Spedizione in abbonamento postale art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone.
Anno XLVI · Aprile 2017 · Numero 140 Periodico della Comunità di Dardago · Budoia · Santa Lucia
la lettera del Plevàn
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di don Maurizio Busetti
Io sono il Buon Pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare.
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[ Gv. 10, 14-16 ]
Gesù visita il suo popolo Stiamo assistendo ad un continuo ripetersi, a somiglianza dei precedenti pontificati, di visite del Papa a diverse nazioni, diocesi e città italiane e mondiali per incontrare non solamente o prevalentemente, autorità politiche, civili o religiose, ma soprattutto la gente comune e non solo nelle cattedrali o nelle chiese, ma negli stadi, nelle fabbriche, nelle carceri, negli ospedali e addirittura nelle case private e non solo in quelle di cattolici ma addirittura di non cristiani. È un cambiamento importante di prospettiva. L’ecumenismo e l’uscita della Chiesa dalle sagrestie e
dalle chiese non sono più solo raccomandazioni conciliari, sinodali o omiletiche ma diventano il nuovo cammino della Comunità Cristiana sulle orme del suo Divino Fondatore. Gesù, il Figlio di Dio, facendosi uomo, non sceglie la classe sacerdotale per incarnarsi ma vive da laico. Il suo ministero si svolge lungo le strade, nell’incontro personale con la gente, lontano dai centri di potere. È una lunga storia che inizia con Mosè che viene mandato da Dio al suo popolo per liberarlo dalla schiavitù egiziana e che continua con la missione dei profeti che portano al popolo 2
la volontà del Signore ed aiutano la gente a purificare la propria vita religiosa per essere fedeli a Dio. Gesù compie la sua missione di Salvatore e con la sua morte e risurrezione e con il dono dello Spirito Santo fa nascere la Chiesa e la fa diventare segno visibile della Sua presenza tra gli uomini. Manda i suoi apostoli nel mondo perché a nome Suo e in sua vece visitino l’umanità portando a tutti il suo messaggio di salvezza. Gli apostoli si lanciano in quest’opera non risparmiando fatiche, sofferenze, delusioni e perfino la propria vita. Dalla loro testimonianza
Gesù, il Buon Pastore. Mausoleo di Galla Placidia, Ravenna.
nascono le comunità cristiane, dapprima piccole cellule poi si ingrandiscono man mano che nuovi cristiani vengono ad aggiungersi. Le comunità primitive si sentono chiamate alla missione ed il Vangelo si diffonde con il cammino dei cristiani. La storia della Chiesa poi in questi duemila anni della sua storia è tutto un portare Gesù dentro la storia dell’umanità. Tra iniziative benefiche, immersione nelle culture dei vari popoli, interventi positivi e negativi (non dimentichiamo che la Chiesa oltre che essere di istituzione divina è fatta di uomini deboli e peccatori) la Chiesa continua a portare il suo messaggio di salvezza in Gesù Cristo a tutti gli uomini e la gente continua ad accorrere numerosa quando il Papa va incontro ad essa.
Ancora il Papa e la Chiesa, nonostante tante controtestimonianze di diversi vescovi, sacerdoti e laici, continuano ad essere un punto di riferimento per molti che sono assetati di Dio nella loro ricerca di un senso vero da dare alla loro vita. È il Cristo Risorto, il Cristo Pasquale che continua a dire ai suoi discepoli, come quel giorno sul monte Tabor: «Andate e predicate il mio Vangelo a tutte le genti battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro tutto ciò che vi ho comandato». In questo senso siamo chiamati ad accogliere anche la Visita Pastorale che il nostro vescovo Giuseppe Pellegrini farà nei prossimi anni a tutta la nostra Diocesi, passando paese per paese, unità pastorale per unità pastorale, forania per forania, 3
come il Buon Pastore che visita il suo gregge per condurlo ai pascoli della vita. Nella nostra forania, la sua visita è prevista ed annunciata a gennaio e febbraio del 2020.
Buona Pasqua a tutti!
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[ la ruota della vita ]
NASCITE Benvenuti! Abbiamo suonato le campane per l’arrivo di... Irene Zambon di Giovanni e di Chiara Scomparin – Mestre Gaia Zanin Pontel di Gabriele e di Ilenia Pontel – Dardago
MATRIMONI Felicitazioni a... Nozze d’oro Ugo Andreazza e Vittorina Bravin – Budoia Germano Zambon e Luciana Pasetti – Budoia
DEFUNTI Riposano nella pace di Cristo. Condoglianze ai famigliari di… Bruno Busetti di anni 69 – Roma Alberto Busetti di anni 69 – Milano Mario Lavasso di anni 84 – Torino Karol Zambon di anni 55 – Londra Costantina Zanus Perelda di anni 79 – Milano Franca Angelin di anni 77 – Dardago Giovanni Calderan di anni 96 di anni – Dardago Augusta Piccinato di anni 91 – Budoia Mirella Vettor di anni 90 – Dardago Italia Norina Ianna di anni 89 – Dardago Emma Bugat di anni 89 – Dardago Maria Masiero di anni 96 – Budoia Rizzieri Zambon di anni 81 – Dardago Renato Angelin di anni 74 – Budoia Fernanda Polo Scrivan di anni 66 – Dardago Bruna Ianna di anni 86 – Budoia Albano Rizzo di anni 86 – Budoia Carmela Costantini di anni 73 – Dardago Francesca Busetti Frate di anni 66 – Venezia Lido
IMPORTANTE Per ragioni legate alla normativa sulla privacy, non è più possibile avere dagli uffici comunali i dati relativi al movimento demografico del comune (nati, morti, matrimoni). Pertanto, i nominativi che appaiono su questa rubrica sono solo quelli che ci sono stati comunicati dagli interessati o da loro parenti, oppure di cui siamo venuti a conoscenza pubblicamente. Naturalmente l’elenco sarà incompleto. Ci scusiamo con i lettori. Chi desidera usufruire di questa rubrica è invitato a comunicare i dati almeno venti giorni prima dell’uscita del periodico.
Particolare dell’affresco dipinto da un attendente di un ufficiale austriaco durante l’occupazione del 1917 in una delle stanze da letto nella casa di Luigi e Rosa Lacchin Tomè, a Santa Lucia. L’intero affresco è visibile nell’inserto «Cent’anni dalla Grande Guerra» n. 7.
2 La lettera del Plevàn di don Maurizio Busetti
sommario
In copertina.
4 La ruota della vita
VI
· aprile 201
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anno X L
6 Il sorriso di Francesco La santa Messa al parco di Monza di Miriam Zambon Le parole del Papa a cura di Adelaide Bastianello
140
9 La lungimiranza di Simon Follin con il ‘suo’ orsoglio alla bolognese a cura di Vittorina Carlon
Direzione, Redazione, Amministrazione tel. 348.8293208 · C.C.P. 11716594 IBAN IT54Y0533665090000030011728 dall’estero aggiungere il codice BIC/SWIFT: BPPNIT2P037
12 Salviamo l’archivio storico, patrimonio dei nostri tre paesi a cura della Redazione
internet www.artugna.blogspot.com e-mail direzione.artugna@gmail.com
14 La montagna come scelta di vita di Vittorio Janna Tavàn
Direttore responsabile Roberto Zambon
17 4a Festa del Ruial, non solo polenta... di Vittorio Tavàn
Per la redazione Vittorina Carlon
18 Braccia e cuore di Euridice Del Maschio
Impaginazione Vittorio Janna
20 Gli aquilotti di Campoformido di Sante Ugo Ianna
Contributi fotografici Archivio de l’Artugna, Paolo Burigana, Euridice Del Maschio, Francesca Janna, Vittorio Janna, Claudio Querenghi, Miriam Zambon, Francesca Romana Zambon
23 Di padre in figlio di Mario Povoledo 24 L’agna Giacoma Bravina di Fernando Del Maschio
Spedizione Francesca Fort Ed inoltre hanno collaborato Francesca Janna, Espedito Zambon, Gianni Zambon Rosìt
25 Recensione – Inseguendo le orme dei colibrì 26 Secondo avviso di giacenza di Alessandro Fontana
Stampa Sincromia · Roveredo in Piano/Pn
28 ’n te la vetrina 29 L’angolo della poesia
Autorizzazione del Tribunale di Pordenone n. 89 del 13 aprile 1973 Spedizione in abbonamento postale. Art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone.
30 Lasciano un grande vuoto... La solita passeggiata di Pierino Calderan Nela de ’l Biso e Nani Milanés di Cristina Bigai Un difficile addio
Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione di qualsiasi parte del periodico, foto incluse, senza il consenso scritto della redazione, degli autori e dei proprietari del materiale iconografico.
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35 Cronaca 37 Inno alla vita 38 I ne à scrit... ...dai conti correnti Bilancio 39 Programma religioso
ed inoltre... Cent’anni dalla Grande Guerra Inserto n. 7 a cura di Vittorina Carlon, Vittorio Janna e Roberto Zambon
25 MARZO 2017 IL PAPA VISITA MILANO
il sorriso di Francesco la santa Messa al parco di Monza Lo abbiamo desiderato tanto e con trepidazione lo abbiamo atteso. La diocesi di Milano aspettava Papa Francesco già il 7 maggio dello scorso anno, ma gli impegni dell’Anno Santo hanno fatto slittare la sua visita pastorale al 25 marzo, data non casuale poiché si celebra l’Annunciazione del Signore! Avevamo ancora nel cuore il ri-
cordo di Papa Benedetto quando nel 2012 aveva celebrato a Milano, precisamente a Bresso, l’incontro mondiale delle famiglie. Noi qui «giocavamo in casa» perché il luogo dove si teneva la veglia e la Santa Messa distavano a tre minuti da casa nostra e così abbiamo potuto seguire la preparazione e l’organizzazione di un evento
di Miriam Zambon
speciale che vedevamo crescere giorno dopo giorno nel nostro parco e nelle vie del quartiere. Dopo cinque anni si ripresenta questa bella occasione: di incontrare nuovamente il vicario di Cristo nella nostra diocesi, a pochi chilometri da noi e io e la mia famiglia decidiamo di partecipare alla Santa Messa nel parco di Monza.
Parco di Monza. Al centro il grande palco dove papa Francesco ha celebrato la santa Messa alla presenza di migliaia di giovani, famiglie e anziani.
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Questa volta non vediamo i preparativi, sappiamo solo che negli ultimi mesi tra Milano e Monza si era messa in moto un’impressionante macchina organizzativa per accogliere il Papa. Sorprende come tutte le istituzioni dei Comuni coinvolti, la diocesi, altri organi predisposti, le forze dell’ordine, la polizia municipale e squadre di volontari abbiano fatto un gran lavoro di squadra per rendere questa giornata al meglio dal punto di vista della sicurezza e dell’organizzazione. E di lavoro ce
n’è stato tanto! Bonifica delle aree toccate dal Papa e dai pellegrini, la costruzione del palco, la sistemazione di mega schermi, ripetitori, transenne, barriere anticamion, bagni chimici, viabilità stradale da modificare, la messa in campo di un numero eccezionale di mezzi di trasporto e personale addetto, il reclutamento di 2.400 volontari, più di duemila uomini delle forze dell’ordine… Tutto questo per garantire un’elevata sicurezza, ma non è stata una città blindata e infatti la presenza degli apparati di sicurezza era, sicuramente massiccia, ma discreta e poco visibile. Almeno noi così l’abbiamo percepita! Sono le 7 del mattino del 25 marzo, avvolti nella nebbiolina che però fa presagire che il sole si farà vedere, siamo già fuori casa per raggiungere il Comune di Sesto San Giovanni da cui partiremo a
Nel cuore di Milano – in Duomo – è avvenuto l’incontro e il commovente dialogo con il clero ambrosiano e il suo arcivescovo Angelo Scola.
L’incontro con i cresimandi e i cresimati della diocesi ambrosiana a San Siro. Dallo stadio, gremito dal primo al terzo anello, si alza il boato: «Fran-ce-sco, Fran-ce-sco!».
piedi con la scuola salesiana di don Bosco; siamo circa 300 tra sacerdoti, insegnanti, genitori e studenti (altri 500 partiranno successivamente col treno). Dopo un breve momento di preghiera ascoltiamo alle 8 il gioioso suono delle campane che annuncia l’arrivo di Papa Francesco a Linate… 7
Tutte le campane della diocesi ambrosiana hanno suonato all’unisono per annunciare che il vicario di Cristo era tra noi! Ci incamminiamo verso la meta che è il parco di Monza e dovremo percorrere circa 10 Km, percepiamo nell’aria un «profumo» particolare, di festa…
Le auto nel Comune di Sesto possono ancora circolare e qualcuno poco tollerante di fronte al passaggio di 300 persone in mezzo all’incrocio suona spazientito il clacson! Ma più ci avviciniamo a Monza le auto scompaiono e iniziano a compattarsi gruppi parrocchiali, gruppi di giovani e anziani, gruppi in bicicletta e poi eccoci nel viale che porta alla Villa Reale ed incontriamo i primi volontari
che ci accolgono con un cordiale saluto ed un sorriso e ci fanno capire che manca poco. Notiamo lungo le strade che tutti i cestini dei rifiuti sono stati rimossi, i tombini sigillati… quanto lavoro è stato fatto per garantire la sicurezza! Poi volontari e forze dell’ordine si intensificano e soprattutto ci accorgiamo con meraviglia e piacere che fiumi di persone stanno arrivando da ogni direzione.
Ci dicono di preparare gli zaini aperti per i controlli, ma in realtà ci fanno accedere all’area senza indugiare troppo. Inizialmente rimaniamo perplessi, ma poi ci guardiamo attorno e vediamo famiglie con bambini, ragazzi, anziani, disabili e giovani sorridenti e spensierati con uno sguardo che dice tutto: «siamo qui per sentire l’abbraccio di Papa Francesco e contemplare il grande Mistero».
mattina per il miracolo della vita. Essere felici non è avere paura dei propri sentimenti. È saper parlare di sé. È aver coraggio per ascoltare un «No». È sentirsi sicuri nel ricevere una critica, anche se ingiusta. È baciare i figli, coccolare i genitori, vivere momenti poetici con gli amici, anche se ci feriscono. Essere felici è lasciar vivere la creatura che vive in ognuno di noi, libera, gioiosa e semplice. È aver la maturità per poter dire: «Mi sono sbagliato». È avere il coraggio di dire: «Perdonami». È avere la sensibilità per esprimere: «Ho bisogno di te». È avere la capacità di dire: «Ti amo». Che la tua vita diventi un giardino di opportunità per essere felice... Che nelle tue primavere sii amante della gioia.
Che nei tuoi inverni sii amico della saggezza. E che quando sbagli strada, inizi tutto daccapo. Poiché così sarai più appassionato per la vita. E scoprirai che essere felice non è avere una vita perfetta. Ma usare le lacrime per irrigare la tolleranza. Utilizzare le perdite per affinare la pazienza. Utilizzare gli errori per scolpire la serenità. Utilizzare il dolore per lapidare il piacere. Utilizzare gli ostacoli per aprire le finestre dell’intelligenza. Non mollare mai... Non rinunciare mai alle persone che ami. Non rinunciare mai alla felicità, poiché la vita è uno spettacolo incredibile!»
le parole del Papa a cura di Adelaide Bastianello «Puoi aver difetti, essere ansioso e vivere qualche volta irritato, ma non dimenticare che la tua vita è la più grande azienda al mondo. Solo tu puoi impedirle che vada in declino. In molti ti apprezzano, ti ammirano e ti amano. Mi piacerebbe che ricordassi che essere felice, non è avere un cielo senza tempeste, una strada senza incidenti stradali, lavoro senza fatica, relazioni senza delusioni. Essere felici è trovare forza nel perdono, speranza nelle battaglie, sicurezza sul palcoscenico della paura, amore nei disaccordi. Essere felici non è solo apprezzare il sorriso, ma anche riflettere sulla tristezza. Non è solo celebrare i successi, ma apprendere lezioni dai fallimenti. Non è solo sentirsi allegri con gli applausi, ma essere allegri nell’anonimato. Essere felici è riconoscere che vale la pena vivere la vita, nonostante tutte le sfide, incomprensioni e periodi di crisi. Essere felici non è una fatalità del destino, ma una conquista per coloro che sono in grado di viaggiare dentro il proprio essere. Essere felici è smettere di sentirsi vittima dei problemi e diventare attore della propria storia. È attraversare deserti fuori di sé, ma essere in grado di trovare un’oasi nei recessi della nostra anima. È ringraziare Dio ogni
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Augusto Cury «Dieci regole per essere felici», parole in parte riprese nella relazione del Sinodo dei Vescovi presieduto da Papa Francesco.
Copertina del volume I Fullini: dall’Alpago al feudo di Polcenigo, da mercanti a conti, a cura di Alessandro Fadelli, edito da l’Artugna, il GR.A.PO e Libreria Cartoleria Minatelli 1933 di Polcenigo, 2016.
A DARDAGO IL PRIMATO FRIULANO
Da alcune scodalizze d’acqua nassente da monti...
la lungimiranza di
Simon Follin con il ‘suo’ orsoglio alla bolognese a cura di Vittorina Carlon
P er secoli il paesaggio delle campagne e delle colline del Friuli è stato caratterizzato dalla presenza di numerosissimi alberi di gelso, le cui foglie erano utilizzate come alimento per l’allevamento dei bachi da seta. Dal Quattrocento la gelsibachicoltura s’incrementò progressivamente e assunse un ruolo rilevante per l’economia friulana, fino alla metà del XX secolo, e la zona della pedemontana occidentale del Friuli svolse un ruolo importante in questo settore. Tra le pagine del nostro periodico trovò spesso spazio l’argomento. Vittorio Janna trattò l’allevamento del baco nelle nostre case (n. 128), mentre Roberto Zambon espose il funzionamento di un ‘orsoglio alla bolognese’, individuando con certezza il fabbricato dove funzionava il ‘nostro’ opificio in cui si lavorava il filo di seta, fin dal secolo XVII (n. 130). Come già esposto nella scheda di approfondimento in appendice, del volume La storia di Budoia di
Alessandro Fadelli, a cura della Redazione, Dardago vanta un primato a livello regionale: la costruzione del primo ‘orsoglio alla bolognese’, nel 1670, anticipando così di ben quattordici anni la realizzazione di quello della Città di Udine, avvenuta nel 1684. Già nel 1987, un documentato articolo La seicentesca origine del «ruial» di Fabrizio Fucile, pubblicato in l’Artugna n. 51, chiarì i termini della questione. Ma che cos’era un ‘orsoglio’? Si trattava di un opificio, in cui era inserito un incannatoio meccanico, collegato agli stessi organi di trasmissione del filatoio, che eliminava tutta la fase dell’incannatura manuale con il risultato che un solo «sistema di fabbrica», partendo dalla materia prima (le matasse di filo), otteneva il prodotto finito, compiendo automaticamente più fasi lavorative complesse. Prima di tale scoperta, era necessaria una fase preparatoria molto lunga e laboriosa, durante la quale molte 9
operaie, anche a domicilio, trasferivano manualmente il filo dalle matasse ai rocchetti. Da documenti rinvenuti recentemente, abbiamo addirittura la convinzione di un altro primato locale: l’esistenza di un filatoio probabilmente non meccanico, già quattro anni prima, nel 1666, se non addirittura anteriore quando Simone Follin, fin dal suo arrivo a Dardago da Polcenigo (16571659), avviò una piccola impresa innovativa per il luogo nella casa in cui dimorava (nello stesso edificio dove quattro anni dopo sorgerà l’orsoglio alla bolognese?). Si trattava di un opificio, il cui lavoro consisteva nel dipanamento delle bave dei bozzoli, le galette, mediante la trattura, al fine di ottenere filati lunghissimi e uguali, che, sovrapposti in alcuni punti attorno ai naspi, formavano la matassa. Per imprimere maggior consistenza al filato, gli operai proseguivano, quindi, con la torcitura di due o più fili dapprima in senso orario (a Z), ritorti poi
in direzione antioraria (a S), ottenendo così un prodotto di grande qualità come l’orsoglio o organzino, resistente e perciò utilizzato per gli orditi dei tessuti. Procedimento presumibilmente eseguito con la ruota a «filare semplice», girata a mano, sostituita in fase successiva con il torcitoio circolare ovviamente più veloce. Il 24 luglio di quell’anno, accadde un fatto insolito e alquanto benaugurante per il ‘nostro’ Follin. Tra i suoi dipendenti c’era pure Anzola Marculin di Conegliano, moglie di mistro Antonio Carraro del Castello di Polcenigo, incinta e prossima al parto, tanto che diede alla luce la sua piccola Helena proprio nella casa di mistro Simonetto, luogo in cui la giovane mamma era impegnata «à nettalergli la galetta; in sedda». La chiesa della pieve accolse la neonata per il battesimo, il cui padrino non poteva che essere il datore di lavoro della madre, af-
fiancato da una madrina goriziana benestante, donna Felizzita Marinelli, moglie di mistro Gio Giacomo fu Floriano Follino del Castello di Polcenigo, abitante a Gorizia, parente di Simon.
Al numero catastale 806 corrisponde l’area un tempo occupata dall’orsoglio, nel 1812 non più di proprietà dei Fullini, bensì della famiglia Forti, eredi di quell’Antonio.Forte che, nel 1696, «già (da) anni (ha) fatto lavorar l’eddificio di filatoio qual era di ragione del Sig.r Simon Follini». ASVe, Censo stabile, Mappe napoleoniche, Comune di Budoia con Dardago, mappa n. 1771 (cfr. p. 79 volume).
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Perché questo imprenditore ritenne di investire il suo capitale a Dardago? Fu attratto dall’ottima qualità delle acque del torrente Artugna, utilizzate sino a quel momento per la filatura e tessitura della canapa, nei vari canapifici domestici, data la caratteristica di infondere lucentezza al filo, oltre che dal terreno adatto alla gelsicoltura e, quindi, all’allevamento dei bachi. Chi era questo Simon Follin, che preferì Dardago a Polcenigo, le acque cristalline dell’Artugna a quelle del Gorgazzo o della Livenza? Vi anticipiamo alcune note storiche del nostro primo imprenditore ‘dardaghese’, che troverete nel volume I Fullini: dall’Alpago al feudo di Polcenigo, da mercanti a conti, curato da Alessandro Fadelli, con la collaborazione del professor Mario Cosmo, ed edito da l’Artugna, il GR.A.PO e Libreria Cartoleria Minatelli 1933 di Polcenigo, con il contributo della provincia di Pordenone. Si trattava di un alpagoto-polcenighese, appartenente alla numerosa discendenza dei Fullini di Polcenigo, intraprendente, dotato di ambiziose idee, singolare per capacità razionali e per caparbietà, che proseguì il marchio imprenditoriale della dinastia dei Fullini, sviluppatasi già nel
In alto. Le scodalizze d’acqua nassente che hanno conquistato Simon Follin. Sotto. Arco d’ingresso della Ciasa de Folin, in via Roma a Budoia. Si tratta dell’edificio che divenne di proprietà della parrocchia di Budoia, nel Novecento; è ricordato come luogo d’incontri ricreativi del Gruppo di Azione Cattolica Giovanile, negli anni ’40 del secolo scorso.
Quattrocento con il capostipite Simon della Maestra il cui nipote Floriano abbandonò l’originario cognome o soprannome per assumere, negli ultimi decenni del Cinquecento, quello di Folin/ Fulin/ Follino caratterizzato probabilmente dalla scelta della nuova attività: la follatura della lana («Ser Florianus q. ser Antonii della Maistra dictus Folino, habitans in Alpaco districtus civitatis Belluni» – 1581). Il ‘nostro’ ebbe un’intuizione lungimirante che nessun altro dei suoi parenti polcenighesi (divenuti poi conti) avvertì in quel momento; nel centro castellano, infatti, non era stato ancora costruito alcun mulino da seta. Bisognerà attendere solamente nel Settecento, secolo d’oro della seta. Per sapere di più di lui e dei suoi rapporti parentali e amicali ‘dardaghesi’, del suo ‘orsoglio alla bolognese’, delle numerosissime proprietà nel Comune di Budoia e della storia dei Fullini di Polcenigo, cui fu conferito il titolo comitale nel 1694, vi consigliamo di leggere il volume, che verrà presentato il 13 maggio, in occasione della Settimana della Cultura Friulana della Società Filologica, nel Teatro Comunale di Dardago.
NEL VOLUME SONO INCLUSI I CONTRIBUTI DI… Dina Vignaga, I conti di Polcenigo e abitanti del loro feudo in documenti bellunesi dei secoli XV e XVI; Silvia Bona, I Follin dell’Alpago; Carlo Zoldan, Oculate scelte matrimoniali. I Fullini a Sarone; Alessandro Fadelli, Per una storia dei Fullini a Polcenigo (XVI-XIX secolo); Maurizio Grattoni d’Arcano, L’incanto di un feudo all’incanto: i Fullini consignori di Cucagna; Vittorina Carlon, Per alcune scodalizze d’acqua nassente da monti…Il ramo ‘dardaghese’ dei Fullini; Roberto Zambon, Simon Fullini e il primo orsoglio alla Bolognese del Friuli a Dardago; Gianclaudio Da Re, I Fullini nella Pieve d’Alpago; Mario Cosmo, Della discendenza di Augusta Fullini; Stefania Miotto, L’ultimo dei Fullini. Profilo biografico del canonico patriota Alessandro (1815-1881); Mario Cosmo, Il palazzo Fullini dopo i Fullini; Ugo Perut, Breve relazione storico-architettonica sul palazzo Fullini; Giancarlo Magri, Affreschi a palazzo Fullini: una prima nota.
Il volume è in vendita presso la cartoleria-libreria Minatelli di Polcenigo e può essere richiesto a direzione.artugna@gmail.com
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FASE 2
salviamo l’archivio storico patrimonio dei nostri tre paesi a cura della Redazione
L’articolo pubblicato nel numero 137 dello scorso anno, in cui si annunciava l’avvenuto intervento di restauro e conservazione di ventuno registri canonici, contando su parte del lascito «Sergio Zambon Momoleti» e sul contributo elargito dalla Fondazione CRUP, terminava con questi due capoversi: La seconda fase del restauro riguarda 21 registri canonici manoscritti e 6 libri a stampa. Il preventivo è di 34.989 euro. Il lavoro sarà eseguito se la Fondazione CRUP accoglierà la nostra domanda di contributo. In tal caso la redazione de l’Artugna, attingendo dal lascito, metterà a disposizione ulteriori 17.495 euro.
E… il ‘sogno’ si è avverato nuovamente per merito della Fondazione CRUP, cui va il nostro vivo ringraziamento. Altri ventisette tra registri e volumi a stampa sono rientrati in archivio con vesti e profumazioni nuove. È stata la Società Cooperativa «Centro Studi e Restauro» di Gorizia, coordinata dall’amministratore Adriano Machitella, ad eseguire le operazioni previste nel progetto regolarmente autorizzato dalla Soprintendenza Archivistica per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia. «Durante l’intervento di restauro si è prefissato l’obiettivo di restaurare e riutilizzare quanto più possibile gli elementi originali ca12
ratterizzanti le legature dei registri. Tutti gli elementi non riutilizzati sono comunque stati conservati e inseriti in cartelline di conservazione, posizionate nel contenitore per il corrispondente registro». A seguito delle operazioni preliminari, si è proceduto al restauro delle carte e per alcuni registri anche delle coperte in cartoncino e per altri di pergamena di diversa tipologia: semifloscia, in mezza pergamena e carta decorata, di tipo archivistico e anche in piena pelle di capra. Sono, quindi, proseguite le operazioni di rilegatura. Per tutti i sei volumi a stampa – cinque settecenteschi e un messale ottocentesco – si sono resi indispensabili interventi di restau-
Sono state eseguite operazioni sui seguenti volumi a stampa… Costitutiones synodales Concordienses, ex typographia Palese, 1768. Autore: illustrissimo e reverendissimo Aloysius Maria Gabriel, vescovo di Concordia. Descrizione topografica, e storica del Dogado di Venezia con una nuova carta di questa provincia, 1777, pp 84 (non esiste la carta allegata). Collaboratore: Bassaglia Giammaria. Editore: presso Giammaria Bassaglia Libro di teologia (fine 1700) mutilo (privo di 14 pagine). Missale Romanum, Venezia Tip. Balleoniana, 1766, pp. 636. Missale Romanum, Patavii Typis Seminarii, 1823. Stampa al Laudo, 1754.
...un vivo ringraziamento alla Fondazione CRUP ro e di «rilegatura delle legature». I ventisette registri e volumi si sono sommati ai precedenti già restaurati e rimangono in attesa di essere conservati in un apposito armadio ignifugo adatto alla conservazione dei beni archivistici. *** Ma l’archivio chiede ancora aiuto: altri registri e documenti attendono di essere ‘lavati e profumati’ e d’indossare l’abito della festa per affiancarsi agli altri e ricomporre l’intero patrimonio da consegnare alle future generazioni. Per questo chiediamo la sensibilità e la generosità dei nostri lettori, affinché anche questo ‘sogno’ possa divenire realtà.
Il patrimonio archivistico della Pieve restaurato in questi ultimi due anni.
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IL LAVORO «PARTICOLARE» DI FABRIZIO VAGO, TRA SOCIALITÀ E AMORE PER LA NATURA
la montagna come scelta di vita di Vittorio Janna Tavàn Che la montagna abbia un indubbio fascino paesaggistico è cosa acclarata. Che da essa vi si possano trarre benefici psicofisici oltremodo compromessi dalla frenesia della società moderna altrettanto. Ma che possa diventare un lavoro perseguibile e più appagante rispetto a quello più convenzionale e remunerato di un ufficio, è ardimento da sognatori visionari o pazzi. Fabrizio Vago, in verità, non è né l’uno né l’altro. È una persona con un’innata passione per la
montagna, la flora, la fauna ed il paesaggio e che, nonostante una laurea in giurisprudenza alla mano e quindici anni di lavoro dietro una scrivania, ha deciso di lasciarsi alle spalle la precedente vita per assecondare altre leggi meno prosaiche: quelle della natura. Un sogno che cullava fin da bambino e una scelta tutt’altro che avventata (nonostante le preoccupazioni dei genitori), ma ragionata ed oculata (e per questo sostenuta dalla moglie), che lo ha portato, a quarant’anni, a consi-
derare le opportunità di una nuova professione prevista dalla specifica legge sulle guide alpine: l’«accompagnatore di media montagna». Laddove «media montagna» non si riferisce ad un limite massimo di quota ma bensì al tipo di terreno, esclusivamente escursionistico, dove il professionista può operare nel rispetto della legge senza sconfinare nell’ambito di competenza delle Guide Alpine. Al rigore della definizione tecnica Fabrizio preferisce aggiungere
un nuovo valore emozionale: quello della socialità tra le persone. «Nelle mie escursioni non bisogna dimostrare niente a nessuno, niente agonismo, non ci sono record da battere, non c’è premio per chi arriva primo…». Ed è proprio seguendo questa filosofia che ormai da un anno ogni giovedì organizza le «Escursioni del Benessere», esperienze settimanali della durata di una mezza giornata o poco più. Queste uscite sono effettuate con piccoli gruppi di persone, dove tutti
possono partecipare, anche chi è poco allenato. Inoltre durante le pause del cammino, e solo per chi lo desidera, vengono svolti alcuni esercizi di ginnastica distensivi e di respirazione. Ogni settimana sceglie in base alle condizioni meteo e stagionali percorsi sempre diversi per evitare il rischio di annoiarsi ripercorrendo sempre gli stessi sentieri o le stesse strade. L’itinerario individuato viene comunicato ogni lunedì mattina agli interessati via mail o tramite messaggio su cellu-
lare. Quasi tutte le escursioni vengono effettuate nelle Prealpi Trevigiane e Carniche orientativamente nella fascia prealpina che va da Vittorio Veneto (Treviso) a Spilimbergo (Pordenone). In queste dinamiche, si genera la curiosità, non solo per le mete ed i tragitti, ma tra i componenti del gruppo stesso che si conoscono, si supportano a vicenda, si scambiano esperienze e si organizzano per nuove ed autonome uscite. Non è dunque solo il benessere fisico a beneficiare, ma anche
quello sociale contribuendo a migliorare il proprio stile di vita e a conoscere meglio il territorio. E poi ci sono le escursioni domenicali di ogni lunghezza e difficoltà, i corsi di nordic walking al Parco di San Floriano, le ciaspolate sulla neve di giorno o di notte con la luna piena… l’estate è poi la stagione dei trekking di più giorni per chi desidera fare qualcosa di più strong! Ad ogni stagione la sua speAlcuni componenti delle «Escursioni del Benessere».
Fabrizio Vago Nasce a Milano il 9 ottobre 1972 da mamma budoiese e papà brianzolo-dardaghese. Terminati gli studi superiori si laurea in giurisprudenza. Successivamente entra nei quadri organizzativi di una società interinale. Dopo 11 anni abbandona il lavoro dipendente per dedicarsi totalmente alla montagna. Per acquisire maggiori conoscenze frequenta continui corsi di specializzazione. Attualmente si dedica all’accompagnamento tecnico di gruppi di persone. Nel marzo 2017 ottiene inoltre il brevetto di accompagnatore di media montagna, allargando così il suo orizzonte d’azione. Sposato con due figlie, vive e lavora a Budoia (Pordenone).
cialità, aumentando di volta in volta per i gruppi già consolidati il livello di escursione. Recentemente (marzo 2017) Fabrizio ha ottenuto la qualifica di IML (International Mountain Leader) secondo lo standard formativo UIMLA (Union International Mountain Leader Association). Per le guide escursionistiche la UIMLA – così come per le guide alpine la UIAGM – è l’unica organizzazione riconosciuta a livello mondiale nel campo dell’accompagnamento professionale in montagna. Grazie a questa le sue escursioni potranno sconfinare nelle Alpi austriache, svizzere e slovene e nelle coste della Croazia per chi ama il connubio mare-montagna. Nonostante le richieste sempre più «esigenti» e la notorietà che ha raggiunto con facebook e con il suo blog il mountainrider (che colleziona una media di 40 mila contatti al mese, tanto da valergli articoli su riviste nazionali come Star bene e Donna Moderna), Fabrizio ha le idee chiare sulle finalità del suo lavoro. Non è la competizione ad interessargli, né tantomeno la sperimentazione dei propri limiti o il raggiungimento di record personali. Quanto piuttosto – nuovamente – il valore sociale della sua professione. «Non formo degli atleti per la preparazione di qualche gara, né io lo sono nonostante mi sia ci16
mentato in gioventù in sfide anche impegnative con me stesso praticando diverse discipline ad alto rischio come alpinismo e scialpinismo. Quello che mi interessa ora è ben altro. È entrare in empatia con gli escursionisti, guardare negli occhi le persone che accompagno e, nel loro stupore verso la scoperta di una vallata mozzafiato, si accende il senso di quello che faccio, sento la validità dei sacrifici che ho intrapreso per riuscire in questa scelta professionale e la vitalità che, come mai prima, infiamma la mia vita». Passo dopo passo un pensiero accompagna l’incedere di Fabrizio lungo i sentieri… «La montagna è sempre lì che ci aspetta. È una presenza costante indifferente ai nostri stati d’animo, al nostro umore, al tempo che passa… La cosa bella è che solo noi possiamo dare valore al tempo che passiamo tra le sue pieghe». Il sogno che Fabrizio aveva fin da piccolo… ora si chiama realtà!
www.ilmountainrider.com
Per una gran polenta sono necessari un gran fondàl e bòni méstui. A Gianni, Riccardo e Massimiliano Zambon Rosìt è affidato el parécio de i àrtes.
Bentornata tra noi cialdiéra de ràn. Manuel e Giuseppe Del Maschio stanno preparando l’intelaiatura in ferro... così potrai tornare all’opera.
programma
DOMENICA 7 MAGGIO IN VAL DE CRODA
a
4 Festa del Ruial non solo polenta... di Vittorio Tavàn «Le nostre mont sono e saranno sempre la nostra grande risorsa». Ricordo sempre questa frase di Angelo Carlon Scópio, quando un tempo tutti noi – distratti da mille interessi – guardavamo e consideravamo le nostre montagne semplicemente come una presenza nel paesaggio. È passato tanto tempo come pure tante valutazioni sono mutate. Oggi sperimentiamo quanto Angelo avesse visto oltre, quanto avesse avuto ragione. Ed è proprio ripartendo da quella sua affermazione di stima di valore, che da alcuni anni con idee, lavoro e costante impegno un gruppo di volontari (riuniti nel Comitato Ruial de San Tomè) ha suscitato un tale entusiasmo, una tale energia capaci di far «sbocciare» il territorio come in una seconda primavera. Ruial, Mulin de Bronte, Strada dei Triói, Parco Pinàl con laghetto, Strada de la Rosta, Ciàmpore, Sorgente de i Agarói, Cooperativa Ciàl de Mulin, Festa del Ruial, Dardago fior di zafferano… non sono semplicemente nomi, ma sono segni di una tangibile volontà collettiva il cui desiderio e fine è quello della valorizzazione. Un ritorno di auto-responsabilità che porta con sé il gravoso ma interessante compito della salvaguardia del paesaggio. Certamente i volontari non finiranno
mai di ringraziare gli Enti Pubblici che generosamente hanno elargito e continuano ad elargire il loro contributo, la loro collaborazione. Ricordiamo come il Comune di Budoia e il suo ufficio tecnico, Montagna Leader, il Corpo Forestale, la società Idrogea, la Scuola alberghiera IAL di Aviano, l’Ecomuseo Lis Aganis, la Federazione Italiana Cuochi, il CAI di Pordenone, il Gruppo Speleologico di Sacile, la Parrocchia di Dardago, i proprietari delle aree interessate ai vari cantieri hanno supportato e supportano il gruppo, oltre agli artigiani e agli operatori economici locali, a molte ditte private e a tutti i soci. Grazie di cuore! La strada da percorrere è ancora lunga, tante sono le idee per continuare a valorizzare la nostra Valle. Lei è sempre lì che ci aspetta… con nuovi progetti. Per il momento ritroviamoci tutti insieme a Ciàmpore domenica 7 maggio, dall’alba al tramonto, per una grande festa di primavera: la «4ª Festa del Ruial». Per l’occasione è stata recuperata anche una delle due cialdière della vecchia Latteria di Dardago per cuocere una gran polenta da oltre due quintali. Una bella occasione per incontrarci. Tutta la popolazione è invitata e sarà anche un momento per fare il «punto», per mettere ordine alle idee e dare priorità ai progetti.
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MATTINO «ESCURSIONE» su sentieri 990 e 994 di media difficoltà ‘E’; non prevista assicurazione collettiva, «escursione impegnativa» per persone allenate con esperienza di montagna ore 7.30-8.30 registrazione partecipanti presso parcheggio Chalet Belvedere. ore 8.30 partenza con Guide CAI di Pordenone; salita lungo sentiero 990; vista del Cunàth e salita sino a quota 900 s.l.m.; discesa lungo sentiero 994; rientro a Ciàmpore previsto per le ore 12.30. Nella Valle delle Orchidee «PASSEGGIATA» in piccoli gruppi con esperti di orchidee spontanee ore 9-11 partenze dalla località Ciàmpore alla scoperta delle orchidee spontanee; durata circa 1-1,5 ore; rientro previsto dell’ultima passeggiata alle ore 12.30. Crep de San Tomè, palestra di roccia «Raffaele Carlesso» ore 9-12 esperienze di discesa con corda doppia a cura del Gruppo Speleologico di Sacile; prenotazione presso Infopoint a Ciàmpore; rientro previsto per le 12.30.
GRAN PRANZO In «girotondo» alla cialdiéra ore 12.30 butòn dho sul gran fondàl la grande polenta di due quintali; con lo spago di porzionatura rito della croce di ringraziamento; pranzo per i convenuti con carni allo spiedo, frico, salsicce e... vin bòn.
POMERIGGIO Musica&Natura ore 13-15 fantasie musicali con il magico violino di Lucio Gobatto Biagio, vai adagio! ore 15 per i più piccoli... passeggiata con gli asinelli di Biagio Tra gli alberi di Ciàmpore ore 9-18 per i più piccoli... esperienza di attraversamento con passerella, a cura del Gruppo Speleologico di Sacile PER TUTTA LA GIORNATA Presso il gazebo della Cooperativa Cial de Mulin, vendita delle confezioni di «Dardago, fior di zafferano» e possibilità di degustazione di risotti preparati dallo Chef Manlio Signora, docente presso lo IAL di Aviano.
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co’ un sass a paròn...
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braccia e cuore Che bello ritrovarsi e fare assieme quello che facciamo!
Avete mai osservato le file di formiche che corrono lungo i muri delle case, negli angoli, sui marciapiedi? Una fila che va, una fila che viene. Sono centinaia e quando s’incrociano, si fermano un istante, si «baciano»: forse si salutano, forse si scambiano informazioni sul percorso, sul lavoro da fare. Ebbene quando ho visto l’andirivieni delle carriole cariche di sabbia un giorno e cariche di sassi, meglio dire «crode», un altro, ho pensato alle formiche. Ma questi con le carriole non sono centinaia e neanche decine: sono i soliti pochi noti. Eppure a Dardago non mancano né le carriole, né i badili! Tutti sanno chi sono, non c’è bisogno di fare nomi. Hanno i capelli bianchi, qualche ginocchio che scricchiola e la schiena più o meno diritta, però come spingono le carriole! Più veloci e sorridenti nel viag18
di Euridice Del Maschio
gio di ritorno e pronti a incoraggiare quelli dell’andata. – Sù, che i n’ aveve de pì, mi! – Dai, che i n’ avon pì poci! E poi chi parla «foresto»: – Varda che avèn quasi finìo! Dicono anche altro, ma resti tra noi. Li conosco da sempre quasi tutti: qualcuno è stato mio vicino di casa, con qualcuno ho giocato sulla crosera, c’è anche chi è stato mio compagno di classe o amico di gioventù e chi lo è diventato da poco. Che bello ritrovarsi e fare assieme quello che facciamo, quasi dovessimo finire qualcosa lasciato in sospeso tanto tempo fa! Dico facciamo perché ancja mi soi dudha ’n te l’Artugna a trovà bei sass sliss pa’ fa ’l salto de la cascata. A questo punto però devo mettere un po’ in ordine gli avvenimenti secondo una sequenza temporale. Torniamo indietro di qualche settimana, a quando cioè, sono
I volontari al lavoro per la sistemazione del laghetto del Parco Pinàl.
iniziati i lavori di ampliamento del laghetto Pinàl su de la Rosta. Un giorno è arrivata la scavatrice: scava, giava sass, ingruma sass e così il laghetto è diventato largo il doppio. E poi strato di sabbia sottile per livellare il fondo, stesura di un telo detto «tessuto non tessuto» per ridurre l’impatto dei 4 teli di plastica con il terreno non perfettamente liscio e poi ancora «tessuto non tessuto» e sabbia sottile. A questo punto dei lavori, le carriole riempite e svuotate su e giù del laghetto sono state decine e decine, come pure i sassi per ricoprire le sponde, raccolti, portati, passati e lanciati: «co’ un sass a paròn...». La «missione» oramai è quasi compiuta, rimane da ripristinare il terreno tutt’intorno a prato com’era prima. Speriamo che piova presto perché acqua non ce n’è. Intanto, anche quest’anno, il pruno selvatico è fiorito! 19
Località Monteón. La lapide ricorda il triste e tragico avvenimento del 26 maggio 1934.
Ci sono ancora persone a Dardago che ricordano bene quel 26 maggio 1934 quando un velivolo si schiantò sulle nostre montagne in località Monteón a causa del forte caligo.
gli aquilotti di Campoformido Apro il computer, mi collego al solito «libro delle facce» (Facebook n.d.r.) e trovo che l’amico Claudio è andato a fare una camminata sulle nostre montagne, località Monteón, ed ha postato la foto di una lapide che recita: Capitano Tomaso Brandolini Sergente Maggiore Andrea Citi 88a Squadriglia Caccia Cielo di Monte Cavallo 26 Maggio 1934 – XII E.F. La didascalia che accompagna la foto dice: «Chi mi dà qualche informazione riguardo questo cippo?». Sono curioso per i fatti (storia) che hanno sfiorato Dardago per cui inizio ad appellarmi ad internet. Chi erano gli sfortunati aviatori ricordati sulla lapide? Quali le cause che provocarono il triste episodio? Da dove provenivano e dove erano diretti? Inizio la ricerca spinto dal desiderio di poter dare, almeno spero, risposte esaurienti. Conosciamo i nomi e i loro gradi, l’appartenenza ad una squadriglia e la data del loro decesso. Per rispetto di gerarchia prima cerco di documentarmi sulla figura
del capitano Brandolini ma nonostante gli sforzi, le ore passate al computer sembra che nella rete non esistano notizie su di lui. Ancor oggi che leggete questo articolo, pur continuando a «navigare», sembra che il tempo (ma ne dubito molto) lo abbia definitamente cancellato dalla memoria ‘elettronica’. Sono invece più fortunato quando digito: Andrea Citi. Scopro che il nostro Sergente Maggiore era nato a Portoferraio il 19 febbraio del 1909, apparteneva al gruppo storico di Campoformido (Udine) e sorpresa delle sorprese era soprannominato il «pazzo volante», pluridecorato e che già in giovanissima età aveva rappresentato l’Italia in campo internazionale in fatto di acrobazie aeree. Ma andiamo con ordine cercando di capire in cosa consisteva l’88a Squadriglia Caccia e il Gruppo storico di Campoformido e la loro storia. Non trovo moltissimo ma scopro che la 88a Squadriglia, unitamente ad altre, faceva parte del 1° Stormo Aeroplani da Caccia ed è stato l’embrione della scuola di Alta Acrobazia Aerea. Lo stormo adottò per distintivo un arciere bianco in campo nero, racchiuso in un ottagono, raffigurato 20
di Sante Ugo Ianna
nell’atto di scagliare una freccia già incoccata sulla corda tesa dell’arco. Pare essere opera di Gabriele D’Annunzio insieme al motto «Incocca, Tende, Scaglia» scelto per simboleggiare la rapidità e l’efficacia della specialità della caccia. Inoltre, sempre secondo la tradizione aeronautica, in seno al 1° Stormo nacque il famoso grido «Gheregheghez! Ghez! Ghez! Ghez!» destinato a diventare prima il grido di guerra della Caccia italiana, poi quello di tutta l’Aeronautica. Quando si parla del 1° Stormo Caccia viene automatico associare a questa unità il nome della località che si legò alla sua storia e leggenda: Campoformido; qui il 1° Stormo diventa un mito ma fu costituito sul campo di Ghedi (Brescia) il 7 maggio 1923, e nel maggio 1924 fu trasferito a Lonate Pozzolo (Varese). Dopo varie trasformazioni ed evoluzioni in seno alla forza armata aerea finalmente, con il Foglio Ordini n. 25 del Ministero dell’Aeronautica datato 10 dicembre 1926, inizia il connubio fra gli aviatori del 1° Stormo e le genti friulane. L’organico dei 545 uomini è diviso fra: – 6° gruppo di volo (73a, 79a, 81a, 88a squadriglia); – 17° gruppo di volo;
(71a, 72a, 80a, 90a squadriglia) – Comando di Stormo; – Compagnia Stazionaria. Comandante del 1° Stormo è il Colonnello Luigi Govi, persona attenta ma non preparata all’esuberanza, alla passione ed al dinamismo delle nuove leve aviatorie e stenta a frenarne le velleità. Il primo segnale di cambiamento avviene nella primavera 1928 quando tre piloti: (Erardo) Fruet, (Nicolò) Lana, (Giuseppe) Pancera si presentano nel cielo di Campoformido per una serie di «looping» a cuneo, la manovra provata e riprovata segna la nascita ufficiale della prima pattuglia acrobatica aerea; questa esibizione di grande perizia imponeva emulazione, a sostenere questo spirito, giunge a Campoformido il Tenente Colonnello Rino Corso Fougier (Bastia 14.11.1894 – Roma 24.4.1963) quello che sarà il padre dell’acrobazia collettiva italiana, arriva il 1° giugno 1928 ed assumerà il comando dello Stormo il 1° settembre. Fougier è convinto che il pilota da caccia deve avere il pieno controllo del proprio velivolo, in qualunque assetto… quindi l’addestramento acrobatico è fondamentale per consentire una estrema capacità di controllo ed adattamento specie nel combattimento aereo. Inizia «l’era Fougier»: manda presso le scuole di volo i suoi migliori piloti a fare «scouting» sugli allievi meritevoli e li fa assegnare alla base di Campoformido. Arrivano così i ragazzi che saranno leggenda e solo per citarne alcuni: Diamare, Citi, Baldelli, Reglieri, Moscatelli, De Giorgi, Brizzolari, Stabile: tutta gente nata per volare. Si iniziano allenamenti acrobatici in formazione che si alternano con quelli operativi al tiro ed alla finta caccia. Bisogna ricordare che essere pilota di aeroplani in quegli anni significava affrontare un grave rischio tutte le volte che ci si alzava in volo: ad esempio, l’unico sistema di orientamento oltre la bussola era costituito dalla lettura della carta geografica, mentre, nello stesso tempo, si manovrava l’aereo. Quando accadeva di perdere l’orientamento, l’unico modo di riprendere la giusta dire-
Campoformido, 1930. I piloti della Pattuglia Acrobatica del 1° Stormo che effettua, nel 1930, la «Crociera Orientale» con i CR.20 bis. Da sinistra: Serg. Gino Brizzolari, Serg. Ettore Wengi, Serg. Tommaso Diamare, Serg. Mario Sansone, Ten. Alfredo Reglieri, Ten. Antonio Moscatelli, Serg. Andrea Citi, Serg. Elio Scarpini, Serg. Silvio De Giorgi. Quattro di questi autentici manici, Brizzolari, Diamare, Sansone e Citi, non sopravviveranno all’epopea del volo acrobatico dei gloriosi anni ’30. Andrea Citi morì tragicamente insieme al suo capitano sulle nostre montagne il 26 maggio 1934. Raccontano che dinanzi alla salma (di Citi), nella chiesetta di Aviano, il duca Amedeo Savoia-Aosta, stringendo comosso nelle sue la mano dell’anziano padre di Andrea, mormorasse: «Abbiamo perduto uno dei migliori piloti».
zione di volo era quello di abbassarsi di quota seguendo i binari di una linea ferroviaria fino a raggiungere una stazione su cui si poteva leggere il nome della località. Riconosciuta la località, con l’aiuto della mappa e della bussola, si poteva sperare di ritrovare la giusta rotta. Tuttavia, il sistema non era privo di inconvenienti e rischi: diversi piloti, utilizzando questo metodo, nel volo a bassa quota, caddero, incrociando ed urtando cavi, tralicci, ecc... Nel periodo 19281929 tutti i piloti furono dotati di paracadute, prima quando accadeva che un velivolo si incendiasse in volo, per non morire straziati nel rogo, molti piloti si gettavano nel vuoto... Precedentemente ho evidenziato due nomi Citi e Brizzolari per una specifica ragione, in quegli anni gli inglesi fanno le loro esibizioni ad una distanza di una ventina di metri l’uno dall’altro per evidenti ragioni di sicurezza; qualcuno azzarda a dire: «Allora quando si comincia a volare ala contro ala?». Gino Brizzolari non ci pensa su due volte, chiama in disparte il suo abituale compagno di allenamento Andrea Citi: «Andiamo su Codroipo, voglio perfezionare le nostre acrobazie». Fatta quota sui 600 metri Brizzolari fa il cenno con21
venzionale, Citi parte con il looping e Brizzolari, appiccicato come una sanguisuga, lo segue passo passo; alla fine la gran volta completa la terribile manovra. Un semplice sbattimento di ali e l’agitare di una mano sono il segno della vittoria; non si rendono neppure ben conto di aver, per la prima volta al mondo, completato una figura che diventerà il classico di ogni pattuglia acrobatica. Per superare la diffidenza di chi vede nei ragazzi di Campoformido dei «saltimbanchi del cielo», Fougier ha bisogno però, del sostegno della Forza Armata. L’occasione arriva nel luglio 1929, per accogliere i due aviatori statunitensi protagonisti del primo collegamento aereo tra Nord America e Roma, Italo Balbo pensa, infatti, ad una esibizione del 1° Stormo che i «ragazzi di Campoformido» mettono a punto in appena ventiquattro ore, dovendo utilizzare il nuovo caccia CR 20 con il quale non hanno mai volato prima. È un trionfo e, in breve, a Campoformido nasce una scuola di acrobazia destinata a riscuotere consensi in Italia e all’estero. La consacrazione definitiva avviene in occasione della «1a Giornata dell’Ala», Fougier raggiunge Roma-
Ciampino con i 40 Fiat CR 20, l’8 giugno 1930 i «ragazzi di Campoformido» si esibiscono davanti a circa 50.000 spettatori ed alle più alte cariche dello Stato, presentando per la prima volta la nuova figura della «Bomba». Il 1° Stormo diventa il veicolo principale di «marketing» della Regia Aeronautica e dell’industria aeronautica italiana, quindi la pattuglia acrobatica del 1° Stormo parte in «tournée» dal 5 settembre 1930 fino al 1° ottobre 1930 per la «Crociera Orientale» partecipando alle manifestazioni di Budapest, Belgrado, Sofia, Bucarest, Istanbul, Atene, Tirana. La pattuglia partecipa con nove CR 20 Bis, ai comandi di Fougier ci sono: Citi, Brizzolari, De Giorgi, Diamare, Moscatelli, Reglieri, Sansone, Scarpini, Wengi: ovviamente strabiliando genti e regnanti! Lo Stato Maggiore della Regia Aeronautica inizia ad attuare nuove predisposizioni operative ed il 1° giugno 1931 viene costituito il 4° Stormo Caccia con alla guida il Tenente Colonnello Raul De Barberino; il 4° Stormo lascerà Campoformido alla volta di Gorizia completando il trasferimento il 28 settembre 1931. Nel mese di maggio 1932, con i suoi caccia CR 20 «ASSO» ed i Breda Ba. 19, il 1° Stormo partecipa alla «2a Giornata dell’Ala» esibendosi davanti a circa 240.000 spettatori in un crescendo di emozionanti manovre. I piloti della «Squadriglia di Alta Acrobazia» equipaggiata con i Ba.19 e quelli dell’88a Squadriglia, protagonisti del triplo incrocio della «Bomba», vengono nominati da un impressionato Vittorio Emanuele III, per il loro coraggio, Cavalieri del Regno. È in questa occasione che la stampa utilizza il nome di «Squadriglia Folle» per identificare gli acrobati di Campoformido che volano «a testa in giù» sui Breda 19. Fougier il 1° giugno 1933 abbandona definitivamente la «sua» Campoformido lasciando la guida della grande unità al Duca Amedeo d’Aosta, il nobile pilota è molto legato ai piloti del 4° Stormo ed alla sua neonata pattuglia acrobatica. Da questo momento inizia la con-
MOTIVAZIONE DELLA MEDAGLIA D’ARGENTO AL VALORE AERONAUTICO, CONCESSA AL SERGENTE MAGGIORE ANDREA CITI «Sottufficiale di eccezionali virtù militari e pilota di Caccia di rara perizia, primeggiò in tutte le manifestazioni dello stormo. Prescelto tre volte a far parte dei reparti destinati a esercitazioni acrobatiche all’estero, teneva sempre alto il prestigio dell’Aviazione Italiana. Durante un esercizio di navigazione reso difficile dalle condizioni atmosferiche avverse, seguiva il proprio Comandante di Squadriglia in mezzo alle nubi incontrando con lui la morte urtando contro una montagna. Fulgido esempio di dedizione al dovere e di spirito di sacrificio». BUDOIA (UDINE), 26 MAGGIO 1934 XII E.F.
divisione di una gloria e una bravura fino ad allora ad esclusivo appannaggio degli «Aquilotti di Campoformido». La pattuglia del 1° Stormo partecipa il 20 ottobre 1934, alla «3a Giornata dell’Ala» che però non ha più il connotato sportivo aeronautico delle due precedenti edizioni assumendone uno prettamente militare. Il 1° Stormo viene ulteriormente spogliato e privato di figure essenziali e di velivoli quando il 15 gennaio 1936 viene formato a Campoformido il 6° Stormo Caccia Terrestre; inoltre il 1° settembre 1936 deve cedere parte dei propri FIAT C.32 e parte del proprio personale, necessari per le attività belliche nella penisola iberica. Inizia poi la 2a Guerra Mondiale, gli eventi precipitano ed il 1° Stormo rientra in Friuli sugli aeroporti di Ronchi dei Legionari ed Osoppo dove viene sorpreso dall’armistizio dell’8 settembre 1943. Il 1° Stormo viene ricostituito nel dopoguerra il 1° maggio 1956 base Istrana (Treviso) e 3 anni più tardi viene equipaggiato interamente con missili teleguidati. Termina una storia di eroismi, sacrifici e glorie, costellata da innumerevoli medaglie al Valore Militare, riconoscimenti, premi e vittorie, una storia pagata però a caro prezzo, non vanno dimenticati i 114 piloti ca22
duti in incidenti di volo, durante le ardite evoluzioni acrobatiche, durante il conflitto spagnolo, nel rovente deserto africano, nei cieli infiniti del Mediterraneo e ai comandi dei veloci jet del dopoguerra. Non vanno dimenticati nemmeno i piloti del 1° Stormo che, aderendo alla Repubblica Sociale, caddero secondo ideali e principi da rispettare... sempre con l’«Arciere» sul petto. Questo, in poche parole, è stato lo spirito del 1° Stormo Caccia, unità di «gente» unica, eccellente, di primo piano, abituata al sacrificio, che veniva additata dalla gente e quando questa, vedeva i piloti con l’«Arciere» ricamato sulla tuta bianca, diceva «Giù il cappello, passano quelli del 1°».
NOTE 1. Buona parte di queste informazioni sono tratte da: Associazione Culturale 4° Stormo – Gorizia – Storia del 1° Stormo Caccia di Roberto Bassi. 2. N.d.r. Ci sono difficoltà a reperire maggiori notizie sui due piloti citati sulla lapide, abbiamo interpellato varie fonti e appena in grado, le informazioni ricevute, faranno parte di un secondo articolo.
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nuovo capogruppo Alpini Budoia di Mario Povoledo Dopo 18 anni di servizio svolto con passione e determinazione, Mario Andreazza ha ceduto le redini di Capogruppo, ereditate da Nando Carlon, storica figura di Alpino, Consigliere e Segretario Sezionale. L’Assemblea ha eletto per il triennio 2017-2019, Mirco Andreazza, classe 1968, (servizio militare presso CAR a Codroipo, effettivo al Batg. Tolmezzo dal 1986 al 1987) che ha accettato la proposta di guidare il Gruppo. Di padre in figlio, si può ben dire. La stretta di mano, come passaggio di consegne, è l’augurio di ogni bene rivolto a Mirco che ha avuto il coraggio di mettersi in gioco per rappresentare il Gruppo ANA di Budoia, in passato guidato dai predecessori che vale la pena ricordare: i reduci Giuseppe Rosa (fondatore), Vincenzo Besa, Pietro Carlon, Ferdinando Carlon; post guerre Giancarlo Del Maschio, Andreazza Mario. *** Gli Alpini hanno voluto offrire al loro Capogruppo uscente un concerto dei Cori ANA Aviano e Julia di Fontanafredda la sera dell’8 dicembre, nella Parrocchiale di Budoia, alla presenza del Vice Presidente Vicario Mario Povoledo, del past Presidente Giovanni Gasparet e del Vice Sindaco Ianna Pietro. A Mario Andreazza è stato consegnato un ricordo. Un sentito grazie ai due Cori per la professionalità e per la rassegna di canti alpini e natalizi molto apprezzata dai numerosi presenti. Dall’Assemblea di dicembre, dopo l’elezione, il nuovo Consiglio Direttivo risulta così composto; Vice Capigruppo: Carlon Giuseppe, Zambon Gianni e Tesolin Walter; Segretario-Tesoriere Mario Povoledo; Consiglieri: Andreazza Mario, Andreazza Tommaso, Besa Eugenio, Bocus Graziano, Carlon Aldino, Del Maschio Giovanni, Zambon Basilio, Zambon Stefano. 23
Mario Andreazza ha desiderato salutare i Capigruppo e Segretari della Zona Pedemontana, insieme al Presidente Ilario Merlin al suo predecessore Gasparet e al Delegato Mario Povoledo con un brindisi nella sede di Budoia, alla presenza del nuovo Direttivo.
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[ racconto ]
Da questo numero ha inizio la pubblicazione di una serie di aneddoti, accaduti ad alcuni tipici personaggi della Budoia otto-novecentesca e rivissuti nell’originale parlata budoiese da Fernando Del Maschio. Iniziamo con la Giacoma Bravin, moglie di Battista, abitante con la sua famiglia in una piccola casa di sasso, nella parte terminale del Ghet.
l ’agna Giacoma Bravina di Fernando Del Maschio
L’agna Giacoma l’era ’na vecia che la steva dongia ciasa mea e, sicome no la veva bestie, la vigneva a scialdase in tel nostre stale. La passava dhut el temp a filà lana co la rocia e noi pithui feane a gara par tignì el fus quan che la feva su el glen. Intant liena la ne contava le storie de la so vita o altre dei santh, parchè l’era ’na femena tant de glesia. ‘Sta volta ve contarai qualche storia che fa ride, doperando le parole de l’agna Giacoma. «Saveo, cristians benedeth, quan che se va pal mondo bisognarave savè comot che i parla, parchè se no ve capita come a mi e al me pora on quan che son dudhi in Frantha a ciatà i nostre fioi. Son rivath che lor i era anciamò a lavorà. Alora, sicome l’era passat el mesdì, avon pensat de magnà chelcossa in te un bistrò (dopo avon savut che se dis cussì). El pora Batista el me dis: «Beta, voto che magnon pes, che da noi nol riva mai?» «Si, si, Batista». In chela riva el camerier ch’ el ne dimanda che che volon (avon capit a moti) e Batista: «Noialtri se volaria del pes.» Pora on l’a parlat da sior, meio ch’el podheva. El camerier el ne varda co un per de guoi ma nol dis gnent e el ne porta ’na bela terina de perseghi. Bati24
sta, ch’el credeva de esse aveduto, el me dis: «Veito, Beta, ca in Frantha i magna prima i fruti e dopo la pietantha». Nol saveva, pora on, che in Frantha ‘pes’ se dis ‘puasson’ e ‘pes’ vol dise perseghi. Par fa bona thiera, magnon i perseghi e, quan che torna el camerier, Batista i dis: «Adesso el ne porti el pes». E ne riva ’n’altra terina de perseghi». *** «Quan che mi e el pora Batista son dudhi in Frantha, a Buduoia no l’era anciamò el telefon e cussì mi nol veve mai vedhut. A ciasa de me fiol Toni vedhe sta roba negra piciada al mur e i dimande: «Toni, cossa elo mai sto arte ca ?» «Mare, el se clama telefon e el serve par parlasse da lontan.» Ogni tant sonava un ciampanel. Toni el tirava dho un toc de telefon el diseva: «Alò, alò» e el parlava par franthes o come nealtres. Un bel dì reste a ciasa misola e sona el telefon. Svelta tire dho come che veve vedhut e dise ancia mi: «Alò, alò» ma no sente gnent. Torne a ripete doe o tre volte: «Alò» ma no sente anciamò gnent. Stufa mete su l’arte. Dopo un poc vin a ciasa el pora Batista, i conte come che l’è stadha, el proa ancia lui, el thia tre
[recensione ]
INSEGUENDO LE OMBRE DEI COLIBRÌ
quatro volte: «Alò», gnente da fa. Quan che torna a ciasa me fiol, son drio a contai el fato che sona el telefon e l’era proprio chel ch’el veva clamat prima, un amigo talian che cognosseane bin. I dis a me fiol: «Ai beldà clamat poce ore fa, ma to mare, pora femena, no l’a savut respondeme. Veve un bel thià: «Agna Giacoma, gireit la corneta, ma liena no la me senteva!» Cussì, cristians Benedheth, ai imparat a doprà el telefon».
«Fu un suono, tra i più soavi che ricordassi, a destare la mia attenzione. Le campane di una chiesa li vicino rintoccarono con ampie pause. Le note sfiorarono i miei timpani e per un attimo provai nostalgia per l’Italia e i suoi paeselli dominati da campanili iperattivi. Ero cresciuto con un campanile come vicino di casa e negli ultimi anni di assenza la melodia si era sbiadita nella mia memoria.»
*** Quan che la nostra dhent la dheva in Frantha, i vedheva robe mai vedhudhe ca in Italia e cussì i le clamava col nome franthes ancia quan che i tornava a ciasa. L’agna Giacoma l’era una cussì. Quan che veve sie o sete ains l’è vignut dala Frantha so fiol Gusto in auto co so fia, so dhendre e el nevodhut Frederic de thinque ains. Ancia se no saveve anciamò el franthes, fra dhe canais se intendeane istess e cussì dhuiave spess co Frederic. Un bel dì i ne carga duth in machina (figureve la me contentetha: no era mai stat in auto!) e i ne porta a Sathil. Ma, sicome Frederic al era pitost vif, so mare i dha thento franchi a l’agna Giacoma e i dis: «Andare con bambini e comprare gatò». Mi no saveve che che l’era un gatò; l’agna Giacoma i lo saveva, ma no la saveva come che se dis par talian. Dhon dentro i te ’na botega e l’agna la dis: «El ghe daghi un gatò a sti putei». «Cossa voleu, parona?» «Un gatò, pò». Par fortuna che la cassiera la veva lavorat in Svithera, e i a dhit da dhane ’na pasta.
Questo è solo un breve estratto di «Inseguendo le ombre dei colibrì», il primo libro edito da Alpine Studio di Paolo Zambon, nostro compaesano di Budoia. Paolo, che da alcuni anni si è trasferito a Vancouver assieme alla fidanzata Lindsay, ha scelto di accompagnarci alla scoperta del Centro America: dal Messico a Panama. Si tratta del racconto di uno dei suoi viaggi avventurosi in sella al suo scooter: un percorso tra monti e foreste tropicali che si intreccia con culture e tradizioni riportate da uomini e donne incontrati. Paolo ha riassunto otto mesi e 23.000 chilometri nella sua prima fatica editoriale puntando sulle descrizioni del paesaggio ma soprattutto sull’analisi
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dei grandi temi d’attualità: narcos, diseguaglianza sociale, emigrazione, gang. La solidarietà nei confronti dei più deboli e la «simpatia» verso chi oggi subisce ancora la storia recente ed i tumultuosi anni post – indipendenza si intrecciano con le sue considerazioni personali, le sensazioni più profonde e anche qualche momento di malinconia per l’Italia e per la sua «amata» Budoia. Prima di quello descritto nel libro, Paolo aveva già affrontato un lunghissimo viaggio da Budoia all’Australia. Quattordici mesi per percorrere 40.500 chilometri attraversando Grecia, Turchia, Iran, Pakistan, India, Nepal, Thailandia, Malesia, Singapore, Indonesia, Timor-Est e Australia fino a Melbourne. Le avventure di Paolo non sono finite infatti attualmente è di nuovo «on the road» con Lindsay, questa volta lungo il tragitto che da Dubai li porterà a Budoia in autunno. Il libro è disponibile anche all’edicola del Bar «da Renè», a Budoia. S.Z.
N A R R AT I VA
Disegno di Alessandro Fontana.
Continua il resoconto verosimile iniziato nel numero precedente.
secondo avviso di giacenza SECONDA E ULTIMA PARTE
di Alessandro Fontana Franca si era immersa in tutti quei pensieri senza farne parole con chicchessia e tantomeno con ‘la capo’ e con i due impiegati dell’ufficio, Giovanna e Valerio. Aveva continuato il proprio lavoro e la sua vita frettolosa non aveva subito alcun cambiamento ma intanto pensava a come avrebbe potuto difendersi. Spazzava, cucinava, cuciva, dormiva, consegnava, pregava, chiacchierava come sempre, tutti i giorni senza dare alcun segno esterno di quel meccanismo che si era messo in moto silenziosamente e decisamente nel suo intimo. Poi, dopo qualche tempo di verifica della nuova insopportabile situazione, prese ad attuare sistematicamente la sua offensiva operativa. Franca non distribuì più tutti gli ‘avvisi di giacenza’ ma uno o due di questi ogni settimana sparivano, non si sa come, dal suo borsone di cuoio applicato saldamente tra il manubrio e il parafango anteriore del suo motorino. Tutti i pomeriggi, prima di tornare a casa a piedi, lei lasciava il suo motociclo nel parcheggio del cortile interno dell’ufficio e qui ogni mattino lavorativo ricaricava il suo borsone con la posta da consegnare.
Questo particolare la difendeva dalla possibile accusa di essere lei a smarrire quegli avvisi di giacenza: se fosse stata lei a custodire il motorino anche di notte, Franca non avrebbe avuto scampo. Così invece la scomparsa degli avvisi lasciava il dubbio che qualche buontempone nottetempo andasse a sottrarre i fogliettini oppure, ancora meglio, che quelli non fossero mai arrivati nell’ufficio postale di Guardo di Baido. Intanto quella sparizione cominciava a creare qualche problema all’ufficio in paese e molte proteste arrivavano alla Sede del capoluogo: ma non era sufficiente. Inoltre pur non volendo lei danneggiare i suoi colleghi ed amici, la sua capoufficio fu redarguita da un emissario venuto apposta dalla Sede e Franca ne soffrì molto. Lasciò trascorrere qualche giorno e poi decise di interrompere il dissolvimento dei fogliettini. Ma non poteva finire così: questa sospensione doveva essere soltanto temporanea. In questa sorta di crociata Franca capì anche di essere sola e non se ne dava pace. Questa degli avvisi di giacenza non era la strada 26
giusta per fermare ‘quelli’ delle P.T.: bisognava trovare qualcosa che agisse come un vero ‘boomerang’, che si ritorcesse contro chi si stava lambiccando il cervello per ridurre il personale. L’occasione, come spesso accade, le si presentò all’improvviso ridando speranza alle sue intenzioni. Alla fine di un turno di lavoro stava compilando il blocchetto delle raccomandate (ora aveva anche questa mansione) appena giunte nel solito contenitore dall’ufficio di smistamento della zona. Vide una cosa strana, mai capitata: stava iniziando a scrivere con la solita attenzione scrupolosa e si accorse che una raccomandata, equipaggiata con la ricevuta di ritorno, era indirizzata proprio all’impiegata dello sportello, la sua amica Giovanna. Incuriosita, verificò chi fosse il mittente: proveniva dall’ufficio legale delle Poste del capoluogo. Spinta da un sospetto e da un timore ancor più forti della curiosità, si mise in tasca quella lettera: prima di consegnarla doveva assolutamente verificarne il contenuto. La giornata lavorativa era quasi agli sgoccioli, salutò la collega e la direttrice e corse a ca-
sa senza completare il blocchetto. Non era riuscita a mangiare per la trepidazione che le dava la missiva e bevve solo un bicchier d’acqua prima di sedersi al tavolo di cucina. Dopo aver scollato con calma e perizia la busta usando il vapore di un pentolino d’acqua bollente, aprì delicatamente la lettera e già dalle prime parole capì: «Gentile Signora, siamo spiacenti di comunicarle che…» «È proprio quello che mi ero immaginata!» si disse malinconicamente scuotendo la testa: «La moria è cominciata.» Rilesse la lettera, un paio di volte. Era breve, poche righe che non annunciavano propriamente un licenziamento
costretti a prendere provvedimenti…» E poi la frettolosa firma di un avvocato dell’Ufficio Legale. «Settanta più settanta chilometri al giorno! E come può fare quella povera Giovanna? Non ha neanche la macchina! E come farebbe con la famiglia?» si diceva Franca sinceramente addolorata per la sua amica e picchiò forte un pugno sul tavolo. «Meglio farci sopra una dormita. Domani avrò le idee più chiare.» Al mattino aveva preso la sua decisione. Quella raccomandata non era mai arrivata a Guardo di Baido, quindi andava bruciata nel camino assieme alla ricevuta di ritorno e quindi l’amica non ne
ma di fatto lo preparavano. Infatti, «…per motivi di riorganizzazione dell’ufficio di Polisgrembi, lei è comandata in quella sede con le stesse mansioni…». Franca sapeva con approssimazione, dove fosse «quest’accidenti di paese» ma ricordava che non fosse vicino a Guardo di Baido. Corse a prendere la carta geografica che il figlio teneva nel cassetto della scrivania nella sua stanza e verificò: erano ben settanta chilometri a dividere i due paesi. La lettera poi chiudeva in modo poco rassicurante: «Lei ha dieci giorni lavorativi dalla ricezione della presente per presentarsi al suo nuovo posto di lavoro. Ove ciò non accadesse saremo
avrebbe mai conosciuto l’esistenza. C’era ancora una cosa da fare: l’ufficio legale avrebbe certamente informato di quella decisione anche la responsabile e perciò tra le raccomandate ci doveva essere anche quella a lei indirizzata. Fece quindi in modo da essere già all’ingresso, in attesa, quando la meravigliata capoufficio aprì come tutte le mattine il portone blindato. Le disse che doveva compilare il blocchetto che ieri non aveva terminato. La collega le sorrise considerando quelle parole come frutto della nota alacrità di Franca. Lei riuscì a trovare quella raccomandata che s’infilò in tasca. La missiva era copia conforme 27
di quella indirizzata all’amica Giovanna con l’aggiunta di due righe in calce che dicevano: «È Suo dovere fare in modo che la suddetta decisione sia realizzata nel modo più efficace possibile. Allo scadere del tempo indicato ci attendiamo un suo cenno di «eseguito». Grazie e buon lavoro». E poi la solita firma. Tornata a casa, con soddisfazione guardò il fuoco che per ora mandava in fumo quel sicuro licenziamento. Ciononostante non si illudeva: queste sue azioni non risolvevano il problema ma almeno davano un pò di respiro all’amica. Ci voleva proprio un colpo di fortuna. E così avvenne. Quelli dell’ufficio legale non sapevano, infatti, che anche loro erano nel mirino della capillare riorganizzazione aziendale che prevedeva di accorpare tutti gli uffici legali dei capoluoghi di provincia in un unico ufficio situato nella città capoluogo della regione. I benefici sarebbero stati cospicui perché invece di nove avvocati, nove uffici, nove segretarie, nove archivi, nove dattilografe, etc. sarebbero bastati tre avvocati, tre uffici e così via. Dopo una settimana dall’ultima azione della Franca, il terremoto organizzativo (impostato sul modello anglo-sassone) era già in corso e il primo risultato fu l’accatastamento in un unico salone regionale di tutti gli archivi legali provinciali e il conseguente disordinato accantonamento di tutti gli atti che non bisognavano dell’immediato giudizio di un tribunale. Sui faldoni di questi era scritto in grande: stand by, cioè «cause in attesa di riesame» mentre sugli altri le segretarie avevano apposto le parole under way e cioè «cause in corso», quindi da seguire con attenzione. Giovanna non aveva quindi di che preoccuparsi per chissà quanto tempo ancora, anche se, in verità, lei non immaginò mai a cosa dovesse la sua tranquillità né Franca fece mai cenno a questa vicenda.
’n te la vetrina
Anno 1954. Festa degli alberi presso la Ciasa de Val de Croda. Si riconoscono: all’estrema destra, con la pipa, Osvaldo Lozer Svaldo ‘Virol’ ed il ragazzo in pantaloncini corti Girolamo Zambon Tarabin-Modola. (testo e foto di Flavio Zambon Tarabìn Modola)
Anno 1957, sessanta anni orsono, prima comunione a Dardago. Prima fila da sinistra: Elide Rigo Moreal, Angela Zambon Pinàl, Narcisa Ianna Tavàn, Daniela Bocùs de la Rossa, Marisa Pian e Santina Zambon Luthol; seconda fila da sinistra: Ivano Bocùs Dolfin-Ciuti, Mario Zambon Vialmin e Maurizio Grassi; terza fila da sinistra: Giuseppe Zambon Tarabin, Luigi Zambon Marin, Paolo Zambon Pala, Roberto Anzanel e Marco (Renzo) Zambon Tunio. Sacerdote don Alberto Semeia.
Dardago anno scolastico 1967-68 (cinquanta anni fa) classi 1a e 2a. Prima fila da sinistra: Lorella Zambon Pagoto, Ezio Cozzi, Margherita Bastianello Thisa, Stefano Zambon Momoleti e Nadia Zambon Rosìt; seconda fila da sinistra: Diana Maraschino, Modesta Bocùs Dolfin-Ciuti, Maddalena Zambon Sclofa, Romano Zambon Rosìt, Manuela Zambon Tarabin-Modola e Carlon Cora Salute-Scopio. Maestro Umberto Sanson Pascual. (testo e foto di Flavio Zambon Tarabìn Modola)
(testo e foto di Flavio Zambon Tarabìn Modola)
Erano gli anni Sessanta del secolo scorso. L’allegra gioventù veneziana di origini budoiesi sceglieva di trascorrere le vacanze estive in paese e spesso si divertiva a raggiungere le cime dei monti: la meta preferita era Piancavallo. Li vediamo in un momento di sosta seduti sul bordo di un abbeveratoio di una malga e davanti al vecchio segno devozionale nella piana del Cavallo. (foto di proprietà di Adriana Bravin Caselut – Venezia)
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L’angolo della poesia
Il valo della semplicità Venezia, 16 febbraio 1929. L’inverno del ’29 fu veramente rigido, la temperatura scese sino a -12 °C, sulla superficie dell’acqua dei canali si formò una spessa lastra di ghiaccio capace di sopportare anche il peso di una persona.
Dardago. Inizio anni ’60. Crosera di via Castello con l’attuale via Stradon. Elvira Spina in sella ad una motocicletta sotto lo sguardo attento del papà Urbano. Alle loro spalle le nostre montagne e la Val Granda, mentre l’aspetto edilizio è totalmente modificato. (foto di proprietà di Vanna Zambon)
UN ACCORATO APPELLO AI LETTORI Se desiderate far pubblicare foto a voi care ed interessanti per le nostre comunità e per i lettori, la redazione de l’Artugna chiede la vostra collaborazione. Accompagnate le foto con una didascalia corredata di nomi, cognomi e soprannomi delle persone ritratte. Se poi conoscete anche l’anno, il luogo e l’occasione tanto meglio. Così facendo aiuterete a svolgere nella maniera più corretta il servizio sociale che il giornale desidera perseguire. In mancanza di tali informazioni la redazione non riterrà possibile la pubblicazione delle foto.
Dardago, Budoia e Santa Lucia. Siamo ricchi nulla manca «da Gerardo», vecchia bottega, sei rimasta a noi: pane, polenta, salami, formaggi e tante altre cose. Oggi è Paola che ci serve serve sorride allegra è premurosa; ognun suo dono di lavoro va rispetto l’umanità. Comune di Budoia non è città ha sue libertà monti, boschi, legnami, funghi, castagne, erbe medicinali ed altro aiutano a vivere da sua verità. A mezzodì il suon di campane in alte vette le udir scende l’aria da alberi e fiori respir di bene a nostra vita dei bimbi in soglie e cortili. ANGELO JANNA TAVÀN
«Dio fece la campagna, l’uomo fece la città» aveva affermato il poeta inglese William Cowper. Di questa massima sembra averne colto appieno lo spirito il nostro Angelo in una nuova composizione che suona come un inno alla semplice ricchezza della vita comunitaria dei nostri paesi in contrapposizione alla crisi economica e alla deriva individuale a cui si assiste nei grandi centri urbani. Sebbene i nostri borghi non abbiano le opportunità materiali e la dignità strutturale e dimensionale di una metropoli (Comune di Budoia non è città), essi possono godere di «vantaggi» – o meglio di libertà – ben superiori alla quotidianità cittadina. È un benessere subito dichiarato (Siamo ricchi nulla manca) che può attingere non solo all’essenzialità del fabbisogno alimentare (pane polenta salami formaggi / e tante altre cose comperati nella vecchia bottega del paese un tempo gestita da Gerardo), ma anche alla cultura di un lavoro al servizio della collettività che si è coerentemente tramandata con la stessa umanità negli anni (oggi è Paola che ci serve / serve sorride allegra / è premurosa). Non solo. Proprio in tempo di crisi, Angelo individua in quel «Dio fece la campagna» citato in apertura, un’altra concessione di privilegio: poter disporre liberamente di quanto la natura offra ai nostri paesi pedemontani (monti, boschi, legnami, / funghi, castagne, / erbe medicinali ed altro) decretando di fatto la verità dell’autosussistenza delle nostre comunità. È a Dio che Angelo rivolge infatti il suo pensiero; Dio come natura; Dio come voce scandita dalle campane del mezzogiorno, che si propaga fin sulle cime dei monti per richiamare e rigenerare le sue creature, uomini, alberi e fiori attraverso il suo respiro vitale che ritma ancora il nostro conforto biologico e spirituale (scende l’aria da alberi e fiori / respir di bene a nostra vita / dei bimbi in soglie e cortili).
Lasciano un grande vuoto... l’Artugna porge le più sentite condoglianze ai famigliari
Ornella Zambon e Giovanni Milanes LA SOLITA PASSEGGIATA... Nel breve periodo di otto mesi, i miei cari genitori Ornella e Giovanni se ne sono andati lasciando un enorme vuoto non soltanto nella nostra famiglia, ma anche tra coloro che in questi anni hanno partecipato attivamente alla vita del paese. Hanno avuto la fortuna di trascorrere gli anni migliori della loro vecchiaia in compagnia degli amici di una vita condividendo assieme a loro gite, cene e festeggiamenti; poi il tempo ha disperso
NELA DE ’L BISO E NANI MILANÉS
la compagnia e negli ultimi anni è rimasta loro soltanto l’occasione di qualche ciacola e dell’immancabile passeggiata pomeridiana. È così che vorrei ricordarli: a braccetto… in cammino… PIERINO
È già passato un anno, o quasi, da quando Dardago, per me, per noi, non è più lo stesso. Eh sì, perché la «zia Ornella», per noi lontani, rappresentava Dardago. E senza di lei, e ora senza anche lo zio Giovanni, davvero qualcosa è cambiato. Per tutti noi della famiglia, loro erano un’istituzione. Che malinconia per me, ma non credo solo per me, sarà quella di andare in piazza e non intravedere dietro alle ten-
de della finestra della cucina della loro casa, lo zio che ammira la ‘sua’ piazza e quello che vi succede. La loro casa è sempre stata aperta a tutti, oltre che alla loro famiglia più prossima, anche a nipoti, pronipoti, ad amici e a fidanzati dei nipoti e pronipoti, c’era sempre una buona occasione per stare insieme e mangiare... eh sì soprattutto mangiare! Ogni ricorrenza era infatti una buona scusa per un «ghinghiringhello», come amava definirlo la zia, per preparare qualcosa di speciale per tutti i suoi amati famigliari... Il più delle volte era lei stessa che desiderava cucinare e organizzare occasioni per stare insieme, ma non lo ammetteva e si giustificava dicendo: «Eh, i nini i a volùt la pizza, la polenta... che voto fa?» Da loro c’era sempre qualcosa di pronto, qualcosa che dovevi assolutamente assaggiare, anche se eri sazio, o avevi una cena subito dopo... non si poteva uscire da via Tarabin senza aver mangiato... o senza essersi presi una «sgridata» da lei. La Nela non risparmiava a nessuno prediche, rimproveri e non ammetteva quasi mai di avere torto, oppure di avere un’opinione diversa su un argomento, lei doveva sempre e comunque dire la sua… E nonostante ciò, ripeteva sempre: «Ah, vealtre no me féit mai parlà!» oppure «I vol savè dut lor!» Lei era il perno della famiglia, la matriarca, esprimeva sentenze, brontolava, si lamentava, le sue prediche arrivavano fino in America dal suo adorato fratello con cui ha sempre avuto un legame fortissimo, nonostante la distanza. Alcune delle sue frasi tipiche erano: «Progresso el fa rima con regresso», oppure ancora: «Val pi’ la pratega che la gramatica» e giù con le sue interminabili lezioni di vita, che sapevamo a memoria, ma che ascoltavamo tutti comunque.
A volte ci faceva arrabbiare, ma poi noi lasciavamo correre, perché lei era la zia Ornella, perché tutti noi la amavamo moltissimo. Ci aveva tutti nel cuore, il suo Pierino, il suo Edoardo… e anche quelli più lontani, aveva tutti nei suoi pensieri e si inorgogliva per i nostri successi, aveva davvero un occhio di riguardo per ognuno di noi. E che occhi, i suoi… vispi, piccoli, scuri, ridenti, espressivi, che riuscivano a vedere tutto e ad arrivare dappertutto, nulla o quasi sfuggiva al suo sguardo indagatore, le sue occhiate potevano paralizzarti o farti sciogliere di tenerezza. L’unico che riusciva a «tenerla a bada», era il suo Giovanni. Lui la ascoltava, la lasciava parlare, la faceva predicare, per poi intervenire e chiudere il discorso con un benevolo «Nela, se te so unchì sol pa’ rompe, va fora...» Lui che sembrava sempre così forte, così indipendente… si è rivelato poi, ai miei occhi, anche un uomo fragile e indifeso, un uomo molto attaccato alla vita, ma molto meno di quanto fosse legato alla sua Nela... Quando lei se ne è andata, lui ha davvero solo vissuto per aspettare di raggiungerla. La vita di Giovanni e Ornella era davvero un legame a doppia mandata. Sono stati una coppia nel vero senso della parola, hanno vissuto tanti momenti, esperienze, eventi, ma sempre insieme, uniti. A entrambi piaceva stare con le persone, passare il tempo con gli amici, organizzare pranzi, feste, gite (anche se tutti sappiamo quanto fosse lei il motore di tutto), ma lui l’ha sempre seguita con paziente entusiasmo. Ci sono tante foto, anche sul periodico l’Artugna, che li ritraggono insieme, con il loro gruppo di amici, intenti a cucinare, a brindare, a giocare «alle carte» (come diceva lo zio), ad apparecchiare
grandi tavolate, a lavare i piatti, a passeggiare… è bello ricordarli così. La zia era un ‘bombardamento’ di parole mentre lui, invece, è sempre stato uomo di poche parole (negli ultimi anni ancor meno), ma penso che forse questa complementarietà sia stato il modo migliore, quello vincente, che ha consentito loro di stare insieme, in equilibrio, per oltre 65 anni. Un ricordo personale della zia, da quando sono diventata insegnante, non faceva che ripetermi «Nina, devi essere una brava maestra, dolce coi bambini, come è stata la mia maestra con noi, non devi far ‘vedere’ le preferenze, perché loro sentono...» e poi mi ricordava la sua esperienza di alunna, i suoi anni di scuola, di quanto le piacesse. Ho sempre pensato che se avesse potuto, avrebbe adorato essere maestra e sono certa che sarebbe stata un’ottima insegnante. Ornella e Giovanni hanno insegnato tanto a tutti noi e sono sicura che ogni membro della nostra «grande famiglia» conserverà dentro di sé ricordi, esperienze e momenti passati con loro, con tenera e simpatica nostalgia. Non voglio cadere troppo nella retorica, ma credo sinceramente che due persone come loro abbiano lasciato una traccia indelebile in tutti noi e in coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerli. Ora concludo, perché se la zia mi stesse leggendo, sicuramente borbotterebbe «Vardha che la nina al è anciamò unlì a scrive...». ciao zia, ciao zio! Vi vogliamo tanto bene. CRISTINA BIGAI la vostra nina canàia
Costantina Zanus Perelda
UN DIFFICILE ADDIO La luce rossastra del tramonto, che filtrava tra gli spiragli delle spesse tende di velluto rosso della cabina, la svegliò. Un rumore di passi, poi qualcuno bussò. Si stropicciò gli occhi e invitò l’estraneo ad entrare. I movimenti del treno l’avevano cullata ed ella si era addormentata tanto profondamente da non ricordarsi neanche quando fosse salita. Un ragazzo biondo con occhi celesti come il cielo entrò nella cabina. Aprendo le finestre le comunicò con voce profonda che la sua fermata sarebbe stata la prossima. Chiuse la valigia in pelle e si sistemò il cappello sul capo. Attorno gli oggetti e gli arredi della cabina le sembravano quasi estranei. Si diresse alla porta e l’aprì, un altro ragazzo gentile le indicò un’altra porta ricordandole di fare attenzione ai gradini che la precedevano. Con un lungo fischio il treno si fermò. Scese e si guardò attorno. Quella stazione era così familiare, quasi come se fosse un posto che aveva frequentato da bambina. Iniziò a camminare, poi vide una figura sfocata venire verso di lei. Un uomo sull’ottantina le veniva incontro con le braccia aperte e un largo sorriso sul viso. Subito lo riconobbe. «Sono passati sette anni» disse con voce rauca «Mi sei tanto mancata». Voleva rispondere che anche lui le era mancato, ma si accorse di stare piangendo. Un forte senso di nostalgia le pervase l’animo e si girò verso il treno in partenza quasi come se contenesse tutta la sua vita passata che tanto le mancava. «Non preoccuparti per loro» disse l’uomo «Gli manchi già ma se la caveranno, ora dobbiamo andare vieni». Così con le lacrime agli occhi si girò un ultima volta per salutare il passato. Dopodiché seguì l’uomo verso la nuova vita che l’aspettava. MANUELA
Mario Lavasso
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Nei ricordi e nell’intimità del nostro cuore, nell’amore che ci hai donato: sei sempre qui. BEATRICE
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Chiunque si ricorderà di te attraverso i miei occhi. CECILIA
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Cara nonna, avrei voluto conoscerti di più, fare più cose con te e passare più tempo con te. Ti voglio bene. RICCARDO
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I miei ricordi della nonna Costantina: la nonna mi portava spesso ai musei e mi piaceva molto. Andavo sempre volentieri a dormire da lei. Quand’ero piccolo giocavamo e poi dopo io giocavo al computer. DIEGO
Ciao papà, un pensiero a te, dardaghese di adozione, dardaghese per amore; l’amore profondo verso la mamma e quindi anche verso i nonni Norma e Nuto ai quali hai voluto tanto bene. Dardago… Tanti ricordi ed aneddoti che amavi raccontarci, insegnandoci così ad amare e rispettare la famiglia e le proprie origini. Un grosso bacio dalle tue amate figlie Paola ed Anna e dalla tua Teresina.
Bruna Ianna Tavàn Lasciano un grande vuoto... l’Artugna porge le più sentite condoglianze ai famigliari
In só ricordo… Se la pensón mai ferma, sempre d’intór, ora in ciasa e ora ’n tel órt… Sempre a fa calcossa, al pì de le volte par ch’i altre e massa póc par sè stessa. L’era usàda cussì fin da pìthola, a tendi ai veci e ai canàis e a desbrigà le fatùre de ciasa. Co’ nealtre l’à tant predicàt par insegnàne pulìdo le robe, col dubio che restàss sempre indrìo calcossa de inportante. Cuàn che l’é stat in ultima – dhó in ospedal a Sathìl – i avòn dita che la podheva dhi trancuìla, théntha preocupathións – parché se fossàn rangiàth – e che non l’era restàt robe inportanti da dové comedà. L’unica racomandàthion che la ne à fat l’é stada chista: «Vardéit da dhi d’acordo...» E con chèla l’é dhuda, la ne à saludàt. Adéss Barba Andol – porét – no’l pol pì telefonài e néncia menàla col biròc ˇ a fa la spesa come che ‘l feva de solito…
Caterina Bocus Il 29 gennaio 2017, si è spenta Caterina Bocus, da tutti conosciuta come Catina, moglie, madre e nonna di una generazione di alpini. Nella sua vita ha attraversato guerre e carestie con onore e dignità mantenendo sempre unita la famiglia. La sua perdita lascia un vuoto enorme nella famiglia ed in tutta la comunità di Budoia. L’anno scorso aveva raggiunto il traguardo dei 100 anni festeggiata da tutti i famigliari ed amici. Seguita in questi ultimi anni oltre che dai suoi figli anche dall’amorevole dedizione di Dasha che ci ha aiutati in questo. Catina la ricorderemo con il suo inconfondibile sorriso e la sua immancabile risposta alla domanda: «Come va, Catina?» «Tres bien…» Ora da lassù in compagnia con i suoi cari proteggerà tutti noi.
I SÓ FIÓI CIAO, NONNA!
il loro ricordo non sfuma
Mario Zambon Pinàl Nontholo A due anni dalla morte, volevo ricordare mio padre. La foto stessa esprime chi era: semplice, sereno, legato alle sue radici e alla famiglia. La foto è stata fatta davanti al Ciastelat dove portava figli e nipoti per una «magnada». Era questo un suo modo gioviale di poter radunare e stare assieme ai suoi cari; molti sono i locali nel dardaghese e a Mestre che abbiamo frequentato così. Amato da tutti, il suo funerale ha visto una grande partecipazione non solo di parenti, ma anche di molti conoscenti che continuano a ricordare la sua affabilità. Persona credente, ci ha trasmesso da sempre una fede semplice, ma ferma e senza compromessi. Cito alcuni brani di una sua lettera scritta alla fidanzata il 24 maggio (erano giornaliere) cinque giorni prima di sposarsi. Dopo aver detto di aver lavorato più di dieci ore per finire di sistemare il loro appartamentino a Venezia, scrive: «Angelo mio ti penso sempre, ma spontaneamente in modo speciale direi soprannaturale ti avevo in mente, nel mio cuore, in tutto me stesso, questa sera a fioretto guardando quella bella statuina, guardandola sempre il mio cuore con tanta tenerezza invocava in modo speciale quelle grazie le più belle che possa esistere in un buon matrimonio, che
credo non sia il caso di dirtelo perché tu lo sai meglio di me, e tu non vai a fioretto? Non pensare solo al lavoro e vai se puoi a trovare là sul monte [al Covolo, a Crespano del Grappa] quella mamma che non ci abbandona mai e se vai digli per me che presto vengo a portarti via per una nuova vita, e che venga con quel proposito che tu desideri, diglielo e vedrai che lei ti ascolta, e sentirai che ti risponde attraverso le vibrazioni del cuore, che tante volte sento io, domandandole perdono delle nostre cattiverie». Fede, famiglia, lavoro sono i valori che ho visto vissuti in lui. Aggiungo un ricordo scritto da un mio figlio, uno dei quattordici nipoti del «patriarca» Mario (con ventitre pronipoti), per il suo funerale: «La mia memoria, si sa, non arriva
Jean Pierre e Antonio Anniversario Ecco qui i due cugini che ci hanno lasciato, Jean Pierre, il 5 dicembre 2015, e Antonio, il 21 febbraio 2016. Nelle nostre famiglie la loro mancanza è ancora molto viva ma non mancano i ricordi dei momenti passati con loro che riscaldano i nostri cuori e con affetto li conserviamo come delle pietre preziose. Ora anche loro insieme e da lassù ci proteggono come angeli custodi. MARIA
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molto lontana ma ci sono alcuni momenti di vita con te che mi piacerebbe ricordare per sempre come quando ci portavi a scuola in carriola, o quando ci hai costruito la casetta sull’albero, sogno di ogni bambino, e poi ci sgridavi se facevamo troppo baccano o quando ci portavi a Venezia a comprare il cordone di liquirizia nel posto segreto che conoscevi solo tu o la tua fierezza quando ci hai dimostrato di essere ancora capace della bicicletta, quindici anni fa o le tue discussioni con il nonno Bepi su che colore avesse la polenta originale. Ma di te mi porterò dentro soprattutto gli insegnamenti che mi hai dato: la dedizione al lavoro del buon friulano, la disponibilità per tutto, l’amore e il rispetto per la natura, per il prossimo, e per la grappa! E poi la tua simpatia, semplice ma coinvolgente, alcuni tuoi siparietti sono leggenda tra i miei amici. Insomma eri un uomo speciale, un nonno speciale, e forte. Da piccolo ero convinto che ci avresti seppelliti tutti invece sabato saremo noi a doverti seppellire, ma è giusto così, son sicuro che stai già costruendo una casa per noi lì con te. Addio nonno, credo che mancherai a tutti qui giù.» GINO ZAMBON, MESTRE
CRONACA
Cronaca «Da Gerardo» i a cambiàt gestión L’anno 2017 ci porta il cambio gestione nel negozio di alimentari in piazza a Dardago. Da Nives a Mara e ora... Paola. Nel 2009 Nives Dapas dopo quasi trent’anni lascia il testimone a Mara Santin che dopo 7 anni si ritira passandolo a Paola Torresin di Dardago. Auguri, Paola, per una proficua attività!
El CAI de Gorizia in Val de Croda Un gruppo di escursionisti del CAI di Gorizia (circa 60 persone), accompagnato dal vicesindaco Pietro Ianna, ha visitato la ‘nostra’ Val de Croda, il Ruial e la chiesetta di san Tomè. Lusinghieri i commenti al termine della giornata, ma soprattutto significative le parole di ringraziamento scritte nel biglietto che alcuni giorni dopo la visita abbiamo ricevuto. COMITATO RUIAL
’N talian via pa’ ’l mondo È con grande gioia che vorrei condividere con tutti voi la mia meravigliosa esperienza ad Hanoi, in Vietnam, dove – lo scorso ottobre – con altri miei compagni ho rappresentato la mia scuola ed il mio Paese in una competizione sportiva in tre discipline: nuoto, atletica e calcio. Mi presento a tutti i lettori che non mi conoscessero: mi chiamo Alessandro Conzato, sono figlio di Ottaviano ed Antonella Maccioccu. Vivo ad Hong Kong da pochi mesi, ho cambiato città e scuola dopo tanti anni a Tokyo. Ma è proprio grazie a questa nuova scuola che sto viaggiando non solo in Asia, per fare delle gare molto importanti, ma tra qualche settimana andrò anche in Inghilterra. Sono sempre molto orgoglioso di dire di essere italiano perché, no-
nostante abbia vissuto sempre all’estero fin da quando ero piccolino, i miei genitori mi trasmettono quotidianamente la loro cultura e le loro tradizioni, ed il mio cuore è pieno di gioia ogni volta che vengo in Italia a salutare i miei nonni. ALESSANDRO CONZATO
Alleanza nelle Alpi. I si incontra a Buduoia La ‘rete’ «Alleanza nelle Alpi», che riunisce oltre trecento comuni di sette Stati del territorio alpino (Italia, Slovenia, Austria, Svizzera, Francia, Liechtenstein e Germania), tra cui Budoia che aderì fin dalla sua istituzione nel 1997, festeggia i suoi 20 anni di fondazione, nel corso dei quali la ‘rete’ ha realizzato concretamente gli obiettivi della Convenzione delle Alpi, per uno sviluppo sostenibile nel territorio alpino. A tale scopo i comuni lavorano in stretto contatto con la popolazione per migliorare la situazione ecologica, sociale ed economica nel proprio ambiente. Si avvalgono, inoltre, di uno scambio di esperienze e conoscenze favorito mediante regolari incontri, conferenze, convegni ed escursioni. I membri della ‘rete’ s’incontreranno da noi il 23 e 24 giugno per la loro prossima conferenza tematica che avrà il titolo «Di visioni che uniscono e azioni che producono effetti».
Le tabele a Buduoia Nel capoluogo, sono state installate le prime quattro ‘tabelle’ del progetto di valorizzazione del patrimonio archivistico «Archivio a cielo aperto». Trovano collocazione: la prima, «Casa del cappellano», nella piazza accanto al monumento ai Caduti; la seconda, «Case Quaini e Cardazzo Schiavon», nei pressi
dell’ingresso della scuola primaria; la terza, «Case Sansoni», addossata alle ex case Sansoni, ora Valeri e Balla; la quarta, «Antica piazza di Budoia e chiesa di Sant’Andrea», accostata alla chiesa. Si tratta dell’inizio del percorso riservato ai cognomi e ai toponimi di Budoia. Entro l’anno saranno collocate le prime quattro indicazioni storiche anche a Dardago.
Nadhàl a Dhardhac Durante l’ultima settimana di Avvento nella Pieve di Dardago c’era un gran fermento. Il grande giorno si stava avvicinando e bisognava far presto, tutto doveva essere pronto, pulito ed accogliente per dare il benvenuto al Bambinello. Quindi il gruppo ormai collaudato del «Presepe grande» era al lavoro in chiesa, le signore si stavano occupando delle pulizie generali per far splendere al meglio la nostra bella e antica Pieve e sul sagrato veniva allestito il nuovo presepe illuminato mentre la cometa, come nel passato, indicava la strada ai fedeli. Alla vigilia tutto era pronto: la Chiesa risplendeva, l’altare era pieno di fiori, nella navata centrale i Madhi ricordavano l’antica tradizione, inoltre, sugli altari laterali e sulle acquasantiere altri presepi facevano compagnia al Presepe Grande. Ognuno con la sua particolarità: c’era quello tradizionale, quello che riproduceva case di sasso, quello più «moderno», quello in legno, tutti comunque belli e significativi. E che dire dei Madhi? Ogni anno vengono preparati, sembrano sempre uguali, ma ogni volta troviamo qualcosa di diverso, i nastri, le scartosse, i vimimi, le poesie. Sempre comunque lodevole la
I é tornadi al so splendor La Domenica delle Palme i membri del Consiglio per gli Affari economici della Parrocchia di Budoia hanno presentato ai fedeli i reliquiari appena restaurati. Un altro tassello del patrimonio artistico è stato recuperato. 36
voglia di allestirli inventandosi ogni anno qualcosa di nuovo. Infine a chiusura delle festività non poteva mancare il Panevin. Quest’anno contrastato dal forte vento e dal freddo che non ha intimorito i nostri bravissimi giovani e «non» e tutto è andato per il meglio con dolci, torte e «vin brulé». Non resta che dire un grande grazie a tutti i volontari, che ogni anno ci fanno vivere la magia del Natale mantenendo vive le nostre belle tradizioni per il nostro piacere e per offrire e lasciare un ricordo ed un insegnamento ai più giovani. ADELAIDE BASTIANELLO
Sparagnón luce
È di questi giorni l’intervento di aggiornamento dell’impianto di pubblica illuminazione con l’installazione di nuovi apparecchi a tecnologia led che porterà una netta riduzione dei consumi energetici stimata del 71% del consumo attuale. Riguardano 246 elementi di cui 140 di tipo stradale, installati lungo le vie del capoluogo e delle frazioni, e 106 di tipo artistico, utilizzati nel centro storico. Con questa nuova operazione le lampade a led ammontano a 464 su un totale di 650 punti luce esistenti, circa i due terzi del totale.
Due nostre lettrici di Toronto (Canada), Anna Zambon in Belluzzo e Leonida Zambon in Tedesco, due sorelle del ramo Marin di Dardago, hanno vissuto nei mesi scorsi momenti importanti.
Auguri dalla Redazione!
Giovanni Zambon Tarabìn, partigiano garibaldino, fu ucciso dai nazisti, il 9 settembre 1944. Per sottrarsi a un rastrellamento, Giovanni cercò di superare il pendio di Costa Curta, ma la salita gli divenne fatale: un cecchino tedesco lo colpì alla schiena. Il cippo è stato restaurato recentemente dal nipote Luciano Zambon, con una nuova lapide di marmo.
inno alla vita
El nevodho al ricorda so barba
Anna Zambon, da poco diventata per la seconda volta bisnonna con l’arrivo della piccola Charlotte. Nella foto, la neonata arrivata in braccio alla bisnonna, al loro fianco Bianca felice dell’arrivo della cuginetta. Congratulazioni a mamma Cristina, a papà Christopher e a tutta la famiglia.
Il cippo recentemente restaurato. Da sinistra. Luciano Zambon Tarabìn e Arnaldo Busetti Caporàl.
La ferovia
Ad inizio aprile si è tenuto un incontro organizzato da GAL Montagna Leader e dalle amministrazioni Comunali di Budoia, Aviano, Polcenigo e Caneva, per l’avvio del progetto interterritoriale, finalizzato ad individuare azioni concrete (piano turistico, risorse, servizi…), per supportare la riapertura della linea ferroviaria Sacile-Gemona prevista per il 2018.
Leonida Zambon, lo scorso 31 gennaio ha festeggiato i suoi splendidi 90 anni. Tutta la famiglia si è riunita per onorare questo importante evento. Un ospite speciale presenzia alla festa: il piccolo Leo. Leonida è infatti diventata bisnonna da pochi mesi. Nella foto, vicino alla festeggiata, il figlio Robert, la nipote Alanna e il piccolo Leo. Congratulazioni a Leonida e a tutta la famiglia.
l’Artugna · Via della Chiesa, 1 33070 Dardago (Pn)
I ne à scrit...
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direzione.artugna@gmail.com
Munsingen (Svizzera), 27 gennaio 2017
Susegana, 13 febbraio 2017
Carissima Redazione, grazie per l’Artugna sempre molto gradita! In memoria dei nostri genitori Agata e Domenico. Tanti saluti a voi tutti.
Cari amici de l’Artugna, vi scrivo ancora una volta perché è passato ormai un anno da quando il nostro amato Angelo ci ha lasciato. Insieme alla mia cara e bella famiglia chiediamo, per favore, un piccolo spazio sul «nostro» periodico per ricordarlo con una delle sue poesie che fa riferimento alla Gran-
LE FIGLIE CARLA E ANGELINA DEL MASCHIO
Carissime Carla e Angelina, siamo noi a ringraziarvi per la sensibilità e generosità che dimostrate sempre nei confronti della nostra rivista. Vi auguriamo di cuore una lieta Pasqua.
Fiume Veneto, 31 gennaio 2017
Cari amici della Redazione, desideriamo anche quest’anno trasmettervi la nostra stima e il nostro grazie: l’amata rivista rappresenta per noi un insostituibile cordone con le nostre origini, un modo per «vivere» Dardago nel suo presente, leggendo e ricordando il suo passato. *** Quando sei infelice torna nel luogo che più ami. Lui, a differenza delle persone, ha sempre qualcosa da dirti. FABRIZIO CARAMAGNA
*** Grazie ancora e buon lavoro! Con affetto PIETRO, PIERINA, LEONIDA, ANNA ZAMBON
Grazie, carissimi, per le vostre espressioni verso il nostro periodico. La redazione cerca di preparare con cura ogni numero. Siamo molto contenti se il nostro lavoro viene così gradito. Grazie anche per la generosa offerta.
de Guerra, della quale era un appassionato studioso. Grazie di cuore da SILVANA BOCUS E FAMIGLIA PISU
Cara Silvana, non potevamo non trovare lo spazio per accontentarti. Abbiamo pensato di inserire la poesia nell’inserto che dedichiamo alla Grande Guerra, in occasione del centenario. Siamo sicuri che farà piacere anche ad Angelo.
[...dai conti correnti ] Auguro un prospero 2017 a tutta la redazione, con affezionata partecipazione al vostro impegno. Cordiali saluti. DONATELLA ANGELIN – MILANO
In memoria di De Marchi Natale, Rigo Nando, Anna, Elisa, Maria, Marcellina. CARLA RIGO – SANTA LUCIA
In memoria del nostro caro Girolamo. FABIO E BETTA ZAMBON – BELLEGRA
bilancio Situazione economica del periodico l’Artugna Periodico n. 139
entrate
Costo per la realizzazione
4.200,00
Spedizioni e varie
240,00
Entrate dal 08.12.2016 al 31.03.2017 Totale
uscite
4.100,00 4.100,00
4.440,00
SETTIMANA SANTA
programma religioso
go da r Da
DOMENICA DELLE PALME 9 APRILE
ia do u B
cia Lu a nt Sa
Ingresso di Gesù in Gerusalemme
• Raccolta offerte Pro Missioni Parr. Sacro Cuore (Pn) • Benedizione dell’Ulivo, processione Santa Messa di Passione
sagrato 11.00
piazza 10.45
sagrato 9.30
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17.00-18.00
9.30 10.00-11.30
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9.30 10.00-11.30
– –
20.30
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LUNEDÌ SANTO 10 APRILE Adoriamo il Signore
• Solenne Adorazione Eucaristica e Santa Messa MARTEDÌ SANTO 11 APRILE • Santa Messa • Solenne Adorazione Eucaristica MERCOLEDÌ SANTO 12 APRILE • Santa Messa e confessioni • Solenne Adorazione Eucaristica GIOVEDÌ SANTO 13 APRILE Ultima Cena di Gesù, istituzione dell’Eucaristia e Sacerdozio
• Santa Messa Vespertina in «Coena Domini» per le tre Comunità; rito della lavanda dei piedi; riposizione del SS. Sacramento all’Altare del Sepolcro; spogliazione degli Altari e adorazione; presentazione comunicandi VENERDÌ SANTO 14 APRILE Ricordo della morte di Gesù. Digiuno e astinenza
• Via Crucis in chiesa e Adorazione della Croce
15.00
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• Azione Liturgica della Passione del Signore; adorazione della Croce; Santa Comunione
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–
17.00
• Solenne Via Crucis per le tre Comunità lungo le vie [in caso di maltempo, la Via Crucis si svolgerà in chiesa]
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20.30
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21.00
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11.00
11.00
10.00
18.00
11.00
10.00
SABATO SANTO 15 APRILE Vigilia di Pasqua, attesa della Risurrezione
• Benedizione del fuoco ed accensione dei Ceri Pasquali delle tre parrocchie. Veglia Pasquale e Santa Messa di Risurrezione
Buona Pasqua
Beato Angelico, Comunione con gli apostoli, particolare (1440 ca), Firenze, Museo di San Marco.
DOMENICA DI PASQUA 16 APRILE Alleluja, Cristo è risorto, alleluja
• Santa Messa Solenne LUNEDÌ DI PASQUA 17 APRILE • Santa Messa
CONFESSIONI Lunedì Santo Martedì Santo Mercoledì Santo Sabato Santo
– 10.00-11.15 – 16.00-17.30
– – 10.00-11.15 15.30-17.00
17.30-18.00 – – 17.30-18.30
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VAL DE CRODA LA VALLE DELLE ORCHIDEE
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VAL DE CRODA LA VALLE DELLE ORCHIDEE
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VAL DE CRODA LA VALLE DELLE ORCHIDEE
ORCHIDEE SPONTANEE Meno appariscenti rispetto a quelle coltivate, le orchidee spontanee per le loro piccole dimensioni passano spesso inosservate ma, avvicinando lo sguardo e ammirandone i dettagli, si rimane spesso a bocca aperta.
Anacamptis pyramidalis
❖ L’orchidea piramidale è una pianta appartenente alla famiglia delle orchidaceae; la sua altezza varia da 20 a 60 centimetri, ha fusto esile, cilindrico, di colore verde chiaro. Le foglie inferiori, lineari-lanceolate, sono lunghe sino a 25 centimetri, le cauline diventano più corte avvicinandosi all’apice, le bratee sono violacee e acuminate. I fiori sono riuniti in una caratteristica infiorescenza densa, di forma piramidale, da cui il nome della specie. Possono variare da color rosa pallido al porpora, raramente di colore bianco. Fiorisce da marzo a giugno. Si riproduce per impollinazione entomofila. Gli insetti si adagiano tra le due lamelle e con il loro peso srotolano la spirotromba. Raggiungono così il polline del fiore che aderendo al loro corpo sarà poi trasportato su altri fiori.