La Manovella Web n. 7/20 - Luglio

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110 Anni Alfa Romeo: Vittorio Jano - Coupé Fiat - Chris Bangle - Mercedes Benz W06 - BMW Serie 02 - Alfa Romeo 2600 - Carlo Ubbiali

N. 07 - LUGLIO 2020 - EURO 5,50 - MENSILE - ANNO LIX - P.I. 09/07/2020

Editore ASI Service s.r.l.

La Manovella - N.07 - LUGLIO 2020

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IN QUESTO NUMERO

SOMMARIO

N° 07 - LUGLIO 2020

COUPÉ FIAT Semplicemente coupé di Luca Marconetti

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MERCEDES-BENZ W06 L’era dell’elefante bianco di Elvio Deganello

ALFA ROMEO 2600 SPRINT Una “Sprint” di successo di Matteo Comoglio

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NEWS EDITORIALE di Roberto Valentini Ripresa con novità

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Lettera del presidente di Alberto Scuro Quelle estati piene di storia e di futuro…

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ASIPRESS Notizie dall’ASI

08

ATTUALITÀ

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CURIOSITÀ 22 Ferrari “Le Grand Rendez-vous”: ritorno alla normalità con la straordinaria SF90 ATTUALITÀ 24 Porsche, a Le Mans mezzo seco lo di dominio

CRONOSCALATE Alla conquista della vetta di Elvio Deganello

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52

BMW CLASSE 02 Berlina media cerca... di Luca Marconetti MOTO MORINI CORSARO Il “pirata” a due ruote di Matteo Comoglio

CICLOMOTORI A 4 TEMPI Gioielli di tecnica in miniatura di Massimo Clarke

88

IL DESIGNER Chris Bangle innamorato dell’Italia di Roberto Valentini

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PERSONAGGI Vittorio Jano, un genio conteso fra due colossi di Lorenzo Morello e Rino Rao

56

30 ANNI FA Che auto si poteva comprare trent’anni fa?

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PERSONAGGI Il signor nove volte di Franco Daudo

74

TRASPORTO COLLETTIVO Fiat 421, il molleggiato col ciuffo di Luca Marconetti

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MEZZI FERROVIARI “Tigre”, i giganti d’acciaio in via d’estinzione di Luca Marconetti

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VITA DI CLUB

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IN LIBRERIA

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EDITORIALE

Rivista Ufficiale dell’Automotoclub Storico Italiano Ente Morale federato F.I.V.A. Strada Val San Martino Superiore, 27 10131 Torino Tel. 011.8399537, fax 011.8198098 Sito Internet: www.asifed.it E-mail: info@asifed.it Sito Internet F.I.V.A.: www.fiva.org Presidente Alberto Scuro Direttore Editoriale Umberto Anerdi Direttore Responsabile Roberto Valentini Comitato Editoriale Rino Cacioppo Danilo Castellarin Franco Daudo Gian dell’Erba Luca Gastaldi Lorenzo Morello Alberto Scuro Roberto Valentini Redazione Press Centre C.so Orbassano, 191/1 - 10137 Torino Tel. 011.3272595, fax 011.3272805 E-mail: lamanovella@hotmail.com Grafica e Impaginazione Patrizia Bisa E-mail: creativa@pierrezeta.com Foto e Immagini Actualfoto, Valentini, dell’Erba, Marconetti, Comoglio, Cacioppo, Morello, Deganello, Daudo, Gastaldi, FCA, Mercedes-Benz, BMW, Clarke, Pepe, Cavanna, Costa, Kaiblinger, Perego Hanno collaborato Massimo Clarke, Matteo Comoglio, Franco Daudo, Mario Da Costa, Elvio Deganello, Luca Gastaldi, Pierluigi Griffa, Luca Marconetti, Lorenzo Morello Rino Rao Editore: ASI Service S.r.l. Strada Val San Martino Superiore, 27 10131 Torino Iscrizione al R.O.C. n° 19067 Stampa: GRAFICA VENETA S.p.a. Via Malcanton, 2 - 35010 Trebaseleghe (PD) - Italy Tel. 049 9319911 E-mail: info@graficaveneta.com Ufficio abbonamenti: GRAF ART S.r.l. Viale delle Industrie, 30 - 10078 Venaria Reale (TO) Tel. 011.0133124 - Fax 011.4556278 E-mail: info@grafart.it Distributore esclusivo per l’Italia MEPE Distribuzione Editoriale Via Ettore Bugatti 15 - 20142 Milano (MI) Tel. 02.895921, info_mepe@mepe.it Pubblicità - pagine specialistiche e di settore: Testori 331.6893046 - Fax 02.33570223 - istituzionale ed extrasettore: ASI Service S.r.l. Tel. 011.8198130 Tel. 051.4129700 - www.cantellinet.it Registrazione Trib. di Torino N° 3543 del 16.07.85 Spedizione in abb. Postale 45% Art. 2 comma 20/b, Legge 662/96 Filiale di Torino

RIPRESA CON NOVITà Nel mese di luglio tornano a svolgersi i primi eventi motoristici con modalità tutte nuove e da scoprire, rinunciando forzatamente a tutta la parte che comporta assembramenti e incontri ravvicinati. In questi mesi ci stiamo abituando a un nuovo approccio con tutte le nostre attività e, di conseguenza, anche la ripresa della nostra passione sarà contrassegnata da nuove regole. La Commissione Legale ha messo a punto una serie di protocolli da utilizzare nelle attività di segreteria dei Club e in tutte le attività correlate. A fine giugno sono riprese le sessioni di certificazione e, per le commissioni tecniche e gli appassionati sarà un ritorno alla normalità. D’altronde la voglia di usare i veicoli storici è tanta e la dimostrazione viene dalle tante iniziative dei Club che, con tanta prudenza, stanno allestendo per mantenere salda la passione. Una prova è venuta dal successo degli eventi web organizzati dall’ASI e dedicati ai giovani e ai Club, con “ASI sulle strade d’Italia”, che ha visto una quarantina di sodalizi mostrare orgogliosi attraverso il collegamento sui social media le bellezze artistiche e naturali della propria zona. È un po’ l’essenza e la ricchezza dell’ASI: coniugare la cultura dei motori con quella delle opere d’arte e paesaggistiche. Una cultura del bello, basata sulla conoscenza della storia, indispensabile per costruire un futuro migliore. La consapevolezza del passato può aiutare a evitare errori e a partire da basi più solide. Lo sanno bene anche i Costruttori di auto e moto, chiamati a uno sforzo di innovazione che può sembrare senza precedenti. E invece di precedenti ce ne sono. Pensiamo solo alla propulsione elettrica: nei numeri precedenti vi abbiamo mostrato come l’ibrido esistesse già all’inizio del XX Secolo e come i motori elettrici siano stati utilizzati sia all’inizio della motorizzazione (ancore nel XIX Secolo), sia in periodi successivi, marcati da crisi energetiche e petrolifere. Oggi l’elettronica permette di ottimizzare gli elementi che esistono da sempre. Le vacanze 2020 saranno per molti diverse dal solito, come diverso sarà probabilmente l’approccio con l’organizzazione famigliare e del lavoro al rientro. Pensiamo ad esempio al trasporto pubblico. Non ci potranno più essere le grandi concentrazioni di persone su treni e metropolitane, con un ritorno all’uso dell’auto privata. Una recentissima ricerca di Future Concept Lab comunica che l’auto oggi viene considerata un luogo rassicurante, quasi una seconda casa, da non condividere, ma da “coccolare” con maggiori cure. Secondo questo studio l’auto tornerà ad essere un investimento affettivo. Come lo sono le nostre storiche, conservate perché oggi tutti le possano ammirare ricordando una storia industriale e sociale che ha permesso al nostro Paese di svilupparsi e crescere economicamente, facendosi apprezzare in tutto il mondo per la capacità di coniugare tecnologia e stile. È per questo che sarà importante poter riportare tutti i nostri veicoli sulle piazze per non far dimenticare un pezzo importante della nostra storia. Roberto Valentini

Fotografie e manoscritti, se non richiesti, non verranno restituiti.

Carta PERLEN TOP GLOSS con certificazione ECO .

Questo numero è distribuito in 180.000 copie

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LETTERA DEL PRESIDENTE

QUELLE ESTATI PIENE DI STORIA E DI FUTURO… Cari amici, entriamo nel mese di luglio con il cuore pieno di fiducia e speranza, con ogni muscolo e tendine del nostro corpo pronti e recuperare e a rilanciare ogni sensazione e tutte le prospettive migliori. A me piace ricorrere spesso alla storia, al passato e alle nostre tradizioni per rinforzare quell’entusiasmo che ha ripreso a pervadere le nostre esistenze, le nostre amicizie e relazioni personali. Amo cercare nelle pagine della storia gli avvenimenti in cui l’uomo ha determinato delle svolte significative, oppure è riuscito a imprimere nuova linfa alle proprie capacità creative e alla propria voglia e determinazione di riscatto. Potrà sembrare un semplice gioco innocente ma in realtà può aiutarci a capire come gli scenari futuri potranno essere ancora densi di grandi cambiamenti positivi e di imprevedibili trampolini di crescita per ciascun individuo e per tutte le comunità. In una girandola di fatti molto diversi tra loro, e soprattutto di epoche differenti, pensiamo che nel mese di luglio si consolidava l’Unità d’Italia, nascevano gli Stati Uniti dopo la guerra civile, Sandro Pertini veniva eletto Presidente della Repubblica, Guglielmo Marconi brevettava la radio, Andy Wharol inaugurava la sua prima mostra, i Rolling Stones tenevano il loro primo concerto; nascevano Marlon Brando, Pablo Neruda, Gina Lollobrigida, Ernest Hemingway, Frida Kahlo, Nelson Mandela; veniva lanciato il bikini. E ancora, le fantastiche vittorie della nazionale italiana nei Mondiali di calcio, nei cinema usciva Easy Rider e si stampava il primo fumetto di Corto Maltese; nasceva la Fiat, che dopo tanti anni, sempre a luglio, avrebbe presentato la 500; nasceva l’Arma dei Carabinieri, scoppiava la rivoluzione francese l’uomo faceva i primi passi sulla Luna; veniva brevettata la prima macchina da scrivere, Tolkien pubblicava “Il signore degli anelli” e Moravia “Gli indifferenti”, avveniva la prima scalata del K2 e tanto e tanto ancora nella storia dell’umanità. Per restare tuttavia nel nostro mondo, nel mese di luglio del 1886 accadeva un fatto straordinario, un balzo in avanti molto importante: veniva presentata la prima automobile con motore a scoppio, considerata come il primo esempio di automobile così come la conosciamo ancora oggi. Un “certo” Karl Benz, infatti, arriva ai primi del mese di luglio ad organizzare la prima vera presentazione a livello mondiale di un triciclo di 577 cc di cilindrata che funzionava con una benzina leggera chiamata ligroina, allora reperibile solo nelle farmacie. Le fonti prevalenti e ufficiali raccontano che nessuno prima di lui aveva pensato di mettere insieme ed allestire sullo stesso veicolo un telaio in tubi d’acciaio, un carburatore e dei sistemi di raffreddamento ad acqua, di accensione elettrica e di sterzatura. Fu proprio l’integrazione e la presenza contestuale di tutti questi elementi a fare della “Patent Motorwagen” la prima, vera automobile di sempre. Curioso e storicamente importante sottolineare che nell’agosto del 1882 (sempre estate era) fu chiesto ed ottenuto, ad opera del veneto professor Enrico Bernardi, il brevetto del primo motore a scoppio alimentato a benzina della storia. Il Bernardi, nel 1884, equipaggiò con motore a scoppio un veicolo destinato al figlio che girava con tale triciclo per le strade di Quinzano, un paese vicino Verona. Tali memorie sottolineano il nostro comune sentimento di muoverci verso l’estate con voglia di riscatto nei confronti di una primavera che ci è stata rubata, mesi caldi e solari che hanno fatto grande l’umanità nella storia, hanno reso ogni epoca degna di essere esplorata e vissuta, ed ancora oggi sono sprone per continuare a credere e a crescere anche nel nostro Paese. Chissà come oggi Benz e Bernardi guarderebbero le nostre comunità e la capacità dell’uomo di non rinunciare mai a superarsi… Manteniamo quindi i nostri occhi attenti sul mondo e sulle nostre vite e confidiamo nel nostro futuro, sempre. Buone vacanze a tutti ed un arrivederci a presto.

Presidente Automotoclub Storico Italiano

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HERITAGE IS ABOUT

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I nostri archivi storici sono una fonte inesauribile di disegni, progetti, dati. Un tesoro raccolto in oltre un secolo di storia che permette al nostro team di specialisti e tecnici di accedere a tutte le informazioni necessarie per prendersi cura della tua classica, fino all’ultimo componente. Vieni a scoprire il nostro mondo. www.fcaheritage.com


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NOTIZIARIO UFFICIALE DELL’AUTOMOTOCLUB STORICO ITALIANO

Carlo giuliani

CRESCITA ANCHE IN TEMPO DI CRISI E RIORGANIZZAZIONE IN CAMPO CERTIFICATIVO Innovazione. È questa la parola che da qualche mese fa da propulsore alle attività dell’Asi. Un’Asi che, in tempo di pandemia, si attiva per acquistare mascherine da destinare alle zone più colpite dal virus. Un’Asi che si occupa di aiutare le famiglie economicamente più provate dalla crisi distribuendo beni di prima necessità in partenariato con Unicef e con Anci. Ma è allo stesso tempo quell’Asi che attua un profondo rinnovamento della Commissione Tecnica. La nostra Associazione sta vivendo un periodo di grande cambiamento. Il Consiglio Federale e le Commissioni stanno infatti lavorando per renderci il punto di riferimento del motorismo storico in Italia ancora più di quanto non lo siamo stati finora. Con l’emergenza legata alla situazione epidemiologica delle scorse settimane, una battuta di arresto in tutti i processi in atto è stata inevitabile ma da ora è plausibile ritenere che i lavori possano riprendere a pieno ritmo, ancora più motivati di prima. In particolare, grandi cose sono in corso d’opera nell’ambito delle Commissioni Tecniche. Si stanno terminando di perfezionare i vademecum operativi atti a regolamentare con maggior precisione i requisiti per i certificati in un contesto di uniformità fra i vari settori. Anche gli archivi dell’Asi sono oggetto di un esteso progetto di riordino e di informatizzazione che consenta in un prossimo futuro un accesso più agevole alle informazioni in esso contenute. Il patrimonio di conoscenze del nostro Ente, sia dal punto archivistico sia più direttamente nozionistico, rappresenta un unicum senza eguali a livello mondiale. In questo contesto è estremamente importante dare luogo ad un’opera di archiviazione organica della massa

di informazioni in nostro possesso, attraverso un riordino sistematico ed una successiva informatizzazione dei dati. E ciò avverrà in sinergia con la creazione del nuovo programma informatico attualmente in via di sviluppo. La sfida è ambiziosa ma indispensabile per rendere sempre più efficiente la posizione di Ente certificatore che Asi ricopre nello scacchiere nazionale e nei confronti dello Stato italiano. Presto saranno disponibili per i Commissari Tecnici di Club strumenti che renderanno la loro attività certificativa più agevole e ulteriormente organizzata, con supporti tecnologici tali da permettere un espletamento delle pratiche più veloce e diretto. Siamo un Ente grande e variegato e sono proprio la grande passione e la competenza che da sempre ci contraddistinguono a proiettarci verso il futuro del motorismo storico. Le Commissioni Tecniche agiranno sempre più all’unisono fra loro nell’esame delle pratiche e dei requisiti dei veicoli che richiedono di essere certificati. In questo contesto è quanto mai importante che non venga mai a interrompersi quel dialogo fra Club e Consiglio Federale, fra Club e Commissioni che sta caratterizzando questo nuovo corso delle cose. Con il passare del tempo, l’attività certificativa si farà sempre più complicata in virtù delle caratteristiche dei mezzi che ormai entrano a far parte della variegata tipologia dei veicoli storici ed il loro esame metterà davanti a problematiche sempre nuove. Ma grazie al dialogo continuo e costruttivo fra chi si occupa materialmente di queste operazioni e chi ne gestisce le direttive si spianerà un terreno. Opinioni, esigenze, idee e anche critiche faranno crescere un’Asi sempre più efficiente e rappresentativo del nostro mondo.

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NOTIZIARIO UFFICIALE DELL’AUTOMOTOCLUB STORICO ITALIANO

IN PIEMONTE I VEICOLI STORICI NON CIRCOLANO

DAL 1° OTTOBRE DEL 2019 I VEICOLI STORICI NON POSSONO CIRCOLARE IN PIEMONTE, UNICA REGIONE IN ITALIA CHE HA ADOTTATO QUESTO PROVVEDIMENTO CHE PENALIZZA L’INDOTTO ARTIGIANALE E TURISTICO Terminato il lockdown gli appassionati italiani di auto e moto d’epoca hanno potuto ritrovare il piacere di fare un giretto con il loro mezzo storico. Non tutti però, visto che in questo caso i piemontesi che risiedono nella regione italiana del design e dell’industrializzazione dell’auto i veicoli storici non li possono usare. Dal 1° ottobre 2019 infatti la legge regionale in materia di contenimento dell’inquinamento vieta 24 ore su 24, per 7 giorni su 7 la circolazione ai veicoli Euro 0 a benzina e Euro 1 diesel. Le sole deroghe previste sono in occasione “di manifestazioni indette dalle organizzazioni o per recarsi presso officine e centri autorizzati al fine di effettuare la revisione o la rottamazione del veicolo purché muniti di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà (dichiarazione) redatta su carta intestata della ditta che effettua l’intervento e sottoscritta dal titolare indicante data e ora dell’appuntamento e la targa del veicolo; tali veicoli, quando in uscita da officine e/o centri di revisione autorizzati, dovranno essere accompagnati dalla fattura comprovante l’avvenuta erogazione della fornitura/servizio da parte dell’azienda interessata (accompagnati da idonea documentazione)”. In pratica i veicoli storici non possono mai circolare, nemmeno per un giretto di prova per verificare che sia tutto a posto. Il paradosso è data dal fatto che ancora recentemente il Governo ha proposto Torino come polo dell’auto nell’ambito delle 50 sfide per rilanciare il Paese e che Torino è la Capitale mondiale dei veicoli storici, vuoi per la vocazione industriale e del design, vuoi perché oggi la città sabauda è sede della FIVA, la Federazione mondiale che comprende tutti gli appassionati del pianeta, grazie al buon rapporto della stessa con ASI. In tutte le altre regioni italiane si è trovata una soluzione che permette ai veicoli storici di conservarsi in efficienza e di essere curati presso le officine di manutenzione e restauro, mantenendo in vita un indotto fatto di tante piccole realtà di artigianato altamente specializzato. Le imprese che in Italia a vario titolo operano per il settore sono in costante crescita e alla ricerca di nuove maestranze; tra questi a solo titolo di esempio citiamo: restauratori, ebanisti, ricambisti, operatori di detailing e servizi di custodia, organizzatori di eventi e di gare sociali e sportive, media dedicati, pubblicità, operatori museali e culturali, case editrici specialistiche. In totale, secondo uno studio effettuato dall’Istituto Piepoli, l’indotto generato dal motorismo storico nel nostro Paese è pari a 2,2 miliardi di euro l’anno, di questi 123,4 milioni sono l’indotto del Piemonte. Il 75% di queste cifre derivano da acquisti e manutenzione dei veicoli e il 25% dal turismo indotto.

L’ALLARME DELLA CONFARTIGIANATO PIEMONTESE

Una situazione che allarma anche la Confartigianato piemontese, come ci conferma il presidente Dino De Santis: “Il pericolo è che gli appassionati, non potendo utilizzare le loro autostoriche perdano interesse per tutte le manifestazioni legate a questa passione. Chi possiede un’auto o una motocicletta storica la tiene con cura, non lesinando sulla manutenzione sul restauro, anche perché rappresenta un piacere poter mostrare il proprio veicolo in perfetto stato. Se non si consente nemmeno la possibilità di uscire dal garage è molto probabile che i mezzi vengano venduti, con grave danno per l’economia locale”.

LA SITUAZIONE IN ITALIA PIEMONTE

In Piemonte le vetture e le motociclette Euro 0 non possono circolare per tutto l’anno 24 ore al giorno e per tutta la settimana. Al momento non esistono deroghe di alcun genere per le vetture storiche, se non per partecipare ai raduni nel fine settimana.

LIGURIA

In Liguria le vetture e le motociclette Euro 0 possono circolare liberamente, ad eccezione della città di Genova dove possono circolare solo se munite di CRS (certificato di rilevanza storica).

VALLE D’AOSTA

In Valle d’Aosta le vetture e le motociclette Euro 0 possono circolare liberamente.

LOMBARDIA

In Lombardia le vetture e le motociclette Euro 0 non possono circolare per tutto l’anno 24 ore al giorno e per tutta la settimana. Le vetture storiche possono circolare liberamente purché munite di CRS (certificato di rilevanza storica). Il Comune di Milano ha emanato una delibera sulla circolazione dei veicoli storici in città (con particolare riferimento all’Area B), che è entrata in vigore il 1° giugno 2020 dando completa libertà di circolazione (7 giorni su 7, 24 ore su 24) ai veicoli con oltre 40 anni di età ed in possesso di Certificato di Rilevanza Storica; inoltre, per i veicoli dai 20 ai 39 anni (sempre dotati di CRS) oltre alla libera circolazione dal

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lunedì al venerdì dalle 19.30 alle 7.30 e 24 ore su 24 il sabato e nei giorni festivi, sono stati concessi 25 ingressi all’anno.

VENETO

In Veneto i veicoli Euro 0 non possono circolare nei giorni feriali dalle 8.30 alle 18.30 nei comuni sopra i 30.000 abitanti (eccetto le provincie di Belluno e Verona), tranne in caso di trasferimento per manifestazioni per veicoli di interesse storico e collezionistico.

EMILIA ROMAGNA

In Emilia Romagna i veicoli Euro 0 non possono circolare nei giorni feriali dalle 8.30 alle 18.30 nei comuni sopra i 30.000 abitanti e nei comuni dell’agglomerato urbano di Bologna.

TOSCANA

Non si registrano particolari limitazioni tranne nel Comune e agglomerato urbano di Firenze, dove, in caso di superamento delle soglie di inquinamento ambientale, si può circolare solo con veicoli storici muniti almeno di CRS.

LAZIO

A Roma, non si può accedere nella ZTL Fascia Verde, ma solo dal lunedì al venerdì: libero accesso nei weekend e nelle festività infrasettimanali. Nel resto della regione si circola. Nelle altre regioni non esistono normative di limitazione alla circolazione dei veicoli storici.


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“L’auto storica è un po’ come un’opera d’arte - prosegue De Santis - che si può condividere con gli altri mostrandola in pubblico. Così si rischia di tenere chiuse vere e proprie opere d’arte, come capita nelle collezioni private di quadri e sculture, che non possono essere ammirate da tutti. Uccidere il motorismo storico non facendo circolare i veicoli certificati storici - conclude il presidente della Confartigianato piemontese - vuol dire condannare alla chiusura tutti gli artigiani e le aziende che lavorano nel settore e colpire un fortissimo indotto turistico. Un danno enorme”.

MA QUANTO INQUINANO LE STORICHE CERTIFICATE E REGISTRATE IN PIEMONTE?

PRODUCONO LO 0,00066% DEL PM 10 E LO 0.00917% DELL’ NOx PRESENTE NELL’ARIA Sin dal settembre scorso l’ASI ha fatto pressioni perché la normativa venisse cambiata e nella primavera le relazioni si sono intensificate, con l’invio da parte della federazione di un dossier nel quale, oltre a ribadire il bassissimo impatto ambientale che la circolazione dei veicoli storici comporta, premesso che i trasporti stradali emettono nel loro complesso l’11% del PM 10 e il 39% del NOx presente nell’aria, come dimostra la ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità. La conferma si è avuta durante il lockdown quando, a fronte di una circolazione stradale quasi nulla non si sono avute riduzioni del PM10. Il NOx è invece calato: non è una brutta notizia, visto con il blocco totale del traffico la cosa era scontata. Per definire le cifre dell’impatto ambientale dei veicoli storici si sono fatte diverse rilevazioni: la media annua dei km percorsi dai veicoli di “uso quotidiano” è di 18.000 km, mentre la media annua dei km percorsi dai veicoli “storici” è di 1050 km. C’è inoltre da rilevare che gli appassionati di veicoli storici posseggono in media 1,9 veicoli storici a testa. Questo comporta una riduzione dell’impatto ambientale degli stessi, in quanto è ovviamente impensabile che circolino contemporaneamente. Dai dati forniti dalla Motorizzazione per la Regione Piemonte risulta che i veicoli d’uso quotidiano percorrano annualmente complessivamente in Piemonte 75.702.060.000, mentre i veicoli storici con CRS registrato in Motorizzazione, sempre in Piemonte, 4.529.700. Quindi i veicoli storici con CRS registrato in Motorizzazione percorrono lo 0,0060 % del totale dei km percorsi annualmente dai veicoli in Piemonte (4.529.700/75.702.060.000), rimarcando la profonda differenza che nel mondo è riconosciuta tra parco auto obsoleto e veicoli storici certificati. Tenendo presente che i trasporti stradali emettono nel loro complesso l’11% del PM 10 presente nell’aria e le percentuali dei Km percorsi annualmente dai veicoli storici rispetto a quelli di uso quotidiano si ricava che in Piemonte il contributo dei veicoli storici con CRS registrato in Motorizzazione alla produzione del quantitativo di PM10 globali è pari allo 0,00066%; il contributo alla produzione del quantitativo di NOx globali è pari allo 0.00234 %. LA PERCENTUALE DI INQUINAMENTO PRODOTTO DALLE STORICHE E’ RESIDUALE…

NOTIZIARIO UFFICIALE DELL’AUTOMOTOCLUB STORICO ITALIANO

poiché per questi veicoli non è neppure concepibile l’uso quotidiano. Bisogna tener presente che se una persona è proprietaria di un veicolo del genere non lo è certo perché vuole pagare meno bollo (il bollo dai 30 anni in su non lo si in ogni caso) o bypassare i divieti di circolazione ma solo perché è un appassionato. Tali veicoli sono anche decisamente più onerosi da mantenere per uso quotidiano rispetto a veicoli più moderni. Per i veicoli con anzianità compresa tra i 20 e i 39 anni con CRS registrato in Motorizzazione è stata richiesta la possibilità di circolare liberamente nei fine settimana e festivi, nei giorni feriali solo dalle 17 alle 5 del mattino (questo rende impossibile utilizzare tali veicoli come mezzi di trasporto quotidiano); due giornate feriali al mese di circolazione libera, circolazione consentita in occasione di manifestazioni e per portare il veicolo dal meccanico, al centro revisione e nelle officine specializzate”.

LA REPLICA DELLA REGIONE PIEMONTE

Alle istanze dell’ASI replica l’assessore regionale ad Ambiente, Energia, Innovazione e Ricerca Matteo Marnati: “Lo schema di ordinanza della Regione Piemonte al momento prevede la possibilità per le auto storiche di partecipare a raduni e manifestazioni; prevede inoltre di recarsi dal meccanico per la manutenzione e prevede che si possa uscire dai grandi centri urbani attraverso percorsi predefiniti a libera circolazione. L’introduzione di ‘Move-In’ invece, consentirà una circolazione più libera”.

LE RICHIESTE DELL’ASI ALLA REGIONE PIEMONTE

Spiega Alberto Scuro, presidente di ASI: “L’obiettivo di ASI e quello di permettere la circolazione libera dei veicoli che sono in possesso di un certificato di rilevanza storica registrato alla motorizzazione. E’ chiaro che questo obiettivo dovrà essere percorso grazie anche ai risultati dello studio in corso insieme con l’Istituto Superiore di Sanita. Ci siamo resi disponibile anche con la Regione Piemonte a essere partner di studi sull’inquinamento dei veicoli storici. Per i veicoli con più di 40 anni di età in possesso di CRS registrato in Motorizzazione è stata richiesta la circolazione con gli stessi criteri adottati per i veicoli appartenenti alla classe meno inquinante,

LA SINDACA DI TORINO CHIARA APPENDINO ADEGUARCI ALLE REGOLE DI ALTRE REGIONI D’ITALIA

“Il motorismo storico fa parte a pieno titolo del patrimonio culturale del Paese e ancor di più ciò vale per il territorio torinese. Se da un lato è necessario guardare al futuro per tutelare l’ambiente attraverso nuove forme di mobilità sostenibile, dall’altro dobbiamo contribuire alla tutela del patrimonio motoristico, che oltre a rappresentare un valore per molti appassionati, è un comparto che ha forti risvolti anche in ambito turistico e culturale. Per questo stiamo lavorando, con la Regione Piemonte che ha competenza in materia, per rendere possibile la circolazione dei veicoli storici anche sul nostro territorio, con le regole già in essere nelle altre regioni d’Italia”. Alberto Scuro con la sindaca di Torino, Chiara Appendino.

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NOTIZIARIO UFFICIALE DELL’AUTOMOTOCLUB STORICO ITALIANO

DOCUMENTO UNICO DI CIRCOLAZIONE: RESTANO VALIDI I DOCUMENTI ORIGINALI ACCOLTA DALLA MOTORIZZAZIONE LA PROPOSTA DELL’ASI Il 25 maggio scorso la Direzione Generale della Motorizzazione ha emesso una circolare (prot. 14794 del 27/5/2020) con alcune precisazioni in merito al Decreto Legislativo 98/2017 che regola il Documento Unico di Circolazione e Proprietà, nella quale è stata accolta la proposta avanzata dall’Automotoclub Storico Italiano, che aveva sollevato il problema della distruzione dei documenti originali dovuta alle nuove procedure telematiche. È così scongiurata la perdita di questo importante “corredo storico” dei veicoli. In particolare, i libretti di circolazione ed i fogli complementari non verranno trattenuti, né distrutti e neppure annullati. Questa la nota della circolare riferita ai veicoli di interesse storico e collezionistico (art. 60 c.d.s.): Al fine di salvaguardare il valore storico e collezionistico dei documenti di circolazione e di proprietà dei veicoli che, in base ai dati presenti nell’ANV (Archivio Nazionale Veicoli), risultano classificati come tali in base alla iscrizione in uno dei registri previsti dall’art. 60, comma 4, c.d.s., o che siano stati costruiti o immatricolati per la prima volta almeno trenta anni fa, tutte le operazioni gestite con le nuove procedure e che danno luogo all’emissione del DU (es., trasferimenti di proprietà, reimmatricolazioni, aggiornamenti con rilascio di nuovo documento di circolazione), devono essere gestite secondo le seguenti modalità: nel fascicolo digitale deve essere acquisita l’immagine pdf del documento di circolazione originale, al quale non va praticato il taglio dell’angolo superiore destro; il documento originale è restituito al nuovo proprietario senza apposizione di alcun segno (timbro, tagliando autoadesivo o altro) di annullamento; analogamente è

restituito, con le stesse modalità, il foglio complementare dopo averlo scansionato e acquisito nel fascicolo senza taglio dell’angolo superiore destro. Soddisfatto il presidente dell’ASI, Alberto Scuro: “Siamo grati al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e alla Direzione Generale della Motorizzazione per la grande sensibilità dimostrata nei confronti del motorismo storico”, sottolinea Alberto Scuro, presidente dell’Automotoclub Storico Italiano. “Hanno ascoltato le nostre istanze e preso in considerazione i nostri suggerimenti per la salvaguardia del patrimonio storico. Siamo sicuri che il dialogo proseguirà anche in futuro nell’ambito di un tavolo di lavoro che vedrà riunite le istituzioni competenti e gli enti certificatori, con il solo obiettivo di tutelare i veicoli storici”.

Riprendono le sessioni di Certificazione Auto DAL 27 GIUGNO LA CTNA HA RIPRESO AD EFFETTUARE LE CERTIFICAZIONI La CTNA, in accordo con il Consiglio Federale, ha elaborato un piano per poter ripartire con le certificazioni auto in piena tranquillità, adottando le misure di sicurezza previste dalla Commissione Legale nel testo “Linee Guida per l’adozione delle misure anticontagio per il rischio infezioni da Coronavirus durante le sessioni di certificazione”. Le misure consistono nel rendere obbligatorio per tutti l’utilizzo di mascherine ed igienizzanti, nell’evitare il più possibile i contatti tra le persone presenti ed in una serie di interventi, a cura del club organizzatore, per pianificare entrate ed uscite dei veicoli a turni scaglionati, preparando cartelli e moduli informativi per far rispettare tutte le misure di sicurezza previste nelle linee guida. Sia i Commissari della CTNA, che i soci presenti, dovranno inoltre compilare un’apposita autocertificazione, predisposta dal club organizzatore, per dichiarare di non essere affetti da forme influenzali. Contemporaneamente la CTNA ha anche elaborato un piano di rientro per recuperare le sessioni che, causa emergenza Covid, sono state annullate. Sono 32 sessioni, per un totale di oltre 1000 veicoli che dovranno essere esaminati nei prossimi mesi in aggiunta a quei veicoli già previsti nelle sessioni da tempo pianificate a calendario.

In aggiunta, tra giugno e luglio, i responsabili di alcuni club titolari di una sessione di verifica già programmata a calendario, hanno manifestato la volontà di farla slittare ad una data successiva, causa impossibilità pratica sia di visionare i veicoli dal vivo, sia di preparare la documentazione ed inviarla in anticipo nei tempi richiesti dalla Segreteria. Ci sono così altre 9 sessioni soppresse, per un totale di altri 300 veicoli. Per una questione di prudenza sono state inoltre posticipate, agli ultimi 4 mesi del 2020, le sessioni di verifica previste nelle regioni di Lombardia e Piemonte tra giugno e luglio. Tutti questi spostamenti comportano un pesante aggravio di lavoro per la Commissione Auto, costretta a lavorare, fino alla fine dell’anno, durante tutti i week end, su più fronti, per far fronte alle sessioni già pianificate da tempo e per gestire le sessioni di recupero, in modo di smaltire l’arretrato, secondo un calendario che è in fase di definizione in questi giorni. Già pianificato e confermato, invece, il calendario di giugno e luglio che prevede già in questi 2 mesi, il recupero delle sessioni precedentemente annullate di Perugia, Caserta, Macerata, Livorno, Siena, Piacenza, Sala Consilina, Palermo e Messina.

2020

CALENDARIO SESSIONI OMOLOGAZIONI SESSIONI AUTO

GIUGNO 27 Club Auto Moto d’Epoca Perugino (Balzano - PG) LUGLIO 04 Club Veicoli Storici Irpino (Campania - Avellino) - SESSIONE ANNULLATA 04 Club Automoto Epoca Campano (Caserta) 05 CAEM Scarfiotti + Scuderia Marche + La Manovella del Fermano (Macerata) 11 Amams (Gonzaga (MN) - SESSIONE ANNULLATA 11 VCC Torino (Piemonte - Torino) - SESSIONE ANNULLATA 11 Garage del Tempo (Cecina - LI) 11 Siena Club Auto Moto d’Epoca (Monteriggioni - SI)

LUGLIO 11 Club Piacentino Automoto d’Epoca (Piacenza) 18 Club Salerno Auto Storiche (Salerno) - SESSIONE ANNULLATA 18 Club Tre Monti Veicoli d’Altri Tempi (Sala Consilina - SA) 18 Associazione Veicoli Storici Parma (Colorno - PR) 25 Scuderia Veltro (Cuneo) -SESSIONE ANNULLATA 25 Circ. Veneto Automoto d’Epoca (Romano d’Ezzelino - VI) 25 VCC Panormus (Palermo) 26 Samo Club (Messina)

Ulteriori informazioni sul sito www.asifed.It.

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Per tutte le informazioni ASI consultare il sito internet: www.asifed.it

GRANDE VISIBILITà ASI NELLA CAMPAGNA “INSIEME PER FERMARE IL COVID” La RAI, con il supporto di Responsabilità Sociale RAI, e Mediaset sostengono la campagna di raccolta fondi INSIEME PER FERMARE IL COVID (per aiutare le famiglie più vulnerabili con buoni spesa, utili in questo momento di difficoltà economica) con i passaggi in TV dedicati al numero solidale 45525. Gli spot di 30” sono stati mandati in onda dai 1° al 7 giugno, con grande visibilità per l’Automotoclub Storico Italiano, che ha avviato già nel mese di marzo, la campagna di raccolta fondi INSIEME PER FERMARE IL COVID, insieme all’ ANCI/Associazione Nazionale Comuni Italiani e UNICEF Italia, con il coordinamento della Cabina di regia Benessere Italia della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

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Per sostenere questa campagna, è stato attivato il numero solidale 45525 con il quale è possibile donare con un semplice SMS dal proprio telefono cellulare o con una chiamata da rete fissa: 2 euro al 45525 con SMS inviato da cellulare WINDTRE, TIM, Vodafone, Iliad, PosteMobile, Coop Voce, Tiscali; 5 euro al 45525 con chiamata da rete fissa TWT, Convergenze, PosteMobile; 5 e 10 euro con chiamata da rete fissa TIM, Vodafone, WINDTRE, Fastweb e Tiscali Con i fondi raccolti durante la settimana di programmazione, saranno forniti buoni spesa alle famiglie bisognose dei Comuni che indicherà l’ANCI come particolarmente vulnerabili.


EVENTI ASI

IL RADUNO IN STREAMING CHE UNISCE IL PAESE La voglia di tornare a guidare i nostri mezzi alla scoperta delle bellezza del nostro Paese ha stimolato l’ASI a organizzare domenica 21 giugno “Asi sulle strade d’Italia”, evento web con una lunga diretta streaming sui canali Facebook e Instagram dell’Automotoclub Storico Italiano. Uno speciale giro d’Italia in collegamento con 40 club federati ASI, che hanno mostrato le bellezze dei propri territori direttamente dall’abitacolo delle auto storiche. Le manifestazioni del settore sono ferme da molti mesi e sono ancora tante le incertezze sulla loro ripresa, per questo ASI ha pensato ad un grande “raduno diffuso” da vivere in maniera virtuale e telematica, lasciando spazio e voce ai club per raccontare gli eventi che quest’anno non hanno potuto organizzare. Ricco il palinsesto della lunga diretta streaming coordinata da Luca Gastaldi, con collegamenti con Siena (a cura del SIENA CLUB AUTO MOTO EPOCA), Porretta Terme (AUTO MOTO STORICHE BAGNI DELLA PORRETTA), Isola delle Femmine in Sicilia (CIRCOLO AUTO E MOTO EPOCA VINCENZO FLORIO), Lucca (BALESTRERO VETERAN MOTOR CAR CLUB), Teatro Massimo, Palerm0 (VETERAN CAR CLUB PANORMUS), Ancona (CLUB AUTO MOTO STORICHE ANCONA), Museo V. Lancia, Fobello, in Piemonte (VALSESIA LANCIA STORY), Castello Aragonese di Taranto (CLUB JONICO VEICOLI AMATORIALI E STORICI I DELFINI), Castello Estense, Ferrara (OFFICINA FERRARESE), Avezzano in provincia de L’Aquila (JAGUAR DRIVERS CLUB ITALY), Museo Taruffi, Bagnoregio in provincia di Viterbo (ASS. STOR. CUL. PIERO TARUFFI AUTOMOTO), Mausoleo G. Marconi, Bologna (BOLOGNA AUTO STORICHE), Floriopoli, Palermo (GRIFONE AUTO E MOTO D’EPOCA), Parco della Giara di Tuili in Sardegna (ASSOCIAZIONE AUTOMOTO EPOCA SARDEGNA), Aosta (CLUB AUTO MOTO EPOCA VALLE D’AOSTA), Alassio in

Liguria (500 CLUB ITALIA), Torino (VETERAN CAR CLUB TORINO), Montecchio in provincia di Reggio Emilia (TOPOLINO AUTOCLUB ITALIA), Aeroporto di Thiene in provincia di Vicenza (HISTORIC CLUB SCHIO), Formia (NSU CLUB ITALIA) Campiglia Marittima in provincia di Livorno (CLUB AUTO STORICHE E MOTO DELLA VAL DI CORNIA), Monte Conero (CLUB AUTO MOTO STORICHE ANCONA), Castelluccio in provincia Bologna (AUTO MOTO STORICHE BAGNI DELLA PORRETTA), Pescara (OLD MOTORS CLUB ABRUZZO), Oltrepo Pavese (VETERAN CAR CLUB CARDUCCI), Cassino (CLASSIC CLUB ITALIA), Passo Scopetone in provincia di Arezzo (CLUB AUTO MOTO D’EPOCA IL SARACINO), Museo San Martino in Rio (SCUDERIA SAN MARTINO), Macerata (SCUDERIA MARCHE CLUB MOTORI STORICI), Passo dello Stelvio (VALTELLINA VETERAN CAR), Parco del Circeo (CIRCOLO LATINA AUTOMOTO STORICHE), Occhieppo in provincia di Biella (AUTO MOTO STORICHE ALTO PIEMONTE), Teramo (CLUB AUTO MOTO STORICHE TERAMO), Colli Tortonesi (LANCIA THEMA CLUB ITALIA), Museo Cozzi, Legnano (CLUB MILANESE AUTOMOTO EPOCA), Monte Erice in provincia di Trapani (CLUB AUTO MOTO EPOCA F. SARTARELLI), Catania (ASSOCIAZIONE SICILIANA VEICOLI STORICI), Taormina (INTERNATIONAL CAR CLUB TAORMINA), Assisi (AUTOMOTOCLUB STORICO ASSISANO), Perugia (CLUB AUTO MOTO EPOCA PERUGINO), Cecina in provincia di Livorno (GARAGE DEL TEMPO COSTA DEGLI ETRUSCHI) e Fermo (LA MANOVELLA DEL FERMANO). Collegamenti veloci che hanno comunque permesso di rivedere amici che in altre occasioni si sarebbero incontrati direttamente. La varietà dei luoghi ha fatto tornare a tutti la voglia di viaggiare con le storiche alla scoperta di luoghi di grande tradizione culturale.

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IN PRIMO PIANO

EVENTO ITALIA ASI GIOVANI ANTONIO GIOVINAZZI SUPERSTAR

IL PILOTA UFFICIALE ALFA ROMEO FORMULA 1 HA PARTECIPATO CON GRANDE DISPONIBILITÀ AL PRIMO RADUNO VIRTUALE ORGANIZZATO DALLA COMMISSIONE GIOVANI IL 2 GIUGNO Una formula nuova, dettata dalla necessità di mantenere la distanza sociale per limitare la diffusione del coronavirus, ha inaugurato l’attività della Commissione Giovani, coordinata da

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Costanzo Truini. Uniti virtualmente attraverso la piattaforma Zoom, un centinaio di persone ha avuto modo di prendere parte al raduno “telematico” L’Italia dei Motori, organizzato grazie alla


IN PRIMO PIANO collaborazione della Federazione Italiana Cuochi e della Federazione Italiana Pubblici Esercizi, per contribuire concretamente al rilancio del mondo della ristorazione, pesantemente colpito dall’emergenza Covid-19. I ristoranti individuati per l’occasione, hanno predisposto un menù di pranzo ad hoc per i partecipanti, che hanno potuto scegliere di farsi portare a domicilio, ritirare presso il ristorante convenzionato o consumare, in piena sicurezza, presso il locale stesso. Fil rouge dell’evento la lunga diretta (più di due ore e mezza) condotta dall’addetto stampa ASI, Luca Gastaldi, nella quale la vera star è stata Antonio Giovinazzi, pilota ufficiale Alfa Romeo. Pur essendo giovanissimo (ha 27 anni) un posto nella storia il pilota pugliese lo occupa già da adesso, avendo interrotto nel 2019 la lunga assenza di piloti italiani nelle gare di Formula 1. Un intervallo lunghissimo, iniziato il 27 novembre 2011 con l’ultima gara di Jarno Trulli e Vitantonio Liuzzi nel GP del Brasile. La stagione 2019 è stata per lui un crescendo in seno al team Alfa Romeo Sauber. La sua partecipazione all’evento ASI ha suscitato grande entusiasmo e il pilota è entrato subito in sintonia con il mondo del motorismo storico visto dal suo lato giovane: ha raccontato degli inizi, delle difficoltà incontrate nello scalare le classifiche delle categorie propedeutiche. La sua carriera non è stata facile. Iniziata nei kart, dove ha vinto molto, ha sempre trovato nei suoi genitori i fan più accesi e lo sponsor più importante: rispondendo a una domanda del presidente Scuro infatti, ha sostenuto che senza l’appoggio della famiglia, e ai molti sa-

crifici che questa ha fatto per lui, non avrebbe potuto arrivare dove è adesso. Ai molti curiosi di sapere che cosa si prova a essere un pilota di Formula 1 e reggere l’eredità di nomi molto ingombranti, Antonio ha risposto che un’emozione così forte si può provare solo al volante di quelle monoposto: la Formula 3 e la Formula 2 sono molto diverse e, pur essendo già grandissimi traguardi, non hanno le dimensioni della F1 nel quale ti ritrovi catapultato da un momento all’altro senza avere il tempo di renderti conto. In questo periodo di lockdown sono balzati agli onori della cronaca gli “e-grandprix”, ossia quelli giocati in virtuale tramite pc, consolle per videogiochi e simulatori: alla domanda su cosa ne pensi lui e quale sia la differenza, Giovinazzi ha risposto che ci sono sicuramente ragazzi, per lo più molto giovani, che hanno capacità notevoli e che i simulatori, nello sviluppo della vettura e per imparare i segreti dei circuiti, sono molto importanti e lui stesso ne fa un uso intensivo, però il trovarsi a tu per tu con la vettura vera, l’asfalto reale e la pista in tre dimensioni è cosa ben diversa… “e non vedo l’ora che ricomincino le corse vere!”, ha affermato. L’evento virtuale e la presenza di Antonio Giovinazzi, in rappresentanza della compagine giovane e del futuro del motorismo, è stato anche occasione per festeggiare i 70 anni del mondiale di F1 e i 110 del marchio Alfa Romeo, celebrati tramite filmati e contributi storico-culturali che hanno intervallato i contributi dei presenti.

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Pag. 144 - Formato 21 x 29,7 mm - Copertina cartonata - testi in italiano e in inglese. La GTA. Acronimo della Gran Turismo Alleggerita: tre lettere profondamente incise nella memoria collettiva di tutti gli appassionati - e non solo - del mondo delle corse automobilistiche. Della vita e dei miracoli compiuti dalla macchina della Casa del Biscione oramai si sa ogni cosa: questo libro vuole raccontare la parte meno conosciuta del racconto sulla GTA - il suo progetto, il suo lato tecnico, l’evoluzione che ha conosciuto negli anni - fino ad arrivare al suo incredibile palmarès, unico nella storia dell’auto sport. Vladimir Pajevic, appassionato del marchio Alfa Romeo e all’epoca gentleman-driver, e Gian Luigi Picchi, grande campione dell’automobilismo italiano, che con la GTA vinse l’European Touring Car Championship nel 1972, hanno scritto questo piccolo vademecum con l’intento di rispondere alle domande (frequenti e meno) sulla GTA in un linguaggio semplice e chiaro. Nonostante il prevalente colore tecnico del materiale, si tratta di un manuale in grado di offrire anche ad un pubblico non specializzato la panoramica di tutti i dati tecnici rilevanti, nonché l’esperienza diretta di pilotaggio della GTA da corsa da parte di Gian Luigi Picchi, uno dei migliori interpreti dei giorni di gloria della mitica vettura.

500 GIARDINIERA L’utilitaria per il lavoro Matteo Comoglio - Enrico Bo

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Pag. 128 - Formato 21 x 29,7 mm Copertina cartonata Testi in italiano e in inglese Come già per il volume dedicato alla berlina, anche in questo caso la ricerca documentale è stata approfondita e basata su fonti sicure, così da poter riportare tutte le informazioni necessarie per affrontare il corretto restauro. Il libro percorre tutta la produzione dal 1960 fino al 1977, abbracciando anche la storia della 500 Giardiniera a marchio Autobianchi. Vista la scarsa bibliografia presente su questa vettura, il volume si propone di essere un punto di riferimento per tutti coloro che cercano informazioni oppure vogliono restaurare la propria Giardiniera secondo le specifiche d’origine. Sono riportati tutti gli abbinamenti colori-interno, tutte le modifiche principali e le diverse serie.

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L’AMERICANO - Tom Tjaarda a Torino 1958 - 2017 Giosuè Boetto Cohen

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FIVANEWS

FIVA CELEBRA LA GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA GIOVENTù La FIVA (Fédération Internationale des Véhicules Anciens) ha lanciato un contest creativo per celebrare la Giornata Internazionale della Gioventù del 12 agosto, invitando i giovani appassionati a realizzare fotografie, dipinti e disegni che illustrino il tema dei veicoli storici e dell’heritage industriale. Sono predisposte tre categorie: 1- fotografie di edifici industriali, stazioni di servizio, autorimesse, ecc… in qualche modo collegate ai veicoli storici; 2- dipinti e disegni di edifici industriali, stazioni di servizio, autorimesse, ecc… in qualche modo collegate ai veicoli storici; 3- fotografie che riprendono i veicoli storici con i rispettivi proprietari. I partecipanti dovranno inviare i lavori entro il 30 agosto alle email secretary@ fiva.org e culture@fiva.org; la Federazione Internazionale li pubblicherà sui suoi canali web (sito internet e social network) usando gli hashtags #fiva_classic #historic_vehicles #culture #youth #internationalyouthday #2020youth. I vincitori di ogni categoria saranno annunciati il 30 settembre 2020. “Il nostro concorso - sottolinea Natasa Grom, vice presidente FIVA - vuole stimolare un’innovativa rappresentazione artistica dei veicoli storici in un contesto industriale, per esprimere l’importanza di mantenere i veicoli storici sulle strade di domani. La giovinezza è uno stato mentale, non solo un numero, per questo il nostro concorso è aperto a tutti, purchè giovani dentro!”. A questo link si può scaricare la scheda di iscrizione: https://fiva.org/wpcontent/uploads/2020/06/Entry-Form-to-the-FIVA-YouthDays.pdf

FIVA INSIEME ALLA COMMISSIONE GIOVANI ASI NELL’INIZIATIVA “INSIEMEPERFERMAREILCOVID” Anche la commissione giovani ASI in collaborazione con la commissione giovani e cultura della FIVA sono impegnati in prima linea per sostenere la raccolta fondi. “La solidarietà assume ruolo primario nel mondo del vero Associazionismo - dichiara Costanzo Truini Presidente della Commissione Giovani A.S.I. - ed anche la Commissione che mi onoro di rappresentare composta dai due Vice Presidenti Francesco Tabacchino (membro della commissione cultura FIVA) e Francesca Manzini e dai due Commissari Francesca Dalli e Marco Fischi, ha voluto contribuire ad affrontare l’emergenza Covid-19, per quanto nelle sue possibilità, così da dimostrare concretamente la propria vicinanza alla Collettività. Voglio ringraziare il Presidente della Commissione Giovani e Cultura della FIVA Natasha Grom per il prezioso sostegno e vicinanza alla causa comune”. All’eppello ha risposto con entusiasmo Natasa Grom: “I tempi sono difficili, sconcertanti e ci pongono davanti a grandi sfide, ma presentano anche opportunità. Siamo diventati più consapevoli della necessità di socializzare quotidianamente e abbiamo anche ripreso ad apprezzare gli spazi aperti e i nostri veicoli, così come le altre cose più semplici della vita, come un buon libro, preparare un pasto, guardare un buon film o curare il proprio giardino. All’improvviso sia-

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mo diventati tutti esperti tecnologici nell’uso dei social media e delle applicazioni che ci consentono di parlare al mondo fuori dalle nostre stanze. La vita è cambiata in modo inaspettato, eppure comprendiamo che influenzerà le nostre vite, così come la società, la politica e l’economia. Una volta che le economie si riavvieranno gradualmente, dovremo avere un quadro degli effetti dei blocchi e delle altre restrizioni, sia per i nostri club, sia per i soci professionisti. Potremo così cercare di capire come l’inevitabile recessione in tutto il mondo influenzerà il nostro movimento per i veicoli storici. Finché le possibilità di incontro saranno limitate a un certo numero di persone e vigerà il distanziamento sociale, le nostre manifestazioni dovranno adattarsi a tali nuove condizioni. Come dimostra l’esperienza attuale, ogni paese agisce in modo diverso. Il ruolo di FIVA sarà quello di condividere le migliori soluzioni per il periodo di transizione post-Corona. Non solo per gli eventi, ma anche per quanto riguarda i programmi di compensazione per aziende e istituzioni culturali, come i musei. Non dovremo perdere di vista il monitoraggio della legislazione pertinente. Alcuni governi potranno tendere ad accelerare le politiche orientate ad arginare i cambiamenti climatici, con possibili effetti negativi sull’uso dei veicoli storici. FIVA e i nostri club dovranno tenere d’occhio tutti questi sviluppi”


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ATTUALITÀ - NEWS DAL MERCATO

BMW: DEBUTTA LA NUOVA SERIE 4 E SI RINNOVANO LE SERIE 5 E 6 Tante le novità in casa BMW in questi ultimi mesi. Appena finito il lockwdown infatti, la Casa di Monaco ha presentato, con tre premiere multimediali, modelli fondamentali della sua produzione, la gamma delle coupé a due e quattro porte medio superiori della Serie 4 e gli interessanti rinnovamenti stilistici della superiore Serie 5, sia in versione berlina che station wagon denominata Touring e della gamma 2 volumi di lusso Serie 6. Se per le Serie 5 e Serie 6 si è proseguito sul filone estetico introdotto dalla Serie 3 dello scorso anno, con una mascherina a doppio rene più grande e più larga e gruppi ottici Full Led con tecnologia a matrice rivisitati e luci diurne caratterizzate da un piacevole motivo geometrico, così come quelli posteriori ora più affilati, la Serie 4 rompe decisamente col passato presentando un design assolutamente inedito, molto improntato a stilemi visti su show car e prototipi presentati dalla Casa agli ultimi salone e che sono stati trasportati su vetture da produrre in serie davvero a sorpresa: a colpire è soprattutto il nuovo sviluppo fortemente verticale e imponente su tutto il muso del doppio rene, i quali non hanno più una forma più o meno rettangolare ma sono degli inserti ottagonali che dalla base del cofano motore vanno a lambire lo spoiler inferiore. Lo vedremo anche sulle prossime BMW? Staremo a vedere, quello che invece qui è evidente è la carica innovativa e di assoluta modernità che la Serie 4 rappresenta, finalmente non solo più una Serie 3 vestita da sportiva ma una vettura dalla fortissima identità propria, in grado di far parlare di sé. Oltre all’aspetto estetico infatti, la Serie 4 ha contenuti che, partendo dalla

validissima piattaforma “Clar” di Serie 3 qui irrigidita e calibrata, la rendono più bassa, larga e 50 kg più leggera della precedente 4 e sfociano nei nuovi motori Mild Hybrid, ormai irrinunciabili fra le premium: si parte dalle versioni 2 litri 4 cilindri benzina da 184 CV (420i) e 258 CV (430i), non elettrificate e si giunge al 2 litri 4 cilindri diesel della 420d, erogante 190 CV fino al 3 litri 6 cilindri in linea da 374 CV della M440i xDrive (a trazione integrale), queste due entrambe elettrificate da un sistema a 48 Volt. Tutte le motorizzazioni sono abbinate al cambio automatico a 8 rapporti. Entro il primo trimestre del 2021 arriveranno invece proposte a gasolio più prestanti mentre è molto attesa dagli appassionati la variante supersportiva M4, che potrebbe arrivare a 470 CV. Tornando a parlare di Serie 5 invece, ci troviamo di fronte a una gamma di motori rinnovata, composta dalle classiche 520i, 530i e 540i a benzina, alle robuste 520d e 530d a gasolio alle quali oggi si aggiungono la versione Mild Hybrid 540d a 48V (gasolio) e le 530e/545e plug-in Hybrid (ossia con unità elettrica, con batterie ricaricabili presso le colonnine pubbliche o alla rete domestica, ausiliaria a quella a benzina), tutte dotate del cambio a 8 rapporti. Al vertice della gamma, in attesa della furiosa M5, la M550i. La 530e (2 litri 4 cilindri) e la 545e (3 litri 6 cilindri) si abbinano a un motore elettrico che permette, nel caso della prima una potenza di 292 CV e un’autonomia in elettrico tra i 53 e i 67 km, della seconda ben 394 CV e autonomia in elettrico tra 54 e 57 km. Nuovi gli apparati di bordo, come ADAS, sistemi di assistenza alla guida avanzati e

l’inedita visualizzazione 3D del traffico. La Serie 5, in occasione della presentazione poi, è stata presentata nell’edizione a tiratura limitata MSport Edition, disponibile con tutti i motori: vernice speciale Donington grey o Tanzanite blue, interni in pelle Dakota, sedili elettrici, assetto ribassato, cerchi Air Performance bicolore e impianto frenante maggiorato con pinze rosse. Serie 6 Gran Turismo: nuovo look anche per la due volumi con tetto rialzato basata sulla piattaforma Serie 5, sulla scia di quest’ultima, dalla quale riceve anche le motorizzazioni.

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EDIZIONE MODERNA

Club ACI Storico

Mantova - Italia, (17) - 18 -19 -20 Settembre 2020 www.gpnuvolari.it


CURIOSITÀ

FERRARI “LE GRAND RENDEZ-VOUS”: RITORNO ALLA NORMALITÀ CON LA STAORDINARIA SF90 Per dare un segnale forte di ripresa e di ritorno a una normalità che tutti speriamo ardentemente, Ferrari ha ingaggiato il suo pilota di F1 Charles Leclerc - a riposo forzato dalla stagione 2020 che deve ancora iniziare - per un cortometraggio nella sua Montecarlo, dove ha sfrecciato a 240 km/h, librandosi tra le curve del leggendario GP cittadino di Monaco, al volante del meraviglioso “Cavallino Rampante” SF90 Stradale, l’ultimo gioiello presentato dalla Casa di Maranello prima del lockdown. Il percorso, ovviamente chiuso al traffico, non era battuto però, per una volta, dalle telecamere degli autovelox della polizia del Principato ma da quelle ben più nobili del grande regista francese Claude Lelouch. Le riprese sono cominciate domenica 24 maggio, all’alba, lo stesso giorno nel quale avrebbe dovuto tenersi il GP di Monaco. Il titolo “Le Grand Rendez-Vous” poi, ai cinefili ricorderà un altro celebre cortometraggio degli anni ‘70, “C’Etait un RendezVous”: una telecamera piazzata sul muso di una vettura filma la strada in una corsa a gran velocità, del tutto fuori codice, per le strade più suggestive del centro di Parigi, bruciando precedenze e semafori rossi, per giungere poi sulla terrazza di Mont Matre, dove il misterioso “pilota” è atteso da una donna bellissima, Gunilla

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Friden, all’epoca compagna di Lelouch, mentre oggi, ad attendere Charles al suo arrivo, c’è una giovane e affascinante fioraia interpretata da Rebecca BlancLelouch, nipote del regista. A completare l’opera un copilota d’eccezione per Leclerc, il Principe Alberto II di Monaco. Anche la vettura del Cavallino rimanda a un’antenata eccellente del cortometraggio del 1976, la Ferrari 275 GTB di proprietà di Lelouch stesso (anche se il filmato è stato girato a bordo di una Mercedes 450 SEL 6.9 sempre di Lelouch, che guidò in prima persona, smentendo le voci che volevano al volante Jacky Ickx, o Jean-Pierre Beltoise, poi Jaques Lafitte o addirittura Jean Ragnotti). Oggi invece, la nuova Hypercar Ferrari è protagonista realissima e assoluta, e si vede! Con i suoi 1000 CV sprigionati da un motore endotermico V8 Biturbo di 90°, in grado di erogare 780 CV, la potenza più alta mai raggiunta da un V8 Ferrari, integrato con ben tre motori elettrici (che possono essere utilizzati anche da soli, fino a 135 km/h), la SF90 Stradale è la Ferrari che batte i record di velocità dell’azienda. E le telecamere del celebre regista non possono far altro che innalzare il suo design, curato dal Centro Stile Ferrari diretto da Flavio Manzoni ispirandosi a un aereo del futuro, a opera d’arte.



ATTUALITÀ

La 917 HK prima vincitrice assoluta di Le Mans, è il 1970.

PORSCHE, A LE MANS MEZZO SECOLO DI DOMINIO 108 VITTORIE DI CATEGORIA E 19 IRIDATE ASSOLUTE. NESSUNO COME IL MARCHIO DI ZUFFENHAUSEN È RIUSCITO A FARE TANTO SUL LEGGENDARIO CIRCUITO FRANCESE, MECCA DEL MOTORSPORT DI TUTTI I TEMPI. Diciannove vittorie assolute, numerosissimi successi nell’ambito delle diverse categorie e infinite emozioni legano Porsche, da sette decenni, alla 24 Ore di Le Mans, il più grande evento al mondo dedicato agli sport motoristici e anche quello che più rappresenta la tradizione delle competizioni: Porsche ha conseguito la sua prima vittoria assoluta su questo circuito con la sportiva 917 KH da 580 CV, esattamente 50 anni fa, il 14 giugno 1970. Per celebrare quel fondamentale traguardo, durante il weekend del 13 e 14 giugno 2020, il Museo Porsche ha esposto proprio quella stessa stupenda vettura protagonista di quella prima vittoria. Porsche ha partecipato per la prima volta a questa gara massacrante, una vera e propria prova di resistenza, nel 1951, quando vince immediatamente la classe con la 356 SL: da quel momento la Classica francese è diventata appuntamento fisso per la casa specializzata in vetture sportive. Le sue auto compatte e relativamente poco prestanti

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non avrebbero mai ottenuto il trionfo assoluto, almeno nei primi anni ma Porsche avrebbe preferito giocare abilmente il ruolo della sfavorita, concentrandosi con ottimi risultati sulle categorie per vetture con cilindrata inferiore. Verso fine anni ’60 il cambio di strategia: nel 1969 manca la vittoria per appena 75 metri, nemmeno un secondo, regalando al pubblico e agli appassionati uno dei rush finali con minor distacco nella storia di Le Mans, famosa invece per i lunghi intervalli di arrivo sul traguardo. Quanto appreso negli anni precedenti risulta invece evidente nel 1970, con una tripletta. Oltre alla 917 KH di Herrmann/Attwood sul gradino più alto, arriveranno secondi Larrousse/Kauhsen su Martini Porsche 917 LH e terzi Lins/Marko su 908/02. Herrmann e Attwood hanno ricordato alcuni momenti della gara: “È stata una gara caratterizzata da una pioggia costante e sembrò quasi che dovessimo continuare a cambiare gli pneumatici, non tanto a causa


ATTUALITÀ dell’usura, quanto delle condizioni atmosferiche in costante mutamento, anche perché la macchina era molto difficile e ti portava un po' dove voleva lei. È stata l’armonia che si è creata fra noi piloti che ci ha consentito di vincere. Partecipare a una gara di resistenza di 24 ore in due soltanto non è una sfida da poco”, ha dichiarato Hans Herrmann, tornando indietro con la mente. Molti dei concorrenti, diversi dei quali a bordo di una Porsche, hanno abbandonato la competizione, uno dopo l’altro. “Le Mans è una gara in cui o fila tutto liscio oppure no. Allora, la 24 Ore era più simile a un’esperienza di resistenza al volante che a una gara”, ricorda Richard Attwood. “Vincere a Le Mans con una Porsche e con Hans è stato qualcosa che non mi aspettavo assolutamente perché la nostra auto non era calibrata al meglio per la velocità. Hans e io formavamo semplicemente una squadra fantastica”. L’anno dopo, ben 33 starter su 49 sono al volante di una vettura di Zuffenhausen: un record che ancora oggi resta imbattuto. Sempre nel 1971 è di nuovo una Porsche a salire sul trono, una 917 KH. Nel 1974, Porsche annuncia l’era della sovralimentazione a Le Mans con la 911 Carrera RSR 2.1 Turbo. La vittoria per questa nuova “epopea motoristica” arriverà nel 1976, con la 936 Spyder, che vincerà anche l’anno successivo. E’ poi una Porsche la prima vettura con motore posteriore a vincere, la 935 K3, mentre, fra il 1981 e il 1987, le Porsche da corsa sono imbattibili. Nel 1982, il team ufficiale del Costruttore lancia la nuova Tipo 956, che conquista tutti e tre i posti sul podio già al suo debutto. La 956 monta il primo telaio monoscocca in alluminio di Porsche e si distingue per caratteristiche aerodinamiche innovative che consentono di raggiungere un livello di deportanza notevole senza alcun aumento significativo della resistenza all’avanzamento. Con la 956 e con il modello successivo, la 962 C, la Casa perfeziona lo sviluppo dei sistemi di accensione e di iniezione elet-

tronica, oltre che della trasmissione Porsche a doppia frizione (PDK) oggi estremamente apprezzata. Nel 1983 ben 10 Porsche occupano le prime 11 posizioni - fatta salva la nona - otto nel 1984 e 1985. Negli anni ’90 assistiamo invece a quattro vittorie assolute: nel 1994 con la 962 Dauer Le Mans GT sviluppata a Weissach e basata sulla 962 C ufficiale, nel 1996 e 1997 con le TWR Porsche 962 WSC Spyder, mentre, nel 1998, la Porsche 911 GT1 `98 ha introdotto a Le Mans la prima monoscocca in fibra di carbonio progettata da Porsche e i primi freni in carbonio utilizzati dal team del Costruttore, aggiudicandosi la vittoria in concomitanza con il 50° anniversario della concessione a Porsche della licenza per la sua prima vettura sportiva, la 356 “N°1” Roadster. Dopo questo successo, Porsche ha concentrato i suoi sforzi nell’ambito degli sport motoristici dedicandosi allo sviluppo di versioni da gara della 911 molto vicine al modello di produzione e al sostegno dei team privati. Questo impegno è stato ricompensato a Le Mans con undici vittorie di categoria fra il 1999 e il 2018. Nel 2014, il team ufficiale della Casa è tornato a gareggiare per la conquista di una vittoria assoluta. Progettata a Weissach partendo “da zero”, la 919 Hybrid propone soluzioni tecniche senza pari: solo una Porsche è in grado di generare energia elettrica per la batteria ad alte prestazioni convertendo l’energia cinetica prodotta in fase di frenata, oltre che per mezzo di un gruppo turbina-generatore nel flusso del gas di scarico di un motore turbo V4. Nel suo insieme, il sistema formato da motore elettrico e endotermico è in grado di erogare circa 900 CV. Questa soluzione all’avanguardia si è rivelata un successo e ha portato alla tripletta messa a segno da Porsche a Le Mans dal 2015 al 2017. Con 108 vittorie di categoria e 19 vittorie assolute, Porsche è stata la casa automobilistica che ha riscosso più successi nei quasi 100 anni di storia di Le Mans.

Le Mans 1951, prima partecipazione di Porsche alla 24 Ore: nell’immagine la 356 SL di Auguste Veuillet ed Edmond Mouche vincitrice della categoria fino a 1000 cm³. A destra, Ferry Porsche ai Box dell’edizione 1961. Sotto, a sinistra, la 956 LH di Schuppan/Haywood/Holbert vincitrice dell’edizione 1983, l’anno del dominio assoluto: le prime 11 posizioni della classifica assoluta sono occupate da 10 Porsche. A destra, i vincitori del 1970, Hans Herrmann (a sinistra) e Richard Attwood (a destra) fotografati oggi col modellino della 917.

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COUPÉ FIAT

SEMPLICEMENTE, COUPé

UN NOME CHE È ANCHE UN TIPO DI CARROZZERIA, LA PREFERITA DAGLI APPASSIONATI. CON LA SUA AUTO PIÙ VELOCE LA FIAT SI REGALA UN ULTIMO SLANCIO PER PALATI FINI EMULANDO LE GRANTURISMO DEGLI ANNI ’60. OGGI È UNA RICERCATA YOUNGTIMER DALLE EMOZIONI FORTI. di Luca Marconetti

4 dicembre 1993,

Motor Show di Bologna: lo stand Fiat pullula di giovani appassionati per i lanci della versione pepata della neonata Punto, la GT, e della Coupé, l’“automobile bandiera” che permette alla Casa di Mirafiori di tornare a dire la sua nel settore delle Granturismo. È infatti la fine degli anni ’80 quando Fiat, forte di successi tecnici e commerciali come Delta, Panda, Uno e Thema, decide di riutilizzare quel termine, “Granturismo”, che tanto ha infiammato i cuori negli anni ’60 e ’70: è ora di tornare a far sgranchire un po’ di cavalleria, forse l’estremo “guizzo” di un’amministrazione, guidata da Cesare Romiti,

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che considera la Fiat sempre più una holding bancaria piuttosto che una fabbrica di automobili, specialmente dopo l’uscita di scena di Vittorio Ghidella: a inizio 1990 l’ingegner Leonardo Fioravanti, all’epoca al vertice del Centro Stile Fiat e l’architetto Mario Maioli, responsabile dello Stile di tutti i marchi Fiat Auto, vengono incaricati di indagare circa la possibilità di sviluppare lo studio denominato “Coupé S”, una papabile vettura dall’aspetto e dalla meccanica dal piglio sportivo, a due porte, con abitacolo adatto a ospitare quattro persone, con finiture curate e dettagli stilistici di pregio. Lo studio diventa sfida, alla quale vengono chiamate a confrontarsi Pininfarina, col suo reparto “Studi e Ricerche” e il Centro Stile Fiat stesso, dove chief exte-


COUPÉ FIAT

riors designer è lo statunitense poco più che trentenne Chris Bangle. Dopo circa dieci mesi di lavoro, Pininfarina presenta due proposte vagamente ispirate al prototipo Hit su base Lancia Delta Integrale, diverse fra loro solo per alcuni elementi di muso e coda ma complessivamente basate attorno a fiancate rese dinamiche da una scalfittura, da una coda alta e compatta, dalla finestratura a goccia, dal muso spiovente con paraurti integrato. Chris Bangle invece, propone uno stile di rottura, una linea molto movimentata, dove volumi bombati e curvi sono interrotti da tagli netti e la fiancata è caratterizzata da due “incisioni” attorno alle quali l’auto sembra forgiare i suoi muscoli.

IL PROGETTO 175

A fine 1990 la dirigenza sceglie la più rassicurante “strada Pininfarina” ma l’arrivo del nuovo AD Paolo Cantarella cambierà tutto: lui preferisce l’“idea Bangle”; Pininfarina rimane comunque coinvolta per gli interni, per l’ingegnerizzazione e poi per la produzione, come l’atelier torinese ha già dimostrato di essere in grado di fare con altre Case. Il 1991 e 1992 sono anni un po’ burrascosi per il Centro Stile Fiat, come del resto per tutta l’azienda: Fioravanti lascia il Centro Stile a Nevio Di Giusto, Bangle foglio e matita a Peter Davis. Cantarella affida lo sviluppo tecnico del Progetto 175 al coordinamento di Pietro Tronville e contatta Pininfarina che accoglie i dirigenti Fiat con piacere: presto infatti avrà vuota la linea di produzione della Cadillac Allanté, la cui fine produzione è prevista proprio per il 1993. Ma il prototipo approntato per fine 1991 risulta deludente dal punto di vista aerodinamico: bisognerà rinunciare al costoso e delicato lunotto-cofano posteriore in vetro dei disegni di Bangle, per concentrarsi su una soluzione più tradizionale. È qui che prende forma l’ultimo

tassello caratterizzante la nuova vettura, la coda alta e compatta a diedro che la rende una tre volumi netti, con spazio sufficiente anche per i posti dietro e un bagagliaio insolitamente ampio, elementi che non sfigurano mai in una Fiat. Nei primi mesi del 1992 l’aspetto è praticamente quello definitivo, ma la presentazione slitta di qualche mese, a fine 1993 e la vendita al gennaio successivo. E lo sviluppo tecnico? Si attinge a quello che c’è in casa, secondo la filosofia delle economie di larga scala: esiste la trasversale piattaforma “Tipo 2” per una vasta gamma di vetture, dalla Tipo, la capostipite, alla Lancia Dedra, passando per Fiat Tempra e Alfa Romeo 155. Anche per il progetto 175 si sceglie quest’ultima e quindi: schema “tutto avanti”, motore trasversale, telaio monoscocca e sospensioni convenzionali. Nella tarda primavera del 1992 trapelano le prime informazioni ufficiali e i primi muletti camuffati danno l’idea del design definitivo. È confermata la piattaforma “Tipo 2” - notizia che, nonostante il pianale piaccia a Chris Bangle per la compattezza e la razionalità, farà storcere il naso ad alcuni, rinfrancati solo dalla scelta dei motori, come vedremo - ma si parla anche di differenziale con giunto viscoso, un aumento della rigidità torsionale del 40% rispetto alla Tipo e trazione integrale (che non sarebbe mai arrivata). A giugno 1993 le redazioni delle riviste specializzate ricevono una cartella stampa con uno schizzo di Chris Bangle e una foto definitiva e il 16 novembre i giornalisti vengono invitati in Costa Azzurra alla presentazione ufficiale: l’auto si chiama Coupé Fiat, col nome dell’azienda dopo. L’auto in realtà si sarebbe dovuta chiamare Coupé Esse, ma l’operazione viene abortita a causa di quella concorrenza della quale Cantarella è tanto preoccupato: la presentazione della Hyundai S Coupé porterà a evitare inutili contese col colosso coreano.

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COUPÉ FIAT

COUPÉ I SERIE (1993-1996)

La 2.0 16v Plus Rosso Scuro del marzo 1996, a destra, e la 1.8 16v Giallo Ginestra del luglio 1998. Per la definizione Chris Bangle si è ispirato alle sportive degli anni ’60, come la Ford GT40, che ha dato l’ispirazione per i proiettori sotto la parabola in policarbonato. Mantenuto l’artificio degli ampi tagli ai passaruota. Sotto, la Limited Edition Grigio Steel del febbraio 1999, riconoscibile per il dam inferiore prodotto dalla Zender (che si occupa anche delle minigonne) e per mascherina e ghiere dei fari in color titanio, e la 2.0 20v Turbo MY ’99 (III serie) Blu Sprint di luglio 2000.

La 2.0 20v aspirata del nostro servizio è dotata dell’allestimento Plus, riconoscibile per i bei cerchi in lega da 15” abbinati a pneumatici 250/55 ZR15, dello stesso disegno di quelli da 16” disponibile su Turbo Plus. La vernice di questo esemplare è quella di primo equipaggiamento, mai toccata.

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Al lancio, a stupire ieri come oggi, è la linea, così simile ai prototipi. Sulla vettura che esce dagli stabilimenti Pininfarina di Grugliasco, sono mantenuti i due profondi tagli obliqui per passaruota, incisi dalla matita di Chris Bangle, l’anteriore funzionale anche all’appoggio del grande cofano; a balzare all’occhio sono poi tanti altri particolari che contribuiscono a renderla diversa da qualsiasi altra auto: presa d’aria inferiore composta da due ordini da 4 feritoie speculari l’uno e via via più ampie fino a quella centrale; mascherina nera “a lama” con agli estremi luci di posizione e svolta; proiettori anteriori inseriti in due lenti poliellissoidali di policarbonato sagomato (invece che a scomparsa, troppo complessi e costosi), per i quali Bangle dichiarerà di essersi lasciato ispirare da quelli della Ford GT40; finestratura laterale a trapezio con montante nero dove è annegata la maniglia di apertura, come sulle berlinette da competizione e dove appare la scritta identificativa del modello; il terzo volume messo in risalto dal taglio parallelo al graffio inferiore, che dalla base del lunotto scende a rinvigorire la lamiera della porta; il posteriore alto a coda “morbidamente tronca”, che ha i fari tondi come quelli della 850 coupé ma anche di tantissime Ferrari, sovrapposti e sfalsati mentre, come una mascotte, conclude il montante destro il bel tappo del carburante in alluminio spazzolato con serratura, simile a quelli delle sportive di una volta, desunto da Bangle da una Dodge Charger del ’68 vista in un film. Abbiamo citato poco fa il cofano anteriore: questo è una delle firme di Pininfarina per le sportive del periodo, il cosiddetto “cofango”, acronimo di cofano e parafango, poiché il grande coperchio non si interrompe, come avviene di solito, alla linea di cintura ma continua sulla fiancata fino al passaruota. Il risultato è che, quando si apre insieme ai proiettori, la meccanica si mostra in tutto il suo splendore. Non sono da meno gli interni, molto curati, che trasudano sportività, specialmente dalla strumentazione a sei elementi inseriti in quattro “oblò” e, soprattutto, dalla fascia in plastica verniciata in tinta carrozzeria che, al centro, reca la firma di Pininfarina. Il volante è a tre razze con zona di impugnatura alle “10 e 10” rinforzata, mentre i pulsanti secondari, l’orologio digitale, i comandi della climatizzazione e l’alloggiamento per l’impianto stereo sono sulla plancia centrale, compatta e armonica. La fascia verniciata continua invece sulle portiere, dando la sensazione di abbracciare il pilota, che è al centro dell’interesse dei progettisti: lo si evince dal volante regolabile in altezza e in profondità, dai sedili profilati posizionati piuttosto in basso, come sulle GT del passato, dettagli che invitano a “guidare lunghi”, con gambe e braccia tese. Le leve di cambio e freno a mano e i pulsanti di alzacristalli e specchietti sono desunti da altri modelli del Gruppo. La zona posteriore non è di facile accesso ma può comunque accogliere comodamente due adulti. Il divano è ribaltabile per aumentare il volume di carico del bagagliaio. Se il telaio di partenza è quello della Tipo, sotto il cofano batte un cuore ben più nobile, il 4 cilindri in linea di 1.995 cm³ bialbero a quattro valvole per cilindro (inclinate fra loro di 46°), con contralberi di equilibratura, derivato da un’unità concepita dall’Ingegner Aurelio Lampredi. Questo è offerto fin dal lancio declinato in due tipi: variante aspirata (tipo 836 A3.000), in grado di erogare 139 CV a 6.000 giri/min e coppia di 18,3 kgm a 4.500 giri/min, già montata sulla Lancia Dedra Integrale


COUPÉ FIAT (ecco spiegato il numero 8, solitamente indicante la tipizzazione Lancia), alimentata a iniezione Marelli Multipoint IAW con sensore anti-detonazione e pompa elettrica, dotato di finezze quali pistoni ad alta turbolenza con mantello grafitato e segmenti di altezza ridotta; variante sovralimentata (tipo 175 A1.000), con turbocompressore Garrett T3 raffreddato ad acqua - dotato di valvola di sovrappressione waste-gate, overboost gestito da una centralina elettronica (“boost-drive”) per evitare erogazioni brusche - in grado di portare la potenza a 190 CV a 5.500 giri/min e la coppia a 29,6 kgm a 3.400 giri/min, che deriva direttamente da quello che trova posto sotto al cofano della Delta Integrale 16v ma qui con fasatura e rapporto di compressioni adeguati alla vettura e alla sua erogazione. Dalla Delta Integrale, la sola Coupé Turbo eredita anche il differenziale autobloccante con giunto viscoso Ferguson (qui chiamato Viscodrive) che, piazzato sull’asse anteriore nella stessa scatola del cambio, serve a inviare più coppia alla ruota di trazione con maggior aderenza. Per entrambe abbiamo un cambio a 5 marce con selettore comandato da cavo Bowden, utile a contenere la percezione delle vibrazioni del motore in abitacolo. Le sospensioni sono a ruote indipendenti, anteriori McPherson con braccio trasversale a montante telescopico, ammortizzatori idraulici telescopici disassati rispetto alle molle elicoidali, il tutto montato su traversa ausiliaria, con barra stabilizzatrice e posteriori a bracci inferiori trasversali tirati, montati su telaietto ad “H”, con traversa tubolare ed elementi longitudinali in lamiera stampata con, fra i bracci e i gli elementi superiori, corte molle elicoidali, sempre con barra stabilizzatrice e ammortizzatori idraulici separati. I freni sono a disco sulle quattro ruote. Servosterzo e ABS sono di serie. Il telaio “Tipo 2” qui è rinforzato e irrigidito mentre le portiere presentano barre antintrusione. Così equipaggiata la Coupé fa registrate prestazioni elevate, decisamente esuberanti nella variante sovralimentata: l’aspirata raggiunge i 208 km/h di velocità massima e i 100 in 9,2 secondi, la Turbo arriva a 225 km/h e tocca i 100 in 7,5, dati che la ergono a vettura Fiat di serie più potente di sempre, superando la Dino 2400 di 10 CV. Al lancio la Coupé è disponibile in due allestimenti, ciascuno per entrambi le motorizzazioni: “base” (o Comfort in alcuni listini) dotata di interni in tessuto a bande oblique a piccoli rombi colorati, con cerchi in lamiera 6 ½ J da 15” e pneumatici 195/55 per l’aspirata e cerchi in lega 6 ½ J da 15” con disegno esclusivo a quattro razze e gomme 205/55 per la Turbo, e Plus, che presenta i cerchi in lega da 15” per la aspirata e quelli, sempre in lega, 6 ½ J da 16” di medesimo disegno dei 15” con pneumatici ribassati 205/50 per la Turbo, gli interni in pelle nera e il climatizzatore manuale con filtro antipolline. Di serie per entrambi gli allestimenti alzacristalli elettrici, chiusura centralizzata, regolazione lombare del sedile di guida, fendinebbia, retrovisori elettrici mentre a richiesta per tutte ci sono l’impianto lavafari, l’antifurto con telecomando a distanza, l’autoradio Blaupunkt a sei altoparlanti (oppure la sola predisposizione) e il tetto apribile elettricamente. La gamma colori comprende inizialmente i soli rosso, giallo e bianco, tutti pastello, più tre tinte metallizzate: verde, blu e nero. Ultimo ad arrivare sarebbe stato il rosso Scuro, sempre metallizzato.

Le 2.0 16v o Turbo I serie erano indistinguibili dalla 1.8 16v (i cerchi in lega erano a richiesta). Al lancio la Coupé costa tra i 36.150.000 e i 47.300.000 di lire. Una BMW Serie 3 Coupé va dai 37,6 milioni della 316i ai 92 della M3. La Mitsubishi Eclipse 2.0 16v costa 38.000.000 lire, la Toyota Celica tra i 33 della 1.6 e i 58 milioni della 4WD mentre la Opel Calibra - diretta concorrente della Coupé - va dai 34 milioni della 2.0 aspirata ai 48 della 2.0 turbo 4x4. La 1.8 costa 35.000.000, 4 più di una Punto GT, lo stesso prezzo di una Renault Megane Coach 2.0 16v e 4 milioni meno di una Opel Calibra 2.0 8v.

Al lancio della II serie (estate 1996) appare uno dei colori più particolari disponibili sulla Coupé, l’Azzurro metallizzato 466, che sarà in realtà un color “pervinca”. Nell’immagine dell’Ufficio Stampa Fiat un allestimento dedicato alle versioni aspirate, con ruote in lamiera da 15” abbinate a pneumatici 195/50 e borchia integrale in plastica.

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COUPÉ FIAT

COUPÉ II SERIE (1996-1999)

Al lancio la Limited Edition costa poco più di 57 milioni di lire. Per un’Alfa Romeo GTV 3.0 V6 24v L ce ne vogliono 68, lo stesso prezzo di una BMW 328i 24v.

I bellissimi sedili anatomici Recaro studiati per la L.E., qui nel raro allestimento in pelle nera con cuciture rosse (più diffusi erano invece quelli bicolore neri e rossi). Altri particolari ci fanno capire di essere di fronte a una L.E.: rinforzi del volante alle “10 e 10”, pomello leve cambio e freno a mano, pulsante di avviamento e parte dei fianchetti porta sono rossi, mentre la fascia di plastica verniciata è in color titanio indipendentemente dal colore esterno.

Chi la prova rimane stupito dal piacere di guida e dal feeling di marcia; è fluida e progressiva l’aspirata, brutale e poderosa la Turbo, con un comportamento giudicato divertente grazie al Viscodrive e alle efficaci sospensioni posteriori. La Coupé ci mette del suo per affascinare e far divertire chi ne prende il volante, coinvolgendo con un’atmosfera da GT vecchia maniera. A parte modifiche di dettaglio (come le scritte identificative sui montanti messe più in alto), l’unica novità successiva importante per la Coupé I serie arriverà nel 1996: al Salone di Torino a maggio, viene presentata la nuova versione entry level 1.8 16v con motore 4 cilindri in linea di 1.747 cm³ “Pratola Serra” (tipo 183 A1.000), bialbero a 16 valvole a iniezione elettronica Multipoint Hitachi con variatore di fase già montato sulla spider Barchetta, in grado di erogare 131 CV a 6.300 giri/min. È una versione “compromesso”, destinata ai giovani e a chi non ha particolari velleità velocistiche ma non vuole rinunciare alla linea del Coupé. La 1.8 16v, che sarà considerata sottomotorizzata per la massa importante (1.180 kg, appena 70 meno della 2.0 aspirata) e per il lignaggio, si presenta con un allestimento semplificato che perde volante e cuffia cambio rivestiti in pelle, l’ABS e persino il tergilunotto, mentre ha i cerchi in lamiera stampata della 2.0 16v “base”, allestimento, quest’ultimo che ora non è più disponibile su entrambi le 2.0. L’occasione è anche quella di far uscire dalla proposta di tinte il bianco, poco scelto e inserire il più apprezzato argento metallizzato (indicato a listino come “grigio”).

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A Mirafiori affilano gli artigli alla berlinetta torinese appena dopo il lancio della 1.8, a fine giugno 1996. Se il design esterno non sarà praticamente toccato, la novità fondamentale sarà a livello meccanico, con la sostituzione dei 2 litri “Lampredi” con una unità più prestazionale, scelta dall’innovativa e inedita serie “Pratola Serra” (sede dello stabilimento dove viene prodotta, in Campania), dalla quale proviene anche il 1.8 della entry level (che rimane a listino) e sarà sempre un 2 litri ma a 5 cilindri in linea, gli stessi che equipaggiano le nuove Lancia k e le Fiat Bravo HGT e Marea 2.0 20v HLX. Come già per il 4 cilindri, anche il nuovo 5L, che qui ha una cilindrata di 1.998 cm³, 4 valvole per cilindro per un totale di 20, disposte su due assi a camme in testa (con variatore di fase elettroidraulico sull’aspirazione), è alimentato da un’iniezione elettronica Multipoint Bosch Motronic ed è disposto “di traverso”. Anche questo è disponibile nelle due varianti aspirata (182 A1.000) erogante 147 CV a 6.100 giri/min e coppia di 19 kgm a 4.500 giri/min - e sovralimentata - (175 A3.000) con turbocompressore Garrett TB28 e intercooler, erogante ben 220 CV a 5.750 giri/min per una coppia di 31,6 kgm a 2.500 giri/ min. Entrambi i 2.0 20v sono dotati di un contralbero di equilibratura, unico elemento insieme a basamento, testa e albero motore condiviso: ora infatti la Turbo ha sovralimentazione totalmente gestita dall’elettronica, affidata cioè alla centralina Bosch Motronic e presenta nuovi collettori di aspirazione e scarico, oltre a raffinatezze quali bielle in acciaio fucinato, valvole di aspirazione in acciaio inox e di scarico trattate al sodio. Mantenuto il giunto viscoso per le Turbo. La Coupé è ora una vettura molto potente, in grado di competere con vetture del calibro di Porsche Boxster, Audi TT e Toyota Celica: l’aspirata raggiunge i 100 km/h in 8,4 secondi e una punta di 215 km/h, la Turbo batte il suo stesso record di Fiat di serie più veloce di sempre, raggiungendo i 100 km/h in 6,5 secondi e la favolosa velocità massima di 252 km/h… roba da 3.0 V6. Per quanto riguarda il comportamento su strada, vengono ribadite le caratteristiche delle quattro cilindri di precisione e fluidità di marcia ma persiste la sensazione di parziale incapacità dell’avantreno di scaricare a terra la potenza, specialmente adesso che è tanto cresciuta. I sottosterzi risultano comunque appena accennati, soprattutto sulla Turbo dove agisce il Viscodrive, e l’inserimento in curva abbastanza preciso, rendendola una tra le trazioni anteriori più veloci, stabili e reattive sul mercato. In più c’è la novità del motore dalla frazionatura inconsueta, che genera un sound molto particolare, piuttosto cupo, roco e aggressivo. Per quanto riguarda gli allestimenti scompare la diversificazione fra “base”/Comfort e Plus, mentre


COUPÉ FIAT la plancia è più moderna ed ergonomica: nuovo orologio analogico e comandi del climatizzatore (a richiesta su 1.8, di serie su 2.0) semiautomatico della Marea. Il volante ha un nuovo logo adesivo blu a rombi, figura geometrica ripresa ora anche nella trama del rinnovato tessuto che riveste le sedute, mentre la selleria in pelle, optional su tutte le versioni, non è più disponibile solo in nero ma anche in essenze cuoio, grigio e sabbia. Fra gli optional le poltrone riscaldabili. Sempre tre i cerchi disponibili, in lamiera con borchie in plastica da 15” per 1.8 (pneumatici 195/55), in lega da 15” (pneumatici 205/50) a quattro razze spesse per 2.0 20v aspirata (a richiesta gli stessi si possono ottenere su 1.8) e da 16” con canale da 7” (pneumatici 205/50) e disegno rinnovato a quatto razze sottili, di serie su 2.0 20v Turbo. Come tinte troviamo quelle già disponibili sulla I serie ma scompare il blu metallizzato che viene sostituto dall’azzurro, sempre metallizzato, mentre solo per la Turbo fa il suo esordio l’apprezzato blu pastello (simpaticamente rinominato dagli appassionati “Puffo”). A livello estetico, la Coupé II serie si riconosce solo dalla nuova griglia anteriore più “corsaiola”, non più a maglie rettangolari ma a lamelle orizzontali e dal terzo stop annegato alla base del lunotto. Nel 1998 la Coupé inizia ad accusare un po’ di vecchiaia, così Fiat decide di richiamare l’attenzione su di essa con una versione speciale superaccessoriata che si rivelerà efficace e regalerà agli appassionati una delle versioni più esclusive e ricercate della Coupé, la “Limited Edition”, presentata a dicembre 1998 sulla base della già completa 2.0 20v Turbo. Per la prima volta la carrozzeria presenta un kit aerodinamico offerto di serie, che differenzia la L.E. da qualsiasi altra Coupé: prodotto dallo specialista tedesco Zender, consiste in un generoso dam anteriore con inserti laterali e presa d’aria tripartita, incorniciata da due fenditure inferiori e in minigonne laterali caratterizzate da una scalfittura “a sciabolata” che prosegue il profilo dell’inserto anteriore e riprende lo stile dei passaruota alla base del “muscolo” sulla fiancata posteriore. Le appendici, come lo spoiler inferiore alla base del paraurti posteriore, sono in tinta vettura, mentre, griglia anteriore, ghiera dei proiettori anteriori, cornici di quelli posteriori, gusci degli specchietti, tappo carburante e cerchi da 16” a razze sottili sono verniciati in color grigio titanio; le cornici delle borchiette col simbolo “Fiat” fra i bulloni dei cerchi, le scritte iden-

La III serie MY ‘99 del nostro servizio è una versione piuttosto rara: è una Turbo normale (mentre la maggior parte della clientela sceglieva le più ricche Turbo Plus), riconoscibile per l’assenza di dam e minigonne ma con cerchi da 16” di nuovo disegno condivisi dalla Turbo Plus. Rarissimi i lavafari. A destra, gli interni in tessuto 373 Grigio/ Nero specifici per la Turbo MY ’99: è lo stesso delle 1.8 e 2.0 ma ha la scritta “Turbo” alla base dei poggiatesta. Da notare i rari airbag laterali, riconoscibili dalla copertura in plastica nera sul fianchetto. Rispetto al passato la leva per ripiegare il sedile è più in alto mentre il poggiatesta si regola schiacciando un apposito tasto, come su Bravo/ Brava e Punto II serie.

tificative sul montante centrale e le pinze freno Brembo in rosso. Rosso, nero e titanio sono anche i colori protagonisti degli esclusivi interni, dove dominano i bellissimi sedili sportivi Recaro. Impugnatura alle “10 e 10”, parte inferiore del pomello leva cambio e del freno a mano, maniglie e poggia-braccia sui pannelli porta, inserto centrale di sedute e schienali dei sedili e perfino le cinture di sicurezza sono rossi, il resto in pelle nera (per chi invece preferisce un allestimento più sobrio, può avere l’intera selleria in pelle nera con le sole cuciture rosse). Il color titanio è invece destinato alla caratteristica fascia in plastica verniciata (dove trova posto la strumentazione, che presenta ora il voltmetro al posto dell’indicatore temperatura olio e il fondoscala del tachimetro a 280 km/h…), indipendentemente dalla livrea esterna che, per la L.E., è disponibile in cinque tinte: due grigi metallizzati (il Vinci e lo Steel) e uno pastello (il Crono), il rosso Corsa (pastello) e il nero Ink (metallizzato). Ma la novità più succulenta, all’interno, è l’avviamento a pulsante (rosso anch’esso): oggi è piuttosto diffuso, ma all’epoca è una vera primizia che riprende i sistemi delle antiche vetture da competizione. Anche sotto il “cofango” abbiamo particolari verniciati di rosso: il coperchio punterie e l’inedita barra duomi Sparco inserita per rinforzare il telaio. Invariata la meccanica così come il motore sovralimentato da 220 CV ma la L.E. ha un comportamento più nervoso grazie al cambio a 6 marce, piuttosto corte e frena meglio, grazie ai dischi anteriori forati.

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COUPÉ FIAT Sarà un successo: Fiat prevedrà inizialmente una produzione limitata a 300 esemplari numerati (come riporta la targhetta progressiva posta, su ogni esemplare, sopra la plafoniera alla base del “cielo” interno) ma sarà costretta a produrne ben 1500; e ancora non è finita…

COUPÉ III SERIE (1999-2000)

La coda “a diedro” è una delle cifre stiliste del Coupé Fiat. La 1.8 monta lo scarico originale, la L.E. e la 2.0 16v impianti artigianali omologati mentre la 2.0 20v Turbo un Regazzon omologato e studiato appositamente per la vettura.

Il canto del cigno di una delle Fiat più belle e apprezzate avviene con la gamma presentata nel marzo del 1999 sulla scia del successo della L.E.: nasce infatti la versione Turbo Plus, che da quest’ultima desume l’allestimento esterno con kit aerodinamico Zender, ma dalla quale si differenzia per l’assenza dei particolari verniciati in colore titanio, che tornano invece a essere in tinta carrozzeria. Alla Turbo Plus si affiancheranno le più “basiche” 1.8 16v, 2.0 20v e 2.0 20v Turbo, che presenteranno comunque diverse novità: brancardi e profili inferiori dei paraurti sono ora verniciati in colore carrozzeria, la mascherina torna a essere a maglie di diverse dimensioni, i cerchi in lega - ora di serie anche sulla 1.8 - disponibili in due misure e altrettanti disegni: a quattro razze arrotondate da 15” per le aspirate, a quatto razze sottili e sdoppiate da 16” (che montano pneumatici 225/45) per Turbo e Turbo Plus. Il motore 2 litri aspirato è ora del tipo 182 B3.000, dotato di condotti di aspirazione a lunghezza variabile V.I.S. (Variable Induction System) che contribuiscono a innalzare la potenza a 154 CV a 6.700 giri/min. Ora tutte le Turbo montano il cambio a 6 marce. Da sinistra, i cerchi da 15” della I serie, dello stesso disegno di quelli da 16” per le Turbo Plus. I cerchi da 16” con razze sottili per Turbo II serie, qui nell’allestimento dedicato alla L.E., bruniti con borchietta a base rossa. Da notare le pastiglie Brembo rosse. I cerchi da 16” a razze sdoppiate specifici per Turbo e Turbo Plus 2.0 20v MY ’99 III serie. Per Turbo abbiamo pinze Brembo grigie (in foto), per Turbo Plus rosse. Da sinistra: 2 litri 4 cilindri “Lampredi” aspirato. 2 litri 4 cilindri “Lampredi” turbocompresso. I coperchi punterie sono molto simili a quelli montanti anche su Thema e Delta caratterizzate dalle medesime motorizzazioni. 1.8 4 cilindri “Pratola Serra”, con variatore di fase.

Da sinistra: 2.0 5 cilindri “Pratola Serra” aspirato. 2.0 5 cilindri “Pratola Serra” turbocompresso per Turbo. 2.0 5 cilindri “Pratola Serra” turbocompresso per L.E. e Turbo Plus, ovvero con coperchio punterie rosso e barra duomi.

La mascherina piatta con maglie rettangolari di diverse dimensioni via via più larghe verso il centro della I serie.

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La mascherina a listelli orizzontali della II serie.

La mascherina nuovamente a maglie più large verso il centro ma ora “tridimensionale” della III serie.


COUPÉ FIAT

SCHEDE TECNICHE FIAT COUPÉ I SERIE 2.0 16V TURBO

FIAT COUPÉ II/III SERIE 2.0 16V TURBO

(fra parentesi i dati della 2.0 16V - in corsivo quelli della 1.8 16V)

(fra parentesi i dati della 2.0 20v - i dati della 1.8 16v rimangono invariati tranne i cerchi)

MOTORE: Tipo 175 A1.000 (836 A3.000 - 183 A1.000), monoblocco in ghisa e testa in lega leggera, anteriore trasversale, 4 cilindri in linea, distribuzione bialbero in testa con quattro valvole a V per cilindro, punteria idraulica, cinghia dentata, cilindrata 1.995 cm³ (1747 cm³), rapporto di compressione 8:1 (10,3:1 - 10:1), alesaggio e corsa 84x90 mm (82x82,70 mm), potenza 190 CV a 5.500 giri/min (139 CV a 6.000 giri/min - 131 CV a 6.300 giri/min), coppia max 29,6 kgm a 3.400 giri/min (18,3 a 4.500 giri/min - 16,7 kgm a 4.300 giri/min), iniezione elettronica Multipoint Marelli IAW (Hitachi MPI), sovralimentazione tramite 1 turbocompressore Garrett T3, intercooler aria/aria, raffreddato a liquido, dispositivo overboost a 2 stadi. TRASMISSIONE trazione anteriore, frizione monodisco a secco, cambio manuale a E CAMBIO: 5 marce + RM, differenziale con giunto viscoso Ferguson Viscodrive (no aspirate). SOSPENSIONI a ruote indipendenti, anteriori del tipo McPherson, con braccio E FRENI: trasversale, montante telescopico, molla elicoidale, barra stabilizzatrice, posteriori con braccio inferiore trasversale, molla elicoidale, elementi longitudinali, barra stabilizzatrice; ammortizzatori idraulici telescopici. Freni a disco sulle quattro ruote, anteriori autoventilanti, (ABS per le 2.0 dal 3/1999: anche su 1.8 16v). RUOTE cerchi in lega da 15” 205/55 ZR 15, cerchi in lega da 16” ribassati E PNEUMATICI: 205/50 ZR 16 per Turbo “Plus” (cerchi in lamiera da 15” 195/55 per 2.0 16v - dal 6/1996 anche per 1.8 16v, cerchi in lega da 15” 205/55 ZR 15 per 2.0 16v “Plus”). DIMENSIONI lunghezza 4.250 mm, larghezza 1.766 mm, altezza 1.340 mm, passo E PESI: 2.540 mm, peso 1.320 kg (1.250 kg - 1.180 kg). PRESTAZIONI: 0-100 km/h in 7,2 (9,2 - 10,3) sec, velocità massima 225 (208 - 205) km/h. consumo 10 (10,5 - 11) km/l.

STESSI DATI DELLA I SERIE TRANNE: MOTORE: Tipo 175 A3.000 (182 A1.000 - dal 3/1999: 182 B3.000), 5 cilindri in linea, punterie idrauliche a fasatura variabile (dal 3/1999: sistema V.I.S. condotti di aspirazione a lunghezza variabile), rapporto di compressione 8,5:1 (10:1 - dal 3/1999: 10,7:1), alesaggio e corsa 82x76,65 mm, potenza 220 CV a 5.750 giri/min (147 a 6.100 giri/min dal 3/1999: 154 a 6.500), coppia max 31,6 kgm a 2.500 giri/min (19 kgm a 4.500 giri/min), iniezione elettronica multipoint Bosch Motronic M2.10.4, sovralimentazione tramite 1 turbocompressore Garrett TB28, intercooler, raffreddato a liquido. TRASMISSIONE per Limited Edition, Turbo e Turbo “Plus” differenziale con giunto E CAMBIO: viscoso Ferguson Viscodrive, dal 3/1999: a 6 marce + RM. FRENI: per Limited Edition, Turbo My ’99 e Turbo “Plus” pinze in alluminio Brembo, dal 3/1999: dischi anteriori ventilati e forati. RUOTE dal 3/1999: per Turbo My ‘99 e Turbo “Plus” cerchi in lega da 16” E PNEUMATICI: 225/45 ZR 16 (cerchi in lega da 15” 205/50 ZR 15 - dal 3/1999: anche per 1.8 16v).

ABBINAMENTI COLORI/ALLESTIMENTI INTERNI (come da cataloghi ufficiali) I SERIE (1993) COLORI: Rosso 168, Bianco 230, Giallo 258, Verde 370 (metallizzato), Blu 421 (metallizzato), Nero 632 (metallizzato). INTERNI: in Tessuto 166 Nero con inserti Giallo/Rosso/Verde (per “base”/Comfort) e Pelle 108 Nero (per Plus). 1995: scompare Bianco 230 e compaiono Grigio 647 (metallizzato) e Rosso scuro 180 (metallizzato).

II SERIE (1996) Qualche modifica stilistica la ritroviamo anche all’interno: tessuti rinnovati, ora sui toni del grigio, per le aspirate (optional i rivestimenti in pelle bordeaux, cuoio e nera). Ancora retaggi della L.E negli allestimenti Turbo e Turbo Plus: i sedili Recaro, i pomelli di leva cambio e freno a mano e il volante di pelle nera con cuciture nere o rosse, insieme alle pinze freno, al coperchio punterie e alla barra duomi di serie per Turbo Plus e disponibili come accessori raggruppati nell’apposito “Sport Pack” su Turbo (altrimenti dotata di selleria in tessuto grigio con scritta “turbo”), mentre per entrambe troviamo ancora il pulsante di avviamento (ora grigio) e la strumentazione a fondo bianco (con zona fuorigiri gialla, come le lancette e i numeri dell’orologio, che ha fondo silver). La gamma colori comprende rosso Corso, giallo Ginestra e blu Sprint pastello; rosso Light, verde Energy, grigio Moon, blu Elettrico e black Ink metalizzati; una tinta iridescente esclusiva per la Turbo Plus, il Bianco Perla. Dobbiamo infine registrare un’altra serie speciale mai commercializzata in Italia, la bella 1.8 16v Millenium Edition in livrea azzurro Astrale con cerchi multirazze BBS da 15”, mascherina color argento e interni in pelle trapuntata color biscotto. La carriera della Coupé si concluderà con l’ottimo risultato di 72.762 esemplari prodotti. Le auto ritratte in questo servizio sono parte del gruppo “Fiat Coupé Torino”, nato sui social per azione di Davide Briglia per riunire i proprietari del modello in area sabauda e diventato un sodalizio “in carne e ossa” del tutto no profit e attivissimo, non solo nell’organizzazione di ritrovi e raduni ma anche in iniziative benefiche. Si ringraziano per la collaborazione, la competenza e la grandissima passione Davide Briglia, Giuseppe Carlomagno, Luca e Alessio Torre, Paolo Avataneo, Federico Tedesco.

COLORI: Rosso 168, Giallo 258, Blu 462 (specifico per 2.0 20v Turbo), Rosso scuro 180 (metallizzato), Verde 388 (metallizzato), Azzurro 466 (metallizzato), Grigio 647 (metallizzato), Black Ink 820 (metallizzato). INTERNI: in Tessuto 168 Grigio/blu/nero. A richiesta per tutte Pelle Cuoio 405 (disponibile in abbinamento ai colori 168, 462, 180, 388, 647, 820), Grigio 406 (disponibile in abbinamento ai colori 168, 180, 388, 820), Nero 408 (disponibile in abbinamento a tutti i colori) e Sabbia 414 (disponibile in abbinamento ai colori 168, 180, 388).

II SERIE LIMITED EDITION (1998) COLORI: Rosso Corsa 168, Grigio Crono 635A, Grigio Steel 647 (metallizzato), Grigio Vinci 606 (metallizzato), Black Ink 820 (Metallizzato). INTERNI: Sedili Recaro in pelle Nero/Rosso (a richiesta Nero con le sole impunture rosse).

III SERIE (1999) COLORI: Rosso Corsa 168, Giallo Ginestra 258, Blu Sprint 462, Bianco Perla 208 (Iridescente, specifico per 2.0 20v Turbo Plus), Rosso Light 108 (metallizzato), Verde Energy 361 (metallizzato), Grigio Moon 671 (metallizzato), Blu Elettrico 810 (metallizzato), Black Ink 820 (metallizzato). INTERNI: in Tessuto 372 Grigio/Nero per 1.8 16v e 2.0 20v, in Tessuto 373 Grigio/Nero con logo “Turbo” per 2.0 20v Turbo, sedili Recaro in Pelle 517 Nero con impunture rosse per 2.0 20v Turbo Plus. A richiesta per tutte Pelle Bordeaux 507 (disponibile in abbinamento ai colori 361, 671, 820), Nero 508 (disponibile in abbinamento ai colori 168, 258, 462, 108, 361, 671, 810), Cuoio 509 (disponibile in abbinamento ai colori 462, 108, 361, 671, 810, 820), sedili Recaro in Pelle 510 Nero con impunture nere (disponibile in abbinamento a tutti i colori tranne Bianco Perla 208).

Le differenti plance di I e II/III serie.

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IL DESIGNER

CHRIS BANGLE INNAMORATO DELL’ITALIA

IL DESIGNER AMERICANO DELLA FIAT COUPÉ E DELLA SVOLTA DELLO STILE BMW HA SCELTO LE LANGHE PER PROSEGUIRE LA SUA ATTIVITÀ TRA AUTOMOTIVE E NUOVE STIMOLANTI ESPERIENZE, ANCHE IN CAMPO ARTISTICO di Roberto Valentini

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IL DESIGNER

N

el 2014 le Langhe, il Monferrato e il Roero, terre piemontesi famose per il vino e per i prodotti alimentari di alto livello, hanno ottenuto lo status di Patrimonio dell’UNESCO. Sono dolci colline sulle quali i vigneti producono vini rossi di grande pregio e spessore, come il Barolo e il Barbaresco. Proprio su una di queste colline, una decina di anni fa, si è trasferito il designer americano Chris Bangle, autore della Fiat Coupé e poi, per 17 anni, responsabile dello stile della BMW. “Avevo programmato di tornare in Italia in occasione dei miei 50 anni ha detto Chris Bangle - ma il ritardo nella ristrutturazione dell’attuale sede e il lancio di nuovi modelli mi hanno trattenuto a Monaco di Baviera ancora per due anni”. L’occasione di incontrare Bangle è stata propiziata dalla necessità di trovare una location adeguata a illustrare uno dei modelli che il designer americano ha realizzato, la Fiat Coupé. E, quando nel piazzale della borgata dove oggi ha sede la Chris Bangle Associates sono stati parcheggiati i 5 esemplari della sportiva Fiat, ha manifestato entusiasmo ed emozione. Così è stato facile parlare di quel progetto. “In quel periodo si rendeva necessario trovare una vettura da produrre negli stabilimenti Pininfarina, poiché la Cadillac Allanté non aveva avuto un successo commerciale e la linea di montaggio rischiava di essere fer-

mata. Un vincolo importante per una vettura sportiva era il fatto di dover partire dal pianale della Fiat Tipo, con tutte le limitazioni che questa scelta comportava, soprattutto nelle dimensioni e, in particolare, nella larghezza”. In quell’occasione è successa una cosa stranissima: il Centro Stile Fiat aveva disegnato la vettura e alla Pininfarina toccava il lavoro di ingegnerizzazione per la produzione in serie. “Ho un ottimo ricordo di questo lavoro - prosegue Bangle - perché da parte loro non c’è stata nessuna gelosia per il fatto che fosse stato scelto il nostro modello, ma la massima collaborazione in tutte le fasi successive”. Quali sono le particolarità stilistiche più evidenti? “Innanzitutto il “cofango”, cioè un unico elemento che unisce il cofano anteriore e i parafanghi, poi i tagli sulle fiancate per spezzare l’unico volume. La parte posteriore è invece il frutto del lavoro nella galleria del vento, che ha portato a costruire un baule a box per migliorare l’aerodinamica” Alcuni elementi sono diventati caratteristici. “Abbiamo scelto di posizionare le maniglie delle portiere sul montante del finestrino, per dare continuità alla fiancata. Anche i fari anteriori sono stati oggetto di una ricerca accurata: a scomparsa sarebbero costati troppo e così abbiamo optato per una carenatura sul cofano”.

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IL DESIGNER

Sopra, uno dei primi prototipi della Fiat Coupé. Sotto, a sinistra, gli interni della Opel Junior sono stati uno dei primi lavori di Chris Bangle.A destra, la rivoluzione dello stile BMW raccontata da Chris Bangle, responsabile del centro stile della Casa Bavarese dal 1992 al 2009.

Un’altra city-car di cui ha tracciato le linee: la Fiat Downtown del 1993.

CHI È

Catherine e Chris Bangle.

Chris Bangle è nato a Ravenna, in Ohio, negli Stati Uniti, il 14 ottobre 1956. Dopo aver frequentato l’Università del Wisconsin ed essersi diplomato all’Art Center College of Design di Pasadena, Bangle ha iniziato la sua carriera alla Opel nel 1981. Quattro anni più tardi è passato alla Fiat, dove ha disegnato l’Alfa Romeo 145 e la Fiat Coupé. Nel 1992 gli è stata assegnata la direzione del design BMW, primo americano a ricoprire il ruolo. Dopo aver spinto il linguaggio del car design al limite per 28 anni, Bangle ha annunciato il suo addio all’industria automobilistica - ma non al design dell’auto in sé - nel 2009. Nello stesso anno ha fondato la Chris Bangle Associates in un’antica borgata sulle colline di Clavesana, nelle Langhe piemontesi. Oggi, come managing director della CBA, guida un team di designer e ingegneri che, insieme ai membri dello staff dei clienti, animano la Borgata, studio e residenza per il design. Gli spazi grandi e aperti e il meraviglioso paesaggio circostante sono linfa continua per l’immaginazione; oltre al lavoro quotidiano, ogni anno Bangle e i suoi colleghi creano insieme grandi installazioni d’arte da aggiungere al complesso della Borgata. La sua esperienza nel design e nell’innovazione, e la conoscenza acquisita in 25 anni da manager, fanno di Chris Bangle un relatore molto richiesto. È sposato con Catherine e hanno un figlio, Derek.

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IL DESIGNER

L’avveniristico progetto REDSPACE.

DICIASSETTE ANNI ALLA BMW

Dopo l’esperienza in Fiat, nel 1992 Bangle è il primo americano a dirigere il Centro Stile BMW. Uno dei suoi primi compiti è quello di riprogettare le grandi berline Serie 5 e Serie 7. Lo fa rompendo gli schemi. “All’epoca c’è stata una grande evoluzione nel campo dei motori che, per inquinare meno e garantire ugualmente grandi prestazioni, sono cresciuti anche nelle loro dimensioni, costringendo i designer a realizzare auto in grado di contenere anche tutte le nuove componenti di sicurezza, dalla barre antintrusione agli airbag. Di conseguenza non si poteva solamente effettuare un restyling del modello precedente, ma bisognava creare una nuova vettura. In più BMW aveva la necessità di diversificare i suoi modelli che, pur avendo dimensioni diverse, ri-

sultavano molto simili tra loro. Ricordo di aver spiegato alla dirigenza con due disegni ciò che intendevo fare: nel primo, avevo disegnato un salame con fette di diverse dimensioni; nel secondo, una libreria con volumi con copertine e formatI diversi”. Pur interrompendo gli schemi tradizionali, le nuove vetture incontrano i favori del mercato e Bangle opera anche il restyling della Serie 3, nella quale non stravolge il design originale. La nuova sfida sono i SUV, che BMW studia sin dalle origini. “SUV era un concetto quasi non nato. Quando abbiamo iniziato a lavorare su X5 non avevamo alcun riferimento dalla concorrenza. L’unico modello esistente era la Jeep Cherokee, ma era troppo lontano dalla sportività che invece avrebbe dovuto esprimere una BMW. Abbiamo quindi studiato nuove forme, aggiornate poi sulla più piccola X3 e sulla X6”.

Chris Bangle ha sempre lavorato volentieri con giovani designer. Qui al Design Modelling Competition del 2002 con la proposta di un prototipo di crossover. Nel 2007 lui e il suo team in BMW hanno ottenuto il prestigioso premio internazionale riservato ai centri stile.

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IL DESIGNER

CARRIERA IN PILLOLE

Un bozzetto di auto sportiva BMW disegnato da Bangle nel 2000.

INNOVATIVO CON LA OPEL JUNIOR Nel 1981 il suo ingresso nel mondo del lavoro coincide con il progetto del concept Opel Junior, presentato nel 1983, al quale collabora come interior designer. Il cruscotto viene suddiviso in moduli componibili e intercambiabili che si innestano nella plancia. I sedili hanno un’anima rigida a vista, ma sono imbottiti con cuscini colorati, in tinta con le borse abbinate, che si inseriscono nei vani delle portiere e sul pavimento. Molto curati anche i pannelli porta e gli altri rivestimenti. Questo lavoro gli frutta il premio Car Design Award del 1984 e, al Salone di Francoforte del 1983, una menzione speciale per l’originalità del design degli interni. Sempre con la Opel lavora agli interni del concept Tech1.

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LA FIAT DOWNTOWN Al Salone di Torino del 1993 viene esposta la Fiat Downtown, citycar elettrica disegnata da Chris Bangle. Si tratta di un prototipo lungo 250 cm e largo 149, con una grande abitabilità e molti elementi che prefiguravano l’auto del futuro: telaio in alluminio ed elementi della carrozzeria in plastica, due propulsori elettrici integrati nelle ruote posteriori di 9,5 CV ciascuno, alimentati da batterie con chimica allo zolfosodio (montate posteriormente), con un’autonomia di 300 km; la velocità massima era di 100 km/h. Dal punto di vista stilistico era la razionalità a renderla molto efficace: poteva infatti ospitare tre persone, pur mantenendo un design piacevole. Oggi la vettura è esposta al Museo dell’Automobile di Torino nella sezione dedicata al futuro.

C’è stato spazio anche per la più sportiva Z4. “Succedeva alla Z3. In questo caso la dirigenza BMW mi ha lasciato carta bianca, senza la necessità di cercare legami con il passato. Così mi sono solamente proiettato verso il futuro, senza vincoli, e abbiamo potuto realizzare una roadster molto grintosa che però proseguiva la tradizione BMW in questo campo”. È nata poi una concept davvero speciale: GINA. “La GINA era una vettura molto speciale. Si tratta di una roadster sperimentale mirata a esplorare gli effetti straordinari che si possono ottenere sostituendo alla rigidità della carrozzeria in metallo, superfici in tessuto, in grado di cambiare forma per meglio rispondere ai requisiti aerodinamici, ma anche alle dinamiche di produzione. Sono fiero di questa vettura che ha fatto il team. Per la prima volta abbiamo superato il concetto”. Mini e Rolls-Royce, due miti sui quali ha avuto modo di operare. “La Mini è un’ottima interpretazione in chiave moderna di una vettura del passato. Per portarla al passo con i tempi era stato necessario ampliarne le dimensioni, mantenendo però un design evocativo. Nel tempo sono state operate piccole operazioni di restyling e, nel 2007, abbiamo realizzato anche la versione Clubman e iniziato il progetto della Countryman, un modello inedito con 5 porte e una buona abitabilità”. Arte e design. In passato è successo che alcune vetture siano state disegnate da artisti, come nel caso di Flaminio Bertoni, che ha poi progettato la carrozzeria delle Citroën Traction Avant, 2CV e DS. Cosa pensa di questo connubio, anche alla luce della sua nuova attività che spazia nelle sue opere presenti nella borgata?

145: UN’ALFA ROMEO DAVVERO SPECIALE Prima ancora di progettare la Fiat Coupé, Chris Bangle aveva già avuto modo di lavorare sul telaio della Fiat Tipo realizzando la linea dell’Alfa Romeo 145, modello che deve sostituire l’Alfa 33 proposta sia in versione berlina, sia in versione station wagon, o meglio “sport-wagon”. Bangle riesce a coniugare berlina e station in un unico modello, realizzando una carrozzeria sportiva abbinata a un ampio portellone dritto. Lo stile Alfa Romeo è esaltato dal posizionamento dello scudo sul cofano, evidenziato dal rigonfiamento a delta del cofano stesso. La linea di cintura è molto marcata e contribuisce ad accrescere l’idea di una linea a cuneo.

GRANDE INNOVAZIONE CON LE BMW SERIE 7 E 5 I primi lavori di Chris Bangle alla BMW sono la Serie 7 E65 e la Serie 5 E60, che segnano una rivoluzione nello stile della Casa bavarese, con un netto balzo in avanti sul fronte delle linee delle dimensioni. I nuovi modelli, anche se più grandi dei precedenti, risultano più moderni ed equilibrati. Molto controversa la soluzione del posteriore della 7, che però consente un’ottima aerodinamica su un’auto relativamente corta. Bangle lavora anche sulla modifica dei “reni” della calandra anteriore, interrompendo una lunga tradizione. Successivamente interviene anche sulla Serie 3, ma senza grandi modifiche, mentre deve inventare da zero, insieme alla sua squadra di giovani designer, la Serie 1 e poi la Serie 6.


IL DESIGNER “Bertoni era uno scultore. I designer sono tutti artisti nel cuore. Qui nella borgata ogni anni creiamo una nuova installazione, nel quadro del progetto più ampio cui mi sto dedicando”. Oggi la Chris Bangle Associates è una società di consulenza che lavora nel campo del design e del design management, specializzata in progetti e idee che muovono il mondo - fisicamente o emozionalmente. Non solo aerei, automobili, imbarcazioni e cose che si spostano ma, secondo il suo fondatore, tutto ciò che può essere disegnato con passione, spirito innovativo e amore. In particolare fornisce expertise e valore aggiunto nella (futura) cultura della creatività, nel management del design, in progetti innovativi che scaturiscono da un modo di progettare innovativo. Raggiungere bellezza, facilità di utilizzo e fattibilità significa che la creazione della forma e la soluzione dei problemi sono un tutt’uno nel lavoro alla CBA, così come lo è lavorare insieme ai clienti associati per delineare la loro cultura creativa. “L’esperienza mi ha insegnato che ci vuole un forte impegno per sfidare i dogmi precostituiti con l’ispirazione e usare la creatività con coraggio visionario per rendere un design, e una cultura del design, grandi”. La CBA è formata di Associati, ovvero tutte le persone coinvolte in un progetto: i clienti, gli addetti marketing, gli ingegneri, i tecnici di produzione e i designer che insieme lavorano per creare un design innovativo, visionario e coraggioso. “Associati è la parola più importante alla CBA - conclude il designer americano - ed è una lista crescente di persone. Sono felice di aver avuto la fortuna di condividere i tanti aspetti del lavoro quotidiano di designer con persone così creative. Il mio team ed io ci divertiamo molto in questa nuova impresa, fatta di molti nuovi amici e sfide professionali entusiasmanti, come è stato entusiasmante oggi ritrovare questi 5 esemplari di un’auto coraggiosa che mi sembra attuale ancora adesso”. Anche nell’approccio con il lavoro, Bangle si dimostra estremamente innovativo, coraggioso e in anticipo con le tendenze, come tutti i suoi progetti confermano.

IL SUCCESSO DEI SUV BMW X5 e X3 A metà degli anni Novanta il management BMW decide di allargare la gamma e ritiene che ci sia spazio per uno Sport Utility, categoria di mezzi che non ha ancora diffusione, fatta eccezione per la Range Rover e la Jeep Cherokee. Occorre dare una connotazione sportiva a questo mezzo e Bangle, con la X5, trova la giusta armonia tra grinta e comodità. Partendo dalla piattaforma della berlina Serie 5 viene creata una carrozzeria di ampie dimensioni. La presentazione nel 1999. Poi la gamma si amplia nel 2003 con la più piccola X3, su base Serie 3, che riscuote un grande successo commerciale.

Il designer illustra il concept-laboratorio GINA, con rivestimento della carrozzeria in tessuto e molte altre componenti innovative. Sotto, Chris Bangle al Concorso di Eleganza di Villa d’Este del 2002 ha presentato tre prototipi BMW: la CS1, la X Coupé e la Z9 gran turismo.

LA ROADSTER Z4 Le sportive sono una costante del design di Bangle che, con la BMW Z4, ha la possibilità di esprimere la sua creatività creando un modello unico. Presentata al Salone di Parigi del 2002 come erede della Z3, la nuova roadster della Casa bavarese si fa notare per la linea molto particolare della fiancata, nella quale si può leggere tra le armoniose scalfature la lettera Z. Il tema roadster è stato successivamente trattato da Bangle con la concept GINA, nella quale si estremizza anche il concetto di costruzione con l’uso del tessuto al posto del metallo per la carrozzeria.

REDSPACE, IL FUTURO IN ORIENTE Al Salone di Los Angeles del 2018 Bangle ha presentato la REDS (Revolutionary Electric Dream Space) per l’azienda cinese CHTC (China High-Tech Group): una citycar elettrica innovativa, con un design che rompe gli schemi rispetto a un’auto tradizionale, grazie a un design spigoloso e trasformabile. Il parabrezza anteriore è inclinato al contrario, creando più spazio per i passeggeri e riducendo i riflessi del sole nell’abitacolo. Il tetto è costituito da un pannello solare a tutta lunghezza e le portiere si aprono creando una tettoia che impedisce ai passeggeri di bagnarsi in caso di pioggia. Si prefigura come l’auto ideale per muoversi nelle caotiche metropoli cinesi.

LE GRANDI PANCHINE PER AIUTARE IL TERRITORIO Un grande amore lega il designer americano alla terra che ha eletto a sua dimora e da questo sono nate iniziative di aiuto come le Grandi Panchine che costellano l’Alta Langa. Fanno parte di BIG BENCH COMMUNITY PROJECT (BBCP) per sostenere le eccellenze artigiane, il turismo e le comunità locali dei paesi in cui si trovano. Un’iniziativa no profit promossa dal designer americano Chris Bangle insieme alla moglie Catherine, cittadini di Clavesana dal 2009, per unire la creatività del team di designer della Chris Bangle Associates alle eccellenze artigiane di quest’area del Piemonte.

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MERCEDES-BENZ W06

L’ERA DELL’ELEFANTE BIANCO LE MERCEDES SERIE W06 SEGNANO UN’EPOCA, SONO VERE AUTO DA COMPETIZIONE E DI LUSSO. CON UN PASSATO DI TRIONFI NELLE CORSE E NEI CONCORSI D’ELEGANZA SONO DESIDERABILISSIME AUTO DA COLLEZIONE. SONO RARE E MOLTO CARE, ACCENDONO I SOGNI DEGLI APPASSIONATI

di Elvio Deganello

La Mercedes-Benz 710 SSK di Roland Asch e Wilfried Porth in corsa il 17 maggio 2017 nell’edizione del 90° anniversario della Mille Miglia.

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MERCEDES-BENZ W06

Le

Mercedes-Benz S, SS, SSK e SSKL della serie W06 sono rare come elefanti bianchi, ma ogni primavera si avvistano in piccoli branchi nella Mille Miglia. Celebrano la vittoria della SSK di Rudolf Caracciola nel 1931, la prima di una macchina straniera nella grande corsa italiana. Ieri come oggi, anche chi assiste alla corsa più bella del mondo per folklore o mondanità, davanti a queste Mercedes-Benz ha il riguardo per i capolavori. Le dimensioni incutono rispetto, l’equilibrio delle forme appaga la vista, la solenne grazia del movimento prende l’immaginazione e il suono in accelerazione allarma l’udito, poi lo incanta. Chi perde l’occasione d’avvistarle nella Mille Miglia, può provare nei più importanti concorsi d’eleganza. Le W06 li frequentano con lo stesso successo delle corse, perché poche auto come queste fondono in modo così intimo e armonico la forza bruta dei modelli da competizione con la raffinata eleganza dei modelli di gran lusso. Ieri come oggi queste magnifiche Mercedes-Benz hanno un solo difetto, il prezzo astronomico, che le rende inavvicinabili per molti di noi, ma ogni tanto è bello sognare. Il loro irresistibile fascino nasce dal leggendario “6 cilindri” con compressore volumetrico abbinato al telaio abbassato al centro, buono per la tenuta di strada e per l’eleganza d’aspetto. L’origine del propulsore si può fare risalire alla Typ 10/40/65 PS del 1921, prima Mercedes sovralimentata di serie. Nel 1923 arriva alla Casa della stella a tre punte Ferdinand Porsche e subito sviluppa due motori con il compressore: l’otto cilindri 218 bialbero “2 litri” da Grand Prix e il sei cilindri “6,3 litri” monoalbero a doppia accensione che debutta nel 1924 sulla Typ 24/100/140 PS, che entusiasmano principi, divi, banchieri e industriali. Ma i clienti sportivi, mai sazi di potenza, ne chiedono di più. La risposta arriva nel 1926 quando la Mercedes, ora unita con la Benz, ribattezza con il nome 630 la Typ 24/100/140 PS, e le affianca la 630 K (24/110/160 PS) con il passo accorciato da 3.750 mm a 3.400 mm e 20 CV in più.

DALLA K ALLA S

Le 630 K gareggiano con tale successo che Wilhelm Kissel, direttore della neonata Mercedes-Benz, vuole una versione ancora più potente. Nasce così la S (26/120/180 PS), dove S sta per Sport. Ha la cilindrata elevata a 6,8 litri adottando “camicie umide”, unica via per aumentare l’alesaggio senza troppo ridurre le pareti dei cilindri del blocco 630 K. Nuovi sono pure i due carburatori invece di uno e l’albero a camme più spinto. La potenza sale a 120 CV standard e 180 CV con il compressore inserito. L’enorme fusione monolitica d’alluminio del blocco cilindri è laccata di verde, bianco o raramente nero per uniformarla con la tinta della testa fusa in ghisa. Il colore naturale del metallo lucidato a specchio o lavorato a rosette, è invece nei coperchi delle valvole e nel gruppo dell’alimentazione. Per migliorare la distribuzione dei pesi, il motore è arretrato di 30 centimetri rispetto alla 630 K, su un telaio che è molto più leggero ed è più basso perché ha i longheroni curvati al centro e le balestre dritte. I freni, punto debole della 630 K, hanno ora il servofreno Dewandre e grandi tamburi di ghisa placcati di rame per dissipare meglio il calore.

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MERCEDES-BENZ W06

La Mercedes-Benz S di Rudolf Caracciola (1), quella di Adolf Rosenberger (2) e la 630 K di Rittmeister von Mosch (3) in prima fila al via della corsa inaugurale del Nürburgring il 19 giugno 1927. Vincerà Caracciola precedendo anche tutte le monoposto da Grand Prix. Otto Merz lanciato verso la vittoria nel G.P. di Germania il 17 luglio 1927 sul circuito del Nürburgring. Le altre Mercedes-Benz S di Christian Werner e Willy Walb completano il successo del modello al 2° e 3° posto davanti alle Bugatti “Grand Prix”.

Il telaio così modificato migliora il comportamento stradale e, grazie anche al radiatore con sette masse radianti sovrapposte invece di otto, consente carrozzerie molto basse e slanciate per l’epoca. Il modello debutta nelle corse il 19 giugno 1927 alla manifestazione inaugurale del circuito del Nürburgring, dove gareggiano tutte insieme auto Sport d’ogni cilindrata e monoposto da Grand Prix. Rudolf Caracciola con una S vince nella categoria Sport e infligge mezz’ora di distacco al secondo, che guida una monoposto da Grand Prix. Un mese dopo le S di Otto Merz, Christian Werner e Willy Walb occupano i primi tre posti nel Gran Premio di Germania davanti a tutte le Grand Prix, la migliore delle quali è la Bugatti 35 di Elizabeth Junek.

NESSUN DORMA

Ritratto del pasticciere napoletano Federico Caflisch al volante della Mercedes-Benz S acquistata nel 1928 e impiegata per conquistare diverse vittorie in Italia. La foto è relativa a quella riportata nella Coppa della Merluzza, nei pressi di Roma, il 3 febbraio 1929.

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Dopo le prime vittorie ne arrivano altre a decine, ma Porsche non dorme sugli allori: maggiora il motore a 7,1 litri, adotta un compressore più grosso, ridisegna i collettori d’aspirazione e l’albero a camme, aumenta il rapporto di compressione, sostituisce le bielle tubolari con altre a doppio T e aggiunge uno smorzatore di vibrazioni sull’albero motore. Il nuovo modello SS (Super Sport) così equipaggiato debutta il 29 giugno e vince tutto ciò che c’é da vincere nel WiesbadenTourier, un torneo automobilistico che comprende corse in circuito, gare in salita e un concorso d’eleganza. Il 15 luglio successivo nel Grand Prix di Germania le SS di Rudolf Caracciola, Otto Merz e Willy Walb sono ai primi tre posti davanti alla Bugatti Type 35 C “Grand Prix” di Gastone Brilli Peri. La qualità della macchina è messa in luce anche dai piloti privati, fra i quali ci piace ricordare il pasticciere napoletano Federico Caflish, che il 24 ottobre è primo assoluto nella Coppa Autunno Napoletano. Nello stesso tempo diviene disponibile per la clientela normale la SS 27/160/200 PS, che è dedicata al Gran Turismo e per migliorare l’abitabilità ha il radiatore più alto (8 file di masse radianti invece di 7). A richiesta sono disponibili le varianti del modello corsa con 170 CV/225 CV. Dal 1928 la Casa affida volentieri gli autotelai ai carrozzieri mentre prima preferiva vestirli in proprio nell’atelier di Sindelfigen. Inizia così la gara fra i maestri dello stile di mezzo mondo. I berlinesi Erdman & Rossi e il viennese Ferdinand Keibl esaltano


MERCEDES-BENZ W06

A sinistra, una Mercedes-Benz Typ S (26/120/180 PS) carrozzata “tourenwagen viersitzer” (torpedo a quattro posti) da Erdmann & Rossi nel 1928 mostra l’orientamento del carrozziere berlinese, teso a raggiungere il massimo livello nel rigore formale delle linee classiche. A destra, è distinta dal numero di commessa 43741 del giugno 1928 questa Mercedes SS, una delle numerose allestite dal parigino Saoutchick con diversi tipi di carrozzeria roadster e cabriolet, ma tutte con parafanghi sottili, slanciati e intarsiati con metallo lucido. Sotto, Castagna di Milano è responsabile di una mezza dozzina di SS differenti fra loro, ma tutte eccezionali nel comunicare il lusso con parafanghi corposi, ricchezza di accessori, preziosità degli elementi ornamentali e raffinata esecuzione come in questa Roadster Cabriolet del 1929.

il rigore formale delle linee classiche; il milanese Castagna mette in primo piano il lusso con parafanghi corposi, ricchezza d’accessori e raffinatezza nell’ornato; il parigino Saoutchik punta sul dinamismo con parafanghi sottili intarsiati con metallo lucido; il viennese Armbruster inventa i parafanghi “a elmetto” e recupera con una fascia di colore la perdita di slancio che comportano; il londinese Corsica dà enfasi alla potenza arretrando le masse per allungare il cofano; Oldřich Uhlík di Praga arrotonda le linee; i franco-americani Hibbard & Darrin al contrario accentuano le spigolosità per aumentare l’aggressività; i londinesi Barker, Freestone & Webb e Thrupp & Maberly adottano uno stile tipicamente “british”, come stranamente fa anche l’ungherese Lajos Zupka di Budapest.

ALTRI CARROZZIERI

Il discorso sui carrozzieri è necessariamente breve per motivi di spazio ma meritano almeno una citazione gli svizzeri Graber e Worblaufen, i belgi Van den Plas e D’Ieteren, i tedeschi Hebmüller, Gläser e Reutter, il francese Labourdette e l’americano Murphy, ma si fa in ogni modo torto a tutti gli altri che si sono cimentati sul prestigioso autotelaio. Molti carrozzieri hanno vestito più di una W06 spesso modificando lo stile su richiesta del cliente o perché influenzati da quello dei concorrenti di maggior successo. Un esempio rappresentativo è quello di Papler di Colonia, che in più di un caso prende da Erdman & Rossi il rigore formale, da Castagna la rappresentazione del lusso e da Saoutchik il compiaciuto impiego degli inserti cromati. Nella maggioranza, i carrozzieri delle W06 eseguono finiture con materiali da favola come legni intarsiati, pelli di serpente, tessuti Art Deco e pomelli d’argento o di avorio. Denominatori comuni in tutti i casi sono lo scultoreo radiatore a cuspide e gli scarichi esterni coperti da spirali di ottone nichelato con sinuosità da serpente così spettacolari che il risultato estetico supera la necessità tecnica di portare il calore fuori dal vano motore.

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MERCEDES-BENZ W06

Sopra, a sinistra, la SS carrozzata dal viennese Armbruster per il pilota Hans Stuck ha imponenti parafanghi a “elmetto” e una fascia di colore per recuperare slancio. Qui sfila nel Concorso d’Eleganza del Wiesbadener Automobil-Turnier, dove nel 1931 vince il Primo Premio. A destra, la SS coupé-royale esposta all’Olympia Motor Show di Londra nel 1929 dalla carrozzeria Corsica ha le masse spostate all’indietro per aumentare la suggestione della potenza con il lungo cofano, come tutte le creazioni del londinese sul medesimo telaio. Qui a fianco, la nera Mercedes SS che Oldřich Uhlík di Praga realizza nel 1931 con forme arrotondate e raccordi morbidi, specie nella coda dove non è vincolato a mantenere l’identità di marca. Soddisfatto del risultato, battezza la creazione “Schwarzer Prinz” (Principe nero). Sotto: 8 Maggio 1928, la SSK carrozzata a Parigi dagli americani Hibbard & Darrin posa per i fotografi nel Concorso d’Eleganza del Parco dei Principi. Il carrozziere privilegia la rappresentazione dell’aggressività con raccordi netti e parafanghi acuminati.

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MERCEDES-BENZ W06

Dall’alto, in senso orario, i londinesi Freestone & Webb vestono con stile tipicamente britannico tutte le loro creazioni su base W06, a prescindere che siano sportive o formali come questa SS Drop Head Coupé del 1930. In ogni caso l’identità di Marca resta sempre riconoscibile. Una SS carrozzata cabriolet A da Thrupp & Maberly nel 1930 offre un altro esempio di stile britannico. Notevoli per il modello e per l’epoca sono l’inclinazione del parabrezza e i deflettori che vi si raccordano in modo molto moderno. Una SSK carrozzata Cabriolet A da Papler nel 1930 prendendo spunto dai migliori lavori dei suoi colleghi. Vediamo quindi il rigore formale di Erdmann & Rossi, l’espressione del lusso di Castagna e il compiaciuto impiego del metallo lucido di Saoutchik. Una roadster “all’inglese” realizzata nel 1935 dall’ungherese Lajos Zupka su un autotelaio S quando il modello è fuori produzione da tempo. Si tratta di un lavoro eseguito su commissione di un cliente desideroso di ringiovanire la propria vettura.

All’inizio le SS gareggiano senza modifiche anche nelle popolarissime corse in salita, poi sono affiancate dalle varianti con il passo accorciato da 3.400 mm a 2.950 mm per guadagnare agilità nelle stradine montane. Questa modifica rende le SS non solo più maneggevoli, ma anche più scattanti grazie alla riduzione del peso implicita nell’accorciamento, così la variante diventa un vero e proprio modello, che è battezzato SSK, dove K sta per “kurz”, corto. Nelle nuove proporzioni le carrozzerie perdono un po’ di eleganza, ma guadagnano in aggressività perché il cofano sembra ancora più lungo, in più il radiatore torna a essere quello basso delle S. Le SSK da corsa con 270-280 CV rappresentano la massima espressione dell’abilità motoristica di Ferdinand Porsche, che alla fine del 1928 lascia la Mercedes.

BEFFA

Nel 1929 il nuovo direttore tecnico Hans Niebel sviluppa i programmi di Porsche con importanti risultati sportivi, come la vittoria nel Tourist Trophy, dove la SSK di Rudolf Caracciola beffa in casa lo squadrone Bentley. Le SSK brillano anche nel 1930, ma la concorrenza è sempre più agguerrita. Perciò Niebel alleggerisce meticolosamente ogni dettaglio e potenzia il motore fino a ottenere 300 CV. Il risultato è la SSKL, dove L sta per “Licht”, leggero, riconoscibile dall’esterno per i grandi fori di alleggerimento sul telaio.

La SSKL del 1931 porta il modello W06 al massimo sviluppo motoristico, con la potenza di 300 CV, e telaistico con l’energica cura dimagrante che riduce il peso di ben 200 chili mediante espedienti anche spettacolari come i fori di alleggerimento sui longheroni. La lettera L nel modello SSKL significa Licht = leggero, infatti, per ridurre il peso anche la carrozzeria è semplificata al massimo e impiega lamiere leggere e di minimo spessore, sulla coda brevissima coprono a malapena il serbatoio e le ruote di scorta.

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MERCEDES-BENZ W06 Con una roadster di questo tipo, Rudolf Caracciola vince la Mille Miglia del 1931 e la clamorosa affermazione spinge il Servizio Corse a trasformare alcune SSK in altrettante SSKL, che continuano a calcare le scene sportive ottenendo vittorie assolute fino al 1934. Fra tutte si distingue per originalità la SSKL aerodinamica, che il pilota Manfred von Brauchitsch fa realizzare nel 1932 dalla Cannetter & Vetter su disegno del barone Reinhard von Koenig-Fachsenfeld. Nonostante l’impostazione ormai datata, il bolide reso velocissimo dalla profilatura, è all’altezza delle più recenti Alfa Romeo e Bugatti nel veloce circuito dell’Avus, ma si trova a mal partito sul misto del Rudolf Caracciola, accanto alla moglie sulla pedana della sua personale SS Cabriolet A Sindelfingen, è al centro di una rilassata riunione conviviale il 26 luglio 1931 prima della battaglia nella corsa in salita Schauinsland-Freiburg. Sullo sfondo si vede Hans Stuck.

Nürburgring dove l’aerodinamica non può essere d’aiuto. Nel 1933 la SSKL aerodinamica torna in gara con Otto Merz sul circuito dell’Avus in una giornata in cui le condizioni del tempo sono incerte e perciò il pilota fa montare in diagonale due pneumatici da acqua e due da asciutto. Credeva fosse una buona idea ma il pilota paga l’esperimento con la vita. Il 1933 è l’ultimo anno di produzione delle W06, che con carrozzerie sempre aggiornate sono ancora il sogno di ogni automobilista sportivo, ma ormai è alla fine l’era degli elefanti bianchi: inizia il dominio delle auto più piccole e leggere, come le formidabili Alfa Romeo 8c 2300.

22 maggio 1932. Manfred von Brauchitsch con la SSKL aerodinamica si avvia alla partenza della corsa sul veloce circuito dell’Avus. Vincerà precedendo la Bugatti 51 di Joachim von Morgen, l’Alfa Romeo 8c Monza di Caracciola e la Maserati 26 di Ernst Kotte.

L’affusolata coda della SSKL aerodinamica disegnata da Reinhard von KoenigFachsenfeld ed eseguita con leghe leggere da Cannetter & Vetter. La vettura supera agevolmente i 200 km/h ed è adatta ai circuiti veloci, ma è soccombente negli altri.

La Mercedes-Benz SSK del Museo Mercedes-Benz spesso impiegata per le Mille Miglia storiche. Il marchio di Stoccarda gode ancora della leggenda irradiata da queste eccezionali automobili, importanti nella storia delle corse come in quella della tecnica automobilistica.

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MERCEDES-BENZ W06

SCHEDE TECNICHE MERCEDES-BENZ S (26/120/180 PS)

MERCEDES-BENZ SSK (27/170/250 PS)

MOTORE: anteriore, 6 cilindri in linea, raffreddato ad acqua. Alesaggio x corsa in mm 98 x 150 Cilindrata 6.789 cm3. Rapporto di compressione 4,7:1 Distribuzione valvole in testa, un albero a camme in testa comandato da albero verticale e coppie coniche Alimentazione due carburatori M-B e compressore volumetrico Roots Lubrificazione forzata, capacità carter 8 litri Potenza 120 CV a 3.000 giri/minuto (180 CV con compressore inserito) Coppia massima 44 mgk a 1850 giri/ minuto. TRASMISSIONE: ad albero, trazione posteriore Frizione dischi multipli a secco Cambio 4 velocità + Rm, comando a cloche Pneumatici 30 x 5.00.

Come SS (27/170/250 PS) tranne: DIMENSIONI E PESO: Passo 2.950 mm Peso a vuoto 1.570 kg. (veicolo completo)

MERCEDES-BENZ SSKL (27/240/300PS) Come SSK (27/170/250 PS) tranne: MOTORE: Rapporto di compressione 7:1, Potenza 240 CV a 3.400 giri/ minuto (300 CV con compressore) Coppia massima 70,2 mgk a 2.000 giri/minuto DIMENSIONI E PESO: Peso 1.500 kg (veicolo completo) PRESTAZIONI: Velocità 208 km/h (225 km/h con carrozzeria aerodinamica)

CORPO VETTURA: autotelaio a longheroni di lamiera stampata SOSPENSIONI E FRENI: Sospensioni assi rigidi e molle a balestra Freni a tamburo comando a cavi con servofreno Devandre.

Il motore Mercedes Typ M 06 nella SS con i cofani trasparenti esposta al Salone di Berlino.

DIMENSIONI E PESO: Passo 3.400 mm Carreggiate anteriore e posteriore 1.420 mm Peso 1.550 kg (autotelaio nudo). PRESTAZIONI: Velocità 178 km/h

MERCEDES-BENZ SS (27/160/200 PS) Come S (26/120/180 PS) tranne: MOTORE: Alesaggio x corsa in mm 100 x 150. Cilindrata 7.065 cm3 Rapporto di compressione 5,2:1 Potenza 160 CV a 3.200 giri/minuto (200 CV con compressore) Coppia massima 45,9 mgk a 1.900 giri/minuto PRESTAZIONI: Velocità 185 km/h

MERCEDES-BENZ SS (27/170/250 PS) Come SS (26/160/200 PS) tranne: MOTORE: Rapporto di compressione 6:1 Potenza 170 CV a 3.300 giri/minuto, 250 CV (con compressore) Coppia massima 57,3 mgk a 1.900 giri/minuto PRESTAZIONI: Velocità 190 km/h

MERCEDES-BENZ S, SS, SSK, SSKL PRODUZIONE MODELLO

1926 1927 1928 1929 1930

1931 1932

1933 1934

1935 TOTALE

(1)

S (26/120/180 PS) (2) SS (26/170/225 PS) (3) SS (27/140/200 PS) SS (27/160/200 PS) SS (27/170/225 PS) SS (27/180/250 PS) SSK (27/170/225 PS) SSK (27/180/250 PS) (4) SSKL (27/240/300 PS)

20 - - - - - - - -

8 - 3 - - - - - -

- 18 1 12 4 - 3 1 -

- 115 - 14 60 3 18 6 2

- 5 - 5 32 1 4 2 1

- - - - 4 - 4 - 2

- - - - 4 - 2 - 5

- - - - 2 - - 1 1

- - - - 8 - 1 - 1

- - - - 1 - - - -

28 138 4 31 115 4 32 10 12

Totale per anno

20

11

39

218

50

10

11

4

10

1

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NOTE (1) Compresi 2 prototipi S con potenza di 26/140/200 CV (2) Compresi 8 esemplari con potenza massima di 250 CV (3) Prototipi (4) Compresi gli esemplari ottenuti modificando altre versioni

LEGENDA La sola lettera “S” nelle sigle distintive significa Sport Le lettere “SS” nelle sigle distintive significano Super Sport (motore di 7 litri anziché di 6,8 litri) Le lettere “SSK” significano Super Sport Kurz (kurz = corto, telaio corto) Le lettere “SSKL” significano Super Sport Kurz Licht (Licht = leggero, vettura alleggerita) Il primo gruppo di numeri nelle sigle distintive indica la potenza fiscale in Germania, il secondo la potenza massima senza sovralimentazione, il terzo la potenza massima con il compressore inserito. I dati della produzione possono variare secondo il metodo del conteggio, che può comprendere o non comprendere gli esemplari trasformati da una tipologia a un’altra.

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BMW CLASSE 02

BERLINA MEDIA CERCA INTRAPRENDENTE PADRE DI FAMIGLIA, PER DIVERTIMENTO E PIACERE DI GUIDA SEGRETI CON LA “CLASSE 02”, LA BMW SI (RI)LANCIA DEFINITIVAMENTE FRA I PRODUTTORI PIÙ APPREZZATI, OFFRENDO UNA VETTURA COMPATTA E SOBRIA MA ALLO STESSO TEMPO CON GIÀ NETTI I TRATTI STILISTICI DEL MARCHIO, ELEGANTE MA DALL’INCISIVO PIGLIO SPORTIVO, CURATA E DAI MOTORI BRILLANTI E POTENTI

di Luca Marconetti - foto BMW

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sono passate di primavere da quando BMW, dopo la Seconda guerra mondiale, cercava un modo per tornare a riconquistare anche solo un briciolo di quella supremazia per cielo e per terra che ebbe negli anni ’20 e ’30. E a guardare oggi la sua storia, ricca di successi commerciali, di rinomate berline sportive, di affascinanti Granturismo, di modelli futuristici e infine di impegno nel campo della ricerca e della sperimentazione di propulsioni alternative come idrogeno, ibrido ed elettrico, sembra impossibile che all’epoca versasse in certe acque… ma la guerra è brutta per tutti, soprattutto per chi la perde e negli anni ’50 la ripresa in Germania è durissima, ancora di più per un marchio che, a differenza di altri, non ha “goduto” dei privilegi dell’autarchia ma, nei suoi stabilimenti, ha visto scoppiare bombe e compiere devastazioni. Si riparte a tentoni, in bilico fra modelli economici che si cerca di spingere a una larga diffusione, come la lillipuziana Isetta prodotta su licenza dell’italiana Iso, e vetture sontuose come le 501 e 502, gli “angeli barocchi” come vennero soprannominate, realizzate in pochissimi esemplari. La luce in fondo al tunnel inizia a prendere invece forma con il mu-

setto simpatico e moderno della 700 del 1959, una vettura compatta ed economica ma un’“automobile vera”, non uno scooter col tetto, declinata dalla matita di Giovanni Michelotti in versioni berlina, coupé e cabriolet. Questo modello permette alla dirigenza BMW dell’epoca di intraprendere, finalmente, una strategia ben precisa che ha un primario obiettivo, lanciare un modello e successivamente una gamma destinati alla “classe media”, la più ampia e da sempre la più ambita dal mercato automobilistico. D’altronde le cose stanno migliorando in patria e all’estero la qualità e la cura costruttiva dei veicoli tedeschi iniziano ad avere un timido apprezzamento. Questo importante passo avanti si compie al Salone di Francoforte del 1961, quando vede la luce la 1500, versione d’esordio della “Neue Klasse”, letteralmente “nuova classe”, una berlina tradizionale, disegnata sempre in collaborazione con Michelotti, ma dal piglio sportivo e dalla qualità ineccepibile: piace talmente, che le prime consegne, la Casa di Monaco, riuscirà a evaderle solo l’anno dopo. Ed è pure superfluo raccontarvi come questo successo sarà consolidato dalle versioni più potenti e raffinate, come 1600, 1800 e 2000, delle quali parleremo un’altra volta.

Le tre diverse varianti di carrozzeria disponibili per la “Serie 02”: da sinistra, la 1802 Touring, la 2002 berlina (entrambe post restyling 1971) e la 1600-2 Cabrio “1° tipo” senza montanti di Baur (costruita dal 1967 al 1971). Nel listino italiano del 1968, al lancio della 2000, i prezzi vanno da 1.400.000 lire per la 1600-2, ai 2.500.000 della Cabrio, passando da 1.770.000 lire sia per la 1600 ti sia per la 2000. Intanto un’Alfa Romeo Giulia 1300 TI costa 1.375.000 lire, una Giulia Super 1.6 1.665.000 lire, una Spider “Duetto” 1.6 2.145.000 lire, una 1750 berlina 1.850.000 lire, una Fiat 125 1.300.000 lire, una Lancia Flavia 1.8 berlina 2.170.000 lire, una Opel Olympia 1.9 2 p. 1.260.000 lire e una Mercedes 200 2.250.000 lire.

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1600/1600 TI/1602 (1966-1973)

9 marzo 1966: la BMW 1600-2 viene presentata alla Bayerische Staatsoper di Monaco. L’occasione sono i 50 anni del Marchio, celebrati con l’esposizione anche di alcuni modelli storici di moto e auto. Sotto, gli interni semplici ma curati e ben costruiti: sul pannello-porta troviamo, oltre alla manopola per gli alzacristalli e al comando per l’apertura delle porte, la rotella per aprire il deflettore. Il volante a due razze, sulla 1600 ti sarà sostituito da un più consono tre razze. In basso, la 1600 ti con motore a due carburatori doppio corpo. È riconoscibile dalle prese d’aria nere con soli due profili cromati e la scritta identificativa, che sarà replicata anche in coda.

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Superfluo ma utile per introdurre la protagonista del nostro servizio, una berlina compatta a due porte che strizza l’occhio a sportività e prestazioni ma che non è solo una variante accorciata della “Neue Klasse” ma un modello totalmente nuovo dal quale nascerà una vera e propria seconda gamma, fondamentale per la Casa perché sarà quella della svolta, che consoliderà ciò che di buono si è iniziato a fare a fine anni ’50 e getterà le basi sulle quali nascerà il mito BMW, non un mito effimero ma fatto di qualità costruttiva, identità stilistica e attenzione alle prestazioni e al piacere di guida, anche con qualche incisiva peculiarità tutta bavarese che vedremo più avanti. Il primo frutto di questo progetto (sigla interna 114) è la 1600 (ma da tutti nota come 1600-2 dove il “2” sta per due porte: è in realtà solo una sigla interna, dato che questa sarà inutile per differenziarla dalla 1600 a quattro porte della “Neue Klasse”, già uscita di listino) che sarà svelata agli addetti ai lavori alla Bayerische Staatsoper di Monaco il 9 marzo del 1966 - primo degli appuntamenti per celebrare i 50 anni del marchio BMW - e al pubblico al Salone di Ginevra poche settimane dopo. La carrozzeria, la cui linea è sempre curata in collaborazione con Michelotti e che ricalca quella della “Neue Klasse”, è in realtà più corta di ben 27 cm, con passo accorciato di 5 cm e tetto più basso di 4 cm. Per il resto troviamo tutti gli elementi che hanno caratterizzato il successo della “Neue”: frontale incassato a sviluppo fortemente orizzontale con fari tondi, due ampie prese d’aria separate dal caratteristico doppio rene, linea di cintura bassa con padiglione alto, regolare e luminoso, profonda scalfittura sulla fiancata, coda rastremata e pulita, qui però caratterizzata dai due proiettori tondi quadripartiti da una ghiera cromata, gomito di Hofmeister (dal nome del designer che lo disegnò per la 1500, sempre insieme a Michelotti) per la seconda luce laterale. Completano l’opera il raffinato artificio dell’indicatore di direzione che segue la curva della linea di cintura assolvendo sia il compito del lampeggio frontale che di quello laterale, dettagli cromati su paraurti, mascherina, cornici cristalli e fiancata e i cerchi, con stesso disegno di quelli della “Neue” ma da 13” invece che 14”. Sotto al cofano della 1600 batte invece, come indica la denominazione, l’M116 1.573 cm³ inclinato verso destra di 30° con basamento in ghisa e testa in lega leggera, monoalbero a camme in testa, alimentato da un carburatore monocorpo Solex PDSI 38 invertito, in grado di erogare 85 CV a 5.700 giri/min: motore leggero (pesa solo 940 kg) e prestante, le permette di raggiungere i 160 km/h e accelerare da 0-100 km/h in 13 secondi; in poche nella sua categoria, all’epoca, fanno tanto, forse solo le Alfa Romeo, delle quali le “Serie 02” saranno validissime alternative. A livello strutturale siamo di fronte a un avantreno del tipo McPherson a ruote indipendenti, con bracci triangolari inferiori, ammortizzatori idraulici coassiali a molle elicoidali, a un retrotreno a ruote indipendenti con bracci e semiassi oscillanti - tutto ancorato a un telaietto ausiliario - a un sistema frenante misto (anteriori a disco, posteriori a tamburo) e a un cambio a 4 marce. La trazione è ovviamente posteriore. Gli interni sono essenziali ma curati, buona l’imbottitura dei sedili, comodo il divano posteriore al quale però manca il bracciolo centrale. L’andamento della plancia è più lineare e sobrio rispetto alla “Neue”, la strumentazione, priva di contagiri, raccolta in tre quadranti tondi ben leggibili, inserita in una plancetta contornata dai pulsanti dei comandi principali (illuminazione e ventilazione). L’auto è immediatamente un successo, anche fuori nazione, tanto che, in due anni, contribuirà a un aumento del fatturato BMW del 25%, mentre tutti i concorrenti sono in calo. Questo spinge BMW, come già ha fatto con la “Neue Klasse” e come diventerà di rigore per la produzione futura, a diversificare la gamma, con un nuovo modello volto a esaltate la brillantezza della 1600-2 che arriva già


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La 1602 dopo il restyling più importante che interesserà la gamma intera nel 1973: la mascherina è tutta in plastica nera e non si interrompe più ai lati del doppio rene centrale, inglobandolo. A destra, la 2002 del 1968 è identica alla 1600 ti ma si riconosce per la mancanza della scritta sulla mascherina anteriore. Si possono notare i cerchi a 10 feritoie già utilizzati sulla 1600 ti. Sotto, a sinistra, lo specchio di coda con fari tondi quadripartiti della 2002 è comune a 1600-2 e 1600 ti: lo specifico modello si riconosce solo per la scritta identificativa. A destra, la scritta del modello riappare invece sulla mascherina della 2002 ti di fine 1968: è la variante della 2002 con motore a doppio carburatore.

nel 1967: è la 1600 ti (cioè Turismo Internazionale ma identificato con le lettere minuscole), dotata dello stesso motore di base, ma qui vitaminizzato da due carburatori orizzontali doppio corpo Solex 40 PHH e da un rapporto di compressione di 9,5:1 (invece che 8,6:1), che innalzano la potenza a ben 105 CV a 6.000 giri/min. L’impianto elettrico ora è a 12 volt mentre le sospensioni posteriori sono irrobustite. Così equipaggiata la 1600 ti supera i 175 km/h. Pochi i dettagli che la distinguono dalla 1600-2: nuova mascherina con listelli neri intervallati da due molure cromate, cerchi di nuovo disegno a 10 feritoie per raffreddare meglio i freni, scritte identificative su muso e coda, inserto cromato alla base delle portiere, strumentazione interna con contagiri e mascherina nero opaco, volante a calice a tre razze con corona in legno. La stampa specializzata, che prova con interesse le 1600-2 e la 1600 ti, rimane piacevolmente sorpresa dalla potenza e dalla brillantezza delle vetture, giudicando perfino esuberante la ti. L’auto ha buone progressione e accelerazione, ma quello che stupisce è la ripresa. Giudicato discreto, per l’epoca, il comportamento su strada, ma in

realtà sapremo che la soluzione a bracci oscillanti posteriori renderà l’auto impegnativa, con repentini passaggi da sottosterzo a sovrasterzo, specialmente sul bagnato (anche se per la ti va meglio con il differenziale autobloccante al 25% optional), tanto che lei, come le sue eredi, almeno fino alle Serie 3 E30, saranno definite dai detrattori “le ballerine” (questa è la “peculiarità bavarese” alla quale accennavamo prima). Non che le concorrenti fossero inchiodate alla strada, per carità, ma la guida della “Serie 02”, complice anche il passo piuttosto corto di 2.500 mm, risulterà davvero ostica per i meno avvezzi (e quindi, d’altro lato, sicuramente tecnica e divertente per chi sa cosa ha tra le mani). L’evoluzione di quella che si configurerà poi come la versione d’attacco della gamma “02” berlina, si evolverà nel 1971 (sempre con progetto interno 114) nella 1602 (con il “2” ora ufficialmente nella denominazione per omologarla alle sorelle più potenti), distinguibile per paraurti con inserti in gomma e posteriore più avvolgente, oltre che per l’aggiunta di una nuova barra antiurto nella parte bassa della fiancata, sempre in gomma con profilo superiore cromato.

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Al top della gamma si pone, nel 1971, la 2002 tii con motore a iniezione da 130 CV. È l’ora di un leggerissimo restyling di dettaglio che interesserà tutta la gamma e porta inserti gommati su paraurti e parte bassa della fiancata e paraurti posteriore più avvolgente. Nell’immagine un esemplare dotato di cerchi in lega HR sempre da 13” a 5 feritoie (si possono notare bene nell’immagine di apertura del servizio), molto apprezzati dalla clientela su questo modello. A destra, gli interni della 2002 tii, dove troviamo il volante a tre razze che ha già esordito sulla 1600 ti con corona in legno, mentre qui è in pelle come sulle 2002 e 2002 ti. Rispetto ai modelli base, il contagiri ha spodestato l’orologio analogico che ora trova posto sulla sommità della plancia. Sotto, a sinistra, anche per la gamma 2002 nel 1973 è ora del secondo e più importante restyling: mascherina nera e cerchi senza disco cromato ma con borchia e dadi a vista. Novità anche negli interni con volante a quattro razze, con elemento centrale che caratterizzerà tutte le BMW successive fino all’avvento dell’airbag e strumentazione con cornice in finto legno.

Il motore è ancora il 1,6 litri da 85 CV, mentre assistiamo all’uscita di scena della ti. Nel 1973 arriva il più importante restyling per la “Serie 02”: la mascherina anteriore ora è in plastica nera ed è integrale a inglobare il doppio rene centrale; al posteriore scompaiono i fari tondi e appaiono dei nuovi proiettori rettangolari, “collegati” da un profilo cromato; gli interni sono rivisti con moquette e sellerie inedite, volante a quattro razze con ampio inserto centrale (sarà comune a tutte le BMW successive fino all’avvento dell’airbag), strumentazione con grafica rinnovata e mascherina in finto legno; cerchi di nuovo disegno con bulloni a vista e borchia centrale o in lega a 5 feritoie offerti come accessorio.

2002/2002 TI/2002 TII (1968-1975)

Il successo del modello genera nei tecnici BMW un certo fervore: sia il capo progettista Alex Von Falkenhausen, sia il direttore della pianificazione Helmut Werner Bosh, all’insaputa l’uno dell’altro, sperimentano sotto il cofano delle loro 1600-2 il motore da 2 litri della “Neue Klasse” 2000. I due, scoperto l’arcano, decidono di “coalizzarsi” per proporre la soluzione al consiglio di amministrazione dove, nel frattempo, si è resa necessaria la ricerca di una soluzione al mancato superamento del test delle emissioni in USA da parte della 1600 ti. Intanto il mercato interno ma anche quello europeo chiede sempre più a gran voce vetture compatte ma sportive, dalla cubatura generosa. Da questi presupposti nasce la 2002 (con il “2” già nella denominazione

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ufficiale per differenziarla dalla 2000 a 4 porte), svelata al Salone di Bruxelles del 1968. Nata da un progetto “parallelo” al 114, denominato E10, presenta la carrozzeria della 1600 ti con tutte le novità del caso già esposte prima (tranne la scritta sulla mascherina assente e la mancanza del contagiri). Sotto il cofano, come prevedibile, appare il 1.990 cm³ M05 della “Neue”, sempre monoalbero in testa, alimentato da un carburatore monocorpo Solex 40 PDSI in grado di erogare 100 CV a 5.500 giri. Con l’esordio del motore 2 litri, la gamma “02” del 1968 ha due diverse anime: quella sportiva e grintosa della 1600 ti e quella elastica, progressiva e dalla potenza felpata della 2002, auto finalmente adatta anche agli USA. E, come fatto per la 1600-2, anche per la 2002 arriva la versione vitaminizzata, già a marzo: è la 2002 ti, dotata di due carburatori doppio corpo Solex 40 PHH orizzontali e in grado di erogare 120 CV a 5.500 giri/min, utili a farle superare i 190 km/h e raggiungere i 100 km/h in meno di 10 secondi. Per ovviare agli ormai noti problemi di instabilità, si scelgono cerchi con canale da 5”, differenziale autobloccante ZF (fornito a richiesta), tamburi maggiorati e una sospensione rivista e irrobustita. Tutti accorgimenti che mitigano poco il comportamento esuberante e brutale della 2002 ti, che, con un rapporto peso/potenza di 8,4 kg/CV è una delle berline più potenti su un mercato che ha una media di potenza di 50/60 CV. Le 2002 e 2002 ti intanto sono diventate vetture molto ben fatte e ben equipaggiate: di serie c’è il contagiri per la 2002 ti, il volante a calice con corona rivestita in pelle e il tunnel centrale integrato alla


BMW CLASSE 02 plancia, mentre, fra gli accessori troviamo il cambio a 5 marce (oltre all’automatico ZF a 3 rapporti per la 2002 Automatic dal 1969), gli appoggiatesta anteriori, il tetto apribile, l’autoradio Becker, le belle ruote in lega a cinque feritoie e una gamma colori molto ampia (che, nella carriera della “Serie 02”, raggiungerà le 105 tinte disponibili). L’apice della potenza delle 2002 aspirate, i tecnici bavaresi lo toccano con la 2002 tii del 1971 (l’anno di punta della produzione “02”, che vede anche il primo restyling, il lancio della 1802 e quello delle versioni Touring e Cabrio II tipo), dove la seconda “i” sta per iniezione: il 2 litri qui, infatti, è dotato dell’iniezione meccanica Kugelfisher che permette al nuovo M15 (stesse cilindrata e struttura dell’M05), che equipaggerà anche la prima generazione di Serie 5, di sviluppare 130 CV a 5.800 giri/min e un’erogazione completamente diversa da quella generata dai motori a carburatore: la coppia aumenta sensibilmente (176 Nm a 4.500/giri a fronte di quella da 152 Nm a 3.000 giri/min della 2002 e 167 Nm a 3.500 giri/min della 2002 ti) ma il consumo diminuisce. La 2002 tii si riconoscerà dalla 2002 ti per i fari di profon-

dità di serie e per le carreggiate allargate. La maggior parte delle tii sarà venduta negli USA. La gamma “02” con motori da 2 litri M05 e M15 seguirà le modifiche estetiche già esplicate nel capitolo dedicato alle 1,6 litri, ossia i due restyling del 1971 e del 1973 (progetto E10/73). Uscirà di listino nel 1975, come la 1602.

1802 (1971-1975)

Per coprire il gap di potenze fra la 1602 e la 2002, nel 1971, in occasione del primo restyling appare la 1802 (facente parte sempre del progetto E10), come indica la denominazione, dotata del motore M10B18 di 1.766 cm³, ultima evoluzione del gruppo M10, alimentato da un carburatore monocorpo Solex 36-40, in grado di erogare 90 CV a 5.250 giri/min, aumentando le doti di elasticità e ripresa del 1,6 litri base da 85 CV. Il suo allestimento seguirà in tutto e per tutto la 1602 presentata nello stesso anno e lascerà il listino anch’esso nel 1975.

A sinistra, La 1802 del 1971 vista di tre quarti anteriore è indistinguibile dalla 1602 coeva. Nell’immagine si vedono bene i cerchi del primo tipo del 1966 con le quattro feritoie sottili. A destra, la 1502 del 1975 è il canto del cigno della “Serie 02”: l’estetica è quella del restyling del 1973, con la coda a fari rettangolari uniti da un profilo cromato.

LA GT FIRMATA FRUA, MAI NATA (1969) Come accennato in precedenza, nel 1966 la BMW acquisisce una storica azienda produttrice di moto e auto sua conterranea, la Glas. In quel momento, il marchio è impegnato nella produzione di sportivette coupé e cabriolet dalla linea molto compatta e rastremata, disegnata dallo stilista italiano Pietro Frua e dotate di motori di 1,3 e 1,7 litri. Dopo l’acquisizione, BMW userà quella base per presentare la sfortunata 1600 GT, dotata del noto 1,6 litri M116 principe del nostro servizio, nella declinazione a doppio carburatore per 105 CV della 1600 ti, con estetica molto simile alle precedenti 1300/1700, venduta sia con marchio Glas che BMW, in quest’ultimo caso con frontale rivisto e impreziosito dal doppio rene. L’auto però non avrà il successo sperato e nel 1968 scompare dalla gamma. Ma i tecnici BMW non si arrendono e chiedono ancora a Frua di realizzare una coupé molto sportiva sulla base questa volta di una meccanica 2002 ti: ne nasce la 2002 GT4, presentata al Salone di Parigi del 1969. La linea moderna e ben più aggressiva della 1600 GT qui è giocata su un volume della fiancata ondulato e molto dinamico, corredato a un frontale basso e profilato, con i 4 proiettori della lussuosa 2800 CS e una codina rastremata e raccolta, da vera sportiva, ammiccante alle GT italiane coeve. Anche gli interni sono dedicati, con strumentazione desunta dalla berlina 2500. La dirigenza sarà molto critica nei confronti di questa vettura e chiederà di apportare delle modifiche che verranno presentata al Salone di Parigi del 1970. Ma non basta: non se ne farà nulla e si sceglierà invece di proseguire il progetto “Touring” del quale parleremo tra poco.

La 1600 GT con motore della 1600 ti realizzata su disegni delle Glas 1300/1700 e prodotta con marchio BMW e Glas. Sotto, nel tentativo di continuare sullo sfortunato filone delle coupé sportive GT, nel 1969 BMW interpella ancora Pietro Frua che realizza la bellissima 2002 GT4. Ne verranno realizzati due prototipi presentati ai Saloni di Parigi del 1969 e 1970 ma non se ne farà nulla.

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LE TOURING (1971-1974)

La versione Touring del 1971: la mascherina totalmente cromata e i cerchi del primo tipo sono condivisi sia dalla 1602 che dalla 1802 (nell’immagine). A destra, la novità più importante consiste nell’adozione del portellone posteriore, che influenza tutto il secondo volume: finestrino laterale più ampio, montante trapezoidale, codina spiovente, fanaleria più incassata. Sotto, anche le Touring (nell’immagine la più potente della gamma, che monta il motore 2 litri a iniezione della 2002 tii) seguono il restyling del 1973, pur restando in listino per pochi mesi ancora.

Le vetture della “Serie 02” con carrozzeria “2 volumi e mezzo” denominate Touring (sigla che non ha niente a che fare con la carrozzeria milanese e che sarà usata in futuro per individuare le BMW station wagon) sono sicuramente le più particolari della gamma, nonostante non riscuotano vasto successo (poco più di 30.000 esemplari su un totale di 840.000 circa). Come nasce il progetto? Nel 1968 fallisce miseramente la carriera della coupé sportiva 1600 GT su disegno di Pietro Frua, lanciata nel 1966, nata dall’acquisizione della Glas da parte di BMW. Per andare a coprire quella nicchia di vetture non convenzionali con coda fast-back e dal profilo molto rastremato, a Monaco si pensa ora a una soluzione ben meno onerosa, ossia prendere la carrozzeria della “Serie 02” fino al montante centrale e rivederne totalmente il padiglione e la parte alta della coda (riprendendo alla lontana l’andamento della coda del prototipo Garmisch realizzato da Marcello Gandini nel 1970), ora caratterizzata da un terzo montante più esteso, da una luce laterale posteriore allungata e da un terzo volume molto spiovente e appena accennato, posto solo in conclusione di un ampio portellone inglobante il lunotto, che appoggia a sua volta su un profilo verticale simile a quello della berlina. L’intervento, più che a una coupé, porterà a una filante station wagon, tipologia di carrozzeria per altro vista su diversi modelli in commercio all’epoca, specialmente francesi o, più suggestivamente, a una delle prime berline a 3 porte esistenti. La serie Touring (sigla di progetto E6) appare nel 1971 in una gamma completa che va dalla 1600 alla 2000 tii passando per 1800 e 2000, con potenze invariate rispetto alle corrispettive 1602, 1802, 2002 e 2002 tii, quest’ultima quindi l’unica con motore a iniezione. Stesso discorso vale anche per le evoluzioni stilistiche: 1600 e 1800 Touring presentano inizialmente la mascherina interamente cromata e cerchi a quattro

GARMISCH BERTONE, IL PROTOTIPO ANDATO PERSO E RINATO NEL 2019 Insieme alla “revisione” della GT di Frua, al Salone di Parigi del 1970 viene presentato un altro prototipo su base 2002 ti, la Garmisch (in onore a una nota località sciistica tedesca) realizzata autonomamente da Bertone su disegno di Marcello Gandini. Sarà Nuccio stesso, considerato il successo del modello, a immaginarsi una futura “Serie 02” e a collaborare con Gandini per crearla. Dalla mente di uno, alla matita dell’altro, appare una coupé che lascerà tutti di stucco, dalle superfici spigolose e tagliate di netto, che affila e trancia i profili smussati della “02” originale. Il risultato è un’automobile filante, che riprende certi stilemi Bertone del periodo (Lamborghini Marzal, Alfa Romeo 33 Carabo), come le fiancate percorse da un leggero incavo, i cofani piatti e che stupisce per il doppio rene esagonale, la fanaleria carenata e la coda con lunotto “a lamelle” su cofano molto spiovente. L’auto sarà molto di ispirazione per successive BMW come la Serie 5 E12 e la 3 E21 ma il prototipo nel frattempo… sparirà nel nulla. Nel 2018, per omaggiare l’atelier torinese, lo stilista Gandini e questo prototipo, il responsabile del reparto design di BMW Adrian van Hooydonk, decide di far rinascere la Garmisch assolutamente identica alla originale: contatta un incredulo Gandini, utilizza tecnologie innovative come la stampa 3D e presenta la nuova vettura al Concorso di Eleganza Villa d’Este dell’anno scorso, non prima di averla svelata a marzo a Torino in occasione della mostra - tenutasi al Museo dell’Automobile - “Marcello Gandini. Genio Nascosto”, dedicata al maestro. Oggi è visibile al museo della Casa di Monaco. La 2002 ti Garmisch disegnata da Gandini per Bertone e presentata al Salone di Parigi del 1970. Il prototipo è andato perduto ma il reparto stile di BMW ha voluto riprodurlo esattamente come l’originale nel 2018. Sotto, la Garmisch rinata è stata presentata al Museo dell’Auto di Torino nel marzo dell’anno scorso per la mostra dedicata al maestro Marcello Gandini, nella foto col capo dello stile BMW Adrian van Hooydonk nella “piazza” centrale del MauTo.

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BMW CLASSE 02 feritoie sottili della 1600-2, mentre le 2000 e 2000 tii Touring, quella nera con “divisori” cromati e cerchi a 10 feritoie della 2002; nel 1973 gioveranno del restyling del frontale e dell’interno della berlina ma manterranno i proiettori posteriori tondi quadripartiti dell’originaria 1600-2.

LE CABRIO E LE TARGA DI BAUR (1967-1975)

Dagli anni ’60 in poi, specialmente per quanto riguarda i marchi Premium, ogni berlina che si rispetti ha la sua variante scoperta. La prima versione a cielo aperto della “Serie 02”, curata e prodotta dalla carrozzeria Baur di Stoccarda, che si occuperà di molte “scoperte” a marchio BMW, viene svelata al Salone di Francoforte del 1972, con la motorizzazione 1,6 litri monocarburatore da 85 CV della 1600-2, della quale riprende anche l’allestimento. L’intervento che ha reso la “02” scoperta consisterà nel tranciare di netto tetto e lunotto sostituendoli con una capote che, una volta abbassata, viene celata da un tonneau posto alla base del bagagliaio. Ne risulta un disegno molto pulito e assolutamente riconoscibile come quello di una “Serie 02”. La Cabriolet sarà disponibile quasi esclusivamente con meccanica 1600-2, tranne 200 scocche che verranno equi-

paggiate con quella della 2002 da 100 CV nei primi mesi del 1971. La seconda variante scoperta della serie, arriva invece per l’estate del 1971: sempre prodotta da Baur, è in realtà una “Targa” con tettuccio amovibile separato dalla piccola capote posteriore da un massiccio rollbar che ingloba anche l’intera struttura della portiera della berlina e una seconda luce laterale molto ridotta, lasciando, in pratica, il solo divano posteriore totalmente scoperto. È una soluzione piuttosto strana ma che il pubblico apprezzerà e che vedremo anche nella successiva Serie 3 E21. Verrà realizzata soltanto con la meccanica 2 litri monocarburatore da 100 CV della 2002.

1502 (1975-1977)

Con la Serie 3 prossima alla presentazione, nel gennaio 1975 avviene il canto del cigno della “Serie 02”: è un inedito modello unificato che sostituisce tutti i precedenti, la 1502. Ricalca l’estetica base della 1602 restyling 1973 ed è equipaggiata da una versione depotenziata del suo 1.573 cm³ (denominata sempre M116, da non confondere con l’M115 originario della serie M10 della prima “Neue Klasse”), dotato di un carburatore monocorpo Solex 36-40 ed erogante appena 75 CV: avrebbe rappresentato la base dell’offerta BMW fino al 1977.

Le due Cabrio realizzate da Baur: a sinistra una 1600-2 della gamma 1967, a destra una 2002 post restyling 1973. Questo modello sarà definito “Targa” per il tettuccio amovibile e per il mantenimento della struttura dei finestrini, ma in più qui c’è una piccola capote che lascia il divano posteriore scoperto. A destra, elegante e raffinata la Cabrio Baur I versione su base 1600-2 del 1967: il padiglione è tagliato di netto e la capote, una volta abbassata, trova posto in un vano apposito chiuso da un tonneau in tinta con la tappezzeria.

2002 TURBO, PRIMA “BOMBA” STRADALE, ANTENATA DI “MSPORT”

La 2002 Turbo con motore sovralimentato da 170 CV. La suggestiva scritta al contrario, da leggersi nello specchietto prima di lasciarla passare per “mangiare la polvere”, la dice lunga…

La più potente versione della “Serie 02” è la particolarissima 2002 Turbo, realizzata in appena 1.672 esemplari a partire dall’aprile del 1971 e per 10 mesi. Come indica il nome, qui il 1.990 cm³ è sovralimentato da un turbocompressore KKK abbinato a una iniezione meccanica Schafer PL04, che portano la potenza a 170 CV a 5.800 giri/min e la coppia a 240 Nm a 4.000 giri/min, dati che la renderanno competitiva con vetture ben più potenti come la conterranea Porsche 911. L’auto nasce dall’esperienza delle corse, dove le 2002 e le 2002 ti stanno dominando, specialmente nell’Europeo Turismo, vinto nel ’68 e nel ’69. Per l’occasione, l’auto è molto caratterizzata esteticamente: disponibile nelle sole due tinte bianco Chamonix e argento Polaris, ha passaruota allargati e rivettati alla carrozzeria per far posto a gomme 185/70 su cerchi VR 13”, ampio spoiler anteriore al posto del paraurti con la scritta “2002 turbo” al contrario (così che, vista dallo specchietto retrovisore, si può leggere correttamente…), alettone posteriore in materiale composito e decalcomanie azzurro/blu/rosse, che anticiperanno i colori del reparto sportivo di BMW MSport, configurandosi come la prima vettura di questa saga e la progenitrice di tutte le M3 e, recentemente, M2. La 2002 turbo è sfacciata, vistosa, anticonvenzionale: anticiperà una saga di vetture estreme che contribuiranno al successo del marchio.

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PERSONAGGI

VITTORIO JANO, UN GENIO CONTESO FRA DUE COLOSSI

Vittorio Jano, accanto alla P2 di Antonio Ascari, vincitore del GP d’Italia del 1924; a destra, in secondo piano, Giulio Ramponi.

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PERSONAGGI

AFFRONTIAMO IN TRE PUNTATE LA STORIA DI UNO DEI PROGETTISTI PIÙ GENIALI, ECLETTICI E ILLUMINATI CHE LA STORIA DEL MOTORISMO ITALIANO ABBIA CONOSCIUTO, PADRE DI ALCUNE DELLE AUTO PIÙ BELLE E SOPRATTUTTO VINCENTI DELL’ANTEGUERRA NON SI LAUREÒ MAI MA AVREBBE AVUTO UNA CARRIERA MOLTO INTENSA, INNANZITUTTO IN FIAT, POI PASSANDO ROCAMBOLESCAMENTE ALL’ ALFA ROMEO… di Lorenzo Morello e Rino Rao (Commissione Cultura ASI)

Il

13 marzo 1965, a Torino, nel lussuoso quartiere della Crocetta, in via Fratelli Carle 12, un uomo di 74 anni si suicidò nel proprio appartamento con un colpo di pistola; era Vittorio Jano, il celebre progettista di tante meravigliose auto che hanno fatto la storia del motorsport e delle auto sportive di pregio. Non fu trovato alcun messaggio per giustificare la sua tragica decisione, ma giacché si sapeva che egli - erroneamente, come si scoprì con l’autopsia - era certo di avere un cancro, si può pensare che avesse lasciato un biglietto alla moglie, che preferì non consegnarlo agli inquirenti per evitare che finisse in pasto ai media. Riteniamo che il suicidio di Jano non nasconda, come molti altri, recondite cause. Jano, avuta contezza del cancro, decise di troncare la propria vita con la stessa lucida logica con la quale aveva sempre agito, come fosse una sua creazione che, non avendo altre possibilità di progredire, era ormai inutile e quindi da eliminare. Ferrari, suo intimo amico, nelle sue memorie scrisse: “Jano è vissuto da forte e da forte ci ha lasciato. Non fui stupito della ferrea coerenza con la quale concluse la sua esistenza ed ho ammirato anche quel gesto che considero di supremo coraggio.” A descrivere il volto di Jano provvide Luigi Fusi che scrisse: “Vittorio Jano colpiva a prima vista per lo sguardo attento, incisivo, in un viso dai lineamenti marcati e asciutti. Era un uomo che sapeva quel che voleva, concreto nel parlare e nell’agire. La sua fu una vita densa di riflessioni, di ricerche, chiusa alle frivolezze e alla mondanità.” Ed ecco il ritratto tramandato da Ferrari: “Alto, asciutto, Jano poteva sembrare un uomo quasi fragile e tanta era invece l’energia, tanta la sicurezza che sapeva esprimere e infondere.” Tuttavia, sul piano umano - come annotò lo stesso Ferrari - Jano non era un personaggio empatico ma, da attento osservatore, era abile nel relazionarsi con i suoi collaboratori, fossero semplici tecnici, collaudatori o corridori e da tutti riusciva a ottenere il massimo. Se Jano aveva dei limiti relazionali, questi si palesavano nella

ritrosia sociale e nei rapporti con certi personaggi apicali, come ad esempio l’ingegner Gobbato, AD dell’Alfa Romeo dal 1933. Infatti, egli si sentiva a suo agio solo parlando in piemontese ed evitava di affrontare qualsiasi problema per lettera, limitandosi a inviare sintetiche note alla Direzione Generale. Probabilmente la mancanza della laurea e la consapevolezza di una limitata cultura, al di fuori di quella tecnica conquistata sul campo, condizionarono le sue chances di farsi valere. Jano si proclamava torinese, ma in realtà era nato a S. Giorgio Canavese il 22 aprile 1891, dove i suoi avi, soldati ungheresi al soldo di Carlo Emanuele di Savoia, si erano stabiliti a metà del XVII secolo; il padre era un apprezzato Capo Meccanico dell’Arsenale di Torino. Fu avviato agli studi, ma la sua istruzione non andò oltre un modesto diploma. Un vero peccato! Infatti, con il denaro speso dal padre per regalargli una fiammante motocicletta, il talentuoso diciottenne avrebbe potuto svolgere gli studi in Ingegneria, anziché dedicarsi a un lavoro da tirocinante presso la Rapid, una delle numerose fabbriche create dai Ceirano.

L’APPRODO IN FIAT

Lasciatala nel 1911, fu assunto dalla Fiat come disegnatore, dopo il buon esito dell’esame sostenuto con il Direttore Tecnico, l’ingegner Guido Fornaca. Apprezzato per la dedizione al lavoro e il talento, nel 1921 fu promosso Progettista Capo Gruppo, con sei disegnatori alle sue dipendenze. Maturate una grande sensibilità ed esperienza, soprattutto nei propulsori, fu inserito nella progettazione delle vetture da corsa diretta dall’avvocato Carlo Cavalli - il geniale progettista autodidatta, che preferì dedicarsi ai motori invece che ai tribunali - affiancandogli, sotto la guida di Giulio Cesare Cappa, altri validi tecnici come Vincenzo Bertarione e Walter Becchia (migrati alla Sunbeam nel 1927, il primo come Direttore Tecnico).

Da sinistra, sezione di un cilindro del motore Fiat 805, costruito con elementi sottili di acciaio, saldati fra loro. Sezione longitudinale del motore 805 ancora in versione aspirata; si noti il comando della distribuzione con alberi e ingranaggi conici. Nicola Romeo, fondatore dell’Alfa Romeo, al timone della quale rimase fino al 1926.

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PERSONAGGI

A sinistra, sezione longitudinale del motore P2; si noti il comando della distribuzione con una cascata d’ingranaggi. A destra, la fotografia di uno dei primi motori P2 rende evidente il compressore e il polmone di collegamento ai carburatori Memini. Sotto, la P2 del Museo Storico Alfa Romeo.

Con questi colleghi svolse ruoli di primo piano nella progettazione delle auto da Gran Premio della serie 800, che beneficiarono dei progressi delle tecnologie aeronautiche. In quegli anni, infatti, l’Ufficio Tecnico Studi Speciali aveva assunto il ruolo di centro di ricerca unico sui motori prestazionali di ogni tipo e di scuola di sviluppo professionale per i tecnici più promettenti. Per compensare l’effetto del limite di cilindrata, prima inesistente, portato inizialmente a 3 litri e poi ridotto a 2, fu necessario, oltre a ridurre il peso, accorciare l’albero a gomiti, per diminuirne la flessibilità e poterne così aumentare la velocità di rotazione; un secondo contributo era atteso da valvole di maggiori dimensioni, a comando diretto, montate in testa, fortemente inclinate. Queste caratteristiche erano già presenti nell’801, la prima della serie, con quattro cilindri e una cilindrata di circa 3 litri, sviluppata per le corse Gran Premio del 1921. Per ottenere questo risultato, il gruppo di lavoro pensò di costruire il blocco non più in ghisa fusa, ma con sottili elementi d’acciaio saldati fra loro. Ogni cilindro era costruito con un elemento tubolare, fuso probabilmente in cera persa in considerazione dell’esile forma; sul cilindro era avvitata la testa, con i condotti e le sedi delle valvole, anch’essa in acciaio di spessore ridotto. Dopo l’unione di testa e canna, erano saldati, sull’assieme così formato, alcuni fazzoletti di lamiera d’acciaio, in modo da creare le intercapedini per l’acqua di raffreddamento e per i passaggi dell’olio. Per ridurre coerentemente lo spazio richiesto dai sopporti di banco e dai perni di biella, si utilizzarono cuscinetti

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a rotolamento in tutti gli accoppiamenti. Il motore dell’805, l’ultimo su cui lavorò Jano, continuava a sfruttare questi principi tecnici. Il gruppo scelse un frazionamento in due blocchi, con un alesaggio di 60 mm e una corsa di 87,5 mm. Nel 1923 fu adottato il compressore tipo Wittig a palette; si raggiunsero 130 CV a 5.500 giri/min ma, al GP di Francia a Tours, emersero gravi problemi di affidabilità e di preaccensione per il surriscaldamento dell’aria compressa, problemi che Jano seppe poi risolvere brillantemente all’Alfa Romeo.

INIZIA L’EPOPEA IN ALFA

Qualche anno prima, nel gennaio 1918, l’ingegner Nicola Romeo aveva assunto il controllo dell’ A.L.F.A., rinominandola Alfa Romeo. Egli affidò lo svecchiamento della produzione automobilistica al Direttore Tecnico, Giuseppe Merosi, che rinnovò la gamma, con i performanti modelli della serie RM-RL. Romeo ritenne anche indispensabile rafforzare l’immagine con vittorie ai Gran Premi e in tale prospettiva incaricò Merosi di realizzare in breve tempo un’auto in grado di battere i costruttori di maggior successo di quel tempo, Fiat, Delage, Sunbeam e Bugatti. Nell’estate del ’23 fu pronta la P1, concepita secondo i dettami della formula 2 litri in vigore, ma senza compressore. La macchina, provata a Monza nell’imminenza del GP d’Italia, mostrò un grave deficit di potenza, tanto che l’incidente mortale di Sivocci fu utilizzato come valido motivo per giustificare il forfait del Portello.


PERSONAGGI Romeo non era uomo da demordere dai suoi progetti e, costatata l’incapacità di Merosi, incaricò l’ingegner Giorgio Rimini - il catanese dal colorito olivastro e dalla sigaretta sempre in bocca, allora Direttore Generale dell’Alfa - di sottrarre alla Fiat con ogni mezzo, un progettista in grado di realizzare, in breve tempo, una GP vincente. Negli anni passati alla Fiat, Jano aveva sviluppato un rapporto di stima reciproca e di cordialità con Luigi Bazzi, Responsabile della Sala Prova Motori. Quest’ultimo, già migrato all’Alfa, suggerì a Rimini di assumere Jano. Enzo Ferrari, allora suo assistente oltre che Agente per l’Emilia Romagna e pilota ufficiale, si recò in missione a Torino e, incontrato Jano nella sua modesta casa al terzo piano di via S. Massimo, gli offrì una posizione del tutto autonoma, il raddoppio dello stipendio, l’abitazione, numerosi benefit, larghi mezzi per affrontare l’impresa richiestagli e la prospettiva di assumere la carica di Direttore Tecnico. Fu così che l’abile Ferrari vinse le titubanze di Jano e della moglie Rosina a lasciare la Fiat per l’Alfa come, con qualche licenza, è stato ricostruito nell’ottimo film Ferrari di Carlei. Arrivato al Portello nel settembre del ’23, insediatosi in un ufficio volutamente isolato, si mise immediatamente al lavoro, con la collaborazione di una decina di disegnatori e tecnici. Forte del suo ruolo e finalmente del tutto autonomo, instaurò una ferrea disciplina. Con la sua enorme esperienza e competenza, egli impose un’indiscussa leadership; tuttavia, stimolava e ascoltava con calma e interesse ogni proposta dei suoi collaboratori e, solo dopo averne valutato ogni aspetto positivo e negativo, l’accoglieva dando merito all’autore. Presa la decisione, non ammetteva repliche e invariabilmente otteneva la massima dedizione e collaborazione. In seguito a una denunzia della Fiat per il sospetto di appropriazione indebita dei disegni dell’805, Jano fu oggetto di un’infruttuosa perquisizione dei Carabinieri nel suo ufficio e nella sua abitazione. Anche se questa ingenua manovra non diede risultati, non si possono non notare le somiglianze del motore P2 con l’805. Tuttavia esistevano differenze peculiari, come fu riconosciuto anche dai progettisti della Fiat. Già a un esame esterno, si presentava un vistoso tubo alettato, che collegava il compressore con i carburatori, un’ingegnosa invenzione che permetteva di raffreddare i gas evitando la preaccensione. Altre differenze importanti erano l’attacco del compressore all’albero motore con un comando a ingranaggi, che ne incrementava la velocità del 23%, e un comando degli assi a camme e del magnete con ingranaggi elicoidali, posti nella parte posteriore, invece che con l’allora consueto albero verticale con ruote coniche. Nonostante i numeri (l’805 era accreditata di 150 CV a 5.500 giri/min contro i 140 CV della P2 allo stesso regime), il tocco di Jano e la sua passione nello svolgere anche il compito d’ingegnere di pista, permisero di renderla più competitiva con molti affinamenti: fra questi, quelli riguardanti il comando della distribuzione, con riduzione del tasso di guasto da venti a uno in 800 km (chilometraggio di un GP), l’aumento del fuori-giri del motore a 6.500 giri/min, e l’affinamento dell’impianto frenante, uno dei punti deboli dell’805.

Campari, il quintalesco canoro, festeggiato dopo il GP d’Europa, riceve un salame del suo stesso peso (sopra); la P2 guidata da Antonio Ascari, vincitore del GP del Belgio, alla partenza con il numero 2 (sotto).

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PERSONAGGI

Alfa Romeo 6C 1500.

Alfa Romeo 6C 1750.

Alfa Romeo 8C 2300.

Ferrari conquista la prima vittoria con l’8C 2300, l’ultima della sua carriera di pilota, alla Bobbio – Passo Penice del 1931.

P2, 6C, P3: I CAPOLAVORI

La P2, dopo un paio di gare minori nel luglio del ’24, vinse, per merito di Campari, il GP di Francia e d’Europa infliggendo un’umiliante sconfitta all’armata della Fiat che decise di ritirarsi dai GP. La P2 vinse tutti i GP del biennio ’24-’25, con la sola eccezione di quello di Francia che avrebbe certamente vinto se non si fosse ritirata in segno di lutto per la morte di Ascari, e conquistò nel ’25 il 1° titolo di Campione del Mondo. Il titolo fu ricordato con il serto d’alloro, inserito nel logo della Casa sino al 1982. Dopo quel memorabile successo, il Portello decise di sospendere l’attività sportiva per consentire a Jano di concentrarsi nella progettazione e messa in produzione del suo secondo gioiello la 6C 1500, tuttavia ritornando alle corse due anni dopo. La tecnologia messa a punto da Jano, che si rivelò anche un ottimo stratega dei box, trionfò per anni su tutte le piste del globo, assicurando prestigio e fama all’Alfa Romeo, costituendo altresì la base da cui furono sviluppati i migliori motori del dopoguerra, almeno fino agli anni ’70, quando iniziarono a diffondersi i più moderni e performanti motori a quattro valvole per cilindro. Tre sono stati i capolavori assoluti di Jano: la P2 del ’24, la 6C del ‘28 e la P3 del ’31. Dal progetto originale, innovativo, affidabile e vincen-

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te, fiorirono i derivati, che conobbero successi sportivi e commerciali: i motori 6C (6 cilindri), delle omonime vetture costruite dal 1927 al 1934 in 4.115 esemplari, nelle cilindrate di 1500, 1750, 1900, 2300, le costosissime 8C (8 cilindri nella cilindrata 2300), costruite dal 1931 al 1934 in 218 esemplari e la gloriosa P3, seguita con minor successo dalla C. Avrebbe potuto esserci anche un propulsore bialbero 4C, studiato fra il 1935 e il 1937, candidato alla grande produzione, che però non superò mai lo stato prototipale. Trascurando la 6C 1500 a un solo asse a camme in testa, costruita in 918 esemplari fra il 1927 e il 1929, l’idea progettuale della P2 trovò la sua interpretazione in chiave industriale con la 6C 1500 Sport del 1928. Nel 1929 notevoli perfezionamenti furono introdotti sulla 6C 1750: fu adottato un nuovo sistema di regolazione dei giochi fra la punteria e la camma costituito da una vite con controdado, entrambi con testa dentata, sulla quale era possibile agire utilizzando una chiave speciale. Questo sistema di regolazione fu utilizzato su quasi tutti i motori Alfa fino al 1954. Il comando dell’asse a camme avveniva dalla parte posteriore, nella quale era derivato, dall’albero a gomiti, un comando a ingranaggi conici, che muoveva un albero verticale, a sua volta collegato con ingranaggi conici agli assi a


PERSONAGGI camme. La testa e il basamento erano ora costruiti con elementi fusi in ghisa e alluminio e non più secondo la costosissima tecnica dell’acciaio saldato. Il disegno della parte superiore, complicato dall’introduzione delle valvole a V di 90°, suggerì di impiegare una testa smontabile, almeno nelle versioni meno spinte, collegata con una flangia al blocco cilindri, ancora in ghisa. La cilindrata fu portata a 1.752 cm3, con alesaggio e corsa, rispettivamente a 65 e 88 mm. Rispetto al motore iniziale 6C 1500, non si trattava di una semplice revisione di cilindrata ma di un affinamento generalizzato del progetto, indirizzato a migliorare prestazioni e affidabilità, soprattutto con la successiva introduzione di un albero a gomiti rinforzato. La versione Sport, con motore aspirato a doppio asse a camme in testa, aveva 55 CV a 4.400 giri/min, con rapporto di compressione di 5,75. La versione Super Sport, con motore a doppio asse a camme in testa in versione aspirata, poteva salire a 64 CV a 4.500 giri/min, con rapporto di compressione di 6,25, per arrivare a 85 CV nella versione sovralimentata, con rapporto di compressione ridotto a 5,1. Esisteva infine un’elaborata versione Super Sport a Testa Fissa che si spingeva fino a 102 CV a 5.000 giri/min, potendo fruire di un basamento con otto sopporti di banco, di cui sette per i gomiti e uno aggiuntivo per il sostegno del gruppo di comando degli assi a camme e degli accessori, e di un albero a gomiti a otto contrappesi. La 6C 1750, dotata di un magnifico autotelaio, stabile, maneggevole e dotato di potenti freni, splendidamente carrozzata da Touring e Zagato ebbe un buon successo commerciale e trionfò su tutte le piste del globo,

vincendo dal ’28 al ‘30 alla Mille Miglia. Ritenuta la creazione più riuscita ed equilibrata di Jano, è oggi una delle massime aspirazioni dei più importanti collezionisti. Nel 1931, con l’obiettivo di contrastare la nuova Bugatti 2300 T 51 destinata alle corse e T43 al turismo di lusso, Jano lanciò la 8C 2300, con otto cilindri di uguale alesaggio e corsa della 1750, e un’inedita struttura simmetrica, costituita da due unità da quattro cilindri a testa smontabile, unite al centro. La vettura, più potente, anche se più pesante della T51, piegò la rivale nell’Endurance e fu competitiva nei Gran Premi, mentre, anche per merito delle stupende carrozzerie, superò la Casa alsaziana nella pur contenuta produzione turistica. Sempre nel ’31, l’architettura motoristica dell’8C fu spinta al suo estremo nella P3: il suo propulsore, dalla struttura simmetrica anche nell’alimentazione, con due compressori e due carburatori verticali, adottava, inoltre, basamento e coppa in elektron; la potenza della versione iniziale da 2,8 litri era di 215 CV a 5.600 giri/min e raggiunse nel 1935, con l’ultima versione di 3,8 litri, 330 CV a 5400 giri/ min. Anche il telaio della P3 presentava soluzioni geniali, come il differenziale posto all’uscita del cambio e due alberi di trasmissione angolati e collegati alle ruote posteriori, per abbassare la posizione del pilota. Il peso a vuoto era contenuto in 700 kg e l’elegante carrozzeria era profilatissima. La P3, prima vera monoposto, rese obsoleta la concorrenza, dominando lo scenario dei Gran Premi nel ’32’33 e segnò l’apogeo del progettista piemontese, assurto alla carica di Direttore Tecnico e divenuto monarca del Portello.

Sopra, da sinistra, registrazione del gioco valvole; la figura si riferisce a una 6C con un solo asse a camme ma il sistema era identico nei motori con due assi a camme in uso fino all’Alfa 1900. Sezione longitudinale di un motore 6C 1750 Gran Sport. Le parti di un motore 8C 2300 sovralimentato del 1931. A sinistra, il motore 8C della P3 con doppio compressore che dominò i GP dal 1932 al 1933. Sotto, la vista in trasparenza dell’Alfa Romeo P3 mostra la trasmissione a doppio albero.

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PERSONAGGI Nell’aprile del ‘34 al Salone dell’Automobile di Milano, fu presentata l’innovativa 6C 2300, ultima creazione di Jano, concepita per il turismo e con carrozzeria del Portello interamente metallica. Il propulsore aveva il basamento in ghisa fuso in unico blocco e la testa cilindri in lega leggera tradizionale. La potenza erogata raggiungeva 95 CV a 4.500 giri/min nella famosa versione “Pescara”; il cambio aveva 3ª e 4ª sincronizzate e ruota libera, come l’austerità dei tempi consigliava. Nel ’35 ricevette anche sospensioni indipendenti, fra le prime in Europa, quelle anteriori di progettazione interna, quelle posteriori di disegno Porsche. Con questi aggiornamenti, la 6C divenne una vettura confortevole, sicura oltre che performante e dalla piacevole guida, molto richiesta anche se la produzione, a causa del quadro politico-economico, si limitò a soli 1.606 esemplari. Da una scorta di 34 motori di 3,8 litri nacque nel 1935 la versione 2900 con 220 CV a 5.300 giri/min, destinata a equipaggiare le vetture per l’Endurance e nel 1937, in versione addomesticata (180 CV a 5.200 giri/min), le auto stradali di lusso.

L’ESORDIO DI GOBBATO E LA PARTENZA DI JANO

L’Alfa Romeo P3 al GP di Francia del 1934; la 12 è la vettura di Chiron, vincitore, la 6 è quella di Varzi secondo. Sotto, l’Alfa Romeo 6C 2300 con carrozzeria del Portello.

Ugo Gobbato, Amministratore Delegato dell’Alfa Romeo dal 1933 al 1945.

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Nel frattempo, l’Alfa Romeo, entrata in grave crisi economica a causa di una diversificazione disordinata, era stata assorbita dall’IRI, e dal 1933 affidata all’ingegner Ugo Gobbato, un brillante manager formatosi alla Fiat, specializzato in organizzazione dell’impresa. Nel 1919, fu inviato negli Stati Uniti, ospite di Henry Ford, per studiare i metodi di produzione di grande serie, che introdusse al Lingotto e in numerosi stabilimenti Fiat all’estero. Fu Mussolini a sceglierlo personalmente, per dirigere l’Alfa Romeo e realizzarne la profonda ristrutturazione. Nel giro di un quinquennio Gobbato risollevò le finanze dell’Alfa, convertendo la produzione di auto (ridotta nel 1936 a sole dieci unità) e di autocarri a quella bellica, avviando parallelamente nel 1938 la fabbrica di motori aeronautici di Pomigliano d’Arco. Fu Gobbato a registrare, durante una conversazione con Henry Ford, avvenuta nel 1939, la celebre frase: “Quando vedo un’Alfa Romeo mi tolgo il cappello.” Il nuovo corso non poteva essere gradito a Jano, anche perché Gobbato affidò il reparto corse completamente alla Scuderia Ferrari, riconoscendo a Jano la sola responsabilità tecnica del settore; si attorniò, inoltre, di un gruppo d’ingegneri come Ricart, Trevisan e Colombo, poco simpatici a Jano, l’ultimo particolarmente inviso tanto da relegarlo a Modena, e del tecnico Costantini, arrivato dalla Bugatti dove era rimasto per oltre sette anni. Nel ’34 era entrata in vigore la formula che liberalizzava tutto, con il solo limite di 750 kg di tara. Con limitati mezzi finanziari e scarso potere decisionale, Jano non poté che difendersi dallo strapotere di Mercedes e Auto Union, generosamente finanziate da Hitler e soprattutto sostenute dalla disponibilità di nuovi materiali ultraleggeri dell’aeronautica, che resero possibili motori di 6 litri, con potenza di oltre 600 CV. La P3 era ancora valida; la meteora Moll aveva vinto il GP di Monaco e piegato l’esordiente Auto Union all’Avus, mentre Chiron aveva superato la Mercedes al GP di Francia. Nel 1935 Nuvolari compì la mitica impresa di battere l’armata tedesca al Nürburgring. A quella fulgida vittoria ne seguirono numerose altre nei GP minori. Occorreva, tuttavia, impostare una nuova vettura da GP e Jano, pur condizionato dai limiti anzidetti, si mise al lavoro. Nacque così nel 1935 la Tipo C a sospensioni anteriori e posteriori indipendenti, cambio in blocco con la scatola del ponte, telaio e carrozzeria in grado di alloggiare, sia un propulsore 8C derivato dall’ultima P3, sia il nuovo 12 C. Il primo era costruito secondo lo schema a otto cilindri, in due parti simmetriche in alluminio, con canne di acciaio piantate ma con teste non


PERSONAGGI separabili; aveva 3.822 cm3 di cilindrata ed erogava 330 CV a 5.400 giri/min. Il secondo, costruito con lo stesso sistema, aveva dodici cilindri a V di 60°, con 4.064 cm3 e 370 CV a 5.800 giri/min. La versione con motore 8C debuttò l’8 settembre 1935 nel 13° GP d’Italia a Monza, ottenendo con Nuvolari un incoraggiante 2° posto, cui seguirono altri podi e finalmente la vittoria nella Coppa Ciano. La versione con motore 12C debuttò al 10° GP di Tripoli il 10 maggio 1936 e con questo modello, grazie alle eccellenti doti di coppia e maneggevolezza, Nuvolari riuscì a vincere i GP d’Ungheria, di Penya Rhin e la Coppa Vanderbilt. Malgrado queste vittorie, dovute in gran parte all’eccezionale pilota, era palese l’impossibilità della Tipo C di competere con la Mercedes e l’Auto Union per il grave deficit di potenza. La risposta dell’Alfa, fortemente sollecitata dai media e dallo stesso Mussolini, venne affidata nell’autunno del ‘36 ancora a Jano, ma con risorse inadeguate. Per il tecnico piemontese era l’ultima spiaggia. Da Jano, si aspettava il consueto miracolo all’italiana che non poté realizzarsi con una nuova 12C. Il motore, derivato dal precedente, venne ridisegnato con l’impiego dell’elektron, contenendo in 215 kg di peso, 432 CV a 5.800 giri/min. L’unità motrice fu installata in un nuovo telaio a struttura tubolare. Quando, ai primi di agosto del ’37, la nuova monoposto fu finalmente pronta per i collaudi, palesò gravi difetti di tenuta causati dall’accentuata flessibilità del telaio, ai quali Jano

cercò febbrilmente, ma inutilmente di porre rimedio. Il flop divenne increscioso quando Nuvolari, dopo averla ripetutamene provata, rifiutò di guidarla alla Coppa Acerbo e al successivo GP d’Italia. Jano non resse all’umiliazione e rassegnò le dimissioni, accettate con sollievo da Gobbato che tuttavia, dopo avere sciolto la Scuderia Ferrari, creata L’Alfa Corse e liquidato Ferrari, con Ricart, Colombo, Trevisan e Costantini, nonostante l’impegno, non riuscì a raggiungere il successo. Infatti le uniche vittorie furono conquistate dalle 2900 B e dalla 158, la macchina costruita a Modena per volere di Ferrari con l’apporto di Colombo, Massimino, Giberti e Bazzi, ma con la longa manus, seppure contestata, dello stesso Jano. A Gobbato va comunque riconosciuto il grande merito di avere salvato l’Alfa Romeo dal fallimento, convertendola alla produzione aeronautica e bellica, ancorché riducendo quasi a zero quella automobilistica, che tuttavia rilanciò negli ultimi anni prima del conflitto. Con le dimissioni di Jano e di Ferrari calava il sipario su un periodo ultradecennale di grandi successi tecnici e sportivi, ma gli insegnamenti di Jano si tramanderanno almeno sino agli anni ’70: dopo una separazione lunga vent’anni, infatti, l’estro di Jano si sarebbe nuovamente espresso in tutta la sua limpidezza nella collaborazione con Ferrari: lo vedremo nella prossima puntata. (continua)

Sopra, a sinistra, Alfa Romeo Tipo C in versione 8C, guidata da Nuvolari. A destra, Alfa Romeo Tipo C in versione 12C. A destra, la Tipo C ai box nel Gran Premio di Ungheria del 1936, vinto da Nuvolari. Sotto, l’autotelaio della Tipo C del 1937.

BIBLIOGRAFIA - - - - - -

Luigi Fusi, Alfa Romeo, tutte le vetture dal 1910, Emmeti Grafica 1978; Luigi Fusi, Enzo Ferrari, Griffith Borgeson, Le Alfa Romeo di Vittorio Jano, Edizioni Autocritica 1982; Griffith Borgeson, Alfa Romeo Tradition, Haynes; Angelo Tito Anselmi, Automobili Fiat, Lea 1986; Rino Rao, Giuseppe Campari El Negher, Edizioni ASI 2013; L’Auto Italiana, n° 14 del 31 luglio 1925 e n° 17 del 30 settembre 1925.

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ALFA ROMEO 2600 SPRINT

UNA “SPRINT” DI SUCCESSO L’ALFA 2600 SPRINT, RISPETTO ALLA AUSTERA BERLINA DA CUI DERIVA, OTTIENE UN BUON SUCCESSO DI VENDITA NONOSTANTE IL PREZZO ELEVATO IL MOTORE POTENTE, LE RAFFINATEZZE TECNICHE E DI COMFORT NE FANNO UNA COUPÉ ESTREMAMENTE DESIDERABILE ANCORA OGGI

di Matteo Comoglio

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ALFA ROMEO 2600 SPRINT

La

storia dell’Alfa Rome 2600 Sprint inizia nel 1958 quando, la necessità di dare un’erede alla mitica 1900, spinge la Casa del Biscione a presentare una nuova berlina: la 2000. Gli aggiornamenti della 2000 nella parte meccanica riguardano albero a gomiti, pistoni, sistema di comando valvole e alberi a camme, carburatori e sistema di alimentazione, sistema di scarico, cambio di velocità con sincronizzatori Porsche,

ponte posteriore, sospensioni anteriori. Il disegno della carrozzeria risulta però austero e forse con un’immagine fin troppo di rappresentanza, cosa che, fin da subito, la allontana dai successi della 1900. Nonostante le raffinatezze legate al comfort e alla costruzione, oltre all’omologazione per 6 posti, la 2000 berlina non viene apprezzata. Inoltre, viene lamentata l’inadeguatezza della meccanica, che risulta poco briosa e non all’altezza.

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ALFA ROMEO 2600 SPRINT

La 2600 Sprint è oggi un pezzo raro, difficile non farsi affascinare dalle sue linee sinuose e sportive. A destra, l’elegante berlina 2600 in una livrea scura. Il tergicristallo destro ha l’angolo tra braccio e spazzola invertito (vedi foto d’epoca sotto e alla pagina successiva). In basso, a destra, il cruscotto della 2000 Sprint.

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ALFA ROMEO 2600 SPRINT Nascono nonostante queste premesse non incoraggianti, anche le versioni coupé (denominata Sprint e prodotta dal 1961) e Spider (prodotta anch’essa dal 1958). La prima realizzata da Bertone e dalla giovanissima matita di Giorgetto Giugiaro, che proprio con la 2000 Sprint firma uno dei suoi primi progetti importanti, e la seconda realizzata da Touring. Purtroppo entrambe le versioni, seppur stilisticamente molto apprezzabili e decisamente diverse dalla berlina, non ebbero il successo sperato, proprio a causa delle prestazioni ben poco esaltanti. Infatti di 2000 Sprint ne vennero prodotti circa 700 esemplari. Vale comunque la pena soffermarsi sulla linea decisamente moderna ed innovativa della Sprint che sarà precorritrice delle successive Giulia Sprint GT. Anche in questo caso il “tocco” di Giugiaro diede vita ad uno stile per le coupé dell’Alfa Romeo. Ma tornando alla 2000, le critiche legate alla insufficiente potenza e le vendite molto scarse di tutti i modelli, costrinsero la Casa di Arese a prendere delle decisioni e rinnovare in modo preciso e definitivo la sua ammiraglia e le derivate. Così, al salone di Ginevra del 1962, debutta la berlina “2600”, che riceve qualche aggiornamento stilistico ma, soprattutto, un propulsore completamente nuovo a 6 cilindri e cilindrata aumentata a 2574 cm³. Il motore è tutto in lega leggera con canne smontabili e albero motore con ben 7 supporti di banco. Inoltre, sotto il profilo della sicurezza, si adottano i freni a disco sull’anteriore. Naturalmente, l’adozione del nuovo propulsore interessa anche la versione Sprint, oggetto del nostro servizio, che esteticamente rimane praticamente invariata rispetto alla 2000, ma adotta finalmente un motore adeguato per un coupé sportivo dell’Alfa Romeo. Su questa versione, sono montati tre carburatori doppio corpo Solex 44 PHH orizzontali, a richiesta, sono disponibili i Weber 45 DCOE 9, che assicurano l’alimentazione singola per ogni cilindro. Inoltre, il circuito di lubrificazione dell’olio include ora il radiatore con un termostato che ne impediva la circolazione prima che questo non avesse raggiunto la temperatura di esercizio di 83°. Una vera raffinatezza poco conosciuta a quei tempi. La potenza è di 145 CV. La numerazione del telaio della 2600 Sprint inizia con il n. 820001 e motore 00001. L’impianto frenante è inizialmente misto, con dischi all’anteriore e tamburi al posteriore, fine 1963, si adotteranno i dischi su tutte e quattro le ruote. Finalmente ora le prestazioni sono davvero notevoli e da vera sportiva, basti pensare che la velocità massima è di 200 km/h. A livello estetico, come abbiamo già detto, le differenze rispetto alla 2000 sono praticamente nulle, salvo le scritte identificative che ora riportano “2600 Sprint” e la presa d’aria sul cofano anteriore, che ora interrompe il fregio cromato che era posto centralmente. Due opzioni disponibili: interno in panno grigio fantasia e finta pelle in 3 varianti, o interno in pelle in 7 varianti. I vetri laterali, vera raffinatezza, sono elettrici, i sedili sono ampi, morbidi e avvolgenti e l’abitacolo ospita comodamente e senza rinunce 4 persone adulte. Il cruscotto racchiude i tre strumenti di fronte al guidatore, il volante è a calice a razze in alluminio e la lunga leva del cambio permette innesti precisi. Di fronte al passeggero sono presenti il vano porta guanti chiuso da uno sportellino con serratura e una leva di appiglio, utile in caso di guida “allegra”. Le bocchette di aerazione garantiscono un’efficace sbrinamento del parabrezza e un buon ricircolo dell’aria nell’abitacolo.

Lo splendido esemplare del nostro servizio, nell’elegante livrea visone scuro è stato oggetto di un meticoloso restauro di carrozzeria senza badare a spese, nel rispetto massimo dell’originalità. Appartiene all’ultima serie, che beneficia di tutte le migliorie. L’interno è conservato. Sotto, una foto dell’epoca della 2600 Sprint, sbarazzina e audace.

Anche nel posteriore le linee sono ben raccordate e sportive.

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ALFA ROMEO 2600 SPRINT

Il propulsore a 6 cilindri con la “batteria” dei carburatori doppio corpo.

Il frontale dal design modernissimo.

I tasti dei vetri elettrici.

Il cruscotto dell’ultima versione, rivestito in legno e pelle.

La linea del padiglione anticipa di molti anni quella delle future Giulia Sprint GT.

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ALFA ROMEO 2600 SPRINT Nella parte centrale, in basso le manopole per la climatizzazione e il posacenere. Nel 1965, la Sprint è oggetto di alcune modifiche, a partire dal telaio numero 825101: il cruscotto è rivestito in legno con le bocchette di aerazione collocate diversamente, selleria disponibile solo in pelle, pannelli porte di nuovo disegno con braccioli più pronunciati e tasca portacarte di maggiori dimensioni. Modificata la struttura del cofano motore con l’adozione di un nuovo rivestimento interno paracalore. Si rende disponibile a richiesta l’impianto di aria condizionata. I colori disponibili sono: Bianco Antico, Grigio Coupé, Visone Scuro o anche chiamato Grigio Visone in alcune brochure, Rubino scuro, bluette, nero, argento metallizzato su richiesta speciale. La 2600 Sprint viene prodotta in 6999 esemplari, di cui 597 con la guida a destra, un buon successo considerando che la sua progenitrice 2000 Sprint si fermò ad un decimo degli esemplari. Si ringrazia per la collaborazione l’amico Francesco Ceo

SCHEDA TECNICA ALFA ROMEO 2600 SPRINT (1962-1966) MOTORE: Tipo AR00601. 6 cilindri in linea, anteriore longitudinale, Alesaggio e corsa 83 x 79,6, cilindrata totale 2584 cm³, rapporto di compressione 9:1, potenza 145 CV a 5900 giri/ min. Distribuzione a catena con due alberi a camme in testa, 2 valvole per cilindri disposte a V. ALIMENTAZIONE: tre carburatori doppio corpo orizzontali Solex 44 PHH TRASMISSIONE: Cambio a 5 marce + RM con leva centrale, frizione monodisco a secco, trazione posteriore. SOSPENSIONI: Anteriore a ruote indipendenti, quadrilateri trasversali deformabili, molle elicoidali e barra stabilizzatrice. Posteriore a ponte rigido, triangolo superiore. Puntoni inferiori e molle elicoidali. Ammortizzatori telescopici. FRENI: idraulici sulle 4 ruote, fine 1963 anteriori a disco e posteriori a tamburo, dopo a disco sulle 4 ruote. PNEUMATICI: 165 x 400 PRESTAZIONI: Velocità massima200 km/h.

Un disegno pubblicitario dell’epoca. Sotto, a sinistra, i comodi e avvolgenti sedili, si noti la qualità della pelle che dopo oltre 55 anni è ancora in ottimo stato. Facciamo notare che in questa vettura l’abbinamento colore esterno/moquette non è corretto ma il proprietario era in attesa di quella originale attualmente in restauro, purtroppo non disponibile per il servizio fotografico Qui sotto, la 2600 è stata anche fra le fila delle Forze dell’ordine come vettura della Polizia, facendo parte della squadra delle Pantere.

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30 ANNI FA

CHE AUTO SI POTEVA

UN CURIOSO “VOLO D’UCCELLO” SU CIÒ CHE IL MERCATO AUTOMOBILISTICO PROPONEVA NELL’ESTATE DEL 1990, ALLA FINE DELL’ULTIMO DECENNIO DEL “SECOLO BREVE” Sembra ieri, invece sono già passati trent’anni da quel 1990 che ci introduceva all’estremo scampolo dello scorso millennio. All’epo-

ca, il mercato dell’automobile è ancora nel pieno di quel fermento, iniziato negli anni ’80, che avrebbe portato innovazioni tecnologi-

GIOVANE (FASCIA D’ETÀ 23-30 ANNI), MASCHIO O FEMMINA, SINGLE, STUDENTE LAVORATORE, BUDGET DI 15 MILIONI DI LIRE. È alla ricerca di una vettura compatta, adatta alla città ma in grado di percorrere anche qualche tratto autostradale in piena sicurezza, per weekend fuori porta e vacanze, dal comportamento brioso ma che non consumi troppo e abbia spese di gestione ridotte. Preferirebbe un modello nuovo e alla moda, con una buona dotazione di accessori. La proposta più ampia per la fascia di prezzo prefissata è probabilmente quella del marchio Fiat, che propone, ad appena 11 milioni 773 mila lire, la più accessoriata fra le Panda, la 1000 S con motore Fire. Se invece cerca più spazio per amici e hobby, la gamma Uno offre le brillanti 60 e 70 nel già completo allestimento S: per la 60S 5 porte (motore Fire 1.108 cm³ da 56 CV) ci vogliono 14 milioni e 188 mila lire, per la più potente 70S 5 porte (1.372 cm³ da 71 CV) ci vogliono 400 mila lire in più; la gamma SX è invece offerta a 800 mila lire in più. Altrimenti si può optare per una Ford Fiesta: la gamma con motore da 1,4 litri e 73 CV, disponibile a 3 e 5 porte, va dagli 11,6 milioni ai 13 milioni e 238 mila lire della 5 porte Ghia. Carina ma piuttosto cara la Volkswagen Polo, che offre la versione coupé a 13 milioni e 266 mila lire, ma nella versione base CL con motore da

L’Autobianchi Y10 LX qui in allestimento Selectronic con cambio automatico a variazione continua ECVT, disponibile con un sovrapprezzo di circa 800 mila lire.

Da sinistra, la Innocenti Turbo De Tomaso, giunta quasi a fine carriera ma ancora molto richiesta fra i giovani. La Opel Corsa GSi appena ristilizzata: col suo 1.6 da 101 CV garantisce divertimento a un prezzo ridotto. La Fiat Uno 70 SX 5 porte.

un 1 litro da 45 CV. Il modello che invece coniuga maggiormente economicità, glamour e compattezza, è la Autobianchi Y10, magari nella versione LX con motore 1.1 a iniezione elettronica da 55 CV (poco meno di 14 milioni), disponibile perfino con cambio automatico a 14 milioni 750 mila lire oppure nella briosa GT con motore di 1.297 cm³ e 72 CV, appena 200 mila lire sopra il budget. Se invece uno

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volesse davvero divertirsi, perché non orientarsi sulla Opel Corsa GSi con motore di 1,6 litri da 101 CV a 15 milioni e 260 mila lire? Ci sono poi due outsider che attirano per il fascino tutto loro che emanano: l’intramontabile Rover Mini nel curato allestimento Mayfair a meno di 11 milioni e la veloce Innocenti Turbo De Tomaso con motore 1.0 da 72 CV a meno di 12 milioni di lire.


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COMPRARE TRENT’ANNI FA? che e motoristiche mai viste prima; la crisi sarebbe invece arrivata qualche anno più tardi. Le possibilità economiche degli italiani sono abbastanza floride e, se la risposta va di pari passo alla domanda, la proposta delle vetture nuove è veramente ricca e per tutte le tasche. Abbiamo

cercato di immedesimarci in quattro clienti tipo per capire quale sarebbe potuta essere la scelta fatta all’epoca, tenendo presente diversi fattori come la funzionalità, il confort e l’economicità di servizio, ma anche l’estetica e, perché no, il cuore e la passione. Il nostro listino di riferimento è quello di luglio 1990.

DONNA DI MEZZA ETÀ (40-60 ANNI), SPOSATA, IMPIEGATA O LIBERA PROFESSIONISTA, BUDGET DI 25 MILIONI DI LIRE. Cerca una vettura comoda e spaziosa per tutte le sue attività, i figli, i genitori anziani, gli animali. Blasone e immagine glamour non sono le priorità, piuttosto affidabilità, robustezza e modelli ben collaudati: l’intenzione è quella di tenere l’auto per diversi anni. Alfa Romeo offre una bella giardinetta moderna, veloce e ben accessoriata: la 33 Sportwagon con motore di 1,7 litri a iniezione elettronica da 107 CV a 23 milioni e 300 mila lire, disponibile perfino 4x4 a meno di due milioni in più. La Fiat Tipo è un ottimo compromesso tra una vettura economica e collaudato ma anche spaziosa e ben accessoriata, specialmente nelle versioni 1.6 DGT - con cruscotto completamente digitale - a iniezione (19 milioni e 334 mila lire) o perfino nella veloce 1.8 16v (quasi 23 milioni) mentre, cercando un po’ di eleganza e distinzione, perché non valutare una “sempreverde” Lancia Delta, magari nella completa versione 1.6 GT con motore bialbero da 105 CV, a 19 milioni e 710 mila lire? Tipo e Delta, se uno necessita di fare tanti chilometri, sono anche disponibili

nelle due brillanti motorizzazioni 1.9 turbodiesel S: costano entrambe quasi 21 milioni. Se la nostra signora intende invece fare il “salto di categoria”, perché non orientarsi sulla moderna Lancia Dedra? La 1.8 i.e. costa 24 milioni e mezzo. Scartate BMW e Mercedes, in Germania sono molto interessanti le Opel Kadett, specialmente nelle comode e spaziose versioni SW (Caravan): la top di gamma, 1.8 GT, costa poco meno di 21 milioni mentre sempre una garanzia risulta essere la Golf II serie, anche se, per avere un motore che permetta una buona riserva di potenza, bisogna rivolgersi alle GTI (22 milioni e mezzo per la 1.8 5 porte) e GTD a gasolio (21 milioni e 414 mila lire per la 5 porte). Valide anche le francesi Renault 19 e 21: dotate dei motori di 1,7 litri, hanno prezzi tra i 18 e mezzo e i 22 milioni, mentre davvero sterminata e a prezzi allettanti è la gamma delle moderne e molto sicure Volvo 400: la 440i con motore 1.7 a iniezione da 106 CV costa poco meno di 24 milioni e, a differenza di tutte le altre, le versioni con marmitta catalitica costano quanto le normali.

Sopra, a sinistra, l’Alfa 33 Sportwagon II serie nel completo allestimento top di gamma con motore 1.7 a iniezione elettronica. A destra, la Fiat Tipo 1.6 nell’interessante allestimento DGT: cruscotto interamente digitale e sedili in velluto. Sotto, a sinistra, la Opel Kadett Wagon offre spazio e modernità al giusto prezzo. A destra, sicura e molto solida la Volvo 440i.

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30 ANNI FA

UOMO PROFESSIONISTA DI MEZZA ETÀ (45-55 ANNI), SPOSATO CON FIGLI, BUDGET DI 60 MILIONI DI LIRE. Vuole una berlina di rappresentanza, potente, ben accessoriata e fregiata di un marchio blasonato e ben piazzato sul mercato per prestigio, cura costruttiva e affidabilità dei modelli. Cambia la vettura ogni cinque anni, si orienta sempre su modelli nuovi e rivendibili senza troppa fatica, di ampia diffusione ma non generalisti. Imprescindibile la marmitta catalitica. La bella ammiraglia a trazione anteriore Alfa Romeo 164 nella versione top di gamma 3.0i V6 cat con cambio automatico costa quasi 58 milioni, mentre il “grande classico” BMW 525 24V cat, col suo bel 6 in linea di 2,5 litri e 192 CV, costa 60 milioni “tondi tondi”, quasi la stessa cifra utile per entrare nel regale mondo Jaguar, con la “entry level” XJ6 2.9 cat che però, con soli 148 CV, sembrerebbe essere

un po’ sottomotorizzata… Meglio rivolgersi ancora in Germania, con la bella Mercedes 260 E cat a 57 milioni e mezzo, anche se ad attirare è la poderosa 300 E cat che però costa più di 62 milioni e mezzo. In Svezia invece, c’è davvero l’imbarazzo della scelta: la Saab propone la sua 9000i turbo 16 con prezzi tra i 54 e i 57 milioni, la Volvo la 760 2.3i turbo a quasi 58 milioni, la versione V6 2.8 a quasi 57 e perfino la coupé - non è una berlina ma ha spazio per 5 persone - con il 2.0 turbo 16v da 200 CV a 60 milioni, tutte catalitiche. Oppure ci potrebbero essere due curiose outsider… la ipertecnologica Citroën XM 3.0 V6 cat a 51 milioni e la potente Maserati 4.24v con motore 2 litri V6 biturbo da ben 245 CV (60 milioni e mezzo).

Sopra, a sinistra, la BMW 525i (serie E34). A destra, la Saab 9000i turbo 16 5 porte: realizzata sul pianale “Tipo 4” insieme a Alfa Romeo 164, Fiat Croma e Lancia Thema, monta un 2 litri sovralimentato. Qui a fianco, la potente Maserati 4.24v: evoluzione della Biturbo, ha allestimenti più curati e sono state definitivamente eliminati i problemi di inaffidabilità e corrosione. Sotto, la Mercedes 260 E (W124), una delle berline della Casa della Stella più di successo.

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30 ANNI FA

UOMO NEOPENSIONATO, AUTO PER IL TEMPO LIBERO, BUDGET 40 MILIONI DI LIRE. Raggiunta finalmente la pensione, da sempre appassionato di motori, può permettersi finalmente una seconda auto più sportiva e divertente, magari scoperta, anche comoda per sole due persone, da utilizzare prevalentemente nei weekend e in brevi viaggi di piacere durante la bella stagione. Se siamo di fronte a un incrollabile nazionalista, la sua scelta ricadrebbe senza dubbio sull’immarcescibile Alfa Spider 2.0i: 31 milioni e 440 mila lire.

Con 37 milioni e 127 mila lire si entra invece nel magico mondo BMW mettendosi in garage una 320i cabriolet mentre, scartato a malincuore il marchio Porsche, dai prezzi proibitivi (la 944 S2 Cabriolet costa 92 milioni…), ad affascinarlo ci sarà sicuramente la bella scoperta svedese Saab 900 i turbo 16 Cabriolet: anche lei è decisamente fuori budget, costa quasi 63 milioni ma d’altronde, si vive una volta sola…

Sopra, la BMW Serie 3 cabriolet (E30) è una delle scoperte più apprezzate della sua epoca, specialmente Oltreoceano. A destra, appena presentata, la IV serie della Spider è l’ultimo baluardo della mitica Duetto. Sotto, a sinistra, anche la Saab 900i turbo 16 Cabriolet supera di 20 milioni il budget, però emana un fascino tutto suo… e seduce. Sotto, a destra, la Porsche 944 S2 Cabriolet costa più del doppio del budget “ideale” ma è comunque una proposta molto interessante.

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PERSONAGGI

Il Signor Nove Volte SOLO GIACOMO AGOSTINI E ANGEL NIETO LO HANNO SUPERATO COME NUMERO DI TITOLI MONDIALI. FIN QUANDO HA CORSO, NESSUN PILOTA ITALIANO E POCHISSIMI ALTRI AL MONDO SONO STATI IN GRADO DI AVVICINARE LA CLASSE DI CARLO UBBIALI

di Franco Daudo - foto tratte dal libro “Carlo Ubbiali” (edizioni ASI Service)

Maurizio Ubbiali (col cappellino) assiste il fratello dopo una corsa vittoriosa.

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PERSONAGGI

R

icordo qualche anno fa a Varano, alla tradizionale cena del sabato sera di un ASIMOTOSHOW, di avere intavolato un difficile dialogo con un collega inglese che mi parlava di quanto la personalità di certi piloti fosse complessa e talvolta perfino enigmatica. Il riferimento specifico era a Phil Read, seduto al nostro tavolo, solo qualche posto più in là. Phil è stato una stella assoluta nella storia del motociclismo, ma fin dagli esordi ha fatto discutere per il suo modo di gestire non solo le corse ma anche la sua immagine e i rapporti coi media. I piloti, quelli bravi davvero, sono gente particolare, questo è noto. Hanno qualcosa in più dei comuni mortali, ma sono spesso impenetrabili e difficilmente si ‘aprono’ verso gli altri. Forse per una certa diffidenza che deriva dalle migliaia di persone che hanno incontrato nella loro vita, certamente non tutte trasparenti. Un’esperienza che ha sviluppato oltremodo la loro capacità di comprendere se chi ti sta davanti merita solo un sorriso e una stretta di mano, oppure di essere ricevuto a casa per trascorrere qualche ora insieme, da amici. Io con Carlo Ubbiali ci ho passato tante giornate, seduto attorno a un tavolo con centinaia di fotografie da vedere e commentare insieme. Era il periodo nel quale Carlo era dibattuto se

pubblicare o meno il libro biografico scritto da Lorenzo Montagner. Credo di essermi guadagnato la sua fiducia, poiché in quegli incontri mi ha rivelato degli aspetti della sua vita che, pur facendo il mestiere del giornalista, ho ritenuto giusto tenere per sempre con me, ora più che mai dopo che Carlo ci ha lasciato all’età di 90 anni. Ne avrebbe compiuti 91 il prossimo 22 settembre. Alla fine Carlo si è convinto che il libro meritava la pubblicazione, cosa che è stata fatta dall’editore ASI Service. Una saggia decisione, poiché, a mio modesto parere, nella sua minuziosa opera di ricostruzione Montagner è riuscito a fare emergere tutta la grandezza del personaggio. Quella di ‘Carlino’, come lo chiamava il conte Domenico Agusta… Dopo cotanta premessa, raccontare qui la storia di Carlo Ubbiali vi toglierebbe il gusto di sfogliare e leggere la biografia di cui vi ho appena parlato. Tuttavia, per solleticare la vostra curiosità di approfondire questa storia, mi sembra giusto riportare qualche episodio saliente di una carriera ineguagliabile, vissuta pericolosamente, ‘come d’autunno sugli alberi le foglie’, come recita la mirabile sintesi della precarietà della vita pennellata in poche sillabe da Giuseppe Ungaretti.

Valli Bergamasche 1946. Ubbiali in sella alla MV Agusta 125.

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PERSONAGGI Circuito di Faenza 1952. Ubbiali e la FB Mondial 125 con Alfonso Drusiani e Omer Melotti.

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PERSONAGGI Foto in bianco e nero, in cui l’atmosfera pare sempre più plumbea che raggiante di sole, hanno tracciato la carriera di questo piccolo bergamasco, cresciuto nell’officina del padre a pane e motori e divenuto uno dei corridori motociclisti più popolari del mondo, specie in Inghilterra, dove il ricordo delle sue imprese al Tourist Trophy è vivo ancora oggi. Quando raccontava le sue corse, Carlo cambiava spesso tono della voce. Dall’entusiasmo di quando descrisse la sua ultima gara nella classe 125, che ovviamente vinse, a Monza l’11 settembre 1960: “La parabolica sarebbe stato il punto in cui avrei sferrato l’attacco decisivo: per distanziarmi il più possibile dai miei rivali e andare a vincere d’autorità”. E con le mani imita due moto, una in scia all’altra. La scia, elemento fondamentale per la volata a Monza “Avrei attuato una manovra che avevo studiato molte volte, ma che mai avevo messo in pratica, per non giocare con i miei rivali a carte scoperte, perché avevo il timore che, intuito il trucco, mi avrebbero seguito e magari anche battuto negli ultimi metri prima del traguardo. Non feci intuire loro nemmeno per un attimo che avrei potuto vincere quella volata, anzi, decisi che li avrei aspettati al varco per dominarli e batterli di sorpresa. All’imbocco della Parabolica chiusi molto la traiettoria, mentre Spaggiari e Degner rimasero all’esterno, seguendo la linea tradizionale di curva. Con quella impostazione di traiettoria avrei sì perso qualche metro di vantaggio, ma avrei guadagnato qualche decimo in quanto avrei percorso meno metri e quindi meno tempo rispetto ai rivali. Aprii prima di loro il gas con la motocicletta già quasi diritta rispetto al rettilineo, in posizione rannicchiata dietro al cupolone, effettuando tutta la fase di ripresa vicino al muretto dei box, mentre Degner e Spaggiari rimanevano all’esterno con le motociclette ancora in piega a completare la traiettoria”. Ha gli occhi sottili che nella narrazione diventano due lame. Lo chiamavano ‘cinesino’ per questo. Ma in questi racconti si illuminano e la bocca, con una smorfia autocelebrativa fa capire l’astuzia con cui ha affrontato quell’ultima fase della corsa. Dalla gioia, sempre misurata ma in questo caso profonda, al dolore più totale. Cambia la voce e l’espressione quando racconta di quando ormai lasciate le corse, perdette il fratello Maurizio, la persona a cui era più profondamente affezionato: “Il 26 gennaio del 1961 accorremmo all’ospedale perché le condizioni di Maurizio si erano molto aggravate. Nonostante i tentativi, tutto fu inutile. Maurizio, alle 22:14, morì. Dopo appena un anno dalla celebrazione del suo matrimonio e a pochi mesi dalla nascita della figlia primogenita Marina. E per me, per la nostra famiglia, fu il disastro. Ricordo ancora oggi il suo funerale. Il Comune di Bergamo dovette chiudere alcune strade centrali della città per poter arginare il fiume di gente venuta per l’estremo saluto. La famiglia Agusta partecipò al completo, così come i meccanici, le maestranze, gli stessi miei rivali in pista giunsero a Bergamo per testimoniare il loro dolore. Da quel giorno tutto cambiò. Dall’acclamazione passai all’anonimato, dal rombo dei motori al mio silenzio e a quella della mia casa senza più Maurizio. Soprattutto il mio cuore cambiò: spezzato dalla morte di un fratello, che era tutto. Quel giorno persi in fondo al mare il diamante più bello e luminoso”. Difficile non commuoversi di fronte a queste parole. Amore fraterno e supporto indispensabile, come quella volta nel Gran Premio d’Olanda, quando “… tiravo davvero forte, ma i tempi non si abbassavano. La moto era a posto, ma perdevo dieci secondi ogni giro. Rispetto all’anno precedente giravo con sette, otto secondi in più. Ero giù di morale, triste, ma senza un preciso motivo. Ricordo che la mattina seguente, mentre facevo colazione, vidi in lontananza una persona venire verso di me. Poi quella figura, mano a mano che si avvicinava, iniziò a risultarmi familiare: era mio fratello Maurizio. Solo a vederlo mi si aprì il cuore. Venne in treno da Bergamo fino ad Assen per stare insieme a me, e a quei tempi un simile viaggio non era uno scherzo. Fu una grande sorpresa ma non potei fermarmi con lui a lungo: dopo pochi minuti sarebbero iniziate le prove. Ci incamminammo verso il circuito e restammo insieme fino a quando non presi in mano la mia MV Agusta 125. Appena partito, ottenni gli stessi tempi dell’anno precedente, ma poi feci segnare tempi più bassi di tre o quattro secondi stabilendo così i nuovi record delle due classi…”. Direi che è superfluo aggiungere altro.

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PERSONAGGI

Ubbiali con la MV Agusta 125 bialbero nel 1953. Sotto, a sinistra, con Riccardo Cella, tecnico della MV Agusta. A destra, sul terribile circuito Solitude, con la MV 250 nel Gran Premio di Germania 1956.

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PERSONAGGI

La determinazione del grande campione. Sotto, il conte Domenico Agusta coi sui tre piloti Ubbiali, Taveri e Venturi sul podio del Gran Premio di Germania al Solitude 1956.

Ma facciamo un passo indietro di una quindicina d’anni, al 1947 quando Ubbiali diciottenne mosse i primi passi in moto. Su una MV Agusta, ovviamente, una 125 tre marce che portava sui circuiti con un Moto Guzzi sidecar: “Montavo la MV che avrei utilizzato per la gara sul carrozzino legandola con gli elastici insieme alla cassetta dei ferri e, a seconda della distanza dal campo di gara, partivo da solo anche alle cinque o alle sei del mattino. Andavo a Gorgonzola, a Pavia, a Lomazzo, a Lecco, a Mandello del Lario, a Carate Brianza, Arona, Stradella, Borgomanero”. Poi la svolta al Gran Premio della Fiera Campionaria di Milano, nel 1948, quando Carlo si trovò a dover correre, da semplice privato, contro le squadre ufficiale della Morini e della MV: “…sentii una pacca sulla spalla. Mi voltai e vidi il Conte Domenico Agusta. Mi guardò dritto negli occhi per un attimo, poi disse: Ubbiali, vuoi guidare una delle mie moto, oggi? Gettai a terra i ferri e dissi senza esitazioni: va bene! Seppi solo molto tempo dopo perché quel giorno ebbi a disposizione la MV Agusta ufficiale. Gianni Leoni, pilota titolare della squadra, non era riuscito a concludere il giro cronometrato risultando escluso dalla finale”. Il conte Agusta aveva visto giusto e per il successivo Gran Premio delle Nazioni confermò Ubbiali su una delle sue moto. Risultato? Secondo dietro l’imbattibile Mondial di Nello Pagani. Tuttavia il destino volle che la prima vittoria in un Gran Premio, quello d’Irlanda, Ubbiali la ottenesse nel 1950 con la Mondial 125, e che sempre con la moto dei conti Boselli arrivasse il suo primo titolo mondiale, nel 1951. “Arrivai a Monza con tanta rabbia addosso. Non volevo più sentir parlare di sfortuna, di rotture di motore, di cambio... volevo vincere e basta. Strapazzai uno a uno gli avversari, così come i miei compagni di squadra. Una vittoria, quella davanti al pubblico di casa, che mi permise, per la somma dei punti conquistati in classifica generale di vincere il primo titolo mondiale della mia carriera”.

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PERSONAGGI

Ubbiali, ‘la volpe’ in un manifesto che celebra l’en plein della MV Agusta nel 1956, campione del mondo in tutte le classi di cilindrata.

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Tornato alla MV Agusta, che non lascerà mai più, nel 1953 Ubbiali trova sul suo cammino la formidabile NSU di Werner Haas e un fortissimo compagno di squadra, Cecil Sandford, che già l’anno prima gli aveva negato il secondo mondiale. Ubbiali deve aspettare altre due stagioni per tornare in vetta al mondiale. Lo fa nel 1955, l’anno in cui vince anche il suo primo Tourist Trophy e compie un altro dei suoi capolavori tattici nel Gran Premio di Germania: “Al Nürburgring fummo ancora noi due i duellanti (Ubbiali e Luigi Taveri - ndr), ma questa volta si presentò alle nostre spalle anche l’altro nostro compagno di squadra, Remo Venturi: dopo una gara sempre in fila indiana a prendere le scie l’uno dell’altro, giungemmo alla bandiera a scacchi. Queste le prime tre posizioni: io primo, Taveri secondo e a ruota Venturi. Quella vittoria la studiai metro per metro, dall’inizio della gara fino alla sua conclusione. In gara, mai manifestavo le potenzialità della mia motocicletta e il mio effettivo valore di pilota. Preferivo aspettare compagni e rivali al varco, piuttosto che scappare al primo giro e vincere in solitario: attendevo l’ultima curva per giocarmi la vittoria, magari in volata, calcolando anche i centimetri di vantaggio. Solo in quel modo avrei dato al mezzo meccanico e a me la possibilità di vedere il traguardo. In quell’occasione a dividermi da Taveri ci furono solo 8/10 di secondo. Lo stesso distacco che Luigi diede a Venturi”. Nel 1955 Ubbiali debuttò anche nella classe 250, a Monza: “Prima dell’avvio delle prove della 125, si avvicinò l’ingegner Cella che mi disse: Carlo, preparati, perché devi provare la 250. Potevo forse dire di no al volere degli Agusta? Va


PERSONAGGI

Ubbiali provò in gran segreto la Ferrari D50 a Monza. Un incontro fugace che non ebbe seguito. A destra, Imola 1957. Ubbiali seguito dal suo grande rivale Tarquinio Provini, con la Mondial. Sotto, a sinistra, Monza 1960. Ubbiali al via della sua ultima corsa con la MV Agusta 125. A destra Ruggero Mazza.

Carlo Ubbiali LORENZO MON

TAGNER

“IL MIGLIOR PILO TA ITALIANO DEL

DOPOGUERRA”

(M. WALKER, londr a, 1960)

LIBRERIA AUTO

MOTOCLUB STOR ICO ITALIANO TORINO

Carlo Ubbiali nel 2105 ad ASI Motoshow, nel corso della presentazione della sua biografia edita da ASI Service.

bene, dissi, anche se avevo delle riserve personali sull’utilizzo di quella motocicletta”. Riserve? Quali riserve: primo Ubbiali, secondo (sempre dopo la solita, cinica volata), Hans Baltisberger con la NSU e terzo, staccato, Sammy Miller. Seguono i due mondiali del 1956, il titolo della 125 nel 1958 e altre due doppiette nel 1959 e ’60, l’anno del ritiro dalle competizioni. Nove mondiali, come Mike Hailwood e Valentino Rossi. Un ricordo della cerimonia di premiazione dei campioni del mondo 1956: “Le premiazioni si tennero a Parigi, presso la sede della Federazione Motociclistica Internazionale a Place de la Concorde, dove fui convocato per ricevere l’attestato di Campione del Mondo. Logicamente, venni accompagnato dai conti Agusta. Ed ebbi modo, per la prima volta, di assaggiare, anche se per pochi istanti, la bella vita dei conti Agusta: appartamenti al Grand Hotel Continental, due Cadillac con due autisti, gioielli e champagne. Una bella vita, ma lontana anni luce dalla mia, divisa fino a quel momento tra il lavoro duro in officina e la mia dignitosa casa di Bergamo”. La modestia, dote rara che accomuna tanti grandi uomini.

Chiudiamo questo breve ma significativo ritratto di Ubbiali con le note con cui si apre la biografia scritta la Lorenzo Montagner: “Della mia vita sono contento, ma a metà. Sono contento per il raggiungimento di alcuni obiettivi, come i nove titoli mondiali piloti, che rappresentano ancora un bel record. Sono soddisfatto per essermi sempre salvato da brutti incidenti, quando purtroppo ci sono piloti dei miei tempi che sono disabili oppure, ancora peggio, sono deceduti. Ma in verità, per quindici anni ho vissuto in una galera, pensando sempre al rendimento, al risultato, alla vittoria in una gara, puntando a ottenere il massimo prestigio possibile, ma non il mio, bensì quello della fabbrica, perché in pista, al manubrio di una motocicletta, ero un semplice operaio, non come i piloti di oggi che sono delle star. A quei tempi, io come tutti gli altri corridori, ero soltanto carne da macello e portare a casa la pellaccia era obbligatorio”. Carlo Ubbiali, uno degli ultimi testimoni di un’epoca irripetibile, nel bene e nel male, del motociclismo, si è spento alle 8:36 del 2 giugno 2020.

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MOTO MORINI CORSARO

IL “PIRATA” A DUE RUOTE

IL MOTO MORINI “CORSARO” NASCE NEL 1959 DA UNA COSTOLA DEL VECCHIO “SBARAZZINO”, MA CON TELAIO COMPLETAMENTE RINNOVATO E PRESTAZIONI DA VERA SPORTIVA UNA DUE RUOTE DALLA TECNICA INTERESSANTE E MOLTO AMBITA DAI COLLEZIONISTI di Matteo Comoglio - foto di Franco Daudo

La

Moto Morini, produttrice di motocarri e motori sciolti, nasce nel 1937 per iniziativa di Alfonso Morini, ma va ricordato che Morini, classe 1898, già da adolescente è a contatto con i motori e, dopo aver lavorato come garzone, a soli sedici anni è già titolare a Bologna di una piccola officina di riparazioni. Nel 1924 realizza una “motobici” progettata dall’amico Mario Mazzetti. Visto il grande interesse suscitato, i due assieme ad altri soci finanziatori, danno vita alla M.M. che in poco tempo diventa molto famosa, sia per le ottime motociclette e sia per le numerose vittorie in campo sportivo, come il Gran premio d’Italia del 1927, ottenute dallo stesso Morini. L’azienda produce motori da 350, 500 e 600 cm³ a valvole laterali, venduti ad altri costruttori o montati su motocarri di propria produzione. Ridotta al minimo l’attività, durante il periodo bellico, Morini lavora per l’Aeronautica Militare fino a che un bombardamento distrugge la sua officina; nel 1945 riprende l’attività e l’anno seguente presenta al pubblico la prima motocicletta che porta il suo nome: si tratta di una 125 con motore a due tempi e tre marce, forcella a parallelogramma e sospensione posteriore a ruota guidata.

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MOTO MORINI CORSARO

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MOTO MORINI CORSARO

Lo splendido esemplare del nostro servizio è un Corsaro del 1960 completamente restaurato. Da sinistra, il moderno propulsore di 125 cmÂł a 4 tempi. La pedana con il bilanciere del cambio posizionato sulla destra. Da notare il disegno pulito e con pochi fronzoli del monocilindrico. Il carburatore Dell’Orto ME18 BS.

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MOTO MORINI CORSARO Sviluppando questa prima creatura, avrà diverse soddisfazioni sia a livello commerciale e sia sportivo. Fino al 1952, la piccola 125 rimane la base portante della produzione della casa bolognese, quando viene affiancata da una modernissima 175 a quattro tempi. Ancora una volta i vari modelli col propulsore a quattro tempi centrano l’obiettivo ottenendo successo di vendite e gratificanti risultati sportivi. Sul finire del 1956 viene presentato lo “Sbarazzino”, una motoleggera di 100 cm3, con telaio in lamiera stampata e un motore totalmente nuovo, stavolta però il pubblico non la gradisce più di tanto, complice forse l’aspetto un po’ dimesso e da “lavoratore” e la diffusione rimane molto limitata. Si corre così ai ripari e nel 1959, viene presentato il “Corsaro” 125 una moto completamente nuova il cui propulsore era però nient’altro che quello dello Sbarazzino con cilindrata aumentata. Il telaio è composto da una struttura principale formata da due soli tubi: uno discendente che parte dal canotto di sterzo e nella parte finale si biforca fornendo punti d’attacco per gli ammortizzatori, sella e parafango e l’altro che scendendo praticamente in verticale disegna una “T” alla base della quale sono posti i punti d’attacco per forcellone, cavalletto e motore. Due bretelle, realizzate in tubo tondo, imbullonate sotto il canotto scendono a formare una doppia culla aperta, fino ad incontrare il motore e a renderlo parte integrante di tutta la struttura.

Sopra, consigli per la benzina. A sinistra, un catalogo del 1963 in cui si pubblicizzano il Corsaro e il Corsaro Veloce. Sotto, da sinistra, il fanale che incorpora il tachimetro e la chiave di contatto. Il tamburo centrale. Il caratteristico logo del Corsaro 125. L’ammortizzatore posteriore.

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MOTO MORINI CORSARO

Le versioni vendute all’estero. Il Corsaro Veloce della fine degli anni ‘60.

Il Corsaro Special 125/150 degli anni ‘70.

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Il propulsore ha distribuzione ad aste e bilancieri, con misure di alesaggio e corsa di 56x50 mm, per una cilindrata effettiva di 123,08 centimetri cubici, un rapporto di compressione di 7,6:1, e potenza massima dichiarata in 7,5 cavalli a 8000 giri. L’alimentazione avviene tramite un carburatore Dell’Orto ME 18 BS con diffusore da 18 mm, l’accensione tramite volano magnete e bobina esterna. La lubrificazione è garantita in mandata da una pompa ad ingranaggi mentre il recupero avviene per caduta; la trasmissione primaria è ad ingranaggi, la frizione multidisco in bagno d’olio e il cambio dispone di quattro rapporti. La forcella anteriore è una classica teleidraulica, mentre al posteriore il molleggio è garantito dal forcellone oscillante e da due ammortizzatori telescopici. Le ruote con cerchi in acciaio da 18 pollici hanno mozzi con freno centrale, entrambi con diametro di 134 millimetri, pneumatico 2,50 all’anteriore e 2,75 al posteriore. Il peso a secco è indicato dalla Casa in 87 chilogrammi e il consumo medio in soli 2,2 litri per 100 chilometri; nonostante il consumo ridotto la velocità massima è prossima ai 90 chilometri orari in posizione normale e 102 in posizione raccolta. Il Corsaro risulta quindi una motocicletta molto interessante e, sviluppata nell’estetica e migliorata nel propulsore darà vita a diverse versioni l’ultima delle quali sarà ancora in produzione nel 1974, ben quindici anni dopo il suo debutto. Ma andiamo per ordine e ripercorriamone brevemente la storia. Tra la fine del 1961 e l’inizio del ’62 viene presentato il “Corsaro Veloce” con carburatore munito di diffusore da 20 mm, potenza aumentata a 9 cavalli e velocità di ben 115 km/h, e sempre in quel periodo il ruttore, in precedenza interno viene spostato all’esterno in un vano ricavato nel carter esterno sinistro. Nel 1964 si lancia sul mercato il Corsaro 150 nella versione Turismo alla quale farà seguito l’anno seguente il Gran Turismo: il motore è lo stesso ma cambiano le misure di alesaggio, che diventa di 58 millimetri e della corsa ora stabilita in 54 mm, il tutto per dare vita ad una

Il Corsaro Country.


MOTO MORINI CORSARO cilindrata effettiva di 142,60 cm3 e una potenza di 9,5 CV. L’anno seguente si registra il rinnovamento estetico del Corsaro Veloce caratterizzato dall’adozione di un serbatoio di forma più squadrata e dalla presentazione del primo Corsaro Regolarità. In questa configurazione il fortunato monocilindrico viene sviluppato in varie versioni anche di 100, 150 e 160 cm³ e darà diverse soddisfazioni a livello agonistico fino al 1972, quando dovrà abdicare in favore delle più performanti concorrenti con motore a due tempi. A partire dal 1967 il propulsore subisce alcune modifiche poco appariscenti, ma importanti come l’adozione della pompa dell’olio con ingranaggi più alti, una maggior quantità d’olio contenuta nei carter, lo spostamento dello sfiato esterno ora più vicino al cilindro, di nuovi carter con un rialzo dietro il piano d’appoggio del cilindro e per i cuscinetti di banco ora tutti e tre esattamente uguali. Nel 1969 vengono messi in listino il Super Sport e lo Sport Lusso che praticamente sostituiscono il Corsaro Veloce, oltre al Super Sport e Gran Turismo di 150 cm³; lo stesso anno sulla nuova versione da regolarità con telaio Ronzani debutta il cambio a cinque marce, soluzione che verrà generalizzata sulle versioni stradali a partire dall’anno successivo. Nel 1971 oltre al nuovo modello da regolarità con telaio Verlicchi, debutta il “Country”, in pratica uno scrambler, soluzione di compromesso fra le versioni stradali e quelle da fuoristrada. Un importante aggiornamento del propulsore avviene nel 1972 con l’adozione su tutta la gamma della nuova “testa piatta”, mentre si rilevano piccole differenze nella componentistica e nella colorazione fino ad arrivare al modello Special, costruito solo nel 1974 ma ancora commercializzato l’anno seguente. Infine va ricordato che la Morini realizzò direttamente qualche esemplare da competizione, opera in cui si cimentarono anche diversi preparatori e piloti per prendere parte alle varie competizioni della classe 125 in circuito e in salita, ma di questo parleremo prossimamente. Stesso propulsore declinato in maniera e anime diverse.

Il Corsaro Super Sport.

Il Corsaro Gran Turismo con cilindrata di 150 cm³.

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CICLOMOTORI A 4 TEMPI

GIOIELLI DI TECNICA IN MINIATURA

RIPERCORRIAMO LA STORIA TECNICA E SPORTIVA DELLE MOTOCICLETTE DI 50 CM³ ITALIANE DA CORSA A QUATTRO TEMPI, PER SCOPRIRE DELLE INNOVAZIONI DAVVERO INUSUALI di Massimo Clarke (Commissione Cultura ASI)

Il monocilindrico Benelli per le gare di velocità visto dal lato destro. La distribuzione è bialbero e viene comandata da una cascata di ingranaggi.

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CICLOMOTORI A 4 TEMPI

S

ul finire degli anni ‘50 i ciclomotori (con cilindrate fino a 50 cm³) iniziano a diventare sempre più diffusi. Questi c’erano anche prima ma non godevano di tanta considerazione: quelli di serie erano confinati tra le bici a motore e le “motoleggerissime” (quasi tutte di 75 cm3); nel settore agonistico non venivano ancora presi in considerazione. Va ricordato in proposito che, tanto al Motogiro quanto alla Milano-Taranto, le moto di cilindrata minore erano le 75. Da un certo punto in poi, però la crescente diffusione dei ciclomotori comincia ad attrarre le attenzioni degli appassionati, dei costruttori e delle autorità sportive. La nuova “classe 50” inizia a essere presente in diverse corse in salita, che vedono così le prime battaglie tra i modelli a due e a quattro tempi. Questi ultimi sono più complessi e raffinati dal punto di vista tecnico e quindi anche più costosi. Di conseguenza la loro diffusione risulterà limitata, considerato che molte scuderie si rivolgeranno appunto ai più fruibili due tempi. Anzi, nelle salite c’è in pratica solo il Motom 48 a lottare contro i vari Itom, Maserati (il famoso “Rospino”), solo per citare i più celebri fra i due tempi. Nel 1958 la Motom ha già realizzato una versione da record del suo tranquillo monocilindrico con distribuzione ad aste e bilancieri e valvole parallele che, debitamente preparata, eroga 4,5 CV a 9000 giri/min. All’epoca alla Motom lavora l’ingegner Piero Remor, padre della famosa ma sfortunata 98: che questo abbia posto mano al motore da record traspare dalla presenza di due barre di torsione (alloggiate in due astucci che fuoriuscivano orizzontalmente dalla testa) che non agiscono sulle valvole ma agevolano il richiamo dei bilancieri e delle aste. La Motom equipaggiata da queste caratteristiche si impone nel Campionato italiano della montagna del 1959, ripetendo l’impresa l’anno successivo e quindi, nella categoria Sport (derivate dal modello di serie), nel 1961 e nel 1962. Alla fine della stagione agonistica 1957, il grande tecnico bolognese Nerio Biavati lascia la Mondial per andare a lavorare al reparto corse della Morini. Poco tempo dopo questo decide quindi di impiegare il suo tempo libero per realizzare un motore di 50 cm3 a quattro tempi da competizione. Nell’impresa lo affiancano il disegnatore Rossetti (che all’epoca produce mulinelli da pesca), il meccanico Corazza e il famoso Laurenti, al quale si rivolge la maggior parte dei costruttori bolognesi - e non solo - per la realizzazione dei modelli da fonderia. Il risultato di questo impegno sarà un bellissimo monocilindrico con distribuzione monoalbero comandata da una cascata di ingranaggi che nelle prime prove al banco erogherà 7 CV a un regime dell’ordine di 12000 giri/ min. L’alesaggio di 39 mm è abbinato a una corsa di 40 mm, la lubrificazione è a carter umido e l’accensione a batteria e ruttore. Le due valvole vengono richiamate da molle a spillo lavoranti allo scoperto.

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CICLOMOTORI A 4 TEMPI

Sopra, un Motom 48 da competizione fotografato ai box in un recente raduno per moto storiche. Si tratta di un modello di serie modificato e non progettato specificamente per impiego agonistico. Sotto, da sinistra, dalla testa dei Motom da corsa spuntavano due astucci contenenti le barre di torsione impiegate per il richiamo dei bilancieri e delle aste, cosa che agevolava il lavoro delle molle delle valvole. Il motore Mondial monoalbero, nato dalla passione di alcuni tecnici bolognesi e non all’interno del reparto corse della casa, visto dal lato sinistro. Il cilindro è in lega di alluminio, come la testa, e ha la canna riportata in ghisa. Sul lato destro del monocilindrico Mondial spiccano la cartella degli ingranaggi della distribuzione e il ruttore di accensione.

Francesco Villa, che oltre a essere un ottimo pilota era anche un abile tecnico, venuto a sapere dell’esistenza di questo motore, riesce a farlo acquistare al conte Boselli, titolare della Mondial, con l’obiettivo di impiegarlo in una moto da competizione, che sarà allestita nel 1961 e che l’anno successivo si impone in numerose gare in salita, sempre pilotata da Villa. In Italia, le gare con le “50” in circuito sono ancora piuttosto rare, benché proprio dal 1962 esse saranno inserite nel campionato mondiale: la Federazione Motociclistica Italiana prevede tale classe solo nel campionato velocità in salita.

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All’inizio degli anni ‘60 la Benelli corre nei Gran Premi con una 250 a quattro cilindri (che in seguito è stata realizzata anche in versioni di 350 e di 500 cm3). Per effettuare le prove e le sperimentazioni, sempre necessarie nella fase di sviluppo, l’ingegner Savelli realizza un “modulo”, costituito da un solo cilindro di tale motore (in pratica come se da esso fosse stata tagliata una fetta): Ne viene fuori un monocilindrico che nel 1962 è stato installato in una ciclistica allo stato dell’arte, con un telaio a doppia culla continua, di schema analogo a quello utilizzato sulla qua-


CICLOMOTORI A 4 TEMPI dricilindrica. Il motore ha una cilindrata di 62,5 cm3, ottenuta con le stesse misure caratteristiche del 250 (44 x 40,5 mm). La distribuzione bialbero è comandata da una cascata di ingranaggi posta sul lato destro del gruppo testa-cilindro. Le due valvole, mosse da punterie a bicchiere, formano tra loro un angolo di 63°; quella di aspirazione con un diametro di 25 mm e quella di scarico di 23,5 mm. Una caratteristica di notevole interesse è costituita dall’impiego di una calotta in bronzo, incorporata nella testa all’atto della fusione, nella quale sono ricavate sia le pareti della camera di combustione sia le sedi delle valvole. Di questa moto sarà anche realizzata una versione di 50 cm3 che prenderà parte ad alcune gare e che pare abbia una potenza prossima a 9 CV a un regime di rotazione superiore a 14000 giri/min. Per molti anni la Demm, che mantiene la direzione e gli uffici a Milano e lo stabilimento a Porretta Terme, nell’Appennino bolognese, sarà una delle più importanti realtà italiane nel campo dei ciclomotori, sia a due sia a quattro tempi. Produce anche valide moto di 125 e di 175 cm3, che però non hanno una grande diffusione. L’azienda inizia realizzando ingranaggeria e strumenti di misura, settori che richiedono lavorazioni di estrema precisione e una notevole tecnologia, e si è fatta rapidamente un’ottima fama. Nel settore motoristico entra nella prima metà degli anni ‘50, iniziando con motori sciolti che fornisce ad altre case. Nel 1960 la Demm decide di realizzare una moto di 50 cm3 a quattro tempi specificamente studiata per primeggiare nelle gare in salita. L’anno successivo fa così la sua comparsa un piccolo capolavoro di meccanica con distribuzione bialbero comandata da un alberello verticale e due coppie di ingranaggi conici. Nella testa vengono alloggiate due valvole, notevolmente inclinate tra loro, che sono azionate da bilancieri a dito e richiamate da molle a spillo lavoranti in bagno d’olio. Le misure caratteristiche sono pressoché quadre (40x39 mm) e il sistema di lubrificazione a carter umido; il cambio, del tipo a chiavetta scorrevole, ha cinque marce. Spiccano l’impiego di un volantino esterno, montato alla estremità sinistra dell’albero a gomito, e della doppia accensione, davvero inusitata su di un motore con un alesaggio così ridotto. Come nel motore Benelli, la frizione multidisco è a secco.

Sul lato sinistro della filante 50 pesarese si possono notare la frizione multidisco a secco (con molle lavoranti in trazione) e il compatto disegno del basamento, inferiormente al quale vi è la coppa dell’olio. Sotto, la Demm 50 a cinque marce, vincitrice del Campionato italiano di velocità in salita nel 1961. La distribuzione bialbero viene comandata da un alberello e due coppie di ingranaggi conici.

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CICLOMOTORI A 4 TEMPI

In questa foto si vedono gli organi della distribuzione all’interno della testa della Demm a cinque marce. Si possono notare i due alberi a camme, i bilancieri a dito e le molle a spillo.

Ottimo esempio di moto storica conservata, questa Demm 50 è rimasta esattamente come è stata impiegata l’ultima volta dal suo pilota, il piemontese Borri.

Sopra, la Demm 50 bialbero del 1962-63 era notevolmente diversa da quella precedente e non solo per il cambio a sei marce anziché a cinque. Sotto, a sinistra, sul lato destro del motore a sei marce spiccano il grande castello della distribuzione, l’alloggiamento del ruttore di accensione e la frizione multidisco a secco. Si noti anche la seconda candela montata nella testa. A destra, il modello a dodici marce era uguale a quello a sei, eccezion fatta per il basamento e per il cambio, ora a tre alberi, con uno splitter su quello di uscita, che raddoppiava il numero dei rapporti.

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Questa moto, che pare sia stata costruita in cinque esemplari, conquisterà il titolo della montagna (ovvero il Campionato di velocità in salita, per usare la denominazione ufficiale) nel 1961. La stagione seguente però farà la sua comparsa una nuova Demm da competizione di 50 cm3, con motore profondamente rivisitato e munito di un cambio a sei marce: viene mantenuto il sistema di comando della distribuzione ad alberello e coppie coniche ma la testa è ora sormontata da un castello di notevoli dimensioni nel quale sono alloggiati i due alberi a camme e i cinque ingranaggi orizzontali che li azionano (prendendo il moto dalla coppia conica superiore). Le valvole sono ancora più inclinate, caratteristica che consente di aumentare il loro diametro, e le molle a spillo che le richiamano, lavorano ora allo scoperto. Come nei motori Mondial e Benelli, l’albero a gomito è formato da più parti unite per forzamento alla pressa e lavora interamente su cuscinetti a rotolamento. Le misure caratteristiche sono cambiate: l’alesaggio è di 41,2 mm e la corsa di 37,5 mm. L’ultima 50 da competizione a uscire dallo stabilimento di Porretta Terme è identica a quella appena descritta ma il cambio ha 12 marce, ottenute mediante l’adozione di un terzo albero all’uscita del cambio, grazie al quale il numero dei rapporti viene raddoppiato. Si tratta in pratica di uno “splitter”, del tipo a espansione di sfere. Costruita in un solo esemplare, questa moto è dotata di un nuovo basamento. L’albero a gomito ruota ora all’indietro, ovvero in senso opposto a quello in cui girano le ruote. La Demm si è imposta nei campionati di velocità in salita anche nel 1962 e nel 1963, prima di ritirarsi.



TRASPORTO COLLETTIVO

FIAT 421,

IL MOLLEGGIATO COL CIUFFO CARATTERIZZATO DA UN DESIGN INCONFONDIBILE E DA UNA TECNICA PIUTTOSTO AVANZATA, DAL 1973, FINO ALLE SOGLIE DEL NUOVO MILLENNIO, SARÀ PARTE INTEGRANTE DEL PANORAMA URBANO DELLE METROPOLI ITALIANE

di Luca Marconetti - foto Giorgio Cavanna, Roberto Costa, Giovanni Kaiblinger

I 421 AL realizzati dalla SEAC-Viberti su capitolato dell’ATM Torino per la città sabauda. Come si può notare su questa vettura fotografata davanti alla Manica Nuova di Palazzo Reale, nei pressi del Duomo di San Giovanni, i Viberti sono riconoscibili dai Cameri per gli svettanti “duomi” delle indicazioni di linea e dalle portiere centrali mimetizzate (mezzi cristalli senza cornici) omologate a quelle dei tram concittadini.

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TRASPORTO COLLETTIVO

F

ra le conseguenze del boom economico c’è sicuramente quella della crescita rapidissima delle città, specialmente di quelle più grandi, con la costruzione di unità abitative, spesso corrispondenti a imponenti condomini, in zone via via più lontane dai centri storici i quali, per la prima volta nella loro storia in certi casi perfino millenaria, assumono il ruolo di poli amministrativi, commerciali, culturali e di intrattenimento mentre per vivere si sceglie di “uscire dalle mura”. Il fenomeno, naturalmente, porta a un riassestamento del tessuto urbano: i nuovi agglomerati abitativi necessitano di strade, prima di tutto, ma anche di infrastrutture e collegamenti per evitare il più possibile il distanziamento sociale e tutto ciò che questo comporta (criminalità, ghettizzazione, impossibilità di accesso ai servizi essenziali). Ruolo cruciale in questo impetuoso mutamento cittadino, lo giocano le aziende di trasporto pubblico locale: queste si affideranno prevalentemente al trasporto in superficie, automobilistico tradizionale oppure con impianti elettrici, tranvie e filobus. Infatti, a differenza delle metropoli europee dove si implementa e sviluppa la metropolitana, in Italia, vuoi per il forte ritardo nella sua installazione vuoi per l’asprezza di alcuni territori - come quelli delle città di mare, per esempio - si ritiene ancora indispensabile rinnovare il parco circolante su strada, specialmente quello su gomma.

NASCE IL 421. PER LA MECCANICA, UN MIX DI TRADIZIONE E INNOVAZIONE

A domanda corrisponde offerta, ovviamente “monopolizzata”, tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70, dalle aziende italiane, specialmente Fiat. Questa, dopo aver privilegiato il trasporto pubblico nei centri medi e medio-piccoli con il robusto 418, nel 1973 si rivolge alle società delle grandi città - prevalentemente Torino, Milano, Roma, Bologna, Genova, Palermo e Napoli - con un nuovo interessante autobus urbano, il 421. Secondo il claim diffuso al lancio, il nuovo autobus è un “veicolo specializzato nel settore pesante […] la destinazione principale è in quei bacini di traffico dove la scarsità di metropolitane e la elevata concentrazione urbanistica rendono gravose le condizioni di esercizio dei mezzi pubblici in superficie”, ossia proprio quello che si intendeva prima. Se il 418 presenta un layout meccanico e telaistico molto conservativo, diverso è il discorso del 421. Iniziando dal telaio, questo presenta una struttura in scatolato a sezione rettangolare di dimensioni variabili a seconda del carico da sopportare; gli scatolati si configurano in due profilati a “L” saldati tra loro specularmente così da generare un rettangolo stretto e lungo. Questo viene poi adeguato per l’installazione del motore a sbalzo davanti all’asse anteriore, a sinistra, e non più centralmente o posteriormente, una modifica che permette un’importante abbassamento del piano di calpestio a favore di spazio e confort per gli occupanti, tanto che, nelle due versioni disponibili, 11 e 12 metri, la capacità di carico del 421 sarà da record, che rimarrà imbattuto per anni e permetterà una netta riduzione dei tempi di fermata e percorrenza. Per contro, rispetto agli antenati, ora il conduttore è posto molto in alto, essendo collocato il suo sedile esattamente sopra il motore, sulla sinistra, nella vista dell’autotelaio dall’alto, caratteristica che darà la sensazione di dominare la strada e avere un miglior controllo del mezzo, oltre a influire sul design frontale della cabina.

Un Cameri AL (telaio lungo) di Serie apparso sui depliant ufficiali Fiat del 1974, prototipo realizzato su capitolato AMT Genova: si riconoscono le peculiarità definitive dei Cameri come il parabrezza a sperone (ci sarà solo un telaio corto per ATAC Roma con parabrezza tipo “Vöv”) e l’oblò alla base del montante. (foto tratta da depliant ufficiale Fiat)

Il posto di guida è un’altra particolarità del 421, posto molto in alto, esattamente sopra al propulsore. (foto depliant ufficiale Fiat)

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TRASPORTO COLLETTIVO

La cabina interna di un AL Cameri AMT Genova. (foto depliant ufficiale Fiat)

Il motore è del Tipo 8210.12 a iniezione diretta di gasolio, 6 cilindri in linea orizzontali “a sogliola”, 13.798 cm³, erogante 220 CV a 2200 giri/min, basamento e testa motore (divisa in due blocchi da tre cilindri l’uno) in ghisa, valvole di aspirazione in acciaio inossidabile e di scarico bimetalliche, albero motore in acciaio al carbonio temprato elettricamente mediante induzione, sette supporti di banco, pistoni in lega leggera. La distribuzione avviene tramite asse a camme nel basamento e punterie lubrificate mentre il raffreddamento è a pompa separata dal motore, con il tipico radiatore a elementi verticali che influirà non poco nell’estetica generale del mezzo. Il cambio, montato posteriormente di fronte al differenziale, è il Fiat SRM DRS 0,9-13 automatico, quello già montato sul 418, dotato di erogazione e dolcezza di cambiata eccezionali, a tutto vantaggio dell’usura e quindi della ridotta manutenzione ma anche delle vibrazioni percepibili in cabina. Complesso il sistema di trasmissione: questo è affidato a quattro tronconi, tre interposti da giunti elastici tra motore e cambio e uno tra cambio e differenziale, quest’ultimo collegato al ponte da giunti cardanici a crociera e manicotti scorrevoli. L’avantreno a ruote indipendenti ha assale in acciaio stampato con profilo a “T” con estremità lavorate per alloggiare i fusi a snodo con attacco a forcella, il retrotreno a ponte rigido inglobante la coppia conica centrale e il differenziale. Il sistema sospensivo è pneumatico integrale, con ancoraggi longitudinali e trasversali e dotato di barre di reazione. Le molle sui due assi sono ad aria, gestite da un regolatore di assetto mediante tre valvole livellatrici agenti sulla pressione in entrata (sistema “Elipress”): all’anteriore le molle sono due agenti sui bracci triangolari ancorati al telaio, al posteriore sono invece quattro

Il motore “a sogliola” (coi cilindri in due blocchi rovesciati di 90° gradi a sinistra) posto sotto il posto Guida. (foto depliant ufficiale Fiat)

ancorate ad altrettante barre longitudinali e una trasversale; gli ammortizzatori sono idraulici telescopici a doppio effetto. I freni - a tamburo incorporato nei dischi ruota continui, uguali per i due assi dove agiscono comandati da due circuiti indipendenti - sono qui coadiuvati da un freno motore, comandato automaticamente tramite un sensore posto sotto il pedale, mentre il freno di stazionamento è meccanico agente sulle ruote posteriori. Lo sterzo è servoassistito idraulicamente. Le ruote, caratterizzante da dimensioni importanti (il cerchio misura 9,0x24”, su cui calzano pneumatici radiali 14/80-24”), altro elemento di forte connotazione estetica del 421, sono singole anche al retrotreno. L’impianto elettrico è a 24 V. Completa l’opera l’impianto pneumatico, composto da un compressore bicilindrico, raffreddato ad acqua mediante una diramazione del radiatore, un distributore duplex, un gruppo di regolazione e ben sei serbatoi: due da 20 litri ciascuno per l’impianto frenante anteriore, uno da 28 per quello posteriore, uno da 20 per servofreno e cambio, uno da 33 per le sospensioni ad aria e uno da 55 per i comandi secondari (apertura e chiusura porte, freno motore e altri servizi). Queste caratteristiche, alcune piuttosto tradizionali, altre innovative per un mezzo di questo tipo prodotto in Italia, contribuiranno tutte a rendere il 421 un mezzo unico, oltre che per il design, che vedremo tra poco, anche per il comportamento su strada, configurandosi questi pregi, anche come i suoi difetti: intanto la tenuta di strada e la stabilità, fortemente caratterizzate dal peso sbilanciato in avanti e dal retrotreno leggero, risultano screziate dalle facili scodate della vettura (elemento che costringerà a modificare più volte le valvole livellatrici, senza risultati); si registra poi una certa esuberanza del motore, forse

Una vettura AL in servizio a Genova (in sosta in piazza Tommaseo). I modelli a telaio lungo sono riconoscibili per le quattro porte (foto Giorgio Cavanna). Altra caratteristica comune agli AL Cameri di Genova ma anche di Torino è il parabrezza posteriore unico, in luogo di quello sdoppiato scelto dall’ATAC Roma (foto Giorgio Cavanna).

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TRASPORTO COLLETTIVO

Un Cameri A (telaio corto, riconoscibile dalle tre porte) di ATAC Roma, in sosta in piazza Venezia mentre espleta la linea 90. (foto Giovanni Kaiblinger)

Un telaio A con parabrezza Vöv realizzato da BFC-Pistoiesi per Milano, mentre espleta la linea 75: si riconosce per la particolare fattura della mascherina anteriore, molto simile a quella dei precedenti Lancia 718 Esagamma. (foto Roberto Costa)

troppo potente per la struttura del 421: ciò, se garantisce buoni spunti e poco affaticamento in condizioni di pieno carico, si traduce in un alleggerimento dell’avantreno che rende piuttosto aleatori i cambi di direzione (tanto da indurre alcune aziende a modificare la geometria di iniezione per rendere l’erogazione più mansueta); ultima macchia nella carriera comunque lunga e vincente del 421, l’impianto frenante sottodimensionato. Nelle città con percorsi più tortuosi e trafficati (specialmente Napoli) infine, si registrano un certo surriscaldamento del motore e quindi del posto di guida.

LO STILE: OMOGENEITÀ E SOMIGLIANZE DETTATE DAI CAPITOLATI DELLE AZIENDE TPL

A differenza del 418 che verrà rivestito da una miriade di carrozzerie e in varianti molto distinguibili fra loro, le esecuzioni del telaio 421 saranno piuttosto limitate e, a parte per qualche caratteristica peculiare delle diverse aziende, soprattutto a causa delle stringenti richieste delle società del trasporto pubblico locale, finiranno per assomigliarsi un po’ tutti. Come di prassi, il prototipo, presentato nelle prime settimane del 1973, verrà realizzato dallo stabilimento Fiat di Cameri, in provincia di Novara. Si tratta di un telaio 421A (11 metri), configurato in “versione prova”, ossia da affidare ai tecnici delle diverse aziende di trasporto per saggiarne l’utilizzo (anche se abbiamo notizie certe solo riguardo l’espletamento del servizio della linea 106 della ATAN di Napoli, per la quale verrà giudicata inadatta). Nonostante la sua linea sia una rivisitazione del precedente Lancia 718 Esagamma dell’ATM di Milano, viene presentato in una sgargiante livrea arancione intervallata da La fiancata destra di un A BFC-Pistoiesi di ATM Milano caratterizzata dai finestrini Klein, comuni a molti 421 (foto Roberto Costa).

due fasce grigie per tetto e brancardi, a sottolinearne la modernità, e stupisce subito per le tre porte, composte da due ampi elementi rototraslanti, una vera primizia per l’epoca. I finestrini sono del tipo “Klein” (due sezioni con la superiore che discende sovrapponendosi a quella inferiore) mentre la zona più originale è quella anteriore, con il vistoso indicatore di linea superiore che sembra un ampio “ciuffo”, resosi necessario per lasciar posto al guidatore (che, come abbiamo ricordato è seduto molto elevato) e inserire un parabrezza alto e luminoso, qui del tipo Vöv arrotondato, già visto sul 418AL prototipo. Altra specificità la grande calandra che cela il radiatore e divide la fanaleria tonda incastonata in due incavi gradevoli alla vista. Molti di questi elementi spariranno però sugli esemplari di pre-produzione Cameri, due con telaio A da 11 metri e tre con telaio AL da 12 metri (tra questi ultimi, solo uno con parabrezza Vöv). Questo perché le aziende locali che li richiedono, impongono un capitolato piuttosto rigido (nel caso dei Cameri “lunghi”, seguono specialmente quelli della romana ATAC) che, in alcuni casi, vanifica le particolarità stilistiche pensate da Fiat. I telai lunghi, comunque, introdurranno un’altra importante novità mondiale, le quattro porte (con le tradizionali 4 antine ripiegabili; per le doppie ante rototraslanti bisognerà aspettare qualche anno) di serie, finora viste solo in via sperimentale sui Lancia 718.641 della torinese ATM. La produzione di serie dei 421 Cameri, che comincia a fine 1974, va suddivisa in cinque gruppi: telai A con parabrezza “Vöv”, A/sperone e AL/sperone per ATAC Roma; AL/sperone per AMT Genova; AL/Sperone per ATM Torino e AMAT Palermo. Rispetto ai romani, che seguono le caratteristiche dei prototipi, i genovesi e i torinesi (della quale fanno parte anche i sei palermitani, identici ai sabaudi) sono generalmente caratterizzati dalla presa d’aria frontale a 9 elementi (quello centrale più in alto “chiuso” per ospitare il logo Fiat a 4 rombi, dopo il 1975 accompagnato da quello Iveco, posto nella “casella” più in basso), dall’oblò sul montante anteriore davanti alla porta e dal lunotto unico, in luogo di quello sdoppiato dei romani. Oltre a Cameri, la prima azienda a mettersi al lavoro sul 421 è la BFC Pistoiesi, i cui prototipi e poi i modelli di serie, presenteranno un design pesantemente caratterizzato dal capitolato ATM Milano, soprattutto nella fascia inferiore del frontale, imposto per semplificare e unificare la ricambistica. I modelli Pistoiesi, nati dalla matita dei designer Giovanni Klaus Koenig e Roberto Segoni (padri della maggior parte delle carrozze ferroviarie per treni pendolari di quel periodo), saranno i più sobri e razionali, gli unici privi del “ciuffo” frontale.

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TRASPORTO COLLETTIVO

Completamente diversi da tutti gli altri 421 sono gli AL realizzati da Menarini per l’ATC di Bologna: oltre alle sole tre porte nonostante il telaio lungo, si riconosce per la mascherina totalmente diversa e per l’allestimento molto semplificato. (foto ATC Bologna) Sempre una vettura bolognese fotografata alla fermata di via Rizzoli adiacente a piazza Maggiore.

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Dotati anch’essi di parabrezza “Vöv” o “a sperone”, presentano un frontale a doppia calandra liscia e con la fanaleria raggruppata in nicchie chiuse da un pannello in plexiglass che li fa assomigliare moltissimo ai Lancia 718 Esagamma milanesi. Quattro i prototipi realizzati, tre con telaio A e uno AL: l’A01 e l’A02, sono destinati rispettivamente all’ATM di Milano e all’ATAC di Roma. Sono identici tranne che per la livrea arancione (A01) o verde (A02), per le porte con antina a un solo vetro (A01) o due (A02) e per l’indicatore di linea esteso (A01) o a paletta “modello Philips” (A02). Anche l’A03 su telaio AL sarà destinato a Roma: ha parabrezza a sperone e la fanaleria incassata “a goccia” come sui Cameri. Dopo l’avventura romana, sia l’A02 che l’A03 saranno completamente riverniciati di arancio e ceduti all’azienda di Salerno e in seguito alle private campane SEATVA ed ETP, per l’impegno su linee suburbane a Napoli e provincia: oltre al prototipo Cameri, sarà l’unica presenza dei 421 nella città partenopea. L’A04 è invece un mezzo piuttosto inusuale: un bipiano, l’AS111 richiesto dalla ATM di Milano e allestito con specifiche suburbane (due porte agli estremi). L’aspetto, per quanto originale, è massiccio: oltre alla mascherina a calandra singola, stupisce il secondo piano che sembra “appoggiato” al tetto sottostante come un blocco posto successivamente, sensazione accentuata dalla livrea bianca e nera e dal parabrezza dritto. Oggi fa parte del parco storico della SAI di Treviglio (BS), che lo rileverà dalla ATM dopo che quest’ultima non ne rimarrà soddisfatta mentre si accaparrerà l’intera produzione BCF Pistoiesi di serie. Proseguono questa carrellata di stile i 421 prodotti da SEAC-Viberti su capitolato dell’ATM di Torino, distinguibili dai Cameri per i duomi sul tetto per accogliere la tabella di linea, su tutti e quattro i lati, le porte centrali mimetizzate come sui tram della città sabauda e, per i primi prodotti, i finestrini scorrevoli. Discorso a parte meritano invece i 421 carrozzati dalla bolognese Menarini, ovviamente maggiormente diffusi nella città felsinea, sia con telai lunghi sia con telai corti. A questi si sarebbe poi aggiunto un gruppo romano, solo su telaio corto. Mentre il già citato stringente capitolato ATAC Roma impone uno stile molto simile a quello dei Cameri, i mezzi bolognesi avranno un design dedicato e molto caratterizzante, che li rende diversi da qualsiasi altro 421: sono realizzati in economia ma non per questo risultano meno interessanti anzi, in pieno stile Monocar - nome col quale sono indicati gli autobus Menarini del periodo - spiccano per razionalità, pulizia delle linee e coerenza estetica, sia all’esterno, dove abbiamo una mascherina a tutta grigliatura verniciata con gli spazi lisci per ospitare il simbolo Fiat e il numero di vettura e il parabrezza a sperone ma senza gli inserti inferiori (stile che interessa anche molti 418 e alcuni 410A), sia all’interno, molto spartano, come da volere dell’ATM Bologna, a favore della pulizia e della facilità di manutenzione. Altro elemento distintivo dei 421 Monocar, sono le tre porte anche su telaio lungo; questi distinguibili per l’aggiunta di un piccolo vetro laterale. Nel complesso, se esternamente si può riconoscere un 421 da lontano scorgendo la tipica “gobbetta” sopra” al parabrezza e le enormi ruote che lo fanno sembrare ancora più lungo di quello che è in realtà, si riesce a capire ad occhi chiusi che stiamo viaggiando percependo un accentuato molleggio, specialmente in fase di frenata e accelerazione, al quale fa seguito un “dolce”, continuo movimento sussultorio: ricordi di ieri che riaffiorano oggi di fronte a questo gigante della strada, protagonista della vita di molti ed elemento perfettamente integrato nei tessuti urbani delle città più grandi del Bel Paese. Si ringrazia per la preziosa collaborazione Claudio Bellini.


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MEZZI FERROVIARI

“TIGRE”, I GIGANTI D’ACCIAIO IN VIA D’ESTINZIONE CON LE E.632/E.633/E.652 SOPRANNOMINATE “TIGRE” FINISCE L’EPOPEA DELLE GLORIOSE “SEI ASSI” E INIZIA QUELLA DELL’ELETTRONICA DI POTENZA PER UNA MIGLIORE GESTIONE DEI SISTEMI A CORRENTE CONTINUA

di Luca Marconetti - foto foto Franco Pepe e Alberto Perego La E.633 086 fotografata nei pressi di Imperia Porto Maurizio (linea storica a binario singolo) nel gennaio del 1994, in testa a un treno Interregionale, caratterizzato dalle belle carrozze MDVE (Medie Distanze Vestiboli esterni), in livrea rosso/argento: coeve delle “Tigre”, saranno fra le più trainate dalle nostre protagoniste. Da notare il “cavo” per lo sgancio rapido della maglia nei servizi di spinta ai convogli merci su pendii molto ripidi. In basso a sinistra invece, la condotta a 78 poli per il telecomando della semipilota. (foto

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Franco Pepe - Littorina.net)

egli anni ’70, molte ferrovie europee vanno verso l’applicazione dell’elettronica nella gestione della potenza delle proprie locomotive a trazione elettrica, Francia in testa, con lo sviluppo e la presentazione del mitico TGV, elettrotreno ad alta velocità il cui sviluppo inizierà nel 1976, proprio nello stesso periodo nel quale, in Italia, le Ferrovie dello Stato iniziano a pensare a una nuova famiglia di locomotive caratterizzate da tecnologie inedite, da affiancare alle tradizionali “sei assi” 656 e “quattro motori” 444: stanno arrivando le macchine “Full Chopper”, dotate di controllo elettronico-digitale della trazione (in luogo dei precedenti comandi elettro-meccanici), le E.632/E.633 alle quali seguiranno più tardi le E.652. e che, come di convenzione all’epoca per tutti i nuovi mezzi su rotaia presentati, saranno soprannominate dai ferrovieri (tramite concorsi via via banditi sul notiziario “Voci della Rotaia”) con il nome di un animale, in questo caso “Tigre”. La tecnologia che avrebbe reso particolari e piuttosto potenti le “Tigre”, che a loro volta avrebbero condizionato massicciamente il panorama

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ferroviario Italiano di tutti gli anni ’80, ’90 e 2000, sarà in realtà testata per la prima volta su un esemplare di E.444 “Tartaruga”, la prima locomotiva studiata per i rapidi e gli espressi in grado di raggiungere i 200 km/h, la 005 del 1975. Si tratta di apparati installati da una ditta specializzata, la Tecnomasio Italiano Brown Boveri di Vado Ligure (oggi confluita nella canadese Bombardier) che permettono, invece di fare ricorso a motoalternatori o convertitori statici che distribuiscono la corrente a più motori, di alimentare ogni singolo motore per mezzo di una colonna (chopper) autonoma, in grado, in presenza di alimentazione a corrente continua, di variarne la tensione ai capi da 0 a 1800 V mentre, tramite un chopper ausiliario a bassa tensione, avere motori di trazione a eccitazione indipendente in maniera proporzionale alla corrente di indotto dei motori, senza costringere tutti i motori a una identica tensione. In parole povere, ogni unità è ora in grado di modulare la sua potenza via via secondo le diverse esigenze della macchina e quindi garantire un maggior equilibrio di funzionamento.


MEZZI FERROVIARI

LE E.633/E.632

Dopo la sperimentazione sulla E.444 005, Ferrovie dello Stato decide di commissionare un progetto per una serie di locomotive elettrice Full Chopper, per la prima volta totalmente all’esterno: alla Fiat Ferroviaria di Savigliano (CN) per la parte meccanica e l’assemblaggio, alla già citata TIBB di Vado Ligure (SV) per la tecnologia elettronica della quale abbiamo discorso poche righe prima. Nella fattispecie i tecnici avrebbero dovuto rispettare il layout a 3 carrelli da due assi ciascuno (rodiggio - ossia l’insieme di ruote, cerchioni, assi motori, assi ruota, boccole, cuscinetti e tutti gli organi che collegano la cassa alla rotaia - detto B’B’B’), come sulle E.626, E.636, E.646 ed E.656 “Caimano” (di quest’ultima dovrà uguagliarne se non superarne le prestazioni), introdurre un nuovo sistema di regolazione continua della trazione, semplificazione costruttiva e modularità, così da poter sviluppare sulla sua base unità più potenti o adatte alla marcia su reti estere e uno sviluppo rapido dei prototipi da tramutare quanto prima nella produzione di serie. Ben presto la Fiat Ferroviaria di Savigliano giunge alla conclusione che, per rispettare il capitolato e presentare un mezzo convincente ed efficace, si sarebbe potuta scegliere, in luogo dell’ormai tradizionale struttura a due semicasse che interessano le E.636/E.646 e i “Caimano”, una cassa unica, come le “4 assi” E.424 ed E.444: questo avrebbe infatti garantito peso (meno 20% rispetto al “Caimano”), ingombri inferiori e maggiore stabilità. Si segue questa filosofia anche nella scelta dei carrelli, non più quelli lunghi e massicci delle sorelle più anziane ma nuove unità derivate dai più piccoli delle locomotive diesel D.445 da 1.960 mm, qui opportunamente allungati per ospitare motori più grandi. Anche le ruote diminuiscono di diametro rispetto alle articolate, di ben 200 mm. Per ovviare all’effetto della cassa articolata, il carrello centrale della nuova locomotiva “elettronica” è dotato di “gioco” per migliorare l’escursione laterale e non incidere troppo sulla rotaia interna in fase di curvatura. Inoltre, i carrelli più piccoli avrebbero fatto registrare importanti novità: prima di tutto lo spazio fra uno e l’altro, razionalizzato per ospitare in vani compatti e ben organizzati batterie, serbatoi dell’aria compressa e induttanze del gruppo statico; poi avrebbero permesso una cabina più bassa con più spazio al suo interno per motori e apparati di bordo ma anche per le cabine di conduzione. I primi disegni piacciono a FS e lo sviluppo dei prototipi sarà rapido: il 4 aprile del

1979 avviene la corsa di prova mentre i primi lotti vengono consegnati ufficialmente a ottobre con il nomignolo “Tigre” (come da tradizione apposto anche sulle fiancate, disegnato a mo’ di fumetto da Sergio Ippoliti) e la denominazione ufficiale di E.633, nella quale le cifre tornano a essere fedeli alle caratteristiche che indicano: “6” per gli assi, il primo “3” per la serie con stesso schema meccanico e il secondo per i motori, a differenza del “Caimano” che, pur riportando il numero “6”, ha in realtà 12 motori. La linea, pur ricalcando quelle delle articolate, ossia doppia cabina, profili spigolosi e squadrati e frontali a sperone con parabrezza separato, è qui più incisiva e moderna, a partire dalla fanaleria ospitata in apposite nicchie quadrangolari per arrivare alla colorazione, in blu orientale/argento perla e dal disegno ricercato e dinamico, caratterizzato da motivi romboidali e trapezoidali che interessano l’intera cassa, mentre il simbolo FS del tipo “a televisore” in voga in quel periodo, è ora verniciato e inglobato nella fascia frontale blu, in luogo del badge a fondo rosso applicato sui frontali delle articolate. Per dimostrare quanto la E.633 sarà rivoluzionaria per il trasporto su rotaia in Italia, basti dire che chiuderà la serie delle locomotive elettriche a trazione continua iniziata con la E.626 del 1928 ed è anche l’ultima ad essere contraddistinta dal nome di un animale. Fra le caratteristiche tecniche, meritano di essere citate: l’impianto frenante, che sfrutta la frenatura elettrica fino a 40 km/h e poi quella pneumatica di un impianto a due motocompressori Westinghouse, con reostati TIBB piazzati sul tetto, così da permettere un raffreddamento “naturale” senza costosi impianti, e i pantografi monobraccio TIBB AM4 BVCC Tipo “Faiveley Francia”, istallati in luogo dei tradizionali a doppio braccio e montanti proprio per lasciar posto ai reostati succitati. I prototipi consegnati alle FS saranno cinque: quattro dotati di rapporti “corti”, in grado di raggiungere i 130 km/h e impiegabili sui carichi più gravosi per la maggior potenza di trazione, e uno a rapporti “lunghi”, per impegni più leggeri (per lo più treni passeggeri), in grado di raggiungere i 160 km/h, velocità più consona al servizio commerciale: le due diverse varianti sono riconoscibili dalla cifra E.632 per i rapporti lunghi (unità prototipale 001) ed E.633 per i rapporti corti (unità prototipali da 001 a 004). Le prime registreranno un peso di 77 tonnellate, le seconde di 88.

Lo schema della cassa e del rodiggio visto dal lato corridoio (caratterizzato dai tre oblò, mentre la fiancata lato motori non presenta finestratura se non quella delle cabine).

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MEZZI FERROVIARI

I prototipi E.632 001 ed E.633 001 al deposito locomotive di Milano Greco Pirelli, 1979. Da notare la fanaleria nelle nicchie quadrate con i fari rossi e verde di piccole dimensioni, i pantografi monobraccio, oltre all’assenza della condotta per il telecomando e dei rostri spalaneve a bande oblique nere e Gialle. (foto Alberto Perego)

Il prototipo E.633 003 con livrea rivestita per non svelare quella definitiva, durante un collaudo in testa a un treno internazionale (con tanto di E.444 di rimando) da Milano Centrale a Domodossola, da dove proseguirà poi verso la Svizzera. Siamo a fine 1979. (foto Alberto Perego)

Già durante la sperimentazione, le FS ordinano altre 15 E.632 e ben 75 E.633, consegnate a partire dal 1983. Queste, caratterizzate dalle sigle E.632 002÷016 ed E.633 005÷079, comporranno la prima serie vera e propria delle “Tigre” di produzione, distinguibili dai prototipi per alcune caratteristiche peculiari: esteticamente per la fanaleria rivista, con nicchie ridisegnate per ospitare proiettori bianchi di marcia e rossi di coda di dimensioni simili (in luogo delle luci rosse di coda dei prototipi di piccole dimensioni) e non più il fanalino verde per l’indicazione di convogli straordinari, ora posto sotto, per le maniglie di appiglio per la salita in cabina, ora color alluminio e non più verniciate in blu orientale, per i mancorrenti al tetto sopra la cabina di maggiori dimensioni e infine per il logo della tigre posto più in basso, sotto la modanatura blu. A livello tecnico, la novità più importante è invece caratterizzata dall’installazione del telecomando per semipilota (indicata esteriormente da una condotta a 78 poli), ossia un marchingegno che permette di utilizzare la locomotiva, posta in coda a un convoglio, come trazione, ma senza presenziarla e comandare la marcia da una cabina ricavata in una carrozza adibita allo scopo, all’estremo opposto, evitando di dover cambiare la posizione della locomotiva in caso di cambio senso di marcia o all’arrivo a destinazione con conseguente ripartenza per il tragitto di ritorno. Modificati poi i rapporti di trasmissione, pur

Il prototipo E.652 001 al deposito di Savona Parco Doria, nel settembre del 1989. Da notare la fanaleria con le due coppie di fari applicati senza nicchie, mentre spiccano il nuovo simbolo “a foglia” di grandi dimensioni e il connettore per il comando multiplo, quasi al centro del musetto inferiore. (foto Franco Pepe - Littorina.net)

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senza mutare le velocità massime: 36/64 contro 33/64 per la E.632 e 29/64 contro 27/64 per le E.633. Novità di dettaglio anche nel sistema di controllo elettronico. Proprio questo, come prevedibile, sarebbe stato oggetto di numerosi problemi di affidabilità e, soprattutto, di riparazione, considerato che fino a quel momento mai nelle officine era entrato un sistema tanto avanzato tecnologicamente. Fiat Ferroviaria e TIBB, per non perdere la fiducia di FS, si metteranno subito al lavoro per ovviare a questi problemi: l’intervento più importante sarà la sperimentazione di pantografi tradizionali a due bracci del Tipo “FS 52”, comunemente usati sul resto della produzione italiana e, conseguentemente, l’utilizzo di reostati di frenatura in ghisa Fusani più compatti per lasciar posto ai pantografi 52. Saranno ancora i prototipi E.632 001 ed E.633 001 a testarli, essendo caratterizzati da un pantografo per tipo così da saggiarne le differenze. Un altro test condotto sugli esemplari E.633 006 e 016 sarà quello del comando multiplo per accoppiarsi a un’altra unità, per impegni particolarmente pesanti o su tratti di linea ripidi e bisognosi di molta trazione. Infine, a un occhio attento, non sarà sicuramente scappato uno strano “cavo” volante sul muso di alcune unità: in presenza di tratti con pendenza notevole, alcuni treni merci molto pesanti hanno la necessità, oltre che di essere trainati, di essere spinti da una locomotiva piazzata in coda che, alla fine della salita, si sgancia dal convoglio semplicemente

La E.632 012, fotografata in testa a un Eurocity proveniente dal nord Europa nel settembre 1994, mentre transita nella località di Cucciago (CO), sulla linea Chiasso-Milano. In composizione le carrozze per servizi internazionali UIC-Z Eurofima (consorzio al quale parteciperanno molte ferrovie europee) in livrea “C1” arancio brillante (condivisa da molte ferrovie) e quelle per i servizi IC/EC UIC-Z1 nelle livree “bandiera” (bianco/grigio/blu) e “bigrigio”. (foto Franco Pepe - Littorina.net)


MEZZI FERROVIARI tirando il cavo in oggetto e sganciando la maglia di attacco al carro. Alla luce di questi test migliorativi, FS commissiona a Fiat Ferroviaria e TIBB un’altra importante partita di 122 “ Tigre”, quelle che saranno ricordate come seconda serie e consegnate tra il 1985 e il 1988: 50 E.632 (017÷066) e 72 E.633, 32 con solo telecomando per semipilota (080÷111) e 40 predisposte anche per comando multiplo di due unità (con presenza sul musetto inferiore di condotta a 13 poli, le 200÷239). Esteticamente ricalcano la prima serie ma tecnicamente presentano novità che renderanno le “Tigre” fra le locomotive più affidabili e apprezzate dai ferrovieri: ora sono tutte equipaggiate dai pantografi a due bracci Tipo FS 52 (che vengono installati anche alle prime serie, eccetto poche unità che manterranno i Faiveley) e hanno nuovi gruppi statici. Anche sulla seconda serie avvengono sperimentazioni: sulla E.632 043 si istallano nuovi motori TIBB serie “1000” a 8 poli in luogo dei precedenti serie “850” a 6 poli che innalzano la potenza a 6.000 kW e i test sulla linea francese a 1,5 kV dell’unità E.633 235, con pantografo strisciante SNCF aggiunto a quello italiano, per effettuare servizi tra Italia e Francia, via traforo del Frejus, senza sostituire la locomotiva alla stazione di confine di Modane. Le E.632 ed E.633 saranno locomotive adattabili a una svariata serie di servizi e in grado di affrontare qualsiasi via ferrata dotata di trazione elettrica: le E.632 saranno utilizzate prevalentemente nei servizi passeggeri, specie quelli del trasporto locale e fra regioni confinanti, in testa a treni classificati Diretti, Regionali e Interregionali, mentre le E.633 saranno attestate a treni merci o servizi passeggeri pesanti, quali Espressi e Rapidi. Entrambe avrebbero poi preso gradualmente il posto delle E.646 nei servizi “Navetta” (trasporto locale con semipilota), ruolo che sarebbe inizialmente spettato alle più rapide E.632 trasformando un lotto di E.633 ma alla fine, questo avvenne per sole tre unità.

E.652

Se la sperimentazione della doppia alimentazione per la marcia Oltralpe non avrà seguito, esiti positivi avrà quella dei nuovi motori serie “1000” che, di fatto, daranno vita a una serie “derivata” di locomotive con caratteristiche simili alle altre “Tigre” ma con peculiarità specifiche, le E.652. La E.632 043 svilupperà una potenza tre volte superiore a quella dell’antenata E.636, il che spinge la TIBB a proporre a FS di realizzare una macchina con le capacità di traino delle E.633 ma la velocità delle E.632 (160 km/h), in grado quindi di essere una macchina

universale, adatta ai merci su forti pendii come ai nuovi treni internazionali rapidi “Eurocity”, in grado quindi, senza necessità di cambiare macchina, di garantire la marcia di un convoglio, per esempio diretto in Germania, da Roma al Brennero, sfrecciando a 160 km/h sulla linea Direttissima fino a Firenze, percorrendo poi la linea tradizionale fino a Bolzano e poi arrampicandosi senza sforzi fino al Brennero. FS accetterà nel 1986 e annullerà l’ordine degli ultimi sei “Caimano” per preferire altrettanti prototipi della nuova “Tigre” polivalente, presto seguiti da un ordine di 100 esemplari. Le E.652 sono caratterizzate da motori TIBB serie “910” in grado di erogare 5.500 kW alla ruota, telecomando per semipilota e comando multiplo, anche in coppia con E.633. Esteticamente le differenze con la E.632/E.633 sono poche e limitate a pochi dettagli: il più visibile è il nuovo logo FS “a foglia”, più grande, sempre sul muso, mentre anche qui abbiamo una differenza nelle fanalerie tra i prototipi - con le due coppie applicate al muso senza nicchie tipo “Caimano” - e gli esemplari di serie, con le nicchie identiche a quelle delle E.633 ma con fanali rossi, ora verso l’interno. Più confortevoli le cabine, dotate di aria condizionata (che verrà installata anche su diverse unità E.632/E.633). Affidabili e potenti, entreranno in servizio altri due lotti di E.652: uno da 20 unità a partire dall’aprile 1992 e uno da 50 dal 1993. Le ultime “Tigre” saranno consegnate nel marzo del 1996. Abbiamo poi parlato della modularità delle “Tigre”, dalle quali sarebbero dovute nascere macchine a 8 assi e 4 motori (E.844) e a 6 assi ma con 6 motori (E.666/665) che rimarranno però entrambe sulla carta mentre verrà realizzata la versione ridotta a 4 assi denominata E.620, in tre unità per le Ferrovie Nord Milano nel 1984: dotate di due carrelli (rodiggio B’B’), pantografi monobraccio e comando per semipilota, saranno soprannominate “Tigrotti”. Oggi, molte E.632 ed E.633 sono state demolite o accantonate nei depositi mentre rimangono in servizio 174 di 176 unità E.652 che sono però state modificate con rapporti più corti (29/64 invece che l’originario 36/64) e limitando la velocità a 120 km/h, attestandole a convogli merci, specialmente quelli transitanti su linee acclivi. Le “Tigre” avrebbero chiuso l’epopea delle macchine a 6 assi e definitivamente fatto tramontare l’azionamento a corrente continua, per tornare all’azionamento trifase (introdotto a partire dalle moderne E.402) affidato a più efficaci e moderni apparati inverter statici per alimentarsi comunque dalla tradizionale linea a corrente continua. In transito a Colle Isarco (BZ), la E.652 072 in testa all’Espresso internazionale 432/433 “Val Pusteria”, espletato con materiale dell’austriaca ÖBB, che collegava Vienna con Innsbruck passando dall’Italia: attraverso il confine di Prato alla Drava verso San Candido, Brunico, Fortezza e poi, immettendosi sulla linea Verona-Austria, il Brennero per rientrare in territorio austriaco cambiando, lungo il percorso, ben 3 locomotive. In territorio italiano il servizio era affidato prima alle E.636/646 poi alle E.652.

E.652 099 in testa all’Espresso notturno Roma Termini-San Candido nel luglio 1995, mentre transita nella località altoatesina di Casteldarne/Ehrenburg, sulla linea Fortezza-San Candido. Nella configurazione di serie la E.652 avrà la stessa fanaleria delle E.633 ma con fari rossi all’interno. (foto Franco Pepe - Littorina.net)

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VITA DI CLUB

PER IL CMAE DI MILANO IL LOCKDOWN SI AFFRONTA CON UN CONCORSO FOTOGRAFICO Si è concluso il 15 maggio il “Concorso fotografico aprile 2020 #iorestoingarage: La nostra passione in uno scatto ai tempi del coronavirus”, organizzato dal Club Milanese Automotoveicoli d’Epoca per coinvolgere da lontano i propri soci durante l’ultimo mese di lockdown. L’iniziativa, nata su proposta di uno degli iscritti al Club, ha voluto offrire a tutti i soci una occasione per sentirsi più vicini agli amici in un momento difficile e per manifestare la grande passione che unisce, anche a motori spenti, tutti gli amanti dei veicoli d’epoca. Ispirato dall’hashtag #iorestoingarage, diventato virale in questi mesi su vari profili social dedicati ai motori, il concorso ha voluto immortalare le auto e le moto d’epoca all’interno di garage, cortili o giardini (ma anche delle mura domestiche, in alcuni casi); nel giro di poche settimane sono stati inviati oltre 80 scatti tra auto e moto, rappresentativi del particolare momento storico vissuto da tutti noi.

I partecipanti hanno interpretato il tema dando spazio alla fantasia e al proprio estro: il risultato è stata una gallery ricca di immagini intense, divertenti, tecnicamente sofisticate, originali, ma soprattutto significative e reali, capaci di esprimere al meglio il rapporto che ogni socio ha con la propria passione a due o quattro ruote. I vincitori, uno per la categoria auto e uno per la categoria moto (le cui immagini correlano questo articolo), riceveranno in premio l’iscrizione gratuita al Club per l’anno 2021. L’iniziativa del CMAE si aggiunge alle altre attività promosse e appoggiate dal Club nell’ultimo periodo a sostegno dell’emergenza sanitaria. Un modo per mantenere vivo il legame con i soci e per essere presente sul proprio territorio in modo concreto, in attesa di tornare a riempire le strade della Lombardia con eventi e sfilate a bordo di bellissimi gioielli d’epoca.

IL VELOCIFERO DI RIMINI FRA RADUNI VIRTUALI E INIZIATIVE BENEFICHE

#PASQUETTAINGARAFE PER LA MANOVELLA DEL FERMANO

Nei giorni 25 e 26 aprile, lo Sportclub Il Velocifero di Rimini, avrebbe dovuto organizzare il suo classico Raduno “Il Primavera di Augusto Farneti”. A causa della situazione che tutti ben conosciamo però, questo non è potuto avvenire, per lo meno nella modalità classica, perché i soci hanno voluto lo stesso trovare un momento per condividere, anche se a distanza e in maniera virtuale, un momento insieme, per vivere la propria passione per le due ruote e per ricordare il compianto prof. Farneti: tramite whatsapp, il numero di telefono del club ha ricevuto tantissimi video di soci del Velocifero che mostravano la propria motocicletta con il motore acceso, sulla porta del garage o nel vialetto di casa e la targa Oro di omologazione ASI. Le adesioni sono state circa un centinaio, raccolte dal club. Durante la quarantena inoltre, il Velocifero si è attivato per poter dare una mano agli enti presenti sul territorio e, il 17 aprile, ha consegnato alla Casa di Cura Valloni di Rimini (consegnandole alla responsabile della Struttura Manuela Graziani davanti alla stessa), 350 mascherine atte alla protezione personale per evitare il contagio e la diffusione del Coronavirus. Protagonista della consegna è stata una BMW R60.

Il giorno di Pasquetta, solitamente, il Club marchigiano La Manovella del Fermano, organizzava una gita “fuoriporta” con tanto di pic-nic sui prati, in compagnia dei propri mezzi d’epoca, siano essi a due o quattro ruote, auto, moto o trattori. Quest’anno tutto ciò non è stato possibile cosicché, la segreteria del sodalizio con sede a Fermo, ha invitato tutti i suoi soci e amici a fare un “video-saluto” (come quello dell’immagine col presidente del Club Giovanni Ricci che mette in moto il suo Landini) con l’hastag #pasquettaingarage: l’adesione è state davvero enorme, ognuno ha mostrato i propri mezzi al riparo, in campagna o davanti a casa, in moto e in perfetta efficienza nonostante non possano lasciare le rispettive dimore. Non sono poi mancati i soci che hanno voluto spendere parole di incoraggiamento e di speranza per il futuro incerto. Tutti i contributi sono stati poi uniti e montanti in un bellissimo video che potete vedere nella pagina Facebook del club e che rimarrà a memoria di questo particolarissimo periodo e a testimonianza di una passione tanto grande e condivisa, anche in periodo di lockdown. L’attività del club riprende invece con la manifestazione Drive In il 10 e 11 luglio: i soci sono invitati, a bordo delle proprie auto d’epoca, alla visione di un film (di solito un grande classico del cinema) nella magnifica atmosfera di piazza Del Popolo, a Fermo, senza scendere dalla propria auto, modalità per altro tornata ultimamente alla ribalta per favorire il distanziamento sociale.

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IN LIBRERIA

UN SECOLO DI RALLY: QUANTE STORIE!

NIKI E IL MECCANICO Chi era Niki Lauda? Che pilota era in pista e che uomo era nella vita di tutti i giorni? Cosa ha significato la sua figura all’interno del “Circus” della massima formula? E quali sono stati i momenti importanti della sua vita privata che sarebbe indelebilmente mutata in quel terribile incidente al Nürburgring? Nessuno come un collaboratore stretto, non soltanto ai box e ai muretti dei Gran Premi, ma anche all’esterno, può raccontare una personalità e tratteggiarne il carattere, i vizi, le virtù, le bontà e le insofferenze. È questo tutto ciò a cui si è lasciato andare Ermanno Cuoghi, meccanico di fiducia del Campione del Mondo Niki Lauda (due volte, nel 1975 e 1977), uno dei personaggi più emblematici della Formula 1, prima che uno sportivo di rango un uomo dall’animo pacato e gentile, che sulle piste era sempre pronto ad aiutare gli altri e a dispensare uno dei suoi sorrisi malinconici. Ma non solo Lauda: nei suoi racconti, molti dei quali inediti, si svelano aspetti segreti di personaggi famosi e si rivivono avvenimenti tragici e comici dagli anni ‘50 ai ‘70, fra i più belli e interessanti nella storia dell’automobilismo sportivo. Perché Ermanno Cuoghi, modenese classe 1935, nei circuiti ci ha bazzicato per 40 anni, coronando la sua carriera come capo meccanico in Ferrari. A raccontare questo indelebile periodo di F1 è la giornalista Federica Ameglio che proprio in quegli anni muoveva i suoi passi nel motorsport.

“Ermanno Cuoghi, Il meccanico di Niki Lauda” di Federica Ameglio, Libreria ASI, testo in italiano, foto in B/N, 232 pagine, 18,00 €

Si parla di tutto e di più, nel libro “100 Anni di Storie di Rally”, scritto da Marco Cariati, giornalista torinese. Si tratta di un supplemento editoriale al giornale telematico “Storie di rally” che Cariati dirige, rintracciabile sul sito www.storiedirally.it, Storie di personaggi - iniziando da Carlo Abarth e proseguendo con Cesare Fiorio, Walter Rohrl, Miki Biasion, Andrea Zanussi, Paolo Andreucci, Attilio Bettega (per citarne alcuni) - e di gare (come quelle del Campionato Italiano Rally, dell’Europeo e del WRC mondiale), con aneddoti su dov’erano state disputate e com’era andata, senza dimenticare il Campionato Monomarca “inventato” dalla Lancia per creare nuovi campioni facendoli debuttare sulle Autobianchi A112 Abarth. Cariati segnala anche i debutti delle vetture e i risultati più salienti (raccontati) di alcune Marche e di alcuni piloti. Interessante e divertente da leggere. Peccato che sul libro manchi qualche bella fotografia… potete comunque godervele sul bellissimo sito citato poco sopra.

“100 Anni di Storie di Rally” di Marco Cariati, edizioni Storie di Rally, testo in italiano, 275 pagine, disponibile su www.storiedirally.it

EMOZIONI COL NASO ALL’INSÙ Nessuna frase meglio del sottotitolo del libro che abbiamo di fronte è più indicata per spiegare quello che le Frecce Tricolore significano per il nostro Belpaese: “Orgoglio Nazionale”. E lo dimostrano, per la gioia di chi rimane con il naso all’insù ad ammirarli, commosso, a ogni passaggio: non più tardi di questi giorni difficili, mentre scriviamo, la Pattuglia Acrobatica Nazionale sta sorvolando i cieli d’Italia per portare un po’ di allegria, colore e spirito nazionalistico. In questo testo, il fotografo Antonio Biasioli, si allontana per un attimo dalla sua grande passione, i rally, e “apre” il suo archivio offrendoci le spettacolari immagini scattate alle mitiche “Frecce” in tantissime manifestazioni in tutta Italia e in un ampio arco temporale. Completano l’opera una breve storia della PAN e i contributi del comandante Alberto Moretti e del fotografo-pilota Andrea Colombo.

“Frecce Tricolore. Orgoglio Nazionale” di Antonio Biasioli, Editrice Elzeviro, testo in italiano, foto colori, 180 pagine

VIAGGIO NELLO SPAZIO E NEL TEMPO Dove nascono quei sogni che tutti noi appassionati abbiamo fatto almeno una volta nella vita e che rispondono al nome di “Ferrari”? La risposta è abbastanza ovvia, nel quartier generale di Maranello, Modena. Quella che è invece un po’ meno ovvia è la possibilità di scoprire Maranello dal suo interno, da quelle sue “viscere” leggendarie dalle quali sono nati miti assoluti, da strada e da competizione. È quello che ci permette di fare il libro “Dentro la Scuderia”, scritto da chi, quei luoghi, li conosce molto bene: Angelo Castelli, una carriera in Ferrari, dipanatasi in diversi reparti produttivi del Cavallino Rampante. Il suo infatti non è il semplice e asettico racconto di una “visita guidata” bensì una narrazione che cavalca nel tempo oltre che nello spazio, diventa anche un ricordo personale, il rimembrare un’esperienza di vita professionale senza mai celare l’orgoglio di aver dato il proprio servizio a una delle più importanti aziende del Made in Italy. La prefazione di Jean Todt ci introduce a sette capitoli che ripercorrono la storia del brand da un punto di vista diverso, con fotografie per la maggior parte inedite e facenti parte dell’archivio di Castelli, soffermandosi dettagliatamente su ogni sfaccettatura dell’azienda, comprese quelle più difficili, e spiegando passo dopo passo l’evoluzione di un sogno, quello chiamato Ferrari.

“Dentro la Scuderia” di Angelo Castelli, Artestampa Edizioni, testo in italiano e inglese, foto b/n e colori, 285 pagine, 48,00 €

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