l'Artugna 141 - Agosto 2017

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Spedizione in abbonamento postale art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone.

Anno XLVI · Agosto 2017 · Numero 141 Periodico della Comunità di Dardago · Budoia · Santa Lucia


quale parrocchia oggi?

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www.parrocchie-artugna.blogspot.it

Dove sta andando la Parrocchia oggi? Sono in molti che se lo domandano. Molte riflessioni, studi specializzati, conferenze, approfondimenti, valutazioni, analisi di situazioni, documenti a non finire sono stati prodotti in questi anni per studiare le difficoltà di un’attività primaria, un tempo, nella chiesa e che oggi arranca e sbuffa per restare in piedi. Sono ormai giunto alla vigilia di 40 anni di sacerdozio e in tutto il periodo della mia vita pastorale ho sempre sentito dire ad alto livello che dovevamo trovare metodi attuali di gestione della Parrocchia, che non si poteva andare avanti con i soliti sistemi, che non si può più fare come si è sempre fatto. Ricordo un nostro professore di Seminario, nei miei lontani anni verdi. Era originario di San Giovanni di Polcenigo e si chiamava Mons. Pio Della Valentina. Insegnava filosofia. A noi seminaristi e negli incontri con i sacerdoti ripeteva che tra vent’anni, sacerdoti ce ne sarebbero stati pochi e le parrocchie o cambiavano impostazione o sarebbero morte. Di anni ne sono passati il doppio della sua previsione ma siamo arrivati al dunque. I preti sono diminuiti, la stragrande maggioranza supera i settant’anni o ne è vicina. Vocazioni, grazie a Dio, ce ne sono ancora ma certamente non sufficienti a coprire le

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morti e i ritiri dal ministero attivo. Le parrocchie non sono più assegnate una per prete ma molti dobbiamo occuparci di più parrocchie con il disagio di dover avere più amministrazioni, più consigli e superare mentalità diverse e campanilismi mai sopiti abbastanza. Dobbiamo occuparci di attività, ormai obsolete che ai più non dicono più niente. Un tempo si suonava la campana e la gente si riversava in chiesa, oggi quando suona la campana, quei pochi che la sentono, causa i doppi vetri, si domandano se il parroco chiami a raccolta i sagrestani… Ci ritroviamo con strutture che, con il calo delle presenze e, conseguentemente delle offerte, restano cattedrali nel deserto da mantenere. È un mondo che decisamente è cambiato. L’avvento dell’automazione, del digitale, della mobilità continua e imposta dalle situazioni di studio e lavoro, non permette più che si crei una concezione comunitaria. Un tempo, per la maggioranza, si viveva, si lavorava, si festeggiava, si moriva in parrocchia. Oggi, non è più così. Lo studio e il lavoro portano la gente fuori della parrocchia per molto tempo, molti partono la mattina presto e tornano a casa tardi, alcuni addirittura vanno a lavorare all’estero; come poter fare vita di comunità? Ci sono quelli, sempre


la lettera del Plevàn di don Maurizio Busetti

gli stessi che si occupano delle opere parrocchiali: custodi delle chiese, cantori, donne delle pulizie, collaboratori amministrativi, ma gli anni passano per tutti, gli impegni sono sempre più assillanti in famiglia e nel lavoro. Quanti hanno tempo o sono pensionati ancora pimpanti e potrebbero dare una mano… ma non la danno. Si parla tanto di volontariato, ma poi… Pagare tutti gli addetti sarebbe impensabile, soldi e offerte ce ne sono sempre meno… Ma il recente Concilio Ecumenico ed il desiderio dei Papi di questi ultimi cinquant’anni hanno voluto che l’istituzione Parrocchia continuasse a vivere, anche se doveva adattarsi all’evolversi dei tempi. Un punto di riferimento per l’ascolto della Parola, per la preghiera, per l’Eucaristia, per i sacramenti deve ancora continuare ad essere vivo. Tanti, ancora, anche se episodica-

mente, cercano questo punto di riferimento. Battesimi, Prime Comunioni, Cresime e Funerali sono ancora richiesti e sono appuntamenti per mantenere un legame, magari tenue, ma necessario con Colui che solo può dare una risposta convincente alle nostre vere attese ed aspirazioni di felicità o di consolazione. Si stanno sperimentando formule nuove, Unità Pastorali, Comunità di parrocchie vicine con preti e fedeli da abituare a collaborare insieme su qualche punto della pastorale (il catechismo, i giovani, la Caritas, gli ammalati), anche per dare ossigeno alle comunità più piccole che non possono provvedere a tutte le necessità pastorali, ma sembra ancora un discorso molto futuribile ed ostico per chi, per secoli, è stato abituato ad aver tutto disponibile in casa propria.

Papa Francesco che ha vissuto nella sua terra una realtà molto diversa dalla nostra, dove il suo ministero si svolgeva nei tram, sugli autobus, nelle favelas a contatto con i più poveri dei poveri, con contatti telefonici ed epistolari, dove battezzava nelle strade sotto una tenda quelli che non si sentivano di andare nella chiesa. Un mondo totalmente diverso dal nostro. Ma questa esperienza ha fatto si che il Papa oggi possa indicare una nuova strada alle nostre comunità vecchie e stanche, che faticano a trovare nuove strade per proporre la parola del Signore al nostro tempo così confuso, sempre di corsa e superficiale. Forse il contatto personale, il non puntare più eccessivamente sulle strutture ma sulle persone, il trasmettere il messaggio evangelico con semplicità e a livello di vita vissuta. nell’oggi della storia.

LE CHIESE DEL TORRENTE ARTUGNA In occasione del 10° anniversario di fondazione del sito internet www.artugna.it, Roberto Dabrilli e Luigi Basso di Dardago hanno ideato e sviluppato un progetto culturale per accedere, mediante l’uso di nuove tecnologie, alla visione virtuale (virtual tour) delle chiese poste lungo il corso del torrente Artugna nei Comuni di Budoia, Aviano e Polcenigo.

www.chieseartugna.it 3


[ la ruota della vita ]

NASCITE Benvenuti! Abbiamo suonato le campane per l’arrivo di... Nicola Roberto Savaglia di Luigi e di Marika Di Benedetto – Dardago Francesco Riccucci di Antonio e di Federica Zambon Ite – Monaco di Baviera (Germania) Pietro Mazzarolo di Giuseppe e di Valeria Zambon – Budoia Aurora Toffoletto di Loris e di Lisa Zambon Pala – Casale sul Sile Rachele Viola Berton di Michele e di Elisa Ros – San Vendemiano Sofia Zambon di Antonio e di Valentina Barani – Trieste Livia Bravin di Mauro e di Mirna Filippozzi – Dardago Ada De Marchi di Roberto e di Anna Pezzetta – Santa Lucia Riccardo Marco Ianna di Massimo e di Mirella Diaz – Dardago Dylan Thiago Bomben di Mattia e di Sara Puppin – Santa Lucia

MATRIMONI Felicitazioni a... Kocis Meneguzzi e Francesca Iuorio – Santa Lucia Nozze d’oro Luigi Fort Provedon e Valerie Earnshaw – Jersey U.K. 60° di matrimonio Fortunato Rui e Rina Mies – Budoia

LAUREE, DIPLOMI Complimenti! Laurea Eleonora Martinelli Tavàn – Laurea magistrale in Psicologia clinica dello sviluppo e Neuropsicologia – Milano Davide Zuliani – Laurea in Fisica – Padova Gloria Marson – Laurea in Medicina – Trieste Lorenzo Messina – Laurea in Scienze filosofiche – Milano

DEFUNTI Riposano nella pace di Cristo. Condoglianze ai famigliari di…

IMPORTANTE Per ragioni legate alla normativa sulla privacy, non è più possibile avere dagli uffici comunali i dati relativi al movimento demografico del comune (nati, morti, matrimoni). Pertanto, i nominativi che appaiono su questa rubrica sono solo quelli che ci sono stati comunicati dagli interessati o da loro parenti, oppure di cui siamo venuti a conoscenza pubblicamente. Naturalmente l’elenco sarà incompleto. Ci scusiamo con i lettori. Chi desidera usufruire di questa rubrica è invitato a comunicare i dati almeno venti giorni prima dell’uscita del periodico.

Nerina Zambon di anni 89 – Dardago Sandrina Del Maschio di anni 69 – Palse Battistina Busetti di anni 89 – Dardago Antonio Braido di anni 60 – Dardago Nadia Signora di anni 71 – Budoia Anna Zambon Pinàl di anni 83 – Milano Carla Parmesan di anni 77 – Santa Lucia Norma Mascherin di anni 82 – Dardago Maria Cauz di anni 85 – Budoia Virginio Carlon di anni 63 – Budoia Alterio Alberto Pez di anni 74 – Pordenone Battistina Zambon di anni 72 – Francia Anna Cecchini di anni 67 – Milano Guerrino Bocus Frith di anni 96 – Dardago


[foto di Paolo Burigana]

* Luglio 2017. Grazie... Grazie per tutto quello che fate per il nostro paese [...] Una mattina della settimana scorsa mi sono divertita a sedermi su tutte le panchine [...] Anche ieri sera sono arrivata lassù. Mi sono seduta a riposare sul sasso con la targa [...] tornando a casa ho incontrato Fernanda e Raffaele che mi erano venuti incontro. Complimenti a tutti.

2 La lettera del Plevàn di don Maurizio Busetti 4 La ruota della vita 6 La «Carta di Budoia» di Roberto De Marchi 8 La cultura dardaghese e friulana piange la perdita di Anna Pinàl e Elvia Moro Appi

agosto 2 017

anno X

Luigia Zambon Rosit in Bastianello

I· LV

sommario

In copertina. Dardago, località la Rosta. Il «laghetto Pinàl» come appare in una splendida giornata dopo il lavori di ampliamento a cura dei volontari del «Ruial». È meta di visitatori in cerca di tranquillità e di pace.

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9 Grazie, Anna a cura della Redazione

Direzione, Redazione, Amministrazione tel. 348.8293208 · C.C.P. 11716594 IBAN IT54Y0533665090000030011728 dall’estero aggiungere il codice BIC/SWIFT: BPPNIT2P037

11 A Elvia... avrà memoria il tempo a cura della Redazione

internet www.artugna.blogspot.com

13 Settimana della cultura friulana

e-mail direzione.artugna@gmail.com

14 Un’opera d’arte da ammirare di Vittorina Carlon

Direttore responsabile Roberto Zambon

15 Il volto di Gesù al centrocampo di Joelle Bianchi

Per la redazione Vittorina Carlon

16 Calligrafia, il potere dei segni di Vittorio Janna Tavàn

Impaginazione Vittorio Janna

19 Ricordi d’infanzia, ritorno alle origini di Beatrice Lanzini

Contributi fotografici Archivio de l’Artugna, Joelle Bianchi, Vittorina Carlon, Francesca Janna, Vittorio Janna, Daniele Marson, Francesca Romana Zambon, Ugo Zambon

21 Vivere felici di Niccolò Busetti

Spedizione Francesca Fort

22 Le resìe de l’agna Giacoma di Fernando Del Maschio

Ed inoltre hanno collaborato Francesca Janna, Espedito Zambon, Gianni Zambon Rosìt

23 La disperathion de ’na mussa di Flavio Zambon Tarabìn Modola

Stampa Sincromia · Roveredo in Piano/Pn

25 Gli aquilotti di Campoformido di Sante Ugo Ianna 28 A.F.D.S. di Dardago... buon compleanno! di Corrado Zambon

Autorizzazione del Tribunale di Pordenone n. 89 del 13 aprile 1973 Spedizione in abbonamento postale. Art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone.

30 ’n te la vetrina 31 L’angolo della poesia 32 Lasciano un grande vuoto...

Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione di qualsiasi parte del periodico, foto incluse, senza il consenso scritto della redazione, degli autori e dei proprietari del materiale iconografico.

34 Ecco la Riva de Messa di Roberto Zambon 5

35 Cronaca 37 Inno alla vita 38 Recensione I ne à scrit... ...dai conti correnti Bilancio 39 Programma Dardagosto

ed inoltre... Cent’anni dalla Grande Guerra Inserto n. 8 a cura di Vittorina Carlon, Vittorio Janna e Roberto Zambon


ASSEMBLEA ANNUALE INTERNAZIONALE

Il 23 e 24 giugno 2017, il Comune di Budoia ha ospitato l’Assemblea annuale della rete internazionale di comuni denominata

Alleanza nelle Alpi

la ‹Carta di Budoia› di Roberto De Marchi A venti anni dalla sua fondazione si tratta di un riconoscimento importante per Budoia in quanto nel 1997 il Comune è stato tra i membri fondatori della rete che oggi conta quasi 300 Amministrazioni associate e provenienti da Italia, Slovenia, Austria, Germania, Svizzera, Liechtenstein e Francia. Durante l’assemblea i comuni alpini si sono confrontati su tematiche importanti quali il turismo, l’immigrazione, i cambiamenti climatici; temi che ognuno affronta nel quotidiano a scala locale ed è molto importante il confronto in rete tra amministratori provenienti da diversi paesi perché ci consente di capire quali risorse possono essere messe in gioco per lo sviluppo sostenibile delle comunità locali, anche grazie al lavoro che si può attuare in rete ed attraverso la progettazione ed i fondi messi a disposizione dalla Comunità Europea. Inoltre è stata un’occasione per far conoscere il nostro territorio comunale e dei comuni limitrofi, infatti

sono state organizzate delle visite al sentiero del Ruial, al Parco di San Floriano, al sentiero naturalistico di Gor ed al sito del Palù del Livenza. Un punto importante è stato stabilito in merito all’impegno per l’adattamento al cambiamento climatico. La sezione italiana della rete di comuni «Alleanza nelle Alpi», nell’ambito di una collaborazione con 6

Ministero dell’Ambiente e Segretariato generale della Convenzione delle Alpi ha realizzato una serie di seminari, rivolti in particolare ai comuni membri, sul tema delle linee guida per l’adattamento locale ai cambiamenti climatici. Gli effetti del cambiamento climatico si manifestano nelle Alpi con conseguenze spesso devastanti. Al-


luvioni, flussi di detriti e movimenti franosi, valanghe, scioglimento di ghiacciai e permafrost mettono a rischio insediamenti, infrastrutture e attività economiche. A queste si aggiungono la minor disponibilità di acqua per l’agricoltura e l’industria, la carenza di neve per le località sciisti-

dall’evento alluvionale dello scorso novembre. Nell’occasione si è affrontato il tema dell’adattamento rispetto ai rischi naturali alla presenza, oltre che di amministratori comunali, di esperti in meteorologia e nella gestione di eventi naturali estremi. A Capizzone, comune della Valle Imagna, in Lombardia, è stato affrontato il tema dell’integrazione tra le diverse politiche di adattamento ai cambiamenti climatici e presentato il Documento di azione regionale sull’adattamento al cambiamento climatico della Regione Lombardia, prima regione in Italia ad attivarsi in tal senso. Nel terzo seminario, tenutosi nel comune di Vallarsa, in Trentino, alla presenza di esperti del gruppo di lavoro «Foreste» della Convenzione delle Alpi è stato affrontato il tema delle strategie di adattamento nell’ambito forestale. Qui si è evidenziato come gli obiettivi di adattamento relativi alle gestione forestale a livello locale mirano a incrementare la stabilità e la resilienza dei sistemi forestali e ad aumentare l’attenzione ver-

Alcuni momenti dell’interessante convegno internazionale svoltosi a Budoia.

che a seguito della diminuzione delle precipitazioni e dell’innalzamento della quota neve. Il cambiamento climatico rappresenta una delle principali sfide del secolo e produrrà un drastico cambiamento per la natura, l’uomo e l’economia. Il primo dei seminari si è svolto ad Ormea, comune dell’Alta Valle Tanaro, in Piemonte, colpito duramente

so i servizi ecosistemici forniti dalle foreste. A Budoia, in occasione della conferenza tematica di «Alleanza nelle Alpi», il 24 giugno si è svolto il seminario conclusivo nell’ambito del quale è stato proposto ai comuni di sottoscrivere un impegno a favore del clima ed in particolare a farsi parte attiva nell’adozione di strategie di 7

adattamento al cambiamento climatico. Tale documento ha preso il nome di «Carta di Budoia». La «Carta di Budoia» prende in considerazione i documenti e le strategie adottate a livello europeo ed alpino, in particolare la Dichiarazione sui cambiamenti climatici adottata dalla IX Conferenza delle Alpi di Alpbach, il Piano d’Azione sul Cambiamento climatico adottato dalla X Conferenza di Evian, le «Linee Guida per l’Adattamento ai Cambiamenti Climatici a Livello Locale nelle Alpi» approvate dalla XIII Conferenza di Torino ed il Piano di Lavoro Pluriennale adottato dalla Conferenza di Grassau. Con la sottoscrizione della «Carta di Budoia» i comuni alpini si impegnano ad attuare misure locali di adattamento ai cambiamenti climatici nell’ambito delle attività di pianificazione di competenza dell’amministrazione comunale, a porre in essere azioni volte a valutare i potenziali rischi e opportunità dei cambiamenti climatici per il territorio comunale, a promuovere il dibattito pubblico e aumentare la consapevolezza di cittadini, residenti e visitatori, circa rischi e opportunità connesse ai cambiamenti climatici a livello locale. Essi si impegnano inoltre a sperimentare l’attuazione di misure per la resilienza e l’inclusione di pratiche di adattamento settoriali e trasversali nei territori dei comuni montani attraverso azioni-pilota, anche coordinate con altri livelli di governo del territorio e del paesaggio. Attraverso la «Carta di Budoia» i comuni alpini perseguono l’obiettivo di fare delle Alpi un territorio esemplare nell’ambito della prevenzione e dell’adattamento ai cambiamenti climatici. La sottoscrizione della «Carta di Budoia» è stata aperta ai comuni alpini italiani (membri e non della rete di comuni «Alleanza nelle Alpi») e successivamente, una volta tradotta nelle lingue alpine, attraverso la stessa rete «Alleanza nelle Alpi» e la collaborazione del Segretariato permanente della Convenzione delle Alpi, verrà estesa ai comuni alpini degli altri paesi.


la cultura dardaghese piange la perdita di

9 marzo 2002: nei locali della scuola elementare di Budoia viene presentato il volume Vere e no vere, dodici testi per radioscene, con CD, create dal drammaturgo Renato Appi per la RAI nei primi anni ’70. Una serata indimenticabile e molto ben preparata. Tra l’altro un gruppo di «attori» nostrani ha recitato La roba dei àltres, una delle radioscene. Nella foto, il momento della consegna di un omaggio floreale e del primo volume alla signora Elvia Moro Appi che nel 1997 aveva voluto donare, in segno di amicizia e di stima a l’Artugna, la registrazione su bobine dell’opera del marito, a 10 anni dalla morte. Tra il pubblico, presente numeroso, sedeva in prima fila Anna Zambon Pinàl, nostra preziosa collaboratrice. *** Quindici anni dopo, la foto assume, per il nostro periodico, un particolare significato poiché ritrae vicine, in primo piano, due preziose collaboratrici che non ci sono più.

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e friulana Anna Pinàl e Elvia Moro Appi

Il nostro periodico perde una validissima collaboratrice. Ci ha lasciati, ad 83 anni, Anna Zambon Pinàl, una «firma» che dal lontano 1973 ha arricchito le nostre pagine.

grazie, Anna Anna, dopo aver frequentato le scuole elementari a Dardago, si trasferì a Milano, dove continuò gli studi fino al conseguimento del diploma di ragioneria con ottimi voti. Lavorò con passione e soddisfazione presso Selezione dal Reader’s Digest fino alla pensione. Sebbene vivesse a Milano, nutriva un autentico amore per il suo paese Natale, un amore che si intravvede nei tanti articoli scritti per l’Artugna. Si firmava Anna Pinàl, come si usa da noi, senza il cognome.

Quando ci inviava un articolo, lo accompagnava spesso con una annotazione «vedete voi se va bene»: era sempre un pezzo di bravura. Poteva essere un ritratto di un personaggio paesano, il racconto di un avvenimento o di un fatterello di qualche decennio fa, il commento della cronaca o una poesia, ma era sempre un lavoro di qualità contraddistinto da uno stile piacevolmente semplice. Anche quando affrontava temi che potevano sembrare semplici non cadeva mai nella banalità. Un esempio lo troviamo in due articoli dedicati alle vecchie osterie e botteghe del paese pubblicate nel 1982-83. In Un got e ’n altro got, ricordava il ruolo delle osterie nello sviluppo del paese. L’osteria è stato il luogo dove fu ascoltata la prima radio, vista la prima televisione, letti i primi giornali... e soprattutto dove è nato il sentimento di solidarietà, ereditato da una generazione all’altra come forma di educazione civile. E siccome ogni osteria ha la 9

sua storia, Anna, dopo aver chiesto dettagliate informazioni, ci ha fatto conoscere quella della Rossa, di Moreal-Cariola, della Cooperativa, di Coluss e di Toni. Anna è stata inimitabile in molti articoli costruiti sulle testimonianze degli anziani. Sapeva ascoltarli e trascriveva con brio il loro racconto. Ne risultavano biografie e testimonianze molto interessanti


la cultura dardaghese e friulana piange la perdita di Anna Pinàl e Elvia Moro Appi

L’«intervista» di Anna a Migliano per uno dei suoi numerosi articoli su «personaggi» dardaghesi del secolo scorso.

per la conoscenza della vita dardaghese della prima metà del secolo scorso. Toni Palathin, barba Nato, Migliano, Nato Marin, Cencio Tavan, sono solo alcuni dei molti personaggi di cui si è occupata Anna. Ne abbiamo contati una trentina. Tra gli altri, Anna ha ricordato con un suo articolo il maestro Angelo Zanolin di Polcenigo che ha insegnato disegno a molti artigiani del nostro Comune che si sono fatti apprezzare in Italia e all’estero. Si è occupata di emigrazione, dei lavori di un tempo e del lavoro dei nostri giorni. In Marangons veci e dovins, ad esempio, ha affrontato il lavoro del falegname organizzando un’intervista ad Angelo e Gianni Rosit, a Piero Melocco, a Giancarlo Pauletti e a Toni, Paolo e Mauro Pala. Molti sono gli argomenti trattati da Anna in questo lungo periodo di collaborazione. Farne un elenco sarebbe riduttivo. Va segnalato, però, ciò che le stava più a cuore. Anna aveva un senso di devozione, se si può usare questo termine, verso il mondo contadino. Molti sono i suoi articoli dedicati al lavoro dei campi, ai contadini, a i bò, a le vace e ai mus, ai valori della società contadina che ora sembrano perduti.

Sono veramente tanti gli articoli dedicati a questo tema: a prima vista sembrerebbero una bocciatura della nostra società. Ma ci piace terminare questo breve ricordo del lavoro di Anna Pinàl per il nostro periodico con un messaggio di speranza, tratto da Me nono e to nono, nel n. 70 del 1993: Qualcosa del contadino rimane in tutti noi. Fa parte delle nostre radici della cultura del fare, che ci rende proverbialmente tenaci, instancabili, fieri dell’autosufficienza. In tempi grami non è poco. Sappiamo che seminando poi si raccoglie. Ma non serve a nulla se poi si abbandona il campo. Il lavoro duro da fare, viene dopo. Me nono e to nono i tirava fora panole ancia dai magreith. Che è come dire che ricavavano polenta anche dalla ghiaia. Di che cosa dobbiamo spaventarci? LA REDAZIONE

ALLA NOSTRA «AGNA ZIANNA»

Cara zia, ora che sei scivolata fuori dal corpo con cui hai combattuto tante battaglie contro la malattia, che sei liberata dalle barriere 10

del tempo e dello spazio della nostra condizione umana, hai finalmente le risposte che il tuo animo irrequieto e curioso esigeva. Chi ti ha incontrata occasionalmente era sorpreso della tua trasgressività e del tuo anticonformismo: gli occhiali da sole troppo grandi e i cappellini colorati a tese larghe, le battute ironiche, i commenti taglienti su personaggi pubblici, religiosi, politici (qualche giorno prima di andartene, sfogliando l‘immancabile Corriere, commentavi: «Trump: un caso umano!» e «quella May è una bacchettona e non mi piace»), l’intercalare frasi in dialetto o in inglese nei più impegnati discorsi… Chi ti ha conosciuto da vicino sa bene che non hai mai smesso di cercare il bello e il giusto, abbandonando un po’ per volta le convenzioni, le formalità, a volte anche le buone maniere, e andando dritto e spudoratamente al punto. Ci hai insegnato che la cultura è una ricchezza impagabile: ci hai avvicinato ancora bambini all’arte, alla musica classica, alla letteratura. Nelle feste c’era sempre un pacchetto rosso della libreria per tutti («ma zia, hai svaligiato la Feltrinelli?»), scelto come un messaggio personale e dedicato. Ma ci hai sempre ugualmente ricordato che la cultura è anche il terreno buono in cui stanno le nostre radici, «i veci de Moro e de Pinàl», come se un filo invisibile ci tenesse in continuità e ci impegnasse ad una fedeltà di sangue e di principi anche stando lontani. Ora che sei libera non distrarti troppo per appagare gli interrogativi che hai collezionato nella vita, ma ricordati di noi e noi faremo altrettanto… e salutaci la nonna Vittoria, la Nives e tutti gli altri. TIZIANA, MANUEL, ORIETTA, MATTEO


a Elvia... avrà memoria il tempo a cura della Redazione

Dopo aver festeggiato la Pasqua insieme a figli e nipoti nella sua casa di Cordenons, a fine aprile ci ha salutato serenamente per sempre, tenendoci strette le mani e baciandocele ripetutamente, Elvia Moro Appi, la nota ricercatrice di tradizioni popolari del Friuli Occidentale. l’Artugna le deve molta riconoscenza per la collaborazione e soprattutto per la generosità di aver donato e permesso la pubblicazione delle radioscene Vere o no vere, dopo la scomparsa del marito Renato. Ci sono giunte in redazione attestazioni di affetto di alcuni amici che volentieri di seguito pubblichiamo.

CARA ELVIA…

Saluto di commiato, pronunciato in chiesa il giorno del rito funebre, da Dani Pagnucco. *** Un saluto, cara Elvia, un mio saluto semplice che si unisce a quello di tanti amici che hai qui in chiesa e ai tantissimi che oggi non sono potuti arrivare. Un saluto a ricordo di quanto hai rappresentato per le persone che hanno avuto bisogno di te, per i giovani che hai aiutato nello studio, per tutti coloro che sono stati spinti da te nel mettersi alla prova di vivere lo sforzo del cimentarsi, di provare senza vergogna che la vita deve essere vissuta. Un caro saluto Elvia per la tua semplicità, per la profonda disponibilità verso le persone che ti hanno circondato; per quel nutrito numero di studiosi del Friuli Occidentale che accanto a te e a Renato sono cresciuti e hanno dato frutti meravigliosi. Un saluto a riconoscere la tua umiltà, la tua bonarietà, il tuo essere restia alle apparenze ma viva e forte con il tuo sereno sorriso. 11

Un saluto e un grazie per aver avuto la vostra casa sempre aperta a tutte le persone e a tutte le iniziative. Ora hai raggiunto Renato e tornerete la formidabile coppia che tanto ha saputo dare al teatro di Pordenone e del Friuli; alle Associazioni Culturali Cordenonesi, in primis al Quartetto Stella Alpina e al Cjavedâl; all’Ente Friuli nel Mondo; alla Casa dello Studente di Pordenone; alla Società Filologica Friulana. Enti e Associazioni con noi in questo ricordo: con esse i Presidenti, i Rappresentanti, i componenti dei Consigli e con tanti soci. Un caro saluto con una poesia di Renato.

Avrà memoria il tempo... Ora che i giorni pieni del rosario son terminati e tace la campana, svaria presago un senso di abbandono sulla piazza muta. Tace la fonte, tace la campana… e invano, dal sagrato, la pietra chiama!… D’un fervido passato ceri ed incensi e l’ulivo dei vespri e il vischio delle forre e i doni del Natale e l’ansia del perdono sono ricordi spenti! Là, nel coro, soltanto i tarli avranno i canti che già più non sono. Alle sue porte rose e riarse, sui vetri infranti, sui rami dei vincastri, tra i fiori e i cardi, sulle erbe e sui falaschi, sui tetti e sui camini non darà pace il vento. Per l’ora dell’oblio, tra prode informi, l’acqua della fonte ripeterà indolente l’ultima litania. RENATO APPI


la cultura dardaghese e friulana piange la perdita di Anna Pinàl e Elvia Moro Appi UNA SIGNORA DELLA CULTURA POPOLARE

Ebbi modo di conoscere Elvia Appi oltre quarant’anni fa, entrando a far parte della Società Filologica Friulana. Insegnavo a Budoia e avevo come collega il maestro Umberto Sanson, che, notata la mia passione per la storia e le tradizioni popolari, mi fece subito conoscere i coniugi Appi. Rimasi stupito di come il maestro Sanson si rivolgeva a Elvia: Siore Elvie. Non poteva aver scelto una forma migliore, poiché Elvia Appi, era una signora. Signora nel senso di persona raffinata nel comportamento, gentile nei tratti… senior, saggia nel consigliare, nel suggerire atteggiamenti, nell’affrontare difficoltà. Quel pomeriggio del 1974 ebbi modo di conoscere una donna «signora» delle tradizioni popolari; dopo quarantatré anni di collaborazione, ma soprattutto di vera amicizia, un sabato mattina dello scorso mese di aprile… ho salutato per sempre siore Elvie Appi, mulierem fortem, che già nella Sacra Scrittura (Proverbi 31, 10) sembrava irraggiungibile, ma che, invece, è ancora possibile trovare.

ta, per il lavoro di ricerca sui segni devozionali sparsi in quel territorio. Rammento ancora il giorno in cui ci siamo smarrite nella folta vegetazione di quei luoghi e come il suo invincibile humor ci ha permesso di ritrovare il sentiero perduto. La signora Elvia ha saputo infondere l’amore per la cultura locale e non solo, nelle giovani generazioni di allora. MAGDA CARLON

ELVIA, UNA SIGNORA DI PROFONDA CULTURA E UMANITÀ

Incontrai la signora Elvia, la prima volta, nel lontano 1972, al corso di Cultura friulana nelle aule del Centro ‘Casa dello Studente Zanussi’ di Pordenone. Rimasi colpita dalla pacatezza della sua voce e dal suo sguardo radioso che trasmettevano serenità e nobiltà d’animo, caratteristiche che rimasero inalterate anche quando il peso degli anni e degli acciacchi divenne difficile da sopportare. Da allora iniziammo un lungo percorso di collaborazione e di stima

reciproca, e lei sempre pronta a trasmettere la sua cultura, filtrata da una profonda umanità. Grazie, signora Elvia! VITTORINA CARLON

FELICE DI ESSERMI SBAGLIATO

Stavamo preparando il volume Vere o no vere e avevamo, come redazione de l’Artugna, un appuntamento a casa della Signora Elvia per definire alcuni particolari. Non avevo mai avuto il piacere di incontrarla e me la immaginavo, chissà perché, riservata, distaccata, severa... Quale felice sorpresa nell’accorgermi di essermi sbagliato. Mi son trovato di fronte una signora, nel senso più bello della parola, gentile, sorridente, accogliente. Anche ora, che non c’è più, me la ricordo così: ed è un bel ricordo. ROBERTO ZAMBON

QUEL POMERIGGIO DEL 1995 IN CASA APPI

Che bella squadra! Ricordo ancora la formazione: Magda, Vittorina, Adriana, Gianni, Guido, la signora Elvia ed io. Non eravamo stati convocati per partecipare ad un campionato, ma per dar vita ad un progetto editoriale. Iniziammo il ‘gioco’ e per conoscerci meglio... ci scambiammo appunti, fotografie, disegni. Pur intuendo il ruolo da ricoprire, sentimmo la mancanza di un capitano, di un regista che ci avrebbe coordinato. Fu istintiva per tutti la scelta... «Ólmis» (impronte, tracce) fu il titolo del diario scolastico della S.F.F. e quell’esperienza ha lasciato impronte e tracce indelebili. Grazie, Elvia. Grazie per gli innumerevoli ‘segni’ che con delicatezza hai regalato a tutti noi.

CARLO ZOLDAN

GRAZIE, SIGNORA ELVIA! Ebbi il privilegio di conoscere la signora Elvia alla fine degli anni Settanta, in occasione di uno dei corsi di cultura regionale per insegnanti, organizzato dalla Società Filologica Friulana. Negli anni che seguirono, la collaborazione con i coniugi Appi si fece costruttiva con la stesura di ricerche legate alla religiosità popolare. Ho ancora vivo il ricordo della nostra frequentazione nel Comune di Castelnovo del Friuli, alla fine degli anni Ottan-

VITTORIO JANNA

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Dardago ha avuto il privilegio di essere inserito per il secondo anno consecutivo tra le località sede di un evento della Settimana della Cultura Friulana

settimana della Cultura Friulana Sabato, 13 maggio, nel teatro di Dardago, ha avuto luogo la presentazione del volume I Fullini dall’Alpago al «feudo» di Polcenigo – Da mercanti a conti. L’incontro è iniziato con un felice fuoriprogramma. Grazie alla sensibilità della dott. Giovanna Frattolin, archivista presso l’Archivio Diocesano di Concordia-Pordenone, è «tornato a casa» il primo, più antico, registro del nostro archivio parrocchiale che, non si sa come, ne in quali anni, aveva cambiato sede. Ma non tutti i mali vengono per nuocere, poiché, nel frattempo il registro era stato restaurato con la stessa metodoloLa miniatura lignea del mulino di Bronte, realizzata da Renzo Zambon.

gia e dallo stesso restauratore che ha curato i restauro dei volumi del nostro archivio. Con una piccola «cerimonia» il parroco don Maurizio ha firmato la ricevuta del prezioso manoscritto risalente alla seconda metà del ’600. Fuoriprogramma che ha «legato» la giornata odierna con quella di un anno fa, quando, nell’ambito della «Settimana» veniva inaugurata la mostra sul restauro dell’archivio parrocchiale. La presentazione del volume sui Fullini è iniziata con un indirizzo di saluto del sindaco Roberto De Marchi che si è complimentato con gli organizzatori e con il curatore per questo lavoro che è un ulteriore tassello per la conoscenza della nostra storia locale. Parole di elogio sono state pronunciate dal dott. Feliciano Medeot, direttore della Società filologica Friulana, ricordando la vivacità culturale dei piccoli centri. Sono seguiti gli interventi del prof. Mario Cosmo e di Roberto Zambon. Infine, il curatore, Alessandro Fadelli, ha effettuato, per il numeroso e attento pubblico presente, un’ampia panoramica sugli argomenti trattati nel volume. 13

Intervento della responsabile dell’Archivio Storico della Diocesi, dott.ssa Giovanna Frattolin, e consegna del ‘Registro dei Nati’ della Pieve di Dardago al parroco don Maurizio Busetti. Foto in alto. Sul tavolo dei relatori, da sinistra il direttore della Società Filologica Friulana, Feliciano Medeot, il direttore de l’Artugna, Roberto Zambon, il sindaco di Budoia, Roberto De Marchi, e il relatore Alessandro Fadelli che ha presentato il volume I Fullini: dall’Alpago al feudo di Polcenigo, da mercanti a conti.

Il libro è disponibile presso la Libreria Minatelli 1933 di Polcenigo e può essere richiesto anche alla redazione de l’Artugna direzione.artugna@gmail.com


un’opera d’arte da ammirare A fine giugno a conclusione della messa domenicale, Mario Povoledo, a nome del Consiglio per gli Affari Economici della Parrocchia di Budoia, ha invitato i fedeli ad ammirare la realizzazione della nuova croce in plexy a supporto dell’antico Crocifisso ligneo, eseguita dalla ditta Pietrobon «Arredi sacri» di Treviso. di Vittorina Carlon

Il Crocifisso, che eravamo abituati a visitare, era sostenuto da una croce lignea non coeva alla scultura, nei cui bracci s’intervallavano lineari segmenti inclinati. Si trattava di un assemblaggio avvenuto nella seconda metà dell’Ottocento, quando s’iniziò ad abbellire la nuova chiesa di Sant’Andrea apostolo. La scultura, ben proporzionata, apparteneva, quindi, all’antico edificio sacro, la cui probabile posizione originaria era sulla trave lignea dell’arco trionfale che connetteva la navata con lo spazio absidale. Il lavoro di restauro, eseguito alcuni anni fa dalla dott.ssa Simonetta Gherbezza, aveva tolto la patina di secoli (pare che l’opera sia collocabile tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII) e messo in luce un crocifisso ‘rinato’, però privo della croce lignea, in attesa di un supporto più consono.

È una scultura di modeste dimensioni: novanta centimetri d’altezza, cinquantacinque centimetri di apertura delle braccia. Il capo di Cristo, reclinato a destra, adornato da barba e baffi e da una folta chioma di capelli coronati di spine, lascia trasparire

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i tratti del volto che manifestano un’evidente serena rassegnazione. Il busto riflette un’attenzione particolare dell’artista allo studio anatomico: la gabbia toracica è, infatti, ben evidenziata dalle costole che rilevano distintamente il diaframma. Il corpo, nonostante la rigidità della posizione, denota una leggera dinamicità negli arti inferiori, mentre le braccia, tese e irrigidite dal peso della figura, portano incisi all’altezza delle spalle segni indelebili di un intervento poco ortodosso avvenuto nel tempo; tale scempio fu forse causato dal primo intervento sostitutivo della croce. Un cordone trattiene in vita il perizoma argento-dorato, che fascia le cosce e si arresta sul fianco destro con un avvolgimento, lasciando scoperta la parte superiore della gamba.


25 MARZO 2017 IL PAPA VISITA MILANO

il volto di Gesù al centrocampo di Joelle Bianchi

È stato un anno intenso, ricco e pieno di emozioni, ma tra tutte la più forte e significativa per me è stata fare la figurante per Papa Francesco a San Siro. Mai avevo partecipato alle figurazioni svolte allo stadio, ma quest’anno ne ho avuto la possibilità, devo dire la fortuna, di farne parte ed è stata una emozione straordinaria. Non ero certamente sola, insieme a me c’erano anche alcuni compagni di scuola con i quali, grazie a questo evento, ho instaurato dei bellissimi legami, riso, scherzato e partecipato ad un avvenimento eccezionale. Al Papa è stato chiesto come si conosce Gesù e devo dire che la sua risposta mi ha alquanto spiazzato. Papa Francesco ci ha detto che si entra in dialogo con il Signore attraverso le testimonianze dei nonni, frequentando l’oratorio e stando con gli altri. Vorrei soffermarmi su quest’ultimo punto: quando eravamo tutti nella sala executive arancione a giocare a carte, ridendo e scherzando, lì c’era Gesù, era lì

con noi, perché Gesù è presente dove c’è condivisione, amicizia, unità e amore, non lo sentiamo, ma Lui c’è. Non ho ancora spiegato cosa vuol dire essere un figurante: prima e durante la visita del Papa a San Siro, ci sono state figurazioni molteplici che rappresentano aspetti diversi sul tema della Fede cattolica, ad esempio la Chiesa stessa e personaggi che sono stati importanti nella storia di Gesù, come Maria... ma c’è un di più... i protagonisti delle figurazioni eravamo proprio noi ragazzi! Mai avrei pensato che un giorno avrei fatto parte di un evento così importante e denso di significato. Avevamo la responsabilità di fare funzionare tutto e guidati dai nostri coordinatori abbiamo creato l’immagine del volto di Gesù. È stata un’emozione che mi ha toccato nel profondo: tanti ragazzi diversi uniti da elementi importanti su cui si basa la nostra religione: l’amore e la fede. Eravamo un tutt’uno messo a disposizione di Dio per mostrarsi e 15

Tessere vive per un grande mosaico: i figuranti in azione.

rivelarsi. Egli si rivela in quei gesti, in persone che credono e non hanno paura di farsi sentire e vogliono cercare di far capire agli altri in cosa credono e perché.

Prossimamente vi racconterò di un’esperienza dalla quale mi aspetto molto dal punto di vista emozionale: il cammino di Santiago de Compostela.


EDUCARE AL BELLO FA BENE

calligrafia

di Vittorio Janna Tavàn

il potere dei segni

Sto correndo in auto verso un appuntamento di lavoro. Mi devo incontrare con un cliente ‘storico’ che non vedo da circa due mesi. Arrivo nell’ampio parcheggio e immagino già chi, alla reception, mi accoglierà sorridente con un saluto di benvenuto. Contemporaneamente risponderò alla sua cortesia, subito seguita dalle frasi di rito, per terminare con... «Ho un appuntamento con il signor...». Varcato l’ingresso, sorpresa delle sorprese! Non trovo la segretaria, ma al suo posto un maxi-schermo sul quale scorrono immagini di un telegiornale. Mi guardo attorno stupito e, mentre cerco di capire, dal monitor – nel frattempo divenuto nero – una voce mi interroga: «Buongiorno, posso esserle utile?». Con un certo disagio rispondo nell’etere e presentandomi cerco di spiegare il motivo del mio essere lì... «Attenda, prego...».

Viviamo ormai nell’era digitale dove tutto è touch, dove tutto è su un display interattivo (nelle stazioni ferroviarie, sulle autostrade, nelle fiere, negli ospedali, nei fast food...), dove pure siamo scrutati da occhi tecnologici... dove anche il modo di comunicare tra noi si è trasformato in impulsi digitali (sms,

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whatsapp, mail, chat). Un modo sempre più rapido, tecnologico, definito... più comodo. Smartphone, tablet e PC sono gli strumenti attraverso i quali siamo connessi con il mondo, dove lo scrivere si è trasformato in un picchiettare su un display o su una tastiera. In Finlandia ad esempio dal


2016 a scuola non si scrive più a mano, ma solamente utilizzando la tastiera. Ai bambini infatti non insegnano più lo scrivere in corsivo, ma solo in tutto maiuscolo cioè lo stampatello. Ma allora come potrà sopravvivere la tradizionale scrittura manuale? Avrà ancora un futuro o verrà superata da quella ’artificiale’? Andiamo con ordine. Forse una può non escludere l’altra, forse non saremo obbligati a fare una scelta. Potranno tranquillamente convivere? Decidere però di abbandonare totalmente la scrittura a mano corsiva sarebbe, a detta di molti, una grave perdita per una serie di motivazioni e avvertire quindi il problema non è un retaggio anacronistico, non è semplice nostalgia del passato. La Finlandia stessa ha poi precisato che alcune delle abilità che si perdono, mettendo a riposo la scrittura corsiva, verranno recuperate con altri insegnamenti. Abilità che hanno molto a che fare con lo sviluppo armonico dell’individuo. È riconosciuto che l’abitudine di prendere appunti, di segnare sulla carta determinati concetti o pensieri allena la nostra mente alla comprensione, all’attenzione e alla concentrazione. Non solo. Da recenti studi sorprende scoprire che scrivere manualmente stimola altre capacità intellettive, come ad esempio la corretta per-

Alcuni esempi di pennini e cannucce. Un tempo pennino e cannuccia componevano lo strumento prìncipe della scrittura a mano.

cezione dello spazio e il ‘rafforzamento’ della memoria. Si può parlare quindi di proprietà educative, espressive e addirittura terapeutiche. Attraverso lo scrivere a mano nella persona s’incrementa, oltre l’apprendimento, la fiducia nelle proprie capacità e aiuta persino a diminuire l’ansia. Lo scrivere a mano attiva zone del cervello che la scrittura a tastiera non coinvolge. Dato quindi i numerosi benefici legati a questo tipo di «manualità», è di fondamentale importanza l’insegnamento sin dall’infanzia della scrittura, in particolare di quella corsiva.

Alfabeto minuscolo corsivo utilizzato nelle scuole per l’insegnamento della scrittura.

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Una forma di espressione talmente personale che racconta di noi agli altri, che comunica le nostre emozioni. È un insieme di segni grafici unici e originali. Trovare due grafie identiche è praticamente impossibile. Se scrivere manualmente allena sia la mente che il corpo, tracciare segni alfabetici sulla carta – sostiene Giovanni De Faccio, esperto docente e calligrafo di fama internazionale – è come gettare un continuo «ponte tra anima e corpo». Sì, perché scrivere, specialmente in corsivo, è un gesto del corpo e un frutto della mente, un continuo scambio, un qualcosa di istintivo, naturale attraverso il qua-


le emergono le sfumature e gli aspetti della personalità capaci di delineare il carattere e il profilo psicologico di un individuo. Ancor più tecnicamente un’altra artista e calligrafa internazionale, Monica Dengo, cofondatrice dell’associazione culturale SMED (Scrivere a Mano nell’Era Digitale), sostiene e propone a chi la insegna nelle scuole di familiarizzare con le forme alfabetiche della scrittura cancelleresca – madre di tutti i

corsivi – che si è sviluppata e affermata in Italia nel Rinascimento. La conoscenza di questi segni, pur semplificati e privi da intenti propriamente calligrafici, rappresentano uno strumento utile per conoscere, memorizzare le forme delle lettere e con esse i gesti necessari per tracciarle. Non si tratta di imporre un modello, bensì di seguire uno studiobase attraverso il quale far nascere e derivare tutte le scritture corsive.

Una pagina tratta dall’opera Il perfetto cancelleresco corsivo di Giovan Francesco Cresci, pubblicata a Roma nel 1579. Sulla destra un esempio di scrittura in corsivo inglese e corretta impugnatura della penna. Sotto. Un esempio di scrittura cancelleresca «moderna».

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Attraverso la coniugazione del gesto corporeo e del frutto mentale – sostiene sempre la Dengo – si stimola la creatività per fare della scrittura una forma d’arte originale. E aggiunge che i bambini oggi sono sempre più lasciati in balìa di automatismi sbagliati. Si assiste così all’impugnatura impropria della penna, ad una irregolarità della spaziatura tra le lettere, tra le righe, all’errata costruzione e inclinazione dei segni, all’irregolarità delle altezze dei corpi, alla miscelazione ‘fuori luogo’ di lettere appartenenti all’alfabeto minuscolo con quello maiuscolo. Il risultato purtroppo è quello di ottenere una grafia illeggibile! In questi ultimi anni – quasi in controtendenza – si nota un risvegliato interesse nei riguardi della calligrafia (l’arte dello scrivere bene) e sempre più persone, professionisti e non, frequentano convegni e corsi per imparare non solo a tracciare alfabeti in stile gotico, onciale, cancelleresco, corsivo inglese, ma anche per riscoprire la manualità e il piacere dello scrivere. Un segno è tanto più bello quanto è più ritmico, armonico e soggettivo che manifesta intuito, vivacità, immaginazione e creatività. Manualità del segno e quindi della scrittura non dovrebbero mai essere persi. Potrà sembrare strano parlare ancora di ‘bella grafia’ quando il mondo sta andando verso l’uso esclusivo del dito indice su un display. Pensate che anche Steve Jobs, il fondatore di Apple, durante gli studi universitari decise di seguire un corso di calligrafia. E da questi insegnamenti imparò una lezione fondamentale: la bellezza è nascosta nel dettaglio. Un’esperienza che lui stesso a distanza di anni definì: «...uno splendido viaggio tra storia e arte, ricco di sfumature che la scienza non sarebbe in grado di comprendere. E lo trovai affascinante».


ricordi d’infanzia ritorno alle origini di Beatrice Lanzini

Sono Beatrice Lanzini, ho diciotto anni e vivo a Milano. I miei carissimi nonni, Walter Zambon Palathin e Costantina Zanus Perelda, mi hanno accolto nella loro casa a Dardago ogni estate e in tante altre occasioni, dandomi così la possibilità di avere dei bellissimi ricordi che mi legano al paese.

L’infanzia è la cosa più bella che esista. È palestra e laboratorio di vita, periodo in cui riempiamo quell’enorme serbatoio che è la nostra memoria, e lo riforniamo inconsciamente di tutti i ricordi a cui attingeremo nei momenti nostalgici dell’età adulta. Milanese di nascita, sono stata inserita nel trantran frenetico della metropoli prima ancora che potessi imparare a distinguere la realtà cittadina da qualsiasi altro tipo di ambiente. I miei bisnonni si erano trasferiti dal Friuli ai tempi della Grande Guerra, e così i figli, e i figli dei loro figli si sono costruiti a loro volta una vita qui. Ma si sa bene che certi legami sono inscin-

dibili, e nemmeno ci si vuole provare a scinderli, in particolare quando si tratta del legame con la propria terra d’origine. Così la tradizione familiare ha voluto che trascorressi le vacanze lontano dalla città, in un posto che non aveva niente a che vedere con il traffico, i mezzi pubblici, i centri commerciali e le strade affollate che mi accerchiavano quotidianamente. Un posto diverso, opposto direi, per nulla di minor valore, ma quasi complementare. Ricordo che a 12 o 13 anni iniziavo a lamentarmi di essere costretta ad allontanarmi dalla città, perché questo inevitabilmente mi avrebbe privato di tutti quegli agi 19

che solo il contesto cittadino mette a disposizione (si parla di negozi, rete internet veloce, ecc.); adesso, con il senno di poi, ringrazio la mia famiglia per avere fatto più volte la scelta di tornare: in primis ho imparato che si può vivere anche senza il capitalismo e la globalizzazione, secondo e più importante, ho scoperto da dove vengo. Dardago per me ha sempre rappresentato un luogo di pace e tranquillità. Niente appartamenti né ascensori, solo casette a più piani, porte sempre aperte, scale scricchiolanti. Ci sono cose che si portano per sempre nel cuore, e tra queste per me ci sono sicu-


ramente tante piccole tradizioni che contribuivano a rendere l’atmosfera di vacanza e accoglienza, e che si sono trasformate in ricordi felici. Al posto delle panchine affollate della metropolitana, per 12 anni ho visto mio nonno sedere su una panchetta di plastica verde, addossata al ciglio della strada, e da lì leggere indisturbato «Il Corriere della Sera», o semplicemente contemplare la strada in attesa che una volta ogni mezz’ora passasse qualcuno che senza ombra di dubbio avrebbe avuto un legame di parentela con lui e che avrebbe salutato con simpatia. Al posto del suono stridulo e

per forza vanno comprati prendendoli da scaffali di un supermercato e che tutte le prime domeniche del mese ad Aviano c’è il mercato dell’antiquariato. Ho visto tutta l’energia vitale di questo mondo concentrata nelle mani della mia bellissima bisnonna più che novantenne, che alla faccia di tutti quelli che con una punta di invidia le consigliavano di non affaticarsi troppo, fino all’ultimo ha coltivato il suo orto, ha raccolto le nocciole, si è fatta la sua passeggiata in solaio e non ha mai rinunciato a versare personalmente la spremuta d’arancia nei bicchieri dei suoi nipoti. Auguro a me stessa di diven-

parchetto li avrei trovati anche io nascosti tra le fronde dei noccioli. A 10 anni ho salutato mamma che andava al funerale della mia bisnonna mentre io tornavo a casa: ero troppo piccola per assistere. A 12 ho visto mia nonna piangere a quello di suo marito. A 17 ho versato tutte le lacrime che avevo in corpo quando la vita mi ha portato via anche lei. E adesso sono qui: mi chiedo se Dardago sarà ancora lo stesso senza le persone che in fondo lo rendevano un posto speciale. Ma sono anche grande abbastanza, e questi anni passati e tutte queste esperienze vissute mi portano adesso a pensare che

tare una donna forte come lei. Ho passato calde notti di Ferragosto correndo in piazzetta, tra un biglietto nero e uno rosso della pesca, e la soddisfazione di aver vinto sempre e comunque qualcosa di sorprendentemente stravagante. Ho scartato uova di pasqua e mi sono rimpinzata di cioccolato da riempire fino all’orlo il mio stomaco di bambina di 7 anni. Ho preso la rincorsa e fatto tanti tuffi nella piscinetta gonfiabile in giardino, ho stretto le ginocchia di mio nonno nelle più ripide discese del toboga in Piancavallo, con l’adrenalina nelle vene e il suo sorriso nell’orecchio. Ho ascoltato le storie di Bertolo, Bortolo e Bartolo fino a convincermi che un giorno andando al

tornare ancora qui, anche senza di loro, un senso ce l’abbia. Per ricordare, per rendere io stessa Dardago un luogo di tradizioni, affetti familiari e vita semplice. Per dare l’opportunità anche ai miei figli di costruire qui i ricordi della loro infanzia. Per illudere con vana ma pur dolce speranza di realizzare i miei momenti di nostalgia. Penso che la mia breve storia non sia eccezionale, ma che sia un po’ quella di ognuno di noi. E penso anche quindi che sia una grande opportunità per tutti quella di tornare al paese d’origine. Per provare a vivere alla maniera dei nostri nonni, per riscoprire quel mondo che a volte penso sia andato un po’ troppo avanti. Per esplorare noi stessi e capire chi siamo veramente.

Dardago, visto dal colle del Ciastelàt.

meccanico della sveglia mi hanno svegliato le campane: ritmo scandito, suono grave ed echeggiante. Non più la quadrata e spoglia chiesetta fiancheggiata dalle auto parcheggiate, ma una chiesa vera, con il primo campanile che abbia mai visto in vita mia. Niente più cibi riscaldati e pizze d’asporto, ma minestre calde, formaggi freschi, salumi prodotti dalla cascina a fianco, marmellata fatta in casa e dolci che profumavano di amore. Ho imparato a incidere il mio nome su un bastone accuratamente selezionato tra quelli sul mio cammino. Ho imparato che non tutti gli uccelli sono piccioni e che i cani e i gatti non sono gli unici animali che si possono allevare. Che la frutta e la verdura non

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vivere felici di Niccolò Busetti

Tutti, fratello Gallione, vogliono vivere felici, ma nel veder chiaro cos’è che renda la vita felice sono ottenebrati [ Seneca]

Così esordì Seneca nel De vita beata, VII libro dei Dialoghi. Egli visse molti secoli or sono ma, come ci insegna la storia, la natura umana sotto molti aspetti rimane imperitura. Ognuno cerca di raggiungere la soddisfazione personale a suo modo, chi tramite il lavoro, chi tramite la fede, chi tramite la gentilezza e chi tramite la carità. È incontestabile, infatti, che non vi sia una strada oggettiva che porti alla felicità. Altrettanto incontestabile è però che determinati contesti possano instillare un senso di benessere e serenità a quasi tutti gli uomini, poiché tali contesti, essendo profondamente legati alla natura umana, sono propri di ognuno; anche se talvolta, vista la radicata influenza del mondo moderno, non

Dardago, località Saùc. Da sinistra: Silvio Busetti, Luigia Zambon, Pia Zambon e don Maurizio Busetti.

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Dardago, 1942 circa. A destra, Fiorenzo Zambon Pinàl con la cagnetta Libera e un amico veneziano, nel cason.

ce ne rendiamo conto. È il caso degli ambienti bucolici. L’emozione provata nel camminare per l’Artugna alla ricerca del sasso perfetto, il respiro affannato mentre in bicicletta si tenta di raggiungere la vetta di Pian Cavallo, il sole cocente che tenta di far desistere da una scampagnata e la soddisfazione di cucinare i funghi appena raccolti nel bosco dietro casa. Come non amare tutto questo? Come non rimanere rapiti dal fascino del Gorgazzo, tanto bello quanto insidioso per coloro che vi s’immergono? L’impareggiabile soddisfazione di sedersi a tavola la sera dopo una giornata di fatica e bearsi dei frutti del proprio lavoro accresce il legame tra uomo e natura e lo rende simbiotico. La mia scarsa esperienza, ahimè, non mi permette di analizzare in modo soddisfacente quello che è il vivere campagnolo vero e proprio, posso però affermare che qualsiasi uomo che non abbia perso se stesso nella frenesia del mondo contemporaneo, in un luogo simile, nel «più bel paese del mondo» come dice di Dardago mio nonno, non può che sentirsi pervadere da un’onda di calore e serenità, tipicamente derivante dai pochi posti che ancora resistono incontaminati e puri. Se c’è una cosa di cui non dubito è che gli uomini, negli ambienti bucolici, grazie al forte collegamento instaurato con la natura riescono a raggiungere un livello introspettivo fuori dal comune, il quale spesso è la chiave per la famigerata felicità di cui tutti ci improvvisiamo cercatori. Parlando d’introspezione mi viene sempre in mente un aforisma di un famoso filosofo francese del XVIII secolo, tale Joseph Joubert: «Stento a lasciare la mia città, perché mi devo separare dagli amici; e stento a lasciare la campagna, perché mi devo separare da me stesso».


Una serie di racconti e aneddoti in parlata locale, accaduti nei nostri paesi.

La Giacoma Bravina con il suo amato Battista.

[racconto] Continua la pubblicazione dei racconti in parlata budoiese

le resìe de l’agna Giacoma di Fernando Del Maschio

Ho cominciato a scrivere questi racconti in budoiese per conto della pubblicazione della Società Filologica Friulana Strolic. Poi si ebbe l’idea di pubblicarli anche su l’Artugna. Pertanto, se i benigni lettori saranno contenti, ne scriverò uno per numero della benemerita rivista, anche perché ho constatato di persona che solo tre o quattro bambini su venti della scuola elementare capiscono la nostra parlata. È necessario, quindi, che del budoiese rimanga almeno qualcosa di scritto. A tal proposito vorrei qui ricordare il maestro Umberto Sanson che per primo curò la pubblicazione dei racconti del Comune di Budoia e raccolse con infinita pazienza i termini della nostra toponomastica in un’opera che definirei monumentale. Penso sia ora che chi di dovere provveda a un giusto riconoscimento.

Ve ai beldà contat che l’agna Giacoma l’era tant de glesia. Dei pretes po’ la veva squasi sudhithion. ’Na sera la ne capita in tel stale dhuta agitadha e la ne conta: – Ben, cristians benedheth, uncuoi la me a sucedhut bela. Ere drio a dhi in platha a to un po’ de sal quan che a livel dele porte de Danelin vedhe da lontan vignì in denant el nostre sior curato o parico come che se dhis adhes. Mi co’ chele gran parsone là no sai mai come comportame, come saludhali e cossa respondi se i me dimanda calcossa. Ai thencat de cambià strada, ma no podheve; me soi fata coraio e quan che se avon incrosat ai sbassat el ciaf e i ai dhit: «Servito(r) suo, sior Parico». Lui l’a fat bocia da ridhe e el me a dhit: «Giacoma...». Me sa che ài cambiat color parchè me pareva da esse in ciamesa e de mostrà el cul. – «Delà, delà Giacoma» el salta su el solito reversario «penseit quante ridhude che i farà i pretes 22

quan che intant de ’na congrega el nostre i contarà del vostre saludho de thento ains fa. – «Schertheit voi, volarave vedheve voi co’ chele gran parsone là! – «Mi no i fathe caso, parchè pense sempre che quan che i sciampa da c…i fa come noi!» – Taseit, vargognoso de on, che dheit scandol a l’inocentha. – Saveo, cristians bendheth, l’è meio no parlà mal de nessun, che no ne capite come a chel che steva dongia de noi a Sandan. Adhes ve la conte: Sto ca el veva el vithio de dhise sempre «Porco diavol». ’Na sera su l’imbrunì el tornava a ciasa a piè da Randan quan che el s’inacorth che i vin drio un vestit dhut de negre, co ’na mantelina negra e un gran ciapel negre ancia chel. El slongia el pas, e i lo slongia ancia chel altro. El se met squasi a core e el cor ancia chel altro. Quan che oramai al è scur, chel vestit de negre i lo ciapa e el se fa vedhe. El veva un mustath da fa


[racconto]

pura: negre come el cialin, ’na barba a ponta e doi guoi....» Mi soi chel che ti dhise sempre porco. Sta tento come che te parle!» I dhis con ’na vos da fa anciamò pi pura e el sparis. El pora on al a ciapat tanta pura che dhopo poci meis al è mort. Vedheo, cristians bendheth, l’è meio no intrigase nencia col diavol. – L’agna Giacoma, pora femena, no la se inacordheva che la sbrissava inte la resia manichea. ‘Na volta el stale l’era d’inver el ritrovo de la contrada. Saltava fora de dhut: ciacole su la dhent, storie vere o inventadhe, el solito rosare e i esempi de l’agna Giacoma su la religion. Spess e volentiera la dhiseva: – «Saveo, cristians benedheth, fon pecadho almanco sete volte al dì, ancia thentha inacorde-

se». – «Ma che stupidhadhe diseo, Giacoma!» saltava su el solito reversario, chel del thigro intant del rosare – «no veo imparat a dotrina che par fa pecadho avon da esse pienamente coscienti?» E la Giacoma: – «Voi aveit da fa sempre el contralenc, invethe de preà el Signor che l’apia compassion de noi. Speron che el Signor nol se stufe dei omis come che ve conte ades: – ’Na matina prest, subito dopo la prima ciampana, el nonthol de ’na glesia granda el se veith rivà un prete foresto che i dimanda de dise messa: El nonthol nol sa cossa fa, ma el prete i mostra le ciarte – «Se clama thelebre(t)» el dhis barba Piero che el veva studiat da prete col curato vecio (sol che doi ains!), – «Aveit rason, Piero, ma mi no ai studiat

come voi. Alora dhon avanti. El nonthol el prepara chel che serve e el prete i dhis: Al Santus sona le ciampane. Al prefathio el bon on el va in tel ciampanile e el se met par tirà le corde, ma ’na veciuta i ferma el brath e i dhis: «No sta sonà le ciampane parchè senò me fiol, stuf de i vostre pecadhi, al prin bot el destrudhe el mondo». El nonthol el obedhis e la veciuta la sparis. El torna in glesia e l’è sparit ancia el prete. Capeo, cristians benedheth, el prete l’era el nostre Signor e la vecia l’era la Madona. Se no avessane la Madona a fermà so fiol... – Par l’agna Giacoma el Signor el feva la part del cativo e la Madona dela bona. No crede che san Paol e ancia el papa de adhes i sarave dacordo.

Storie, pacassàde, scherthi, de Dardacˆ de ’na volta...

la disperathion de ’na mussa di Flavio Zambon Tarabìn Modola La platha de Dardacˆ ’l è stada spess teatro de tains avenimenti fosseli tristi che legri, ància chisto che ve contarai al se a svolgiùt là. ’l era la fin dei àni vinti, de ’l secol passàt, ’l era ’na dominia, come tante altre, de autuno, ’l era ’na dornadha grisa, de chele che le te feva vigne siòn. ’L era pena finìt messa granda e la dhent ’l era vignuda fora de glesia, le fèmene e le bupate le se

sbrigava a dhì a ciasa a fa chel pocˆ de magnà e i òmis, invèthe, i ’n era de chei che i se fermava a parlà de ’l pì e de ’l manco tel sagrat de la glesia o ’nte la platha e i ’n era altre che, prima de dhì a ciasa, i deva a beve calcossa là de Moreal, in Coperativa o dhò de Toni de la rossa. In platha cussì restava altre che canais e fantath, i prins, co’ ’l libre de messa in man, i dhuiava a pè23

cia, chei pì grains, intant che i se passava ’na cica de sigareta un co’ l’altre, i se contava che che i aveva fat ’l dì prima durante al sabo fasista. Intant che sucedeva dut chisto, bel belo, vignendo dhò pa’ via San Tomè, ’l era rivàt in platha ’na femenuta co’ ’na careta tirada da ’na mussa, su ’stà careta ’l era theste e thestons de verdura e fruti de staiòn: pons, peri, radicia, thucie, stracaganasse e carobole,


’stà femena duth i la cognosseva, ’l era ’na paesana che la se guadagnava cualche palanca vendendo verdura, la se meteva sot ’l balèr e là la spetava che la dhent la des a conprà chel che la vendeva. Purtropo tains de chei fantath e de chei canais, chel ben de Dio i podeva altre che vardalo, parchè nô i aveva schei pa’ conprà nient; vin che tre-cuatro canais, parlando tra lor i diseva: «A mi me plasarave magnà almanco un pon» ’n altro ’l continuava: «A mi me bastarave un puign de stracaganasse pa’ fame passà la fan» e cussi via. Là tacàt ’l era ’n grupo de fantath che i veva sentut chel che i pì pithui i aveva dita, alora, dopo esse stadi ’n pocˆ t hito, un, ’l pì sgaio de duth, ’l dis a chei altre: «Mi savarave come fai passà la fan a ’sti pora canais, però, ’l avèrte, cualchedhun dopo nô ’l sarà content, steit a sentì chel che disaràve de fa». E cussì, parlando sote vos, pa nô fasse sentì da nessun, al conta ai sô compares ’l sô plan. Come che ’l à finìt, duth i fantath, ridendo e sghignathando, i dà al sô binstà e i se invia, fando fenta de nient, un a la volta, verso la careta co’ la verdura, i taca a girà intor, domandando a la femenuta cuant che costa chiesto e chistaltro al chilo, ma nô i conpra nient,

tant che ’sta femena a un therto punto ància la se rabia e i dis: «Se aveit da conprà calcossa conprela ma nô steit cà a domandame al pretho de la roba se po’ nô la conpreit!» Fato stà che chel fantàt che ’l someava ’l capo de chialtre ’l va tacàt a la vecia e i dis: «Agna, podaràvio disi chelcossa ’nte le recie a la vostra mussa?». A chista domanda la femenuta la se volta e i dis: «Ma valà senpiot che ato da disi a la mussa, e ància se ti dises calcossa che voto che la capisse, la capis altre che i ordins che i dae mi: stà, volta, serucˆ. E po’, (perdhuda la pathientha), sato chel che te dise? va là e disi chel che te vol!» Al fantàt alora dut content ’l và visin a la mussa e, de scondiòn ’l se fa dà, da chi che i ’l aveva, la cica de ’na sigareta e i tira via, co un’ongola, ’n tochetìn de bora e i la buta ’nte ’na recia de la mussa. La pora bestia, che ’l era là duta trancuila, cuan che la bora la tacàt a scotàla nô savendo che fa, prima ’l à tacàt a girà al ciàf da ’na banda a chel’altra e dopo cuàn che nô in podeva pì la tacat a rantà e a core come ’na mata, travers la plàtha in direthion de la riva de ’l capelàn; da la careta, sbalotàda de cà e de là, ciadeva le theste e da le theste vigneva fora dut chel

che ’l era drento, la femena la thiava come ’na thuita da la disperathion tel vede duta la sô mercanthia butada ’n te duta la platha. Intant duth i canaiuth i coreva a to su e mete ’nte le scarsele, dentro le ciamese dut chel che i podeva, specialmente chei che i aveva pì fan, i inpleniva ància i ciapiei, ’l era ’na sagra par lor. Dopo tant core, la mussa i ’l aveva fermada doi omìs cuasi dhò de ’l thimitero, intant la femenuta ciapàt la scuria e thiant come ’na disperadha, ’l era dhuda verso chel fantàt che ’l veva dita che ’l voleva parlà a la mussa, dopo avei dat un per de scuriade travers le gianbe i dis: «Mostro de ’n dovìn, che i ato fat a la mê mussuta?» ’L dovin, slargiando i brath i dis: «Mi? Nient! I ài altre che dita che sô mare ’l è morta, pocˆtenp fa, e liena, sevèit, da la disperathion la se à metut a core come ’na mata». La femenuta nô la saveva che dise e ’l à tignùt come bona la giustificathion de ’l dovin, dopo, pian pianin, giudada da i fantath e da cualche òn, ’l à tot su la roba che ’l era par duta la platha e dhò pa’ la riva de ’l capelan, ma nô duta parchè ’n pocia ’l era ormai ’nte la pantha e ’nte le scarsele de chei canais che cualche minuto prima i la desiderava tant. Come che ’l aveva dita chel fantàt, prima de combinà al malan, cualchedhun (la femena) nô ’l sarave stat content, ma tains (i canais) invethe sì, pa’ cualche ora i aveva destuthat la fan che spess i li compagnava. A proposito, la mussa dopo ’n pocˆ ’l è stada bin e pa’ tanti àni anciamò ’l à tiràt la careta, co’ su le theste de fruta e verdura, pa’ le strade de ’l nostre Dardacˆ. *** S.D. (= scrit dopo) In te sta storia no ’l è stàt nominàt nessùn paesàn de chel tenp, cualche nom se lo savèva, ma no duth e alora, pa no fa de tort a cualchedhùn, (ància parchè de chi che ’l à partecipàt, ormai no ’l è pì vif nessùn) ’l è stat pensat de no fa noms.

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Dopo l’iniziale articolo pubblicato nello scorso numero e scritto per rispondere alle richieste dell’amico Claudio Querenghi, ho proseguito le ricerche per meglio delineare le figure dei due sfortunati piloti (Andrea Citi e Tommaso Brandolini), deceduti nel 1934 sulle nostre montagne.

Il sergente Andrea Citi, aviatore della Regia Aeronautica (foto Alessandro Parussini). In alto. Il glorioso distintivo del 1° Stormo Caccia che a Campoformido fregiò i velivoli della prima squadriglia acrobatica italiana.

gli aquilotti di Campoformido

di Sante Ugo Ianna

«Studio la storia scomparsa, quella spesso trascurata dalla storia, dalla storia che è arrogante ed incurante di ciò che è piccolo, di ciò che è umano». SVETLANA ALEKSIEVIC,

[ Nobel per la letteratura 2015 ]

Sembra scritta per la nostra piccola ricerca sui due aviatori della Regia Aeronautica – 1° Stormo Caccia 88a Squadriglia – periti a Dardago, zona Costa Curta – Monteon il 26 Maggio 1934. Una narrazione storica è una continua caccia a informazioni e/o notizie per ottenere la migliore vicinanza possibile alla realtà dei fatti; con una certa enfasi si potrebbe definire una ricerca della «verità». Inizio con cautela a narrare qualcosa sulla vita del Serg. Magg. Citi Andrea; la prudenza mi consente di scrivere, per ora, solo di lui ritenendo attendibili le informazioni assunte. Al momento sul Cap. Brandolini Tommaso le notizie trovate sono da ampliare e verificare e saranno oggetto di altri articoli. Andrea Citi (Portoferraio/Elba 19 febbraio 1909 – Dardago 26 maggio 1934) entra diciottenne nella Regia

Aeronautica, frequenta negli anni 1926/1927 l’Accademia alla caserma Guglielmo Pepe / Capua (Ce) e alla Scuola di Volo Gabardini a Cameri (No) ed inoltre nel 1928, all’aeroporto militare di Ghedi (Bs). A 19 anni consegue il brevetto di pilota. L’amicizia con Gino Brizzolari (Marina di Massa 16 dicembre 1907 – Tatoi/Atene 23 settembre 1930) risale a Capua dove, entrambi toscani, si erano presi in simpatia; spesso, quando andavano in licenza, facevano insieme il viaggio in treno, Brizzolari scendeva a Massa ed Andrea a Piombino per poi imbarcarsi per Portoferraio. In quegli anni l’aviazione mondiale attraversa un periodo fantastico, basti pensare a Charles Lindbergh e Italo Balbo. Inoltre non passa mese senza che un pilota italiano non vinca o migliori qualche record mondiale aeronautico: De Bernardi 1926: Coppa Schneider; Passaleva 1926: 17 primati mondiali di velocità su idrovolante; Antonini 1927: due record mondiali di altitudine; Ferrarin 1928: primato mondiale durata di volo; Del Prete 25

1928: con idrovolante primato di distanza senza scalo; Maddalena 1928: ricerca dei naufraghi del dirigibile Italia nell’Artico. Molto probabilmente entrambi avevano subito il fascino del volo ed in base al detto che «chi vola vale» avevano scelto l’Aeronautica per seguire il loro sogno. A Ghedi (Bs) forse il sogno mostrava loro la sua parte meno romantica, lì giustamente, vigeva una seria e ferrea disciplina ed il divieto assoluto di fare gli acrobati da circo con gli aerei a loro disposizione. I loro istruttori di volo Baldazzi, Rizzotto e Cirello si rendono conto che si tratta di campioncini in erba che giorno dopo giorno, un allenamento dopo l’altro riescono ad uguagliare i loro maestri ed addirittura a superarli. Oltre ai due finora citati anche un terzo allievo Tommaso Diamare, che ritroveremo spesso nelle future formazioni di volo acrobatico, si distingue per essere un «ottimo manico». Alla fine del 1928 assiste agli esami dei «nostri eroi» il Maresciallo Fruet, inviato a Ghedi (Bs) da Rino Corso Fou-


gier già comandante di squadriglia nel 24° Gruppo Caccia nella Grande Guerra ed ex tenente dei bersaglieri, tre volte medaglia d’argento, nativo di Bastia (Corsica) e per questo Corso, all’epoca dei fatti comandante del 1° Stormo Caccia di Campoformido (Ud). Ovviamente Citi, Brizzolari e Diamare sono destinati all’Università dell’Aria – definizione di Massimo Bontempelli – e sui fianchi delle fusoliere godranno della compagnia dell’ARCIERE a guardia del motto «Incocca - Tende - Scaglia» tratto dalla tragedia dannunziana «La nave». Per meglio inquadrare lo spirito e l’ambiente di Campoformido in quegli anni vale la pena citare alcuni passi di una lettera, idealmente scritta nel 1958 a Tommaso Diamare, da un altro pilota Ernesto Porta, abile ritrattista, pittore e buon scrittore: «…ricercare, almeno in parte, quella atmosfera di hangars odorosi di benzina e di oli bruciati, di linee di volo vibranti per l’urlare scatenato dei motori in prova e di velivoli saettanti a bassa quota in illecite puntate, che costituiva scenario vivo e fremente della nostra attività di ogni giorno. Dopo la Scuola Caccia di Ghedi (Bs) a Campoformido trovammo una tale libertà di volo, da noi spesso sciaguratamente fatta degenerare in anarchia, che veramente non ci pareva cosa vera, abituati come si era alla rigida disciplina della scuola di pilotaggio...». Italo Balbo noto trasvolatore oceanico, all’epoca Sottosegretario, stava creando l’Arma Aerea Italiana quindi in quel periodo, con alcuni ufficiali, fra i quali Rino Corso Fougier, si recò in Inghilterra precisamente alla base di Hendon per assimilare i segreti organizzativi e tecnici di quella Royal Air Force che faceva scuola nel mondo aeronautico. Qui vide una pattuglia fare evoluzioni di acrobazia collettiva il tutto a rigorosa e rispettosa distanza fra aereo ed aereo. Fougier ritornò in Italia domandandosi se, quelle stesse evoluzioni di Hendon, non si potessero, così per caso, effettuare anche sotto il cielo del Friuli, ovviamente in modo più organico e completo. Fu così che fra l’autunno del 1928 e l’estate 1929 data libertà agli «aquilotti» questi a forza di esercizi padroneggiavano totalmente gli aerei sia individualmente che collettivamente. Fougier aveva dato disposizioni precise perché il volo acrobatico fosse alla

base del nuovo addestramento; tutte le responsabilità erano sue e soltanto sue ed i piloti si sentivano protetti, sicuri, spavaldamente audaci come solo lo si può essere da ventenni. Gli allenamenti diventavano ogni giorno competizioni sportive, ogni squadriglia provava nuove figure studiate di nascosto sui campi di Rivolto o sul poligono di Vivaro, seguiva quindi la «presentazione ufficiale» sull’aeroporto presente Fougier e tutti i piloti. Il giorno dopo non c’era pilota che non provasse la manovra e avanti e indietro fino ad eseguire perfettamente la figura acrobatica approvata dal comandante.

gio e lungimiranza; arrivarono i primi nuovissimi aerei CR 20. C’era l’idea nella mente di Italo Balbo, da poco nominato Ministro dell’Aeronautica, di organizzare una manifestazione aerea tipo Hendon. Il 10 gennaio 1930 la Regia Aeronautica effettuò una sfilata aerea sul Campo d’Armi dei Parioli in onore dei Principi Umberto e Maria Josè, nel finale della manifestazione il 1° Stormo Caccia presentò un programma acrobatico in formazione a cuneo serrato di tre velivoli e fu un successo – per dirla in parole attuali – di critica e di pubblico. Italo Balbo, pur ammettendo che il

La fase più spettacolare della 2a Giornata dell’Ala è riservata alla la Squadriglia di Alta Acrobazia che strabilia con un programma che esalta la bravura dei piloti del l° e le caratteristiche tecniche dei nuovi Breda 19. In questa foto, scattata il 26 maggio 1932 sono ritratti i componenti di questa unità, che sono da sinistra: serg. Marasco, serg. Wengi, serg. Sansone, serg. Citi, serg. Scarpini, ten. Zotti, ten. Bocola, ten. Melandri, serg. Magli e m.llo Colombo. Manca il serg. De Giorgi, che contribuirà alla fama di questa formazione in seguito soprannominata «Squadriglia Folle» (foto famiglia Vittone).

È appunto in questa atmosfera che prende corpo, nel novembre 1929, la famosa figura del looping, ala contro ala, di Brizzolari e Citi (cfr. l’Artugna aprile 2017). I due piloti vollero presentare subito in diretta la nuova figura acrobatica: da Codroipo a Campoformido ci sono pochi minuti di volo, trovano il campo libero, quindi esecuzione a ripetizione della nuova figura e tutti, dal comandante all’ultimo tecnico, col naso in su a godersi la novità. Nei primi mesi del 1930 Fougier raccoglieva i primi frutti del suo corag26

tempo era poco, esternò a tutti i Comandanti di Stormo un programma di massima per organizzare, a maggio, una manifestazione aerea all’Aeroporto di Roma-Littorio... a Fougier lasciò mano libera. Il 1° Stormo si preparò in modo maniacale per quella che passerà alla storia come la 1a Giornata dell’Ala dell’ 8 giugno 1930: – c’erano le due scritte Rex e Dux che i 27 CR 20 dovevano formare in cielo che facevano sudare le famose sette camicie; – c’era la 71a pattuglia acrobatica, al


comando del Ten. Neri di 5 CR 20 che effettuava un allenamento acrobatico «top secret»; – c’era la 79a pattuglia acrobatica, al comando del Ten. Reglieri di 7 CR 20 che si allenava ad una «ruota» con passaggi rasenti al suolo «in fila indiana»; – c’era la 80a pattuglia acrobatica al comando del Ten. Lucchini di 3 CR 20... Tutte le manovre venivano ripetute fino all’esaurimento e fino a che i tempi di incrocio coincidevano. Finalmente il 15 maggio, Fougier in testa, la formazione di 36 CR 20 si trasferiva da Campoformido a Pisa (un

71a-79a-80a (27 aerei CR 20) scrive sull’azzurro del cielo in modo impeccabile le parole REX e DUX. Il 10° episodio: 15 aerei CR 20 entrano nel cielo in formazione a «cuneo» eseguono un «looping» con trasformazione a «freccia», poi un altro «looping», quindi la formazione si rompe in tre pattuglie: – 3 aerei: Ten. Lucchini, Maresciallo Bertoli, Maresciallo Cancellier; – 5 aerei: Ten. Neri, S. Ten. Melandri, Serg. Scarpini, Serg. Diamare, Serg. De Giorgi; – 7 aerei: Ten.Reglieri, Ten. Moscatelli, Serg. Sansone, Serg. Citi, Serg. Briz-

Aviano, luglio 1931. l C.R. 20 della 91a Squadriglia, pronti all’involo dal campo pordenonese di Aviano. Sullo sfondo il paese pedemontano di Dardago. Le «strisce» dipinte sui caccia erano state apposte in occasione delle «Grandi manovre», che si sarebbero effettuate nel mese di agosto.

davanti alle tribune; dai 1500 metri si «buttavano» Lucchini, Bertoli e Cancellier, spegnevano il motore e impostavano un «looping» con elica a bandiera. Altra «ruota» della pattuglia Reglieri con passaggi rasenti al suolo «in fila indiana» poi lasciava il cielo libero per la pattuglia Neri che eseguiva in «prima mondiale» la «bomba», logica conseguenza dell’addestramento quotidiano severo e continuo. Il 15 giugno 1930 l’Aereo Club E. Pensuti programmò a Cinisello Balsamo (Mi) la «Sagra del Cielo» e davanti a 150.000 spettatori, a chiusura della manifestazione, dopo varie figure acrobatiche finalmente il numero che ha dato spettacolo ed ha esaltato la folla di Roma – solo 7 giorni fà – : «la bomba» eseguita dai 5 aerei CR 20 del 1° Stormo con leader il Ten. Neri ed i gregari sergenti Scarpini, Citi, Diamare e De Giorgi. Ecco, in termini romantici, il commento di un giornalista presente all’esecuzione della figura acrobatica: «Un episodio di rara bellezza è stato l’attacco di una Squadriglia di CR 20 ad una colonna di camions, dopo averla scompigliata e separato i rimorchi, la squadriglia dei 5 aerei compie attorno ai rimorchi una fantasia in cielo. Gli aerei scattano, si intersecano, risalgono in cielo, si rituffano con precisione e maestria che hanno del sovrumano. La visione sembrava quella di uno stormo di rondini che gioiscono nel vespro librandosi e piroettando nell’aria». La «bomba» entrava nella storia del volo acrobatico collettivo, una figura che ieri come oggi dimostra ed esalta l’estro, il coraggio e la personalità del pilota. [continua nel prossimo numero]

volo di 120 minuti) ed il giorno seguente altri 160 minuti di volo Pisa – Roma Ciampino. Per le difficoltà che allora trovava un pilota da caccia nei voli di trasferimento vale quanto già scritto nell’articolo precedente, per la navigazione il CR 20 era equipaggiato di un cronometro e di una bussola… e stop! Il giorno 8 giugno 1930 alle ore 16.00 inizia la manifestazione programmata su 12 episodi in ordine di difficoltà crescente. Il 4° episodio: Fougier, sulla verticale del campo con le sue squadriglie

zolari, Serg. Marasco, Serg. Sbrighi. Le tre pattuglie lavorano a tre quote diverse: 1500 metri pattuglia Lucchini – 800 metri pattuglia Neri – 100 metri pattuglia Reglieri. In pochi minuti i 15 velivoli trasformano il cielo dell’Aeroporto del Littorio in una vera bolgia infernale, gli spettatori – 50.000 persone – non sanno dove guardare, appena Reglieri finiva il suo passaggio con un «tonneau» di 7 aerei, Neri «picchiava» per passare ad un «looping» con trasformazione «in fila indiana» ed altro passaggio a bassa quota dei 5 CR 20 27

BIBLIOGRAFIA

BASSI ROBERTO, Il cielo di Campoformido, Storia dell’aeroporto della città di Udine, Campanotto Editore. ROCCHI RENATO, La meravigliosa Avventura storia del volo acrobatico, Parte prima: dalle origini al 1939, Aviani Editore. BASSI ROBERTO, Campoformido 100, cento anni dell’Aeroporto di Udine attraverso le immagini, Aviani & Aviani editori. ASSOCIAZIONE CULTURALE 4° STORMO GORIZIA, Quelli del primo, Il primo stormo nelle immagini, dalle sue origini al 1940, Aviani & Aviani editori.


Numerose le autorità presenti come testimoniano i labari delle varie sezioni dell’A.F.D.S.

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1967 · 2017

fondazione della sezione di DARDAGO

Mezzo secolo di vita di un’associazione è davvero un primato. L’A.F.D.S. di Dardago l’ha festeggiato, domenica 11 giugno 2017, alla presenza di tante sezioni consorelle e di tanti cittadini orgogliosi di quest’evento.

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A.F.D.S. di Dardago buon compleanno! ...dalla relazione del presidente, Corrado Zambon, letta dalla figlia Alessia al termine della cerimonia.

stra sezione: Armando Zambon, custodiamo gelosamente nella scomparso in giovane età, Giamnostra sede. In questi 50 anni dopietro Zambon, Carlo Zambon Sarpo Giacomo Zanchet si sono suctorel e l’attuale presidente Corrado ceduti diversi presidenti che hanno Grazie a loro e ai membri contribuito allo sviluppo della no- asZambon. s

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I convenuti in raccoglimento alla scopertura della stele, donata da Espedito Zambon e collocata nel sagrato della chiesa.

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La Sezione di Dardago dell’A.F.D.S. (Associazione Friulana Donatori di Sangue) venne costituita provvisoriamente il 15 ottobre 1966, presso il «Bar-Ristorante Montecavallo», su iniziativa di alcuni dardaghesi, alla presenza di alcuni rappresentanti delle sezioni A.F.D.S. di Caneva e di Sacile. Il 3 dicembre 1966 gli iscritti all’Associazione si riunirono in assemblea per l’elezione del primo Consiglio Direttivo e il giorno seguente furono distribuite le cariche. Primo presidente fu eletto il maestro Giacomo Zanchet. La costituzione ufficiale della Sezione di Dardago fu celebrata il 15 gennaio 1967 con una cerimonia, durante la quale le sezioni di Caneva e di Sacile donarono alla nostra sezione il primo labaro in segno di fraternità che ancora oggi

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dei vari consigli direttivi e volontari, in questi anni sono state fatte numerose attività per promuovere lo scopo dell’associazione che è il dono del sangue, in particolare il valore del dono del sangue come gesto di solidarietà e come contributo scientifico e il vantaggio per la stessa salute del donatore, sottoposto a cure e attenzione da parte dei sanitari. Per questo abbiamo pensato di omaggiare oggi tutti i presenti di un segnalibro che trovate sopra i banchi della chiesa in cui oltre a ricordare i 50 anni di fondazione sono riportate le strofe dell’inno dei donatori di sangue «Salva une vite» (su un lato c’è la versione originale in friulano, sull’altro c’è la traduzione in italiano) che sottolinea l’importanza del dono del sangue e il suo scopo che è quello di salvare una vita, che potrebbe essere quella di un vecchio, di una madre, di un bambino, di un nemico. Infatti, i donatori di sangue non sanno a chi sarà destinato il proprio sangue, perché è un atto di generosità, umile e silenzioso (come dice la preghiera del donatore scritta da Papa Giovanni XXXIII) e disinteressato. Purtroppo la situazione attuale della nostra sezione non è delle migliori: essa è in una fase di rilassatezza e immobilità, per non dire Il pievano don Maurizio benedice i fiori prima di essere deposti davanti al Monumento ai Caduti.

di declino. Attualmente, i donatori periodici sono circa 39 ma il 2016 si è chiuso con un totale di donazioni pari a 50, 16 in meno rispetto all’anno precedente e ogni anno sono in calo. Noi donatori siamo sempre gli stessi, se non per qualche sporadico innesto di nuove leve; da parecchio tempo non si fanno più eventi per sensibilizzare la gente ed informarla sul dono del sangue, sulle tecniche di prelievo, sul funzionamento dei centri trasfusionali. Naturalmente buona parte

Roberto Zambon, per 50 donazioni; il distintivo di bronzo a Jovanov Stanko, per 20 donazioni, e il distintivo di bronzo a Maria Teresa Micheluz, per 15 donazioni. Oltre alla famiglia dei donatori, vogliamo ringraziare tutti i volontari e coloro che ci hanno aiutato a far sì che questa giornata riuscisse nel miglior modo possibile, tutti i sostenitori per il loro contributo economico, in particolare dobbiamo ricordare Sergio Zambon, che ha lasciato dopo la sua morte, alla se-

Il presidente Corrado Zambon conclude i festeggiamenti con il tradizionale taglio della torta attorniato dal consiglio direttivo.

della causa è anche nostra e il risultato è una scarsa adesione ed un limitato coinvolgimento. È per questo che stiamo pensando, con la Sezione di Budoia-Santa Lucia, di unire le forze e fonderci in un’unica grande ‘Sezione’ per rifiorire e tornare come ai vecchi tempi. Comunque per noi l’importante è andare a donare il sangue per aiutare chi soffre, sapendo che non esistono pericoli e che tutto si svolge in sicurezza. Per questo non finiremo mai di ringraziare i donatori che in questi 50 anni sono andati a donare il sangue, anche chi purtroppo non c’è più. Al Congresso provinciale di Fanna, che si è tenuto lo scorso 2 ottobre 2016, sono stati conferiti i seguenti riconoscimenti per le donazioni maturate al 31 dicembre 2015: il pellicano d’argento a Silvana Bocus, per 50 donazioni; il distintivo d’oro a 29

zione A.F.D.S. di Dardago, parte della sua eredità con la quale abbiamo sistemato il tetto e la sede della nostra sezione (a cui abbiamo dedicato una targa appesa presso la sede) e Espedito Zambon per aver donato la stele dei donatori presso il sagrato della chiesa. Vogliamo ringraziare il presidente provinciale A.F.D.S., Ivo Baita, il sindaco del Comune di Budoia, Roberto De Marchi, tutte le sezioni consorelle presenti e non, tutte le associazioni presenti nel Comune di Budoia, il coro che ha accompagnato la Santa Messa, don Maurizio che l’ha celebrata, la Pro Loco di Budoia, che ha preparato il buffet a cui tutti i presenti sono invitati a partecipare, e tutti coloro che sono rimasti con noi a festeggiare questa giornata. Grazie a tutti! W l’A.F.D.S. e W i donatori.


’n te la vetrina Il 3 maggio 1957 Antenore Bocus Frith parte da Venezia alla volta del Canada. In questa foto è ritratto con alcuni suoi amici che lo hanno accompagnato alla partenza. È stata scattata davanti al Monumento Nazionale a Vittorio Emanuele II, che si trova vicino all’Hotel Londra, dove lavorava Bruno Zambon Rosit. Da sinistra Espedito Zambon, Antenore, Bruno Zambon Rosit, Luciano Bocus Frith e Marco Bocus Frith. Espedito ricorda che lui, Luciano e Marco decisero di fare una sorpresa ad Antenore il quale era a Venezia da qualche giorno con il nonno, per preparare la partenza. Con le moto, i tre raggiunsero Sacile e da qui, in treno, raggiunsero la città lagunare. Ebbero, così, l’occasione di passare insieme le ultime ore prima della partenza del Vulcania, il transatlantico che avrebbe portato Antenore in America. Pranzarono in un locale nella zona delle Zattere. Espedito e il nonno di Antenore ebbero il permesso di visitare il Vulcania, prima della partenza. Gli altri amici dovettero attendere sul molo perché ogni passeggero poteva essere accompagnato al massimo da due persone. (foto e informazioni di Giacinta Nadia Bocus, sorella di Antenore; ulteriori informazioni di Espedito Zambon e Fernanda Zambon Rosit)

La nave utilizzata per il viaggio

UN ACCORATO APPELLO AI LETTORI Se desiderate far pubblicare foto a voi care ed interessanti per le nostre comunità e per i lettori, la redazione de l’Artugna chiede la vostra collaborazione. Accompagnate le foto con una didascalia corredata di nomi, cognomi e soprannomi delle persone ritratte. Se poi conoscete anche l’anno, il luogo e l’occasione tanto meglio. Così facendo aiuterete a svolgere nella maniera più corretta il servizio sociale che il giornale desidera perseguire. In mancanza di tali informazioni la redazione non riterrà possibile la pubblicazione delle foto.

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Il transatlantico Vulcania fece il suo viaggio inaugurale partendo il 19 dicembre 1928 da Trieste sulla rotta Trieste – Napoli – Patrasso New York. Fu oggetto di molte ristrutturazioni e fu utilizzato su questa rotta fino all’inizio della seconda guerra mondiale, durante il quale venne trasformato in nave ospedale e per trasporto truppa verso l’Africa. Nel dopoguerra subì altre ristrutturazioni. Poteva trasportare fino a 1780 passeggeri suddivisi in quattro classi e fu utilizzato sulle rotte verso il sud ed il nord America. Nell’ultimo periodo di utilizzo come transatlantico (dal 1955 al 1965) navigò sulla rotta Trieste – Venezia – Patrasso – Napoli – Palermo – Lisbona – Halifax – New York. L'ultimo viaggio iniziò il 5 aprile 1965. Successivamente la nave fu acquistata dalla Siosa Grimaldi Line che la destinò alle crociere con il nome di Caribia.


L’angolo della poesia

La nostra vita Umile chi sempre aiuta gran dono il suo cuore pur sempre umano.

Dardago primi anni ’60, Prima Comunione. In alto da sinistra: Patrizia Ianna Simon, Noemi Lachin Stort, Maria Assunta Gloria Carlon Scopio-Salute, Maria Clara Zambon Biso. Seconda fila da sinistra: Donatella Zambon Rosìt, Luisa Pian, Adriana Zambon Marin, Luisa Zambon Marin, seminascosta Bruna Melocco. Prima fila da sinistra: Paolo Ianna Bocùs, Maurizio Bocùs Frith, Carlo Zambon Sartorèl, Galliano Zambon Luthol, Giuseppe Bocùs (ora Vit) Frith, Antonio Usardi. Sacerdote don Alberto Semeia.

O terra, che bene o male sempre dai acqua, brina, luce e sole tuo è il produr e il cibar che a noi doni.

Dardago anno scolastico 1954-55, Classi 3a, 4a elementare. Sopra da sinistra a destra: Pietro Zambon Tarabin, Franco Ianna Barnardo, Giuseppe Ianna Tavàn, Pietro Rigo Moreàl, Renato Zambon Tarabìn, maestro Vincenzo Besa. Seconda fila da sinistra a destra: Rosanna Zambon Biso, Loretta Grassi, Santa Zambon Pinàl, Edda Zambon Pinàl, Battistina Zambon Colus-Pertia, Angela Carlon, Paola Zambon Pètol, Franca Vettor Cariola. Sotto accucciati: Gino Zambon Trantheòt-Momoleti, Bruno Zambon Pinàl, Paolo Busetti Frate-Caporal, Rizieri Zambon Marin, Pietro Ianna Theco, Omero Bocùs Dolfin-De La Rossa, Roberto Pauletti.

Una composizione che riecheggia Il Cantico delle Creature di San Francesco dove anche l’azione umana s’inserisce nel progetto naturale e divino (Umile chi sempre aiuta / gran dono il suo cuore). L’incedere è in forma di laude proprio come quella del Santo d’Assisi, con una natura «umanizzata» ed i suoi elementi esaltati per il loro gratuito servizio. Se nel Cantico si inneggia al fratello sole e al fratello vento, e per l’aria e per il cielo; quello nuvoloso e quello sereno e ogni tempo tramite il quale dai sostentamento alle creature, parallelamente Angelo individua nelle espressioni della terra il medesimo beneficio (tuo è il produr e il cibar / che a noi doni), così come da acqua, brina, luce e sole ricava il sostentamento vitale per gli uomini (tu puoi produr e ben disseti noi, non ci mancar, ché sempre vita ci dai). Ed ancora le concessioni alla bellezza, al conforto per l’animo e all’utilità quotidiana e domestica concesse dal legno ricavato dagli alberi (A delle piante, in varie età, / fu tolta la vita / e in ogni casa il suo abbellir / notte e dì fa compagnia) che nelle memorie di bambino dell’autore rinnovano la loro vitale «visione» e «rivivono» sotto nuova forma (il mobil di legno. / Grati noi siam di che contieni / da piccol, ricordo / che fece il nonno / sembrar occhi, i tuoi nodi / o vecchia madia).

(testo e foto di Flavio Zambon Tarabìn Modola)

A CURA DI VITTORIO JANNA TAVÀN

(testo e foto di Flavio Zambon Tarabìn Modola)

Chi la veder o la sognar di notte come gran sorgente perenne che cascata scende specchia il sol nel suo azzur e ai lati candidi vapor van sfumarsi nell’aria. Tu puoi produr e ben disseti noi, non ci mancar, ché sempre vita ci dai. A delle piante, in varie età, fu tolta a lor la vita e in ogni casa il suo abbellir notte e dì fa compagnia il mobil di legno. Grati noi siam di che contieni da piccol, ricordo che fece il nonno sembrar occhi, i tuoi nodi o vecchia madia. ANGELO JANNA TAVÀN

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Lasciano un grande vuoto... l’Artugna porge le più sentite condoglianze ai famigliari

Floriana Palossi

Floriana nel 2013 per i 70 anni del marito Fernando Del Maschio.

Floriana Palossi è nata a Castelraimondo, provincia di Macerata, il 10 ottobre 1940; ricevette dal padre Modesto, uomo integerrimo, un’educazione severa come si usava a quel tempo. Conseguito il diploma professionale in stenodattilografia e contabilità aziendale, a fine anni ’50 fu impegnata in occupazioni precarie in provincia di Macerata. Nei primi anni ’60, fu segretaria dattilografa presso il Centro Internazionale per un Mondo Migliore diretto dal famoso Padre Virginio Rotondi, gesuita, ancora noto insieme a Padre Lombardi con l’appellativo «microfono di Dio» per l’impegno

profuso nella propaganda cattolica degli anni ‘40-’50. Alla fine degli anni ’60, vinto il concorso nelle Poste Italiane, fu assegnata provvisoriamente a Budoia dove, dopo pochi giorni conobbe Fernando. Fu amore a prima vista, infatti dopo soli 9 mesi si sposarono e dopo altri 9, nel ’71, nacque la primogenita Mariarita, attualmente insegnante di matematica e scienze a Trieste. Nel frattempo fu assegnata definitivamente all’ufficio postale di Aviano dove rimase per 7 anni. Nel ’72 la famiglia aumentò con la nascita di Rosanna, attualmente ingegnere dirigente delle Ferrovie

dello Stato a Milano e nel ’76 nacque il figlio Giampaolo, attualmente ragioniere. La famiglia nel frattempo si sistemò nella casa della famiglia Del Maschio insieme con la suocera e la sorella della suocera. Alla fine degli anni ’70, potè rientrare a Budoia nell’Ufficio Postale dove divenne direttrice negli anni ’90 fino alla pensione avvenuta nel ’97. Di carattere dolce, tollerante e solare, fu benvoluta dal pubblico che cercava di servire nel migliore dei modi. Sempre vicina con discrezione al marito che ricopriva cariche pubbliche da lei non incoraggiate ma sostenute con pazienza. È stata una madre amorevole e sempre attenta ai bisogni della famiglia, assistendo come una figlia la suocera e la zia conviventi fino alla fine dei lori giorni. La sua vita è stata allietata dalla nascita degli amatissimi nipoti Daniele nel 2007 e Elisa nel 2012. Si è spenta improvvisamente il 10 giugno a causa della patologia cardio-circolatoria di cui soffriva da tempo, circondata dai suoi cari. Ricorderemo per sempre il suo sorriso dolce e la sua solarità. I FAMIGLIARI


Alberto Pez Il giorno 11 luglio 2017 è venuto a mancare Alterio (conosciuto da tutti come Alberto): marito, padre e nonno dal carattere forte, deciso ma molto generoso. Ti ricorderemo tutti con affetto. Una frase della scrittrice Isabel Allende incarna il nostro pensiero: «Non esiste separazione definitiva finché esiste il ricordo». LUCIA, CLAUDIA, SOFIA E STEFANO

*** Ciao Alberto! Quel giorno… mentre il silenzio della montagna ci avvolgeva… leggere gocce di pioggia, a tratti, cadevano su di noi. Nel piccolo cimitero solo il sordo brontolìo dello scavatore meccanico

si incuneava ‘irriverente’ tra i nostri pensieri e le tombe dei tuoi avi. Come leggere e silenziose cadevano le gocce di pioggia, così scendevano le lacrime della tua sposa, dei famigliari e degli amici. Ti abbiamo seguito e accompagnato fin lassù per affidarti, come desideravi, alla terra... la tua terra! E nel segno della croce, con l’aspersorio, ognuno di noi ti ha salutato. Ora i monti, che ti hanno visto bambino, ti faranno compagnia. Il vento ti porterà il canto degli uccelli, il profumo dei fiori, il buon odor della legna che arde nei focolari e gli echi di una parlata… a te familiare. I tuoi amici CLAUDIA, LUIGI, MELITA E VITTORIO

Antonio Braido Sarti, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi... Quando recentemente giornali, radio e televisione hanno annunciato la scomparsa di Giuliano Sarti, il classico portiere della «Grande Inter», alquanto dispiaciuti, abbiamo pensato che un atleta, uno sportivo, abituato a correre e a saltare, deve restare sempre giovane e forte. Invece... Dopo Luciano, Lorenzo, Wilmer, Giorgio il «piccolo Budoia» adesso ha perso Toni.

Mediano, mezzala, ala tornante andava avanti e indietro, difesa e attacco. Non ancora ventenne, contro il Vallenoncello allenato da Demetrio Moras, l’organizzatore della Pordenone Pedala, segnò due belle reti. Vogliamo immaginare Toni, lassù, in buona compagnia, su un prato verde sempre di corsa. Un saluto e un pensiero.

Toni Braido (il secondo, in piedi, da sinistra) con la maglia dell’A.S. Budoia e, a fianco, quindicenne, segnalinee dell’U.S. Polcenigo.

UGO PALA


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ecco La Riva de Messa

A S A N TA L U C I A

di Roberto Zambon

Fa sempre piacere quando le persone si mettono insieme allo scopo di impegnarsi per il paese e il territorio in cui vivono. È un segnale di vivacità e di buona volontà di cui il momento storico in cui stiamo vivendo ha molto bisogno. In queste pagine abbiamo più volte scritto relativamente alle due realtà associative sorte in questi anni a Dardago (El Comitato del Ruial de San Tomè e la Cooperativa agricola Cial de Mulin) che stanno richiamando l’interesse dei media e dei molti visitatori. Il 13 dicembre 2016 (giorno di santa Lucia) si è costituita l’Associazione La Riva de Messa che ha come scopo quello di promuovere le attività che permettano l’incontro dei cittadini di Santa Lucia e di valorizzare il patrimonio naturalistico, artistico e culturale del territorio. Più di qualche lettore si chiederà il perché del nome La Riva de Messa. Gli abitanti del paese, chiamano così la riva che porta alla chiesetta dove, per secoli, veniva celebrata la santa Messa, prima della costruzione della attuale chiesa parrocchiale. Quindi luogo di culto e di ritrovo. Nelle sue vicinanze, inoltre, si trova l’unica sorgente del paese. L’associazione, per il primo anno, è amministrata dal Consiglio Direttivo composto dai soci fondatori: – Presidente, Orfeo Gislon – Vice-presidente, Emilio Lachin – Segretario, Felice Fort – Consiglieri: Bianca Barraco, Corrado Besa, Eugenio Besa, Bolzan Mario, Busetti Antonio. Attualmente i soci sono 76. Nello statuto è previsto che l’Associazione possa tra l’altro: 34

– organizzare manifestazioni, incontri, conferenze, mostre, concorsi e corsi; – pubblicare e/o editare riviste, saggi, illustrazioni, siti web, ecc.; – creare contatti con gruppi, associazioni ed enti. L’Associazione intende affiancarsi alla Parrocchia per valorizzare il territorio, avendo anche la possibilità di richiedere contributi agli enti locali. La Riva de Messa non intende sovrapporsi a chi, in tutti questi anni ha lavorato per il paese. Molte tra le persone che hanno organizzato sagre, feste e quant’altro fanno parte dei soci fondatori della nuova realtà: l’associazione è aperta a tutti coloro che desiderano mettere a disposizione le proprie capacità ed esperienze per raggiungere gli scopi dello statuto. Anche le molte persone che in questi ultimi anni sono venute ad abitare a Santa Lucia possono associarsi: è un ottimo modo per conoscersi e integrarsi. Questi alcuni tra i prossimi eventi realizzabili: – Apertura della Chiesetta al colle, da fine aprile a ottobre, da parte dei volontari (già avviato); – Mostra fotografica su Santa Lucia ed il suo passato; – Le opere di Gianbattista Soldà Tita Maniàc, ricerca e classificazione; – Portoni aperti, fioriti, decorati; – Predisposizione di un opuscolo su Santa Lucia – la storia ed il paesaggio; – Sistemazione dei sentieri di Santa Lucia; – Organizzazione della Sagra e delle altre feste tradizionali. Non resta che augurare buon lavoro alla nuova associazione, auspicando che, in futuro, si senta la necessità di migliorare la collaborazione tra le varie realtà associative dei tre paesi.


CRONACA

Cronaca I 17 bambini della 1a Comunione, svoltasi quest’anno nella parrocchia di Dardago il 28 maggio (dall’archivio di www.artugna.it, foto di L. Basso e R. Dabrilli).

Le Rogathions a San Martin Anche quest’anno come da tradizione, il 25 aprile, numerose persone, provenienti da diversi paesi vicini, si sono date appuntamento nella chiesetta di San Martino, per la partecipazione alla Santa Messa nella ricorrenza di San Marco, e per la festa delle Litanie Maggiori con la benedizione dei campi, secondo la tradizionale rogazione. La celebrazione, officiata dal parroco don Maurizio Busetti, si è svolta in modo molto partecipato e devoto. C’è stato pure un augurio di buon onomastico per l’attivo chierichetto Marco Zambon. Come nelle antichissime rogazioni a conclusione del rito processionale veniva elargito dai camerari il pane da condividere tra i fedeli, così nel presente i volontari hanno concluso il rito con la distribuzione non solo del pane ma di un ricco e gustoso rinfresco.

Incontro con Gesù

Dopo un periodo di preparazione, seguiti con cura e amore dalla catechista Anna Rita, per 17 bambini delle nostre tre parrocchie è arrivato il momento tanto atteso: la Prima Comunione. Il giorno dell’Ascensione, domenica 28 maggio, accompagnati dai loro genitori, sono stati partecipi e attenti alla celebrazione nella chiesa parrocchiale di Dardago, gremita come non mai. I fiori, le musiche e i canti hanno fatto da coreografia alla loro gioia per questa grande festa. Il nostro auspicio è che questo sia il primo di una innumerevole serie di incontri con Gesù nell’Eucarestia. Ecco i loro nomi. Budoia: Matteo Borlenghi, Marco Brotto, Riccardo Callegari, Giuseppe Carlon, Nicol Carlon, Caterina Curatolo, Daniele Del Maschio, Lea Di Fusco, Nicole Esposito, Nicholas Ricci, Martina Toffoli. Dardago: Nicolò Bianchi, Nicola

’Na nova botega

Nella tarda primavera è stato aperto un nuovo negozio di merceria, nella piazza di Budoia. Era ai tempi della Felicita Varnier Coca e della Lalla Fregona che non si vendevano più aghi e fili, nel capoluogo. Ci auguriamo che le nuove generazioni riscoprano l’arte della manualità, appartenente oramai ai tempi delle nonne. 35

Crestan, Tommaso Comin, Lorena Grassi, Giovanni Zambon. Santa Lucia: Aurora Rui.

La gran cialdiera e un giro ’n tel Cunath Per la gioia dei convenuti in località Ciàmpore il 21 maggio scorso la grande cialdiera per la polenta è stata inprimadha da Chei del Ruial. Per l’inaugurazione sono serviti: 80 litri d’acqua, 20 kg di farina e 3 mestoli grandi come remi. Ringraziamo la carpenteria Giuseppe Del Maschio, la falegnameria Gianni Zambon Rosit e tutti gli organizzatori. Un mese dopo, il 18 giugno, un gruppo di escursionisti, percorrendo i sentieri 990 e 994, ha visitato il ‘nostro’ Cunath attraversando un paesaggio sconosciuto ai più. Suggestive sono state le immagini dello splendido canyon rimaste nella memoria dei partecipanti. EURIDICE DEL MASCHIO


I Alpins a Santa Luthia La prima uscita ufficiale da Capogruppo per Mirco Andreazza si è tenuta a Santa Lucia di Budoia, per l’annuale raduno. Presenti il Sindaco De Marchi con l’Assessore Mario Bolzan, il ten. col. Antonio Esposito per il Comando ‘Brigata Alpina Julia’ e, per conto della sezione di Pordenone, il vice presidente vicario Mario Povoledo. Dopo le cerimonie dell’alzabandiera e della deposizione della corona al Monumento, accompagnate dal valido trombettiere Diego Rover, è seguita la Santa Messa nella Parrocchiale, accompagnata dalla Corale Julia di Fontanafredda, ove anche Mirco fa parte. Con la consegna di cinque tessere di nuovi iscritti e la benedizione del nuovo gagliardetto del Gruppo, la giornata si è conclusa con un brindisi a tutti i convenuti e il pranzo sociale presso un ristorante della zona. Significativi due impegni che il Gruppo di Budoia si è assunto: la manutenzione ordinaria dei Monumenti del Comune e del parco di via Capitan Maso e il taglio dell’erba, unitamente al Gruppo di Polcenigo, della Caserma Stazione Carabinieri di Polcenigo. MARIO POVOLEDO

Festa de la Verta a Santa Luthia Il 2 giugno, si è svolta la 6a ‘Festa di Primavera’, a Santa Lucia di Budoia con la collaborazione di Scuole Primaria e per l’Infanzia, Associazione GIM, Azienda Agricola ‘Orto Goloso’ e della neo Associazione di Santa Lucia «La Riva de Messa». La giornata è iniziata con una piacevole e interessante passeggiata naturalistica alla scoperta del bosco, seguita da laboratori creativi e da giochi di gruppo. Al termine della mattinata si è svolta la cerimonia ufficiale della Festa della

Un momento della cerimonia presso il monumento ai Caduti di Santa Lucia (dall’archivio di www.artugna.it, foto di L. Basso e R. Dabrilli).

Repubblica con la deposizione di una corona al Monumento ai Caduti, accompagnata dal coro degli Alpini e seguita dal discorso del sindaco Roberto De Marchi che ha voluto coinvolgere anche gli alunni delle scuole, al fine di sensibilizzarli ai valori civili della Repubblica Italiana. La Pro Loco di Budoia ha organizzato il pranzo conviviale, nell’area verde adiacente il parcheggio.

Scole pì segure

Proseguono velocemente i lavori per la ricostruzione con criteri antisismici dell’ala delle Scuole Primarie di Budoia adiacente al Municipio. L’edificio, dopo una verifica strutturale, era stato dichiarato inagibile dal sindaco Roberto De Marchi nell’aprile dello scorso anno. Lo svolgimento dell’anno scolastico è proseguito normalmente gra-

zie allo spostamento di alcune classi nei locali antisismici della mensa, adiacenti alla scuola. Per la mensa, gli alunni hanno potuto usufruire della sala riunioni al piano terra della Cjasa del Comun. Nel frattempo l’amministrazione comunale aveva provveduto a far preparare e approvare il progetto esecutivo e a richiedere un finanziamento regionale per un milione e centomila Euro. Ottenuto il finanziamento, è partito il cantiere della Cella Costruzioni Srl di Flaibano,un anno dopo la dichiarazione di inagibilità. I lavori dovrebbero concludersi all’inizio del prossimo anno.

’Na mostra e... altre robe su la ferovia «Un viaggio… a scatti. Stazioni e paesaggi sulla Sacile-Gemona» è il titolo della mostra fotografica, inaugurata il 17 giugno nel Teatro Comunale di Dardago. Altri gli eventi

Budoia, via Panizzut. Il cantiere per la ricostruzione antisismica delle Scuole Primarie.

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103!

Un libre de fotografie

È stato presentato in primavera il libro di foto artistiche dell’avianese Stefano Gislon, fotografo del noto studio di famiglia, giunto alla terza generazione. Il suo obiettivo ha immortalato con originalità scorci caratteristici dei nostri tre paesi e dei dintorni, Mezzomonte e Castello d’Aviano.

Festa de la fameia in compagnia Anche quest’anno si è rinnovato l’incontro delle famiglie in occasione della festa di San Tommaso, il 2 luglio, nella chiesetta votiva a lui dedicata, nella valle omonima. Un’ottantina di persone dei tre paesi e tanti amici hanno partecipato alla Santa Messa e goduto alcune ore di convivialità e di serenità nello stupendo scenario naturale di Val de Croda, reso accogliente pure dall’intervento dei soliti volontari, che ogni anno si mettono generosamente a disposizione, per far trascorrere una divertente e gioiosa scampagnata. Nonostante qualche goccia di pioggia, nessuno ha abbandonato il piatto di pastasciutta, gli affettati, il dolce o il gustoso vinello per correre al riparo. Un grazie ai volontari.

Non passano inosservate le grandi cifre appese all’esterno del portone di Marianna Carlon, in via Cardazzo. Per lei il tempo sembra essersi fermato: anno dopo anno, la ‘nostra’ ultracentenaria ringiovanisce e diventa sempre più loquace e di compagnia. I primi a congratularsi del traguardo la sua paziente e inseparabile Origia, considerata come una ‘figlia‘, gli affezionati Fiorina e Florio, l’affezionata infermiera domiciliare con il marito, i parenti... e poi autorità e tanti tanti amici e conoscenti.

60 anni insieme. Fortunato Rui e Rina Mies hanno ricordato in sordina l’anniversario di sessant’anni di vita insieme, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia. Per l’occasione, il parroco don Maurizio Busetti e i membri del Consiglio Parrocchiale Affari Economici hanno fatto pervenire agli sposi la pergamena di benedizione di Papa Francesco. Un doveroso grazie ai due sposi per l’impegno profuso per la parrocchia dal momento del loro arrivo a Budoia; in modo particolare a Fortunato per l’assidua e competente azione svolta nel Consiglio e per la comunità parrocchiale. E ancora, di cuore: Ad multos annos. MARIO POVOLEDO

Auguri dalla Redazione!

E siamo a quota

inno alla vita

collaterali per la promozione della ferrovia pedemontana, organizzati da Amministrazione Comunale, Lis Aganis, Associazione Gim, Cinema Zero, Comitato il Ruial e Per le Antiche Vie: proiezione del video documentario «La ferrovia Pedemontana da Sacile a Venzone. Un viaggio tra storia, arte e natura»; presentazione del volume «Fascino del treno» di Romano Vecchiet; proiezione del film «Mario Monicelli sui luoghi della Grande Guerra» e incontri con testimoni ferroviari.


[ recensione]

I ne à scrit... l’Artugna · Via della Chiesa, 133070 · Dardago (Pn) direzione.artugna@gmail.com

Palgrave – Ontario, 15 maggio 2017

AGATA Carlo Zoldan, collaboratore e amico de l’Artugna, non finisce di stupirci. Il suo recente lavoro, Agata – Storia e storie di una donna emigrata per sempre in Brasile, arricchisce la serie delle pubblicazioni da lui scritte per raccontare la storia e la tradizione della sua gente basandosi su testimonianze orali e sulle fonti documentali. Lo spunto per la realizzazione di questo volume è venuto dalla ricerca di dati e informazioni per la creazione dell’albero genealogico di una famiglia di Sarone emigrata in Brasile alla fine dell’800. Emerge la figura di Agata De Re Triliga moglie di Antonio Domenico Fedrigo Menegoto. È la donna forte della famiglia che ha tramandato a nipoti e pronipoti i sui ricordi dei due mondi profondamente diversi in cui è vissuta per molti anni. Su queste basi, Carlo Zoldan ha creato un libro che si fa leggere con piacere. È una trilogia che descrive il dramma di una donna costretta a lasciare il paese natio per un mondo lontanissimo e sconosciuto (La via crucis di Agata); il racconto, effettuato da Agata durante il lungo viaggio transoceanico, sul modo di vivere e sulle tradizioni del paese natio (Il ricordo del mondo lasciato) e il difficile insediamento in Brasile (Il sentiero di Agata). È un racconto storico basato su fatti e luoghi reali e con personaggi effettivamente esistiti. Carlo Zoldan li descrive con un dettaglio e una precisione stupefacente. Frutto del suo amore per quei luoghi e della sua capacità come ricercatore e narratore. ROBERTO ZAMBON

Carissima Redazione, Vi faccio pervenire la fotografia di mio fratello Antenore Bocus Frith, con alcuni suoi amici, prima della partenza per il Canada, 60 anni fa. Un caro saluto a tutti e grazie per

l’Artugna che riceviamo sempre con molto piacere. GIACINTA NADIA BOCUS

Grazie, Giacinta, della bella fotografia che pubblichiamo tra le foto storiche e grazie per la generosa offerta.

[...dai conti correnti ] La mia offerta pro l’Artugna. Mandi. LUCA GIOVANNI FORT – GARBAGNATE MILANESE

Con i più affettuosi ringraziamenti e auguri di buon lavoro! SILVANA BOCUS PISU – SUSEGANA

In memoria di Ferdinando Rigo, Anna, Maria, Marcella, Elisa e Natale De Marchi.

CARLA RIGO – SANTA LUCIA

Per l’Artugna che ricevo e leggo sempre volentieri. VERENA ZAMBON – TORINO

bilancio Situazione economica del periodico l’Artugna Periodico n. 140

entrate

Costo per la realizzazione

4.200,00

Spedizioni e varie

276,00

Entrate dal 01.04.2017 al 15.07.2017

3.577,00

Totale

3.577,00

A DARDAGO PER L’ASSUNTA Nei 3 giorni che precedono la Festa Patronale dell’Assunta Chei del Ruial faranno rivivere l’antica tradizione.

SABATO 12 AGOSTO DOMENICA 13 AGOSTO LUNEDì 14 AGOSTO

ORE 19

TORNANO LE

uscite

GRATHADHE

4.476,00


PROGRAMMA RELIGIOSO PER L’ASSUNTA Sabato 12 agosto

Lunedì 14 agosto

ore 16.00 Confessioni ore 18.00 Santa Messa prefestiva

ore 10.00 in cimitero a Dardago Santa Messa in suffragio di don Romano Zambon e di tutti i dardaghesi defunti ore 18.00 Santa Messa prefestiva a Budoia

Domenica 13 agosto ore 10.00 Santa Messa

Martedì 15 agosto ore 10.30 Santa Messa solenne a Dardago accompagnata dalla corale Santa Maria Maggiore ore 18.00 Santa Messa vespertina a Santa Lucia


Riccio Erinaceus europaeus – Rithabàr

❖ Dal livello del mare sino a circa 2.000 metri il riccio comune è presente in gran parte dell’Europa. In Italia lo troviamo in tutte le regioni, comprese le isole maggiori. Questo piccolo mammifero predilige vivere nei boschi, tra i cespugli, nei campi sino anche nelle periferie delle città. La parte superiore del suo corpo, allo scopo puramente difensivo, è ricoperta da un numero considerevole di aculei. Quando il riccio si sente minacciato o avverte un pericolo, si appallottola su se stesso, nasconde testa e ventre, le sue parti più vulnerabili, ed espone così solo le spine acuminate. Durante il giorno si nasconde dentro tane ed entra in attività solo verso il crepuscolo. Sebbene lo si pensi animale da terra, è anche abile nuotatore. Nelle stagioni fredde, cercando sempre posti riparati e protetti, entra in letargo. Mediamente un riccio vive 5-6 anni. La femmina partorisce due cucciolate l’anno, generalmente composte da 4-6 piccoli. Il riccio comune è onnivoro, utilissimo in agricoltura e negli orti, si nutre prevalentemente di insetti, lumache, rane, frutta, vari vegetali, topi e serpi. I suoi antagonisti sono i cani, le volpi, i tassi, i gufi... e le macchine. Sono infatti fra i 2 e 3 milioni i ricci che ogni anno perdono la vita mentre attraversano la strade. Solo la buona volontà e la sensibilità degli automobilisti basterebbe a limitare il triste fenomeno.


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