Lucia m. 1852 a Venezia
sposa il 25.9.1853 a Venezia Giovanna Boschian Bailo n. 13.1.1834 – m. 10.11.1912 sepolta a Sacile
Giuseppe
Giuseppe Vincenzo Maria
Lucia
n. 1854 a Venezia m. 1857 a Venezia
n. 29.7.1857 a Venezia m. 12.2.1929 a Sacile
n. 17.6.1860 m. 5.9.1948
sposa il 30.4.1879 Angela Cardazzo
sposa Antonio Patrizio
n. 23.9.1856 a Budoia – m. 26.2.1922 sepolta a Sacile
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Luigi
Luigi Lorenzo Andrea
Maria Giovanna
Giovanna Giuseppa
Domenico Giuseppe
n. 11.9.1883 a Budoia m. 1883 sepolto a Budoia
n. 23.10.1884 a Budoia
n. 23.11.1886 a Budoia m. 19.12.1974 sepolta a Budoia
n. 22.8.1888 a Budoia
n. 25.4.1890 a Budoia
pure la Grande Guerra prostrò il suo spirito: profugo a Parma dopo la disfatta di Caporetto, rientrava a Sacile alla fine del conflitto e trovava le sue attività completamente distrutte, ma in pochi anni ricostruì il refrigerante, gli stabilimenti industriali, gli impianti idroelettrici e ripristinò su nuove basi la fabbrica della «S.A. Birra Pordenone». Nel 1922 subì la perdita della moglie, la budoiese Angela Cardazzo9 sposata nel 1879,10 matri-
Nella seconda metà del XVIII secolo, il ramo del geniale Giuseppe s’innesta con Anzolo, uno dei sette figli di Francesco, nel grande albero dei Lacchin ‘veneziani’ dell’Ottocento, il cui capostipite è Salvador Comin detto Lachin, nato nel 1545 circa e vissuto a Santa Lucia, come da ricostruzione dell’albero genealogico eseguita nel 2009. Per approfondimenti sull’origine e la storia del cognome si può consultare I Lachin di Santa Lucia di Vittorina Carlon, nell’inserto ventunesimo de l’Artugna n. 116 a cura di Vittorina Carlon e Roberto Zambon.
Giuseppe Ubaldo n. 30.6.1894 a Budoia
Enrico Lorenzo Camillo
Emma Mariangela Angela
n. 13.1.1897 m. 1897 sepolto a Budoia
n. 13.1.1897 m. 1903 sepolta a Budoia
monio che purtroppo non era stato coronato dalla nascita di un agognato erede; tre anni dopo fece una cospicua elargizione al Comune di Sacile per istituire una Scuola di arti e mestieri, in seguito divenuta Scuola professionale. Giuseppe Lacchin scomparve dopo brevissima malattia il 12 febbraio 1929, lasciando 50 mila metri quadri tra cantieri, frigoriferi, officine, segherie, fornaci, depositi, molini, case operaie. La sorella Lucia, che l’anno precedente era rimasta vedova del podestà di Budoia Antonio Patrizio, ne ereditò insieme ai figli il consistente patrimonio e proseguì la sua opera di beneficenza, donando alla città liventina il palazzo Ragazzoni-Flangini-Biglia che l’imprenditore aveva acquistato agli inizi del XX secolo. A ricordo dei suoi meriti, che avevano concorso a diminuire la disoccupazione e la conseguente emigrazione, Sacile gli dedicò il viale realizzato nel 1855 in occa-
sione della costruzione della ferrovia, dopo la presa di Roma inizialmente intitolato XX Settembre, e la via Ponte Lacchin, che si diparte dal viale stesso per oltrepassare il Livenza con un ponte in cemento. A Santa Lucia di Budoia invece, via Lacchin ricorda solo in modo più generico la provenienza del nutrito ramo familiare. E non si pensi di trovare nel camposanto budoiese i genitori di Giuseppe: essi riposano infatti nella monumentale cappella di famiglia fatta costruire dal figlio nel cimitero urbano di Sacile, vegliata da un possente Mercurio in bronzo dello scultore Francesco Modena, dono degli industriali friulani.
La foto di pagina 6 e le didascalie di pagina 7 sono tratte dal libro «Sacile tra Ottocento e Novecento» per gentile concessione degli autori Nino Roman e Adriano Miotti.
NOTE
1. Sulla figura di Giuseppe Lacchin mi permetto di rinviare a: S. Miotto, Lacchin Giuseppe, imprenditore, in Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei Friulani, 3. L’Età contemporanea, 4 voll., a cura di C. Scalon, C. Griggio, G. Bergamini, Udine 2011, III, 1840-1844. 2. Archivio Storico del Patriarcato di Venezia, Parrocchia dei SS. Geremia e Lucia, Libro Matrimoni (1836-1865); Libro dei Battezzati (1857-1866), ad dies. Per la stesura di questo articolo sono stati consultati inoltre il Libro dei Battezzati N. 38 (1845-1857) e il Libro Morti (1841-1858) della medesima parrocchia. 3. Domenico Lachin (Lacchin) di Vincenzo e Lucia Gislon era nato a Santa Lucia il 24 agosto 1832. Ringrazio per la gentilezza Vittorina Carlon, alla quale devo la ricerca dei dati anagrafici presso l’Archivio Parrocchiale di Dardago (d’ora in poi APD). 4. Giovanna Boschian Bailo di Osvaldo e di Maddalena Cilligot (Cilligotti) de Val era nata a Giais di Aviano il 13 gennaio 1834. Il Registro dei Battesimi è stato controllato per me dal parroco don Alberto Arcicasa, che ringrazio per la squisita cortesia.
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5. Sull’argomento: A. Fadelli, Storia di Budoia, Pordenone 2009, in particolare le pp. 50-51, 68-69, 91-96. 6. Cattarina Boschian Bailo era nata a Giais di Aviano il 26 luglio 1837 (vedi nota 4). Morì a Santa Lucia di Budoia, ormai vedova di Pietro Gislon, il 25 maggio 1901. 7. APD, Registro Battesimi 1826-1867, 17 giugno 1860. 8. Nel 1868 Alessandro Della Ianna si unì in matrimonio con Emilia Gobbi, appartenente ad una ricca famiglia della borghesia cittadina sacilese; Antonio nacque nell’ottobre dell’anno successivo. Risultano domiciliati nel centro liventino dal 1883. Cfr. la scheda Antonio e Alessandro Ianna, scultori, in A. Fadelli, Storia di Budoia, 177-179; C. Fattorello, Quando Sacile profumava di vaniglia. Memorie inedite di fine Ottocento (1880-1900), a cura di M. Balliana e N. Roman, Francenigo di Gaiarine (TV) 2013, 116. 9. Angela Cardazzo di Giobatta e di Giovanna Carlon era nata a Budoia il 23 settembre 1856 (APD, Registro Battesimi 1826-1867). 10. APD, Registro Matrimoni 1874-1929, 30 aprile 1879.
disegnare e dipingere linfa di vita
di Leontina Busetti
antichi. Ha fatto diverse mostre: ha volutamente venduto pochissimo, perché ha preferito usare i suoi lavori solo per le mostre, insomma non ha mai creato per fini di lucro, distinguendosi tra molti pittori. Nei lavori che noi conosciamo si avverte una notevole preparazione tecnica, un eccezionale gusto cromatico e un’infinita varietà di soggetti. Purtroppo da alcuni anni l’ha colpito il morbo di Parkinson (che lui ha definito «la tremariola» ricordando spiritosamente il nostro dialetto), ma la malattia non gli ha impedito di continuare a disegnare e dipingere, anzi, sono la sua linfa e il suo
A Parigi (zona Montmartre) vive un nostro compaesano: si chiama Claudio Elia Selva. Il suo papà, Galliano, era di Polcenigo; la sua mamma, Berta Busetti, era nata e vissuta a Santa Lucia, in via Rojal, fino al matrimonio. Claudio è nato a Parigi, ma fin da bambino è venuto a Santa Lucia: il paese ha lasciato in lui un ricordo vivo, direi indelebile. A Parigi ha seguito studi artistici, probabilmente corrispondenti ai nostri istituti d’arte: disegnare e dipingere sono state, e sono tuttora, le sue passioni: ma le ha alternate, seguendo e continuando l’attività del padre, che era restauratore di mobili 10
modo di vincere la sofferenza. Possiamo immaginare lo sforzo che deve usare, sforzo che diventa anche il suo riscatto rivelando la sua solarità e, nello stesso tempo, sviluppa il suo percorso artistico, alternando immagini di vita di casa a forme di astrattismo. *** In questi giorni ci giunge notizia dell’improvvisa e prematura morte dell’artista.
Accanto. La nonna, tratto a china. Collezione privata. Sotto. La Sacra Famiglia, tempera; Gli amorosi antichi, tecnica mista. Collezione privata.
i campi sono lì che aspettano di Anna Pinàl
«Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita» è il tema della grandiosa manifestazione Expo Milano 2015. Per sei mesi, Milano è al centro dell’attenzione mondiale grazie a questo evento straordinario in cui si ritiene che oltre 20 milioni di visitatori popoleranno la vasta area espositiva allestita da 140 Paesi e organizzazioni internazionali. È una imperdibile occasione perché il mondo rifletta sulle contradizioni del nostro pianeta riguardo il tema dell’alimentazione: si ritiene che quasi un miliardo di persone siano denutrite mentre ci sono milioni di persone che muoiono per disturbi di salute legati a un’alimentazione scorretta e a troppo cibo. Ogni anno, inoltre, più di un miliardo di tonnellate di cibo vengono sprecate. È urgente, quindi, l’adozione di scelte politiche consapevoli e di stili di vita sostenibili. Riferendosi all’Expo, il grande regista Ermanno Olmi sostiene che l’unica speranza per il futuro è il ritorno alla terra, al rispetto del cibo, dell’acqua, della natura. «La priorità dell’Expo deve essere la sincerità del prodotto, bisogna salvaguardare il rapporto naturale tra l’uomo e la terra e fare di questo la garanzia della qualità. Dobbiamo imparare dai contadini a proteggere le piante, a dosare l’acqua, a rispettare la terra per garantire un futuro a chi verrà dopo di noi». Sul tema del rispetto dell’ambiente si è pronunciato recentemente anche Papa Francesco con la sua enciclica «Laudato si’» che riporta come sottotitolo «sulla cura della casa comune». Ecco le sue parole: «la casa comune è il creato. Questa nostra casa si sta rovinando e ciò danneggia tutti, specialmente i più poveri. Il mio è dunque un appello alla responsabilità, in base al compito che Dio ha dato all’essere umano nella creazione: coltivare e custodire il giardino in cui lo ha posto».
Ogni generazione scopre nuovi abissi di grandezza. L’ultima generazione è sensibile all’amore, alla dolcezza. E ha gettato via tante apparenze per cercare l’amore, a costo di pagarlo caro, con fallimenti. Ma ha cercato. E usato tanta creatività nel comunicare. La musica è un esempio. Quanta differenza tra il melodico dei tempi andati e il grido contro i soprusi sostenuti e accompagnati da chitarre. Ma ora c’è nell’aria come un blocco, un voler fare l’inventario e guardare indietro a cos’è accaduto nel lungo tempo: l’Expo di Milano è tutta una storia larga, un fremito di passato e presente. Di qualità trascurate, dimenticate, di valori di abbagliante bellezza. Al vederli o rivederli suscitano l’entusiasmo che ti dà la forza che ha un genio: nel guardarli superi i limiti della normalità. Sali in alto. E guardi indietro. A quelli che hai dimenticato, ignorato, disprezzato. Un mondo di persone «fini», lente, che sgomitolavano pensieri con le mani stanche, come fossero annoiate, umiliate. Ma con una saggezza del vivere che a pensarci ti fanno sentire in colpa, inutilmente frettolosi, come sciocchi. Con una sbrigatività di11
ventata stile, peccato veniale con effetti mortali. Siamo accecati dalla fretta. E vediamo giovani uomini che portano a spasso i bimbi in carrozzella. Che cucinano ma anche stirano camicie. Sono i nuovi padri. È come una nuova classe servile, inimmaginabile dai nostri nonni e bisnonni. Ma allo stesso tempo rivediamo profilarsi il mondo dei contadini. Che ritorna a riproporsi. Finalmente la terra, abbandonata, sta attirando i nostri sguardi e fa crescere i desideri di rimetterci le mani. I prati incolti possono diventare orti. I boschi trascurati possono diventare frutteti. Le spianate attorno
alla abitazione possono diventare vigne. Chi è andato in Terrasanta ha visto che in zone sassose, basta uno strato di terriccio tenuto umido sopra un telo adeguato, per far crescere le verdure ad uso famigliare. La terra è generosa ma richiede che sia rispolverata l’antica intelligenza. Il contadino è il più espropriato delle categorie umane. I filosofi gli hanno tolto il valore di confidente del Creatore. Gli hanno rubato la parola, lo hanno emarginato come un inutile silenzioso, ma non lo hanno interrogato su nulla, delineandolo come di categoria bassa. Priva di sapere e dotato di una cultura del silenzio e della fatica, che non hanno nulla da proporre ai cultori del successo e delle scalate gerarchiche. Pronti a mettersi in gioco. A parlare e scrivere come fossero proprietari della mente altrui. Toccano le corde sensibili dell’insicurezza, per seminare ansia, per voler cautelarsi da errori altrui e non subirne le conseguenze. Il contadino è fuori da questi timori, è libero. Ed essere liberi vuol dire poter cercare la luce, essere disimpegnati nel vedere e capire, e non frantumare le forze in lotte di priorità. Il contadino è in relazione quotidiana con Dio. Forse con formulari e linguaggi diversi da chi frequenta banchi di chiesa, ma è sotto un Cielo e avvolto da forze e spettacoli con i quali non si scher-
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za, e sa accoglierli e trattarli con una umiltà non recitata a parole, ma vera. Non si annoia. La scena di lavoro è piena di varietà. È un menu ricco. Non c’è uniformità e piattezza e non è pedissequamente ripetitiva quindi non annoia perché è sempre rinnovata, inizia sempre daccapo e in modo da richiedere attenzione. I raccolti, di stagione in stagione, sono sempre diversi, mai uguali. È vita e soddisfa l’interesse e l’intelligenza di chi ha amore per la vita. L’interiorità di ognuno riceve quello che desidera. Ha la formula del migliorare, dell’accrescere se stessi, più che un’esperienza dedicata alla «mission» dell’azienda. Fa sorridere quella parola: «mission». Dove tu ti fai in quattro per accrescere potere e ricavi che vanno in una tasca remuneratissima, dalla quale anche i giovani sono stati defraudati della loro genialità. Spesso messi in condizioni di «chiudere» e lasciare la freschezza di innovazioni che vadano a finire negli angoli occulti di una multinazionale che non li ha né inventati né pagati, solo sottratti con arti diaboliche. Cosi è. Ma l’aria sta cambiando. Speriamo.
Nella pagina opere di Claudio Elia Selva ispirate al cibo e all’alimentazione. Sopra. Astratto, tempera. Collezione privata. Sotto. In cucina, tempera. Collezione privata.
[...] «la via dell’arte è assai dura ed è così piena di tante afflizioni che non so se val la pena di continuare su questa strada». UMBERTO MARTINA (da una testimonianza di Giovanni Battista Bastianello Fusèr)
A 70 anni dalla morte del pittore... una storia di amicizia e la risoluzione del piccolo «giallo» della Birraia di Monaco
Umberto Martina «ritrovato» di Vittorio Janna Tavàn
Anno del Signore 1905. A Sacile un ragazzo di 16 anni monta in sella alla bicicletta da corsa per la sua prima gara ciclistica. Il ragazzo ha stoffa, si alza sui pedali con impressionante leggiadria. Una pedalata costante e tenace. «Vai, Giovanni!» lo incita la folla a bordo strada. Stesso anno. Altro scenario, 450 chilometri più a nord, Monaco di Baviera, un ambiente meno sportivo ma ugualmente impegnativo: una birreria. Un altro ragazzo friulano, d’una decina d’anni più vecchio, sta sorseggiando una birra che una kellerina gli ha offerto ricavandola da altri boccali. Umberto – così si chiama il ragazzo – ha l’aria ombrosa e sofferta, non ha soldi. Dal paese natale – Dardago – nella Pedemontana pordenonese, si è trasferito a Venezia con la famiglia e da qui ha affrontato in solitaria l’inquieta avventura bavarese.
Dorme in una fredda soffitta diroccata dove d’inverno entra la neve. Non ha un’impresa da compiere e nessuno lo incita. Eppure lui vuole ‘contare’ lo stesso, vuole lasciare il segno, come quel giovane ciclista sacilese. Ma a modo suo, con i pennelli. E comincia osservando la sua umile quotidianità. Comincia omaggiando La birraia di Monaco (olio su tela, cm 100x180) con un quadro di particolare intensità espressiva. *** Sono passati 110 anni da allora. Il ragazzo sacilese ne ha poi fatta di strada. In sella alla sua bicicletta ha percorso le più prestigiose rassegne ciclistiche nazionali e internazionali vincendo con l’Atala il Giro d’Italia nel 1912 (l’unico disputato a squadre) e partecipando alla Parigi-Roubex e al Tour de France. Si chiamava Giovanni Micheletto ed era l’orgoglio del ciclismo friulano. 13
Il mio maestro Martina mentre dipinge. Opera a carboncino dell’allievo Virgilio Tramontin. In alto. Umberto Martina con la sua inseparabile pipa (foto tratta da La Panarie, aprile 1932).
Anche il dardaghese Umberto ha bruciato le tappe, quell’Umberto Martina che è divenuto «uno dei più importanti e vigorosi artisti pittori friulani della prima metà del ’900», come lo definisce l’ufficialità accademica. Di entrambi, singolarmente, le cronache sportive e la critica artistica, locale e nazionale, hanno detto e scritto molto. Del «nostro» Umberto Martina, nato a Dardago il 12 luglio del 1880 da Maria Angela Bastianello Fusèr e Luigi Martina di Tauriano (abitanti sul finir dell’Ottocento la «casa del maresciallo» in via Brait), anche il nostro giornale già dal 1973 se n’è ampiamente occupato pubblicando articoli e allestendo nel 1985, a 40 anni dalla morte, la mostra Umberto Martina: opere del Ciclo Cavanis e altri inediti. Ed infine una via del paese è stata a lui titolata, come auspicato da Giovanni Battista Bastianello nel 1973 (vedi l’Artugna, anno II, numero 1). Di loro due insieme invece, nessuno ha mai parlato. Non ve n’era motivo se non fosse proprio per
Scenetta del Settecento veneziano, olio su tavola, ovale, collezione privata. Sono numerose queste opere nelle quali il Martina si dilettava e traeva parte del suo sostentamento, al punto da definirle I xè el me paneto.
quella Birraia di Monaco che per alcuni decenni – per me – ha costituito un piccolo «giallo» locale e che in qualche modo ha finito per accomunare l’artista al ciclista. Già, perché quell’opera compare come citata in esposizione nel saggio di Arturo Manzano per la mostra realizzata nel 1970 a Spilimbergo ma, contrariamente ad altre opere, non è riportata nelle tavole illustrate. È dunque «inedita» per chi non ha potuto in quell’occasione apprezzarla di persona. Ora è stata «fotografata» e la sua pubblicazione, unitamente ad un affresco «privato» dell’artista, vuole essere l’omaggio che l’Artugna fa al pittore nel settantesimo anno della sua scomparsa avvenuta a Tauriano nel 1945. Era rientrato infatti nel paese natale del padre, dopo l’intensa attività veneziana, prima come studente dell’Accademia sotto la guida di Ettore Tito, poi come apprezzato artista con diverse esposizioni alle Biennali. La Birraia, insieme ad altre opere di Martina, abbellisce una parete della casa della signora Sandra Micheletto, figlia del noto ciclista che a fine carriera intraprese l’attività di famiglia nel commercio di vini e liquori. «Erano amici – ci racconta – e, quand’era di passaggio a Sacile, Martina non mancava mai di farci visita, oppure andavamo noi a trovarlo a Venezia. Oltre che ciclista mio padre aveva infatti una grande passione per l’arte. Quando partecipò al Tour de France chiese addirittura ai dirigenti della sua squadra di concedergli una giornata per poter visitare il Louvre. Conoscemmo anche Ettore Tito, a Tai di Cadore dove andavamo per le vacanze. Ce lo presentò la signora Tallon di Sacile, figlia di una sorella della moglie del maestro veneziano di Martina». Se la confidenza di Martina con la famiglia Micheletto si consolidò negli anni, il primo incontro con la signora, allora bambina, fu caratterizzato da un episodio singolare. Di certo Martina stesso non contribuì mai a districare l’ambiguità 14
Umberto Martina, Fantazzute, tratto dalla copertina di La Panarie, aprile 1932.
della sua identità, quando si presentò alla porta dei Micheletto. «Era piccoletto, tozzo, con una mantella nera scucita e la barba incolta – ricorda la signora – e negli anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale non era raro che qualche povero bussasse alla nostra porta per elemosinare. Così credetti anche di lui quando me lo ritrovai sull’uscio. Avevo dieci anni e gli diedi qualche moneta. Lui la ripose nella tasca e col suo fare burbero mi disse “Bene, ora chiama tuo papà”. Quella gaffe fu severamente redarguita da mio padre, ma poi, col passare degli anni, su quel ricordo ci scherzammo tutti». Non era la prima volta che Martina venisse scambiato per un bisognoso. Le testimonianze di chi l’ha conosciuto lo descrivono come tarchiato e bassotto, avvolto in un tabarro «all’italiana» corto e sdrucito. Il suo viso bizzarro, i capelli ritti e incolti spesso costretti dentro un cappello nero a tesa larga con uno sbrego, la barba grigia arruffata sulla quale spiovevano i baffi, la cravatta a sghimbescio, il viso arrossato e violaceo che gli conferiva un’aura faunesca e socratica. Anche sotto le ar-
Umberto Martina, Ritratto di bimba, olio su tela, cm 45x40, collezione privata.
mi fu definito dai suoi superiori come «il soldato più scalcinato dell’esercito italiano». Non c’era dunque da sorprendersi se, come racconta il critico veneziano Silvio Branzi, l’episodio narrato dalla signora Micheletto avesse avuto già dei precedenti. «Una signora – racconta Branzi – gli aveva ordinato un ritratto e, finito che l’ebbe, il Martina andò personalmente a portarglielo. Suonò alla porta del palazzo e la cameriera che venne ad aprirgli, preso il quadro, gli disse di attendere. Tornata poco dopo, “questo è per voi buon uomo” esclamò sorridendo e gli mise in mano una moneta da due lire. Martina ringraziò ed uscì. Fu allora che, incontratici per la calle, sostò per narrarci l’avventura. Rideva tutto divertito, ma d’un tratto si fece serio e subito partì bruscamente. Lo guardammo allontanarsi. Sui gradini del ponte era seduta una mendicante. Con un gesto rapido egli le buttò qualcosa, poi si volse e, come ci vide ancora fermi in fondo alla calle, alzò un braccio agitando la mano aperta, quella stessa mano che prima serrava la moneta. E ci parve che fosse tornato allegro come prima».
Ritratti certamente e dipinti sacri, la sua grande maestria, come quelli che la signora Sandra ha in casa oltre la Birraia di Monaco, ma anche «capricci» veneziani che Giovanni Micheletto portava a Sacile dalla bottega di Martina a San Barnaba per regalarli a famigliari ed amici; scene quotidiane della Venezia settecentesca con le quali si dilettava e che rappresentavano parte del suo sostentamento economico. «I xè el me paneto ci confidava ironico Martina – continua la signora Micheletto – probabilmente le vendeva anche in piazza ai turisti. Quando veniva da noi invece gli facevamo omaggio di alcune bottiglie di vino che non disdegnava affatto». Sarà stata l’eredità spirituale del padre contadino che, lasciata Dardago, aprì a Venezia il «Caffè Cavallo» sperando che il figlio seguisse egual carriera, certo è che quella del vino è sempre stata una grande passione extralavorativa del pittore insieme alla minestra di fagioli che si preparava ogni giorno, così come il gioco delle carte (briscola o tresette) e delle bocce che praticava nel brolo retrostante la trattoria «Ai Cacciatori» tra San Barnaba e i Car15
mini, il suo microcosmo veneziano. E proprio lì è ambientato un ricordo di Virgilio Tramontin di San Vito al Tagliamento, uno dei suoi più illustri allievi, insieme ad Armando Buso di Oderzo. Scrive il professor Tramontin: «E l’ultimo ricordo della vita veneziana è ancora legato alla visione del Ponte delle Pasiense di quei due, Maestro e allievo (Armando Buso n.d.r.), che rasente i muri della fondamenta, si allontanavano verso San Barnaba, quella sera al crepuscolo. Tutti e due avvolti nel mantello a ruota, come don Chisciotte l’uno e l’inseparabile Sancho l’altro, l’uno mingherlino e l’altro tozzo. Nella nebbiolina quasi scompaiono, vanno lontano...». Umberto Martina è ora davvero lontano, da settant’anni in un altro luogo. Restano le sue opere, l’affetto personale di chi l’ha conosciuto come la signora Sandra Micheletto. E resta nel ricordo quella foto nel bar di Mino a Spilimbergo che, sempre Tramontin, così descrive: «Entrati nel vecchio locale buio, non c’era anima viva. Ci corre l’occhio su una parete dove accanto ad una immagine sacra appena illuminata da un lumicino c’era anche una foto di Martina. Ne fummo colpiti e quando venne Mino ci confermava: Martina era morto, qualche tempo prima». Tra un va’ a remengo e l’altro o nelle sue poche parole schive di fronte al successo, Umberto Martina aveva sempre accarezzato quell’idea di libertà che si è compiuta nei suoi ultimi giorni in Friuli: «Nessuna cosa è più bella del mestiere del contadino perché mette l’uomo di fronte a Dio con in più la gioia panica della libertà, il dono più grande che il Creatore fa alle creature che se la guadagnano...».
Sono grato alla signora Sandra Micheletto Sartori per la gentile e fattiva collaborazione nel fornire materiale e informazioni utili alla stesura dell’articolo di un ‘figlio illustre’ di Dardago: il pittore Umberto Martina.
DALLA TURCHIA
una Chiesa
più piccola del più piccolo dei semi
di Mariangela Zambon
«La Turchia: terra di reliquie e semi», scrisse più volte san Giovanni XXIII sul suo diario, durante i suoi dieci anni di nunziatura ad Istanbul. Un ritornello valido oggi più che mai. I cristiani in Turchia attualmente sono circa 150 mila, sparsi in minuscole comunità su un territorio grande due volte e mezzo l’Italia, con una popolazione di 76 milioni d’abitanti, a maggioranza musulmana. Certo un numero piccolissimo, quasi ridicolo, che, fatti i calcoli, rappresenta lo 0,15%. Una Chiesa che è più piccola del più piccolo dei semi. E pensare che la Turchia è stata la terra di san Paolo, dove è nato e dove lui stesso ha cominciato a diffondere il cristianesimo. Come se non bastasse, questo gruppuscolo
di cristiani, i cui sacerdoti e religiosi sì contano sulla punta delle dita, è molto variegato, composto da ortodossi, protestanti e cattolici, latini, ma anche armeni, siriaci e caldei. Ultimamente, poi, il volto della comunità cattolica ha preso un colore in più per l’arrivo in gran numero di immigrati dalle Filippine, da vari Paesi dell’Africa e ora soprattutto del Medio Oriente, i profughi sfollati a migliaia dalla Siria e dall’Iraq del nord.
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Laica consacrata dell’Ordo Virginum di Milano, ho iniziato più di dieci anni fa la mia esperienza a servizio delle comunità cristiane in Turchia, collaborando prima con la Chiesa di Antiochia e, dal 2008, come «fidei donum» nella parrocchia di Ankara. Da sempre mi porto dentro un profondo senso di gratitudine per le prime comunità che sono fiorite in questo Paese: qui i primi discepoli sono stati chiamati cristiani, da qui è partito il primo viaggio missionario, qui la fede cristiana ha preso forma e si è consolidata ai primi Concili e alla presenza di tanti sani e sante. Così ora provo un grande senso di responsabilità, perché se la nostra fede ci è stata data dai primi apostoli da qui partiti, allora spetta a noi oggi camminare assieme a queste comunità cristiane, ridotte al lumicino, perché la fiamma continui a brillare anche qui.
Sicuramente le situazioni delle varie comunità cristiane sono differenti, da quella di Antiochia, molto vivace e compatta, ai cristiani dell’est che non hanno nessuna chiesa di riferimento; alle piccole comunità, come quella di Ankara, dove la maggior parte dei cristiani è armena. Ed è proprio qui, nella capitale, nel cuore dell’Anatolia, con sei milioni di abitanti, che collaboro per l’attività pastorale ed il dialogo ecumenico e interreligioso con i Gesuiti a servizio dell’unica chiesa cristiana presente, punto di riferimento che deve conciliare sette riti differenti. Qui i cristiani locali dichiarati sono circa 400. Ma accanto a loro sempre numerosi sono coloro che bussano alla porta della chiesa per trovare un comporto, un sostegno, un confronto serio, un desiderio di costruire relazioni e approfondire la propria fede. In Turchia, ancor oggi Stato laico a tutti gli effetti nonostante una sempre più islamizzazione in corso, non si possono avviare scuole, ospedali o opere caritative di stampo religioso. Ma la chiesa, riconosciuta ufficialmente come
luogo di culto, diventa punto di riferimento di fede esplicita, «casa di Dio» dove tutti si possono sentire accolti. La nostra presenza si concretizza allora nel farci raggiungere, nello stare aperti alle persone che bussano e nell’ascoltare la loro fede e recuperare i «frammenti» di Dio sepolti nelle loro esistenze, alla luce del confronto con la fede mussulmana. In questo «contenitore» che è l’edificio sacro, persone di ogni condizione sociale, età, credo ed etnia cercano la propria identità e un senso alla propria esistenza. Mai come in questi anni ho imparato ad amare la Chiesa, sia come istituzione, che come edificio e ancor più come comunità di pietre vive: è un tesoro prezioso e da salvaguardare. Qui è una presenza così rara che dove c’è diventa subito un luogo dove ogni incontro, con il turista, l’ateo, il credente cristiano o mussulmano, si fa incontro con l’Altro, incontro di dialogo, di amicizia di fede. Questi i semi che danno speranza, e, come ancora diceva il santo Roncalli con una visione sapienziale e provvidenziale della storia, aprono ad uno sguardo ca-
SVALDIN CIUIK A QUOTA 100 Osvaldo Rizzo, ma per noi di Santa Lucia è Svaldin Ciuik, ha compiuto 100 anni lo scorso 5 gennaio. Un gran traguardo se si pensa che sta bene, è ben presente, controlla le piante del giardino dove vive e dice sempre la sua. Da qualche anno vive in Centro Africa, più precisamente a Lusaka, la capitale dello Zambia. Lì è con la moglie di qualche anno più giovane, con la figlia Rosanna, che 40 anni fa si è trasferita per lavoro, poi lì si era sposata e aveva avuto un figlio, Andrea, che ora vive e lavora a Padova, quindi il legame con l’Italia è molto forte. Fino a qualche anno fa alternava il tempo dell’anno tra Milano e Santa Lucia, dove coltivava l’orto, frequentava la chiesa e partecipava alla vita di paese. LEONTINA BUSETTI
Veniamo ora a conoscenza, purtroppo, che Svaldin è mancato improvvisamente lasciando un grande vuoto nella sua famiglia e nell’intera comunità di Santa Lucia. 17
Giovanni XXIII, come Nunzio Apostolico, trascorse dieci anni ad Istanbul.
pace di andare oltre tra passato e futuro, nella consapevolezza che «Tutto muta, solo Dio rimane nella Sua fedeltà». Grazie a papa Francesco che, con la sua venuta tra noi si è fatto presenza vicina e premurosa del Padre che non si scorda dei suoi figli, anche se piccoli, poveri ed insignificanti agli occhi del mondo, anche noi, oggi, con quell’atteggiamento fiducioso di che cerca la via del Regno, in ogni circostanza, chiediamo al Signore la capacità di vedere e custodire con amore «il chicco di buon grano tra la paglia», ceri che a suo modo e suo tempo, porterà frutto.
25 e 15 anni
dalla scomparsa dei fratelli Signora di Walter Arzaretti
I fratelli Aurelio e Mario Signora nel 1934.
25 e 15. Sono gli anni trascorsi da Aurelio e da Mario Signora. Il primo trovò l’abbraccio della Madonna, da lui onorata come prelato di Pompei col titolo-invocazione «Domina mea», la sera che annunciava il mese di maggio (30 aprile 1990); il fratello di lui se ne partì da questo mondo allo spirare del mese dedicato a Maria (31 maggio 2000). Diversi i percorsi della loro vita, anche se fin da fanciulli erano stati formati, dalla loro mamma Pierina, ad amare Gesù e dar lodi alla Madre sua e nostra; e al senso del dovere, alla coltivazione della fede e all’amore allo studio nello stesso Seminario patriarcale di Venezia, cui mostrarono anche alla fine dell’esistenza un forte legame di riconoscenza. Aurelio (classe 1902) – lo sappiamo – si decise, sui 20 anni quasi, per la strada del sacerdozio e fu ordinato dal patriarca La Fontaine giusto 90 anni fa (1925). Mario (classe 1909) fece tesoro del percorso formativo serio ed esigente avuto in seminario per studiare ingegneria e quindi lanciarsi nella professione, che esercitò con rigore morale in diverse città d’Italia e con ruoli elevati di responsabilità aziendale. Vissero distanti, ma mai separati; e alla fine, quando la vecchiaia incanutisce la testa e anche rallenta il corpo, si ritrovarono l’uno accanto all’altro nella casa di via Conditta nella natale Budoia, dove certamente si 18
ripensarono fanciulli accanto alla mamma Pierina. Monsignor Aurelio tornò fra noi già minato nella salute (quel diabete che non gli aveva dato tregua fin dai primi anni giovanili del suo sacerdozio!), ma ricco – certo contento – delle esperienze fatte a Murano e a Venezia, e poi a Roma per 23 anni presso la Congregazione delle Missioni e specialmente a Pompei nei 21 anni (1957-1978) in cui era stato da arcivescovo a servizio «diretto» della Madonna nel celebre santuario del Rosario e in quello a favore e sostegno di tantissime anime e delle opere caritative che gli girano tuttora attorno (del 21 marzo scorso la più recente visita di un papa – stavolta Francesco – al complesso pompeiano!). Mario, negli anni che visse a Budoia insieme al fratello e nel decennio che seguì la morte di questi, ritrovò invece il calore di antiche e nuove amicizie e diede testimonianza ai compaesani di spirito autentico di carità, del quale aveva fatto il «sale» del suo lavoro e il fine del suo guadagnare. La sua generosità – costante sino all’ultimo giorno – è ricordata nella lapide dei benefattori della restaurata chiesa parrocchiale di Sant’Andrea (anno 2000). E come insieme crebbero e poi insieme trascorsero gli ultimi anni, cosi insieme li abbiamo ricordati e suffragati – i fratelli Signora – negli anniversari significativi di questo 2015 presso la cappella cimiteriale da loro eretta, e da loro voluta anche per il riposo dei parroci della comunità budoiese. Quasi a dirci che vollero essere, e vogliono restare, dopo che a servizio di tante nobili e cristiane cause che ne occuparono l’esistenza, a quello di questa loro comunità umana e cristiana.
Testimonianze di Maria Luisa Giannandrea La figura di Mons. Aurelio Signora è ben delineata nella testimonianza della professoressa Maria Luisa Giannandrea, che frequentava il prelato negli anni in cui egli operava a Roma. Ne pubblichiamo alcuni significativi brani tratti da «Una voce dell’Istituto ‘Cabrini’ di Roma», in «Sua Eccellenza Aurelio Signora arcivescovo prelato di Pompei. 1925-1975 Sacerdote di Cristo», Pompei 1975, 65-70.
Il primo incontro con Lui suggeriva un senso di distanza come si prova davanti a coloro che perseguono un ideale superiore; suscitava insieme un interesse profondo e un naturale rispetto; gli occhi vivi sembravano leggere dentro l’interlocutore e il distacco del portamento non rendeva facile una qualsiasi confidenza. La vivezza della parola, la profondità e l’espressività del discorso correggevano peraltro la severità dell’aspetto, inducendo a riflettere su eventi di ogni giorno, prima banali e inosservati, ma che assumevano nella sua prospettiva dimensioni nuove, suscitando impulsi di ferità e di amore,
Mons. Aurelio Signora, nel 1957, prelato di Pompei.
di giustizia e di pietà. Ci si accorgeva, all’improvviso, come la durezza dello sguardo si addolcisse nell’esprimere sentimenti e pensieri che dovevano essere stati a lungo meditati e sofferti. Così il rapporto cambiava: Si coglieva allora un sorriso costante che dall’anima saliva per gli occhi alla fronte più che alle labbra, serrate, queste, sempre, in un silenzio che era meditazione [...] Furono quelli per Monsignore anni di attività molto intensa. Ricordo che specie nei periodi di Quaresima era impossibile rintracciarlo e poi si veniva a sapere, per caso, che stava predicando il Quaresimale in una Chiesa, o gli esercizi spirituali in un’altra e che stava magari anche registrando quelle conferenze che, attraverso la radio, sarebbero poi entrate nelle nostre case [...] tanta era la sua riservatezza e direi quasi il pudore della sua vita privata [...] Una volontà tesa, una fermezza sempre costante, che affondavano le loro radici in una Fede profondamente sofferta, facevano sì che egli chiedesse a se stesso e agli altri che ogni cosa intrapresa fosse compiuta bene e per intero, che ogni azione, piccola o grande che fosse, tendesse sempre a far brillare, nel fluire della vita che trascorre opaca, la scintilla del divino [...] Ai corsi di Catechismo per bambini, alle conferenze, e alla assistenza spirituale, egli abbinava un’opera 19
di assistenza sociale praticata a tutti indistintamente con lo spirito della carità più ampia. Con la guerra questa attività venne man mano ampliandosi e a quanto già fatto nei quartieri poveri di Roma, si vennero aggiungendo le «Casermette» di Monte Verde, dove erano rifugiate numerose famiglie di sfollati, Villa Chigi, l’Ospedale di S. Camillo. Parallelamente iniziò ad interessarsi all’opera per la «Protezione della Giovane» e all’Unione Cattolica Imprenditori e dirigenti (U.C.I.D.), iniziative profondamente diverse che egli porterà a nuova vita, infondendo ad esse l’entusiasmo di quegli anni creativi e che seguirà poi a lungo fattivamente. Tutto egli seguiva da vicino, sostenendoci, aiutandoci, sospingendoci a fare. Non tutto era facile, molte volte davanti ad alcuni problemi che noi, col nostro semplicismo giovanile avremmo facilmente affrontati, egli ci moderava e dopo aver esaminato la questione con quel profondo senso di giustizia che sempre Lo animava, dava un giudizio, non sempre eguale al nostro. Sicché a volte noi lo incolpavamo di durezza, di rigidità verso particolari situazioni: ma un esame più profondo dei fatti o la loro evoluzione ci costringevano a ricrederci e a riconoscere che egli aveva visto bene. Il suo atteggiamento proveniva sì da un’anima nella quale la carità faceva fortemente sentire i suoi impulsi, ma che era anche perennemente animata da un sano buonsenso. Entrare nella cerchia degli intimi di Monsignor Signora non era facile; privilegio il varcare la soglia della modesta casa all’ultimo piano del palazzo di Propaganda Fide. Nel suo studio si aveva l’impressione di essere staccati da terra: era la stanza dì un uomo che lavorava intensamente a stretto contatto col mondo. Solo allora si aveva la sensazione che nel Sacerdote esisteva l’Uomo: un uomo che aveva saputo dominare la sua vita con tutto ciò che essa ha di debole, di incerto, per poterla gettare nella instancabile fatica quotidiana, nella sofferenza, nella speranza di lavorare per dilatare il regno di Cristo, glorificare la divina Madre, dare trionfo alla Chiesa.
LA BREVE VITA DI DON UMBERTO FORT
un giovane sacerdote amante dello studio di Leontina Busetti
Don Umberto, cappellano militare a Verona.
Don Umberto Fort Fut era nato a Santa Lucia il 13 gennaio 1885, primo di 5 figli di Angelo e di Rosa Busetti. Fin da bambino ha manifestato il desiderio di diventare sacerdote (aveva 4 anni quando diceva di voler fare il prete e la sorella Pina gli avrebbe fatto i calzini!). Ha studiato nel seminario di Portogruaro, ha ottenuto l’ordinazione nel 1908 e ha celebrato la sua prima messa nell’Abbazia di Sesto al Reghena. Era già pronto per il sacerdozio un anno prima, ma dovendo seguire le regole canoniche, ha dovuto aspettare un anno. Dall’anno dell’ordinazione e fino al 1911 è stato curato a Mezzomonte; poi, per ragioni di salute e anche su richiesta dei familiari che consideravano il clima del paese non del tutto adatto al suo fisico, viene trasferito come cappellano a Sesto al Reghena. Molto amante dello studio: un suo insegnante, don Luigi Bressan, diceva di lui che lo avrebbe di gran lunga superato nella carriera. Fu esentato dagli obblighi del servizio militare, ma durante la guerra è andato a Verona, dove svolgeva il compito di cappellano militare; qui muore il 6 gennaio 1918 a causa della salute già cagionevole. 20
Aveva solo 33 anni, per cui di lui abbiamo poco da raccontare, ma mi piace di lui ricordare un episodio: una vecchia zia gli portò dell’olio per metterlo al Signore, ma lui le disse che con quello doveva condire la minestra ai suoi «uomini» di casa e che il Signore sarebbe potuto stare anche al buio. Per volontà dei familiari alla fine della guerra la sua salma è stata traslata con funerali solenni nel cimitero di Santa Lucia, dove riposa accanto ai genitori e al fratello Matteo che l’aveva sempre seguito con particolare affetto. Sono ricordi raccolti da mia nonna Pina, sua sorella.
NARRATIVA
di Alessandro Fontana SECONDA PARTE Prosegue in questo numero il racconto ambientato in Val de Croda.
Dopo le sei, anche il padre torna a casa. Ha un’aria seria e preoccupata e si avvia subito a lavarsi senza spiccicare parola: sembra stanco. Quando esce dal bagno, cerca il figlio ancora immerso tra i libri e con il computer in funzione. Si lascia cadere sulla poltrona e gli fa: «Mi puoi ascoltare?». «Certo! Che vuoi dirmi?» Franco è incuriosito dall’aria molto preoccupata del padre. «La faccenda della lastra ha un seguito che non immaginavo neanche». «Che è successo?». «Abbiamo approfondito lo scavo prima a valle della lastra e poi a monte. Non mi crederai ma qui, a circa tre o quattro metri dalla lastra, abbiamo trovato una specie di vasca ribaltata verso valle, perpendicolare alla pendenza del terreno. Una sorta di guscio che termina in alto con una forma rettangolare, scavato nello stesso materiale: quel granito o porfido rosso, incrostato come la lastra». «Come una specie di sarcofago?» gli domanda scosso da un rapido tremito. «Sì, sì! Proprio una tomba antica. È molto più pesante della lastra e non abbiamo potuto spostarla. All’interno è piena di terra e ci siamo fermati. Era già quasi buio. Ho detto a Nani di ricoprirla appena con qualche bennata e con un altro telone e sono tornato a casa. E ora che facciamo?»
«Hai visto altre iscrizioni? «Non lo so. Ti ho detto che è molto incrostato di terra. Puoi andarci domani e la lavi come hai fatto con la lastra. È tutta per te. Gli ho ribadito a Nani di stare zitto come... una tomba. Se qualcuno viene a sapere di quella cosa e lo dice alla Sovrintendenza ci sequestrano la zona: lui perde il lavoro e noi la casa. Sarebbe una tragedia per tutti!». «Hai fatto benissimo! Sto finendo la traduzione: dammi ancora qualche minuto. Riposati. Forse abbiamo fra le mani qualcosa…d’incredibile… Aspetta lì». Riguarda con ancor maggiore attenzione l’epigrafe che ha tradotto.
SINE IRA SIS TEUCRE ELECTE VISITA INTERIORA ARDUA TERRAE O REX IUDEX UNA LEVI INCLUTA ALA SUSCIPE URNAM MEAM
Franco legge, rilegge il foglio dove ha scritto una accanto all’altra l’epigrafe e la traduzione, si dispera: «Ma che senso ha? Che cosa significa, che vuol dire:
NON TI ADIRARE O ELETTO FIGLIO DI PRIAMO, VISITA I DIFFICILI CONTENUTI DELLA TERRA O RE ACCOGLI LA MIA TOMBA, O GIUDICE, IN UNA SOLA LIEVE E FAMOSA ALA?
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Non ha nessun senso! Non dà nessuna notizia. Non è un’informazione! Eppure in quel sarcofago qualcuno ci doveva essere. E anche importante!». Sta per dirlo al padre ma lo vede assopito sulla poltrona e non lo risveglia. Poi accompagna i suoi pensieri con un pugno di rabbia sul tavolo e libri, penne e computer saltano con un gran fracasso. Il padre si risveglia di soprassalto. «Che ti succede?». chiede preoccupato ma ancora sonnacchioso. «Scusami! Non ti volevo svegliare. È che questa epigrafe mi sta esasperando!» sbraita. «Non è difficile, anzi l’ho tradotta agevolmente ma sembra senza significato. Mi sto lambiccando il cervello senza capirci un’acca. Il fatto è che ha alcuni riferimenti precisi come: «la mia tomba», cioè ‘urnam meam’ e «i difficili contenuti della terra», e tu mi hai detto che il sarcofago è pieno di terra». Il padre intanto si è alzato e gli pone le mani sulle spalle mentre il figlio continua: «E poi si rivolge al lettore come me – e come quelli dell’epoca chiamandolo eletto Teucro, cioè figlio di Priamo che potrebbe essere Enea, da cui discendono tutti i latini e quindi i Romani e quindi anche noi stessi. Vedi papà? Poi qua, appresso, invece lo chiama Re! E lo invita a visitare le difficili parti interne della terra! Non ci capisco niente, niente!». «Ma non ti preoccupare, Franco,
lascia stare. Dormici su e domani ne parliamo con l’amico Sindaco». «Ma nemmeno per sogno, papà» scatta il figlio. «Nessuno ci deve mettere becco. Ci dobbiamo arrivare da soli». Torna a leggere: «E per ultimo, addirittura il figlio di Priamo, il Re diventa all’improvviso ‘Giudice’ – e gli indica con il dito la parola – e il giudice dovrebbe accogliere questa tomba in una sola e famosa ala». Si tiene la testa fra le mani: «Ma che vuol dire?». «Se non ci capisci tu, figurati io! Io devo solo saper cosa fare di quella cosa. E ora vado a preparare un po’ di cena. Scendi quando vuoi». Il mattino dopo, Franco si sveglia presto. Gli sembra di avere dormito di un sonno agitato ma, stranamente, si sente più sereno della sera precedente. È sabato e il sole di questa inoltrata primavera, già tiepida, illumina la valle e le colline che proteggono il paese dai venti del nord. Non è giorno di scuola: fanno colazione assieme e il padre gli annuncia che oggi la ruspa non verrà; riprenderà a scavare fra due giorni: lunedì mattina. Franco si è deciso: si veste e telefona ad Alberto. Gli spiega che ha una faccenda importante da dirgli e si fissano l’appuntamento a casa di Franco tra mezz’ora; il tempo che il padre se ne esca come ogni sabato mattina a incontrare gli amici e bersi un bicchiere al bar. Quasi nel momento programmato sente il motorino di Alberto che si spegne con singhiozzi prolungati davanti casa: come se quel chilometro e mezzo in salita da Budoia lo rendesse asmatico. Dopo un paio di minuti sono assieme nella stanza di Franco.
Ora è l’amico che occupa la poltrona che ieri sera accoglieva lo stanco padre. Franco gli racconta del doppio ritrovamento e delle perplessità nate dalla traduzione di quell’epigrafe. Alberto è confuso anche più dell’amico ma la curiosità di vedere il sarcofago spinge entrambi ad accantonare le incertezze e a dirigersi verso l’orto. Prima di uscire da casa Franco gli fa indossare stivali di gomma e guanti. «Mentre lo guardiamo, possiamo anche cacciar via la terra con il getto d’acqua e vedere cosa nasconde e se abbia altre scritte. Io stesso non l’ho ancora visto; sono stato impegnato nella traduzione. Ma soprattutto ricordati che questo è un segreto solo nostro: forse per la vita». La buca ora si estende per tutta l’area segnata dai paletti fuori terra. I cingoli della ruspa, metà della cabina e la benna non si vedono più dalla strada. Dal livello del terreno emergono soltanto la parte a vetri della cabina, la V rovesciata del braccio snodato, il tubo dell’acqua che viaggia serpeggiando verso il rubinetto dell’orto e alcuni gradini di una rustica scala da cantiere che è servita a Nani e al padre per risalire dalla buca. I due amici si avvicinano cauti e scendono fissando il telo che copre la lastra e quel mucchio di terra coperta dal telone che Franco sa cosa nasconde. Guardano ancora fuori verso la strada e il bosco e, rassicurati dalla mancanza di persone, sollevano il telo di plastica verde. Alberto è sbalordito e non riesce a spiccicare parole di fronte a quel coperchio che pare un letto di braci pronte a spegnersi ma ancora vivaci. Franco si guarda attorno; le pale sono appoggiate ai cingoli e dopo qualche istante invita l’amico a togliere la terra dal mucchio qualche metro più in là. Bastano una ventina di palate per ciascuno e un lato della pietra emerge liberato dalla terra. Mette il tubo dell’acqua nelle mani di Alberto: «Tienila diretta sulla pietra. Fai attenzione che schizzerà da tutte le parti. Vado ad aprire il rubinetto e intanto controllo che non ci sia nessuno». Nella stanza di Franco i due amici stanno a rimuginare su quel sarcofa22
go ribaltato, forse per una frana, come coricato su un fianco. Svuotato con l’acqua dalla terra ammassata nel suo ventre, ha restituito un femore e una calotta cranica, ossa consunte e macchiate come da ossidi ferrosi. Ora giacciono sulla scrivania, illuminate dalla lampada a pantografo, senza rispondere agli sguardi increduli dei due che sembrano interrogarle. Non riescono a staccare lo sguardo ma poi Franco richiama l’attenzione dell’amico e gli porge il foglio che avevano messo da parte. «Alberto, io non ho capito niente ma non è possibile che quella gente abbia scritto queste frasi senza senso su un sarcofago di prezioso porfido egiziano: questo materiale dimostra che lì era sepolto un personaggio importante. L’hanno addirittura installato in una zona, come la nostra Val de Croda, certamente frequentata pochissimo all’epoca e perciò sicura da profanazioni. Chi ha portato qui il sarcofago e il suo contenuto voleva essere sicuro che non fosse trovato. Ma ci pensi?». Alberto è ancora frastornato ma attento alle parole di Franco. È anche contento della sua fiducia: l’es-
Medaglia con l’effige di Julia.
sere stato coinvolto in questa faccenda lo rende orgoglioso e spera di potere aiutare l’amico che sembra letteralmente ossessionato da questa straordinaria vicenda. E Franco riprende incalzante: «Ci pensi? Un drappello, forse un nutrito gruppo di persone, di soldati o di contadini, parte chissà da dove con un grosso carro, trainato da molti buoi o cavalli, e trasporta fin qui quel pesantissimo affare contenente una persona così potente o importante o sacra da non dover essere ritrovata da anima viva. Nessuno deve sapere dove sia tumulata. E la porteranno qui». Alberto, trascinato dal racconto, si accoda e continua questo gioco di ricostruzione: «E quindi il gruppo in marcia sta attento a non essere seguito: solo al momento di partire, di notte, gli è stato detto dove andare. Magari è guidato proprio dalla persona che ha organizzato tutto. Percorrono strade non certo asfaltate, magari sentieri appena tracciati, tenendosi ben lontani dai centri abitati dove soltanto uno di loro, senza essere riconoscibile dalla gente del posto, va per rifornirsi di cibo. Anzi vanno in due: il gruppo in marcia è di almeno dieci unità. Forse questo stesso gruppo di soldati o di contadini sarà stato trucidato al ritorno portandosi nella tomba il segreto del luogo dove hanno lasciato il sarcofago. Così, soltanto l’uomo o la donna che ha organizzato tutto conoscerà questo posto. E l’impossibilità di conoscere l’identità del morto sarà garantita nei secoli. Incredibile!». Restano alcuni secondi a guardarsi e a pensare. Poi Franco riprende: «Certamente probabile la nostra ipotesi, molto verosimile: ma, prima di continuare cerchiamo di capire l’epigrafe che hai in mano». «Ah! Già…l’epigrafe!» fa Alberto distratto dall’appassionante gioco. Il sole è ormai alto e tra poco sarà ora di pranzo. Il padre sta tornando e Franco lo dovrà aiutare, come avviene sempre nei fine settimana che passano in casa. Almeno una volta ogni mese e mezzo trascorrono assieme un sabato a pranzo dai nonni di Portogruaro e una domenica da quelli di Santa Lucia. I nonni sono
ancora tutti vivi e i pranzi a Portogruaro, a casa di quelli materni, sono un malinconico dovere. «Che ne pensi se» Alberto gli propone «mi porto via il foglio e mentre tu aiuti tuo padre io la riguardo con calma a casa mia?». «Ok! Ma stai attento a non farti vedere dai tuoi. È un nostro segreto! Ci rivediamo qui alle tre». Alberto sta rileggendo l’epigrafe a Franco che sta steso sul proprio letto, le braccia sotto la testa. Dal piano terra giungono indistinti suoni e borbottii del televisore acceso che fa da viatico al sonnellino pomeridiano del padre.
SINE IRA SIS TEUCRE ELECTE VISITA INTERIORA ARDUA TERRAE O REX IUDEX UNA LEVI INCLITA ALA SUSCIPE URNAM MEAM
«Non ho potuto avere un risultato diverso dalla tua traduzione: non c’è nessun senso. Sono andato a controllare tutti i possibili significati delle parole, e non ho ottenuto niente di meglio della tua versione. Poi m’è venuta un’idea. Mi sono detto: vuoi vedere che hanno scelto un posto come questo, sconosciuto e lontano da luoghi abitati e dalle vie di comunicazione; poi hanno ucciso il drappello dei trasportatori e infine, per eccesso di prudenza, quella gente ha perfino criptato l’epigrafe?» «Certamente possibile» si accoda l’amico». Non ci avevo pensato: la rabbia è stata troppo forte. E che hai dedotto? È un rebus? Una serie di anagrammi? Un acrostico? Una serie di sigle? Non dirmi che l’hai risolto!». «E invece credo proprio di sì!» continua Alberto ma nella voce non ha nessuna sfumatura d’orgoglio o di soddisfazione; sembra invece che abbia un tono spaventato. «Leggi soltanto le prime lettere di ogni parola» e restituisce il foglio all’amico che è già balzato dal suo letto e si porta a leggere vicino alla finestra che ora il sole lambisce quasi al tramonto sulle crode verso il Gorgazzo. Franco legge come se balbettasse, una lettera staccata dall’altra, e poi tutte assieme: 23
SISTE VIATOR IULIA SUM
Il respiro gli accelera e si appoggia alla scrivania mentre nella testa quelle parole si ripetono senza controllo. Alberto gli accosta la sedia. «Ti assicuro che anche a me ha fatto lo stesso effetto ma ero già seduto…»
FERMATI O VIANDANTE SONO GIULIA
Franco recita imbambolato, meccanicamente, le parole che sciolgono l’enigma e assegnano un nome a quel cadavere di cui restano solo le due ossa che ha nascosto sull’armadio. Ora i due amici non riescono a parlare: si guardano, poi gli occhi si puntano al pavimento e poi ancora fuori della finestra per infine posarsi ancora sull’amico. Alberto ha avuto più tempo per digerire quella rivelazione ed è quindi più pronto a riprendere il colloquio. Gli domanda: «Franco, lì c’era la figlia di Giulio Cesare? Di Caio Giulio Cesare? Il più osannato dei figli di Roma? Il conquistatore? Che io e te abbiamo amato e tradotto? Il più facile scrittore del mondo latino? Non ci posso credere!» Franco si è riavuto e mormora: «E il sarcofago della figlia è stato qui nel mio terreno per duemila anni? Papà ha ragione: se questa storia viene risaputa, anche solo due parole fuori posto, e siamo perduti! Ci portano via casa, terreno, orto e insomma siamo rovinati!». Trascorrono ancora i secondi e Alberto domanda: «Ma tu che cosa sai di questa Giulia?». «Tanto quanto ne sai tu, cioè niente di niente. Non ne ricordo neanche un cenno nei libri di storia». «E allora, che facciamo?». «Per ora possiamo soltanto controllare se c’è qualche notizia nel ‘web’». [continua]
2a Festa de ’l Ruial
a cura di
SABATO 2 E DOMENICA 3 MAGGIO 2015 sentanti delle aziende sponsor, e ad un numero incredibile di persone, abbiamo inaugurato la nuova ruota ad acqua: il nostro pensiero si è rivolto alla Marta Bronte che si sarebbe certamente commossa nel vedere la nuova ruota girare allegra sul suo vecio mulin, dopo 80 anni (erano presenti anche le ne-
foto di Francesca Catullo
Nel numero di Pasqua avevamo anticipato il programma della 2a Festa del Ruial, con la quale avremmo brindato alla chiusura del progetto «LIquentia-RUIAL», iniziato a settembre 2013. Sabato 2 maggio, al mulin de Bronte, alla presenza di molte autorità regionali e locali, dei rappre-
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vode de la Marta). Per questo intervento dobbiamo ringraziare la ditta By Style di Roberto Presotto, che ci ha generosamente fornito tutti i materiali, e gli amici Alfredo e Mirco Zambon Curadela che ci hanno aiutato nella progettazione e montaggio. Abbiamo anche inaugurato il restauro del vecio tu-
bo de la Rosta, costruito dopo la prima guerra mondiale e bisognoso di urgenti interventi per evitare la sua perdita definitiva; per questo intervento dobbiamo ringraziare l’Hydro Gea che ha accettato di finanziare l’intero progetto comprendente la sostituzione di tutti i vecchi tiranti in fil di ferro oramai arrugginiti e logorati dagli anni con materiali moderni e in acciaio inox (a l’era ridoto propio malamentre e un dì o l’altre al ris’ciava de dì dho su le crode de l’Artugna). I volontari del Comitato hanno anche voluto dare un sincero rin-
graziamento alle moltissime altre persone ed aziende che hanno generosamente sponsorizzato e contribuito ai lavori realizzati negli ultimi 18 mesi: senza il loro contributo e generosità molti lavori non si sarebbero potuti realizzare. A tutti sono stati consegnati i certificati di «Amico del Ruial»: ai Comuni di Budoia e Polcenigo, alla Parrocchia, al comando della Air Base di Aviano (presente il generale comandante), a Montagna Leader, alle ditte Fedrigo Scavi e Baumer Edilimpianti, agli eredi Pinàl, alla famiglia Zallot (attuale proprietaria
È stato attivato il nuovo sito delle associazioni locali
www.ruial.it Dal 1669 il «Ruial» ha alimentato con la sua preziosa acqua del Cunath le nostre tre comunità di Dardago, Budoia e Santa Lucia, ed ha costituito l’arteria dello sviluppo del territorio comunale fino agli anni ’50. Dopo 50 anni di abbandono è stato restaurato e la sua acqua pura e fresca è tornata a scorrere alimentando la cascata Perèr, la rosta del Mulin de Bronte e il laghetto «Pinàl».
Questo sito, che porta il suo nome, sta a rappresentare la moderna funzione del vecio «Ruial», quale contenitore e veicolo di collegamento e comunicazione per le associazioni operanti sul territorio. Il sito è a disposizione di tutte le associazioni, siti, social network che abbiano finalità promozionali del territorio del Comune di Budoia, nonché culturali, sportive e sociali, senza fini politici ed economici, e soprattutto nel pieno rispetto di tutti.
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del mulin de Bronte), al Comando Forestale di Aviano & Polcenigo, alla ditta I.M. Carpenterie Metalliche, e ai ristoratori della valle che hanno sempre dato il loro contributo agli eventi gastronomici organizzati dal Comitato e CFD. Insomma proprio una bella festa e poi un bel brindisi tutti assieme nel suggestivo giardino de Bronte. Anche domenica 3 maggio, nonostante il meteo «bastiancontrario» è stata un’altra gran bella giornata in piazza a Dardago: conferenze veramente uniche ed interessanti a teatro e bella la mostra fotografica (Dardago a Venezia) di Marco Tubaro. Pienone nelle scuole per il menù dei nostri grandi chef della Federazione Italiana Cuochi (risotto con gli asparagi di gran classe, oltre al resto). Bravissimi gli speleologi sacilesi che ci hanno aliettato per un paio d’ore «su e do pal cianpanile» di oltre 40 metri, come se fossero stati al parco. Brave e pazienti anche le animatrici dei laboratori per bambini in teatro. Un ringraziamento anche ai venti produttori pedemontani che hanno partecipato al mercato in piazza, proponendoci i loro prodotti locali, vere specialità del nostro territorio. Ed infine, ma non per ultimi, i professionali danzerini de l’Artugna e il gruppo danzante veneziano «Dame e Cavalieri», che ci hanno regalato momenti di gran ballo... e bravi anche i numerosi amici fotografi: Italo Paties, Francesca de la Modola, l’Artugna, Paolo Burigana, Eddie Gianelloni ed altri che ci hanno regalato scatti professionali di questi bei momenti. Un grande grazie a tutti. Ancia el baler de la platha al pareva che l’avess le foie pì lustre da la sodisfathion de vede tanta bela dhent intor de lui... l’è proprio vero che co un sass a paron se pol fa un masaron... Oltre una ventina i volontari del Ruial «in servizio», aiutati anche da Protezione civile e Polizia Urbana. Un arrivederci da Chei del Ruial e dalle altre associazioni locali.
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TRASFERTA IN SVIZZERA
il «Collis Chorus» a Ginevra di Bruno Fort
…diciamo che non era iniziata nel migliore dei modi. Per problemi familiari avrei dovuto raggiungere in aereo il gruppo, già partito da Santa Lucia alla volta di Ginevra verso l’una di notte in pullman gran turismo, quando verso le 7.45 del 1° maggio ricevo una telefonata del direttore in cui mi riferisce che era stato dimenticato «il charleston» della batteria in macchina. Tra lo sconcerto e l’incredulità della notizia mi vedo costretto a buttar giù dal letto Davide corista, rimasto a casa per motivi personali, per poi ritrovarmi mezz’ora dopo nell’atrio di casa sua con la batteria della sorella. Si incomincia ad armeggiare al fine di smontare quel famoso pezzo invano e dopo vari contatti telefonici con il direttore, mi viene suggerito di rivolgermi con una certa urgenza al piccolo Leonardo Cauz, provetto batterista, il quale nel frattempo si è già attivato per smontare il famoso «Charleston». Quando arrivo mi aspetta sulle scale con un sorriso indimenticabile, fiero di poter dare il suo prezioso contributo al Collis ed in particolare al suo idolo il batterista Loris. Lo collochiamo in tutta fretta nella valigia avvolgendolo con cura in mate-
In alto e sopra. Il coro durante il concerto presso la «Salle Vernier Place» – Vernier.
riale idoneo pronto per raggiungere finalmente Ginevra. Arrivati all’areoporto Taira, Fabio, io ed «il Charleston» raggiungiamo in un batter d’occhio la stazione di Ginevra che si trova in posizione centrale dove ci attende con grande entusiasmo Marzia, l’organizzatrice del nostro soggiorno/concerto, che da anni vive in questa bella città per motivi di lavoro. Raggiunti da alcuni amici del coro già arrivati in albergo ed in visita della città, per rifocillarci ci rechiamo in una pasticceria/gioielleria e capiamo immediatamente che i franchi svizzeri non sono gli euro. 26
Congedati da Marzia che si prende in carico «il Charleston» per consegnarlo al proprietario, saliamo su un autobus per raggiungere l’hotel che si trova in territorio francese giusto sul confine con la Svizzera. Arrivati al capolinea ci ritroviamo sul confine svizzero a vagare come anime in pena e, sotto una pioggia torrenziale, cercare di capire quali siano gli orari di ritorno dei bus e soprattutto se raggiungono la località dove si trova l’albergo. Dopo varie peripezie riusciamo a salire su un autobus a fine corsa sprovvisti di biglietto e fradici come eravamo veniamo «condonati» dal lungimi-
rante autista francese che ci conduce fino alla fermata più vicina all’hotel. La cena si svolge in un locale denominato «Buffalo Grill» ove la truppa dopo il faticoso viaggio durato ben dodici ore ritrova il giusto ristoro! Il rientro nelle camere dopo cena avviene in tempi diversi perché molti di noi indugiano nella hall dell’hotel per bere qualcosa e per quattro chiacchiere. L’indomani, graziati dal tempo, raggiungiamo con il pullman Ginevra ove ad attenderci c’è Marzia che ci porta in giro per la città facendoci ammirare il lago di Lemano con il suo famoso «Jet d’eau», la cattedrale di St. Pierre, le tipiche vie di Ginevra costellate di gioiellerie, banche, negozi di lusso e cioc-
mezzogiorno dove gli amici della SAIG ci offrono un ottimo pranzo prima di eseguire le prove pomeridiane in vista del concerto delle 20.00. Non nascondo l’emozione nel vedere il nostro manifesto che riportava: CONCERTO SPIRITUALGOSPEL del Coro Friulano «Collis Chorus» di Santa Lucia di Budoia. Il concerto si è svolto presso la «Salle Vernier Place» di Vernier, ed è stato molto apprezzato dai convenuti in sala, presentando un vasto repertorio che spaziava da brani come «Nel blu dipinto di blu» (noto anche come Volare» di D. Modugno), «La sagra» di B. De Marzi, e «L’ai domandade di sabide» e vari brani gospel-spiritual quali «Worthy to be praised», «I have decided to follow
Il gruppo davanti allo «Jet d’eau» lungo il lago di Ginevra.
colaterie compreso il quartier generale di «Rolex». Una cosa che mi è rimasta impressa è stato sicuramente il Monumento Nazionale dei Padri Riformatori che incontriamo lungo la «Promenade des Bastions» ove scattiamo delle belle foto di gruppo. Durante la visita di Ginevra ci seguono dei vecchi amici ivi residenti: Paolo con moglie e figlio, ed i suoi genitori che oltre a far da ciceroni fanno da autisti ai nostri accompagnatori quando il coro è impegnato con le prove. Lasciata a malincuore Ginevra e la sua aria così internazionale e raffinata, arriviamo a Vernier verso
Jesus», «I love the lord», «Going to the holy city»; «When the saints go marching in» nonché la Messa Jazz di Bob Chilcott ed il medley tratto dal musical «The phantom of the opera». Il coro, diretto da Roberto De Luca, ha eseguito sia brani a cappella che strumentali grazie all’accompagnamento del trio Cookies Jazz formato dai musicisti Denis Feletto (pianoforte) Michele Gava (contrabbasso) e Loris Veronesi (batteria) che appena arrivati venerdì sera hanno eseguito un concerto in Ginevra molto gradito. L’appuntamento musicale è stato reso possibile grazie al soste27
gno della SAIG – Società delle Associazioni Italiane di Ginevra, intesa a far conoscere la molteplice realtà del nostro paese all’estero, delle Associazioni «Lucchesi nel mondo» e «Calabresi» nonché della «Città di Vernier – une ville pas commune» come recitava il loro logo. Ricordo con simpatia il sig. Giuseppe che durante il ricco rinfresco post-concerto, «rimproverandoci» per non aver cantato solo in italiano mi chiedeva di poter sentire «Va’ pensiero», «Signore delle cime» ed altri brani della migliore tradizione italiana che immediatamente abbiamo eseguito in un crescendo di emozioni e complicità che hanno soddisfatto tutti i presenti. Sul volgere della serata il coro ha voluto ringraziare Marzia offrendole un presente per tutto l’impegno profuso nella realizzazione di tale manifestazione unitamente al Sig. Carmelo Vaccaro coordinatore della SAIG. Al rientro in hotel una parte del gruppo si è coricata subito in vista del viaggio di ritorno dell’indomani, mentre un’altra ha voluto condividere le emozioni che ci avevano attraversato in questa intensa giornata ginevrina. Si sono formati così nella hall dell’albergo 2 gruppetti: «i veci» e i «giovani» che tra una bevanda e l’altra si sono divertiti un sacco, chi rievocando aneddoti del «Collis» chi raccontando barzellette a non finire fintanto che il sonno non ha preso il sopravvento e ha convinto tutti ad andare a dormire. A questo punto non mi resta che ringraziare Anita Presidente unitamente a tutti coloro che a vario titolo si sono adoperati per la concretizzazione di tale progetto, il Direttore che lavora tutto l’anno per tenere vivo l’interesse del «Collis», i coristi che nonostante non siano potuti venire in Svizzera ci hanno seguito col cuore ogni giorno. Permettetemi di estendere un saluto particolare ad Annamaria, mamma di Antonella, che ormai vola in alto libera come una farfalla e continua a seguirci da lassù.
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Gruppo Alpini di Budoia
80 anni di vita di Mario Povoledo
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Capo Dino Rampazzo anche a nome del Cap. Grosseto Comandante la Compagnia dei Carabinieri di Sacile, il Vice Questore Massimo Olivotto, la signora Julia Marchi Cavicchi Presidente Regionale e Provinciale dell’Ass. Famiglie Caduti e Dispersi in Guerra, il Parroco delle Comunità don Maurizio Busetti, una rappresentanza dei gemellati Gruppi di Milano-Crescenzago, capitanata dal Capogruppo Roberto Scloza e di Col San Martino Sezione di Valdobbiadene con il Capogruppo Enrico Moro, i Labari dei Donatori di Sangue delle Sezioni Budoia-Santa Lucia e Dardago, dell’Associazione Budoia Solidale che svolge servizio di volontariato e trasporto anziani e ammalati ed altre Associazioni di Volontariato operanti nel territorio. La Fanfara Madonna delle Nevi ha scandito i momenti salienti della cerimonia con il Coro Julia di Fontanafredda. Degna di nota la presenza dei Vessilli delle Sezioni ANA di Mila-
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calato le varie fasi della serata con un apprezzato repertorio terminato con l’Inno di Mameli cantato dai presenti in piedi. L’intervento del pittore Umberto Coassin ha dato il giusto risalto alla tragedia vissuta da Paolo con la spiegazione di un quadro commissionato dallo stesso reduce che si trova sin dal 2002 nella sede sezionale a Pordenone. Il giorno seguente dopo i doverosi omaggi al Cippo dei Caduti Alpini in loc. Val de Croda e al Monumento ai Caduti in Piazza a Dardago, i convenuti si sono radunati presso l’area di via Capitan Maso, per l’omaggio alla memoria del Capitano degli Alpini MOVM caduto sul Sauc durante la lotta di liberazione. Con il Capogruppo Mario Andreazza erano presenti il Sindaco Roberto De Marchi con la Giunta e i rappresentanti del Consiglio Comunale, il Ten. Col. Antonio Esposito per il Comando Brigata Alpina Julia, il Comandante della Stazione Carabinieri di Polcenigo Mar.
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stituiscono un momento di ritrovo e di festa: ricordare per non dimenticare! Il Gruppo di Budoia ha voluto dare solennità all’avvenimento con una due giorni che ha visto partecipi le realtà locali Budoia, Dardago e Santa Lucia, unite dalla penna nera. Gli Alpini sono una forza legante e trainante. Sabato 25 aprile la comunità di Santa Lucia ha ospitato la prima giornata di celebrazione con la presentazione di un opuscoletto di memorie scritte dal reduce di Russia Paolo Busetti, andato avanti il 31 maggio 2005, dopo aver partecipato all’Adunata di Parma, accompagnato dal figlio Antonio. Queste memorie, sono state scoperte dai nipoti che hanno pensato di renderle pubbliche e così il Gruppo ha colto l’occasione di presentarle per ricordare degnamente tutti coloro che hanno sofferto le guerre e offerto anche la loro vita. Dopo il ritrovo presso il Monumento ai Caduti e la deposizione di un cesto floreale – con il giovanissimo Diego Rover che ha suonato per la prima volta il silenzio – in chiesa parrocchiale si sono raccolte circa duecento persone che hanno assistito alla presentazione da parte del nostro Presidente Giovanni Gasparet, alla presenza del Sindaco Roberto De Marchi e la giunta al completo, il Ten. Col. Antonio Esposito in rappresentanza della Brigata Alpina Julia, i famigliari di Paolo e l’intervento del Coro Ana Aviano che ha inter-
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G li anniversari nella vita di tutti, co-
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L a famiglia Busetti desidera ringraziare profondamente quanti si sono prodigati con ammirevole impegno nell’organizzare, in occasione dell’anniversario della Liberazione, la cerimonia in ricordo dell’Alpino, reduce della guerra in Russia, Paolo Busetti. I ringraziamenti sono in particolare rivolti a: l’Associazione Alpini Gruppo «Bepi Rosa» Budoia, che ha voluto omaggiare l’Alpino Paolo Busetti e tutti i caduti per la Patria, con la pubblicazione delle sue memorie «I miei ricordi dal Fronte Russo», il Coro ANA di Aviano, che ha allietato con i canti la cerimonia e la serata, il pittore Umberto Coassin di Budoia al quale Paolo commissionò il dipinto «La Battaglia di Nikolajewka», per la sua commovente e viva ricostruzione dell’anima dell’opera realizzata, il Presidente della Ass. Nazionale Alpini di Pordenone, Gasparet Giovanni, per aver delineato un ricordo di Paolo e aver illustrato le opere umanitarie realizzate grazie all’intervento dell’Associazione che rappresenta, la nipote Michela che con il marito tenente colonnello Alpino David Colussi ha proseguito ed ultimato con cura il lavoro di raccolta e scrittura delle memorie del nonno, che Paolo stesso aveva iniziato con il nipote Jacopo. Il 25 aprile, data di per sé carica di alti e nobili significati storici ed umani, si è arricchito, nel cuore dei famigliari presenti – figli, nipoti e pronipoti – di un valore importante, l’eco affettiva di una vita, quella del caro Paolo, costruita saldamente intorno ai valori dell’unione, della lealtà, dello spirito di sacrificio e di
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riflesso spesa nell’Amore per la propria Patria, la propria terra, la propria comunità, la propria famiglia. Alle figlie, che in occasione delle festività comunicavano quanti componenti sarebbero stati presenti ai pranzi di famiglia – e i numeri importanti raccontavano sempre di una famiglia numerosa e unita! – Paolo rispondeva con il più dolce dei suoi sorrisi, che trapelava l’orgoglio e la consapevolezza di aver costruito, con la moglie Luigia, la più importante e bella tra le testimonianze di vita da lasciare in eredità: una famiglia che si ama e lo fa con dedizione e da generazioni! Siamo certi che anche in questa ricorrenza speciale, il nostro amato Paolo abbia vegliato su di noi con il suo amorevole sorriso e sia stato grato della cura riposta nel ricordarlo. A figli, nipoti e pronipoti Paolo ha sempre trasmesso l’importanza del formarsi, studiare, investire nei propri talenti per costruire con onestà ed impegno il proprio domani. Con uno sguardo che si apre, carico di speranza, verso il futuro, consapevole però dell’inestimabile valore del passato. Monito di cui è storicamente ed umanamente investita la stessa data del 25 aprile. I figli Busetti ringraziano sentitamente quanti hanno presenziato alla Cerimonia, testimoniando ancora una volta il grande affetto nutrito verso il loro amato padre «Alpino Paolo Busetti».
i miei ricordi dal Fronte Russo Alpino Paolo Busetti
no scortata dal Capogruppo di Milano-Crescenzago Roberto Scloza (Gruppo con noi gemellato sin dal terremoto del ’76) e di Pordenone, con i Consiglieri Vice Presidente Antoniutti, Biz, Goz, Corazza, Francescutti, il Revisore Danelon. Dopo breve corteo si è raggiunto la Piazza Umberto I per l’Alzabandiera e la deposizione di una corona d’alloro al Monumento. Durante i discorsi ufficiali le autorità hanno messo in rilievo le peculiarità degli Alpini e sottolineato che se passano gli anni, non cambia mai lo spirito degli Alpini, ancorati ai valori e al servizio verso la comunità e il prossimo sofferente. Fra i presenti si è distinto il Reduce di Russia Ottavio Pes ritto sull’attenti con l’immancabile cappello alpino e il distintivo proprio dei reduci di quella grande tragedia. Poi il trasferimento nella Parrocchiale. Durante la Santa Messa il Parroco ha ribadito che i valori evangelici, si eguagliano a quelli custoditi nello zaino e fatti propri dalle tradizioni degli Alpini. Toccante la lettura della nostra Preghiera, con il sottofondo del Coro Julia che ha intonato il Signore delle Cime. Presso il campo sportivo dell’Oratorio, grazie al valido apporto dei cucinieri del Gruppo di Aviano è stato servito il tradizionale rancio alpino e così insieme alla popolazione gli Alpini del Gruppo e dei 37 Gruppi presenti hanno festeggiato l’importante traguardo. Un particolare grazie ai Soci che hanno lavorato e tutti coloro che, in qualsiasi modo e forma hanno aiutato il Gruppo di Budoia, in particolare all’Associazione Pro Loco Budoia, Comitato Festeggiamenti Dardago, Associazione Pro Castello e gli immancabili fotografi di www.artugna.it
L’angolo della poesia Il bel paese Quando l’aurora di rosa ammanta, pingendo le creste prealpine come regal corona, lungo il sentier silvestre
La pastorella
dal belante gregge attorniato, avanza allegro Pierin pastorello canticchiando una nota arietta suonata la sera sull’aia di «paron Toni» per festeggiare, con quattro salti e due giravolte, il buon raccolto della campagna, mettendo anche la promessa del prossimo «Sì» della Marietta con il Nino, mentre, gustando con Toni un sorso di quello buono, il sacrestano, con fare sornione, controlla che non manchi il decoro a questa bella riunione. E così, tra un ballo e un sorso, una risata e una occhiata del tutore, il campanon batte le ore, annunciando la fine del dì, e l’inizio del nuovo giorno, a cui si dovrà dare una nuova vigoria, mentre una nuova Aurora illuminerà di rosa il Ciel «crestato» di Budoia, lieto paese con la Gente d’animo cortese, che ancora conserva lo stile di vita del tempo che fu. FORTUNATO RUI
Ogni mattin passo su questa strada mi incanta il panorama la montagna scende su quel sentiero tintinna i secchi che à l’arco in spalla per cogliere l’acqua alla fontana roseo il viso sorriso ardente sul fular i mille fior che à la montagna dona su mia man un mazzolin di stelle alpine si china mio viso cadde lacrime sui suoi piedi umidi vieni a casa mia a tua vita sarà sempre per tanto tua. O bel dì del matrimonio tanti arrivan alla gran festa a mezzodì valica il suon delle campane cibar e bere di ogni cosa ricordo resta questo giorno il parroco don Maurizio augura volersi bene e agli sposi premio a lor dei bimbi gioiosi. ANGELO JANNA TAVÀN marzo 2015
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Una nuova pennellata impressionista di Angelo che rielabora la quotidianità proiettandosi nei personaggi del suo racconto. Nella composizione si ritrova il tipico schema narrativo dei suoi versi: la consuetudine giornaliera della passeggiata (ogni mattin passo su questa strada), lo stupore bucolico (mi incanta il panorama / la montagna), gli incontri casuali (una pastorella che scende dal sentiero dopo essersi approvvigionata d’acqua alla fontana). Il ritratto della donna è delicato (sul suo foulard i mille fiori che à la montagna) ma nella sintesi delle parole delinea la durezza della sua vita (il tintinnare metallico dei secchi d’acqua sull’arconcello (thanpedón) ne evoca la pesantezza, il viso roseo e il sorriso ardente allude alla fatica sotto il sole, i piedi umidi richiamano le disagiate condizioni di lavoro). Più esplicita la commozione che Angelo non trattiene (si china mio viso cadde lacrime) dopo che l’umile donna gli fa dono di un mazzolino di stelle alpine. Il pianto di lui, quel gesto ed il sorriso ardente di lei suggellano il loro incontro e l’innamoramento (vieni a casa mia a tua vita / sarà sempre per tanto tua) che porterà al festoso matrimonio in paese.
Lasciano un grande vuoto... l’Artugna porge le più sentite condoglianze ai famigliari
Vera Zambon Bonaparte è vissuta per oltre mezzo secolo in terra di Scozia assieme al marito Roberto, senza dimenticare mai le sue radici dardaghesi, cui molto spesso faceva riferimento. I suoi nipoti la ricordano con affetto.
Lidia Diana te era attorniata dall’amoroso affetto dei tuoi cari. Conservavi un aspetto sereno e tranquillo e a noi tornavano alla mente tanti momenti felici della nostra vita familiare che abbiamo vissuto assieme. La tua bella immagine dolce e sorridente rimarrà impressa, per noi, in un amorevole e perenne ricordo. Ciao sorella!
Il prossimo mese di settembre scade il primo anniversario della tua dolorosa dipartita. Era il 19 settembre dello scorso anno, data che per te segnava un compleanno nuovo e che, da molti anni, riuniva tutti i tuoi cari, familiari e amici per festeggiarti gioiosamente. Quel giorno invece ci hai lasciati e hai scelto di ritrovarti in cielo con il tuo amato Matteo, voi due soli. Anche se da tempo la malattia ti aveva privato della parola e della conoscenza, la tua presenza silenziosa e assen-
MARISA E DOMENICO CON AGNESE
Luciano Bocus Frith Caro «Ciano», così amichevolmente ti chiamavano gli amici più cari ed i collaboratori, chi ti ha conosciuto per lavoro e gli amati tuoi Alpini. Sono passati solo alcuni mesi dalla tua dipartita, sono stati e sono giorni di sgomento e infinita tristezza. Durante il breve periodo della tremenda malattia che ti ha colpito, sempre con il tuo forte ed eccezionale carattere che mai si è abbattuto di fronte a tutte le avversità che durante la vita hai incontrato, eri ancora tu che ci incoraggiavi e ci sostenevi dicendoci: «Dai, appena mi rimetto andiamo, facciamo, programmiamo…». Purtroppo tutte le nostre speranze, malgrado la tua inesauribile voglia di vivere, di conoscere, di socializzare e fa-
re comunità, hanno dovuto lasciare il sopravvento ad una malattia troppo forte da combattere. Molte, tantissime persone ci sono state vicine nei giorni del tuoi funerali, e nei 31
giorni e settimane seguenti, onorandoti sempre con elogio e raccontandoci vari aneddoti che vi legavano, altrettanti hanno avuto parole sia verbali sia scritte di stima e riteniamo sincere e fuori dalle normali frasi di circostanza, che così si possono sintetizzare: vero professionista e conoscitore del lavoro, uomo di parola, e vero leader che sapeva coinvolgere e convincere e creare affiatamento tra le persone, in particolare seppur attaccato alle proprie radici e tradizioni, era uomo moderno che con capacità coinvolgeva ed insegnava ai giovani, e a sua volta, conquistatone la fiducia, cercava di carpire i cambiamenti ed innovazioni che le nuove generazioni sempre portano. Caro Ciano, sarà difficile eguagliarti. I TUOI CARI
il loro ricordo non sfuma
Assidua e generosa lettrice del periodico l’Artugna, Vera Zambon Bonaparte vedova De Robertis di anni 91 è mancata all’affetto dei suoi cari, ad Almondbank (Contea di Perth) in Scozia. Persona sensibile, gentile e socievole
’n te la vetrina
UN ACCORATO APPELLO AI LETTORI Se desiderate far pubblicare foto a voi care ed interessanti per le nostre comunità e per i lettori, la redazione de l’Artugna chiede la vostra collaborazione. Accompagnate le foto con una didascalia corredata di nomi, cognomi e soprannomi delle persone ritratte. Se poi conoscete anche l’anno, il luogo e l’occasione tanto meglio. Così facendo aiuterete a svolgere nella maniera più corretta il servizio sociale che il giornale desidera perseguire. In mancanza di tali informazioni la redazione non riterrà possibile la pubblicazione delle foto.
Dardago, 55 anni orsono (giugno 1960), classi 4a e 5a. Prima fila in piedi da sinistra a destra: Fioralba Vettor Cariola, Marisa Pian, Teresa Zambon Biso, Elide Rigo Moreàl, maestro Umberto Sanson, Paolo Zambon Pala, seminascosto Luigi (Gigetto) Zambon Marìn, Franco Zambon Momoleti. Seconda fila da sinistra a destra: Angela Zambon Pinàl, Cecilia Busetti Caporàl, Daniela Bocùs de la Rossa, Liliana Bocùs Frith, Loredana Bocùs Frith, Beatrice Ianna Cianpanèr, Marco (Renzo) Zambon Tarabìn Tunio, Gianni Zambon Rosìt, Enrico Zambon Sclofa. Accosciati da sinistra a destra: Roberto Zambon Momoleti, Giuseppe Zambon Tarabìn, Alfredo Lachin Stort, Maurizio Grassi, Valentino Zambon Ite, Paolo Zambon Marìn, Flavio Zambon Tarabìn Modola. Da notare che alcuni ragazzi calzavano le s’cianpinele! Altri tempi! (testo e foto di proprietà di Flavio Zambon Tarabìn Modola)
Dardago, cinquant’anni orsono, 15 agosto 1965. Cuccagna nel giorno della festa dell’Assunta, da notare la grande folla che vi assisteva, in essa vi erano moltissime persone giunte anche dai paesi vicini. Per la cronaca la cima del palo venne raggiunta, alle otto di sera, dopo quasi 5 ore di vari e vani tentativi, l’impresa ebbe come cronista Dario Pagóto, appostato sopra il portone della famiglia Zambon Bedìn, con tanto di microfono ed altoparlante. (testo e foto di proprietà di Flavio Zambon Tarabìn Modola)
CRONACA
Cronaca Lavori a San Martin
I volontari Graziano Bocus, Pietro Ianna, Antonio Rigo e Graziano Zambon non temendo i giorni più caldi del mese di luglio, si sono ritrovati per tinteggiare esternamente, controllare e pulire le tegole del tetto presso la Chiesa di San Martin. La comunità li ringrazia per il lavoro svolto. FRANCESCA ROMANA ZAMBON
tori scomparsi, per la deposizione floreale. Al termine della funzione religiosa si sono svolti i discorsi delle autorità. Il consigliere Riccardo Zambon a nome del Presidente Corrado Zambon ha letto la relazione ufficiale, nella quale si è data rilevanza all’ingresso di numerosi giovani all’interno del Consiglio Direttivo della sezione di Dardago; e ai lavori di restauro nella sede, eseguiti grazie al lascito del benefattore Sergio Zambon Momoleti. In seguito la parola è stata data a Pietro Zambon Presidente AFDS sezione di Budoia-Santa Lucia, al vicesindaco del Comune di Budoia Pietro Ianna e al Presidente Provinciale dell’AFDS Ivo Baita. La cerimonia è proseguita con la consegna dei diplomi e riconoscimenti ai donatori benemeriti, delle sezioni di Dardago e Budoia-Santa Lucia. I partecipanti poi si sono ritrovati presso un locale di Budoia per un rinfresco conviviale. FRANCESCA ROMANA ZAMBON
Un grun de feste
Con la bella stagione, i nostri paesi sono stati interessati da numerose iniziative che hanno coinvolto numerose persone. Ecco una rapida carrellata. Il 24 maggio, l’area festeggiamenti di Budoia ha tenuto il battesimo della prima edizione di «Un cuore per la SLA» promossa dall’Associazione di Volontariato «Il comitato del cuore» in collaborazione con l’Associazione ASLA di Pordenone. Il ricavato della manifestazione è stato devoluto alla ASLA per la ricerca sulla Sclerosi Laterale Amiotrofica. Il 24 maggio si è svolta la prima festa dei prati e del fieno presso la Fattoria Andreazza con la collaborazione di Mauro Zambon. Il 2 giugno 2015, festa della Repubblica, si è svolta a Budoia la «5° Festa di primavera in piazza». Le molte iniziative ed attività proposte dal programma, hanno coinvolto un gran numero di persone di tutte
La visita di don Maurizio ai volontari di San Martìn (foto di Francesca Romana Zambon).
Molte le sezioni presenti alla cerimonia dell’AFDS dardaghese (foto di Francesca Romana Zambon).
48° anniversario AFDS Dardago Domenica 21 giugno i donatori di sangue della sezione di Dardago hanno celebrato il 48° anniversario di fondazione. Dopo il consueto ritrovo presso il cortile delle ex scuole elementari, un corteo composto dai labari di Dardago, Budoia-Santa Lucia e dalle sezioni consorelle presenti, si è spostato, in piazza presso il monumento ai caduti e poi sul sagrato della Chiesa presso il cippo che ricorda i dona33
le età. Gli organizzatori, soddisfatti del risultato, già pensano alla edizione del prossimo anno. Per ricordare il 70° anno dalla morte di Capitano Pietro Maset «Maso», il Comune di Budoia ha organizzato per il 28 giugno una giornata molto intensa a Malga Ciamp. Dopo l’escursione al Col Cornier, presso la malga si è svolta la cerimonia dell’alzabandiera e dell’onore ai caduti che ha preceduto la Santa Messa, accompagnata dalla Corale Julia di Fontanafredda. Al termine del pranzo, si è tenuto lo spettacolo «Actung Banditi – Il partigiano Maso» della Compagnia Teatro Club di Udine. Un caldo sole ha accompagnato i partecipanti per tutta la giornata. Il 12 luglio, circa ottanta persone dei tre paesi si sono ritrovate nell’area attrezzata di Cianpore per un pranzo «al fresco» organizzato dal CFD in collaborazione con il Comitato del Ruial de San Tomè. Molto apprezzato il menù. La festa si è conclusa con una lotteria di beneficienza a favore dell’ospedale Burlo Garofolo di Trieste. Andar per monti è il nome della escursione organizzata dalla Pro loco di Budoia il 12 luglio. L’itinerario comprendeva Malga Ciamp, il Col Cornier, Malga Valle Friz, e rientro per la grigliata alla Casera del Ciamp. Entusiastici i commenti dei partecipanti. Un plauso va agli organizzatori per l’impegno profuso, anche se bisogna sottolineare la necessità di un maggior coordinamento per evitare la programmazione di più eventi nella stessa giornata.
Dopo i restauri e la collocazione della statua di San Tommaso, effettuati lo scorso anno, quest’anno l’interno della Chiesa si è abbellito con nuovi banchi offerti da alcune famiglie del paese e fabbricati dalla falegnameria Gianni Zambon Rosit. La giornata è poi trascorsa in allegra compagnia al fresco dei pini che attorniano l’antica Chiesa. FRANCESCA ROMANA ZAMBON
Salvaguardia di siti e «terre comuni» Nella sala conferenze dell’ex latteria di Budoia, si è tenuto un workshop, indetto dalla Direzione centrale della Regione, per la presentazione del Piano paesaggistico regionale. Lo scopo è stato di far conoscere
alla popolazione i principi che hanno condotto alla stesura del piano stesso e nello specifico le norme con cui s’intende raggiungere l’obiettivo della salvaguardia dei siti – nel caso del territorio della Pedemontana pordenonese occidentale, il sito del Palù del Livenza, riconosciuto da alcuni anni patrimonio dell’UNESCO – in relazione agli altri beni paesaggistici del territorio, sottoposti a tutela come quello delle ‘terre comuni’ che possono rappresentare per il nostro territorio un’opportunità di sviluppo sostenibile. Hanno presenziato, oltre al sindaco, Roberto De Marchi, l’assessore regionale alle Infrastrutture, Maria Grazia Santoro, il direttore del Dipartimento di scienze umane dell’Università di Udine, Mauro Pascolini, la direttrice del Servizio tutela del paesaggio e biodiversità, Chiara Bertolini, e altri operatori. È seguito un interessante dibattito.
Due momenti della Festa della Famiglia a San Tomè (foto di Francesca Romana Zambon).
Festa de la faméa
Domenica 5 luglio la nostra comunità si è ritrovata presso la Chiesa di San Tomè per la Festa della Famiglia, e per ricordare il Santo cui è dedicata la Chiesa. 34
don Antonio Cojazzi e la Sindone di Sergio Gentilini
In questo periodo la stampa rivolge particolare attenzione al sacro lenzuolo, la Sindone, e alla sua ostensione (avvenuta il 19 aprile, a Torino). Nel Bollettino salesiano (aprile 2015, pagina 21) si afferma come nelle vicende della Sindone una parte di rilievo sia stata riservata ai salesiani, con un loro ampio contributo alla diffusione della conoscenza e del culto, ed anche di studio. Dopo don Noguier, ideatore della fotografia della Sindone (siamo nel 1900) e primo salesiano studioso della Sindone, altri salesiani si posero a studiare e a diffondere la conoscenza della venerata reliquia: tra questi il «nostro» don Antonio Cojazzi, nato a Roveredo il 30 ottobre 1880, quarto di sette figli (anche i fratelli Enrico e Francesco, diventeranno salesiani). Laureato, sacerdote, insegnante e grande educatore, di don Toni è notissimo e famoso il suo libro su PierGiorgio Frassati (tradotto in una
Piccoli cristiani crescono… Grande festa per le nostre tre parrocchie. Nella stessa giornata, il 10 maggio, si è tenuta la Santa Messa di Prima Comunione ed è stato celebrato il sacramento della Cresima. Dieci sono i bambini che hanno incontrato il Signore con la Prima Comunione. Sono Federico Bastianello, Giacomo Buosi, Alessandro Cauz, Tommaso Dessi, Riccardo Lucchetta, Pietro Olivotto, Cristian Petretti, Andrea Laura Piccoli, Gioele Piazzon e Riccardo Quaia. Quindici, invece, i ragazzi della Cresima. Questi i loro nomi: David Andreazza, Laura Baracchi-
ventina di lingue). Morì di infarto a 73 anni, nell’ottobre del 1953 a Salsomaggiore, parrocchia di don Ersilio Tonini, dov’era stato chiamato per una serie di conferenze. Vero apostolo di Cristo, così fu elogiato autorevolmente da mons. Montini, pro-Segretario di Stato in Vaticano, il futuro Papa Paolo VI: «era molto amato e molto seguito: il suo nome associato a quello di PierGiorgio Frassati (di cui egli seppe fare splendido esempio di giovanile virtù cattolica) è e sarà tra quelli più cari a quanti hanno lavorato per la rinascita cristiana del nostro Paese». Ancora un ‘ricordo’ da parte del futuro Papa Paolo VI: ordinato Sacerdote nel maggio 1920 poco dopo conobbe don Antonio Cojazzi «uno dei Salesiani più noti in Italia»! che ha avuto il merito (secondo don Montini) di scuotere la pigrizia di un suo cugino, Luigi, aiutandolo a maturare una vocazione salesiana e missionaria; fu don Antonio,
giovane prete, ad accompagnare il cugino Luigi dai salesiani a Valdocco, seguendolo poi sempre durante gli anni di ‘missione’ con grande interesse, sentendosi legato a don Bosco e alla sua Famiglia da una ‘affezione parentale’. Don Toni Cojazzi (e fratelli): una figura che dovrebbe ulteriormente essere studiata, approfondita e adeguatamente riproposta in sede roveredana, e non solo!
ni, Francesca Bastianello, Gabriele Cavallari, Marco Cesaro, Noemi Chiandotto, Vanessa Del Zotto, Francesca Lachin, Gianluca Lucchetta, Paolo Olivotto, Alessia e Vanessa Pellegrini, Francesco Petretti, Fabio Piazzon, Claudio Poletto, Sara Pujatti, Alessandro Quaia, Elisa Volpatti, Alessandro Zaccaria e Angelica Zuliani. La cerimonia è stata presieduta da Mons. Ovidio Poletto Vescovo emerito della nostra diocesi di Concordia-Pordenone. Un grazie ai catechisti Gianfranca Portaluppi e Claudio Sottile e un augurio a questi giovani che possano crescere saldi nella fede. La Prima Comunione e soprattutto la Cresima, non è un punto d’arrivo 35
ma l’inizio di un cammino di crescita e maturazione come uomini e come cristiani.
Goldoni ’n tel cortif de la Ciasa de Franthesch In una fresca serata di luglio, in un’insolita cornice budoiese, si è svolta la piacevole rappresentazione della prova di teatro de «Le Donne Gelose» di Carlo Goldoni, una nuova commedia musicale con musica e liriche di Alvise Zambon, interpretata con efficacia dalla Compagnia teatrale «El Garanghelo» accompagnata dalla «Venice Chamber Orchestra», di-
inno
Auguri dalla Redazione!
alla vita Avere 101 anni e non dimostrarli. È questa l’immagine della ‘nostra’ Marianna che il 2 luglio ha festeggiato il suo compleanno. Di una lucidità straordinaria, ha ricordato le persone più ‘giovani’ di lei, in particolare Caterina, prossima centenaria, riferendo con precisione la data dell’evento. Arzilla come sempre, ha intrattenuto gli ospiti convenuti nella sua casa, augurando a tutti di raggiungere la sua super età. La redazione rinnova i più affettuosi auguri e auspica di cuore un arrivederci al prossimo anno.
retta da Pietro Semenzato, con la regia di Paolo Giacomini. L’esibizione, allestita con il patrocinio del Comune di Budoia e con il supporto della Pro Loco, è stata molto apprezzata dal folto gruppo di spettatori, budoiesi e veneziani, ospitati nell’ampio cortile della settecentesca Ciasa de Franthesch, che il proprietario, Luigi Zambon, figlio di Nando ed Elvira Petenela e padre di Alvise, ha aperto al pubblico. Ci auguriamo che ci possano essere altre occasioni per apprezzare le capacità creative del team, in particolare del ‘nostro’ Alvise, diplomato in Composizione al Conservatorio di Venezia e laureato in Arte, Musica e Spettacolo all’Università di Padova, e attivo anche come direttore d’orchestra.
Il 7 aprile 2015 Celestino Del Zotto Coth ha festeggiato il suo ottantesimo compleanno.
Rotatoria sul Brait
Seppure non ufficialmente, è stata aperta alla viabilità la rotatoria del Brait, incrocio che, negli ultimi anni, si era reso sempre più pericoloso. Ora si circola in modo agevole e più sicuro e l’impatto della struttura con l’ambiente è stato tecnicamente abbastanza ridotto. Si auspica che l’istituzione amministrativa di competenza provveda all’installazione di un arredo adeguato al luogo, che caratterizzi l’anima delle nostre genti, magari con l’utilizzo della pietra, per secoli fonte di vita dei nostri paesi.
Nella foto alcuni dei partecipanti alla cena/ritrovo degli Zambon Biso che si è tenuta l’8 dicembre a San Tomè. Tra gli altri, oltre a Renato, residente negli Stati Uniti e Italo, residente in Australia, che ha organizzato e voluto fortemente il ritrovo, anche l’appena scomparso Pietro.
FABIO
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di Chiara Rossi
[
È stato presentato nel teatro di Dardago, lo scorso 2 agosto, il libro di Chiara Rossi sul matrimonio e sul ruolo della donna nella famiglia e nella società. Come recensione, riportiamo il testo scritto in quarta di copertina.
Anche il marito è sottomesso alla moglie, come lei lo è al marito: l’amore non prevede la sottomissione unilaterale della donna. Uomo e donna hanno pari dignità, anche se questo purtroppo non è un fatto scontato, neanche ai giorni nostri, nemmeno nel nostro Paese. La differenza fra uomo e donna ovviamente esiste, ed è bella, buona e fruttuosa, ma non è abissale e non deve essere mai resa tale da nessuno. Sia l’uomo che la donna possono essere guida. Ancora meglio se insieme: collaborando nel prendere decisioni, possono ottenere risultati straordinari, in famiglia, nella società e nel governo di intere nazioni. Quando una donna diventa mamma, non solo conserva tutte le sue facoltà
mentali, ma le aumenta. È possibile fare bene la mamma e anche curare tumori, istruire studenti, proteggere l’ambiente, evitare guerre, smascherare criminali, recuperare drogati, cacciare corrotti, influire e incidere positivamente sulla società. Tutto questo lo dice il buonsenso ed è confermato dall’esperienza di moltissime coppie e famiglie. Lo dicono anche il Magistero della Chiesa, le parole degli ultimi Papi, e tutti quei credenti che, dissociandosi da arroganti e fantasiose derive, che di fatto umiliano e calpestano sempre e solo la donna, comunicano un’immagine bella, vera, reale, incoraggiante della femminilità nel mondo e della collaborazione vincente tra un uomo e una donna che si stimano a vicenda.
[...dai conti correnti ]
Chiara Rossi (figlia di Maria Antonietta Bastianello) è nata nel 1970 a Venezia, dove risiede. È sposata e ha quattro figli. Laureata in Scienze Ambientali, ha lavorato in società di consulenza sull’ambiente, poi in un Comune trevigiano, quindi all’Arpav. Dal 2005 è funzionario alla Regione Veneto, dove si occupa di tutela delle acque. Ascolta, elogia, redarguisce, sprona, coccola, consiglia i figli quotidianamente, e divide le faccende domestiche con il marito dirigente. Autrice di pubblicazioni in particolare sulla tutela delle acque, con «Il genio delle donne» (2009), ha vinto il Premio Creativa – V edizione (sezione saggistica, 2011).
Per l’Artugna. Inserite ancora ricette dardaghesi. Grazie. LAURA TRADATI – MILANO
Per l’Artugna che ricevo sempre molto volentieri. Saluti a tutti.
Un piccolo segno di riconoscenza. Buon proseguimento.
FLORA PELLEGRINI IN BALLARDINI – LODI
ELIO PUPPIN – WALCOURT (BELGIO)
Per l’Artugna, cordialmente. CARLA DEL MASCHIO – MUNSINGEN-BERNA
In memoria della famiglia di Pietro Tarabin Canta e di Pasqualino Zambon Canta morto il 31 maggio 2008.
Per l’Artugna, che riceviamo sempre con tanto piacere.
PASQUITA MAIORANO ZAMBON – SARONNO
ANTONIO GISLON E BIANCA SIGNORA – PARIGI
ERRATA CORRIGE
bilancio Situazione economica del periodico l’Artugna Periodico n. 134
entrate
Costo per la realizzazione
uscite 4.200,00
Spedizioni e varie
290,00
Entrate dal 14.03.2015 al 18.07.2015
4.169,00
Totale
4.169,00 37
4.490,00
In pagina 19 del n. 134, nel box relativo all’albero genealogico dei due sacerdoti Vettor, tra i figli di Martino Angelo e di Rosa Stefinlongo del ramo budoiese, oltre a Giacomo, Umberto e Anna, non figurava Maria nata nel 1910 e deceduta nel 2008. Fu Maria a seguire lo zio don Rodolfo con i genitori e la nonna, a Prodolone, dove incontrò Cesare Paiero, artista del ferro battuto e lo sposò. Ci scusiamo con i famigliari per la dimenticanza. VITTORINA CARLON
[ recensioni ]
Sposarsi è… sottomettersi reciprocamente
il capitello di sant’Antonio di Pietro Ianna Theco
13 giugno 2015 il capitello di sant’Antonio e la statua del santo di via Rui de Col si sono presentati ai devoti del santo in una veste rinnovata. Non parlo della storia del capitello perché argomento già trattato dal periodico l’Artugna nella storia dei capitelli e edicole votive nel nostro paese, ma mi soffermo alle vicissitudini dello stesso in epoca più o meno recente. Tutto ebbe inizio quando una ventina di anni fa la statua originale del santo è stata da ignoti asportata dalla nicchia e non si seppe mai la fine che ha fatto. Il parroco di allora, don Franco, provvide all’acquisto di una nuova statua raffigurante sant’Antonio, ma la stessa non era di gradimento dei devoti della contrada per la forma «moderna» del santo. Allora provvide Luciano Fritz e ci portò l’attuale e l’altra fu messa momentaneamente in soffitta per poi trovare definitiva collocazione in via Castello. Attualmente la statua, oltre ad aver subito una accidentale decapitazione aveva grossi problemi di perdita del colore e bisogno di alcuni restauri, per cui la signora Maria Assunta Gambarini si è offerta di sistemarla e portarla a «nuovo» e ora la statua, grazie a un certosino lavoro di cui Maria è capace, si presenta completamente sotto nuova veste. 38
Stesso problema lo rappresentava la nicchia che conteneva il santo e qui è intervenuto con passione e professionalità Claudio Querenghi che addirittura ha fornito di fotovoltaico la nicchia stessa per cui è illuminata grazie all’energia solare. La falegnameria Zambon ha messo a disposizione quanto necessario per i lavori. Parlare del capitello di sant’Antonio è per me rivivere alcuni momenti della giovinezza. Da bambino quando tornavo a casa alla sera con mia nonna Mariuta dal rosario o da qualche celebrazione religiosa ci fermavamo davanti al santo e da lì cominciava la lunga sequela delle preghiere della sera. Il più erano preghiere frutto della devozione popolare: ricordo ad esempio «monega monega santa Ciara inprestéme la vostra s’ciala ecc…» o «don Romano benedetto ecc…» e ogni volta che si passava davanti era d’obbligo il segno della croce. E poi come non ricordare la preparazione dell’incrocio in occasione delle processioni: mia mamma, me santola Tilia, la Berta de Theco, tutte indaffarate a pulire, portare fiori, addobbare la nicchia, e noi bambini a tagliare frasche o raccogliere fiori e poi durante la processione chi non andava a messa si nascondeva dietro el fogher de me agna Irma... e prima di loro le altre femene de la contrada... una tradizione che si rimandava e si prendeva con gioia... Dietro ogni capitello dei nostri paesi c’è una storia di contrada e di fede, nostro dovere è mantenere tutto questo e trasmetterlo alle nuove generazioni perché la nostra fede e tradizione non vadano dimenticate… Se ciò malauguratamente dovesse succedere la colpa è tutta nostra e non di altri. Termino ringraziando di cuore quanti si sono adoperati perché l’edicola di sant’Antonio di via Rui de Col abbia riacquistato la sua dignità.
Comune di Budoia
sabato 8 agosto
mercoledì 12 agosto
venerdì 14 agosto
domenica 16 agosto
21.00
18.00
17.00
10.00
in teatro
località Cianpore
presso ex scuole
in piazza e via San Tomé
Proiezione documentario
«Insieme a contare le stelle cadenti!»
Partenza 9a marcia percorso circolare Torrente Artugna
a cura dell’Associazione Sacilese di Astronomia ASA
Chiosco enogastronomico
«DardArtisti sóte i portóns» Mostre di artisti, scultori e illustratori, mercatino degli artigiani e mostra statica d’auto d’epoca
«Ruial: un territorio ritrovato» di Italo Paties a cura del Comitato Ruial de San Tomè
21.00 presso ex scuole
Serata latina con animazione e spettacoli
11.00 Santa Messa in cimitero a Dardago per sacerdoti e fedeli defunti
organizzazione di Federico DJ
12.30
domenica 9 agosto
giovedì 13 agosto
sabato 15 agosto
presso ex scuole
21.00
19.00
10.00
in chiesa
presso ex scuole
«Umile e alta più che creatura»
Chiosco enogastronomico
Santa Messa a Budoia e a Santa Lucia
prenotazioni presso Alimentari di Mara Santin
21.00
11.00
presso anfiteatro
presso ex scuole
Santa Messa dell’Assunta a Dardago
«Storie dell’altro mondo»
2a edizione
Insieme Vocale Elastico violino_Nicola Mansutti organo_Stefano Maso direttore_Fabrizio Fucile
«Non disturbateci… stiamo sbagliando» testi di Mirco Stefanon giocati dalla Gazza Ladra con i disAccordi di Max Bazzana
16.30 presso ex scuole
Giochi Popolari Chiosco enogastronomico
18.00 Santa Messa a Dardago
Pranzo paesano
16.00
spettacolo per bambini a cura dell’Associazione Niente di Serio
16.30 sagrato della Chiesa
«Riciclando con la natura» laboratorio creativo agri-didattico per bambini a cura di Fattoria didattica Ortogoloso e Associazione GIM
21.00
presente la Truccabimbi
presso ex scuole
Sara Michieli
Serata con orchestra «OROPURO»
17.00
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20.00
Clown Barabba e Conte Von Tok
19.00 presso ex Scuole
chiosco enogastronomico
21.30 in piazza
Spettacolo finale... a sorpresa!
da sabato 1 a domenica 16 agosto in canonica
Pesca di beneficenza
da sabato 8 a domenica 16 agosto in teatro
Mostra fotografica «Pedemontana budoiese: un territorio da scoprire»
con la collaborazione di Fattoria didattica Ortogoloso, Associazione GIM, Associazione culturale Niente di Serio
Janna comunicazione creativa
Spettacoli itineranti
una creatività d’ampio respiro In queste opere, Claudio Elia Selva esprime una notevole preparazione tecnica, un eccezionale gusto cromatico e un’infinita varietà di soggetti e svela il suo percorso artistico, alternato da immagini di vita di casa a forme di astrattismo.