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SUL FILO DELLA MEMORIA
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Riccardo Cuor di Leone
QUANDO PATRESE SFIORÒ IL CAMPIONATO DEL MONDO.
È stato il pilota italiano che ha partecipato al più alto numero di Gran Premi di Formula 1: 256, vincendone sei: Monaco 1982, Sudafrica 1983, Imola 1990, Messico e Portogallo ‘91, Suzuka ‘92, i primi due su Brabham, gli altri quattro su Williams. Avrebbe potuto vincerne almeno il doppio se un guasto o qualche imprevisto non lo avesse tradito quando era in testa. Ha resistito ai massimi livelli per quattordici anni, altro record imbattuto. Ed è stato vicecampione del mondo di F1 nel 1992. Solo Alberto Ascari ha vinto più gran premi di lui, ma disponendo di un’auto, la Ferrari, che nel 1952 e 1953 era imbattibile. Lui Riccardo Patrese, nato il 17 aprile 1954 a Padova, sposato con Susi e padre di tre fgli, uno dei quali, Lorenzo, lo scorso anno ha debuttato in F4, alla Ferrari ha sempre trovato le porte chiuse, solo promesse. Eppure correva forte. Ma non era avvezzo agli inchini. Parlava chiaro. Una dote che a volte si rivelò controproducente nei cauti equilibri del potere motoristico, più passi felpati che aspre verità. Di fortuna ne ha avuta poca. È arrivato diciassette volte secondo e mai nessuno di chi stava davanti a lui, spesso campioni del mondo, si è fermato per un guasto. Cosa che invece è capitata spesso a lui quando era in testa. Ebbe anche la sfortuna di essere travolto nel groviglio del Gran Premio d’Italia 1978, che provocò la morte di Ronnie Peterson per embolia gassosa. Lo accusarono ingiustamente. Peccato fossero accuse infondate e l’autore della manovra azzardata fosse inglese, fresco e fortunoso campione del mondo. L’anno dopo Enzo Ferrari non mantenne l’impegno che aveva frmato per l’assunzione a Maranello. E nel 1983 il pubblico ferrarista di Imola non gli perdonò di aver superato Tambay. Ma andiamo con ordine. Riccardo, com’era la Formula 1 alla fne degli anni Settanta “Era un club privato gestito da un gruppo ristretto che intimidiva i novellini. Li chiamavano i “Senior” ed erano tutti campioni del mondo. Si chiamavano Niki Lauda, James Hunt, Mario Andretti, Emerson Fittipaldi e Jody Scheckter, grossi calibri che mettevano sotto pressione chi doveva entrare nel giro, soprattutto se camminava forte”. Dopo Monza, i “Senior” in issero una lezione al ragazzino italiano che aveva già sforato la vittoria. “In Sudafrica, nel 1978, alla mia seconda stagione, ero rimasto in testa per tre quarti di gara con la Arrows”, racconta Patrese. Sta di fatto che, nell’assenza di una governance autorevole della FIA, dopo il crash di Monza a Patrese venne impedito di gareggiare al Gran Premio Usa Est, sulla pista di Watkins Glen. I team minaccia-
di Danilo Castellarin
rono gli organizzatori dicendo che, se avessero accettato Patrese, loro non avrebbero corso, ricattandoli. “Costrinsero per vie traverse la Arrows, la mia scuderia, a ritirare l’iscrizione della mia auto. Mi appellai anche ad un giudice americano per chiedere se era giusto che io fossi escluso e lui rispose che io ero libero di partecipare. Ma non se ne fece nulla. La Arrows era al primo anno di Formula 1 e preferì ritirare l’auto”. Qualche tempo dopo Patrese venne scagionato, con tante scuse. Ma quella soverchieria gli condizionò la vita. All’inizio dello stesso anno, il 1978, il padovano aveva frmato una lettera d’intenti con la Ferrari. Che rimase congelata per quattro anni. Nello stesso periodo Ecclestone, che stimava molto Patrese, gli propose un contratto triennale. Lui tentennò, tradito dalla speranza di Maranello. “Se avessi frmato er a ra ham, orse sarei iventato io cam ione e mondo del 1981, e non Piquet”. Nel 1982 il direttore amministrativo della Ferrari Ermanno Della Casa gli telefona e gli dice che la chiamata a corte è imminente. Stavolta pare sia la volta buona. Ma esigenze commerciali suggeriscono a Modena che è meglio ingaggiare il parigino Didier Pironi. Patrese ricambia la cortesia vincendo il Gran Premio di Monaco su Brabham. Da allora più nessun contatto con il Cavallino, che puntò su Michele Alboreto, per carattere e inclinazione più accondiscendente, devoto, disponibile, stile Lorenzo Bandini. Qualche errore, in verità lo commise anche Riccardo, come al Gran Premio di San Marino del 1983, quando, a pochi giri dalla fne, usc di pista mentre era in testa con la sua Brabham alla curva delle Acque Minerali, lasciando via libera alla Ferrari di Patrick Tambay. “Quell’errore mi cost i cam ionato. i tar ai e a i e a ue giorno a ra ham unt su Nelson Piquet. Fino allora invece ero anch’io in lizza per il titolo. Dopo Imola venni usato come cavia. Sperimentavo io le nuove soluzioni e subii molti guasti. Se invece andavano bene, alla gara successiva il nuovo pezzo veniva montato anche sull’auto di Piquet”. Cosa provò un pilota italiano davanti a un pubblico, italiano come lui, che lo fschia solo perché guida un’auto bianca e blu, solo perchè sta davanti alla Ferrari “Certi tifosi hanno il paraocchi. Colpa di una cattiva educazione e di poco cuore sportivo. Gli olandesi colorano le tribune di arancio per sostenere Max Verstappen, comunque vadano le cose. In Italia si passa con disinvoltura dalle esaltazioni collettive del sabato alle palate di fango del lunedì”.
Patrese su Brabham Bmw al GP Francia 1986, pista di Le Castellet.
Patrese e Castellarin durante l’intervista.