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Archivio a cielo aperto

AT 8 – AM 3 Case Cardazzo-Bernardis

AT 9 A 1 – T 1

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’l Ciasal

AT 10 AM 4 – A 2

Case Tres e Santin, Casa Fullini

AT 11 AM 5 – SR 1

Case Fullini, Cardazzo Remondin e Burigana, Del Maschio Munar, Conti Polcenigo

AM Percorso Arti e mestieri AT Antroponimico–toponomastico A Acqua T Tradizioni SR Segni religiosi

Continua il progetto di valorizzazione del patrimonio archivistico per conoscerci e farci conoscere in collaborazione con il Comune di Budoia, l’Ecomuseo Lis Aganis, l’Artugna, la Società Filologica Friulana

archivio

a cielo aperto

di Vittorina Carlon, per la redazione de l’Artugna Sintesi in parlata di Fernando Del Maschio

Il percorso lungo i paesi si arricchisce di altri quattro nuovi pannelli informativi; quest’anno a beneficiarne è il capoluogo. Il primo verrà installato dal Comune in via Cardazzo, nei pressi della casa di Florio Bernardis; il secondo all’incrocio tra le vie Cardazzo e Casale; il terzo in via Casale in prossimità dell’incrocio con via Roma; il quarto all’inizio di via Conditta.

AT 8 – AM 3 Case Cardazzo-Bernardis

Si tratta di un’area ricca di storie di famiglie e di mestieri artigianali. Dal secolo XVII ad oggi vi si succedettero due importanti casate: i

Cardazzo Martin e i Bernardis.

L’edificio abitativo risale alla fine del Settecento su insediamento seicentesco (se non precedente), testimoniato dalla data – 1674 – incisa sulla colonna destra del portone d’ingresso. Appartiene ai Bernardis, famiglia agiata di origine purliliese che ereditò nella metà dell’Ottocento i fabbricati con l’esteso brolo (podere cintato adibito a frutteto e a orto) dal benestante casato dei Cardazzo Martin, a seguito delle nozze di Teresa Cardazzo con Domenico Bernardis. Vi abitarono persone influenti nella vita del paese, tra cui l’importante figura ecclesiastica di don Andrea Cardazzo Martin, pievano di Dardago per oltre mezzo secolo, e i

nipoti don Pietro, cappellano a Dardago, e Angelo Bernardis, falegname di professione ed appassionato di fotografia che ci tramandò scatti di vita ottocentesca del paese e dei luoghi limitrofi. I Cardazzo Martin si distinsero per le loro abilità edili (impresari edili, lapicidi), con la realizzazione di edifici privati e religiosi. In particolare nel Settecento alcuni membri operarono nella chiesa di Santa Maria degli Angeli di Sacile, nella progettazione e riedificazione della chiesa di San Giovanni di Polcenigo e in interventi al duomo di Aviano. Nell’ampio cortile, si è attratti, oltre che dai fabbricati abitativi, da un basso porticato retto da colonne arrotondate di mattoni con basamento di pietra (unicum in Budoia), adibito probabilmente a falegnameria negli anni Sessanta dell’Ottocento: struttura che unisce l’abitazione ad un opificio modificato rispetto all’originario (orsoglio alla bolognese?), alimentato un tempo dall’acqua proveniente dalla via pubblica, incanalata nel retro dell’edificio. Dal lato opposto, isolato dalla casa padronale, sorge un portico sorretto da colonne lapidee, costruito all’inizio del secondo decennio del Ventesimo secolo e destinato a falegnameria, tuttora attiva. La famiglia Bernardis detiene, infatti, il primato della più longeva attività artigianale del legno in paese, esercitata da ben cinque generazioni. A fine Ottocento, esisteva un collegamento con l’area confinante a nord-ovest, in cui sorgevano una fucina e una filanda appartenenti ad altre proprietà, le cui notizie storiche verranno proposte in un altro pannello informativo.

Angelo Bernardis (1844–1937). Budoia 1896 ca. Il fotografo ritratto al centro con i suoi dipendenti, davanti alla falegnameria. (Cortesia di Florio Bernardis).

la fotografia, che ’l à lassat tante lastre co ritrati e sene de la vita de ’na volta. I Cardath Martin i era mistri muradors e scarpelins e le so imprese in tel 1700 le à laorat in te la Glesia de Santa Maria a Sathil e in te chele de Sandan e de Davian. Tacat a la ciasa ’l é un portego co le colone tonde de pierecote (unico a Budhuoia). Stacadha da la ciasa ’l é la botega undulà che i Bernardis i laora anciamò adess (thincue generathions de marangons).

Incisioni sulla colonna destra del portone d’ingresso.

*** Dal 1500 ’l é stat dentro doe famee: i Cardath Martin e i Bernardis. La prima ciasa segura l’era del 1600 o ancia pi vecia (comot che se veith su la colona de le porte 1674). Adess le ciase (1700) ’l é dei Bernardis, famea vignudha da Porthie e che ’l à redhitat in tel 1800 ciase e brolio co le nothe de Menego Bernardis co la Geia Cardatha. In te ste ciase i é nassudhi el Plevan vecio de Dardac, don Andrea Cardath, e i so nevodhi: don Piero, capelan, e Andol Bernardis, marangon co la passion de Fonti

Archivio Storico della Pieve di Santa Maria Maggiore di Dardago. Archivio di Stato di Pordenone. Archivio di Stato di Venezia.

Bibliografia

Alessandro Fadelli, Storia di Budoia, Pordenone 2009. Le opere e i giorni. Budoia: una storia per immagini, a cura di Antonio Giusa, testi di Antonio Giusa e Nancy Michilin, Comune di Budoia e Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia 2002.

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AT 9 – A 1 – T 1 ’l Ciasal

Nella parlata locale, la zona circostante è denominata ’l Ciasàl ossia il ‘casale’ , il cui significato subì, per evoluzione semantica, un mutamento nel tempo: da luogo con una o poche case non molto discoste dal centro abitato ad area non assai estesa attigua ad abitazioni rurali, coltivata a orto, frutteto o a semina, com’era in effetti il terreno, nei secoli scorsi. Dagli anni Cinquanta dell’Ottocento, in quest’area era installato un lavatoio di pietra, alto qualche decina di centimetri da terra, che raccoglieva l’acqua del torrente Artugna condotta attraverso il ruial, un manufatto di conci di pietra che dalla Val de Croda (Dardago) solcava l’intero territorio comunale. I lavatoi, solitamente collocati in prossimità degli incroci e nella piazza principale, erano vivaci centri di aggregazione femminile, in cui le donne s’incontravano con i loro cesti colmi di capi da lavare e con tante notizie da raccontare, e anche punti d’incontro per i ragazzini che con i loro giochi ravvivavano la crosera. In inverno, si divertivano a scivolare con gli zoccoli di legno chiodati lungo il ruial gelato, o saltare la vasca o spingersi tra loro provocando spesso qualche bagno fuori stagione. Fino agli anni Sessanta del Novecento, funzionava una pompa a getto continuo con vasca, alimentata sempre dall’acqua dell’Artugna convogliata attraverso una conduttura in acciaio. Si trattava di una delle prime dodici fontane situate lungo le vie principali dell’intero territorio comunale, secondo il progetto dell’ingegnere Ugo Granzotto, risalente al 1906 ma attuato soltanto nel 1916, allo scopo di fornire la popolazione di acqua potabile per usi domestici e per l’abbeveraggio del bestiame. Con gli anni la quantità delle fontane aumentò: solamente nel capoluogo si raggiunse la dozzina circa. Purtroppo i manufatti non esistono più, sopravvivono solo nella memoria collettiva delle persone anziane.

Come si presentava ’l Ciasal a inizio Ottocento (Mappa del Catasto Napoleonico).

*** ‘Na volta ciasal voleva dise ciasa un po’ distante da chele altre. Su chista crosera l’era una de le prime dodese pompe del comun col laip par beverà le bestie e ‘na vasca raso tera, co l’aga del ruial, undulà che le femene le resentava la lissia e intant le ciacolava tra lor e magare le nore le diseva mal de le madone e viceversa. D’inver par i canais l’era un spasso sbrissà coi thocui sul glath che se formava in te la vasca. Fonti

Archivio della memoria. Testimonianze di persone anziane, raccolte negli anni Settanta del Novecento. Archivio di Stato di Pordenone. Archivio di Stato di Venezia.

Bibliografia

Giancarlo Bastianello, Acquedotto comunale. Cronistoria di una vita travagliata in l’Artugna a. VI agosto 1977 n° 22, pp. 8–9.

AT 10 – AM 4 – A 2 Case Tres e Santin, casa Fullini

Nella memoria collettiva la strada è denominata via Tres, come già appariva nell’ottocentesca mappa austriaca: Strada Comunale detta dei Tressi (comprendente le attuali vie Casale e Roma) dal nome dell’importante clan di lapi-

cidi insediatisi nel secolo XV

nella centa omonima, ubicata alle spalle della chiesa e chiusa da un’alta muraglia di sasso. Il casato estese i suoi possedimenti anche sul lato opposto della via come documenta il disegno

della mappa settecentesca del Catasto della pieve di Santa Maria Maggiore di Dardago, in cui si delineano case, cortile con terreno attiguo adibito a pascolo, già esistenti nel secolo precedente; il complesso risulta cintato e chiuso da un arco con portone.

L’attestazione del documento: Un pezzo di terra sedime con cortivo e casa il tutto posto in Villa di Budoja in Rodolo 1642 n° 81, aquistato dalla famiglia Maschio per gli Autori d’essi Tressi [...], coll’obligo di pagare alla Chiesa vino secchi 4, confina a mattina parte a Lunardo quondam (fu) Mattio Tres, in luoco Santin, e parte Andrea quondam Bartolomio Tres e consorte, a mezodì strada publica, a sera Zambatta quondam Valentin Signor... Possede parte Andrea quondam Bortolo Tres e parte Consorti quondam Bartolomeo. Nell’area cintata, tra le abitazioni dei Tres è presente la proprietà del conte Gio:Batta Fullini (n° mapp.le 193), costruttore del mulino a nord di Dardago, nel 1776: si trattava di uno dei suoi edifici nobiliari presenti nel territorio, adibito a sua residenza o, più probabilmente, assegnato alla popolazione in concessione, in cambio di prestazioni d’opera e/o di canoni. Non era l’unico nobile a possedere case e terreni in Budoia (lo scopriremo durante il percorso). Già nei primi anni del Settecento, i Tres intrecciarono relazioni paren-

Il rettilineo della strada dei Tres (ora via Casale) con l’alta muraglia di sasso che delimita la centa omonima. (Cartolina d’epoca viaggiata, inizio anni Venti del Novecento, collezione privata).

tali con oriundi di Mezzomonte tra i quali i Santin/o, pure lapicidi che unirono al loro cognome quello dei Tres adattandolo a soprannome, finché il casato originario non si estinse. Tra i Tres si annovera il lapicida Mattio che modificò in fase di costruzione il progetto della chiesa di Sant’Andrea apostolo, nel 1832. Nel cortile delle case dei Tres/Santin (ora proprietà Santin/Zambon) esiste ancora il pozzo con vera di pietra, uno dei tanti esistenti in paese da cui si estraeva dal sottosuolo l’acqua delle falde acquifere. *** I Tres i era ‘na famea de scarpelins che la steva in te ste ciase dal 1400. Dopo i à comprat ancia de là de la strada ( ‘na volta Via Tres). In tel 1700 i Tres i se à inparentat coi Santin de La Mont che i à ciapat el soranon de Tres. Intant la vecia famea l’era fenidha. Matio Tres ‘l à cambiat el progeto de la Glesia de Budhuoia, in tel 1832. Tra chele de Tres el veva ‘na ciasa (fitadha) el conte Tita Fulin, paron del Mulin de Bronte e de tant altre. In tel curtif de le ciase Santin –Zambon se pol vedhe un poth co la vera de piera, un dei tanth del paes. L’aga dei poth co chela de Fontana l’era l’unica che i doprava i nostre veci ‘na volta.

Fonti

Archivio Storico della Pieve di Santa Maria Maggiore di Dardago. Archivio di Stato di Pordenone. Archivio di Stato di Venezia. Archivio della memoria. Testimonianze di persone anziane, raccolte negli anni Settanta del Novecento.

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AT 11 – AM 5 – SR 1 Case Fullini, Cardazzo Remondin e Burigana, Del Maschio Munar, Conti Polcenigo

Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un complesso di nuclei abitativi ‘fortificati’ , a corte. Sia gli edifici a fronte strada verso via Roma sia gli interni appartenevano prevalentemente ai Del Maschio Munar fin dal XVII secolo, mentre i due fabbricati con gli accessi in via Conditta erano di proprietà del casato benestante dei Cardazzo Remondin e, dall’Ottocento, dei Burigana Remondin. composta di una piattaforma di assi di acciaio e legno, a filo del fondo stradale, allora bianco e polveroso, su cui saliva il mezzo meccanico (carro, camion...) con la merce da pesare. Il basamento copriva una fossa profonda un metro circa, contenente una serie di leve e di contrappesi di elevata precisione collegati alla stadera, installata fuori terra, all’interno di una piccola co-

La casa dei nobili Fullini, nel secolo scorso. Le ciase in via Roma le era dei Del Maschio Munar fin dal 1600. Le doe ciase co le entradhe in via Condita le era prima dei Cardath e dal 1800 dei Burigana Remondin. Dei Fulins ‘l era chela che fa cianton tra via Roma e via Condita. Tacadha a le ciase de Remondin ‘l era na ciasa del conte Checo de Polthenigo, butadha dho e rifata stacadha. De là de strada, undulà che ‘l é la madhonuta sul mur, scominthia le ciase dei Carlon Ros vignudhi a sta unlì dopo la division de la famea granda de la Contrada Longia. In mieth a la crosera l’era stat metut la pesa publica (spostadha da la platha). La base de la pesa (de lenc e de fer) la cuerdheva ‘na busa co dentro le leve e altri atressi colegadhi co la stadhiera che l’era in te na pithola costruthion. Su la pesa se podheva pesà ciars, carete, rimorchi e pithui camions. ‘Na volta dhuth i ciars e le carete le veva ‘na tabeluta col peso-tara.

Nel complesso ‘residenziale’ non mancavano edifici di proprietari illustri. Ai nobili Fullini apparteneva il caseggiato ad angolo tra via Roma e via Conditta, tramandato dalla memoria collettiva come Ciasa de Fulin, sebbene ad inizio Ottocento già proprietà dei Del Maschio. Un altro nobile, il conte Francesco Polcenigo di Ottavio, risultava possessore dell’ultima casa, verso via Conditta, dal secolo scorso ricostruita ed isolata dal complesso. Al lato opposto si trova la prima casa dei Carlon Ros, edificata ad inizio Novecento a seguito della divisione della Fameia granda; da allora le abitazioni si moltiplicarono dando vita al nucleo dei Ros. Negli anni Cinquanta del Novecento, al centro dell’incrocio venne installata la pesa pubblica, struzione dove vi accedeva un incaricato che registrava peso e importo da pagare al daziere per l’introduzione della merce nel comune. Il manufatto pubblico era utilizzato anche dagli abitanti per la vendita di legna, pietre, fieno ed altro materiale.

Il portone di Pietro Burigana Remondin come si presentava decenni fa. A lato. Il segno sacro nel porticato della casa di Pietro Burigana Remondin come appariva negli anni Settanta del Novecento. Era consuetudine creare segni religiosi di carattere privato a protezione della casa e dei suoi abitanti. Si può notare un altro sacro (nicchia) nella casa dei Carlon Ros, alle spalle.

Fonti

Archivio Storico della Pieve di Santa Maria Maggiore di Dardago. Archivio di Stato di Pordenone. Archivio di Stato di Venezia. Archivio della memoria. Testimonianze di persone anziane, raccolte negli anni Settanta del Novecento.

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