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ANNO XLVIII / AGOSTO 2019 / NUMERO 147 PERIODICO DELLA COMUNITÀ DI DARDAGO / BUDOIA / SANTA LUCIA
1915 > 2015 1918 > 2018 CENT’ANNI DALLA GRANDE GUERRA
per non dimenticare Con questo numero si conclude la pubblicazione degli inserti «Cent’anni dalla Grande Guerra» iniziata a Pasqua 2015, con il numero 134 de l’Artugna. In questi quattro anni sono stati realizzati 14 inserti per un totale di 112 pagine.
L a redazione ha ideato e realizzato quest’importante iniziativa editoriale per ricordare e far riflettere sulla immane tragedia che fu la prima Guerra Mondiale. Un evento che interessò quasi tutte le nazioni dei cinque continenti, causando un numero imprecisato di vittime, nell’ordine di decine di milioni di morti e feriti, oltre ad ingentissimi danni e distruzioni. Un ricordo e una riflessione sulla sciagurata follia di tutte le guerre. In ogni numero, una sezione è riservata all’evolversi della guerra a livello nazionale ed internazionale con la cronologia dei fatti avvenuti cent’anni prima e l’analisi di uno o più eventi che hanno caratterizzato il periodo preso in considerazione. Un’altra sezione si occupa delle conseguenze del conflitto per i nostri paesi e per i nostri nonni: dall’entrata in guerra, all’occupazione delle nostre terre, al fenomeno dei profughi, fino alla vittoria finale. Tutto ciò grazie alle ricerche della redazione oltre al materiale e alle informazioni forniti dai nostri lettori. Un’importante fonte sono stati gli appunti che don Romano Zambon, pievano di Dardago, riportava nel suo diario e le annotazioni dei sacerdoti che curavano Budoia e Santa Lucia. Per onorare i nostri Caduti abbiamo ideato la rubrica «I nostri Eroi» per ri-
cordare qualcosa di più rispetto al nome e cognome riportato sui monumenti. Abbiamo considerato «eroi», indipendentemente dalle onorificenze ricevute, tutti coloro che, sradicati dalla loro quotidianità, furono inviati a combattere e a sopportare mesi o anni di sofferenza. Molti di loro non rividero i loro cari: 105 giovani del nostro Comune morirono a causa della guerra. Grazie alle ricerche della redazione, abbiamo trovato, per quasi tutti, una foto e, per molti, le cause e il luogo della morte. Oltre alle notizie fornite dai parenti, la redazione ha svolto un faticoso lavoro di ricerca e di verifica dei dati per poter dare, per ognuno, più informazioni possibili. Di alcuni abbiamo recuperato il Foglio Matricolare con tutte le informazioni sulla vita militare e sulle cause della morte. Tutti gli inserti sono arricchiti da preziose foto storiche, molte inedite, che aiutano il lettore ad immergersi nella quotidianità di quegli anni difficili. Collante di tutto questo lavoro è il vivo racconto della guerra vissuta dal dardaghese Antonio Parmesan, classe 1887, che ebbe la forza e la costanza di aggiornare un ricchissimo diario. Gran parte del testo è stato trascritto e pubblicato rispettando la versione originale.
È stata preparata una apposita copertina per poter rilegare e conservare tutti i 14 inserti pubblicati. Essendo stati inseriti nelle pagine centrali, è facile estrarli senza danneggiare l’inserto e la rivista. Chi fosse interessato a rilegare i propri inserti può farli pervenire a Roberto Zambon – Dardago o a Vittorina Carlon – Budoia. Coloro che fossero sprovvisti di qualche inserto, possono richiederli ai nominativi sopra riportati. Il costo di ogni inserto arretrato è di 5,00 euro. Per ulteriori informazioni è possibile inviare una mail a direzione.artugna@gmail.com o telefonare al 348 8293208
LA LETTERA DEL PLEVÀN
Non voglio mica la luna! di don Maurizio Busetti Questa espressione usata come titolo della canzone di Fiordaliso negli anni ’80 riecheggiava un’espressione di allora che stava ad indicare che non si chiedeva l’impossibile. Oggi dopo cinquant’anni dalla conquista della luna da parte dell’uomo, con tutte le commemorazioni non stop che si sono fatte in questi giorni, non possiamo più affermare questo. L’arrivo sulla luna è avvenuto, forse tra qualche decennio si organizzeranno anche gite turistiche su quel pianeta, una barca di capitali sono stati impiegati per questo avvenimento scientifico che inorgoglisce l’uomo e soprattutto gli scienziati e le potenze mondiali che hanno reso possibile l’impresa. Ma tutto questo che cosa giova all’uomo comune, all’uomo che combatte sulla terra per un pezzo di pane? che affronta i rischi del mare per trovare pane, libertà, sicurezza, pace e un futuro sereno? Guerre, stragi, persecuzioni, malattie affliggono l’umanità su tutta la terra. A che serve essere andati sulla luna? Dio non ci impedisce di sviluppare la scienza e di crescere nella comprensione dell’universo, ma ci invita ad occuparci soprattutto dell’uomo sulla terra, del bisognoso, del sofferente, del disprezzato,
sulla terra nella persona di quel fragile Bambino che Ella aveva dato alla luce, di quell’uomo che predicava, compiva miracoli, pativa, moriva e risorgeva, che amava e che aveva accompagnato nelle varie fasi della sua vita e dopo aver collaborato con la chiesa nascente, fu Assunta alla gloria del cielo in anima e corpo. Primizia delle creature risorte per continuare ad assistere noi suoi figli e, come stella luminosa, indicare ai naviganti in questo nostro pericoloso mare, il porto sospirato verso il quale tende ogni anima che desidera la felicità. Al di là del sole, della luna e di tutti gli altri pianeti che sono solo una pallida e sbiadita immagine del vero Cielo.
cercando di portarli ad un’esistenza veramente umana, di farci buoni samaritani, sull’esempio di Lui che è venuto nel mondo per farsi solidale con noi e aprirci una strada per la salvezza. Se noi leggiamo la Bibbia possiamo notare come certamente essa parla delle stelle, delle costellazioni, della struttura del cielo, con le cognizioni scientifiche dell’epoca, superate dalle ulteriori scoperte scientifiche, ma ci invita soprattutto, come diceva il grande Galileo Galilei sotto inquisizione, a trovare la strada per raggiungere il cielo. Il cristiano sa che deve guardare in alto per scoprire la presenza di Dio e prepararsi all’incontro con Lui nella sua casa. Deve agire su questa terra per conquistare il Paradiso. In questi giorni del Ferragosto, la Chiesa ci invita a volgere il nostro sguardo a Colei che, dopo aver compiuto il suo percorso terreno, vedendo il cielo
A tutti i migliori auguri di godere lieti giorni di riposo e di rinnovamento personale.
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LA RUOTA DELLA VITA IMPORTANTE Per ragioni legate alla normativa sulla privacy, non è più possibile avere dagli uffici comunali i dati relativi al movimento demografico del comune (nati, morti, matrimoni). Pertanto, i nominativi che appaiono su questa rubrica sono solo quelli che ci sono stati comunicati dagli interessati o da loro parenti, oppure di cui siamo venuti a conoscenza pubblicamente. Naturalmente l’elenco sarà incompleto. Ci scusiamo con i lettori. Chi desidera usufruire di questa rubrica è invitato a comunicare i dati almeno venti giorni prima dell’uscita del periodico.
NASCITE Benvenuti! Abbiamo suonato le campane per l’arrivo di... Andrea Nadal di Gianfranco e di Daniela Zgeela – Budoia Anna Chiara Nadal di Gianfranco e di Daniela Zgeela – Budoia Lara Modolo di Luca e di Paola Zuodar – Udine
MATRIMONI Felicitazioni a... Alessandro Meneguzzi e Alida Cimarosti – Dardago Alessandro Manzi e Tetyana Keyvan – Berlino Nozze d’argento Doriano Sartori e Monica Del Maschio – Aviano Nozze d’oro Luigi Lacchin Bof e Clara Teghil – Lignano Sabbiadoro (Ud)
LAUREE, DIPLOMI Complimenti! Licenza Media Superiore Sara Pujatti – Maturità Scientifica – Budoia Lisa Pujatti – Maturità Classica – Torino Maraja Bottecchia – Istituto Tecnico Industriale (Meccanica) – Dardago Marco Cesaro – Liceo Scientifico – Dardago Diego Fort – Istituto Tecnico Industriale (Informatica) – Dardago Vanessa Pellegrini – Liceo Classico – Dardago Francesco Petretti – Istituto Alberghiero – Dardago Alessandra Greco – Liceo Linguistico – Budoia Tommasina La Manna – Liceo Scienze Umane – Santa Lucia Giacomo Pes – Liceo Scientifico (Scienze Applicate) – Budoia Francesco Pes – Amministrazione Finanza e Marketing – Budoia Alessandro Angelin – Liceo Scientifico – Parma Riccardo Zambon – Istituto Tecnico Settore Tecnologico. Meccanica (100) – Budoia Joelle Bianchi – Liceo Classico – Milano Laurea Marco Pujatti – Laurea Ingegneria Gestionale – Budoia Marta Ferronato – Laurea in Scienze della Formazione Primaria – Venezia
DEFUNTI
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Riposano nella pace di Cristo. Condoglianze ai famigliari di…
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Anna Vettor di anni 98 – Budoia Gabriella Rosanna Zambon di anni 81 – Dardago Enrico Zambon di anni 69 – Dardago Ezelinda Maglioretta di anni 88 – Budoia Lidia Bastianello ved. Busetti di anni 95 – Dardago Linda Fort di anni 99 – Santa Lucia Irma Zambon di anni 71 – Roveredo in Piano Tommaso Andreazza di anni 78 – Budoia Pia Zambon di anni 92 – Dardago
L’ARTUGNA PERIODICO DELLA COMUNITÀ DI DARDAGO BUDOIA / SANTA LUCIA BUDOIA
DARDAGO
SANTA LUCIA
IN QUESTO NU MERO
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@ direzione.artugna@gmail.com
facebook.com/ArtugnaPeriodico Direzione, Redazione, Amministrazione Via della Chiesa, 1 · 33070 Dardago [Pn] Conto Corrente Postale 11716594 IBAN IT54Y0533665090000030011728 dall’estero aggiungere il codice BIC/SWIFT BPPNIT2P037 Direttore responsabile Roberto Zambon · cell. 348.8293208 Per la redazione Vittorina Carlon Impaginazione Vittorio Janna Contributi fotografici Ezio Burelli, Vittorina Carlon, Vittorio Janna, Francesca Romana Zambon, Ed inoltre hanno collaborato Francesca Janna, Mario Povoledo, Espedito Zambon, Gianni Zambon Rosìt Stampa Sincromia · Roveredo in Piano/Pn
2 Per non dimenticare 3 La lettera del Plevàn di don Maurizio Busetti 4 La ruota della vita 6 Berto, binvignùt a ciasa! di don Simone Toffolon 8 A due voci di Fabrizio Fucile 11 Il Piede da trincea di Roberto Zambon 12 Resti archeologici di una villa rustica romana a Ronthadel a cura di Angelo Pusiol 14 A colloquio con… il sindaco uscente Roberto De Marchi e il neo eletto sindaco Ivo Angelin a cura di Roberto Zambon 18 Son tornadi a votà 19 Il valore aggiunto della missione cristiana di Alessandra Marcon 21 Ad Aosta una madre, una storia… di Fabrizio Fucile 23 Quando il passato si fonde con il presente di Francesca Romana Zambon 26 Chernobyl a trentatrè anni dallo scoppio della centrale di Alessandro Fontana 29 Luglio 1969: la vita a Dardago, sul monte Ararat e... sulla luna! di Ezio Burelli
Autorizzazione del Tribunale di Pordenone n. 89 del 13 aprile 1973 Spedizione in abbonamento postale. Art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone. Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione di qualsiasi parte del periodico, foto incluse, senza il consenso scritto della redazione, degli autori e dei proprietari del materiale iconografico.
32 Prima Festa del Donatore di Pietro Zambon 33 Ecco il Comitato del Cuore di Katia Gavagnin 34 L’angolo della poesia 35 Lasciano un grande vuoto...
37 Il loro ricordo non sfuma Osvaldo Puppin di Guido Biscontin 38 Scherthi de ’na volta di Fernando Del Maschio 39 la Cronaca 41 l’Inno alla vita 42 I ne à scrit... ...dai conti correnti Il bilancio 43 Programma Dardagosto
ED INOLTRE...
Cent’anni dalla Grande Guerra ultimo inserto (n. 14) a cura di Vittorina Carlon, Vittorio Janna e Roberto Zambon IN COPERTINA Umberto Martina, Estasi di Santa Teresa (particolare) olio su tela, cm 55x70. La Pieve di Dardago riceverà a breve quest’opera dell’artista considerato uno dei più importanti e vigorosi pittori friulani della prima metà del ’900. La Comunità è grata al Museo Diocesano di Arte Sacra e al suo direttore per la sensibilità e disponibilità dimostrate. [foto di Vittorio Janna Tavàn]
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A 75 ANNI DALLA SCOMPARSA DELL’ARTISTA PITTORE
In questa torrida estate Dardago si prepara a ricevere e custodire un’opera di Umberto Martina. All’illustre compaesano sinora è stata intitolata una via del paese e allestita una mostra nel 1985 in occasione del 7° Centenario della Pieve.
Berto,
Nella nostra comunità rivivranno così quelle profonde radici, apparentemente dimenticate, ma mai rimosse dalle nostre crode.
binvignùt a ciasa! di don Simone Toffolon incaricato diocesano per l’arte sacra e i beni culturali
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Ho ricevuto un prezioso insegnamento, da quegli anziani che nel tempo passato si erano trovati costretti a partire per orizzonti lontani in cerca di vita dignitosa: l’albero, quando viene tagliato, perde il suo contesto di nascita, e lo portano altrove, ma le radici restano ben radicate nel terreno – sepolte – ma ficcate in terra. Non si disconoscono, non si rinnegano: esistono.
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Umberto Martina, (Dardago 1880-Tauriano di Spilimbergo 1945) visto dall’allievo Virgilio Tramontin.
Chiudo gli occhi e accendo lo sguardo delle memorie, e immagino Dardago nel 1880: non un contesto in bianco e nero da fotografia sbiadita, voglio accender i colori dei vissuti, le architetture in sasso, i portoni aperti, il profilo elegante della chiesa; colloco nei contesti opportuni segni e gesti dei giorni uguali ai giorni, vita di paese, umana e cristiana. Il 12 luglio di quell’anno nasceva Umberto Martina, e il suo nome, fermato con la grafia curata dei parroci d’un tempo, è profilato con l’inchiostro nel registro dei battesimi. Di lì a poco la famiglia lo portò con sé a Venezia, dove l’albero della sua infanzia e della sua giovinezza s’irrobustì, e prese vigore in età e in intelligenza; il suo sguardo, accesosi da bambino nei contesti boscosi della Pedemonatana, s’immerse poi nelle luci e nelle grazie delle acque di
quella città di fascinosa storia ed arte, e fu allievo all’Accademia. Eppure, mi sia concesso, le radici non smettono di vibrare: nell’opera di Umberto Martina la sua terra, che poi tornò ad essere friulana quando prese casa a Tauriano di Spilimbergo, è un continuo riproporsi di forme, di tinte, e di spessore. La sua grande capacità di ritrattista lo rese per tutta una vita capace di raccontare non solo il profilo dei volti, ma di dare forme ai sentimenti, quasi che la sua pittura, il colore denso e pastoso, fosse una materia viva e vibrante ch’egli, con mani robuste, plasmava: gli occhi della gente di popolo, i lineamenti delle donne segnate dalla fatica, cotte da sole; le rugose fronti di uomini fiaccati, i capelli raccolti, le barbe fluenti; sguardi melanconici, poi luminosi; sorrisi spenti, velati, composti e reali; po-
che era d’uso in casa, Martina lo ferma sulla tela, come un fotografo artista: penso, nel Duomo di Portogruaro, all’elegantissimo vaso di fiori con tre rose che sembrano appena colte in giardino, ai piedi d’una Santa Cecilia; e all’esile candelabro nella scena di Guido d’Arezzo, con lo scanno monastico appena socchiuso, dal quale trabocca il disordine libresco della creatività e della musica. Pochi colpi di pennello, per tratteggiare uno stile. L’opera di Martina trasuda di questa umanità concretissima. Nei volti – nei ritratti quindi – e an-
che nei profili destinati alle pale d’altare, si coglie la vita. Nel suo pennello non c’è solo il profumo del vissuto, ma c’è davvero l’odore della gente. Fu pittore sempre rimasto uomo, profondamente uomo, e uomo di paese. E la sua arte racconta anche questo. Luce e ombre; anche ferite, e cicatrici. *** Mi sia concesso d’aver condiviso con grande semplicità, senza la volontà del rigore di studio e di scienza che dovrebbe essere proprio d’uno storico dell’arte, ma con gli intenti di consegnare confidenze, e riflessioni.
una raffinata ed elegante Santa Teresa Si è creduto di voler affidare al paese natale di Umberto Martina una delle sue opere, una raffinata ed elegante Teresa in estasi, che si avrà modo poi di contemplare, e di raccontare in ogni risvolto. Gratitudine al professor Paolo Goi che – quando ne era conservatore – l’acquisì per le collezioni del Museo Diocesano: se ora può esser posta in chiesa, come opera d’arte, come strumento di fede, credo sia occasione felice per tutti, anche per ricordarci che le radici di Martina, nella terra di Dardago, esistono ancora.
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sture, vestimenti, scialli e strumenti… tutto quel che lo sguardo ha colto nel tempo viene riproposto, e le radici palpitano, e danno frutto. C’è tanto Friuli nei suoi ritratti; c’è anche Dardago. L’arte di Umberto Martina non è mai idea, concetto di bello; non si ferma alla grazia, al disegno, alle forme, con i suoi equilibri, le proporzioni, in altezza e profondità. La sua arte non si vede e basta: va toccata. La forza del suo pennello non accarezza la tela grezza di lino o di cotone, sembra invece inciderla, come l’aratro scava la terra fertile e le dà fecondità, e il tracciato del pennello lascia il segno dell’aratura, e da spessore e verità al racconto figurato. Penso al bel San Lorenzo dell’altare laterale, ad Aurava: alla sua dalmatica che tutto lo copre, fino ai piedi, d’un rosso che è al tempo stesso la tinta dei filati e il riverbero della fiamma d’un fuoco; il camice bianco, coi fregi nobili della liturgia, ma con lo spessore dei cotonacci, del lino robusto – fresco e autentico, pungente e ruvido – : trama e ordito composti non a telaio ma col gioco di pennello; e il povero, che tende la mano, ha il profumo dell’osteria. Mi si riaccende nello sguardo la memoria della Madonna della Salute, al San Rocco di Spilimbergo, davanti alla quale ho avuto la grazia di celebrare quando vi ero cappellano: lo sguardo di quella donna penetrava, uno sguardo che s’accendeva su un volto elegantissimo, pallido, ma illuminato – più che dallo sguardo – da un sorriso gentilissimo, appena disegnato; e quel Bambino, decisamente in salute, puffuto, non aveva nulla di divino, ma per questo era perfettamente solidale – lui, in punta di piede sul pesante manto della Madre – con ogni piccolo accoccolato nelle coltri delle culle di tante case. In questo Martina era profondamente democratico. La sua arte rese il divino impastato di umano, marcando con forza i segni della concretezza, e velando un sacro stucchevole, anacronistico, persino poco credibile. Quello
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Dialogo informale per una guida all’ascolto del Requiem di Mozart tra un direttore di professione ed un direttore per caso e per passione...
a due voci di Fabrizio Fucile
Nella cronaca dello scorso numero avevo affermato che sono le strade dell’amicizia e della collaborazione che portano come frutto l’esecuzione del Requiem di Mozart a Budoia il 10 novembre 2018 (in memoria dei caduti di tutti i conflitti nel centenario della fine della prima guerra mondiale) e a Vittorio Veneto il 31 marzo scorso. Sicuramente un legame di reciproca stima tra tutti gli esecutori della famosa pagina, ma in particolare una ferma convinzione ed un sentimento comune di affettuosa condivisione hanno unito me e Gaetan nel portare a termine questo progetto. Ecco perché abbiamo voluto dialogare su questo sublime momento della letteratura musicale, offrendo – compagne le personali competenze – qualche motivo di riflessione.
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Ci siamo posti alcuni interrogativi per suggerire un nostro itinerario tra i numeri della composizione.
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Chiesa Santa Maria Maggiore di Dardago. Particolare dell’altare della Madonna della Salute.
Qual è la tua particolare storia con il Requiem?
Fabrizio > La prima volta che l’ho ascoltato dal vivo era eseguito dalla Schola Cantorum Gedanensis, oggi Polski Chór Kameralny, allora e ancora diretto da Jan Lukaszewski. Era un periodo in cui la formazione polacca passava spesso dalle nostre zone e grazie alla collaborazione di varie realtà associative di volontariato si esibiva nelle parrocchie che potevano garantire un compenso che li aiutasse ad integrare il loro stipendio piuttosto modesto. Quando nella fuga Cum sanctis tuis in aeternum il direttore
Fabrizio Fucile
Gaetan Nasato Tagnè
Fabrizio, nato a Santa Lucia (Pn), si laurea in Filologia Medievale e Umanistica. Insegna materie letterarie in vari istituti. Nel 1990-95 è esercitatore di latino e filologia umanistica all’Università di Bergamo e nel 1996 consegue il dottorato di ricerca in Italianistica a Messina. Si stabilisce a Roma dove insegna italiano L2 presso il Centro Linguistico Italiano Dante Alighieri e dal 2000 assume il ruolo di direttore didattico. Due grandi passioni: la storia del suo paese e quella per la musica vocale che esprime in una trentennale attività di direttore di coro. Fonda nel 1987 e dirige sino al 1998 il Collis Chorus e dal 1999 l’Insieme Vocale Elastico.
Gaetan, laureato in Filosofia, diplomato in pianoforte al Conservatorio di Castelfranco Veneto, ha studiato composizione, Musica da Camera, direzione di coro ed ensemble strumentale. Partecipa a numerosi master pianistici e di composizione. Come baritono corista ha eseguito gran parte del repertorio sinfonico corale. Dal 2005 suona in formazione cameristica con repertorio tardo romantico e novecentesco. All’attività pianistica affianca quella direttoriale sviluppata nell’interesse per la musica vocale a cappella ottenendo diplomi e riconoscimenti. Ha fondato e dirige cori da camera; ha all’attivo numerose composizioni.
A CURA DELLA REDAZIONE
ha chiesto ai solisti di unirsi al coro, nella comunione di suono e di intenzioni ho avvertito come un abbraccio sonoro che voleva avvolgere non solo le persone presenti, ma l’intero spazio acustico a disposizione e correva a consumare un tempo fermo dentro a quella musica. In quell’attimo ho creduto che fosse l’umanità tutta ad elevare un accorato appello al signore della vita perché assicurasse l’accoglienza eterna e nel contempo l’eternità stessa prendeva forma da quel suono. Ogni volta che in seguito l’ho riascoltato, nel dono poi ricevuto di dirigerlo e cantarlo, ho sempre avvertito quell’emozione. Quando nel Lux aeterna il violino riprende la linea melodica prima di lasciare spazio al soprano solista si ravviva quell’abbraccio che ti accoglie all’In-
Gaetan > La mia personale storia con il Requiem di Mozart incomincia da adolescente, vent’anni or sono, facente parte di un coro professionale per un caso tanto fortuito quanto fortunoso, mi si affacciò l’opportunità di affrontare questa grande pagina che, fino ad allora, non conoscevo nella sua interezza ma solo per frammenti ascoltati da reclam televisivi o stralci di trasmissioni radiofoniche. Come molte opere famose inizialmente mi suscitò scetticismo e poca simpatia, avendo da giovane un’idea molto «aristocratica» dei gusti del cosiddetto grande pubblico rispetto alla Musica di cui cercavo di scoprirne le bellezze più remote e infrequentate del repertorio (allora pianistico). Durante la prima sessione di prova la sapienza canora dei miei assai più esperti colleghi cantori e cantrici, l’atmosfera di gioiosa curiosità e solenne dedizione hanno trasformato la mia «allergia» in reale e profondo entusiasmo, accresciutosi lungo lo studio cursorio della grande opera mozartiana.
Un ricordo o un’emozione legati alla prima volta che lo hai ascoltato con orecchio consapevole?
Fabrizio > Mi aveva colpito già nel film Amadeus, quando sudato per la febbre il compositore canta la parte che sta scrivendo. Ma saper leggere quel passaggio in partitura e riascoltarlo con consapevolezza mi ha fatto scoprire la magia della raffigurazione del supremo momento del distacco dalla quotidianità e dalle fatiche di sempre. L’ansia di salvezza che sprigiona il Voca me di soprani e alti nel Confutatis è sostenuta dalla fragile, ma non precaria, linea di canto degli archi e si eleva al di sopra di tutto, della melodia stessa, per dare appagamento al desiderio infinito e perpetuo di consolazione. Gaetan > La prima emozione provata dopo l’ascolto consapevole della partitura, parecchi anni più in là della prima esecuzione che feci da baritono in coro, fu sgomento e genuino fascino dell’orrido: ascoltai l’incipit di una ver-
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troito e si fa più forte alla fine; saldo e interminabile. Ho chiesto anche io ai miei solisti di partecipare a questo abbraccio cantando introito e finale insieme al coro.
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sione eseguita dal M.o Barenboim negli anni Ottanta con una nota compagine parigina, ebbi l’impressione angosciante di scoperchiamento abissale e caduta vertiginosa in questo baratro da cui le note dei corni di bassetto sostenute da una vocalità asciutta ma piena e quasi disperata di invocazione al riposo eterno mi rapirono in una visione terrificantemente bella; tremenda, spaesante ma proprio per questo artisticamente irresistibile. Cristo redentore visto proprio come l’eroe del cuore.
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Se dovessi scegliere un unico numero rappresentativo dell’intera opera quale sarebbe e per quali ragioni?
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Fabrizio > È difficile scegliere un numero piuttosto che un altro. Ognuno ha una sua peculiarità ed una sua precisa funzione nel contesto, nel suo significato di «con il testo». Musica e parole riescono sempre a legarsi insieme e a porgere all’orecchio dell’esecutore e dell’ascoltare dei temi emotivi capaci di stimolare l’immaginario sonoro e visivo con figure reali e concrete insieme a quelle più sfumate e intangibili. Solo per citare alcuni passaggi iconografici penso alla labirintica doppia fuga del Kyrie, ora in ascesa verso il cielo, ora in caduta libera verso gli inferi; al crepitare delle fiamme nel Confutatis; alla gravità cupa delle trombe del giudizio nel Tuba mirum; al solare sentimento d’amore che si dipana tra i quattro protagonisti del Benedictus, a metà tra una lirica che canta la bellezza della natura ed l’aria d’opera di un amante per l’innamorata o l’innamorato. In realtà un inno di lode a
Gaetan > Il quadro cui son più affezionato il Domine Jesu Christe e conseguentemente lo ritengo rappresentativo dell’opera stessa in quanto si incontrano varie strutture compositive musicali stimolanti (fugato, arioso, rondò), ma soprattutto per la forza con cui vengono trasposti musicalmente i contenuti testuali capaci di evocare immagini di rara incisività estetica ed emotiva. Personalmente poi rafforza e sostiene le istanze che, da tribolato credente, mi accompagnano nel personale e difficile rapporto col sacro che intrattengo a vari livelli da molto tempo. Un domandare che si estrinseca in una ricerca spirituale, una prassi musicale ed un approccio sociale e al contempo solitario, destino che condivido con molti colleghi direttori, solisti che hanno intrapreso questo percorso vocazionale dannatamente bello quanto arduo.
La bellezza della musica è che lascia a chiunque si ponga in ascolto la possibilità di trovare le risposte ai propri perché. Mi piace pensare che armonicamente, davanti al bivio che conduce da un lato alla salvezza e dall’altro alla dannazione eterne, il musicista Mozart rimanga indeciso su quale strada prendere, e – nel finale dell’opera – non imbocchi nessuna delle due direzioni. L’accordo con cui si chiude il Requiem non è ben definito per la mancanza della nota di terza che distingue la solarità della tonalità maggiore dal malinconico accordo di quella minore, come se l’uomo Amedeo ci lasciasse sospesi, in una scelta non risolta tra un finale di speranza ed uno di disperazione, tra la morte terrena e la vita eterna. Se potessi farlo, lo dedicherei a tutti quanti vivono nel timore del momento supremo della nostra esperienza umana, rubando proprio al suo autore le parole di rassicurazione e speranza unite ad un augurio universale: Dato che la morte è la vera meta della nostra vita, già da un paio di anni sono in buoni rapporti con questa vera, ottima amica dell’uomo, così che la sua immagine non solo non ha per me più niente di terribile, ma anzi molto di tranquillizzante e consolante! Ringrazio Dio per avermi concessa la fortuna e l’occasione di riconoscere nella morte la chiave della nostra vera beatitudine. Non vado mai a dormire senza pensare che – per quanto io sia giovane – il giorno dopo potrei non esserci più, e di tutte le persone che mi conoscono nessuno potrà dire che io abbia un modo di fare imbronciato o triste, e ringrazio tutti i giorni il signore per questa beatitudine, che auguro di cuore a tutti gli uomini.
di Roberto Zambon
il Piede da trincea
Un’etichetta ne spiega la storia: «Zoccolo usato dagli Alpini durante la guerra del ’15-’18 nei pressi della Forcella Zsigmondi (m 3000 slm), poco sotto la Cima Undici (m 3092 slm). Da me portato a valle, quale prezioso cimelio di quelle storiche e gloriose battaglie». G.B.B.
L a Forcella Zsigmondi e Cima Undici fanno parte delle Dolomiti di Sesto e furono teatro di aspri combattimenti per l’intera durata del conflitto, tra attacchi e ritirate intercalate da molte settimane di dura vita in trincea. Come in molte altre trincee, i soldati furono esposti a condizioni ambientali difficili, a causa del freddo e dell’umidità, che facilitarono l’insorgenza di numerose patologie. Il Piede da trincea fu una di queste e costituì un fenomeno patologico numericamente assai rilevante su tutti i campi di battaglia della Prima Guerra mondiale. I principali fattori che favorirono il suo dilagare erano l’esposizione prolungata al freddo e all’umidità e l’uso non sempre corretto delle fasce mollettiere che impedivano un regolare ritorno venoso degli arti inferiori, spesso costretti alla quasi immobilità durante la vita in trincea.
Non di rado la patologia era di particolare gravità: in un terzo dei casi si manifestavano fenomeni necrotici di parte o di tutto il piede con le conseguenze facilmente immaginabili. Per prevenire questa patologia, il Servizio Sanitario del Comando Supremo preparò un «Opuscolo informativo destinato ai graduati per la prevenzione del piede da trincea tra i soldati in prima linea». Tra le varie misure previste, nell’opuscolo era riportato testualmente: «Esigete che i soldati in trincea portino, quando non si preveda imminente un attacco, gli zoccoli...». Così questi semplici ma salutari calzari entrarono a far parte del vestiario dei soldati di trincea. *** I resti di uno di questi «preziosi» zoccoli, grazie a Giovanni Battista Bastianello, sono custoditi in una casa dardaghese.
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Nelle nostre vecchie case, talvolta, abbiamo la fortuna di trovare cimeli dei tempi passati. Nella casa dei Bastianello Codìf in via Rivetta, è custodito uno zoccolo in legno trovato da Giovanni Battista Bastianello.
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NEL NOSTRO TERRITORIO
L’articolo è la sintesi del contributo «Budoia, località Roncadel. Saggi archeologici 2018» degli autori Gianfranco Valle e Roberto Micheli, pubblicato nel Bollettino del Gr.a.Po. n. XVI aprile 2019.
resti archeologici di una villa rustica romana
a Ronthadel
Foto 1. Posizionamento dei saggi espositivi di verifica archeologica. (foto presente nell’articolo di Gianfranco Valle e Roberto Micheli).
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a cura di Angelo Pusiol presidente del Gruppo Archeologico di Polcenigo (Gr.A.Po.)
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Nel settembre 2018, grazie al finanziamento del Comune di Budoia, sono stati effettuati alcuni saggi esplorativi nella località Ronzadel. Il lavoro è stato eseguito dalla ditta Semper S.a.s. (dott. Gianfranco Valle) e sotto la direzione scientifica del dott. Roberto Micheli della Soprintendenza archeologica belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia. Il sito è noto sin dalla fine degli anni ’60 con raccolta in superficie di laterizi (alcuni anche con bollo), frammenti di anfore e alcune monete come riferito dal prof. Fernando Del Maschio. Il Gr.a.Po. ha portato a conoscenza alla precedente giunta comunale, guidata dall’arch. Roberto
Foto 2. Saggio 1. Resti di muri angolari di vano con traccia di base di colonna in laterizio (foto G. Valle).
De Marchi, l’esistenza di questo sito, con probabile presenza di strutture murarie antiche relativa ad una villa rustica romana di una certa rilevanza.
Le verifiche archeologiche sono state realizzate in 7 punti diversi della località (cfr. foto 1). L’amministrazione comunale ha fornito il mezzo meccanico per la
rimozione dello strato superficiale. Dato il poco tempo a disposizione, è stato deciso di limitare lo scavo alla sola individuazione degli strati archeologici oppure di strutture murarie o al ritrovamento del substrato sterile. Il saggio 1 ha individuato due lati di un edificio (resti di mura di fondazione), realizzati con strati di ciottoli annegati in malta biancastra; su un lato è presente un sesquipedale aggettante che potrebbe essere interpretato come base di colonna (cfr. foto 2). Nella fondazione, in corrispondenza del letto di malta, è stato ritrovato un follis* tardo antico (Costanzo II?).
Foto 5. Monete rinvenute negli scavi dei saggi 1 e 5. (foto Marta Bottos, autrice del testo).
Nella parte centrale del campo è stata aperta una grande trincea a forma di L che non ha evidenziato presenza di edifici (saggio 3). La trincea del saggio 4, realizzata nel lato O del campo, in una zona che presentava un salto di quota, non ha evidenziato traccia di strutture. Qui però appare ben evidente la successione stratigrafica dell’area. Sul lato Sud del prato è stata scavata una trincea E-O che ha evidenziato un’altra struttura muraria con analoga direzione, simile per struttura a quella del saggio 1. Vicino a questo muro è stato ritrovato un altro follis tardo antico (saggio 5). Il saggio 6 è stato eseguito sull’arginatura O del campo, evidenziando una struttura muraria in grossi ciottoloni e pietra calcarea, realizzata contro terra con funzione di sostegno del terrapieno occidentale. Ai piedi di questo muro vi è un piano di frequentazione con 4 buchi di palo. La trincea del saggio 7 è stata realizzata sul margine E, la parte dove l’argine è più alto. Qui è stata
sembrano delineare un’arginatura di terra. In conclusione, questa breve verifica ha confermato che l’area è effettivamente occupata da un sito archeologico molto esteso e conserva strutture murarie a livello di fondazione. Le arginature perimetrali mostrano una struttura che sembra escludere una loro funzione di mera protezione dei raccolti. Anche la tipologia delle murature prova che le costruzioni dovevano essere di un certo pregio, come anche il ritrovamento di una tessera di mosaico lascia intendere. «I materiali ritrovati indicano un ampio arco cronologico di frequentazione del sito»: i folles ritrovati (IV secolo d.C.) (cfr. foto 5) ed un frammento di ceramica cinerognola (I secolo a.C.) lo testimoniano. Viene quindi confermata l’importanza del sito, che apre un nuovo capitolo per la conoscenza dell’occupazione romana nella Pedemontana pordenonese, in attesa di aver la possibilità di riaprire quanto prima il cantiere. * Si tratta di una moneta romana.
Nel saggio 2 (parte occidentale del campo) è stata rinvenuta una struttura muraria in ciottoli, orientata E-O di oltre 60 cm di spessore. Si trova a circa 30 cm di profondità.
messa in luce una struttura in ciottoli calcarei, di difficile interpretazione, che taglia una serie di falde alternate di limi argillosi e ghiaino che si sviluppavano più a E e che
NOTA Il toponimo, conosciuto dai nostri compaesani come Ronthadel, appare nelle mappe con il nome di Roncadel e Ronzadel.
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Foto 3 e 4. Durante gli scavi (foto V. Carlon).
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A COLLOQUIO CON…
il sindaco uscente Roberto De Marchi a cura di Roberto Zambon
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Arch. De Marchi, dopo 10 anni trascorsi come Sindaco del nostro Comune – era stato eletto nel 2009 e nel 2014 con il sostegno delle liste Prospettiva Futura e Partito Democratico – dal 25 maggio ha lasciato l’incarico. Come ha vissuto questo momento?
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La conclusione dell’incarico da Sindaco è stata la fine naturale di un’esperienza importante che mi ha coinvolto personalmente per dieci anni. Il venire meno del ruolo ha comportato fin da subito un cambiamento immediato delle mie giornate non avendo più gli impegni e le responsabilità legate alla carica di Sindaco. Ovviamente alcuni aspetti mi mancano, in particolare il lavoro di
squadra di questi dieci anni, altri aspetti no, in particolare senza la tensione delle responsabilità riferite al ruolo di Sindaco si vive con maggiore tranquillità la quotidianità. Poco prima della scadenza del mandato, è stato pubblicato un opuscolo (finanziato non dal Comune, ma dalle due liste) nel quale è stato fatto un bilancio della sua Amministrazione in questi dieci anni. Si ritiene soddisfatto del lavoro svolto o è rammaricato per qualche traguardo non raggiunto? Ritengo che nei due mandati abbiamo rispettato i programmi elettorali attraverso i quali è stato stabilito un patto con la cittadinanza. Abbiamo sempre cercato di
portare l’attività politico amministrativa su due livelli temporali; quello del breve termine in cui essere in grado di dare delle risposte tangibili ai cittadini in termini di servizi, e quelle di medio e lungo termine impostate su una lettura strategica del territorio e della comunità che sia in grado di cogliere e governare le sfide del domani. L’attività svolta in questi dieci anni ha quindi sempre visto l’azione del breve termine confrontarsi con quella a lungo termine, un occhio è stato sempre attendo al presente mentre l’altro guardava al domani, in tutto ciò abbiamo sempre dato importanza alla storia di questo territorio e delle sue comunità, consapevoli che è la base di partenza per ogni considerazione,
questo territorio che in giro per il mondo, è una caratteristica che ho sempre rispettato, perché la ritengo di grande valore. Se ripensa a questi dieci anni, può indicare due episodi, uno positivo ed uno negativo, che le sono rimasti impressi? Mi sento di indicare un unico episodio, molto «speciale», in quanto al tempo stesso «straordinariamente» sia negativo che positivo. Nella primavera del 2016 è stata realizzata un’indagine strutturale approfondita sull’edificio della scuola elementare, con diverse
prove invasive sugli elementi strutturali, la perizia finale certificava un grado di pericolosità della scuola e non poteva essere lasciata aperta, così mi trovai dalla sera alla mattina a chiudere con un’ordinanza la scuola in piena attività e prevederne lo sgombero: davanti a questa situazione bisognava agire immediatamente. Questo aprì delle questioni non secondarie, ad esempio come trovare delle nuove aule per un periodo lungo, come reperire importanti risorse economiche, come realizzare l’intervento di adeguamento sismico e garantire al tempo stesso la continuità della didattica: insomma, aspetti che mi trovai come un macigno sulla testa dall’oggi al domani. Le situazione difficili mettono alla prova e qui è emersa una risposta straordinaria da parte di tutti, del personale scolastico e della mensa, dei ragazzi e dei genitori, dei dipendenti del Comune, dei cittadini, delle maestranze e della nostra Regione; abbiamo tutti lavorato in sinergia verso un obiettivo condiviso e siamo riusciti in due anni a fare tutto e riaprire la scuola, e poi adeguare sismicamente anche la materna di Dardago. Tutta la comunità di Budoia ha dimostrato in una situazione difficile di avere una marcia in più, e questi sono fatti non retorica. Come ha vissuto la recente campagna elettorale? La campagna elettorale l’ho vissuta dall’esterno in quanto ho scelto di non candidarmi a Consigliere comunale, ma con piena disponibilità verso il candidato Sindaco Ivo Angelin e le due liste che lo sostenevano, Prospettiva Futura e Partito Democratico; sono le due liste che mi hanno sostenuto con piena lealtà per dieci anni e a
cui sono molto grato, pertanto mi sono messo a disposizione supportando esternamente e augurandomi la loro vittoria affinché continuino a lavorare insieme come hanno fatto con me. Dopo lo spoglio dei voti per le Europee, che hanno visto la vittoria delle liste della Destra, pensava che il candidato Sindaco Ivo Angelin potesse farcela? Ho sempre pensato che Ivo Angelin potesse farcela, ma sapevo ancora prima del voto delle Europee che era un confronto molto difficile. Si sarebbe giocato sulla misura in quanto il voto locale subiva l’influenza dei partiti nazionali, una circostanza molto simile alla nostra prima elezione nel 2009, ed ero convinto che le qualità delle persone candidate avrebbero fatto la differenza. Cosa augura al suo successore? Al mio successore auguro di realizzare un buon lavoro per Dardago, Budoia e Santa Lucia: è una persona molto capace come lo sono tutti nella sua squadra. Credo che ogni cittadino, per il proprio interesse e della comunità a cui appartiene, deve augurare il meglio al proprio Sindaco, a prescindere dalla sua appartenenza politica. Il Sindaco è una carica politica «speciale», è esposta quotidianamente alla realtà in tutte le sue sfumature, sia positive che negative, è chiamato ogni giorno a dare risposte e se vuole essere efficace deve rispondere ai suoi cittadini e non al suo partito politico. Questa secondo me è una regola che deve valere per tutti i Sindaci, e per questa ragione bisogna voler bene al proprio Sindaco.
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sempre con un approccio progressista e senza mai cadere nella retorica conservazionista. Siamo sempre stati convinti che è importante dare valore e riconoscere la storia, ma le sfide del domani si giocano in campo aperto; il mondo è in divenire e importanti cambiamenti sono in atto. Le storie delle genti di Dardago, Budoia e Santa Lucia insegnano una grande capacità di mettersi in gioco, sia in
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...E A COLLOQUIO CON
il neo eletto sindaco Ivo Angelin Dott. Ivo Angelin, Lei, fino a pochi mesi fa, non ha mai svolto attività politica. Perché ha deciso di candidarsi alla carica di Sindaco del nostro Comune? Effettivamente non ho mai svolto, fino a circa due anni fa, attività politica, perché ero impegnato a tempo pieno nelle mie attività professionali. Tuttavia mi sono sempre interessato di filosofia politica, intesa come studio di concetti e di modelli per il miglior modo di convivenza civile in una comunità, che nel mio caso era una comunità
aziendale. Questa mia «passione» mi ha permesso di generare, insieme ad altri colleghi, un manifesto aziendale le cui regole ritengo possano essere adottate da qualsiasi persona. Dopo essere andato in pensione, anche su invito della Amministrazione trascorsa, ho deciso di passare dalla teoria alla pratica, candidandomi alla carica di Sindaco per il Comune di Budoia, principalmente per tre motivi: – l’affetto verso le persone e il territorio del nostro Comune;
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LE 10 REGOLE D’ORO DELLA «RESPONSABILITÀ INDIVIDUALE»
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➣ Agisci sempre al meglio delle tue capacità, è una tua essenziale responsabilità; qualsiasi cosa in meno diventa ingiustificabile. ➣ Dai l’esempio e spenditi in prima persona, lavorando con onestà intellettuale, curiosità e flessibilità. ➣ Rispetta le regole; se sono sbagliate lavora per cambiarle. ➣ Instaura rapporti interpersonali improntati alla correttezza. ➣ Sii sempre trasparente, non nascondere mai i tuoi errori, anzi utilizzali per progredire. ➣ Agisci, fai e decidi sempre anche se corri il rischio di sbagliare; evita sempre le frasi killer del tipo «io l’avevo detto...», «non è mio compito…», «non mi è stato detto…». La proporzione «Dipende da me/Dipende dagli altri deve essere >1. ➣ Sii sempre coerente tra pensiero e parola e tra parola ed azione. ➣ Abbi il coraggio di dissociarti da certi comportamenti – anche quando non è comodo – e promuovi il cambiamento. ➣ Condividi conoscenze, obiettivi, disponibilità all’ingaggio. ➣ Lavora per la squadra, ben consapevole che questo non riduce la tua responsabilità individuale ed avendo sempre chiaro il concetto che il lavoro di squadra non è la pura e semplice somma del lavoro parcellizzato di tante persone, ma è una forma ben superiore di consapevolezza, di disponibilità al rischio e di visione di insieme.
– il desiderio di mettere a disposizione della Comunità le mie competenze professionali; – il desiderio, seppur in una realtà piccola, di fare qualcosa per arginare un sistema politico di governo che vive solo di spinte propagandistiche che si eliminano a vicenda, depauperano la scarsa ricchezza del Paese e la sua credibilità, incapace di tradursi in Politica. I dati delle elezioni Europee, relativi al nostro Comune, si sono conosciuti nelle prime ore del 27 maggio e non facevano presagire una vittoria delle liste che appoggiavano la Sua candidatura. Quali sono state le sue sensazioni? Pensava di farcela? Il 26 maggio ero a Parma per svolgere il mio dovere di cittadino, esprimendo il mio voto per le elezioni Europee, essendo residente a Parma per motivi familiari. Il giorno successivo, durante la mattinata, ho seguito i primi sondaggi delle Europee nel Comune di Budoia. Effettivamente ero molto sconfortato dai risultati e mi era anche balenata l’idea di rimanere a Parma perché non credevo fosse possibile nelle Amministrative ribaltare un risultato così clamoroso. Però è stato solo un flash, poi ha vinto il mio senso di responsabilità nei confronti della squadra e dei cittadini. Sono partito verso mezzogiorno per raggiungere Budoia. Durante il viaggio mi arrivavano le segnalazioni dei vari par-
ziali di voto e ho capito solo in quel momento che c’erano gli spazi per farcela. È stata una grande emozione quando sono arrivato in Piazza a Budoia e ho trovato Tele Friuli già pronta per una diretta e le persone della mia squadra sorridenti e felici.
dei consiglieri della maggioranza. Può spiegare la motivazione di tale scelta? Ho sempre creduto in modo molto determinato al concetto di squadra, al coinvolgimento di tutti, alla valorizzazione dei giovani, alla con-
stenibile. Le persone sono le componenti fondamentali della società per contribuire al miglioramento dei servizi, alla sostenibilità, alla cultura, all’educazione, all’impresa e alla ricerca. Cultura e comunità sono gli antidoti alla disumanizzazione. Quali sono i punti del programma che intende attuare con priorità? I punti del programma prioritari sono mettere a sistema macroaree quali turismo, agricoltura, servizi, cultura e ambiente inquadrandole in una visione di medio-lungo termine coinvolgendo gli attori interessati con l’attiva partecipazione di Associazioni, Parrocchie e Società Sportive.
Il Consiglio Comunale vede la presenza di cinque donne e Lei ha scelto, per la prima volta nel nostro Comune, una donna come Vice Sindaco. Cosa l’ha spinto verso questa scelta? Prendendo spunto anche dalle esperienze professionali, sono convinto che la presenza femminile arricchisca il Governo del Comune. Credo sia importante dare voce alle donne, non solo perché le loro attitudini sono complementari a quelle maschili, ma soprattutto perché le donne sostituiscono una cultura di potere prettamente maschile, con una cultura di governo orientata alla responsabilità, alla guida, all’agire per il bene di tutti, operando le mediazioni necessarie. Ecco il motivo di una scelta femminile anche come Vice Sindaco. Un’altra novità è l’affidamento di una o più deleghe ad ognuno
divisione degli obiettivi e dei rischi derivanti. È una scelta che potrebbe presentare un aumento della complessità organizzativa, ma conoscendo la qualità e l’onestà intellettuale dei Consiglieri della Maggioranza ogni ostacolo verrà affrontato e superato nel migliore dei modi. Prima delle elezioni Lei ha avuto numerosi incontri con le varie realtà operanti nel Comune di Budoia. Certamente saranno stati evidenziati problemi insoluti e criticità; secondo Lei, quali sono quelli più rilevanti dei nostri paesi? L’ho sempre detto e lo ripeto adesso che il problema più rilevante è la coesione sociale della Comunità, la partecipazione di tutti alla vita sociale. Al centro del nostro impegno poniamo la persona e la ricerca di un futuro so-
Posso affermare con la massima certezza che nessuno dei Consiglieri della Maggioranza vive di ideologie. Noi non siamo tifosi o fans di qualcuno, siamo Amministratori del Bene Comune e questo intendiamo fare nell’interesse della Comunità. Non dipende da noi la collaborazione, le nostre menti sono aperte e pronte al dialogo con utilizzo della dialettica e dell’analisi razionale nel principio del rispetto, della verità e della trasparenza. Se la Minoranza accetta questi principi e rispetta le regole ci sarà collaborazione. Se al contrario continueranno a parlare per slogan, senza portare idee costruttive per il Bene del Comune, senza aperture, solo per il gusto di mettere i bastoni tra le ruote cercando cavilli burocratici, quei bastoni verranno frantumati senza altra possibilità. Noi lavoriamo solo ed unicamente per il Bene Comune, senza alcun interesse personale.
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Ritiene fattibile una collaborazione con la minoranza in Consiglio Comunale?
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Son tornadi a votà
Il 26 maggio si sono svolte le elezioni Amministrative e quelle Europee. Si è votato solo nella giornata di domenica, dalle 7 alle 23. Le operazioni di scrutinio per le Europee sono iniziate al termine delle votazioni, mentre lo scrutinio per le Comunali si è svolto dalle ore 14 del giorno seguente.
ELEZIONI COMUNALI
ELEZIONI EUROPEE
Questa tornata amministrativa ha registrato la presenza di quattro liste a sostegno di due candidati sindaci per un totale di 48 candidati, di cui 18 donne, per dodici posti in Consiglio più il Sindaco.
Risultati delle Elezioni Europee
Risultati delle Elezioni Comunali LISTA
Partito Democratico Prospettiva Futura Lega Salvini Proposta Civica Voti di lista
(A) (A) (B) (B)
VOTI
%
325 286 431 130 1172
27,73 24,40 36,77 11,09
% TOT.
52,13 47,87
Voti ai candidati Sindaci senza voto di lista 114 (A) Candidato sindaco: Ivo Angelin (B) Candidato sindaco: Davide Fregona 91 14 Schede bianche 37 Schede nulle Totali
1428
Totale voti (A) Candidato sindaco: Ivo Angelin 725 52,65% (B) Candidato sindaco: Davide Fregona 652 47,35%
Composizione del nuovo Consiglio Comunale Sindaco eletto: Ivo Angelin Candidato sindaco eletto consigliere: Davide Fregona Partito Democratico: Pietro Ianna, Greta Carlon, Felice Fort, Anna Ulian; Prospettiva Futura: Stefano Zambon, Chiara Baracchini, Paolo Cimarosti, Francesca Cancian; Lega Nord: Antonio Zambon, Elisa Martin, Francesco Usardi; Proposta Civica: – Il Sindaco ha scelto i seguenti Assessori
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Francesca Cancian (Vice Sindaco), Pietro Ianna, Stefano Zambon, Paolo Cimarosti.
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*** Le donne candidate erano 18 (11 per la coalizione di Ivo Angelin e 5 per quella di Davide Fregona: 5 sono state elette (4 per la maggioranza e 1 per la minoranza). Per la prima volta, il Comune di Budoia ha una donna come Vicesindaco.
LISTA
VOTI
%
Lega Salvini Premier Partito Democratico Movimento 5 Stelle Berlusconi – Forza Italia Giorgia Meloni – Fratelli D'Italia Europa Verde + Europa – Italia Comune La Sinistra Partito Comunista Partito Animalista Altri Schede Bianche Schede Nulle
601 342 117 102 84 45 37 18 12 11 21 15 26
42,00 23,90 8,18 7,13 5,87 3,14 2,59 1,26 0,84 0,77 1,47 1,05 1,82
Totali
1431
Progetto Missionario Quaresima 2019 «un Pane per amor di Dio» Centro de rehabilitacion de niños desnutridos «Padre Luis» · Bolivia
il valore aggiunto della missione cristiana La Domenica delle Palme, una rappresentante del Gruppo Missinario della parrocchia del Sacro Cuore di Pordenone, Alessandra Marcon, ha presentato la sua esperienza missionaria in Bolivia, che proponiamo ai lettori.
Nel 1980, su invito di padre Tito Solari, italiano e salesiano, arrivano a San Carlos le Suore della Provvidenza che qui aprono la loro prima comunità in terra boliviana. Iniziano la loro missione in un piccolo ospedale dove i poveri trovano cura e sollievo ai loro dolori. Con questo servizio incomincia anche la formazione umana e cristiana della gente, soprattutto delle mamme. La constatazione del grande numero dei bambini denutriti e dell'alta mortalità infantile quasi «obbliga» le suore a costruire nel 1989
un centro specifico per questi bambini con 40-50 posti. I piccoli, che hanno bisogno di un trattamento particolare, provengono dalla campagna, dalla selva e anche dalla città Santa Cruz della Sierra. Dalla data di apertura ad oggi sono stati salvati dalla morte più di tremila bambini. Attualmente nel centro lavorano, accanto alle suore, altre persone regolarmente assunte e i volontari provenienti dall’Italia e da altri Stati. Nell’agosto del 2015, dopo un anno di preparazione con il PEM (Preparazione Esperienza Missionaria), ho avuto la grande opportunità di trascorrere un mese a San Carlos e condividere con le Suore della Provvidenza la loro missione. Los niños (i bambini) sono stati al primo posto nella mia esperienza. Ho potuto toccare con mano gli effetti della denutrizione, ho accudito, nutrito, coccolato, giocato con questi bambini che nel Centro trovano tutte le cure sanitarie di cui
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di Alessandra Marcon
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‘
¡ Cualquier cosa que hiciste a estos pequeños, a mi me lo has hecho! «Qualunque cosa avete fatto ai più piccoli, lo avete fatto a me».
’
Mt 25,4
necessitano. Le famiglie vengono accolte ed educate alla cura dei bambini, infatti, attraverso personale specializzato, si svolge anche un importante compito socio-educativo. Ma la missione del Centro di Riabilitazione per bambini denutriti non è solo questo, racchiude in sé qualcosa di più grande: la speranza che nasce da un incontro che è amore. Non conta solo salvare un’esistenza perché i numeri dei morti per denutrizione diminuisca, ma che queste creature ritornino alla vita come esseri umani amati e capaci a loro volta di ama-
re. Questo è il valore aggiunto della missione cristiana. Dopo quattro anni, due sono le cose rimaste vive nel mio cuore e che custodisco come doni preziosi: il sorriso di questi bambini restituiti alla vita e la dedizione delle suore che hanno fatto della loro vita un servizio agli ultimi, esempi su cui varrebbe la pena costruire il proprio futuro. La Quaresima richiama a gesti di carità, donare il proprio tempo e il proprio denaro a chi ha meno di noi è senz’altro un atto di giustizia, ma sarebbe fine a se stesso se
non provocasse in noi un terremoto interiore facendoci cambiare lo sguardo sul mondo, se non ci muovesse ad un cammino di conversione fatto di scelte quotidiane concrete, sobrie, etiche, sostenibili, umane! L’augurio è che questo tempo forte sia occasione, insieme alla preghiera, di riflessione e di sana indignazione per quanto di ingiusto sta avvenendo nel mondo, ma anche di fiducia nel Signore Risorto che opera in questa terra attraverso le mani, i gesti, le parole e l’amore di coloro che credono in Lui e nel Vangelo.
PER INFO SULLA MISSIONE
www.suoredellaprovvidenza.it/it/america/bolivia/item/79-santa-cruz-centro-del-bambino-denutrito BOLIVIA «Sette colori di un sorriso», A. Marcon, Edizione PEM 2016
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Al parroco don Maurizio Busetti ed alle signore di Budoia che da anni aiutano con fedeltà e generosità il «Centro dei bambini denutriti».
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Ecco carissime, davvero il nome del progetto «Pane per amor di Dio» giusto va molto bene per questi bambini; giorno per giorno con il vostro aiuto e di altri possiamo lavorare per la vita dei bambini e per preparare meglio le loro mamme per un futuro prossimo al loro ritorno a casa dove da sole dovranno continuare l’attenzione e l’alimentazione al suo bambino. Grazie, carissime della vostra generosità e per questa provvidenza sempre tanto necessaria. Vi ricordiamo nella nostra preghiera, un caro saluto ad ognuna. SUOR CLARA
San Carlos, 16 maggio 2019
La signora Lora Bonel Quaggiotto ci scrive: «Uniamo, oltre a quello che abbiamo già inviato al parroco, il nostro grazie riconoscente e soprattutto un grande abbraccio affettuoso ad ognuna di voi che ci date un esempio di vita così nobile e bello». GRUPPO MISSIONARIO «SACRO CUORE» DI PORDENONE
Aosta, parrocchia di Santa Maria Immacolata. Maggio 2019. alcuni elementi del Collis Chorus, Insieme vocale Elastico e del coro parroc a d o t a i n r o att chiale di Da ino Da Ros g i rdago. u L e r d Pa
ad Aosta
una madre, una storia… Riflessione sulla figura e sulla vita di Maria
Una madre, una storia prende vita nella primavera del 1988, quando un giovanissimo Collis Chorus – nato pochi mesi prima a Santa Lucia di Budoia per festeggiare in musica il restauro della chiesa sul colle del paese danneggiata dal terremoto del 1976 – decide di proseguire il cammino sulla strada della musica e della condivisione e prepara una riflessione sulla figura e sulla vita di Maria, per la conclusione dell’anno mariano. Quale migliore occasione della sagra de la Madona d’agosto, a Dardago, sotto gli occhi della splendida Assunta del Piazzetta? Quegli allora giovanissimi ragazzi non sono pronti per affrontare te-
Guido Reni, Assunzione, 1642.
sti già scritti, che richiedono abilità interpretative e tecniche consolidate, e allora scrivono il loro testo, mettendo insieme passi evangelici, tradizioni apocrife e brani musicali che a loro piacciono, cambiando le parole e adattandole al messaggio che vogliono comunicare: la storia di una donna come tutte, che diventa la donna «tra tutte»; umile e alta più che creatura, vergine e madre, figlia del suo figlio. Sere e sere di prove li portano a quello che sarà il loro primo successo, probabilmente il traguardo che li porta a proseguire il cammino verso altre mete. Dopo trent’anni esatti, nell’agosto 2018, nella stessa chiesa e
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di Fabrizio Fucile
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con gli stessi partecipanti, barbe e capelli imbiancati, coadiuvati da rinnovate voci, dall’aiuto dell’Insieme vocale Elastico e del Coro della Pieve di Dardago, insieme anche ai figli di alcuni dei cantanti
dell’epoca, diventati genitori, con qualche scambio nei ruoli, la storia a più voci con protagonista questa madre, riprende forma e suono dalle note dell’angelo, di Giuseppe, di Giovanni, della Maddalena e
DARDAGO, AGOSTO 1988 Sotto gli occhi della splendida «Assunta» del Piazzetta il «neonato» Collis Chorus interpreta per la prima volta «Una madre, una storia».
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DARDAGO, AGOSTO 2018
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Dopo trent’anni esatti, nella stessa chiesa e con gli stessi partecipanti, barbe e capelli imbiancati, coadiuvati anche da ‘rinnovate’ voci, la storia riprende forma e suono.
della stessa Maria. Lo spettacolo si apre con un manifesto che è la presentazione della serata, ma anche della vita di ogni uomo e donna, protagonisti dell’umanità. Il cielo ha colorato la tua storia, come ha colorato e continua a colorare la storia di ogni uomo. Se cantare la vita è una cosa bella, può diventarlo ancora di più sapendo che la si canta da dentro, da protagonisti. Protagonisti di questa storia che si distende nei secoli come una rete tenuta insieme da nodi infiniti. Per ognuno si rinnova l’incanto della vita, il cielo usa le sue matite colorate e disegna i contorni del suo esistere. Quella di oggi è la storia di una madre, anche lei come ogni altro cantante di una vita che si rinnova continuamente, e che mai si esaurisce. La serata di Aosta, voluta e sostenuta da padre Luigino da Ros e organizzata con entusiasmo dal presidente del Collis Chorus Roberto Cauz, ha riservato emozioni e soddisfazioni. Quelle di poter condividere insieme ad amici vecchi e nuovi la fede in Maria e la passione per la musica; di portare ad un’altra comunità la testimonianza di un cammino comune e partecipato; di mostrare a noi stessi e agli altri che quando si crede fermamente in un buon progetto lo si può realizzare. La soddisfazione che una proposta come questa sia sempre attuale, sempre fruibile, sempre fresca e giovane perché la protagonista è e rimarrà nostra madre nel tempo ed oltre il nostro tempo. Dall’agosto 1988 al mese mariano 2019; da Dardago ad Aosta; dalla tradizionale e paesana sagra dell’Assunta all’universale preghiera di maggio, quasi un pellegrinaggio, un fioretto portato al suo santuario di Maria Immacolata, Regina della Valle d’Aosta.
DA PIRACICABA A DARDAGO VIA FACEBOOK
Radici dardaghesi di una brasiliana. Voglio raccontarvi una storia che arriva da più di 9700 km di distanza ma che scoprirete essere così vicina e profondamente ancorata al nostro paese.
quando il passato si fonde con il presente La ricerca e la richiesta di aiuto da parte della giovane donna di cui mi cingo a parlare non sarebbe avvenuta o probabilmente sarebbe stata più lenta e complicata senza l’uso della tecnologia.
Utilizzo ancora poche righe, prima di farvi immergere nelle profonde radici dardaghesi di una brasiliana, per ricordarvi o farvi scoprire quanti dei nostri compaesani, soprattutto, tra la fine dell’800 e l’inizio del ’900 abbiano deciso di partire per terre lontane in cerca di fortuna. Le mète erano per lo più gli Stati Uniti d’America, l’Argentina e il Brasile, in quest’ultimo i nostri emigranti si stanziavano in modo particolare nello stato di San Paolo, ed è lì che Agostino Zambon con la propria famiglia decise di cominciare una nuova vita.
A gostino è l’avo di Ariadne
Ariadne Zambon con il marito Paulo e il figlio Bernardo.
Zambon, la ragazza che un giorno di marzo ha deciso di mandarmi un messaggio su facebook dicendomi che stava cercando informazioni sulle sue origini italiane da quasi un anno. Aveva da poco ricevuto la notizia che Agostino era
originario di Dardago. Mi chiedeva aiuto per ottenere il certificato di nascita dell’avo che le sarebbe servito per ottenere la cittadinanza italiana, questo, mi disse, avrebbe dato: «Continuità all’orgoglio che la mia famiglia ha nel sentirsi Zambon». Impossibile ignorare una richiesta del genere, le dissi che l’avrei aiutata! Ariadne sapeva l’anno di nascita e la data di matrimonio di Agostino. Grazie all’aiuto di mio padre e di don Maurizio, che ci ha gentilmente concesso di fare le ricerche nell’archivio parrocchiale, abbiamo trovato nuove informazioni riguardanti questa famiglia. Agostino Zambon era della famiglia Pinal, figlio di Giuseppe e di Maria Carlon, nato il 14 ottobre del 1855, sposò Anna Zambon Marin il 31 gennaio del 1878. Quattro degli otto figli nacquero a Dardago tra il 1879 e il 1885, Jo-
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di Francesca Romana Zambon
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Giomaria n. 15.07.1725 · m. 1799
sposa Pasqua Di Pellegrin Giovanni
Il ramo della famiglia Agostino Zambon Pinàl...
n. 17.01.1752 · m. ?
sposa Giovanna Zambon
Cattarina
Giomaria
Domenica
Maria
Osvalda
Angela
n. 10.02.1778 m. 28.01.1860
n. 18.02.1779 · m. 14.02.1827
n. 24.12.1780 m. 23.02.1860
n. 30.07.1784 · m. ?
n. 04.04.1786 · m. ?
n. 12.09.1790 · m. ?
sposa Domenica Anzelin
Giovanni
Vincenzo
Vincenzo
Giuseppe
Maria
n. 21.07.1807 m. 15.01.1876
n. 03.07.1809 m. 03.03.1810
n. 24.10.1811 m. 14.06.1884
n. 20.04.1815 · m. 1902 ?
n. 05.09.1817 · m. ?
sposa Maria Carlon
Valentino
Matteo
Santo
Anna
Agostino
Domenica
n. 14.02.1841 · m. ?
n. 04.12.1843 m. 14.05.1850
n. 23.06.1846 m. 11.09.1848
n. 25.10.1853 · m. ?
n. 04.10.1855 m. 16.09.1937 a Piracicaba
n. 14.10.1857 · m. ?
sposa Anna Zambon n. 20.03.1859 m. 08.07.1940 a Piracicaba
Letizia
Rosalia
Luigia
Caterina
Ricieri
Josè
Dimo
Cesira
n. 14.02.1879 a Dardago
n. 15.10.1880 a Dardago
n. 15.12.1882 a Dardago
n. 18.05.1885 a Dardago
n. 01.11.1900 a Brotas m. 25.04.1983 a San Paolo
n. 20.08.1892 a Brotas m. ?
n. 14.01.1897 a Brotas m. 02.11.1987
n. 1897 a Brotas m. infante?
sposa Aurélia Zaparolli
Edna
Iraides
Sueli
Nestor
Maria Antonia
Teresa
n. 21.02.1928 a Piracicaba m. 18.03.1998 a Piracicaba
n. 1932 a Piracicaba m. 2006
n. 1935 a Piracicaba m. 11.07.2017
sposa Amélia Amstalden
sposa Arduile Scarpari
sposa José Felix
Antonio Carlos n. 15.06.1954 a Piracicaba
sposa Rosa Maria Ravelli
Ariadne n. 13.09.1989 a Piracicaba
Matheus n. 24.08.1995 a Piracicaba
Carla n. 30.06.2003 a Piracicaba
sposa Paulo Bernardo n. 19.05.2015 a Piracicaba
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sè fu il primo a nascere in terra brasiliana nel 1892. Attraverso questi dati si può dedurre che Agostino e la sua famiglia emigrarono tra il 1885 e il 1892 stabilendosi prima nella città di Brotas, Stato di San Paolo, e poi si spostarono poco più a sud a Piraci-
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caba, dove ancora oggi risiede Ariadne e la sua famiglia. Una storia tanto lontana quanto vicina che mi ha incuriosita, dalle ricerche effettuate risultava che Agostino avesse cinque tra fratelli e sorelle, ho chiesto ad Ariadne se era a conoscenza del
viaggio che aveva fatto il suo avo e se sapeva con chi era partito. Mi disse che Agostino era arrivato in Brasile con la moglie e le figlie, senza genitori o fratelli. Che fine avevano fatto i fratelli di Agostino? Erano rimasti a Dardago? Magari qualche loro di-
ra a conoscenza di quando sia passato a miglior vita). Per quanto riguarda le due sorelle risulta più difficile trovare informazioni, non si sa se queste si siano mai sposate e se siano rimaste a Dardago. Una cosa è certa: Agostino lasciò Dardago e una sua discendente vuole scoprire le sue origini. Mentre si aspettava il certificato di matrimonio da poter inviare ad Ariadne per ottenere la cittadinanza italiana, mi sono messa in moto per creare l’albero genealogico della sua famiglia. Attraverso le informazione ricavate dagli archivi parrocchiali e quelle che gentilmente mi ha dato Ariadne sono riuscita a svilupparlo e ad inviarlo oltreoceano. Intanto anche il certificato prendeva il volo per il Brasile
I bisnonni Aurélia Zaparolli e Ricieri Zambon.
ne, Paulo, il bisnonno Santo Gialdi era nato a Castellucchio in provincia di Mantova. Auguro ad Ariadne di poter ottenere la cittadinanza italiana il prima possibile e di visitare quei luoghi che per ora riesce solo a vedere in fotografia a migliaia di chilometri di distanza. Questa è una bella storia dove un avo, partito più di un secolo fa da un piccolo paesino del Friuli, non è stato dimenticato; i suoi figli e soprattutto i suoi nipoti lo ricordano cercando di mantenere vive le sue storie, le sue origini e le vicende che raccontando voleva che giungessero fino a noi. Questa è proprio una bella storia dove il passato si fonde con il presente.
...e i pronipoti brasiliani di Agostino Pinàl
I nonni Nestor Zambon e Amélia Amstalden il giorno del loro matrimonio.
Antonio Carlos Zambon (papà di Ariadne), Matheus Zambon (fratello di Ariadne), Carla Zambon (sorella di Ariadne), Ariadne Zambon e Rosa Maria Ravelli (mamma di Ariadne).
scendente abita ancora nel nostro paese? Sono andata più a fondo nelle ricerche e ho scoperto che due dei tre fratelli di Agostino sono morti in giovane età, Valentino probabilmente è rimasto in paese ma da quanto rilevato non ha avuto figli (attualmente non si è anco-
1. Da sinistra a destra. Edna Zambon (zia di Ariadne), Amélia Amstalden (nonna di Ariadne), Iraides Zambon (zia di Ariadne), Antonio Carlos Zambon (papà di Ariadne) e Sueli Zambon (zia di Ariadne). 2. Da sinistra a destra. Dimo Zambon, Roberto Scarpari, Teresa Zambon, José Felix, Aurélia Zaparolli, Valter Scarpari, Ricieri Zambon, Nestor Zambon, Amélia Amstalden. 3. I nonni Nestor Zambon e Amélia Amstalden con i loro nipoti. In alto a partire da sinistra: Felipe, Milene, Michele, Luis Carlos, Ariadne Zambon (seduta in braccio al nonno) e Junior. AGOSTO 2019 / 147
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e nel giro di neanche un mese la nostra futura connazionale lo aveva tra le mani. Il più grande sogno di Ariadne è quello di poter conoscere il paese dei suoi antenati e potersi stabilire con suo marito e suo figlio, forse il prossimo anno arriverà a Dardago e potremmo conoscerla. Le origini italiane non sono soltanto dalla parte del padre ma anche da parte della madre, infatti anche il bisnonno materno, Luigi Pozzato, emigrò in Brasile da Adria in provincia di Rovigo. Scorre sangue italiano anche nel marito di Ariad-
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CHERNOBYL · 26 APRILE 1986
a trentatrè anni dallo scoppio della centrale
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di Alessandro Fontana
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A cavallo tra i mesi di giugno e luglio appena trascorsi hanno trasmesso sul canale 110 TV SKY, Atlantic, uno sceneggiato titolato «Chernobyl». In realtà questa fiction non è frutto di fantasia: risulta invece essere una fedele cronaca dei fatti a tal punto che spesso le immagini del film vengono proiettate in concomitanza con le foto scattate e divulgate dai mass media di allora: sono perfettamente sovrapponibili cosicché il film diventa ancor più credibile: Storia vera. Ho trovato questa trasmissione assai aderente al ricordo di quei giorni vissuti da me e da chi mi viveva vicino – e da tutta Europa – con tanta paura addosso. Gli autori hanno dovuto metterci ‘del proprio’ ma giusto quel poco per legare assieme fatti reali, a tutti noti, ma non vissuti personalmente.
Non sappiamo e mai sapremo quali siano stati gli effetti reali di quelle radiazioni sulla nostra salute.
Misurazione delle radiazioni nelle vicinanze della centrale.
Era il 26 aprile 1986 e l’Ucraina settentrionale registrava l’esplosione della centrale atomica di Chernobyl. Questa cittadina non è poi tanto lontana dai nostri paesi, circa 1.300 chilometri in linea d’aria, che un buon vento di aprile percorre in poco più di una giornata. L’Italia correva quindi il rischio, assieme a buona parte d’Europa, di essere investita da un nugolo di atomi impazziti che ci avrebbero portati a morte per cancro – principalmente alla tiroide – in qualche anno e con noi tutti gli abitanti delle nazioni incontrate in quella rotta. Ma il vento allora cambiò rotta più volte nell’atmosfera del vecchio continente e gli atomi scaricati dall’esplosione del nocciolo della centrale in massima parte rimasero là, nell’immenso territorio russo. Questa tragica conclusione è quella verificatasi nell’allora URSS.
Nessuno può avvicinarsi a Chernobyl entro un raggio di trenta chilometri. Si sa che la contaminazione da certe sostanze dura non decine o centinaia di anni, ma migliaia di anni. Gli scienziati denunciano infatti alterazioni nella flora e nella fauna.
Anziani ucraini che ancora vivono nella zona di esclusione, una zona altamente contaminata, perché quella è la loro terra, la loro unica casa.
dei depressi e dei tanti evacuati (forse centotrenta mila) che hanno perso casa e beni. Ma perché è successo quel disastro? Questo è in effetti il cardine su cui gira tutta la vicenda riproposta dallo sceneggiato, e quindi il suo grande merito: sta sollevando il sipario di bugie dietro cui l’URSS ha nascosto la verità in quella circostanza tragica e sta anche chiarendo le responsabilità dei capi politici comunisti di allora. Nell’URSS a quel momento c’era in funzione una rete di centrali nucleari, forse tredici, per la produzione di energia elettrica: si trattava delle prime centrali atomiche prodotte nel mondo con la primitiva tecnologia allora disponibile.
Oggi il numero di impianti atomici nell’ex Russia sovietica è forse superiore ai trenta o ancora di più. Quella di Chernobyl era una centrale vecchia, già malmessa, obsoleta e sorpassata dalla tecnologia occidentale. Infatti, la produzione di energia elettrica era stata ridotta dai tecnici della centrale, con il conforto e l’approvazione dei loro stessi fisici nucleari, a un regime ben lontano dalla capacità massima di progetto. Ma tanta cautela non servì: in quei disgraziatissimi giorni arrivò alla centrale, tramite i locali controllori di partito, l’ordine indiscutibile di Mosca: produrre addirittura il venti per cento in più del massimo progettuale.
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Le statistiche pubblicate dalle agenzie di stampa parlano di circa 10.000 decessi tra quelli sacrificati subito e quelli morti negli anni seguenti. Cifre da prendere con beneficio d’inventario data la storica ritrosia dei governi dittatoriali a dire la verità. Non dimentichiamoci dei sei milioni di ebrei massacrati da Stalin (in quasi perfetta parità numerica con Hitler) ma mantenuti sotto silenzio dal PCUS e dai satelliti partiti comunisti d’Europa. L’Italia e l’Europa furono toccate in minima parte dalle radiazioni mortali e in Friuli, e altrove le piogge di aprile e maggio le abbatterono nel terreno: bastò non mangiare verdure per circa un mese e questa fu per noi tutta la conseguenza di quel disastro. Ciò almeno nell’immediato di quei giorni: non sappiamo e mai sapremo quali siano stati gli effetti reali di quelle radiazioni sulla salute di noi uomini vissuti in quei giorni. Dico questo perché, già un paio di giorni dopo l’esplosione, a Stoccolma i contatori Geyger erano impazziti e quel governo immediatamente protestò per sapere la verità: la Svezia dista da Chernobyl quasi gli stessi chilometri in linea d’aria della Lombardia… ma gli italiani non si fecero avanti. La ‘troika’ russa si chiuse a riccio sull’accaduto e ancora oggi, con certezza, sappiamo solo che la centrale sventrata e contaminata è stata incorporata in un primo sarcofago di cemento di spessore di decine di metri rivelatosi insufficiente a fermare le radiazioni. È stata infatti inscatolata in un secondo sudario dello stesso spessore e prevedono di rinnovare il tutto fra cento anni! Il decadimento totale di quelle radiazioni avverrà fra diversi secoli. Per il momento nessuno può avvicinarsi a Chernobyl entro un raggio di trenta chilometri. Nessuno ha potuto quindi conoscere il numero, nemmeno approssimativo, dei morti immediati, dei nati deformi, dei suicidi, dei morti di cancro, dei disadattati,
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CHERNOBYL · 26 APRILE 1986
Il capo della centrale dette a sua volta l’ordine a tutti i capi tecnici operativi e al capo della sicurezza ma tutti dissero che era una pura follia e tentarono, dati alla mano, di spiegare perché quella prova sarebbe stata un disastro. Ma gli ordini del ministro dell’energia, non si potevano discutere e i politici di turno non si sarebbero mai sognati di metterli in dubbio, a qualsiasi costo, malgrado i fondati timori degli scienziati e dei tecnici.
si salvò ma la fine peggiore toccò a un centinaio di eroici operai che coscientemente sacrificarono la loro vita tra pene indicibili per evitare che il fuoco nucleare, alla temperatura di un migliaio di gradi centigradi, andasse in contatto con le vasche di acqua di raffreddamento del nocciolo1 già contaminata dall’uranio. Se tale contatto fosse avvenuto si sarebbe creata la vaporizzazione istantanea di decine di migliaia di tonnellate d’acqua
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La centrale attualmente incorporata in un sarcofago di cemento di spessore di alcune decine di metri.
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L’ordine divenne operativo: all’una e trenta di notte due reattori della centrale esplosero: le barre d’uranio, le protezioni di grafite, i contenitori in cemento armato, i controlli di sicurezza, le comunicazioni con l’esterno e il valvolame andò in pezzi e il fuoco nucleare iniziò a bruciare qualsiasi cosa incontrasse. Di notte il terreno attorno alla centrale e gli alberi brillavano, la grafite era sparsa ovunque, gli uccelli cadevano stecchiti, gli animali dei boschi morivano anch’essi all’istante e gli uomini… Di tutti quelli che si erano avvicinati alle strutture esplose nessuno
che avrebbe spazzato via ogni cosa nel raggio di trecento chilometri con la certezza di uccidere almeno un milione di persone. Gli uomini che più degli altri, volontariamente e non, si erano avvicinati al centro dell’esplosione morirono coperti di sangue e con la pelle che si staccava a brandelli dal loro corpo. Gli ospedali non riuscirono a dare assistenza alle centinaia di persone investite dalle radiazioni e finalmente i medici capirono che ognuno di quei disgraziati era a sua volta una sorgente di radiazioni e cominciarono a isolarli.
Questi avvenimenti, ben evidenziati nel filmato e documentati prima che la cortina di omertà politica cadesse sulla verità, dimostrarono che nessuno all’esterno delle centrali era a conoscenza delle conseguenze e che le procedure d’intervento in caso di emergenza erano inesistenti o insufficienti. Ma, soprattutto, a peggiorare il quadro globale della disgrazia fu il secondo aspetto: il colpevole ritardo con cui s’intervenne per via del dittatoriale ordine politico di tenere segreto l’accaduto al mondo intero. Stupidità e ignoranza! Come se fosse stato possibile mettere la museruola ai contatori Geyger che dappertutto in Europa ticchettavano giorno e notte fino ai massimi delle loro scale. La fiction mostra un’altra verità, cioè come perfino Gorbaciov, solo da un anno alla testa dell’URSS, fu tenuto all’oscuro della disgrazia: appena riuscì a rendersi conto dell’immenso disastro operò intelligentemente la cacciata dei colpevoli politici rimettendosi ai consigli dei fisici nucleari e dei tecnici, anche se ormai l’immenso danno era avvenuto non solo per l’URSS ma per tutti noi.
NOTA 1. ‘Nocciolo’ in italiano o ‘core’ in inglese è il cuore di un reattore nucleare, il serbatoio dove si trovano le barre d’uranio che, sotto continuo raffreddamento, creano il calore necessario alla produzione controllata del vapor d’acqua. Tale vapore, con un sistema accoppiato di turbine e alternatori, produce energia elettrica. Il nocciolo deve essere mantenuto sempre sotto continuo raffreddamento con acqua fatta circolare e integrare da semplici, ma estremamente affidabili, pompe centrifughe. A Chernobyl capitò che il nocciolo, per una pompa difettosa perché non manutenzionata, rimase scoperto dando inizio alla fissione nucleare, come una bomba atomica, con i disastrosi effetti che conosciamo.
Vi racconterò di un viaggio del luglio 1969. Sono passati cinquant’anni, facile da dirsi, ma ora che sto scrivendo mi vien da fare una riflessione su come eravamo allora...
luglio 1969
la vita a Dardago, sul monte Ararat e... sulla luna! di Ezio Burelli
L’Italia era ancora negli anni del miracolo economico e rivedo quel periodo attraverso la motorizzazione stradale: dal mosquito a rullo che si applicava alla bicicletta all’inizio degli anni Cinquanta eravamo passati alla Vespa e alla Lambretta e dopo alcuni anni alla Cinquecento e alla Seicento Fiat e alla straniere come la Dauphine della Renault e al Maggiolino Volkswagen. Erano anni di grande ottimismo e sviluppo continuo, Pordenone era appena diventata capoluogo di provincia, la Rex continuava ad espandersi e soprattutto c’era lavoro. Io abitavo a Pordenone e venivo spesso a Dardago a trovare i miei parenti: mio zio Bepi Scopio, la zia Orsolina, la famiglia dello zio
Piero soprannominato Piero Comeda che pazientemente aiutava la gente a risolvere vari problemi nel suo ufficio postale attiguo al cortile dei ScopioSalute. E sempre da questo cortile era divertente seguire i dialoghi fra mio zio Bepi e i suoi amici Nato Marin, Emiliano Curadela e Naneti Salute con la sua inseparabile canottiera di lana s’ciavona spessa un centimetro, tre bei personaggi schietti e naturali che ricordo ancora con piacere. Però già nel 1968 avevo ufficialmente messo radici a Dardago, avendo acquistato due terreni accoppiati sul Ciastelat; uno era di Bino Friz e l’altro di una signora anziana che viveva in piazza a Dardago di cui non ricordo il nome.
MONTE ARARAT Veniamo ora alla cronaca del viaggio turistico-alpinistico. Con due amici di Pordenone Francesco Maddalena, detto Chechi (classe 1905), accademico del CAI e Enzo Laconca, genero di Raffaele Carlesso che non necessita di presentazione nel nostro Comune, a lui è intitolata la palestra del Crep di San Tomè. Partimmo con una Fiat 2300 in direzione Istanbul e arrivammo dopo due giorni. Città affascinante e misteriosa, al-
Foto in alto. Risveglio sul Monte Ararat a quota 3.800 metri. Da destra Ezio Burelli e Enzo Laconca, alle loro spalle la guida curda «armata». La foto fu scattata da Francesco Maddalena, detto Chechi, terzo componente della spedizione.
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DARDAGO
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l’epoca non c’erano ponti per attraversare il Bosforo e così con il traghetto assaporavi di più l’arrivo alla sponda asiatica con il profilo della Moschea di Santa Sofia e della Moschea Azzurra che lentamente si ingrandivano sempre di più alla nostra vista fino all’attracco; eravamo nuovamente in Asia. Lasciato Istanbul, in quattro-cinque giorni attraversammo tutto l’altopiano anatolico da ovest verso est passando per la capitale Ankara e la città di Erzerum, capitale dell’antica Armenia e arrivammo a Dogubajzit, ultimo centro a 30 km dal confine con la Persia (attuale Iran). Questa era una regione molto pericolosa in realtà siamo nel Kurdistan, terra di nomadi che
tra il 1980-90 fece alcune campagne di ricerca sulla montagna e anche il viaggio del papa in Armenia del 2016 ha fatto riparlare dell’arca. Noi tre l’avevamo già visto due anni prima (nel 1967) nel viaggio di andata verso l’Afghanistan ed eravamo rimasti incantati dalla sua imponenza e ci eravamo promessi di venire a scalarlo. Ora in lontananza era di fronte a noi con la parte sommitale ricoperta di neve. Siamo partiti a piedi dalla caserma della polizia di Dogubayazit con un accompagnatore e il suo asino per il trasporto di bagagli e viveri. Il primo giorno di cammino attraversando un lungo falsopiano arrivammo ad un accampamento di pastori Kurdi a 2.500 metri di
le serviva solo per far rumore. Il mattino seguente noi tre partimmo verso le quattro attrezzati con ramponi, piccozze e una corda di 40 metri. La guida era rimasta a far da guardia alle tende e ai viveri, essendo terra di predoni. Dopo qualche ora di cammino cominciammo a far soste più ravvicinate per prender fiato, in quanto l’altitudine si faceva sentire, la giornata era bella, aggirammo qualche crepaccio e solo nell’ultima ora comparve un po’ di nuvolosità. Raggiungemmo la cima tra le ore 11 e 12, stanchi ma veramente soddisfatti. La discesa fu molto lunga perché scendemmo direttamente fino all’accampamento dei pastori, passando prima a recuperare la guida e le
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Accampamento di pastori curdi a quota 2.700 metri. Sullo sfondo domina la cima del Monte Ararat, un vulcano alto 5.165 metri, mèta primaria del viaggio.
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si spostavano tra Turchia, Persia e Unione Sovietica. I taxisti della zona avevano tutti in bella vista la pistola alla cintola. In questo grosso paese lasciammo l’auto presso il posto di polizia. Il Monte Ararat, mèta primaria del nostro viaggio, è un vulcano alto 5.165 metri al confine fra i tre stati sopra citati. Questa montagna biblica è famosa dall’antichità ad oggi perché nelle sacre scritture si narra che dopo il Diluvio Universale l’Arca di Noè si posò su questo monte. L’Ararat in lingua Armena vuol dire creazione di Dio e già Marco Polo riferiva a proposito dei resti dell’arca, più recentemente l’astronauta americano James Jrwin
quota; era composto da cinque grandi tende di color marrone (lana grezza) in cui alloggiavano circa 25 persone compresi alcuni bambini. Cosa particolare che mi colpì era l’usanza con cui le donne al mattino raccoglievano gli escrementi degli animali, formando dei panettoncini che venivano essiccati per essere usati per cuocere i cibi. Il secondo giorno, siamo partiti senza l’asino e abbiamo messo le tende a circa quota 3.800, dove iniziava la neve. Quella sera la guida sparò ad un lupo che spaventato scappò; la guida ci disse che la cartuccia era caricata a salve in quanto non aveva soldi per comperare cartucce vere, quindi il fuci-
nostre tende. Dopo una buona dormita, il mattino seguente i pastori ci accompagnarono a visitare una donna anziana ammalata che era distesa su un letto di fieno sopra il nudo suolo, tra tre muri di sassi alti poco più di un metro e ricoperti da un tetto di frasche. Essa si lamentava per dolori alla schiena e al torace ed essendo povera ci dissero che non aveva soldi per andare dal medico e tanto meno per comperare le medicine. Gli lasciammo mezzo tubetto di aspirine spiegando come e quando farne uso all’anziano dei pastori. Io come souvenir comperai un tappeto tessuto da loro sul posto. Partimmo dall’accampamento tut-
ERCIYES DAGI La mattina seguente ci avviammo verso il lago di Van, il lago più grande della Turchia, proseguendo in direzione di Kayseri, città di un milione di abitanti al centro dell’Anatolia. Nelle sue vicinanze si erge solitario un altro grande vulcano l’Erciyes Dagi di 3.916 metri. Con l’auto arrivammo fino ad un rifugio a circa 2.200 metri di quota. Rifugio molto sobrio, eravamo gli unici ospiti. A quel tempo i rifugi erano principalmente frequentati dai corpi militari. Nelle vicinanze c’era un interessante accampamento di pastori turcomanni con cui
ci intrattenemmo e ci offrirono il «ciai». Anche loro ci chiesero dei medicinali. Lasciammo una pomata per un fanciullo. All’alba ci incamminammo per questa bella montagna salendo sempre un lungo e largo crinale molto panoramico e attraversando poi un delicato versante innevato, con corda piccozze e ramponi raggiungemmo la cima. Vetta con parecchi stemmi, bandiere militari ed inoltre un effige di Ataturk, padre della Turchia moderna. Alle 18 eravamo di ritorno al rifugio. Così dopo aver salito il biblico monte Ararat e il più alpinistico l’Erciyes Dagi ci restavano dieci giorni da dedicare al turismo.
E... QUALCUNO INDICÒ LA LUNA Prima di ripassare per Kayseri ci eravamo fermati a mangiare all’ombra di un grosso albero, si avvicinò un uomo e cominciò a parlarci indicando continuamente il cielo. Non capimmo niente, il giorno dopo fermi in un bar a prendere un «ciai» con le foglie di menta (bevanda tonica del mondo arabo) vedemmo su un quotidiano foto della bandiera americana e di astronauti, così ci ricordammo di cosa il turco voleva farci capire e cioè che gli americani erano arrivati sulla luna. Prendemmo la direzione verso la regione della Cappadocia, famosa per le alte formazioni rocciose a forma di cupole e pinacoli e per le antiche chiese e abitazione scavate nella roccia come Goreme ed Urgup e per le miriadi di bianche piscine di Pamukkalè (in turco significa montagna del cotone) patrimonio oro dell’UNESCO. Proseguimmo poi verso la costa occidentale della Turchia di rimpetto alle isole greche, visitammo le antiche città greco-romane di Didimo ed Efeso. In quest’ultima visitammo anche la casa ove visse la Madonna (così si racconta). Stavamo dirigendoci verso il grosso porto di Smirne e sentimmo che il motore non aveva la solita potenza, in breve, parte della marmitta si era arrotolata sull’asse del differenziale e dal serbatoio gocciolava giù la benzina. Con l’aiuto determinante di un gruppo di uomini che si erano fermati ci rimisero in grado di ripartire. In Turchia le strade erano quasi tutte bianche, e per non sentire dall’interno il rumore di un auto parzialmente senza marmitta, vi potete immaginare che tipo di strade stavamo percorrendo. Poco dopo arrivammo in un grosso paese, l’officina era situata in una via tipo ‘corso Garibaldi’ di Pordenone. Era una stanza di quattro metri per cinque, nera come la pece con una porta normale e l’attività si svolgeva sulla strada. Ad un certo punto il meccanico uscì con il cannello da saldatore con la fiamma già accesa e si avvicinò al serbatoio. Visto ciò me la detti a gambe e mi allontanai di circa 30 metri. «Questo è matto – dissi tra me –, qui scoppia tutto». Invece il valente artigiano ci stagnò il serbatoio con la benzina dentro e ci saldò pure la marmitta. Ripartiti poco dopo dal
cofano usciva in modo intermittente una «nuvoletta» di fumo biancastro. Dissi subito che avevamo un pistone bucato. Un anno prima con una Fiat 2100 mi era successo lo stesso episodio. Giunti a Smirne ci dissero che c’era l’officina Fiat e dopo un lungo vagare per la città la trovammo. In tre giorni di lavoro ci ripararono il motore consentendoci di ripartire e attraversando lo stretto dei Dardanelli arrivammo a casa nei due giorni successivi; rilassati e contenti dopo trenta giorni di viaggio. Un doveroso riconoscimento ai due meccanici che ci hanno permesso con la loro ingegnosità e competenza di concludere bene questo viaggio.
20 luglio 1969. Ezio Burelli è sulla vetta del grande vulcano Erciyes Dagi a 3.916 metri, mentre l’uomo... conquista la luna! A lato. Turchia 1969. Da sinistra Francesco detto Chechi, Ezio e Enzo dopo la salita dell’Ararat, il monte biblico.
CHECHI compagno d’avventure. Anche se ci hai lasciato da tanti anni, sei sempre con noi! ENZO e EZIO
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ti quattro con l’asino e ritornammo al posto di polizia.
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Con i labari davanti alla chiesa.
LE ASSOCIAZIONI
prima Festa del Donatore Budoia, Dardago e Santa Lucia
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di Pietro Zambon
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È passato un anno dalla fusione della Sezione Donatori di Sangue di Dardago e di quella di Budoia Santa Lucia e i donatori del nostro Comune hanno festeggiato la Prima Festa del Donatore della nuova Sezione. È significativo ricordare che, quest’anno, la Sezione di BudoiaSanta Lucia avrebbe festeggiato i 50 anni di attività essendo stata fondata nell’ormai lontano 1969. La Sezione di Dardago era stata costituita due anni prima. Mi preme ricordare la figura del dr. Italo Callegari che fu tra i fondatori della Sezione di Budoia-Santa Lucia e primo Presidente della stessa. Egli si impegnò moltissimo per far conoscere l’importanza della donazione. A Febbraio dello scorso anno, all’età di 89 anni – da buon Alpino – «è andato avanti». Prendendo spunto dal mio intervento durante la cerimonia nella chiesa di Budoia, mi piace sottolineare l’importanza della nostra decisione di due anni fa.
A fine 2017, i rispettivi direttivi si sono incontrati e – considerato che nell’anno successivo si sarebbero dovuti rinnovare entrambi i consigli – cominciò a farsi strada l’idea di unire le forze e dare vita ad un’unica Sezione. All’inizio la decisione sembrava prematura e difficile (il campanilismo è sempre vivo) ma considerata anche la difficoltà del ricambio generazionale, l’idea – dopo attente valutazioni – fu accolta e oggi possiamo ammirare questa nuova realtà di quasi duecento soci. È indispensabile avere Associazioni vitali in grado di rispondere con il loro dono alla continua richiesta di sangue. Ancor oggi, nel 2019, il sangue non può essere prodotto in laboratorio, e le sacche di sangue possono essere conservate solo per una quarantina di giorni dopo la donazione. Gli ospedali richiedono decine di sacche per poter far fronte alle richieste del Pronto Soccorso, a quelle dei pazienti sottoposti ad interventi chi-
rurgici, a trapianto e alla chemioterapia. Considerando che la popolazione sta invecchiando, è necessario trasmettere ai giovani l’importanza del dono. I docenti ed i genitori dovrebbero, tra le altre cose, insegnare ai giovani che il dono è un grande gesto d’amore. Donare qualcosa di sé – di cosi intimo – ad uno sconosciuto, ad un debole, ad un bisognoso è un atto che nobilita e fa crescere. Nel nostro piccolo abbiamo avuto l’iscrizione di 6 nuovi donatori nell’ultimo anno ed abbiamo premiato 11 soci: 2 col Distintivo d’oro, 3 col Distintivo d’argento, 3 col Distintivo di bronzo e 3 col Diploma di benemerenza. Dopo una difficile gestazione dovuta alla novità, sembra che i donatori siano entrati nell’ordine delle idee del prenotare Ia donazione. L’ideale sarebbe donare questo nostro farmaco (perché tale è) quando è richiesto, perché il luogo migliore dove conservarlo è il nostro corpo. Spero che anche qualche letto-
pato alla nostra festa: il vicepresidente provinciale A.F.D.S., Mauro Strasorier, il neoeletto Sindaco del comune di Budoia Ivo Angelin, tutte le sezioni consorelle, tutte le Associazioni presenti nel comune di
ecco il Comitato del Cuore di Katia Gavagnin Il «Comitato del Cuore» nasce da un’idea di Francesca Lazzarotto nel 2013 con lo scopo di organizzare eventi di beneficenza nel territorio. È costituito da un gruppo di persone (una volta più numeroso, oggi più ristretto) che due volte l’anno organizza una giornata il cui ricavato (tolte le spese) viene devoluto interamente in beneficenza. All’inizio gli eventi erano di diverso tipo (sfilata di abiti da sposa, pedalata, camminata, ecc.) e il ricavato andava ad associazioni diverse (Associazione come «Noi a cavallo» di Porcia, Area Giovani del CRO di Aviano, ecc) ma negli ultimi anni ci siamo concentrati unicamente sulla ricerca per la SLA, collaborando con ASLA di Pordenone. L’evento principale è quello di maggio (Un cuore per la SLA) che quest’anno causa maltempo
è stato posticipato a Giugno. In genere viene organizzata una marcia non competitiva sul territorio (negli ultimi tre anni il percorso si svolge toccando sentieri nel comune di Budoia e in quello di Polcenigo) di 7 e 14 km che generalmente avviene la mattina, poi, nel pomeriggio nell’area festeggiamenti Pro Loco si svolgono diverse attività per bambini e intrattenimenti vari (danza, concerti, ecc.). Il chiosco è interamente gestito da noi con l’aiuto di qualche amico volontario. In genere si cucinano hamburger, cheeseburger, patatine, pizza, dolci. Quest’anno, per offrire qualcosa di diverso, abbiamo inserito lo spiedo che ha avuto un grande successo! Ad ottobre, invece, si organizza un evento più contenuto che si chiama «Un cuore per la SLA…
Budoia, il coro che ha accompagnato la Santa Messa, don Maurizio che l’ha celebrata e tutti coloro che con noi hanno fatto festa in questa giornata.
Aspettando Halloween» che in genere si svolge in piazza a Budoia ed è rivolto in modo particolare ai bambini con i quali vengono realizzati diversi laboratori incentrati sul tema di Halloween; animatori professionisti vengono chiamati per intrattenere i più piccoli con letture animate, balli, trucca visi e vari giochi. In questa occasione non viene utilizzata la cucina ma si propongono crostini con affettati vari e formaggi, torte e regina del periodo, la castagnata. Quest’anno Il Comitato del Cuore ha offerto il suo supporto nell’organizzazione della «Sfida al Gor», gara di trail running non competitivo organizzata da Gianpiero Tomasella a Santa Lucia di Budoia il 10 marzo 2019. Noi ci siamo principalmente occupati di gestire il chiosco e l’intrattenimento, oltre ad essere di supporto all’organizzazione. Il Comitato oggi è composto da Katia, Orienne, Nadia, Patrizia, Johnny e Marco che nei mesi precedenti agli eventi, organizza nei dettagli la manifestazione e vengono preparate le autorizzazioni ma niente di tutto questo potrebbe essere realizzato senza l’aiuto preziosissimo di Alberto, Massimo, Luca, Barbara, Maria Teresa, Andrea, Cristina e Gianni. Vorrei inoltre ricordare l’indispensabile contributo di Gigi Basso e il suo gruppo di volontari (alcuni fanno parte del gruppo Alpini di Budoia) che, nell’occasione della marcia, ci aiutano nei ristori e lungo il percorso. Un grande ringraziamento alla Amministrazione Comunale e alla Pro Loco che ci concedono ogni anno gli spazi in modo gratuito.
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re de l’Artugna senta il desiderio di diventare Donatore. L’Associazione è a disposizione per informazioni e chiarimenti. Colgo l’occasione per ringraziare tutti coloro che hanno parteci-
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L’ ANGOLO DELLA POESIA
Pensieri di vita Gran brutta cosa la fretta e la furia, non calma l’ansia, anzi l’aumenta! Con il piede pressato sull’acceleratore a volte con rabbia e furore, non pensando quanto più gioiosa sia una sana pedalata tranquilla fatta magari in compagnia di belle rappresentanti del gentil sesso. Ed ecco come evocato da roseo pensiero, apparire un gruppetto di giovin fanciulle, pedalando con passione sulle loro bici, mentre un birbante refolo di vento mette in mostra tante meravigliose gambe, tornite e belle come in un quadro di un grande pittor. A questa splendida visione un pensiero viene alla mente. «Non fate la guerra ma fate l’amore». E con questo pensiero guardiamo al futuro come si guarda il bellissimo quadro di un grande pittore. E pensando all’amore la pedalata continua con gioia e ardore, lasciando a una vita migliore, il gusto e il calore di essere vissuta. FORTUNATO RUI
Nel 1962 veniva pubblicato Poesie, un opuscolo contenente ventisette poesie scritte da Angelo Angelin Pessuti e raccolte dall’allora studente di teologia don Matteo Pasut, che ci ha proposto di diffonderle. L’autore, allora trentenne, colpito dalla poliomielite, abitava in via Cardazzo, la via maestra del paese, nell’edificio in cui si trovava la botega e l’osteria de Pessuti, l’attuale «Oca ubriaca». Riportiamo alcuni commenti dell’autore della prefazione: Autodidatta, […] la sua poesia è frutto del suo animo e del suo spirito ricchi di sentimenti e di impressioni poetiche e in essa dobbiamo scoprire più l’animo del poeta che il suo grado di cultura. Proponiamo ai nostri lettori…
Alla finestra Oh mia finestra, che guardi la via maestra! Come palpita il mio cuore quando di sotto passa il mio amore! E metti in cuore la nostalgia quando veloce la bicicletta se la porta via. Vorrei che ti fermassi un sol momento e dirti tutto il mio tormento. E dir: «T’amo, Maria, rimani; non andar via». Ed ignara del male che mi fai tu spensierata e felice te ne vai! Oh mia finestra, che dai sulla via maestra mi hai messo in cuore uno spasmo mortale mentre salmodiando passa un funerale! È una giovane sposa: la Rosina morta nel dar la luce una bambina. Povera creatura, con lei la sorte è stata assai dura. Poveri noi, povera umanità che se ne va all’eterno al di là. Passato il mesto corteo alla finestra scorgo della gente sulla via maestra. Stavo scrivendo al tavolino mi giungono all’orecchio le note di un violino. La giornata è triste e malinconica, accompagna il violino il suono d’una fisarmonica. E al colmo della meraviglia, dico: «Ecco! Stanno ballando la quadriglia». Con la musica e l’allegria spariscono la tristezza e la malinconia. Mentre torno alla mia finestra le ombre serotine calano sulla via maestra, dove prima passò il mesto corteo di gente avvilita ora c’è il canto, la musica, c’è la vita. ANGELO ANGELIN
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Anna ed Ezelinda ...un breve ricordo La Parrocchia di Budoia desidera ricordare e ringraziare due volontarie che sono scomparse in questo 2019: Anna Vettor, più comunemente ricordata come la «Neta Martina», ed Ezelinda. Entrambe, in tempi diversi, hanno partecipato attivamente alla vita parrocchiale, più specificatamente attenendosi con scrupolo e diligenza alla pulizia della chiesa, alla sistemazione dei fiori, alla cura delle tovaglie e degli indumenti e parati sacri. La Neta ha anche dedicato parte della sua vita, vuoi per la vicinanza alla canonica vuoi perché figlia del sacrista Martino Vettor e nipote di don Rodolfo, alla cura della persona di Don Alfredo Pasut, storico Parroco di Budoia per cinquant’anni, aiutando Emilia, la perpetua di allora, (molto simile alla perpetua di Don Abbondio dei «Promessi sposi» del Manzoni) alla cura della casa e della persona del citato parroco. Gioviale, attenta, molto religiosa
e scrupolosa, riuniva il suo gruppo di volontarie e, con i mezzi di allora, non esisteva la legge sulla sicurezza e, se c’era, non veniva adottata, salivano con scale a pioli fino a raggiungere le lampade in ottone sugli altari maggiore e laterali e due volte l’anno pulivano a fondo la chiesa. Ora si devono ringraziare altre volontarie, motivate e attente le quali, con nuove tecnologie, si dedicano con altrettanta passione a fare ciò che da molti anni la Neta ha svolto. E questo fino ad una età avanzata. Ezelinda aveva un altro carattere. Riservata, silenziosa, sorridente, puntuale, insieme ad Elio ed altri volontari si era inserita in punta di piedi in sacristia, divenendo anche punto di riferimento. Dopo la morte di Elio, prendeva nota delle Sante Messe per i defunti che venivano ordinate a tutte le ore del giorno. Lei ha visto passare ed aiutato tre sacerdoti: Don Italico, Don Adel e Don Maurizio e con tutti ha avuto la stessa gentilezza ed
L’ARTUGNA PORGE LE PIÙ SENTITE CONDOGLIANZE AI FAMIGLIARI
eleganza. Si era distinta anche nel partecipare alla vita religiosa, cantando nel coro parrocchiale, finché le forze glielo hanno permesso. Ora anche questa realtà sta purtroppo riducendosi. Grazie, Neta ed Ezelinda! Vi ricordiamo con affetto e con rimpianto e siamo certi che anche a loro, come ai giusti elencati nella Sacra Scrittura, sia stato riservato in dono il premio eterno promesso a coloro che, pur nella debolezza umana, sono rimasti fedeli. Rinnoviamo a Paolo, figlio di Anna, e a Sabrina, figlia di Ezelinda, il nostro cordoglio. Oltre a ciò, viene spontaneo lanciare un ulteriore appello alla sensibilità dei parrocchiani: abbiamo sempre più bisogno di volontari motivati che aiutino a tenere aperta la chiesa, a cambiare i fiori, alle pulizie, alla cura dei paramenti, ad implementare il coro. Un gesto di buona volontà che si spera venga accolto. MARIO POVOLEDO
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Ezelinda Magliaretta
LASCIANO UN GRANDE VUOTO
Anna Vettor
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L’ARTUGNA PORGE LE PIÙ SENTITE CONDOGLIANZE AI FAMIGLIARI
LASCIANO UN GRANDE VUOTO
Pia Zambon alla mia carissima mamma
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Cosa dire di mia mamma? Le parole non riescono ad esprimere completamente i sentimenti. Nata a Dardago il 12 agosto 1926 in una numerosa famiglia (ultima di nove fratelli), a otto mesi orfana di padre. La sua vita si è dipanata tra poche gioie e tante sofferenze, soprattutto morali ma anche fisiche. Il suo carattere forte come le «crode» delle nostre montagne le ha permesso di tutto superare e andare avanti. Amava i suoi cari e per tutti si è prodigata come pure
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per le amicizie che coltivava con affetto. Dotata di una grande fede, non bigotta ma essenziale: Dio, la Madonna e Santa Rita da Cascia erano i suoi punti di riferimento. Educata al lavoro fin da piccola e così fino agli ultimi anni, fin che la salute glielo ha permesso. Non era mai con «le mani in mano». Per tanti anni ha lavorato a Milano dove con mio papà Severino ha dovuto andare per guadagnarsi la vita. Ben presto vedova, ha dedicato a me tutto il resto della sua esistenza, prima sola, poi con il nuovo marito Angelo Fontana, coinvolgendolo nello stesso affetto. Mi ha seguito con tutto il suo amore nella vita sacerdotale, mettendosi a disposizione delle parrocchie che mi hanno visto parroco: San Martino di Campagna prima e poi Dardago dove è rientrata felice nel rivedere la sua terra, la sua casa, la sua
IL LORO RICORDO NON SFUMA
DON MAURIZIO
...un grande grazie! Pur nella grande sofferenza che mi ha colpito, il mio cuore è ricolmo di gioia e di gratitudine per tutte le attestazioni di cordoglio e di affetto con i quali in questi giorni molti mi sono stati vicini. Vorrei ringraziare tutti ad uno ad uno ma ciò diventa impresa impossibile. E allora grazie lo dico ai nostri vescovi Giuseppe e Ovidio e ai confratelli sacerdoti che mi hanno fatto sentire come in famiglia; ai miei collaboratori nelle parrocchie; ai Consigli Pastorale e per gli Affari Economici; a tutti i parrocchiani di Budoia, Dardago e Santa Lucia, all’amministrazione comunale di Budoia, alla stazione dei carabinieri di Polcenigo, alle Comunità Neocatecumenali di Porcia ai miei parenti, amici e conoscenti che si sono stretti attorno a me per farmi sentire più leggero il peso del
Sono trascorsi quasi due anni dalla scomparsa di Osvaldo Puppin Budhelone, ma il suo ricordo è sempre vivo anche tra gli amici della «Budoia estiva». Ci scrive il prof. Guido Biscontin
Osvaldo Puppin distacco, un grazie alla dottoressa Daniela Fort che ha seguito con professionalità e partecipazione mia mamma in questi anni, al personale medico, infermieristico e di servizio dell’Ospedale di Sacile che si è prodigato, come ha potuto, per accompagnarla serenamente al tramonto. Grazie alla signora Anu Rani che per tanti anni si è presa cura di lei con amore di figlia. Grazie a quanti le hanno fatto visita nel tempo della malattia e a quanti avrebbero voluto ma non hanno potuto farlo. Grazie a tutti coloro che personalmente sono stati presenti alle celebrazioni e soprattutto un grandissimo grazie e arrivederci in cielo alla mia carissima mamma Pia.
Mastela di Venezia; «Ho trovato questa foto che vede Osvaldo in gita a Pian Cavallo, in un momento di allegria frutto di qualche scherzo, agli inizi degli anni Sessanta. Ve la invio con piacere». E con immenso piacere noi la pubblichiamo per diffonderla a tutti coloro che hanno conosciuto Osvaldo ed apprezzato la sua amicizia, la sua intelligenza, la sua bontà e la sua gioia di vivere, valori espressi in questa foto con uno spontaneo, sincero e contagioso sorriso.
DON MAURIZIO BUSETTI
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Chiesa nella quale aveva ricevuto i Sacramenti dell’iniziazione cristiana, dove aveva celebrato il primo matrimonio, dove aveva assistito alla mia Ordinazione sacerdotale dove aveva accompagnato per l’ultimo viaggio tante persone care. Ultima grande soddisfazione: l’anno scorso, la festa dei miei quarant’anni di Ordinazione a prete. E poi in canonica: quel giardino con cento fiori, quell’orto dove si curvava sempre più a fatica… La Madonna che ha tanto pregato è venuta a prendersela nella festa del Carmelo il 16 luglio. Ora è la che riposa nella pace dei giusti accanto a tanti suoi cari. Grazie mamma! Continua a brillare come stella nella mia vita, fino ad accompagnarmi al porto sospirato dove ti incontrerò felice.
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ADHÉS VE CONTE SERIE DI RACCONTI E ANEDDOTI IN PARLATA LOCALE, ACCADUTI NEI NOSTRI PAESI
Continua la pubblicazione dei racconti in parlata budoiese
scherthi de ’na volta
di Fernando Del Maschio
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’N a volta a Budhuoia l’era un ve-
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cio un poc indriot ch’el se clamava Barba Domene (o Mene) e no l’era mai dhut via de ciasa nencia par fa el militar. La dhoventù de chela volta la se la godheva a fa scherthi a sto pora gramo che nol se la ciapava pi de tant. Un dì i lo à cargat sul treno par portalo a Venethia e i lo à fat sentà lontan dal finestrin. Quan ch’el treno l’à scominthiat a core,pareva che se moves le ciase e i morers dei ciamps (par chi che l’ à studiat: relatività de Einstein!). «Mariavergine, cossa sucedelo mai, el teremot?» el thia Barba Domene. «Thito, no steit a moveve, senò le ciase le fa rebaltà el treno». El vecio fermo par ’na bona miedhora! Quan che i é stath sul pont de Mestre: «Vardheit fora, Barba Domene, ma steit pì fermo anciamò de prima, parchè el treno el cor sul mar e ris’cion de dhi sote aga!». El vecio instecat scuasi nol tira nencia flat. A la fin i riva in stathion e profitant de la confusion un de la combricola, thentha ch’el vecio el s’inacordhe, i taca un cartelo su la schena co su scrit: «Barba Domene seo pena rivat?». Dhuta la dhent che passava i liedheva el
cartelo a vos alta, e Barba Domene: «Poben, no credeve che i venethians i vess tanta creantha, dhuti i me saludha, ma come fali a cognosseme?» «E no par gnent i é siors e i é pi svei de noi». E cossì i é rivath fin in platha San Marco ridhent e scherthant a le spale de Barba Domene.
’N a volta in avril se feva le rogathios par le strade dei ciamps (a Dardac in fa anciamò una a San Martin) e la dhent la dheva volentiera tant che la portession l’era cossì longia che chiei che i era in printhipio e in coda no i senteva le tanie de i santh che ciantava el prete e i cantors e i respondeva: «Che sea che sant che sea, ora pro nobi». In ogni crosera la dhent se indoneglava, el prete el benedheva in cuatro direthions e cualche malsestat el butava un puin de savalon in te le scarsele de la giacheta, longia e largia, de qualche vecio (le strade no le era sfaltadhe). Quan che i tornava in Glesia i veva le scarsele plene. Mi no l’ai mai fat! Ere un fiol de sest! Le funthions de Glesia de la Stemana Santa no le era come
adess. Mercol e Dhoiba de sera se ciantava le Profethie (dodhese salmi fra i pi loncs de la Bibia e nove lethions, dhut in latin) e l’era ’na gara fra i cantors par ciantà le lethions. Le cantorie le era plene. Mi me pense el pora Tita Coth, ch’el veva ’na vos ch’el sveiava ancia i morth, el pora Tino Pelat e el pora Gigi podestà, pi calmi ma pi precisi col latin. Ma i era de segur de pi. Noialtres canai reane sentath in coro su le banciute, ognun co la so grathola o batitoc. A la fin de la funthion (no la feneva mai!) el prete el feva el segnal de move grathole e batitocs. Sote don Luigi Agnoluto,una de ste sere qualche vecio, magare strac de la dornadha, e se veva perdhut via col sion. El rumor de le grathole e del batitoc i li à sveiath de colpo, ma intant i soliti malsestath i à inciodhat le giachete ai banchi. I veci i fa par tirase su, ma i è incastrath. El prete el s’inacorth e «Il Signore vi ha castigato, perchè dormite durante le sacre funzioni!». Parchè se sapia, mi soi l’ultin cantor che l’à ciantat le profethie in latin come ’na volta, però de matina, thentha grathole e co in glesia sol che tre o quatro veciute!
LA CRONACA DELLA COMUNITÀ DI DARDAGO / BUDOIA / SANTA LUCIA
Soluna, un circo-teatro de ’na volta L’originale carovana circense Soluna, trainata da alcuni infaticabili cavalli, sceglie di sostare per tre giorni anche a Budoia, lungo il suo percorso pedemontano. Si tratta di un circo ‘speciale’ dal sapore antico, ideato da una famiglia nomade tedesca, genitori con sei figli che vivono serenamente girando l’Europa, con una compagnia di animali domestici, capre, cani, gatti, oche e galline. Vegetariani, non fumatori, non consumatori di bevande alcoliche, Petra e Stefan educano i loro figli a una vita d’altri tempi priva di televisore, cellulare, lavatrice e acqua corrente; utilizzano solamente l’energia fornita dai pannelli solari. Il loro spettacolo, privo di luci, amplificatori e altri tipi di sussidi tecnologici, è un’esibizione «slow» e «bio», che evoca tempi passati, quando il circo transitava e si esibiva per il pubblico in modeste ma emozionanti rappresentazioni che rimanevano impresse nel cuore dei bambini e... non solo. E così come un tempo Soluna attrae e affascina anche i cuori degli spettatori budoiesi, creando loro in una serata un mondo fiabesco.
L’onorificenza premia una vita dedicata alla ricerca storica, alla paleografia, all’etnografica, …, oltre che alla scrittura di testi teatrali in parlata, di racconti e romanzi, e ai numerosi incarichi in associazioni culturali anche nazionali. Ci congratuliamo con lui e lo ringraziamo ancora per aver realizzato la trascrizione delle pergamene dell’archivio storico della pieve di Dardago, pubblicata nel volume La pieve di Dardago tra XIII e XVI secolo. Le pergamene dell’Archivio, edito nel 2008 dal nostro periodico.
Il Grex Vocalis a «I Colori della Speranza»! Un’edizione memorabile quella de «I Colori della Speranza» di quest’anno, tenutasi nella parrocchiale di Budoia il 13 luglio. Il Grex Vocalis, gruppo di Oslo, con cinquant’anni di storia alle spalle e plurivincitore di importanti riconoscimenti internazionali, diretti da un «istituzione» del canto corale,
qual è il maestro Carl Høgset, ha regalato una serata di forti emozioni ad un pubblico attento e catturato dalle voci sempre capaci di ammaliare l’orecchio ed il cuore dell’ascoltatore. I presenti hanno ricambiato sempre con scroscianti applausi durante le quasi due ore di spettacolo. La serata si è conclusa con il gemellaggio conviviale tra il Collis Chorus, organizzatore della serata ed il gruppo norvegese, che ci ha ringraziato per l’accoglienza riservata e si è anche complimentato, in modo sincero, anche del nostro «piccolo», ma appassionato coro! Altre sfumatore dei molti colori della musica nella speranza che questo appuntamento possa proseguire ancora a lungo negli anni. ROBERTO CAUZ
El pithol ’l fa scola ai grains Il nostro piccolo Comune è stato protagonista a Morbegno, provincia di Sondrio, in un convegno sui cambiamenti climatici e il territorio montano con la presentazione e la promozione della Carta di Budoia, documento stilato nel 2017 dai Comuni aderenti alla rete internazionale ‘Alleanza nelle Alpi’, ideato per contrastare gli impatti dei cambiamenti climatici sui territori, attraverso efficaci politiche di adattamento e resilienza, e adottato dalla Fondazione Lombardia
L’amico de l’Artugna, Carlo Zoldan di Sarone è stato insignito del premio «Canevese dell’anno 2019» dall’amministrazione del suo Comune con la collaborazione delle associazioni locali.
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Complimenti, Carlo!
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Incontro annuale dei Biscontin Mastela Da diversi anni, il gruppo «famiglia Biscontin-Mastela» ogni primavera arriva per rinverdire le proprie radici. Sabato 4 maggio 2019 bambini, giovani ed anziani, dallo Chalet Belvedere di Val De Croda, inviano un augurio ed un saluto a tutti gli amici di Budoia. GUIDO BISCONTIN
per l’Ambiente. A presentare il documento è stato l’ex sindaco Roberto De Marchi, in veste di vice presidente di ‘Alleanza nelle Alpi’. Un approfondito articolo firmato da Roberto De Marchi è apparso nel volume Sot la Nape. Budoia…oltre la balconela, edito nel 2018 dalla Società Filologica Friulana con la collaborazione dell’amministrazione comunale.
Festa de le famée a San Tomè Nonostante il tempo incerto e le previsioni discordanti le nostre parrocchie hanno voluto mantenere la recente tradizione di celebrare la prima messa domenicale di luglio nell’antica chiesetta di San Tomè in onore di San Tommaso. Quest’anno la cerimonia era ancora più importante perché comprendeva anche il battesimo del piccolo Ettore, figlio di Malina Ianna. Per-
tanto sia la piccola chiesa che l’ampio spazio esterno erano affollati. Al termine della celebrazione, circa un’ottantina di persone si sono ritrovate presso la sede del Gruppo Alpini, nei locali delle scuole di Dardago, per la tradizionale pastasciutta: gli organizzatori, fiutando un cambiamento del tempo, avevano saggiamente organizzato il pranzo al coperto. Tra i partecipanti anche Lidia Bastianello, 95 anni, che per qualche ora ha lasciato la Casa di Riposo di Aviano.
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I a’ metut danof le ciadhene
Al é tornàt a ciatane padre Arturo Padre Arturo Bergamasco, missionario in Bolivia, ritorna a trovarci. Alcuni componenti dell’Associazione «Chei del Ruial» organizzano l’incontro venerdì 12 luglio nella suggestiva cornice della Val de Croda. Nella chiesetta di San To-
Chiesetta di San Tomè. Padre Arturo celebra la Messa per il suo 50° di sacerdozio. Concelebra don Maurizio.
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mè infatti per festeggiare i suoi 50 anni di ordinazione sacerdotale il salesiano celebra la Santa Messa. Concelebra il rito il nostro plevano don Maurizio. Padre Arturo ricorda durante l’omelia momenti della sua vita, la chiamata al sacerdozio, le esperienze di apostolato in Bolivia e il legame particolare con Dardago, maturato attraverso la conoscenza e l’opera che alcuni volontari del paese hanno prestato in quella terra. «Guardo la statua del ‘vostro’ San Tomè» – dice – «e subito ricordo il ‘mio’ San Carlos di Yacapani». (Entrambe sono opere dello scultore Giorgio Igne). Per suggellare il momento i partecipanti concludono la serata cenando tutti insieme presso lo Chalet Belvedere.
I budoiesi hanno apprezzato la ricollocazione delle catene che delimitano lo spazio sacro del sagrato dalla strada pubblica, tolte provvisoriamente quattordici anni fa, durante gli ultimi interventi di sistemazione del sagrato da parte dell’Amministrazione Comunale. Il lavoro di recupero è stato eseguito dai volontari del Consiglio per gli Affari economici della Parrocchia di Sant’Andrea, che hanno installato la pesante struttura di ferro, conservata in questi anni nell’area dei magazzini del Comune, sui paracarri com’era all’origine.
Marta Ferronato, figlia di Raffaella Lacchin e di Roberto, si è laureata il giorno 4 marzo 2019 presso l’Università di Padova, conseguendo il titolo di laurea in Scienze della Formazione Primaria con 110 e lode.
Nella Basilica Santa Maria di Lourdes a Milano, domenica 5 maggio 2019, Nicolò Terruzzi riceve la Prima Comunione. Papà Paolo e mamma Valentina Janna Tavàn gli augurano che l’emozione e la gioia di quel particolare momento lo accompagnino lungo il cammino della vita.
Tetyana Keyvan e Alessandro Manzi hanno celebrato il loro matrimonio sabato 6 luglio 2019 nella chiesa di san Giovanni a Sassello (Savona). La giovane coppia vive da anni a Berlino. Simona Ianna Tavàn, mamma dello sposo, e nonna Evelina sono felici di condividere la loro gioia con parenti ed amici di Dardago.
Monica Del Maschio e Doriano Sartori festeggiano i loro venticinque anni di matrimonio. Esempio di grande forza d’animo, di meravigliosi genitori e guide fondamentali per la vita dei loro due figli, Riccardo e Cristian. Un augurio speciale da tutta la vostra famiglia.
Il 6 gennaio 2019, Clara Teghil e Luigi Lacchin Bof hanno felicemente festeggiato il 50° anno di matrimonio a Lignano Sabbiadoro, attorniati da parenti ed amici.
LAURA
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L’ INNO ALLA VITA
AUGURI DALLA REDAZIONE!
Nicola Pujatti nel giorno della sua prima Comunione accanto alla bisnonna Teresa, felice di aver partecipato alla cerimonia.
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I NE À SCRIT...
Munsingen, 16 maggio 2019
Venzone, 19 giugno 2019
Gentilissima Redazione, un grande grazie per aver pubblicato i miei ricordi: mi sono molto emozionata. Mia sorella, sorpresa e commossa, mi telefonò esclamando: «Te me l’à fata bela!» Sono stata cinque giorni a Budoia e ho incontrato Bianca Signora, che mi ha abbracciato e detto: «Carla, è bella la tua vicenda, che mio zio Marco sempre ti faceva ricordare». A tutti i miei conoscenti ho dovuto tradurre la mia storia e da parte loro ricevete un bell’elogio. Bravi! Cordiali saluti a voi tutti e grazie ancora per il vostro lavoro.
Carissimi, vi invio con piacere la foto che ritrae Osvaldo […]. Vedete voi quale uso farne, colgo l’occasione per ringraziarvi per tutto il lavoro che fate per il nostro paese e mando un caro saluto a te, Vittorina, e alla redazione del giornale, ciao.
Munsingen, 19 giugno 2019
Gentilissima Redazione, vi invio un’offerta per l’Artugna, che mi piace tanto. Vi ringrazio e vi saluto. ANGELINA DEL MASCHIO
Carissime Carla ed Angelina, siamo noi a ringraziarvi per la vostra collaborazione e per il sostegno al Periodico. Un abbraccio e arrivederci a presto, a Budoia.
LUIGI LACCHIN
Grazie signor Luigi per le utili informazioni. Ci congratuliamo per la sua lunga attività di cantante che ha contaggiato anche moglie e nipotina!
GUIDO BISCONTIN MASTELA
Grazie, Guido! Ci fa sempre piacere ricordare Osvaldo, l’amore per il suo paese e l’amicizia che ci legava. La foto è pubblicata a pagina 37.
DAI CONTI CORRENTI Per il vostro lavoro: grazie di cuore.
CARLA DEL MASCHIO
P.S. Ho visto la foto della scolaresca del 1909 e c’è anche mia mamma Agata.
Ringrazio anticipatamente se vorrà dare risalto a questa notizia e porgo cordiali saluti.
Lignano Pineta, 2 febbraio 2019
CARLA DEL MASCHIO MUNSINGEN – BERNA (SVIZZERA)
Grazie per tutto quello che fate. Egr. Direttore Roberto Zambon, in occasione del nostro 50° di matrimonio abbiamo in programma la registrazione del nuovo CD intitolato «Clara e Luigi from Lignano with love 2019» con dei bei brani ever green; quest’anno ci sarà anche l’esordio della nipotina Alice. Il nuovo CD sarà pronto all’inizio della prossima stagione balneare così da poterlo distribuire agli ospiti durante gli abituali «Sunset Party Agenzia Lignano» del giovedì, ai quali sono invitati anche i paesani e gli amici tutti. Per ricevere una copia gratuita del CD, è sufficiente richiederlo presso «Agenzia Lignano» in Corso dei Continenti, 1 a Lignano Pineta (Udine).
IVO FORT – WORMS (GERMANIA)
Grazie per l’Artugna. ANGELINA CALAME MUNSINGEN – BERNA (SVIZZERA)
l’Artugna è uno stimolo prezioso alla ricerca delle proprie origini e ai ricordi teneri dell’infanzia. Grazie di cuore e saluti cari a tutti. SILVANA BOCUS PISU – SUSEGANA (TV)
Vi ringrazio per tutte le notizie. Cordiali saluti. DORINA ZAMBON DELLA VECCHIA GALLIERA VENETA (PD)
Grazie per l’Artugna e un cordiale saluto alla redazione. BIANCA SIGNORA E ANTONIO GISLON
Leggo con piacere l’Artugna. Cordiali saluti. SANDRO SIGNORA
IL BILANCIO NUMERO 146
ERRATA CORRIGE
Situazione economica del periodico l’Artugna entrate Costo per la realizzazione
3.945,00
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Spedizioni e varie
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uscite
205,00
Entrate dal 01.04.2019 al 18.07.2019
3.278,00
Contributo Comune di Budoia
1.000,00
Totale
4.278,00
4.150,00
A pagina 20 del numero di Pasqua de l’Artugna, è stato riportato che Lorenzo Bocus aprì un’osteria a Castello d’Aviano. Il lettore e collaboratore Espedito Zambon ci segnala che, secondo il nipote Milziade Bocus, l’osteria fu aperta da Giacinto Bocus, fratello di Lorenzo. Quest’ultimo è ricordato come cuoco.
Comune di Budoia
2019
da oltre 40 anni
apertura Pesca di Beneficenza
Sabato 10/8 Ore 17.00 inaugurazione mostra
Dopo Attila 2019 Ore 21.30 Serata rock
con Lucio e i Robusti CHIOSCO APERTO
Domenica 11/8 Dalle ore 10.00 alle 22.00 per le vie del paese:
DardArtisti Sóte i Portóns Artigianato e agroalimentare in piazza, mostre di artisti nei portoni, saltimbanchi, giochi per bambini, sfilata di cappellini artistici, spettacoli di danza, laboratori artistici e circensi per adulti e bambini
CHIOSCO APERTO TUTTO IL GIORNO
Lunedì 12/8 Dalle ore 20.00 a Ciampore
Insieme a contare le stelle cadenti con ASA Associazione Sacilese di Astronomia
Martedì 13/8 Ore 21.00 in chiesa
Concerto per l’Assunta Organo e mezzosoprano
Mercoledì 14/8 Ore 17.00 13^ marcia sul Percorso del Torrente Artugna Ore 21.00 Serata danzante con Alto Gradimento
CHIOSCO APERTO
Giovedì 15/8 Ore 10.30 in chiesa
Santa Messa dell’Assunta Ore 16.30 Giochi popolari Ore 20.00 Spiedo paesano su prenotazione: in pesca di beneficenza o alimentari in piazza
Ore 21.00 Serata latino americana con Federico Havana DJ
e Eddi Martin DJ CHIOSCO APERTO Per tutta la durata della festa in Teatro sarà presente una mostra allestita da Ute di Sacile Dopo Attila 2019 e sarà aperta la Pesca di beneficenza
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Sabato 3/8
Con la gentile e apprezzata collaborazione di: GRUPPO ANA BUDOIA
Associazione Ombra e Luce
A SSOCIAZIONE S ACILESE di A STRONOMIA
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L’infinito Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l’eterno, Giacomo Leopardi era un giovane di ventun anni quando esattamente duecento anni fa (1819-2019), a Recanati, compose L’Infinito. I versi intensi meravigliano per la loro compiutezza su un problema esistenziale, l’infinito, che attraversa non solo la mente la quale tenta invano di sondare ed accogliere, ma il corpo intero il quale rifiuta di annullarsi e angosciosamente ambisce ad uno spazio infinito. A due secoli di distanza le conoscenze umane sul tema sono più ampie, ma nulla, o quasi, ancora può eguagliare con le stesse razionalità e ricchezza d’emozioni i versi dell’ermo colle. Dedichiamo la celebre poesia a tutte le persone che concentrano sguardo e cuore là dove si estendono gli interminati spazi. [a cura della Redazione]
e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s’annega il pensier mio; e il naufragar m’è dolce in questo mare. GIACOMO LEOPARDI [ Recanati, 1818-1819 ]