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Produzione e mercato: i dati dell’industria alimentare

I prezzi delle commodity alimentari avevano cominciato a crescere già nel corso della seconda metà del 2021. Ma i contraccolpi legati allo scoppio del conflitto russo-ucraino, nel febbraio 2022, hanno recato un vero shock ai prezzi delle materie prime energetiche e di parte di quelle alimentari. Dopo il Covid, è piombato nel nostro sistema un nuovo virus, quello dell’inflazione, che in Italia ha raggiunto il picco del +11,8% nel bimestre ottobre-novembre 2022, per poi scendere al +7,6% a marzo 2023. Si ricorda che il passo dell’inflazione nazionale nel 2021 era stato pari al +1,9%, dopo il leggero effetto deflativo (-0,2%) del 2020 e il contenuto +0,6% del 2019.

Così, se l’emergenza sul fronte energetico ha colpito tutto l’universo produttivo nazionale, le criticità innescate dalle impennate delle quotazioni delle materie prime agricole hanno impattato in modo significativo e aggiuntivo, direttamente e indirettamente, su oltre due terzi della produzione dell’industria alimentare, profilando un sostanziale accerchiamento del settore. Non a caso, il saldo agroalimentare del Paese ha precipitosamente invertito la rotta, ritornando in rosso per 2,9 miliardi di euro, a consuntivo 2022, dopo gli attivi superiori ai 3 miliardi del biennio precedente. E questo, per l’esplosione del valore delle importazioni primarie, arrivate a sfiorare la quota di 30 miliardi, con una crescita fra il +30% e il +50% rispetto a quelle degli anni immediatamente precedenti.

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In questo quadro, il PIL del Paese ha raggiunto nel 2022 la quota di 1.909 miliardi di euro, con variazioni del +6,8% in valuta corrente e del +3,7% in valori costanti sull’anno precedente. Esso si è distinto, una volta tanto, come uno fra i più brillanti dell’area euro. Occorre precisare tuttavia che, malgrado tale accelerazione, il PIL nazionale in valuta costante (unico fra i grandi paesi europei) è ancora rimasto sotto di 2,8 punti rispetto al livello raggiunto nel 2007: anno che precedette la crisi Lehman Brothers. Con una previsione di crescita prossima al +1% per l’anno in corso e fra l’1 e l’1,5% nel 2024, il sor- passo di quella soglia appare rimandato perciò (emergenze internazionali permettendo) al biennio 2025-26.

La pigrizia di lungo corso del prodotto lordo nazionale è emblematica della cronica crisi di produttività che penalizza il sistema-Paese. Sono illuminanti, in proposito, i dati Ocse sulla produttività “multifattoriale”, che include tutti quegli elementi che contribuiscono alla crescita del PIL ma che non possono essere spiegati dall’accumulazione di capitale e lavoro.

Ne è uscito che, negli ultimi 20 anni, l’Italia ha registrato un calo di produttività del -0,3% annuo, contro una media OCSE del +0,3%. Nel periodo, la crescita del PIL nazionale è stata infatti sostenuta esclusivamente dall’accumulazione di capitale. Tra il 2002 e il 2011 la produttività è scesa del -0,6% all’anno (-3,3% solo nel 2009, dopo la crisi Lehman Brothers), contro una media OCSE del +0,4%. Era il periodo in cui la Cina ha fatto il suo ingresso definitivo nel mondo globalizzato con l’accesso al WTO, l’Italia è entrata nell’Area Euro e la crisi finanziaria ha colpito duramente l’economia mondiale. Nel secondo decennio di riferimento (2012-2021), la produttività è rimasta completamente piatta. Da qui il -0,3% medio del ventennio prima citato. Guardando nello specifico alla produttività del lavoro nazionale (calcolata col rapporto tra valore aggiunto in valori costanti dei grandi aggregati economici e le rispettive unità di lavoro), si evidenzia che il totale industria sale del +1,6% nel quadriennio 2018-22, contro il +3,1% del Paese nel suo complesso. Il gap dell’industria si lega soprattutto al denominatore. Le unità di lavoro del totale industria, infatti, crescono nel periodo del +3,1%, mentre quelle nazionali scendono del -1,0% e questo evidentemente amplifica il quoziente legato al macro-aggregato nazionale. In questo quadro, l’industria alimentare ha consolidato un capitale significativo di crescita e competitività, all’interno e sui mercati internazionali, a vantaggio di tutto il Paese. L’industria alimentare è riuscita infatti, ancora una volta, a portare a casa risultati importanti. A cominciare dalla di-

VALORE AGGIUNTO - QUINQUENNIO 2018-2022 VALORI CORRENTI (milioni di euro) namica della produzione, che ha consentito di chiudere il consuntivo 2022 con un tendenziale del +1,2%, superiore al +0,5% del grande aggregato industriale. D’altra parte, il passo premiante dell’industria alimentare, rispetto al manifatturiero nazionale nel suo complesso, viene da lontano. Se si confrontano i trend di produzione delle due grandezze sull’arco di tempo che va dal 2007 al 2022, ne esce che l’alimentare è cresciuto del +8,2%, mentre il totale industria è sceso del -20,6%. La resilienza recente della manifatturiera italiana si deve anche a questa forte cura dimagrante, che ha circoscritto e reso più solido il perimetro delle aziende che sono riuscite a scavallare la crisi. La forbice vistosa tra industria alimentare e totale industria si lega peraltro alle doti anticicliche messe in campo dal settore nei periodi di crisi (Lehman Brothers e pandemia) e alla forte spinta espansiva che esso ha saputo imprimere all’export nel frattempo.

Il capitale accumulato dal settore, tuttavia, non è uscito indenne dagli eventi occorsi nel 2022, ma è stato intaccato, soprattutto nella fascia delle PMI. L’anno scorso l’industria alimentare è andata incontro, infatti, a una vera “tempesta perfetta”, per l’accerchiamento subito dalle contemporanee impennate delle quotazioni di numerose materie prime e dell’energia: voci, entrambe, di cui è largamente e obbligatoriamente tributaria all’estero.

Sono emersi così due fenomeni, in vistoso contrasto con la storia recente del settore. Il primo. Dopo decenni nei quali i prezzi alimentari sono sempre stati calmieratori, crescendo in sostanza sempre meno dell’inflazione (o al massimo affiancandola, del tutto episodicamente), essi nel marzo 2023 hanno raggiunto, con riferimento all’“alimentare lavorato”, il picco tendenziale del +15,3%. Che significa il doppio dell’inflazione, che in parallelo si è attestata sul +7,6%.

Il secondo fenomeno. Il mercato alimentare, dopo essere stato caratterizzato nel tempo da una marcata stabilità (ribadita anche nei precedenti periodi di crisi, in stretto legame con le doti anticicliche del settore), ha assistito l’anno scorso a un calo tendenziale medio, in quantità, delle vendite alimentari del tutto anomalo, pari al -4,2%. E questo, a fronte di un aumento in valore (per drogaggio prezzi) delle vendite alimentari in media d’anno del +4,7%.

Nell’ultimo trimestre 2022 i cali delle vendite alimentari hanno accusato punte fra il -6,0% e il -8,0%, senza precedenti negli ultimi decenni. I dati di avvio 2023 non hanno cambiato la situazione, con un -4,7% in quantità e un +7,6% in valore, a febbraio, che hanno innescato una forbice record di 12,3 punti.

L’ultimo trend dei “prezzi alimentari aggregati” di marzo è rimasto stabile al +12,9%, come nel mese precedente. Con l’“alimentare lavorato” che si è assestato su un tendenziale del +15,3%, dopo il +15,5% di febbraio e l’“alimentare non lavorato” che, dopo alcuni mesi di progressivo ridimensionamento, è risalito al +9,1%.

Il calo marginale di marzo dei prezzi al consumo dell’“alimentare lavorato” si lega al progressivo rallentamento, a monte, dei prezzi alla produzione dell’industria alimentare. I quali hanno segnato a febbraio un +13,8%, dopo il +14,8% di gennaio.

C’è da dire piuttosto che, considerando che essi avevano raggiunto il picco del +17,3% a novembre, il rimbalzo sugli scaffali appare ancora molto modesto. Il taglio di 3,5 punti dei prezzi alla produzione nel trimestre novembre-febbraio si è tradotto in un aumento parallelo di 0,9 punti nel periodo novembre marzo, con un assestamento simbolico di 0,2 punti nell’ultimo bimestre. L’effetto scorte, accumulate ai vecchi prezzi, e qualche pigrizia della GDO nell’adeguare al ribasso i listini, a ristoro della compressione dei margini attuata nei mesi precedenti per non scoraggiare troppo il consumatore, spiega questo fenomeno.

Comunque, secondo le ultime proiezioni, l’inflazione del +7,6% di marzo è attesa sul +5-6% in media 2023, in vista di un rientro (sempre emergenze internazionali permettendo) prossimo al +2% in chiusura 2024. C’è da temere piuttosto un fatto strutturale. E cioè che, seppure attenuato, lo scalino peggiorativo dell’inflazione alimentare rispetto a quella generale sia destinato a rimanere anche l’anno venturo, e in qualche modo anche oltre. Affiora la concreta possibilità, in sostanza, che certe criticità sul mercato interno siano durature, profilando per il settore un “voltar pagina” di carattere strutturale.

Infine, è affiorato un fenomeno nuovo e poco promettente per il settore su un altro fronte strategico: quello del valore aggiunto. Gli ultimi dati di contabilità nazionale dell’Istat evidenziano infatti che alcuni, minoritari, macrosettori industriali hanno evidenziato negli ultimi anni dinamiche del valore aggiunto in qualche caso migliori in valuta costante che in valori correnti. Quando è ben noto che, per effetto dell’inflazione, le grandezze monetarie risultano sempre più accelerate in valuta corrente che costante. Il fenomeno risulta, inoltre, particolarmente impattante proprio con riferimento all’industria alimentare. Essa mostra infatti flessioni marcate in valuta corrente del valore aggiunto, sia nell’ultimo biennio 2021-22, con un -8,8%, che sull’arco 2018-2022, con un -9,7%. E questo, a fronte di apprezzamenti in valuta costante del +0,2% nel biennio e del +2,3% sui cinque anni. Il fenomeno, in realtà, si è consolidato soprattutto dal 2020 al 2022. Con la conseguenza che il settore, comunque, ha consegnato al mercato, con forbici importanti, valore aggiunto “oggettivo” maggiore, a fronte di riconoscimenti monetari declinanti. Con inevitabile compressione dei margini. Non a caso i discount alimentari hanno messo a segno crescite attorno al +10% nel 2022. E non a caso le marche bianche in molti casi hanno accelerato la loro espansione sugli scaffali della GDO. In materia, siamo ancora lontani dalle punte del mercato spagnolo, ma è un fatto che le marche bianche si confermano un fenomeno in crescita strutturale, con inevitabile schiacciamento della visibilità dei marchi, soprattutto delle PMI. Per fortuna, il perimetro allargato dei consumi alimentari, comprensivo del “fuori casa” e della ristorazione in particolare, ha ripreso slancio, raggiungendo in chiusura 2022 la soglia stimata di 260 miliardi, recuperando altresì quasi per intero il gap subito durante la pandemia. Questo slancio si è confermato in avvio 2023, portando in alcuni casi la ristorazione a raggiungere e talvolta superare i livelli di fatturato pre-pandemia. In questo contesto, la produzione del settore ha tuttavia progressivamente rallentato il passo, subendo il prevalente effetto negativo legato alla contrazione quali-quantitativa dei consumi domestici. Il tendenziale del +1,2% con cui essa ha chiuso il 2022 ha fatto seguito, infatti, alla crescita attorno al +4,0% che aveva registrato a metà anno.

Il fatturato di settore ha compiuto invece un salto anomalo del +17,7% sul 2021, spinto dall’inflazione costi-prezzi. Dopo la soglia di 155 miliardi raggiunta nel 2021, esso ha toccato così la quota di 182 miliardi, segnando un’incidenza molto significativa sul PIL nazionale, pari al 9,5%. La filiera alimentare coinvolge un fatturato complessivo che si avvicina ai 600 miliardi, dal primario allo scaffale. Al suo interno, l’industria alimentare ne rappresenta l’anello centrale, che promuove alla grande l’immagine del Paese e la qualità del Made in Italy nel mondo. Essa ha già dimostrato, numeri alla mano, di saper innovare e saper vincere negli anni passati sfide difficili. Tuttavia, di fronte alle “tempeste perfette” essa rischia e la sua creatività imprenditoriale non basta. Un suo avvitamento sarebbe esiziale per il Paese. La politica economica nazionale deve predisporre, perciò, sostegni e incentivi utili a fronteggiare i danni connessi a tempeste esogene che sono ancora tutt’altro che risolte. E che anzi potrebbero improvvisamente ritrovare forza e grande pericolosità a seguito delle pressioni, climatiche e demografiche, che pervadono lo scacchiere mondiale. In conclusione, la fase congiunturale che sta vivendo il settore reca sintomi molteplici e convergenti di cambiamenti sostanziali di contesto e di scenario. È ben evidente che è con essi che il settore dovrà confrontarsi stabilmente, modificando strategie di approvvigionamenti e di mercato, a evitare criticità future sul fronte prioritario della redditività.

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