Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – 70% NE/PD - Anno 47 - N. 06 Agosto-Settembre 2019 - Mensile
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Organo mensile dell’Associazione Italiana Calciatori
AGO-SET
2019
Razzismo, bagarinaggio estorsione, minacce
Curve pericolose
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editoriale
di Damiano Tommasi
Normale… “Juve – Verona è stato un test anche per noi. Si è capito che lo stadio può fare a meno degli ultras. Che le famiglie e i bimbi possono stare tranquilli anche in curva, ma si è soprattutto visto un altro modo di intendere lo stadio: meno cori forse, ma la festa si vive nella legalità”. È il questore di Torino a parlare, all’indomani dell’operazione Last Banner che ha, per ora, fermato 12 ultras con l’accusa, tra le altre, di associazione a delinquere. Dalle sue parole si percepisce quella che dovrebbe, e da ieri “potrebbe”, essere la normalità. Perché non è normale quindi? Spesso si parla degli stadi fatiscenti e si aspetta l’organizzazione di un grande evento come occasione per recuperare le risorse e dare il via alla ricostruzione. È emblematico, allora, che l’operazione Last Banner, partita grazie alla denuncia del club, sia avvenuta a Torino, nello stadio più all’avanguardia d’Italia dove gli steward sono entrati “finalmente” in un settore fino ad oggi off limits con la partita di campionato Juve – Verona. Chi siamo e dove vogliamo andare, ma soprattutto, che tifosi ci scegliamo? Che “clienti” ci scegliamo? Davvero il problema sono le strutture? Non è che dovremmo guardare più dentro le nostre famiglie, i nostri valori, il nostro concetto di vivere civile? “Penso anche al bambino di tre anni preso a calci a Cosenza per il colore della sua pelle, è l’episodio che mi fa più male […] è l’ignoranza che va abolita. A scuola introduciamo l’ora di integrazione”. (K. P. Boateng) Se da una parte lo sport, quello praticato, quello della squa-
dra azzurra di atletica ai mondiali di Doha figlia del futuro, quello dei campetti dei nostri quartieri, quello di Boateng, ha poco da imparare (purtroppo) dalla società civile degli ultimi anni, dall’altra parte non possiamo accettare che uno stadio diventi megafono per l’ignoranza. FIFA e UEFA ci hanno bacchettato e Lukaku, Pjanic, Dalbert sono finiti su tutte le cronache sportive internazionali. La reazione è stata una modifica, pronta da molto tempo, riguardante la responsabilità oggettiva. Un Club è responsabile dei comportamenti dei propri tesserati e dei propri tifosi. La modifica approvata concede delle esimenti e delle attenuanti se si mettono in atto azioni di prevenzione seguendo un protocollo da definire. Due sono i punti deboli dell’impostazione. Il primo che a redigere il protocollo saranno le Leghe dei Club ossia l’associazione di quelli che dovrebbero essere i controllati. L’altro aspetto che mi lascia perplesso sono le reazioni a caldo “non è giusto che a pagare la maleducazione di pochi sia il Club” “non sempre i buu sono cori di discriminazione”. Ho l’impressione che la norma sia stata voluta per togliersi un po’ di patate bollenti con il rischio di spostare la polvere sotto il tappeto. Rimangono, a riguardo, illuminanti le parole del questore di Torino che dovrebbero mantenerci nei giusti binari. “La responsabilità oggettiva serve a spingere alla denuncia. […] La responsabilità oggettiva invita a prendere le distanze, a denunciare il contesto in cui i cori nascono. È un deterrente, evita l'indifferenza che è la cosa peggiore”.
... di non colore.
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Criteri di assegnazione dei contributi erogabili da Aic Onlus La Onlus può erogare contributi a sostegno di: richieste che abbiano come obiettivo un beneficio per soggetto richiedente o per il proprio nucleo familiare avanzate da un ex calciatore o calciatore professionista; richieste che abbiano come obiettivo un beneficio per soggetto richiedente o per il proprio nucleo familiare avanzate da un ex calciatore o calciatore dilettante, purché tesserato Aic; progetti di interesse calcistico, che saranno valutati dal Consiglio della Onlus.
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sommario Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – 70% NE/PD - Anno 47 - N. 06 Agosto-Settembre 2019 - Mensile
Organo mensile dell’Associazione Italiana Calciatori
06 AGO-SET
2019
Razzismo, bagarinaggio estorsione, minacce
Curve pericolose
speciale 6 di Diego Guido
Le voci e le storie che potete trovare dentro al ritiro AIC di Coverciano. Da chi pensa già al post carriera a chi non ha nessuna intenzione di smettere.
Organo mensile dell’Associazione Italiana Calciatori
direttore direttore responsabile condirettore redazione
foto redazione e amministrazione tel. fax http: e-mail: stampa e impaginazione REG.TRIB.VI
Sergio Campana Gianni Grazioli Nicola Bosio Pino Lazzaro Stefano Sartori Stefano Fontana Tommaso Franco Diego Guido Mario Dall’Angelo Claudio Sottile Fabio Appetiti Maurizio Borsari A.I.C. Service Contrà delle Grazie, 10 36100 Vicenza 0444 233233 0444 233250 www.assocalciatori.it info@assocalciatori.it Tipolitografia Campisi Srl Arcugnano (VI) N.289 del 15-11-1972
Questo periodico è iscritto all’USPI Unione Stampa Periodica Italiana
Finito di stampare il 30-09-2019
editoriale
di Damiano Tommasi
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serie B di Claudio Sottile
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scatti
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primo piano di Pino Lazzaro
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calcio e legge di Stefano Sartori
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politicalcio di Fabio Appetiti
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femminile di Pino lazzaro
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femminile di Pino lazzaro
Visioni Mondiali/1: Rosalia Pipitone
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segreteria
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regole del gioco di Pierpaolo Romani
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secondo tempo di Claudio Sottile Elvis Abbruscato
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internet
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io e il calcio di Pino lazzaro Cristina Tartarone
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tempo libero
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Benvenuto e Bentornati di Maurizio Borsari
Giorgia e Peppe: capitani coraggiosi Schema Licenze Nazionali
Maria Laura Paxia
Dal diario di Laura
Il calcio supera ogni barriera sociale
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speciale
di Diego Guido
Dal 18 luglio al 6 agosto per “senza contratto”
Ritiro precampionato AIC: un nuovo inizio
Le voci e le storie che potete trovare dentro al ritiro AIC di Coverciano. Da chi pensa già al post carriera a chi non ha nessuna intenzione di smettere L’anno scorso ho seguito una giornata del ritiro per i calciatori senza contratto che ogni anno AIC organizza a Coverciano. Mi sembrava una storia con un grande potenziale. Una storia che pochi conoscevano e che avrebbe potuto far guardare al mondo del calcio e di chi lo gioca con occhi diversi, sotto un’altra luce. Capire cosa succede nelle tre settimane di Coverciano aiuta ad allontanare gli stereotipi. Aiuta a disinnescare la tendenza a considerare ogni calciatore professionista come un privilegiato, un vip, un arricchito senza grossi meriti. Sono preconcetti che apparentemente danneggiano solo
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la categoria e che in realtà fanno ancora più male a chi li crede veri. Luoghi comuni che distorcono la realtà, che alimentano inutili sensi di frustrazione e invidia. Che non fanno pensare che centinaia e centinaia di professionisti non sono né privilegiati, né vip, né possono permettersi di non lavorare più per il resto della vita dopo aver smesso di giocare, anno più anno meno, attorno ai trentacinque anni. Ho parlato con molti calciatori e con le persone dello staff. Ho seguito un'amichevole e ho assistito ad un paio lezioni del corso da allenatori Uefa B. Ho pranzato, cenato, preso caffè in mezzo ai
cinquantotto professionisti che erano lì per allenarsi e studiare. Ho respirato la vita del ritiro. Li ho sentiti scherzare, parlare, chiamarsi in campo. Li ho visti telefonare a compagne e figli ad ogni pausa della giornata. Li ho sentiti parlare del loro futuro. Alcuni con serenità e fatalismo, altri con un velo di timore per ciò che li attenderà una volta spenti i riflettori del campo e appese le scarpe. Ho raccolto le loro parole e le loro sensazioni qui, negli undici capitoli che seguono. Capitolo 1. La soggezione per Barzagli e gli occhi di un bambino L'ultima stagione Gabriele Cavalli l’ha giocata a Mapello, un paesino a 10 chilometri da Bergamo ai piedi del monte
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Canto. Era la seconda volta che scendeva in Eccellenza, nove anni dopo la prima. Per il resto, la sua carriera l’ha giocata tutta tra Serie D e Serie C. “Ho 37 anni e al post carriera ho iniziato a pensarci da un paio di stagioni. Nelle ultime estati ho fatto parte dello staff in un camp per bambini a Bergamo, assieme a Ferreira Pinto. Ho capito che mi piacerebbe allenare e che mi piacerebbe farlo con i piccoli”. La nostra chiacchierata vira presto sul tema dei più giovani. Dalle sue parole capisco che è qualcosa che lo fa sentire realizzato sia professionalmente che umanamente. “Le esperienze nei camp mi hanno arricchito. Sento di essere migliorato anche come geni-
tore. Prima ero più autoritario, avevo meno pazienza. Ora cerco di entrare nella loro testa”. Tematiche che durante il ritiro sono emerse anche nell'aula magna di Coverciano, nelle ore dedicate alla formazione in materia di settori giovanili. “Il corso ti apre la mente. Capisci ad esempio quanto è importante essere preparati se si seguono bambini e ragazzi. Una responsabilità che va molto oltre all’aspetto tecnico. Devi essere anche educatore e psicologo. Sento che può essere la mia strada”. Gabriele ha le idee chiare. Per l’anno prossimo sta cercando una società dilettantistica che gli permetta di fare un altro anno in prima squadra e che al
Gabriele Cavalli
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tempo stesso gli metta a disposizione una squadra di giovani da far crescere. Finito di giocare vorrebbe continuare ad allenare i ragazzi e mantenersi con un lavoro part-time. “Non mi precludo nulla e posso adattarmi. Farò il lavoro che troverò, senza nessun problema”. Gli occhi e le parole di Gabriele nei giorni di Coverciano, sono quelli di un bambino nel paese dei balocchi. “Un posto incredibile. Ti alleni e vivi assieme a professionisti di livello altissimo. I primi giorni non volevo nemmeno avvicinarmi a Barzagli, avevo soggezione. Tutti qui sono meravigliosi. Dopo due giorni, nel nostro gruppo ci sentivamo già una squadra vera. Ci siamo dati delle regole, ci siamo imposti di allenarci ogni volta a duemila in modo da poterci preparare tutti al meglio”. Gli chiedo se un ragazzo come lui che è sempre stato professionista non faticherà ora a calarsi da settembre in una dimensione dilettantistica, senza il livello di professionalità respirato a Coverciano e trovando magari colleghi nei settori giovanili che sottovalutano l'importanza del loro compito educativo di fronte ai bambini. “Sicuramente faticherò. Ma già quest’anno mi sono arrabbiato molte volte. Capitava di trovarsi in pochi a fare allenamento magari perché quella sera c'era una partita di coppa a San Siro e molti erano là. Cose per me inconcepibili.
Stefano Sorrentino
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Sono arrivato anche a dire alla società che o l’allenatore prendeva in mano la situazione e affrontava certi comportamenti oppure me ne sarei andato. Mi hanno ascoltato e alla fine siamo anche riusciti a salvarci”. Un professionista al servizio di chi non lo è. Capitolo 2. Non ti nascondo che smettere mi spaventa un po’ Dalle 23 a mezzanotte della mia prima sera a Coverciano, nella hall dell’hotel del Centro Tecnico era previsto un collegamento in diretta con Sky. L’ospite in esterna previsto per la puntata di Calciomercato L’Originale era Stefano Sorrentino. Seduto su una poltrona, l’auricolare nelle orecchie e il microfono sul petto, Stefano seguiva la trasmissione da un monitor e aspettava le rade domande di Alessandro Bonan, ad una decina di minuti di distanza l’una dall’altra. Il giorno dopo, invece, sarebbe stato il mio turno. La prima domanda che gli ho fatto è stata molto diretta. La sua risposta altrettanto. “L’idea di ritrovarti a settembre costretto a seguire il campionato dal divano ti spaventa?”. “Sì, non ti nascondo che un po’ sì”. In ritiro ci sono diversi tipi di professionisti con cui può capitare di parlare. Sorrentino è di coloro che si sentono ancora giocatori a tutti gli effetti. “Mentalmente non ho deciso di smettere. Fisicamente sto molto bene e la passione è la stessa del primo giorno.
Chiaramente però per continuare bisogna trovare una squadra”. Ha quarant’anni, è un decano della Serie A e ha un paio di esperienze all’estero. “La carta d'identità dice quaranta ma è solo un numero. Non mi sento coraggioso a voler continuare. Sento solo di aver ancora voglia e fame”. Mi confida che per lui non è semplice vivere un’estate da disoccupato. “Pensare alle squadre in ritiro e vedermi qui, senza vivere lo spogliatoio, o senza la curiosità di sapere dove giocherai la prima di campionato, mi fa sentire un po’ di delusione, lo ammetto”. Aggiunge però che non ama guardarsi indietro e che si sente comunque di aver
Salvatore Iudica
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ricevuto molto dalla carriera. “Devo considerarmi fortunato ad essere arrivato qui per la prima volta a 40 anni. In ritiro ci sono ragazzi molto più giovani di me, anche under 30, e per loro è senza dubbio più difficile”. Sorrentino, per la prima volta in vita sua, nei giorni di Coverciano sta iniziando a pensare a cosa fare a grande. “Ho sempre pensato che valutare un lavoro futuro avrebbe tolto energie al mio lavoro attuale. Per questo ho sempre tenuto da parte il pensiero del dopo. Ora qui, invece, sto iniziando a ragionarci”. Non ha ancora le idee chiare. Forse allenatore dei portieri, forse direttore sportivo, di sicuro non allenatore. “Ci penserò ancora. Ora non so come mi vedrei tra qualche anno. Magari anche lontano dal calcio. Ho sempre vissuto una vita molto schematica, lontana dalla vita ‘normale’. Non mi dispiacerebbe staccare da questo mondo, anche se ammetto che non so fare altro che giocare a calcio. Dovrò capire cosa sarò in grado di fare”. Capitolo 3. I limiti sono nella testa, mai nel corpo La clinica universitaria di Heidelberg, Germania sud-occidentale, già negli anni 80 era uno dei centri d’avanguardia per la chirurgia ortopedica. Un giorno di febbraio del 1985, dalle porte di quell’ospedale entrano anche una coppia di italiani. La donna tiene in braccio il figlio di tre mesi. Si chiama Salvatore ed è nato con una grave malformazione congenita alle gambe. Sono arrivati da Catania e sono lì per farlo operare. “Mi mancava una tibia e avevo i piedi girati verso l’interno. Mi hanno ricostruito il ginocchio e messo il perone al posto della tibia nella gamba destra”. Salvatore Iudica vive con le protesi da sempre e da sempre non le considera un ostacolo, ma un mezzo. “Ho iniziato a camminare e correre quando ogni bambino inizia a camminare e correre. Andavo in piscina, salivo da solo sugli scivoli poi gli amici prendevano le protesi e uno di loro mi aspettava giù in fondo. Io non mi sono mai abbattuto e ho avuto la fortuna di essere circondato da amici che mi hanno sempre coinvolto”.
Coverciano in pillole Luogo: Centro Tecnico Federale (Coverciano – Firenze) Periodo: 18 luglio – 6 agosto 2019 Partecipanti: 64 calciatori + 20 elementi staff Si è svolto a Coverciano dal 18 luglio al 6 agosto, presso il Centro Tecnico Federale, l’annuale ritiro precampionato organizzato dall’AIC e riservato ai calciatori senza contratto. Anche quest’anno, grazie alla collaborazione con il Settore Tecnico, è stato possibile far svolgere agli iscritti (64 calciatori) le lezioni per il corso allenatori di base Uefa B. Durante le tre settimane, oltre agli allenamenti (2 tutti i giorni) e alle lezioni (5 ore al giorno suddivise in 2 al mattino e 3 al pomeriggio) sono state giocate alcune partite amichevoli per mettere in mostra i calciatori e farli entrare nel ritmo partita. Gli iscritti sono stati suddivisi in 3 gruppi ognuno dei quali ha potuto contare su uno staff composto da 1 allenatore, 1 preparatore atletico, 1 medico e da 1 fisioterapista. I gruppi, ripartiti a seconda del ruolo e della carriera dal coordinatore Renzo Ulivieri, hanno formato tre squadre guidate dai tecnici Francesco D’Arrigo, Marco Maestripieri e Ettore Donati. I portieri hanno fatto gruppo a parte e sono stati seguiti dal preparatore Massimo Cacciatori coadiuvato da Dario Pilotto.
Belingheri Luca, Belotti Mauro, Benassi Maikol, Bifulco Marino, Botta Stefano, Briganti Marco, Brunelli Matteo, Bruno Salvatore, Capuano Ciro, Castiglia Ivan, Cavalli Gabriele, Ceccarelli Luca, Corado Gaston, Corticchia Nicolò, Coser Achille, Croce Daniele, Cruciani Michel, Dalla Bona Daniele, Damonte Loris, Della Rocca Francesco, Dellafiore Hernan Paolo, Di Bari Vito, Domizzi Maurizio, Fabiano Gianni, Fautario Simone, Feola Ivano, Filippini Alberto, Finocchio Francesco, Geroni Enrico, Ghidotti Daniele, Grassi Luigi, Greco Giuseppe, Innocenti Riccardo, La Rocca Iacopo, Lagomarsini Ettore, Laner Simon, Longhi Alessandro , Mancino Nicola, Moro Davide, Nardini Riccardo, Nocerino Antonio, Nolè Angelo Raffaele, Nolè Matteo, Panariello Aniello, Pasqual Manuel, Pedrelli Ivan, Puggioni Christian, Pulzetti Nico, Quinto Marcello, Rizzato Simone, Salviato Simone, Sansone Gianluca, Sorrentino Stefano, Succi Davide, Torri Omar, Zanon Damiano. Al ritiro hanno preso parte anche le calciatrici Domenichetti Giulia e Motta Giorgia con Iudica Salvatore della Nazionale Italiana Amputati.
Questi i calciatori che hanno aderito: Acquafresca Robert, Agnelli Cristian, Aquilanti Antonio, Barbieri Lara, Barzagli Andrea,
Le lezioni in aula sono state tenute da: Ulivieri, Maestripieri, Donati, Cacciatori e D’Arrigo (tecnica e tattica); Rubenni, Lotti e Ciullini (medicina); Cannavacciuolo, Papini e Petranzan (teoria e metodologia): Baglioni (regolamento di gioco); Menichelli (calcio a 5); Croce (psicopedagogia); Ragonesi (Aiac) e Piani (carte federali). I calciatori hanno inoltre seguito il corso BLSD (pronto intervento) tenuto dalla Dan Europe. Tutti i calciatori hanno superato l’esame finale conseguendo il diploma di allenatore di base Uefa B.
Gli chiedo quale sia secondo lui la differenza tra nascere con un handicap fisico e doverlo invece affrontare come conseguenza di un incidente, dopo aver vissuto una vota normale. “La differenza credo sia la gestione del trauma. Io non ho subito un evento che mi ha
costretto alle protesi, sono nato così. Per me il trauma arriva invece ogni volta che rompo le protesi. E capita quasi quotidianamente”. Gli chiedo se è perché sono fragili. “Se facessi una vita normale non accadrebbe. Ma io faccio windsurf, snowboard, motocross”,
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Lo staff Lo staff era così composto: Renzo Ulivieri (coordinatore), Massimo Cacciatori, Dario Pilotto, Marco Maestripieri, Ettore Donati, Francesco D’Arrigo (allenatori); Maria Grazia Rubenni, Giulio Ciullini e Guido Lotti (medici); Michele Petranzan, Vinicio Papini e Fausto Cannavacciuolo (preparatori atletici); Leonardo Raveggi, Marco Di Salvo e Fabrizio Casati (fisioterapisti); Nicola Bosio (responsabile AIC); Arjuna Girolami, Meneghello Alberto e Mattia Orrù (magazzinieri).
l’elenco prosegue e io lo guardo sorridendo e allargando le braccia ad ogni sport che aggiunge, “Va beh Salvatore, ma allora non è che si rompono loro, le rompi tu!”. Sta al gioco e mette sul tavolo un’altra perla: “Eh, ho capito, ma altrimenti che vita è?”. Salvatore è una delle icone della Nazionale Amputati e nel ritiro è sulla bocca di tutti. Lo citano come un pezzo importante della bella esperienza che rappresentano le tre settimane a Coverciano. La prima cosa che mi dicono di lui è l’autoironia - i primi giorni non sapevo se chiedergli o no cosa gli fosse successo, è stato lui a rompere il ghiaccio. Si prende in giro, dice che è “in gamba”. Persona incredibile. Non perde occasione per scherzare sulla
Antonio Nocerino
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sua disabilità. “Ho iniziato a giocare a calcio da piccolo, in strada con gli amici. Come al solito la regola è che in porta ci va il più scarso e, per la mia condizione, il più scarso a giocare fuori ero io. Sono diventato portiere così”. Le cose poi sono cambiate. “La cosa divertente è che all’inizio ero l’ultima scelta per fare le squadre. Poi hanno cominciato a vedere come giocavo ed ero diventata la prima. Se c’era una squadra che voleva vincere un torneo nella zona, in porta chiamava me prima di tutti gli altri”. Esiste una foto molto particolare di Sasà. Sul web si trova facilmente. Ha il braccio destro proteso e impugna il telefono. Sorride per un selfie a fianco del Papa. Una scena presa da uno dei tanti impegni che segue come figura cardine per lo sviluppo sportivo e organizzativo del movimento calcistico per amputati. “Esiste un campionato nazionale ma al momento ci sono solo quattro squadre. Stiamo cercando di svilupparlo di più. In altri paesi sono molto avanti. Pensa che in Turchia i giocatori della Nazionale Amputati sono anche testimonial per la pubblicità. Qui è più difficile ma non ci arrendiamo”. Arrendersi mai. Capitolo 4. La cosa più speciale è essere semplici Ero seduto a tavola a fianco di Nicola Bosio. Stavo finendo il caffè mentre programmavo con lui gli orari delle interviste del pomeriggio, quando mi sono sentito picchiettare la spalla. “Quando
hai finito io sono pronto. Ti aspetto al bar”. Era Antonio Nocerino, in anticipo di qualche minuto sull’appuntamento che avevo preso con lui per chiedergli di come stesse vivendo il ritiro AIC. “Voglio continuare a giocare ma non voglio farlo in Italia”. L’accento napoletano e il tono di chi sembra conoscerti da molto tempo. La chiacchierata con Nocerino nasce fin da subito informale e schietta. “Oltre agli aspetti calcistici per me sono importanti quelli legati alle scelte di vita per me e per la mia famiglia. Ho amato l’esperienza a Orlando e non era una scelta di chi non si sente più un giocatore anche perché se vai là con l’idea di svernare ti asfaltano. La MLS è un campionato atleticamente e per
Giulia Domenichetti
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ritmi di gioco molto impegnativo, non puoi viverlo come un prepensionamento. Ora mi vedrei bene in Australia o in Giappone. Un posto lontano”. Nocerino non si sente un disoccupato. Nelle sue risposte sento la convinzione di trovare ancora un contratto da giocatore. “Ognuno qui ha la sua storia. Io parlo per me e non mi sento un disoccupato. Mi sento uno all’inizio di una nuova carriera, che deve imparare un nuovo lavoro. In questo momento della mia vita per me è più importante imparare cose nuove che trovare una squadra. Nonostante questo ad ogni allenamento qui mi alleno come se il giorno dopo avessi una partita di Champions League”. Mi spiega che il corso allenatori lo sta impressionando. “Mi sta arricchendo e sento che mi aiuta anche da genitore. Non mi ero mai visto come allenatore, però dopo questi giorni forse sì. Lo dico con i piedi per terra perché è un processo che deve avere delle tappe ben precise. Una carriera che va affrontata per gradi”. Una delle convinzioni che più ritornano nelle sue parole è quella della meritocrazia. “Oggi troppo spesso si bruciano le tappe, si ottengono risultati senza esserseli sudati e questo rende il nostro mondo un po’ troppo superficiale, molto legato ai social e all’immagine. Così finisce per
essere tutto irreale”. Dalle sue parole esce il fastidio per le troppe sovrastrutture e la troppa ansia da immagine che hanno fatto dimenticare la sostanza del calcio. “Sai cos’è essere speciali oggi? Essere semplici”. E poi aggiunge un’altra cosa che mi sono annotato e che fa capire bene la sua attenzione per la sua vita prima che per la sua carriera: il calciatore passa, l’uomo resta. Capitolo 5. Orgogliose della nostra lotta Tra i nomi presenti a Coverciano per il ritiro AIC, quelli con il palmares più ricco sono due monumenti del calcio fem-
Giorgia Motta
minile italiano. Si chiamano Giulia Domenichetti e Giorgia Motta, e in totale hanno vinto 10 Scudetti, 12 Supercoppe Italiane, 8 Coppe Italia. Domenichetti vanta anche lo straordinario primato di aver fatto parte della Nazionale di calcio a 11 e della Nazionale di calcio a 5, traguardo mai riuscito a nessun’altra calciatrice e a nessun altro calciatore. Le incontro nell’estate 2019, quella che ha cambiato per sempre la percezione del calcio femminile in Italia, e non posso non partire da questo. “Ok partiamo da qui, ma ti dico subito che io non credo che ci sia un calcio femminile del presente e un calcio femminile del passato”, ha iniziato a rispondere Domenichetti, “semplicemente la generazione attuale cammina su strade battute dalla nostra generazione, così come noi abbiamo trovato il terreno che la generazione precedente ci aveva preparato. Ogni generazione abbatte i muri per quella successiva e facciamo tutte parte di una stessa unica storia”. Le chiedo se si senta anche un po’ suo il Mondiale francese e se sì in che modo. “La bellezza di questo momento è frutto di condizione che abbiamo contribuito a creare anche noi. Quindi sì, lo sento un po’ nostro ed è per questo che lo abbiamo vissuto tutte con tutto questo trasporto. A volte mi dicono ‘pensa se nascevi 10 anni dopo, sarebbe stato più facile e
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bello’, io però sono orgogliosa di aver vissuto quel momento storico. Non mi sento sfigata a non aver goduto dei frutti, mi sento invece orgogliosa ad averli coltivati e lasciati per che sarebbe arrivato dopo di noi”.
dicevo che per forza è così. Che ogni bambina che arriva al campo ci arriva solo se ha una forza d’animo e una voglia di calcio che supera le resistenze della famiglia, il timore per le possibili prese in giro e qualunque altra cosa”.
Giorgia Motta la pensa allo stesso modo. “Secondo me il calcio femminile in Italia, proprio alla luce di quella lotta, ha sviluppato valori solo suoi. Stare qui e sentire che cresce la curiosità dei colleghi uomini verso il nostro mondo significa che il percorso per cui ci siamo spese è giusto”. Le chiedo quali siano i valori e mi parla di passione e sacrificio oltre le soglie comuni. “Giocavo al Mozzanica, lottavamo per la Champions, e il capitano che aveva una pasticceria si alzava tutte le mattine alle 5. Al Chievo, Serie A, avevo una compagna che aveva una macelleria e arrivava di corsa all’allenamento dopo aver chiuso il negozio. Gli esempi e le storie sono infiniti”. L’altro valore è la tenacia. “Tutte da bambine abbiamo insistito per giocare a calcio con i nostri genitori. Loro mi hanno portato a danza, pallavolo e ginnastica ritmica prima di arrendersi”. Interviene Giulia. “Ho da poco fatto il corso per allenatore di settore giovanile e parlando con me i compagni mi dicevano che quando trovano bambine e creano squadre miste, le femmine sono dei treni. Io gli
Gli chiedo se l’anno prossimo pensano che sarà diverso giocare a calcio femminile in Italia. Secondo Domenichetti “la differenza si sentirà più in basso che in alto. Già nel mio piccolo, nella zona di Ancona, sento di molte società che stanno pensando di creare squadre femminili perché la domanda è cresciuta moltissimo”. Secondo Motta “oltre al Mondiale, ciò che davvero farà la differenza sarà l’abitudine a vedere squadre famose al femminile. Il papà che potrà regalare la maglia della Juve alla figlia entrerà in un’ottica diversa. La base da cui partire è quella”. Anche le bambine presto entreranno nelle aspirazioni dei papà. Speriamo senza esasperazioni.
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Capitolo 6. Siamo su un palcoscenico e prima o poi il sipario si chiude “Lo dico da sempre a mia moglie che fare questo lavoro è come stare su un palcoscenico. Prima o poi il sipario si chiuderà. In quel momento prenderemo gli applausi - se ce li meriteremo - saluteremo con la mano e ce ne torneremo a casa”. Christian Puggioni
mi racconta di pensare al momento del ritiro già da molto tempo. Di aver sempre avuto ben presente che stesse facendo un lavoro con una vita breve. “Mi sono laureato in legge qualche anno fa, nell’ultimo anno ho imparato una terza lingua. Ho cercato di prepararmi alla seconda fase della mia vita. Di mettere più frecce al mio arco in previsione di quando smetterò”. Puggioni è svincolato per una sua scelta. “Avevo un altro anno di contratto a Benevento. Ho deciso di risolverlo perché non c’erano le condizioni per continuare come volevo. Ora ho chiesto al mio agente di temporeggiare.
Christian Puggioni
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Le amichevoli Volevo solo venire qui e fare bene questo ritiro e questo corso. Poi, con calma, capirò se ci saranno offerte e se ci sarà la possibilità di continuare a giocare”. Anche lui, come tutti quelli con cui ho parlato, mi parla di queste settimane a Coverciano come di un’esperienza che ha superato le aspettative. “Fantastico. Ci sono ragazzi che in una situazione di difficoltà non perdono il sorriso. Parliamo di temi che vanno molto oltre il calcio giocato. C’è il piacere di stare insieme, di giocare, di studiare senza pressioni”. Per Puggioni la carriera è sempre stata una parentesi della vita. Per questo non ha paura di smettere. Per questo ci arriva pronto. “Finirà il Puggioni portiere e continuerà il Puggioni uomo”. Capitolo 7. C’è voglia e c’è malinconia. I sentimenti si intrecciano Renzo Ulivieri è il Presidente dell’Associazione Allenatori. L’edizione 2019 del ritiro è stata coordinata da lui e non è banale che sia proprio la più alta carica della categoria ad impegnarsi in prima persona per un momento tanto significativo per la categoria dei calciatori. “Allenatori e calciatori sono due mondi che si incontrano, che sono abituati a convivere di continuo. Siamo uomini di campo”. Gli chiedo, dal suo punto di vista, che tipo di persone arrivano qui e che materiale umano si trovano a dover gestire in queste settimane. “Sono ragazzi che cominciano a rendersi conto di essere vicini alla fine della carriera. La platea è variegata. Tanti di questi ragazzi hanno intenzione di continuare a giocare ancora, tanti altri hanno già deciso di smettere e di intraprendere la carriera da allenatore. Che sia uno o l’altro caso, iniziano a vedere il calcio anche da un altro punto di vista”. Per Ulivieri è un momento di arricchimento anche per gli allenatori. “Venire qui e mettere a disposizione le nostre esperienze è molto bello. Bello anche sentire le loro. Ogni giorno si crea un confronto di conoscenze che porta grandi frutti. Credo che sia un momento di grande crescita sia per loro
che per noi”. Un’atmosfera che non nasconde di averlo sorpreso. “Per me è la prima volta qui e vedere i calciatori in questo percorso è a tratti entusiasmante. Ci sono sentimenti che si intrecciano. Da un lato c’è la voglia di cominciare un nuovo percorso, dall’altro la malinconia di lasciare il percorso precedente. Un miscuglio di sentimenti. È un’esperienza molto intensa”.
Nel corso delle tre settimane di ritiro sono state organizzate alcune partite amichevoli. Questo il dettaglio:
Mercoledi 24 luglio a Grosseto Triangolare – Selezione AIC (D’Arrigo) – Finanza – “Il Cuore di Grosseto”
Mercoledi 24 luglio a Coverciano Selezione AIC (Maestripieri) – Equipe Campania 5-2
Capitolo 8. Dopo cena, seduto nella sua stanza Io e Manuel Pasqual stiamo passeggiando verso un posto tranquillo per registrare la sua intervista. Gli confido che convivere per un paio di giorni con loro mi ha fatto capire quanto possa essere alienante la vita del ritiro. “Hai ragione, qui è un po’ pesante. Non è come nei ritiri estivi dei club in montagna. Là non hai le ore di aula e la sera con i compagni puoi fare una passeggiata nel paesino dell’hotel. Puoi prendere una boccata d’aria e staccare un momento”.
Mercoledi 24 luglio a Fanano
Pasqual ha deciso di continuare a giocare. “Dopo che l’Empoli non mi ha rinnovato il contratto mi aspettavo di vivere un’estate, diciamo così, traballante. In Serie A a 37 anni non puoi essere una prima scelta. Le società hanno altre priorità ed è fisiologico dover aspettare di più prima di ricevere offerte. Comunque la sto vivendo con tranquillità”. La sua priorità però non è
Domenica 4 agosto a San Giovanni Valdarno
Modena – Selezione AIC (Donati) 4-2
Domenica 28 luglio a Coverciano Selezione AIC (Donati) – Grosseto 2-0
Domenica 28 luglio a Ponsacco Montevarchi – Selezione AIC (Maestripieri) 2-3
Domenica 28 luglio a Carrara Carrarese - Selezione AIC (D’Arrigo) 1-3
Mercoledi 31 luglio a Coverciano 16° Memorial Roberto Clagluna vinto dalla Selezione AIC Donati
Sangiovannese – Selezione AIC (Donati) 1-2
Domenica 4 agosto a Coverciano Selezione AIC (D’Arrigo) – San Donato Tavarnelle 3-0
Domenica 4 agosto a Fiumalbo Prato - Selezione AIC (Maestripieri) 4-0
Manuel Pasqual
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speciale
sportiva ma familiare. “Ho già rifiutato qualche offerta perché era troppo lontano da Firenze. La mia bambina vive qui e non mi va di farle cambiare città e scuola. Cerco una squadra qui vicino, in modo da poter tornare a casa da lei senza che lei si sposti”. La questione familiare è un fattore che molto spesso si tende a dimenticare nel considerare il trasferimento di un calciatore professionista. Ma non è l’unico aspetto ‘nuovo’ di cui mi parla. “Ho rifiutato anche un’altra offerta che trovavo professionalmente interessante e che mi è spiaciuto molto declinare. Purtroppo era una società che si allena e gioca su terreno sintetico. Temo che alla mia età, con un po’ di usura alle spalle, faticherei ad adattarmi”. Manuel si vede ancora un giocatore di Serie A. “So cosa posso dare e so che in Serie A probabilmente verrei preso per fare la riserva e magari far crescere un ragazzo giovane davanti a me. Non scarterei nemmeno l’ipotesi della B. Lì potrei fare più la differenza ed essere un titolare. Prenderò in considerazione le opportunità, senza precluderne nessuna a priori”. Il post carriera non è un pensiero così vicino, ammette però serenamente di non temere la fine della sua storia in campo. “Vorrei smettere perché lo decido io e non perché non trovo squadra. Mi sento ancora bene. Riconosco però che a trentasette anni può accadere. In quel caso non sarebbe un problema e saprei di essere anche stato più longevo di molti altri”. Gli chiedo se abbia pensato a cosa fare quando smetterà di giocare. Non ha le idee chiare ma sta facendo più di un pensiero ad opportunità lontane dal calcio. “Nel calcio non mi vedrei più vicino al campo. Lo spogliatoio mi mancherà, ne sono sicuro, ma in questo momento ne ho un po’ assuefazione. Per questo ho sul tavolo anche altre possibilità. Con alcuni amici stiamo pensando di aprire un circolo di paddle, così come altre opportunità a cui sto lavorando a casa a Venezia con mi moglie e alcuni amici”. Pasqual però non ha fretta. “Non ci sto ancora pensando troppo però. Spero di trovare l’offerta giusta
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entro fine agosto perché sento di aver ancora da dare”. Capitolo 9. Sono senza squadra perché la mia è fallita Una delle domande che ho fatto a tutti è stata ‘perché pensi di essere finito senza contratto’. Il mio obiettivo era di capire le ragioni che ognuno attribuiva alla mancanza di fiducia verso di loro da parte di società, direttori sportivi e allenatori. La risposta di Cristian Agnelli, per anni capitano del Foggia, è stata laconica. “Sono senza contratto perché la mia società è fallita. Fa parte del nostro mestiere”. Siamo nella hall dell’hotel di Coverciano, a due passi da dove Sorrentino si era collegato a Sky. Di fronte a noi un tavolo da biliardo su cui si sta giocando all’italiana con i cinque piccoli birilli disposti geometricamente al centro del tappeto verde. “Sono qui per fare il corso da allenatori e per svagarmi un po’ dopo aver vissuto la situazione pesante a Foggia. Mi ha rubato tante energie mentali”. Gli chiedo se sia la prima volta che si ritrova senza contratto. “Per niente. Ma sono tranquillo. So che fa parte del mio lavoro e che il mercato è ancora lungo. Ci sono molte squadre che hanno bisogno e penso solo ad allenarmi bene e farmi trovare pronto. E penso a finire al meglio il corso: per me è molto importante. L’esperienza è incredibile. Qui ci stanno insegnando calcio”. Fa specie che un professionista dopo più di dieci anni di carriera abbia bisogno di ‘imparare’ il calcio. “Invece è normalissimo secondo me. Nel momento in cui inizi a porti come allenatore, a pensare da quella prospettiva capisci che ci sono aspetti che non avevi mai considerato. Per farti un esempio, mi è capitato di dover parlare davanti a tutti qui, sessanta persone, ed è una cosa che non avevo mai fatto e che devi imparare se vuoi guidare un gruppo. Così come il lavoro che stiamo facendo in vista dell'amichevole di domani. Due di noi faranno da allenatore e vice e saranno loro a guidare la squadra in campo. Sono esperienze nuove e interessantissime”.
Capitolo 10. Sentivo di aver dato quello che avevo da dare Sarà che è molto alto. Sarà che a Coverciano si muove con la naturalezza del padrone di casa. Sarà che gli allenatori quando spiegano i movimenti della difesa in campo spesso poi aggiungono ‘Giusto Andrea?’. Ci sono molte ragioni per cui Andrea Barzagli, dentro al ritiro AIC, sembra diverso da tutti gli altri. Lo si nota immediatamente dentro al gruppo in divisa. Lo si nota immediatamente in campo. Nonostante abbia staccato la testa dal ruolo di calciatore, le sue accelerazioni sono diverse, il suo cambio di gioco è diverso, il suo utilizzo del corpo è diverso. Siamo nell’aula magna di Coverciano e la prima domanda che gli faccio è legata ai suoi limiti. “Ho letto le tue interviste appena arrivato qui in ritiro. Dicevi di aver scelto di smettere perché hai sentito di aver raggiunto il limite. Parli di limite fisico o non solo?”. “Parlavo di limiti fisici e mentali. Mi sono reso conto che mentalmente non ero più in grado di garantire i livelli di prestazione a cui ero abituato. La cosa mi disturbava parecchio. Penso di aver dato quello che avevo da dare e forse anche qualcosa in più, dato che smettere a trentotto anni non capita a tutti”. Di fronte ho una persona totalmente in pace con se stessa. Nessun rimorso. Nessuna malinconia per il campo o l’atmosfera
Andrea Barzagli
speciale
della partita. “Ho sempre vissuto al cento per cento il mio lavoro e smettere mi ha fatto rilassare. Sono riuscito a fare molte vacanze con la mia famiglia e mi sento già rinato come persona”. I giorni di Coverciano sono un ritorno al passato. “Ho rimesso una divisa e indossato di nuovo le scarpe da calcio. Ho salutato le persone che qui ho visto per 10 anni. Chiaramente però la mia testa non è la stessa dei ragazzi che sono qui per allenarsi forte e farsi trovare pronti. Per rispetto loro cerco di allenarmi bene ma l’approccio mi rendo conto che è molto diverso”. Barzagli non sa ancora cosa farà nella vita. Sa però che può permettersi il lusso di aspettare ancora prima di prendere una decisione. “Non sono mai stato una persona capace di pensare troppo in là. Ho sempre pensato al presente. Ora sto affrontando nuove esperienze per capire cosa potrà entusiasmarmi di più”. Capitolo 11. Alla fine della partita L'amichevole contro la Carrarese è finita 4 a 1 per la selezione degli svincolati. Daniele Croce ha giocato da mezzala di sinistra ed è stato uno dei migliori in campo. Gli avversari hanno fatto molta fatica a limitarne il gioco e lo si capisce anche dalla sua maglia numero 8 che, per qualche strattonata di troppo, a fine partita è di due taglie più grande. “Fa un po’ strano giocare una partita così, è inevitabile. Di solito alle amichevoli d’estate ci si arriva con le gambe pesanti, sapendo di dover provare cose che ti serviranno durante l’anno. Oggi la testa era diversa. Però è sempre una partita. Serve ad allenarsi e divertirsi”. Siamo a bordo campo e la partita è finita da una manciata di minuti. Le trecento persone che hanno visto la partita stanno lasciando le piccole gradinate gialle e blu dello Stadio dei Marmi. “Restare senza contratto è stata una mia scelta. Alla mia età avevo bisogno di prendermi un po' di tempo per decidere cosa fare in futuro”. Croce fa parte di quella grande categoria di giocatori con una lunga carriera anche
in Serie A - è stato colonna del centrocampo dell’Empoli sia di Sarri che di Giampaolo - di cui tuttavia il grande pubblico fatica a ricordare il volto e il nome. Un esempio perfetto per spiegare che ad alti livelli non sono tutti divi. “Questo ritiro era una tappa che volevo fare. Volevo prendere il patentino Uefa B. Quando tornerò a casa capirò a mente fredda se lo dovrò usare subito oppure se continuare a giocare. Dovrò ascoltare i miei stimoli”. Croce, a differenza d’altri, si sta godendo il ritiro senza il pensiero fisso a trovare una nuova squadra. Non ha ancora chiaro se gli siano rimaste altre energie mentali per continuare a giocare. Aspetta di trovare la risposta senza alcuna ansia. “Più ci si avvicina alla fine della carriera e più si inizia a pensarci, è un momento complesso per tutti quelli che smettono. Non so dirti onestamente quanto sarà difficile per me smettere. Di sicuro qualcosa mi mancherà”. Capitolo Extra. Titoli di coda Ricordo una delle cene. Alla mia sinistra Renzo Ulivieri, di fronte a me un preparatore dei portieri. Abbiamo parlato un buon quarto d’ora di come sia difficile ora ritrovare i sapori autentici delle cucine popolari italiane, quelle dei bisnonni, e quelle dei bisnonni dei bisnonni. La gastronomia ha lasciato poi spazio all’ornitologia, con disquisizioni sui differenti canti degli uccelli. E a fianco di tutto questo il racconto del dietro le quinte del suo Bologna di Baggio. Di quanto sia stato complesso
gestire quel terremoto mediatico per una piazza che non ne era abituata. Ricordo la rifinitura prima dell’amichevole a Carrara. I giocatori impegnati nell’allenamento, l’allenamento che diventa lezione del corso. Mister D’Arrigo che pone questioni tattiche e lascia che siano a calciatori a dibatterne tra loro e a decidere come affrontare il 433 di Baldini. Momenti in cui Croce si propone di scrivere un whatsapp a Maccarone per sapere come giocano i toscani e in cui Barzagli e Domizzi guidano due differenti visioni tattiche riguardo ad un’uscita palla dal lato destro in fase difensiva. Ricordo in un momento di pausa Sorrentino chiacchierare con Barzagli e Barzagli fargli da guida virtuale dentro all’azienda vinicola di cui è socio. Raccontargli che le sue vigne si stendono sulle colline messinesi, che da quei terreni si vede tutto lo stretto, che il mondo del vino è bellissimo e complesso, e che lui lo ha voluto conoscere per passione ma che preferisce che oneri e onori appartengano a chi ci lavora ogni giorno. Ricordo ancora Ulivieri, ad inizio allenamento, gridare verso il campo “Della Rocca!”, poi il ragazzo avvicinarsi, il mister appoggiare un braccio sulla sua spalla e chiedergli del fratello, suo ex giocatore, “Come sta Luigi? Cosa fa adesso? Me lo saluti?”. Ricordo la vita di un ritiro come tanti e, in realtà, come nessuno.
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serie B
di Claudio Sottile
Le neopromosse nel campionato cadetto
Benvenuto e Bentornati Sono nel calcio del sabato del villaggio nel pallone. Sono nel calcio delle telecamere negli spogliatoi. Sono nel calcio degli stadi che ospitano gare della Nazionale o che fino all’altro ieri erano teatro di partite europee. Sono Juve Stabia, Pisa, Pordenone, Trapani e Virtus Entella, in rigoroso ordine alfabetico, anche loro nella Serie B 2019/20. Campani, friulani e liguri dopo una cavalcata travolgente, toscani e siciliani vincitori della lotteria playoff. Gialloblù, nerazzurri, granata e biancocelesti tornati in cadetteria rispettivamente dopo anni cinque, due, ancora due, uno. Neroverdi, invece, al primo giorno assoluto in B, novizi curiosi di orientarsi al meglio nel nuovo habitat. Il primo scampolo di campionato ha evidenziato un grande appetito per tutti. La prova della loro fame nelle parole di MagnusTroest (Juve Stabia), Robert Gucher (Pisa), Mirko Stefani (Pordenone), Felice Evacuo (Trapani) e Matteo Mancosu (Virtus Entella): fame di vitamina B, fame di campionato delle quattro stagioni.
6 domande 6… 1. A fine campionato sarai contento se…? 2. È più difficile essere promossi dalla Serie C oppure salvarsi in cadetteria?
Magnus Troest, difensore della Juve Stabia
“Sarà importante gestire i momenti difficili” 1. “Se saremo salvi. Ne sarei davvero contento”. 2. “Non è facile vincere. Dalla C sale solo il vincitore, devi essere perfetto per la stagione intera. Ai playoff, poi, ci sono decine di squadre che partecipano. Anche la B è molto livellata, non è facile salvarsi. Se devo scegliere, dico la prima. Ne sale solo una a girone e normalmente c’è un unico posto per chi trionfa negli spareggi”. 3. “Arriveranno i frangenti difficili, l’importante sarà gestirli, provando a uscirne il prima possibile. Il problema della B è che questi momenti arrivano, se non riesci a cambiare la rotta entri nel tunnel ed è faticoso uscirne”.
settimane particolari”. 5. “Uno come Giacomo Calò, che l’anno scorso ha fatto benissimo in Serie C, ha grandi qualità. Potrà fare un grande campionato anche in Serie B”. 6. “Potrebbe esserci la possibilità. Le promosse hanno fatto belle Anche la B è molto livellata, squadre, anche se sarà difficile. Lecce, Spal e Frosinone nenon è facile salvarsi gli anni scorsi avevano allesti4. “Ho visto che avremo due derby di to squadre forti per la B, certo non seguito, Benevento e Salernitana, ci si aspettava che salissero, però l’andata in casa nostra. Quel moavevano preso calciatori di razza mento sarà bello da vivere, saranno per la categoria”.
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serie B
3. Dove potrebbero nascondersi le insidie maggiori durante il cammino?
particolare enfasi per un qualsiasi motivo?
4. C’è una partita che hai cerchiato
5. La B è spesso indicata come la fucina
sul calendario e che aspetti con
di nuovi talenti. Il nome di un giovane
della tua squadra che dirà la sua?
6. Intravedi
margini per una doppia scalata, come quella completata lo scorso anno dal Lecce?
Robert Gucher, centrocampista del Pisa
“L’equilibrio giusto nei momenti positivi” In B, invece, è vitale trovare l’equilibrio giusto nei momenti positivi e mantenere la calma in quelli negativi. È un torneo duro fino all’ultimo secondo, tutte le squadre hanno valori equilibrati”. 4. “Quella contro il Frosinone, ovviamente, tornerò lì all’ultima giornata di ritorno. Ho vissuto in Ciociaria tanti anni della mia carriera, tutti bellissimi. Ho lasciato diversi amici, la dovrò attendere, ma come si dice dulcis in fundo…”. 5. “Abbiamo numerosi giovani bravi. Se devo sbilanciarmi con dei nomi, dico Birindelli e Marin. Possono fare 1. “Se avremo raggiunto il nostro il salto di qualità, hanno già tanta obiettivo di difendere la categoria e esperienza sulle spalle. Per Samuerimanere in B”. le è un ritorno in B, aveva già fatto 2. “È più difficile salire dalla C. È una qualche presenza, Marius viene da categoria particolarmente rognosa un anno importante, per entramda vincere, ci sono state tante squabi è il momento di spiccare il volo. A livello di testa e di mentalità La Serie B è un torneo duro sono due ragazzi che possono arrivare”. fino all’ultimo secondo 6. “È ancora presto per dirlo. dre grandi e forti che c’hanno mesMa quasi ogni anno, ormai, c’è una so anni per venirne a capo”. squadra promossa che se la gio3. “In C trovi 5-6 club forti, altri 5 medi ca fino alla fine. Può risuccedere e gli altri più abbordabili alla lunga. anche quest’anno. Quando vinci
la C e sali, si crea un entusiasmo, un’atmosfera importante, tra la squadra, i tifosi, la società, che ti porta a fare un altro campionato ancora più ambizioso. Non è detto che accadrà, ma sicuramente tutte faranno bella figura. L’ho vissuto in prima persona a Frosinone, dopo la promozione possono succedere cose positive inaspettate”.
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serie B
Felice Evacuo, attaccante del Trapani
“Il gioco potrà essere la nostra forza” 1. Se ci salviamo e manteniamo la categoria. L’anno scorso è stato re-
Soprattutto in C, una categoria che conosco bene e nella quale ho sempre giocato con squadre attrezzate per vincere, però È molto più difficile non sempre si riescono a essere promossi dalla Serie C centrare gli obiettivi di inizio campionato”. alizzato un vero e proprio miracolo 3. “L’insidia maggiore è la nostra stessportivo, abbiamo riportato il Trasa squadra, nel senso che siamo una pani in B dopo due anni. Sarebbe promossa, nei singoli non abbiamo bello alla fine festeggiare di nuovo, tantissima esperienza rispetto alle stavolta una salvezza”. altre che si giocheranno la perma2. “È molto più difficile essere pronenza con noi. Ma dalla nostra abmossi. Vincere non è mai facile. biamo, secondo me, l’entusiasmo
Mirko Stefani, difensore del Pordenone
“Il campo è giudice, tutto è possibile” 1. “Se il prossimo anno saremo nella stessa categoria”. 2. “Domanda complicata, per due motivi. In primis perché vincere i campionati è difficilissimo in qualsiasi categoria, come l’anno scorso è
stato per noi. Secondo perché non conosco a fondo la B. Per me la difficoltà è sullo stesso piano”. 3. “Le insidie verranno andando incontro a dei momenti di difficoltà, quando qualche risultato non arriverà. Lì bisognerà mantenere l’equilibrio, per ritrovare i perché che ci hanno condotto dove siamo adesso. Sono curioso di vedere come supereremo le difficoltà, bisogna saperle affrontare mantenendo lucidità e equilibrio, qualità che abbiamo dimostrato sempre in questi anni”. 4. “Quest’anno c’è la volontà di giocarsi tutte le partite, in tutti gli sta-
Tommaso Pobega, ragazzo ‘99 di proprietà del Milan, che sta facendo bene. Ha tutte le caratteristiche per poter avere un futuro davvero importante”. 6. “Se uno va a vedere le favorite sulla carta, in questo momento, probabilmente non c’è promosVincere i campionati è difficilissimo nessuna sa. Poi il campo in qualsiasi categoria è giudice, c’è la possibilità da di, contro qualsiasi società. Per me parte di tutti di poter essere protaè strano vivere da ex la prima contro gonisti. Non escluderei qualcuno a il Frosinone e l’ultima opposto alla priori. Se un gruppo si porta l’entuCremonese. Sono due partite un po’ siasmo dell’anno precedente, tutto particolari. All’epilogo, a prescindeè possibile nel calcio. I valori si sono re dal risultato finale, spero che ci assottigliati molto, la costanza del sia la stessa felicità provata all’egruppo negli anni, a volte, fa più la sordio (3-0 per il Pordenone, ndr)”. differenza rispetto al talento di ogni 5. “Indubbiamente. Mi viene facile dire singolo calciatore”.
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che ci portiamo dietro dall’anno scorso, e un modo di giocare che non è comune a tutte le squadre. Il gioco potrà essere la nostra forza”. 4. “L’ultima, per festeggiare la salvezza. E magari di nuovo la doppia cifra, anche se personalmente la stagione non è cominciata nel migliore dei modi. L’infortunio mi terrà fuori un paio di mesi, sono stato molto sfortunato”. 5. “Dire un nome è sempre scomodo, però credo che Andrea Colpani, il centrocampista arrivato dall’Ata-
lanta, sia un giocatore di grandi prospettive, dal punto di vista tecnico e della personalità. Avere già il piglio dei grandi non è facile, in lui ho notato queste caratteristiche in modo molto accentuato”. 6. “Cambiando poco e inserendo degli elementi giusti in una rosa che ha vinto la C, si è già molto competitivi in B. Quest’anno tra le promosse c’è qualcuno che ha adottato questo tipo di strategia, certo sarà il campo a dire la parola finale, ma credo che sì, potrebbe ricapitare”.
Matteo Mancosu, attaccante della Virtus Entella
“Stare attenti a rialzarsi dopo ogni caduta” 1. “Se ci saremo salvati, sicuramente. Poi mi piacerebbe sfondare la doppia cifra, l’obiettivo è far gol, se ne sigli tanti è sempre bello. Però metto davanti la squadra, è più importante di tutto. Se contribuisco io maggiormente, sono contento”. 2. “Essere promossi dalla Serie C, che è il campionato più problematico che ci sia. Uscire dalle sabbie mobili della terza serie è molto difficile, ci sono tanti esempi di calciatori forti che non sono mai riusciti a militare in A o in B proprio perché non l’hanno spuntata in C. Trovi campi duri, di periferia, che sembrano facili da
sicuramente ce ne saranno, bisogna avere capacità e lucidità di guardare avanti, ribattendo e reagendo”. 4. “Quella di Trapani. Da quando sono andato via, non sono più tornato. Sicuramente mi susciterà tanta emozione. Ci tengo a tornare e riabbracciare Trapani, poi vediamo quello che succede. Spero di essere accolto bene, abbiamo fatto qualcosa di straordinario lì, spero che la gente se lo ricordi”. 5. “Sono tanti. Ancora è presto per fare un solo nome. Abbiamo, tra gli altri, tanti ‘99, 2000 e 2001 che possono arrivare in alto. Dico Marco Toscano, Marco Sala, Manuel De Luca, LeoIn B puoi fare un passo falso nardo Sernicola, tutti e trascinartelo per tanto tempo ragazzi che possono dire la loro”. risolvere, e invece sono complica6. “Potrà capitare. Il passo più difficile tissimi”. è andare via dalla C, con 5 squadre 3. “Le insidie, purtroppo, sono dietro promosse magari una potrà trovare l’angolo. In B puoi fare un passo fall’anno giusto. Chissà, io lo auguro, so e trascinartelo per tanto tempo, dalla C alla A è un balzo importanbeccare un filotto di partite nelle te, e se lo fai vuol dire che te lo sei quali non giochi bene e pagarlo sameritato. Speriamo di poter riuscire lato. Devi sempre stare attento e noi, ma l’obiettivo principale è manrialzarti dopo ogni caduta, perché tenere la categoria”.
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amarcord
di Pino Lazzaro
La partita che non dimentico
Cristian Agnelli (Pergolettese) ““Quello che ho dentro per forza di cose è legato al Foggia, ne ho passate di stagioni lì con loro e di certo sono quelle che ho vissuto più intensamente. Io poi che sono proprio di Foggia, fascia di capitano, in una piazza particolare, che ti può anche “mangiare”. E allora quello a cui prima penso, assieme a tanti ricordi belli, è purtroppo un ricordo brutto: la partita di Verona
fallimento: magari se non andavamo giù tante cose si sarebbero potute forse sistemare, chissà. Io, da capitano del Foggia: di nuovo Serie D, perdendo contratti e pure la fortuna che avevo di essere a casa, sì, sono di lì. In più sono venute fuori in seguito altre cose, così spiacevoli, con attacchi sul piano personale, per forza di cose mi hanno costretto ad andarmene via”.
Contro il Verona, quella della retrocessione del mio Foggia dello scorso campionato, quella della nostra retrocessione. Ah, prima tutti quegli anni così belli, così pieni di vittorie e di passione e poi invece la retrocessione, arrivando poi pure al
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“Tornando a quella partita (giusto lo scorso 11 maggio; ndr), il dolore più grande è stato quello che non l’ho nemmeno giocata, sempre lì in panchina, nemmeno un minuto: inerme. Sei lì insomma e non puoi fare nulla, solo tanto dispiacere. Sapevamo i risultati delle altre squadre, noi che si vinceva, il loro pareggio e poi quel loro rigore e il tutto si è racchiuso in fondo in meno di 90 minuti, ne sono bastati una ventina. Mi rivedo in panchina alla fine, fermo, non sapevo proprio cosa fare, prima volta che mi capitava di vivere una situazione così, mai ce lo sa-
remmo immaginati a inizio campionato. Ricordo come alla fine, attorno alla panchina, ci fossero quasi tutti i miei compagni, loro che mi guardavano e io che non sapevo che fare, una soluzione non c’era, non poteva esserci. Come detto, io che sono di Foggia: per me indossare quella maglia era come aver addosso la maglia della Nazionale. L’incredibile scalata che abbiamo fatto dalla D alla B… con alla fine l’accusa di essere persino uno dei colpevoli per il fallimento, queste le malelingue per cui non ho potuto più starci in quel “mio” posto, ho dovuto andarmene… ed ero in panchina, senza poter far nulla se non quel discorso ai compagni prima di iniziare”. “E adesso? Sto aspettando, ho voglia di continuare a giocare e intanto ho partecipato all’esperienza di Coverciano, prendendo pure il patentino Uefa B. Un’esperienza bellissima e indimenticabile: al di là dei 18 giorni di ritiro, al di là di quanto fatto sul piano tecnico e tattico, è stata un’esperienza di vita, con uno spogliatoio allargato con 60 persone, c’erano anche tre ragazze e Iudica della Nazionale amputati. Uno spogliatoio insomma diverso, con in più il fatto di doverti rimettere a studiare, psicologia, settore giovanile, l’incontro con tante persone nuove: il tutto è stato davvero molto formativo. Non so se farò l’allenatore, non so. Certo che anche da giocatore ho sempre avuto modo di stare attento agli aspetti tecnico-tattici, però mi rendo conto quanto sia difficile allenare. Specialmente poi qui da noi, per la mentalità che abbiamo, bastano poche partite senza far risultato e tutto viene messo in discussione, fa prestissimo a venir meno la fiducia in quel che fai. Negli anni ho avuto a che fare con allenatori importanti, ho visto cosa vuol dire fare per davvero l’allenatore, peccato che a livello dirigenziale ci sia fin troppo spesso della “ignoranza” calcistica, sarebbe meglio
amarcord
Daniele Croce
(svincolato)
se ne avessimo una diversa di cultura. Chissà, potrei pure provare a fare il direttore sportivo e comunque è dentro questo ambiente che vorrei restare. Lì a Coverciano quel che più mi ha attirato è stato il settore giovanile, davvero un mondo nuovo per me e non ho potuto non pensare così a mio figlio Gerardo, 13 anni (c’è poi anche Melissa di 8; ndr). Dai, motivazioni non mi mancano, certo che no, di sicuro non mi piace che gli altri facciano per me”.
AIC a Milano CalcioCity
Football Social Club L’Associazione Italiana Calciatori ha presentato, con Milano CalcioCity, la prima edizione di “FOOTBALL SOCIAL CLUB:” una giornata dedicata al modo di intendere il calcio, oggi e nel prossimo futuro, un futuro che stiamo costruendo tutti insieme. L’evento del 30 settembre scorso a Milano, presso BASE, (conference moderata da Alessandro Alciato alla quale hanno partecipato Damiano Tommasi, Demetrio Albertini, Gianluca Zambrotta, Massimo Paganin e Katia Serra), ha messo al centro innovazione, comunicazione, start-up, gaming ma soprattutto e prima di tutto il calcio. L’iniziativa è nata con l’obiettivo di raccontare ed ascoltare le analisi e le visioni di chi il calcio lo gioca, lo ama e lo vive tutti i giorni. “FOOTBALL SOCIAL CLUB” è diventato quindi un modo di confrontarsi per uscire dalla sensazione di costante contingenza, per raccogliere e proporre idee per il futuro di questo sport, partendo dai suoi protagonisti: i calciatori e le calciatrici.
“Beh, la partita che proprio non dimentico è l’ultima del campionato di Serie B, Empoli-Pescara: vincendola avremmo avuto la matematica certezza della Serie A (la stagione è la 2013/2014; ndr). Una partita quella che giocai che avevo già 30 anni: significava la possibilità di realizzare un sogno, quando ormai non ci speravo quasi più di farcela. La mia era stata infatti sin lì una carriera fatta di tanta Serie C e B; da giovane avevo avuto delle possibilità, poi non erano andate bene e insomma quel sogno che penso tutti hanno sin da bambini lo avevo praticamente accantonato. Poi ci fu invece quella cavalcata con l’Empoli che significò sia la conquista della A che poi il mio esordio (a Udine, esattamente il 31 agosto 2014, giusto a pochi giorni dal 32° compleanno; ndr). Quella col Pescara fu una partita sofferta, ricordo che la vissi con una tensione incredibile, anche perché avevo in mente la finale persa ai playoff del campionato precedente (contro il Livorno; ndr). Andammo poi sull’1 a 0 per noi e ricordo quel grande
senso di liberazione quando segnammo il 2 a 0, io lì che sino al fischio finale trovai modo proprio di assaporarli quei minuti, già dentro di me immaginavo i film del prossimo anno, della Serie A. Sì, me la sono proprio goduta, con poi quei nostri giri di campo, c’erano pure mia moglie e mio figlio, col coinvolgimento di tutta la città: stupendo”. “Ora? Ho deciso di smettere, lì a Coverciano ho preso il patentino e sarà dunque come allenatore o collaboratore che intendo continuare. Ci ho pensato a lungo e il pensiero era quello comunque di decidere io quando smettere, che non fossero gli altri insomma a farlo. Fisicamente sto bene, gli ultimi campionati li ho fatti pure bene ma quel che contano per me sono gli stimoli, devo essere al 100%, altrimenti potrebbero arrivare magari delle brutte figure: meglio di no, proprio no”.
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scatti
di Maurizio Borsari
Schemi Antonio Martusciello in Parma – Juventus 0-1
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scatti
Spiragli Erick Pulgar in Fiorentina – Galatasaray 4-1
Guerriero Sinisa Mihajlovic in Hellas Verona - Bologna 1-1
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primo piano
di Pino Lazzaro
Riavvolgendo il nastro delle Universiadi
Giorgia e Peppe: capitani coraggiosi Sono stati rispettivamente la capitana e il capitano delle nostre due squadre di calcio partecipanti alle Universiadi lì in Campania: Giorgia Spinelli e Giuseppe “Peppe” Ungaro (con i maschi che hanno portato a casa il bronzo e le femmine che si sono classificate settime). Il tutto nella prima metà di luglio, di tempo insomma in effetti ne è passato parecchio, ma stavolta ci è parso comunque valesse la pena riavvolgere il nastro. Per Giorgia che gioca in Francia, nello Stade Reims. Due anni lì per lei, entrambi in Ligue 2, ma il secondo anno il campionato l’hanno proprio dominato (seconde la prima stagione) e così ora è in Ligue 1, trovandosi così pure di fronte delle vere e proprie corazzate, tipo l’Olympique Lione con le quattro Champions League consecutive, il Pallone d’oro (la norvegese Hegerberg) eccetera eccetera. Anche lì capitana, lei che dalla B con l’Inter Milano se n’era andata attirata dall’esperienza di vita e pure dalla possibilità di sentirsi ed essere una calciatrice “vera”, con strutture finalmente all’altezza
(di più, “abbiamo persino la mensa”), potendo così fare calcio come lavoro, giusto concentrandosi su questo, consapevole che tutte le altre decisioni e scelte le potrà comunque fare più avanti. Lei che per il calcio ha deciso pure di smettere di studiare, per ora. S’era infatti a suo tempo iscritta a Scienze Politiche, ma poi era arrivata l’occasione francese. Proprio con la prospettiva delle Universiadi aveva rinnovato l’iscrizione ma ora, da giocatrice di Ligue 1, ecco la decisione di mettersi per bene lì sul pezzo, ancora e ancora, motivata e curiosa. Sì, dai, i libri possono attendere ancora, se la vuole giocare sino in fondo questa possibilità. Motivata e curiosa. Per Peppe invece che a 13 anni è andato via da casa, da Taranto a Bergamo (Atalanta), crescendo e imparando. Dopo la Primavera tre anni di prestiti (Real Vicenza, Mantova e Santarcangelo), poi l’Atalanta che lo lascia andare e lui
che gioca a Renate e infine Reggina, la squadra della scorsa stagione. Lui che volentieri sarebbe rimasto (“sono dieci anni che sono in giro e pur se i problemi non sono mancati, è stato il mio anno
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più bello sinora tra i prof”), ma questo è ora il calcio, specie in Lega Pro, con le società che a ogni inizio di stagione cambiano e rivoltano: ripartenza così da Bisceglie. Beppe dice che lui ad arrivare in alto (la A) ci crede ancora, che di ambizioni ne ha tante e che proprio da un’esperienza come quella vissuta all’Universiade ne è venuto fuori con ancor più fiducia e consapevolezza: “un’esperienza incentivante”, così la definisce. Lui poi che da studente non ha proprio mollato (“di tempo libero ne abbiamo parecchio, dai, lo trovi se davvero vuoi”) e che a ottobre si laureerà in Scienze Motorie.
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CAPITANA E CAPITANO Giorgia “I gradi di capitana me li ha assegnati mister Leandri. Lì, durante la preparazione a Formia, dopo due-tre giorni, dicendolo al gruppo prima di un allenamento: io capitana e vice la Goldoni. Come mai? Penso abbia contato il fatto che già l’ho fatto a livello di club e che ero tra le più esperte del gruppo. Aggiungo che l’avevo già capito che ero comunque un po’ un punto di riferimento per il gruppo”.
Peppe “È stata una scelta dell’allenatore, di Arrigoni. S’era a Fisciano, prima di un allenamento, è stato lì che l’ha detto al gruppo, ricordo che quel giorno era venuto il sindaco a salutarci. Credo abbiano contato i cinque anni in cui già ho giocato tra i professionisti e pure quello che è il mio modo di fare: sono un altruista, uno di cuore, che mette davanti sempre prima gli altri che il sottoscritto”.
SUL CAMPO Giorgia “Prima di partire tutti ci davano già per spacciate, contro Giappone e Stati Uniti non ci poteva essere partita. Non avevamo così nulla da perdere e come stimolo c’era pure quella scia dell’Italia al Mondiale. Col Giappone abbiamo perso 2 a 1 e secondo me un pareggio sarebbe stato più giusto e siamo poi riuscite a passare il turno del girone battendo… gli Stati Uniti! Come seconde del girone c’è poi toccata purtroppo la Corea del Nord, loro che poi hanno vinto l’oro: abbiamo sì perso 4 a 1, però sino al 2 a 1 ce la stavamo giocando. Potevamo comunque fare meglio, con la Cina abbia-
mo preso gol al 90°, dopo aver dominato per 89 minuti. Comunque sia, abbiamo dimostrato di esserci”. Peppe “Dopo l’ultima partita, m’è venuto da fare un discorso ai miei compagni, dicendo loro che era stato in fondo facile fare il capitano, dato che in quel nostro tempo assieme, ognuno s’era dimostrato leader di sé stesso. Alla fine siamo arrivati terzi, abbiamo preso il bronzo ma c’è mancato proprio poco che arrivassimo più su, tanto più che quella col Giappone è stata per me la vera finale: hanno vinto loro (ai rigori; ndr) e sono stati bravi”.
INDIMENTICABILE Giorgia “Magari è stato pure un qualcosa di… lungo, certo che lo rifarei diecimila volte. Tra l'altro, è stata un’esperienza che poi ho potuto fare a casa nostra, che fortuna. La cerimonia allo stadio San Paolo di Napoli, quante emozioni e che orgoglio sfilare come capitana della Nazionale italiana. Una delle mie esperienze certamente più belle, assieme a quella dell’esordio nella Nazionale maggiore. E il gruppo che s’era creato, tutti quei nostri giorni passati assieme…”
Peppe “Un’emozione incredibile, la maglia della Nazionale. Sarà pure l’Universiade, magari la si può vedere come un qualcosa di secondo piano, ma quella nostra maglia è proprio speciale, ne rappresenti tante di persone. E poi il gruppo, l’interagire con le altre nazioni, potendo vedere come si comportano gli altri, come reagiscono per esempio alle vittorie e alle sconfitte, l’approccio che hanno verso le gare. Lo vedi così quanto il mondo è vario e quanto hai da imparare: così cresci”.
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Filippo Corti (responsabile delegazione calcio, maschi e femmine)
Esperienza unica Avere la fortuna di poter partecipare alle Universiadi è un privilegio riservato ai migliori sportivi che nel corso della loro carriera hanno avuto la lungimiranza di investire anche nella loro istruzione per arrivare preparati al "triste" momento in cui smetteranno di scendere in campo. Io ho partecipato a 3 Universiadi da calciatore: una l'ho vissuta con la fascia di capitano al braccio e una l'ho vinta contro squadre attrezzatissime e candidate alla vittoria come il Giappone e la Corea del Sud. Solo in due edizioni l'Italia è
riuscita a portare a casa una medaglia d'oro: nel 1997 in Sicilia e appunto in Corea del Sud nel 2015 (i cimeli delle due compagini sono custoditi al Museo del Calcio di Coverciano). Da calciatore non dimenticherò mai l'orgoglio di aver vestito la maglia azzurra e la fortuna di aver potuto vivere un'esperienza così totale e così incredibile. Le Universiadi sono una manifestazione sportiva e culturale seconda solo alle Olimpiadi in termini statistici, numerici e mediatici e, per certi sport, anche tecnici, ma l'atmosfera che si respira,
LA SCHEDA Segretario Generale del CUS (Centro Universitario Sportivo) dell'Università di Roma Tor Vergata e Tutor e Docente al corso di Laurea in Scienze Motorie-Curriculum Calcio dell'Università Telematica San Raffaele, Filippo Corti è pure Rappresentante AIC per le relazio-
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ni con la FIFPro. Nato calcisticamente nel Varese Calcio, con esordio in serie C2 a 17 anni, ha giocato nella Tritium (tra Serie D e Lega Pro, con la vittoria di due campionati e della Supercoppa di Lega) e nella Pro Sesto. Trasferitosi a Roma, ha militato nell'Almas Roma e infine nella Lazio (Serie A di Calcio a 8). Tre le Universiadi da lui giocate: nel 2011 a Shenzhen (Cina), la seconda – da capitano – a Kazan nel 2013 (Russia) e la terza, condita dalla vittoria della medaglia d'oro a Gwangjiu nel 2015 (Corea del Sud). Presente pure nell’edizione del 2017 a Taipei (TAIWAN) nella segreteria organizzativa del CUSI (Centro Universitario Sportivo Italiano), lo scorso luglio ha ricoperto lo stesso ruolo in quella di Napoli (pure come responsabile della delegazione maschile e femminile di calcio, oltre che della delegazione di tiro con l'arco). La medaglia d'oro di Gwangjiu ha permesso a Filippo di vincere alcuni riconoscimenti del mondo dello sport universitario e del CONI – il Premio Romanzi e il Premio quale atleta universitario dell'anno – che mai prima erano stati attribuiti a calciatori.
il villaggio olimpico, il fair-play, il differente e multidisciplinare approccio allo sport, all'allenamento, alla gara, all'avversario, hanno una forma e una consistenza completamente unica, genuina e preziosa che solo le competizioni olimpiche hanno. In quest'ultima Universiade sono stato incaricato dal CUSI a una delega organizzativa e di responsabilità sulle Nazionali di Calcio, la femminile e la maschile: ho potuto lavorare con staff tecnici egregi, da un punto di vista professionale ed umano e ho trovato due ottimi gruppi, quello delle ragazze e quello dei ragazzi. Il bronzo della maschile è stato un riconoscimento adeguato per il gioco
Organo mensile dell’Associazione Italiana Calciatori
speciale ago-set 2019
GloBall
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di Stefano Sartori
Avellaneda e i Milito: una città, due club e due fratelli contro Il calcio in Argentina non è solo River – Boca ma esprime una miriade di altre storiche rivalità, che spesso trascendono la dimensione sportiva per trasformarsi in contrapposizioni culturali e a volte politiche. Forza e debolezza del calcio argentino, un misto di fascino e violenza endemica che pare impossibile da debellare, con ogni confronto che inevitabilmente si trasforma in un “clasìco” cittadino o di barrìo, cioè di quartiere, a cominciare dal secondo match più importante e sentito di Argentina, il “clasìco de Avellaneda“ tra Independiente e Racing, arrivato a 234 partite ufficiali (90 vittorie a 67 per i primi). Avellaneda è una città industriale di 342.000 abitanti della Provincia di Buenos Aires, nella quale si respira una rivalità insanabile che separa quartieri,
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strade, famiglie: per comprendere l’importanza dei due club, l’Independiente è la terza squadra argentina per titoli e afición (tifoseria) ma, soprattutto, è il ”rey de copas” dell’intero Sudamerica con un record di 17 coppe internazionali vinte, di cui 7 Libertadores, a cui vanno aggiunti 16 campionati nazionali; il Racing è il quarto club per titoli e afición con 3 coppe internazionali e 18 campionati argentini, l’ultimo dei quali vinto da poco. Anche la politica non è immune da questa rivalità: il Racing è da decenni accomunato al peronismo, un movimento/ partito populista che contava e tuttora conta sull’appoggio incondizionato degli strati più umili della popolazione argentina; l’Independiente ha invece una tradizione di presidenti e tifosi eccellenti che lo avvicina al radicalismo, una cor-
rente politica di ispirazione socialista. Ma la rivalità separa anche famiglie famose, come quella dei Milito: Diego, “racinguista” come la mamma, capitano ed idolo del Racing di cui ora è DT, e Gabriel, “rojo” come il resto della famiglia, difensore centrale, capitano e gloria dell’Independiente. Un antagonismo che si è visto, e non poco, anche sul campo: durante un clasìco Gabriel commette fallo da ultimo uomo su Diego. Diego chiede platealmente l’espulsione del fratello (in seguito solo ammonito), e proprio per questo Gabriel lo affronta a male parole e con la consueta “garra” sudamericana. Tra le offese ricevute, anche la ben nota e non bisognosa di traduzione “hijo de p…!” Geniale la risposta di Diego: “es la misma que la tuya!” (la mia mamma è anche la tua!).
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Buenos Aires, un club un barrio Sono le capitali di due paesi spesso rivali e con culture e tradizioni profondamente dissimili, almeno in superficie, ma Buenos Aires e Londra condividono un forte sentimento di appartenenza che lega i singoli quartieri (rispettivamente barrios e boroughs) ai club che li rappresentano. La differenza è data dal fatto che in genere le squadre dei barrios di Buenos Aires, anche se contano minori masse di tifosi rispetto a quelle londinesi, causa non secondaria l’immensa popolarità di Boca e River (per i quali tifa circa il 70% degli argentini), si distinguono per un legame club/quartiere che va oltre la dimensione sportiva. Farsi socio, istituzione di origine iberica diffusa in tutto il Centro e Sudamerica, significa accedere ad installazioni po-
lisportive, corsi di formazione, biblioteche, asili nido, attività musicali, corsi di tango, ecc.; con la quota associativa ci si lega ad un club polisportivo ma anche ad una entità socio-culturale profondamente legata al territorio urbano circostante. Nelle cinque categorie pro del calcio argentino ci sono almeno ventidue club che hanno sede nella capitale, e se si escludono le tre grandi River, Boca e San Lorenzo, quasi tutte le altre sono quasi esclusivamente radicate ai barrios nei quali sono state fondate. E le rivalità, sempre virulente e spesso ostaggio delle rispettive barras bravas, nascono di conseguenza: come a Villa Crespo, quartiere del centro di Buenos Aires, che dopo anni di declino sta rinascendo anche grazie alle numerose attività di riqualificazione in campo edilizio,
commerciale e turistico promosse dalle istituzioni municipali locali. Indissolubilmente legato a Villa Crespo è il Club Atletico Atlanta, fondato nel 1904, neo promosso nella Primera B Nacional, l’equivalente della Serie B italiana, con alle spalle ben 45 campionati in Primera Division e acerrimo rivale del Chacarita Juniors. La rivalità nasce nel 1922 per questioni di vicinanza geografica (i rispettivi stadi erano divisi da una strada) e anche se il Chacarita ha lasciato il barrio d’origine nel 1945… , il “clasico de Villa Crespo” - disputato 129 volte in partite ufficiali, con 41 vittorie a 34 per il Chacarita - continua nel tempo ad appassionare le rispettive tifoserie e rimane uno degli scontri più tradizionali del calcio argentino.
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Irlanda del Nord: cattolici e protestanti Ora si sono per fortuna attenuate ma in Irlanda del Nord e a Belfast in particolare, le tensioni tra cattolici e protestanti sono state sempre presenti e nella forma più violenta – i cosiddetti “Troubles” - hanno dato luogo a violenze che sono durate per circa 30 anni, dal 1968 al 1998, con oltre 3.500 morti. Il calcio, come sempre, ha spesso costituito un terreno alternativo di confronto e ha alimentato rivalità interreligiose che sono nate ben prima dei “Troubles” e che risalgono a fine ‘800, quando i principali club di Belfast furono fondati.
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Per i protestanti soprattutto il Linfield, club gemello degli scozzesi Rangers, ma anche Distillery e Crusaders, per i cattolici l’ormai scomparso Belfast Celtic ed in seguito il Cliftonville. All’elenco va però aggiunto un club che, prima degli altri, si è distinto per avere lottato contro il “sectarianism”, cioè la regola non scritta che impediva soprattutto ai club protestanti di tesserare calciatori cattolici: stiamo parlando del Glentoran, la seconda squadra per titoli e tifosi (tra i quali il giovane George Best) dell’intera Irlanda del Nord ed arci rivale del Linfield, contro cui dà vita dal
1887 al Belfast’s Big Two derby. Il Glentoran si distingue per essere un club fondato e supportato prevalentemente da protestanti ma, come era per il Belfast Celtic, aperto al tesseramento ed al tifo di calciatori e supporters di altra religione. Una politica, non solo sportiva, di apertura e puro buon senso, che aggiunge un ulteriore motivo per supportare con simpatia un club attualmente in difficoltà - non vince un campionato dal 2008/09 – ma che continua a rivendicare sul campo la propria originalità.
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La stagione 2018 in Brasile si tinge d’azzurro Nel 2018 in Brasile lo scudetto è stato vinto dal PALMEIRAS di San Paolo (decimo della sua storia, record per il Paese) e la Coppa nazionale è stata alzata al cielo da CRUZEIRO di Belo Horizonte, sesta volta nella storia, anche qui un record. Sia il PALMEIRAS che il CRUZEIRO sono club fondati da immigrati italiani:il primo nel 1914, il secondo nel 1921. Entrambi vennero fondati con la curiosa denomi-
nazione di “Palestra Italia”. Nel 1942 l’allora Presidente del Brasile, Getulio Vargas, che aveva dichiarato guerra alle forze dell’asse, obbligò i due club dal nome evidentemente troppo “italiano”, a cambiare la denominazione dei due club. In alcune particolari occasioni il PALMEIRAS ha utilizzato come seconda maglia una camiseta con i colori del tricolore in omaggio alle proprie radici.
Arsenal – Tottenham Il “North London Derby” Si tratta della rivalità più accesa non solo di Londra ma dell’intero Paese. È detto “North London Derby” perché entrambi i club hanno sede nella parte “nord” della capitale: l’Arsenal ad Islington, gli “Spurs” a Tottenham, entrambi quartieri popolari.
è stato fondato, nel 1886, dai lavoratori di un’azienda che produceva munizioni. I “Gunners” sono stati resi celebri in tutto il mondo anche grazie al romanzo di Nick Hornby, “Alta fedeltà”, best seller di interesse mondiale.
Tottenham: la parola “Hotspur”, che Arsenal: la denominazione del club non deriva dalla vicinanza del quartier generale al porto fluviale, bensì dal fatto che
completa la denominazione del club, si deve al nickname di Sir Henry Percy (Hotspur, per l’appunto), gentiluomo
e militare di carriera vissuto a cavallo del 1400. Gli “Spurs”, fondati nel 1882, raccolgono da sempre le simpatie della comunità ebraica londinese e i tifosi più accaniti sono conosciuti, e si autodefiniscono tuttora, “Yids”. Entrambe le squadre vantano un nutrito gruppo di sostenitori anche al di fuori dei loro quartieri di appartenenza e della città di Londra, cosa non comune in Inghilterra.
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Leyton Orient is back Due notizie, una brutta ed una buona, per gli amanti del calcio inglese d’annata: la cattiva è che dopo 131 anni e per la prima volta nella sua storia, il Notts County di Nottingham retrocede nei dilettanti, perdendo così anche il titolo di squadra più antica del calcio mondiale professionistico, che ora passa ai concittadini del Forest, fondato nel 1865. La buona: dopo due anni di purgatorio nella National League, la massima categoria del calcio non pro inglese, dovuti anche alla conclusa malagestione di una proprietà italiana sulla quale stendiamo un velo pietoso (due retrocessioni ed undici allenatori in tre anni …), il Leyton Orient di Londra è ritornato nei professionisti. Si tratta, nonostante un solo campionato di prima serie disputato nel lontano 1962, di uno dei club più tradizionali della capitale, secondo solo al Fulham per data di
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fondazione – il 1881 – ed è considerato da molti residenti come una delle parti più importanti dell'identità di Leyton, quartiere dell’east end londinese. In Inghilterra e a Londra in particolare, il sentimento di appartenenza per i club cittadini e di quartiere non ha eguali al mondo, nemmeno in Argentina dove le pur tradizionali ed amatissime squadre di barrios di Buenos Aires devono scontrarsi con la popolarità travolgente di Boca e River. A Londra non è così, per tradizione sportiva e culturale, se si nasce a Leyton si tifa naturalmente per i rossi dell’Orient e quindi non è strano che 8.241 persone abbiano affollato lo stadio di Brisbane Road per vedere l’ultima e decisiva partita utile per ritornare in League Two. Leyton, che si trova a undici fermate di metro (Central line) da Oxford Circus, è
cambiato nel corso del tempo: da classico quartiere popolare dell’east end, con costruzioni tipicamente inglesi a media densità abitativa, le cosiddette terrace houses, ultimamente è soggetto ad un fenomeno di gentrificazione, cioè l’afflusso di popolazione benestante e con livelli di istruzione elevati che sta rendendo più appetibile e costoso il quartiere, a scapito però della sua tradizionale anima working class. Ma il club è finalmente approdato in League Two e può continuare la scalata, più volte intrapresa in passato, per arrivare almeno in Champioship, la seconda divisione del calcio inglese nella quale ha militato complessivamente per 44 anni. E magari, prima o poi, sfidare ancora una volta il club rivale che per tradizione caratterizza ed assorbe il tifo dell’est londinese: il West Ham United.
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La dura vita dell’Espanyol Simpatizzare per i più deboli, meno vincenti e magari pure meno simpatici non è quasi mai facile, soprattutto in città in cui il calcio è monopolizzato quasi totalmente da un solo club, che si distingue per la storia gloriosa e per la bacheca piena di titoli, seguito da milioni di appassionati in tutto il mondo, così “trendy” anche nelle scelte socio-politiche da risultare un fenomeno di consenso globale… anche se magari trae la propria ragione d’essere dal ritenersi esclusiva espressione della sola regione di provenienza. Se poi ha la fortuna e/o l’abilità di tesserare alcuni dei giocatori più forti del mondo, diventa “mes que un club”. Ma a Barcellona esiste anche un’altra società che, dal 1900 ad oggi, recita tra mille avversità un ruolo più che dignitoso nel calcio spagnolo: l’RCD Espanyol, perfetto esempio di come sia difficile,
ma non impossibile, sopravvivere con un concittadino così potente e benvoluto. Il club, a partire dal nome che venne scelto originariamente per la volontà di impiegare solo calciatori spagnoli, è relegato d’ufficio a ricoprire un ruolo minoritario in una città in cui quasi il 50% della popolazione vuole la secessione dalla Spagna; e nei fatti e nella percezione generale ricopre un ruolo alternativo, per non dire con forti connotazioni negative, nei confronti dei concittadini azulgrana. Ma chissà se quest’aura è così giustificata: nonostante abbia catalanizzato il proprio nome, non flirta con l’indipendentismo, non privo di egoismi, che invece caratterizza i rivali, che però hanno già detto che in ogni caso giammai lascerebbero il ricchissimo campionato
spagnolo per uno svalutatissimo campionato catalano; nei popolarissimi libri di Manuel Vázquez Montalbán con protagonista il detective privato Pepe Carvahlo, i protagonisti negativi sono spesso chissà perché tifosi dell’Espanyol; non avrà mai ospitato il marchio dell’Unicef nella propria camiseta ma non è neanche mai stato sanzionato dalla FIFA per traffico di giovani calciatori… Insomma, il palmares rimane imparagonabile, solo quattro Coppe di Spagna a cui vanno aggiunte due finali di Coppa UEFA perse, nei 214 derby ufficiali fin qui disputati quelli vinti sono solo 44 contro 119, ma i 20.000 fedelissimi che assistono in media alle partite nel modernissimo stadio di Cornellá, anche se sono solo un quarto di quelli rivali, testimoniano che Barcellona, almeno un po’, è anche blanquiazul ed espanyolista.
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Boca-River, il Superclasico più importante in Sud America Boca Junior e River Plate sono i due club più prestigiosi d'Argentina. Il River ha vinto il maggiore numero di titoli nazionali (36 contro i 33 del Boca) ma è il Boca ad aver alzato per il maggior numero di volte sia la Copa Libertadores (6-4) che la Coppa Intercontinentale (3-1). Sono nate entrambe nella “Boca”, quartiere portuale e molto popolare di Buenos Aires famoso per le caratteristiche case dipinte. Solamente dopo qualche decennio dalla fondazione del club, il River Plate si è spostato verso nord in un quartie-
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re più residenziale chiamato Núñez. In tutte le statistiche si legge come il Boca abbia un maggior numero di tifosi. Gli "Hinchas" gialloblu amano autodefinirsi la "mitad mas uno" per sottolineare la loro maggiore popolarità in tutta l'Argentina. Per la prima parte della sua storia il Boca è stato considerato il club del popolo mentre il River, il cui soprannome è significativamente "los millonarios", ha rappresentato per molti anni la classe medio-alta della società. Questa è ora, tuttavia, una distinzione obsoleta.
Due curiosità Il giallo e il blu sono i colori del Boca perché, al momento della fondazione, presero spunto dalla bandiera svedese di una nave ormeggiata nel porto di Buenos Aires Il River Plate ha un gemellaggio storico con il Torino, nato dopo la tragedia di Superga (4 maggio 1949), in ricordo della quale il River nel campionato argentino del 1949 utilizzò come seconda maglia una divisa granata.
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BVB | Die Gelbe Wand La vittoria del Borussia Dortmund nella sfida casalinga contro il Bayern, giocata al Westfalenstadion lo scorso 10 ottobre e terminata 3-2 in favore dei padroni di casa, non può essere considerata una vittoria come le altre: questo per i molti calciatori passati negli ultimi anni dalla Ruhr alla Baviera: Hummels, Lewandoski, Götze (l’eroe del Mondiali 2014
poi tornato come Hummels alla base), e grazie a storie e vicende controcorrente come quella di Marco Reus, che ha sempre respinto i corteggiamenti provenienti da sud per amore della maglia giallonera. “Die Gelbe Wand”, il muro giallo del Dortmund, è probabilmente la curva più grande del mondo (24.454 posti) in uno stadio che ha una media spettatori
di circa 80 mila persone in ogni partita casalinga; per i tifosi il club ha un solo nome BVB (pronuncia Be-Fau-Be). Quella contro i bavaresi è una sfida sempre assai sentita considerata in epoca recente "il derby di Germania". Tuttavia, la gara più sentita dalla tifoseria del BVB è il derby della Ruhr contro lo Schalke 04 di Gelsenkirchen.
Il derby nazionale messicano In Messico, l’eterno duello tra i due club più importanti del Paese continua. I gialloblu dell’America hanno vinto per la tredicesima volta il campionato e i biancorossi del Guadalajara, per la quarta volta nella storia, hanno alzato al cielo la Coppa Nazionale. I due club sono di gran lunga i più popolari del Paese: il 75% dei tifosi parteggia
per le “Aguilas” (aquile) dell’America o per le “Chivas” (capre) de Guadalajara. È una rivalità che rispecchia due filosofie diametralmente opposte: l’America è la squadra della capitale Città del Messico. È da sempre considerato un club ricco, cosmopolita e con una storia illustrata da grandi calciatori stranieri. Il Club Deportivo Guadalajara rappre-
senta la seconda città del Paese ed è particolarmente orgoglioso della propria tradizione di club “cantera” di giovani talenti e, soprattutto, legatissimo ad una regola non scritta che lo accomuna a pochissime altre realtà nel mondo del calcio: da sempre, infatti, pur militando in una lega storicamente multietnica, i “Chivas” tesserano esclusivamente calciatori di nazionalità messicana.
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FC Union: l’orgoglio di Berlino Est Berlino, città dalle dimensioni metropolitane, una delle culle del calcio tedesco, moltissime società ma poche vittorie, 5 Meisterschaft di campione di Germania dal 1903 ad oggi, l’ultimo dei quali nel 1931… Il club nettamente più amato dai berlinesi è l’Hertha, stabilmente in Bundesliga e vincitore di due campionati. Da un po’ di tempo, tuttavia, si sta affacciando alla ribalta una società dalla storia travagliata ma affascinante: l’Union, neopromosso in Bundesliga. L’Union nasce nel 1906 come Olympia Oberschöneweide, è vicecampione di Germania nel 1923 e disputa regolarmente le competizioni della Germania unita fino al 1950, anno in cui le conseguenze della “guerra fredda” si fanno sentire anche nello sport: l’Olympia,
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che ha sede nel quartiere orientale di Koepenick, è obbligata a separarsi e ad assumere due denominazioni diverse, Union 06 in Germania Ovest, Berliner Suedost in Germania Est. Dopo ulteriori cambi di nome, nel 1966 avviene la rifondazione definitiva: nasce l’Union, che adotta i colori bianco e rosso al posto dei tradizionali bianco e blu, e contemporaneamente nasce la grande rivalità con i concittadini della Dynamo. Una rivalità che non potrebbe essere più sbilanciata: la Dynamo è uno dei cosiddetti club “di stato” e diventa in breve la società di riferimento della polizia segreta della Germania Est, la famigerata Stasi; i calciatori migliori sono destinati alla Dynamo, gli arbitraggi sono spesso dubbi, e si accumulano 10 scu-
detti consecutivi e 2 coppe nazionali. L’Union rimane un club “civile” e quindi non protetto dagli apparati, ma proprio per questo molto più popolare e ben presto diventa un simbolo di dissenso ed un riferimento per i berlinesi che non supportano apertamente il regime o che dissentono. Dal 1966 al 1990 arriva una sola coppa nazionale e i derby vinti con la Dynamo sono solo 5 contro 18, ma è in quegli anni che nasce il mito del club e dei suoi caldissimi tifosi, “l’orgoglio di Berlino Est”.
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Mkhitaryan ed il calcio nell’ex impero sovietico La finale di Baku tra Arsenal e Chelsea di Europa League non ha visto in campo il campione armeno dei “Gunners” Henrikh Mkhitaryan. Il calciatore, considerata l’endemica tensione tra Azerbaigian ed Armenia, divise da reciproche rivendicazioni territoriali che risalgono agli inizi del ‘900 e dalla religione (azeri musulmani/armeni cristiani), temeva per la propria sicurezza e dunque ha preferito non partire nemmeno. Si tratta di tensioni secolari ed irrisolte che, va precisato, in ambito sportivo nascono solo dopo la disgregazione dell’URSS avvenuta nel 1991 in quanto, durante tutto il periodo precedente, il calcio nell’allora unione delle repubbliche socialiste viene gestito con sovietica ed intoccabile disciplina: il “sistema” esclude con fermezza dal campo di gioco qualsiasi rivendicazione territoriale, etnica o religiosa ed invece, accanto alle
grandi storiche di Russia (Spartak, Dynamo, CSKA e Torpedo Mosca) ed Ucraina (Dynamo Kiev ed in parte Shakhter Donetsk), favorisce in qualche modo l’emersione di club, generalmente uno per ciascuna repubblica, che siano in grado di rappresentare e coagulare il tifo e le ambizioni sportive della popolazione locale. Nell’allora Vyssaia Liga, la Prima Divisione sovietica che si disputa per 54 edizioni dal 1936 al 1991, finiscono quindi per trovare spazio realtà, spesso ma non necessariamente ancora in auge, che oltre ad aggregare la tifoseria dei singoli territori dello sterminato ex impero sovietico, riescono anche ad interrompere l’ininterrotto dominio della squadre di Mosca e Kiev: per la Georgia di distingue la Dynamo Tbilisi (51 presenze in Vyssaia Liga, 2 titoli di campione, 2 coppe nazionali ed 1 Coppa delle Coppe), per l’Armenia l’Ararat Erevan (33 presenze, 1 titolo
e 2 coppe), per la Bielorussia la Dynamo Minsk (33 presenze, 1 titolo). Vengono alla ribalta, pur senza vincere titoli o coppe, anche territori più periferici, almeno calcisticamente parlando: per l’Azerbaigian si distingue il Neftchy Baku (27 presenze in Liga), per il Kazakhstan il Kairat Almaty (25 presenze), per l’Uzbekistan il Pakhtakor Tahskent (23 presenze), per la Lituania lo Zalgiris Vilnius (11 presenze) e per la Moldavia il Nistru Chisinau (11 presenze). E prima della caduta del muro e della dissoluzione dell’impero, viene rappresentato anche il Tajikistan, remota repubblica che confina con Afghanistan, Pakistan e Cina, che schiera nelle ultime tre edizioni della Vyssaia Liga un club della capitale Dushambe che porta il nome dell’altopiano di 4.000 metri che lo sovrasta: il Pamir. Il calcio nell’URSS, davvero altri tempi.
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Spurs e Ajax: in curva sventola la stella di David La semifinale di Champions League Tottenham–Ajax è stata una sfida di altissimo livello tra due club rivali sul campo ma uniti da una specificità che li caratterizza fortemente: una comune e forte identità ebraica. Da un punto di vista storico, l'immagine ebraica dell’Ajax deriva dal fatto che Amsterdam, prima della seconda guerra mondiale, era chiamata la "Gerusalemme dell'Occidente"; infatti, l’estrema libertà e tolleranza tipiche della città avevano favorito, fin dal 15° e 16° secolo, una massiccia immigrazione di ebrei, principalmente provenienti (o, per meglio dire, cacciati) dalla Spagna e dal Portogallo. Inoltre, lo stadio De Meer, dove la squadra ha giocato le partite casalinghe fino
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agli anni '90, si trovava nella parte orientale di Amsterdam, dove viveva la maggior parte degli ebrei della città. In epoche recenti, la tifoseria dell’Ajax si è letteralmente appropriata di questa identità: i tifosi che occupano il settore più caldo della Johan Crujiff Arena si definiscono e sono ormai universalmente noti come “Joden” o “Superjoden”, a prescindere da qualsiasi differenziazione etnico/religiosa. Non dissimile la storia del Tottenham: fin dalle origini, il club del nord di Londra divenne popolare tra gli immigrati ebrei provenienti dall’Europa orientale che si stabilirono nell’East End londinese tra la fine del 19°e l'inizio del 20° secolo. Pare che gli Spurs fossero ritenuti più
glamour del vicino West Ham o dell'Arsenal, per cui, anche se dal 30% degli anni ’30 la percentuale di tifosi ebrei è scesa oggi a non più del 5%, da decenni i supporters duri e puri degli Spurs sono noti come “Yids” o “Yid Army”, termine yiddish che in lingua inglese ha connotazioni spregiative ma che i fan del Tottenham rivendicano con orgoglio. Per certi versi la doppia sfida tra Spurs ed Ajax è quasi un derby, o almeno così è vissuto dai tifosi più accaniti, un confronto in cui non si sentono i soliti odiosi slogan antisemiti e dove, seppure senza riferimenti alla politica odierna ma solo come ricordo delle proprie origini, si vedono sventolare le bandiere con la stella di David.
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Antisemitismo = ignoranza Ancora anti-semitismo nel mondo del calcio, dove per menti bacate ed ignoranti l’accostamento dei propri avversari ad Israele od a persone di origine ebraica rappresenta il massimo dell’insulto. Un fenomeno da estirpare con ogni mezzo, sia con sanzioni esemplari - in Inghilterra, come sanno bene tre tifosi del Chelsea (del presidente Roman Abramovich…) appena arrestati, si va direttamente in carcere e ci si resta per un po’ - , ma anche con la prevenzione e l’informazione Ignoranti, dicevamo, spesso nemmeno consapevoli della storia dei club per i quali, seppure in modo deviato, fanno il tifo. Renato Sacerdoti fu tra i fondatori del-
la Roma nel 1927 e ne fu poi presidente per 13 anni (sarebbero stari molti di più senza l’approvazione delle leggi razziali); Giorgio Ascarelli fu presidente del Napoli dal 1925 al 1930 e costruì, a proprie spese, il primo stadio di proprietà della società partenopea. Ed anche all’estero gli esempi di grandi club che hanno, o hanno avuto in diversa misura, connotazione od identità ebraiche, non mancano: il Tottenham Hotspur di Londra, che la rivendica orgogliosamente; l’Ajax di Amsterdam, che fin dagli anni '30 aveva sede nei pressi del quartiere a forte presenza ebraica di Amsterdam-Oost ed i cui tifosi si autodefiniscono “Joden”; il Bayern Monaco
del grande presidente Kurt Landauer, per 19 anni alla guida del club; l’Austria Vienna di “cartavelina” Matthias Sindelar, che in quanto considerata come un “Judenklub” fu obbligata dagli occupanti tedeschi a ri-denominarsi SC Ostmark; il Cracovia per cui tifava Papa Woytila; l’M.T.K Budapest, che i nazisti bandirono dal calcio ungherese dal 1941 al 1944… e potremmo continuare. Il calcio, da sempre, vive di mille storie diverse ed influenze, e la passione di cui si nutre è forse l’unico fenomeno unificante a livello globale. Merita, anche solo per questo, di non essere lordato da slogan infamanti ed odiosi che ci riportano al periodo più oscuro della nostra storia.
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Ajax, i lanceri del calcio totale L’Ajax è uno dei club con la storia più affascinante, a partire dal nome. Esso ricorda il secondo eroe greco più valoroso dell’Iliade (dopo Achille): Aiace Telamonio. Nei primi anni ’70 l’Ajax, con il suo stile di gioco innovativo basato su pressing e sull’ecletticità dei calciatori, ha rivoluzionato per sempre il calcio mondiale costituendo l’ossatura della Nazionale olandese vice campione del mondo nel 1974. Oltre ai 34 scudetti e alle 19 coppe d’Olanda, ha vinto 4 Coppe dei Campioni, 1 Cop-
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pe delle Coppe, 1 Coppa Uefa, 2 Supercoppe Europee, 2 Coppe Intercontinentali. Una domanda sorge spontanea: ma quanto avrebbe vinto se, dalla cessione di Cruijff e Neeskens al Barcellona del 1974 ad oggi, anno dopo anno, non avesse ceduto i suoi calciatori migliori? Ecco qualche nome: Krol, Van Basten, Rijkaard, Seedorf, Sneijder, Ibrahimovic, Suarez, Winter, Litmanen, Kuivert, Eriksen, Davids, Chivu, Frank e Ronald de Boer, Bergkamp, Laudrup, van der Vaart. Koeman
e altri ancora a completare una lista che potrebbe essere davvero lunghissima. La tradizione del club continua nella perenne ricerca di conciliare la cura del vivaio giovanile (autentica mission dei lanceri), il bilancio economico ed i risultati sportivi. I talenti più cristallini della rosa attuale, il giovane capitano de Ligt ed i centrocampisti tuttofare de Jong e van de Beek, sono già in partenza per un top club europeo mantenendo così intatta la tradizione.
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Spartak Mosca, squadra del popolo La squadra più famosa e popolare in Russia è, senza dubbio, lo Spartak Mosca. Fondata nel 1922 come MKS, ha acquisito l’attuale denominazione solo nel 1935. Venne così ribattezzata in onore di Spartaco, leader della rivolta antiromana degli schiavi nel I° secolo A.C. La sua grandissima popolarità deriva dal fatto che, rispetto alle sue grandi rivali moscovite – Dinamo (storicamente legata in epoca sovietica alla Polizia) e CSKA (la squadra dell’Armata Rossa) – lo Spartak è sempre rimasto un club privo di legami con l’apparato e perciò
detestato dalle autorità. Infatti i fratelli Starostin, che furono tra i fondatori del club e che ne scelsero il nome definitivo, furono addirittura vittime di una delle ricorrenti “purghe staliniane” anche se riuscirono a sopravvivere alla detenzione. Dal 1922 ad oggi la squadra ha vinto 22 scudetti e 13 coppe. Scemate, per vari motivi, le rivalità storiche con la Dinamo Kiev e quella cittadina con la Dinamo Mosca (causata dal declino sportivo di quest’ultima), dagli anni ’80 ad oggi, la rivalità più sentita rimane quella con il CSKA.
Ex Jugoslavia, terra di talenti L’ex Jugoslavia ha sempre regalato nella sua storia grandi sportivi, spesso caratterizzati da un grande talento individuale non sempre accompagnato da altrettanta disciplina. Il panorama calcistico jugoslavo, ora serbo-croato, è stato dominato sin dalla notte dei tempi, da quattro club divisi da un’acerrima rivalità: Stella Rossa – Partizan Belgrado e Dinamo Zagabria – Hajduk Spalato. In Serbia, quella tra i biancorossi della Stella Rossa e i bianconeri del Partizan è una rivalità che abbraccia tutte le discipline di queste due storiche società polisportive: fra le due squadre di calcio continua un perpetuo duello iniziato nel 1945; la Stella Rossa conta ad oggi 29 scudetti (e una Coppa dei Campioni) contro il 27 titoli nazionali del Partizan. Il derby di Belgrado è una delle partite più sentite d’Europa, spesso accompagnata
da gravi episodi di violenza tra tifosi. In Croazia, la superiorità dell’Hajduk ai tempi della Jugoslavia unita ha ceduto il passo ad un dominio pressoché incontrastato della Dinamo, una superiorità iniziata dal 1992, anno dell’indipendenza croata. La Dinamo è in testa nel confronto a due con la storica rivale quanto a titoli vinti con un parziale, ad oggi, di 24 a 15. Nonostante una storia molto complessa e difficile, Croazia e Serbia continuano a presentare al mondo dello sport grandissime eccellenze e il calcio ne è un chiaro esempio. Dalla Croazia proviene il recente pallone d’oro Luka Modrić assieme a Rakitić, agli “italiani” Perisić, Brozović, Vrsaljko, Pjaca, Badelj, Rog, Pasalić, Bradarić. In Serbia sono nati e cresciuti i talenti di Milinković-Savić, Kolarov, Ljajić, Matić, Milenković e Tadić.
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primo piano
IN ARCHIVIO
espresso in campo ma soprattutto per l'entusiasmo e l'approccio alle gare di Ungaro e compagni. Il settimo posto della femminile rimane invece un po' stretto per quanto dimostrato dalle calciatrici sul campo ma da un punto di vista tecnico ha permesso la crescita di alcune ragazze molto promettenti e ha permesso a me di avvicinarmi al mondo del calcio femminile di cui ero ancora molto acerbo. L'immagine più bella di Napoli 2019? L'intera squadra della nazionale femminile con le bandiere dell'Italia in tribuna al Ciro Vigorito di Benevento ad assistere alla partita della nazionale maschile: quel senso di appartenenza nazionale che solo la manifestazione sportiva riesce a dare.
l percorso dell’Italia femminile… Fase a gironi: Italia-Giappone 1-2 (Goldoni); Italia-Stati Uniti 2-1 (Goldoni-Fusini); Giappone-Stati Uniti 2-1. Quarti di finale: Corea del Nord-Italia 4-1 (Marinelli); Irlanda-Cina 0-0 (4-1 cdr); Russia-Corea del Sud 1-1 (4-1 cdr); Giappone-Canada 3-0. Semifinali: Corea del Nord-Irlanda 5-0; Russia-Giappone 1-2. Dal 5° all’8°: Italia-Cina 0-1; Corea del Sud-Canada 2-1. 7°-8°: Italia-Canada 5-2 (Ferrato, Glionna, Spinelli, Bonfantini, Goldoni) Finale: Corea del Nord-Giappone 2-1. La classifica: 1. Corea del Nord, 2. Giappone, 3. Russia, 4. Irlanda, 5. Corea del Sud, 6. Cina, 7. Italia, 8. Canada. … e quello dell’Italia maschile Fase a gironi: Italia-Messico 2-0 (Ungaro, Serena); Italia-Ucraina 2-0 (Mercadante, Strada); Ucraina-Messico 1-0. Quarti di finale: Irlanda-Russia 0-1; Brasile-Ucraina 2-1; Italia-Francia 1-0 (Strada); Giappone-Corea del Sud 2-0. Semifinali: Russia-Brasile 1-2; Italia-Giappone 3-3 (4-5 cdr; aut. Yamahara, Vitturini, Zonta rigore). Finale: Giappone-Brasile 4-1. Terzo e quarto posto: Italia-Russia 2-2 (4-3 cdr; Zonta rigore, Galeandro)
La classifica: 1. Giappone, 2. Brasile, 3. Italia, 4. Russia, 5. Corea del Sud, 6. Ucraina, 7. Francia, 8. Irlanda. Il gruppo delle ragazze Portieri: Baldi (Florentia CF), Capelletti (FC Inter) Difensori: Bursi (Sassuolo), Fusini (Fiorentina), Labate (AS Roma), Mella (Tavagnacco), Pisani, Spinelli (Stade de Reims) Centrocampisti: Bonfantini (AS Roma), Brustia (FC Inter), Caruso (Juventus), Errico (Tavagnacco), Glionna (Juventus), Marinelli (Inter), Mascarello (Tavagnacco) Attaccanti: Cambiaghi (Sassuolo), Cantore (Juventus), Ferrato (Sassuolo), Goldoni, Pandini (FC Inter) Staff: Allenatore: Jacopo Leandri; Assistente all. Viviana Schiavi; Preparatore dei portieri: Mattia Volpi; Preparatore atletico: Franco Olivieri; Medico: Sebastiano Porcino; Fisioterapista: Camillo Piastra; Segretario: Sabrina Filacchione. Il gruppo dei ragazzi Portieri: Marcantognini (Fermana), Cucchietti (Alessandria); Difensori: Florio (Pordenone), Vitturini (AJ Fano), Gatti (Monopoli), Giraudo (Ternana), Tentardini (Monza), Pogliano (Reggina); Centrocampisti: Galli (Monza), Serena (Padova), Collodel (Vibonese), Zonta (LR Vicenza), Grieco (Fermana), Mercadante (Monopoli), Sbrissa (Siena); Attaccanti: Ungaro (Reggina), Galeandro (Albinoleffe), Ruzzittu (Arzachena), Strada (Adrense), Cericola (Rieti). Staff – Allenatore: Daniele Arrigoni; Vice allenatore: Luigi Corino; Segretario: Fabio Ferappi; Preparatore atletico: Massimo Magrini; Preparatore dei portieri: Stefano Dadina; Medico: Emanuele Fabrizi; Fisioterapista: Giuseppe Pillori; Osservatore: Oriano Renzi.
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biblioteca AIC
di Pino Lazzaro
Il nuovo libro di Eraldo Pecci
Un altro mondo “Questo mio secondo libro nasce in fondo dal primo (Il Toro non può perdere – La magica stagione 75/76, già a suo tempo presentato qui nella “nostra” biblioteca; ndr). Quello fu una mia iniziativa, volevo raccontare quel Torino. Sì, lo scudetto eccetera, ma soprattutto quel gruppo, quello spogliatoio, quella chimica che s’era creata tra noi e che m’accorgo è ancora tale e quale quando capita di incontrarci. Ricordo che mi chiamarono dalla Rizzoli, credevo fosse uno scherzo e invece no, lo pubblicarono. Andò bene, loro a insistere perché ne facessi un altro, ecco perché dico che questo nuovo libro è nato dal primo”. “Allora, di che scrivere? Ho finito per pensare a mio nonno, lui che mi raccontava dei tempi della guerra, quello non poteva che essere per me ragaz-
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zino un altro mondo ed è stata questa così l’idea, pensando ai ragazzini di adesso, di quanto sono cambiate le cose per loro, che non giocano più per strada, che fanno – se li fanno – tanti altri sport. Di certo un altro mondo il mio rispetto ad ora ed è dunque una testimonianza, il provare a lasciare giusto una piccola traccia, niente di più. Aggiungo che il primo lo scrissi a mano, poi mio figlio m’ha fatto scoprire la comodità del computer, così questo l’ho fatto quasi tutto direttamente sul computer, anche se ci sono comunque dei capitoli prima buttati giù a mano e poi ricopiati”. “Sì, il calcio mi piace ancora, mi piacciono le partite, il pallone lì sull’erba, i gesti. Non mi piacciono invece le tante parole, i discorsi sugli ingaggi, le veline eccetera, questo no”.
Era il 6 gennaio del 1963, il giorno della Befana. Avevo sette anni. A Cattolica, dove vivevo, era appena nata una società calcistica denominata Superga 63. Superga in onore e ricordo della tragedia nella quale perì tutta la squadra del Torino, il Grande Torino di Valentino Mazzola e i suoi impareggiabili compagni; 63 in quanto anno di fondazione del nuovo club. Cattolica ai tempi era un bel paese affacciato sul mare Adriatico e, oltre alla pesca, aveva cominciato da qualche anno a vivere di turismo. Erano già attivi degli alberghi e altri stavano per essere costruiti. Noi paesani intanto affittavamo le camere delle nostre case. Se le affittavamo tutte, e in agosto succedeva, ci ritiravamo a dormire in cantina, altrimenti ci si stringeva in quattro o cinque in una stanza o si mettevano dei letti in sala da pranzo, persino in cucina. Poi, durante l’inverno, ci si costruiva da soli qualche stanza, aggiungendola sopra o di fianco alla casa esistente, e così, anno dopo anno, “gronde” di sudore e olio di gomito, cambiale dopo cambiale, condono dopo condono, sono nate pensioncine e alberghetti che hanno rappresentato il turismo in Romagna per molti anni. Diversi esempi di quelle costruzioni sono ancora lì a fungere da testimoni.
biblioteca AIC Eraldo Pecci
CI PIACEVA GIOCARE A PALLONE
Racconti di un calcio che non c’è più Rizzoli
L’incipit
Il torneo della Befana
Nel dopoguerra le coppie italiane sfornavano figli, c’era lavoro, fiducia nel domani e le famiglie numerose erano la regola. Anche a Cattolica noi bambini eravamo in molti e il calcio era lo sport di gran lunga più praticato. Bastavano uno spicchio di terra e un pallone e si poteva giocare tutti, passando pomeriggi indimenticabili. Organizzando il torneo della Befana, il Superga 63 mirava ad accaparrarsi dei calciatori in erba fa vestire in futuro con la sua casacca. Il club indossava infatti solo casacche, non possedeva maglie: casacche nelle quali quando correvi si infilava il vento gonfiando-
ti la schiena e rendendo la corsa più difficoltosa. Ancora non sapevo che a Torino la Juve era conosciuta come la goeba (la gobba) proprio per questa ragione! In paese c'era già il Cattolica Football Club e molti bambini erano iscritti là. Prima di aver compiuto dieci anni non si poteva comunque giocare in campionati ufficiali, ma i dirigenti del Superga avevano pensato che, seminando per tempo, avrebbero poi raccolto dei frutti se fossero riusciti a fidelizzare qualche “promessa”. Quel giorno io giocavo in casa; il torneo era stato organizzato nel campo in cui mi “esibivo” tutti i giorni (a quei tempi ero davvero bravo e, quando si formavano le squadre, anche con quelli più grandi, venivo sempre scelto tra i primi): ne conoscevo centimetro per centimetro i circa sessanta metri di lunghezza e i trenta di larghezza. Era noto come “il campo dei frati”, tutto in terra battuta, molta polvere e qualche sasso.
Eraldo Pecci è nato a San Giovanni in Marignano (Fo) nell’aprile del 1955. Col calcio inizia con il Superga 63 di Cattolica, per passare poi al settore giovanile del Bologna con cui fa l’esordio in serie A esattamente il 3 marzo 1974 in un Juventus-Bologna terminato 1 a 1. Centrocampista (la “sua” maglia è la numero 8), organizzatore del gioco, col Bologna gioca per due stagioni, vincendo la Coppa Italia 1973/74. Nell’estate del 1975 passa al Torino: ci gioca cinque stagioni, vincendo lo scudetto nella stagione 1975/76 (quella appunto a cui è dedicato il suo libro). Ha poi giocato quattro stagioni alla Fiorentina, col Napoli, ancora a Bologna e in ultimo con il Lanerossi Vicenza (C1). Sono complessivamente 357 le sue presenze in serie A. In azzurro ha esordito nel settembre del 1975 (a Roma: Italia-Finlandia 0-0), in una partita valida per le qualificazioni all’Europeo ’76 (Italia eliminata nel turno di qualificazione, fase finale giocata nell’allora Jugoslavia, con la Cecoslovacchia a vincere il titolo, battendo in finale la Germania Ovest). Sei le sue presenze con la Nazionale maggiore (due pure con l’U21), con la partecipazione al Mondiale 1978 in Argentina. Dopo che ha smesso di giocare, ha fatto il commentatore sportivo, opinionista ed editorialista per la Rai (in coppia a suo tempo con Pizzul; ora presenza fissa a La Domenica Sportiva), la Repubblica, L’Unità e Il Giorno.
Le ultime righe … Ma ovunque giocherai, se ti piace giocare, trasmetterai entusiasmo. E ci sarà sempre qualcuno che si ricorderà di te. Non di quanto guadagnavi, di quante medaglie hai vinto. Ma della cosa più importante: di come giocavi a pallone.
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calcio e legge
di Stefano Sartori
Per la stagione sportiva 2019/2020
Schema Licenze Nazionali Presentiamo il sistema di controllo della regolarità del pagamento degli emolumenti contrattuali per la stagione sportiva 2019/20 con, nel dettaglio, i termini che i club sono tenuti a rispettare. Il pagamento delle ultime mensilità della stagione sportiva 2018/19 Ottemperando a quanto previsto dai CU FIGC n° 29-30-31/18 in tema di “Licenze Nazionali”, per quanto concerne la mensilità residua di giugno 2019 le società devono depositare presso la COVISOC la dichiarazione circa l’avvenuto pagamento degli emolumenti, di ulteriori compensi compresi gli incentivi all’esodo derivanti da accordi depositati, e presso la Lega di competenza, la documentazione relativa al pagamento delle ritenute Irpef e dei contributi Inps/Enpals e Fondo Fine Carriera entro le seguenti date: Serie A = 30 settembre 2019 Serie B = 2 agosto 2019 Serie C = 2 agosto 2019 Se queste prescrizioni non saranno osservate, le società saranno sanzionate con la penalizzazione di 2 punti in classifica per ciascun inadempimento da scontarsi nel campionato 2019/20. Stipendi, ritenute e contributi previdenziali relativi alla stagione sportiva 2019/20 (Art. 85 NOIF - “Informativa periodica alla COVISOC”) Serie A A) Le società devono documentare alla FIGC/COVISOC entro il 16 novembre 2019 l’avvenuto pagamento di tutti gli emolumenti nonché delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e Fondo Fine Carriera dovuti, sino alla chiusura del I° trimestre (1° luglio/30 settembre 2019). B) Le società devono documentare alla FIGC/COVISOC entro il 17 febbraio 2020 l’avvenuto pagamento di tutti gli emolumenti nonché delle rite-
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nute Irpef, dei contributi Enpals e Fondo Fine Carriera dovuti, sino alla chiusura del II° trimestre (1° ottobre/31 dicembre 2019). C) Le società devono documentare alla FIGC/COVISOC entro il 30 maggio 2020 l’avvenuto pagamento di tutti gli emolumenti nonché delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e Fondo Fine Carriera dovuti, sino alla chiusura del III° trimestre (1 gennaio/31 marzo 2020) D) Le società devono documentare alla FIGC/COVISOC, entro i termini stabiliti dal Sistema delle Licenze Nazionali, l’avvenuto pagamento di tutti gli emolumenti nonché delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e Fondo Fine Carriera, dovuti per i mesi di aprile, maggio e giugno 2020. Serie B e Lega Pro A) Le società di Serie B e Lega Pro devono documentare alla FIGC/COVISOC entro il giorno 16 ottobre 2019, l’avvenuto pagamento di tutti gli emolumenti nonché delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e Fondo Fine Carriera, dovuti sino alla chiusura del I° bimestre (1° luglio/31 agosto 2019). B) Le società di Serie B e Lega Pro devono documentare alla FIGC/COVISOC entro il giorno 16 dicembre 2019, l’avvenuto pagamento di tutti gli emolumenti nonché delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e Fondo Fine Carriera dovuti, sino alla chiusura del II° bimestre (1° settembre/31 ottobre 2019) C) Le società di Serie B e Lega Pro devono documentare alla FIGC/COVISOC entro il giorno 17 febbraio 2020, l’avvenuto pagamento di tutti gli emolumenti nonché delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e Fondo Fine Carriera dovuti, sino alla chiusura del III° bimestre (1° novembre/31 dicembre 2018) D) Le società di Serie B e Lega Pro devono documentare alla FIGC/COVI-
SOC entro il giorno 16 marzo 2019, l’avvenuto pagamento di tutti gli emolumenti nonché delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e Fondo Fine Carriera dovuti, sino alla chiusura del IV° bimestre (1° gennaio/28-29 febbraio 2020) E) Le società devono documentare alla FIGC- COVISOC, entro i termini fissati dal sistema delle Licenze Nazionali, l’avvenuto pagamento di tutti gli emolumenti nonché delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e Fondo Fine Carriera dovuti per il V° bimestre (1° marzo-30 aprile 2020) e VI° bimestre (1° maggio-30 giugno 2020). Sanzioni (Art. 33 CGS – “Infrazioni relative ad emolumenti, ritenute, contributi e Fondo di Fine Carriera”) Serie A A) Il mancato pagamento entro il 16 novembre 2019 degli emolumenti dovuti fino alla chiusura del I° trimestre (1° luglio - 30 settembre 2019) comporta l’applicazione della sanzione pari ad almeno 2 punti di penalizzazione in classifica. La stessa sanzione verrà inoltre applicata in caso di mancato di mancato pagamento delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e del Fondo di Fine Carriera. B) Il mancato pagamento entro il 16 febbraio 2020 degli emolumenti dovuti fino alla chiusura del II° trimestre (1° ottobre - 31 dicembre 2019), comporta l’applicazione della sanzione pari ad almeno 2 punti di penalizzazione in classifica, con l’aggiunta di almeno 2 punti per l’eventuale persistente mancato pagamento degli emolumenti relativi al I° trimestre. Le stesse sanzioni verranno inoltre applicate in caso di mancato pagamento delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e del Fondo di Fine Carriera.
calcio e legge
C) Il mancato pagamento entro il 16 maggio 2020 degli emolumenti dovuti fino alla chiusura del III° trimestre (1° gennaio - 31 marzo 2020) comporta l’applicazione della sanzione pari ad almeno 2 punti di penalizzazione in classifica da scontarsi nella stagione sportiva successiva. Inoltre, per il persistente eventuale mancato pagamento degli emolumenti relativi al I° e II° trimestre andrà aggiunto almeno 2 punti di penalizzazione (per trimestre). Le stesse sanzioni verranno applicate in caso di mancato pagamento delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e del Fondo di Fine Carriera. D) Infine, premesso che le disposizioni relative alla corresponsione degli emolumenti relativi ai mesi fino a giugno 2020 vanno necessariamente coordinate con quelle fissate annualmente dal Consiglio Federale per l’ottenimento delle Licenze Nazionali, il mancato pagamento degli emolumenti dovuti fino alla chiusura del IV° trimestre (1° aprile - 30 giugno 2020), comporta l’applicazione della sanzione pari ad almeno 2 punti di penalizzazione in classifica da scontarsi nella stagione sportiva successiva. Inoltre, per l’eventuale persistente mancato pagamento degli emolumenti relativi al I°, II° e III° trimestre andrà aggiunto almeno 2 punti di penalizzazione (per trimestre). Le stesse sanzioni verranno applicate in caso di mancato pagamento delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e del Fondo di Fine Carriera. Serie B e Lega Pro A) Il mancato pagamento entro il 16 ottobre 2019 degli emolumenti dovuti fino alla chiusura del I° bimestre (1° luglio – 31 agosto 2019) comporta l’applicazione della sanzione pari ad almeno 2 punti di penalizzazione in classifica. La stessa sanzione verrà inoltre applicata in caso di mancato di mancato pagamento delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e del Fondo di Fine Carriera. B) Il mancato pagamento entro il 16
dicembre 2019 degli emolumenti dovuti fino alla chiusura del II° bimestre (1° settembre - 31 ottobre 2019), comporta l’applicazione della sanzione pari ad almeno 2 punti di penalizzazione in classifica, con l’aggiunta di almeno 2 punti per l’eventuale persistente mancato pagamento degli emolumenti relativi al I° bimestre. Le stesse sanzioni verranno inoltre applicate in caso di mancato pagamento delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e del Fondo di Fine Carriera. C) Il mancato pagamento entro il 16 febbraio 2020 degli emolumenti dovuti fino alla chiusura del III° bimestre (1° novembre - 31 dicembre 2019) comporta l’applicazione della sanzione pari ad almeno 2 punti di penalizzazione in classifica. Inoltre, per l’eventuale persistente mancato pagamento degli emolumenti relativi al I° e II° bimestre andrà aggiunto almeno 2 punti di penalizzazione (per bimestre). Le stesse sanzioni verranno applicate in caso di mancato pagamento delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e del Fondo di Fine Carriera. D) Il mancato pagamento entro il 16 marzo 2020 degli emolumenti dovuti fino alla chiusura del IV° bimestre (1° gennaio – 28-29 febbraio 2020) comporta l’applicazione della sanzione pari ad almeno 2 punti di penalizzazione in classifica. Inoltre, per il persistente eventuale mancato pagamento degli emolumenti relativi al I° e II° e III° trimestre andrà aggiunto almeno 2 punti di penalizzazione (per trimestre). Le stesse sanzioni verranno applicate in caso di mancato pagamento delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e del Fondo di Fine Carriera. E) Infine, premesso che le disposizioni relative al pagamento degli emolumenti relativi ai mesi fino a giugno 2020 vanno necessariamente coordinate con quelle fissate annualmente dal Consiglio Federale per l’ottenimento delle Licenze Nazionali, il mancato pagamento degli emolu-
menti dovuti fino alla chiusura del V° (1° marzo – 30 aprile 2020) e VI° trimestre (1° maggio - 30 giugno 2020), comporta l’applicazione della sanzione pari ad almeno 2 punti di penalizzazione in classifica da scontarsi nella stagione sportiva successiva. Inoltre, per l’eventuale persistente mancato pagamento degli emolumenti relativi al I°, II°, III°, IV° e V° bimestre andrà aggiunto almeno 2 punti di penalizzazione (per bimestre). Le stesse sanzioni verranno applicate in caso di mancato pagamento delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e del Fondo di Fine Carriera. Eventuali ricorsi al Collegio Arbitrale Premesso che le tutte scadenze sopra riportate devono essere rispettate dalle società esclusivamente per non dover incorrere in sanzioni, è importante sottolineare che i calciatori non devono necessariamente attendere le varie scadenze (il 16 del secondo mese successivo ai vari bimestri o trimestri di riferimento) per ottenere il pagamento delle mensilità arretrate. Si deve infatti ricordare che, in ossequio a quanto stabilito dagli accordi collettivi, ciascuna mensilità contrattuale deve esser corrisposta entro scadenze prefissate e decisamente più favorevoli e quindi i calciatori, in qualsiasi momento della stagione e a loro esclusiva discrezione, a partire rispettivamente dal giorno 20 del mese solare successivo se tesserati con società di Serie A e B, dal giorno 1 del mese successivo se tesserati con società di Lega Pro, hanno il diritto di chiedere al Collegio Arbitrale la condanna delle società a corrispondere tutte le mensilità arretrate. Pertanto, in estrema sintesi, il pagamento entro i termini di ciascun bimestre o trimestre contrattuale da parte del club vale di per sé ad evitare le sanzioni previste dal CGS ma, contestualmente, in ogni momento della stagione il calciatore conserva il diritto di proporre vertenza avanti il Collegio Arbitrale per recuperare qualsiasi mensilità arretrata.
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calcio e legge
di Stefano Sartori
Dati della FIFA (estate 2019)
Il mercato globale dei trasferimenti internazionali Il 13 settembre u.s. la FIFA ha reso noto i dati che riguardano valori e numeri dei trasferimenti internazionali nel periodo 1° giugno/2 settembre 2019. In breve, i punti chiave più significativi. • Sono stati effettuati 8.935 trasferimenti internazionali, il 4,8% in più rispetto allo stesso periodo del 2018. • L’81,5 % dei trasferimenti è avvenuto a titolo gratuito e quindi senza il pagamento di alcuna indennità. • Le società hanno speso 5,79 miliardi di dollari (USD), importo che aggiunto a quanto speso nei primi 5 mesi dell’anno, porta il totale a 7,31 miliardi USD, già ora il 4% in più rispetto all’intero 2018. • Le “Big 5”, cioè le società di Inghilterra, Spagna, Italia, Germania e Francia, hanno effettuato 1.802 trasferimenti internazionali, contro i 7.133 del resto del mondo. • Per quanto riguarda le cifre in uscita, le “Big 5” da sole hanno speso il 75,7% del totale, vale a dire 4,38 miliardi USD; il resto del mondo ha speso 1,41 miliardi USD, cioè il 24,3% del totale. • Ancora una volta, la Francia è l’unica nazione con un saldo netto positivo con un + 304,8 milioni USD, l'Inghil-
terra qulla con il saldo negativo maggiore con -554,2 milioni USD, seguita da Spagna (-368,3), Italia (-258,5) e Germania (-126,8). • L’Italia: i club italiani hanno speso 701 milioni USD, con una diminuzione dell’11,5% rispetto a 12 mesi fa, per un totale di 247 calciatori in entrata; inoltre, hanno completato il minor numero di trasferimenti internazionali in uscita (264) tra le “Big 5”, per un importo pari a 443,5 milioni USD. • Per ciò che concerne il resto del mondo, la maggiore spesa per i trasferimenti internazionali è stata effettuata dalla Russia con 233,5 milioni USD, il 272,4% in più rispetto al 2018, seguita da Belgio con 167 milioni USD (+ 29,1%), Portogallo con 152,9 milioni USD (+ 74,3%), Olanda con 116,2 milioni USD (+ 10,6%) e la Cina con 114,9 milioni USD (+40,5%). • In termini di entrate totali, al vertice troviamo il Portogallo 463,0 milioni USD (+ 61,1% rispetto allo stesso periodo del 2018), seguito da Olanda con 396,2 milioni USD (+ 232,3%), Belgio con 258,5 milioni USD (+ 87,0%), Brasile con 196,1 milioni USD (-31,3%) e Argentina con 109,7 milioni USD (-23,5%).
In 7 righe... di Damiano Tommasi
Consapevolezza (americana) Juan Jesus ha ricevuto via social una serie di insulti razzisti e ha inviato al suo club lo screenshot con l'indicazione dell'account. "Sapete già cosa fare con un tifoso cosi". La società ha dato un daspo a vita per le partite della Roma al responsabile. Scelta, consapevolezza, saper cosa fare. Una riflessione… sarà che questa consapevolezza derivi dal fatto che il Club giallorosso non è a guida italiana ma USA?
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A Modena decima edizione
L’AIC ai Cantieri di Storia SISSCO Esposizione il 20 settembre scorso, all’interno del panel riguardante lo sport, della ricerca sull’Associazione Italiana Calciatori da parte del prof. Alberto Molinari, nell’ambito della decima edizione dei Cantieri di Storia, tenuti presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, organizzato dalla SISSCO, Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea. Divenuti ormai il principale appuntamento per la contemporaneistica italiana, i Cantieri di Storia vogliono favorire l’incontro e la discussione tra studiosi e studiose e valorizzare la pluralità dei campi di ricerca, degli approcci metodologici e delle competenze professionali. I lavori si sono svolti in forma di seminari tematici a sessioni parallele. La ricerca del prof. Molinari, ha ripercorso la storia dell’AIC soffermandosi principalmente sugli inizi nel 1968 e sulla creazione di un sindacato, sull’onda dei movimenti di quegli anni, che ha vedeva, per la prima volta, protagonisti diretti gli stessi calciatori. Nel panel sul calcio si è parlato anche della nascita e della storia della Associazione Italiana Arbitri, sulla nascita della FIGC “repubblicana” del secondo dopoguerra, con panoramiche su stampa, spettatori e tifo violento in Europa.
segreteria Progetto AIC/Lega Pro per il dopo carriera
Facciamo la Formazione: al via la nuova edizione Con il primo incontro svoltosi il 12 settembre scorso presso la sede del Modena Football Club 2018, si è aperta l’ottava edizione di “Facciamo la Formazione” programma formativo organizzato dall’Associazione Italiana Calciatori in collaborazione con la Lega Pro, riservato a calciatori, staff tecnici e dirigenti delle squadre del Campionato 2019/2020. Obiettivo del programma è preparare i calciatori in attività a carriere professionali dopo il termine dell’esperienza calcistica professionistica, partendo dalle competenze acquisite sul campo. Nel pomeriggio c’è stato il secondo incontro a Imola. Tra i nostri obiettivi” – ha ricordato il Vicepresidente Umberto Calcagno – “c'è quello di invogliare gli associati a sviluppare competenze nel mondo
del lavoro, non solo sportivo, cercando di accompagnarli anche nel post carriera. Siamo molto soddisfatti dell’interesse dimostrato dai calcia-
Corso di Laurea in "Scienze Motorie Curriculum Calcio"
Una eccellenza internazionale in tema di "dual career" Presentato in Svezia il corso di laurea dell'Università Telematica San Raffaele Roma realizzato in collaborazione con l'Associazione Italiana Calciatori Il 18 settembre scorso, presso l’Università di Dalarna, a Falun nel cuore della Svezia, si è svolto il 16° congresso annuale dell’EAS (European Athletes as Students): il network europeo che connette le istituzioni sportive e accademiche per lo sviluppo della dual Career nel contesto europeo. Professionisti del settore hanno affrontato gli aspetti relativi al tema della "Dual Career" attraverso sessioni di lavoro, tavole rotonde, discussioni e presentazioni che hanno toccato gli aspetti psicologici, metodologici e sociologici del tema in Europa e non solo. Durante la conferenza sono state presentate le best practices, per permettere agli operatori di conoscere modelli funzionali e positivi.
In rappresentanza di AIC e dell’Università telematica San Raffaele, Filippo Corti, ex calciatore e oggi Docente all’Università del calcio, ha presentato il progetto del corso di laurea in scienze motorie curriculum Calcio. Il corso, considerato unico nel suo genere, innovativo nella strumentazione, valido e avanzato nella somministrazione della didattica attraverso il sistema e-learning messo a punto dall’Università telematica San Raffaele, è stato considerato un percorso rispondente a molte delle linea-guida europee in tema di dual career. La comunità sportiva e accademica presente ha qualificato il Corso di Laurea come un progetto vincente e qualificato del settore calcistico.
tori che, soprattutto in Lega Pro, ci chiedono sempre più spesso questi percorsi formativi”. “Riteniamo questo programma un passo importante nel percorso post-calcio, un modo per immaginarsi nel futuro con un altro ruolo. Gli argomenti trattati sono molteplici e possono aiutare a orientarsi nel mondo del lavoro e a non farsi trovare impreparati” - ha dichiarato il Segretario generale della Lega Pro Emanuele Paolucci. Dopo le 14 società di Lega Pro che hanno aderito al progetto lo scorso anno, si aggiungono per questa stagione altri 8 club: Modena, Siena, Imolese, Feralpisalò, Vicenza, Teramo, Francavilla, Virtus Verona. Gli argomenti trattati si propongono di sviluppare le conoscenze del mondo del lavoro con particolare riferimento a quello sportivo, dei calciatori e dello staff societario: dalla comunicazione all’economia finanziaria, dalle normative che regolano il sistema sportivo al marketing, dall’organizzazione aziendale alla psicologia applicata allo sport. Gli incontri forniranno una preparazione specifica per ricoprire alcune importanti “nuove” figure all’interno di un club, partendo da un approccio di approfondimento generale propedeutico a qualsiasi professione manageriale, per arrivare ad analizzare le singole posizioni.
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politicalcio
zo Spadafora. Finalmente. Pensa che saranno riviste le scelte in materia di sport del governo precedente che tante polemiche hanno causato (vedi alla voce CONI)? “Sono molto contenta della nomina di Vincenzo come Ministro per lo Sport. Questo governo ha delle figure nuove ministeriali che questa nazione aspettava da tempo. Sono convinta, che con il supporto di tutti, il Ministro saprà svolgere un ottimo lavoro per il bene dei giovani e dello sport. Non sono state aperte discussioni in materia di CONI per il momento da questo governo e credo che le polemiche debbano stare a zero. Si lavora per il bene dei cittadini, se questo è l’obiettivo comune le polemiche verranno azzerate”. Intanto c’è una legge depositata a suo nome sul professionismo degli sport al femminile e per superare ogni forma di discriminazione. Ce ne può parlare? “Sì esatto, credo sia assurdo nel 2019 che nello sport vi siano discriminazioni sessiste anche sul piano professionale che tendono, quindi, a sminuire il lavoro di sportive che donano la loro vita in tal senso. Per quanto riguarda i dettagli preferisco prima sia fatto un lavoro
di raccordo e poi rilasciare altre indicazioni in materia”. Lei è membro della commissione di vigilanza Rai e forse pochi sanno che c’è anche il suo intervento per trasmettere tutte le partite delle azzurre in Tv. Si aspettava questo boom di ascolti per le azzurre al Mondiale? “Guardi, credo sia importante il fatto e non chi lo abbia fatto. Io mi sono impegnata molto e sono orgogliosa che la RAI abbia accolto le mie ripetute istanquesto governo con l’eliminazione di ze ma sono ancora più contenta che questi gruppi estremisti nelle curve finalmente sia arrivata all’attenzione degli stadi italiani? dei cittadini, grazia alla trasmissione “Credo siano riflessioni troppo preTV delle partite della Nazionale e anmature per il momento. Sicuramente che delle Under 21, La violenza non è mai anche un’altra faccia dello sport non inteso giustificata, tantomeno dove c’è sempre come quello maschile ma lo sport ampia visibilità per i bambini come tale, a prescindere dal sesso di chi lo svolge”. credo che lo sport debba essere qualcosa che unisca e che faccia divertire e Un’altra sua iniziativa importante è riflettere e non un qualcosa di divisivo la sua proposta di legge a tutela del ed altamente diseducativo. Credo che made in Italy. Nel calcio italiano c'è l’appartenenza ad una squadra sia giuun grande bisogno di tutelare i marchi sto, tutti abbiamo la squadra del nostro delle società per combattere la concuore, ma la violenza non è mai giustitraffazione. Cosa vuole dire alle soficata tantomeno in un ambito che è di cietà di calcio, le ha mai incontrate? ampia visibilità anche per i bambini che “La mia proposta sulla lotta alla consi vogliono avvicinare a questo mondo”. traffazione e la tutela del made in Italy è una proposta alla quale tengo molto In conclusione per giocare un po’ perché è arrivato il momento di essesul connubio calcio e politica: crede re chiari e fermi su questo in quanto sia più difficile l’impresa del Conte è un grave danno all’intera Nazione e dell’Inter di strappare lo scudetto alla all’intero tessuto produttivo. Ho inconJuve o quella del Premier Conte di tetrato svariate società in tutti i campi nere unito il governo? ma devo ammettere di non aver mai “Sull’Inter non posso dire altro che incontrato società calcistiche per la vinca il migliore. Per quanto riguarda materia. Ma io sono sempre a disposiil Premier credo abbia dimostrato già zione di tutti per ascoltare le istanze e di saper essere un ottimo presidente verificare che siano nella direzione di del Consiglio e sono convinta riuscirà sussidio verso i cittadini”. a fare sintesi per fare in modo che È di queste ore l’arresto di numerosi questo governo faccia il suo lavoro nei capi ultrà della Juventus. Potremmo restanti anni di legislatura e lo faccia assistere ad una reale svolta nelle sempre con lo sguardo diretto agli inpolitiche della sicurezza negli stadi in teressi dei cittadini italiani”.
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di Pino Lazzaro
Gli appunti “mondiali” della Giuliani
Dal diario di Laura Nello scorso numero di questa nostra rivista abbiamo ospitato – definendolo quel che in effetti era e cioè una nostra esclusiva – il “diario” che Elena Linari (così brava lì sul campo al Mondiale) aveva scritto per il Calciatore durante il torneo. Visto quanto quel Mondiale abbia giovato alla causa del calcio giocato qui da noi dalle donne, ci pare ora buona cosa ritornare nuovamente a quei giorni, proponendo un’altra sorta di “diario mondiale”, stavolta scritto da Laura Giuliani, che dopo aver messo un po’ in ordine i suoi appunti francesi, ci ha affidato alcune delle sue pagine. Le trovate qui di seguito, assieme a un po’ di righe sempre scritte per noi da Barbara Bonansea: come dire insomma che avete sotto gli occhi proprio un’altra esclusiva assoluta. Avanti. COMPLEANNO (5 giugno 2019) Non è scontato che il proprio compleanno possa diventare un giorno più unico che raro. Quest’anno l’ho festeggiato così: in Francia, a ridosso della prima partita di questo Mondiale e dell’inizio della competizione che sarà tra 2 giorni contro l’Australia! Oggi è stata una giornata con tantissime “prime volte” e festeggiare in questo clima mi fa sentire fortunata! Se mi avessero detto che avrei spento le mie 26 candeline durante un Mondiale probabilmente mi sarei messa a ridere. E invece la vita è un gioco continuo di emozioni e giochi di coincidenze. Si diverte a disincantarci e a soddisfarci come fossimo per lei bambini da cre-
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scere e da accontentare... E così è stato: mi ha accontentata! È in giorni come questi che si danno per scontate tante cose che scontate non sono come, per esempio, l’affetto delle persone. Ci sono sentimenti, emozioni e relazioni che ci sembra ci debbano essere dovuti per motivi inesistenti ma che invece vanno coltivati giorno per giorno con la stessa attenzione che diamo alle nostre cose più intime e importanti. E così la vita mi ha fatto un’altra bella sorpresa e oggi mi ritrovo a festeggiare il mio “Geburtstag” respirando aria francese, contornata da campi verdi, lontana dalla mia famiglia, dai miei amici e da Cristian, più vicina al
Belgio che all’Italia ma a ridosso di un Mondiale di cui già respiriamo l’aria, con le mie compagne che mi cantano “Tanti auguri..” e con me che, ancora spaesata, cerco il modo migliore per nascondermi da tutti quegli sguardi che mi cercano e fissano. Il regalo più bello non può farmelo nessuno se non il campo, tra due giorni, nello stadio di Valenciennes. Facciamoci questo regalo e rendiamo questi giorni indimenticabili! “I sogni nascono dal buio come scintille nella notte ed incendiano i nostri giorni per arrivare a raggiungerli. Altri rimangono chiusi nella memoria, sepolti in cassetti che aspettano di essere aperti per prendere forma al nostro futuro per essere scritti indelebilmente nei romanzi delle nostre vite”. BUONA LA PRIMA (9 giugno 2019) Ci sono sogni che si sognano di notte e vengono dimenticati una volta svegli. Altri che rimangono vividi e impressi in noi, quasi tangibili come soprammobili. Ci sono emozioni che rimangono incatenate nella gola, incapaci di uscire, ed altre che risuonano a gran voce come l’eco in una caverna. È proprio quando sogni ed emozioni si incontrano che nascono i momenti più belli: quelli indimenticabili, attimi di indelebile follia marchiati a fuoco nella mente in cui viene racchiuso un grande universo. E se quell’universo appena creato viene condiviso con altrettante persone, ecco che là il sogno diventa realtà. In questi momenti si può solo tacere e far urlare il cuore. Se oggi chiedeste al mio cuore di raccontarvi una storia vi farebbe la telecronaca di una partita di calcio femminile, esordio del girone C ai Mondiali di Francia 2019, Australia contro Italia, con il risultato finale di 1-2. Ero in campo e vedevo le squadre in formazione, pronte per il fischio di inizio. La gente comincia ad urlare “3.. 2.. 1..” e l'arbitro fischia. Si inizia.
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Dopo tre campionati col Como, nell’estate del 2012 Laura se n’è andata a giocare in Germania, vestendo via via le maglie di Gutersloh, Herforder, Colonia e Friburgo. Alla Juventus dall’estate del 2017, è iscritta alla Facoltà di Scienze Motorie indirizzo Calcio dell’Università telematica San Raffaele. Per lei due scudetti e una Coppa Italia con la Juve, 46 le sue presenze con la Nazionale A (dato aggiornato a settembre 2019, dopo Georgia-Italia 0-1, valevole per le qualificazioni al Campionato Europeo).
A fine primo tempo siamo sotto 1-0. Mentre sto rientrando nello spogliatoio, Elide (la nostra segretaria) mi ferma e mi sussurra “continua a parare così perché i miracoli accadono”. Io sorrido e le rispondo “Lo so, ne sono sicura”. Inizia il secondo tempo, giochiamo e tutti sappiamo come è finita. Al triplice fischio ero in un vortice. Non sapevo dove guardare e cosa fare, così mi sono messa a piangere. Mi guardavo intorno e mi sono resa conto solo in quel momento che in campo oggi non c’eravamo solo noi ma un intero Paese stava correndo, soffrendo, attaccando e difendendo con noi. Ed in quel preciso istante tutta l’Italia si è alzata e ha urlato. Quanto rumore che fanno tanti cuori che sussurrano insieme! Per raggiungere i propri sogni bisogna correre e non fermarsi mai. Come diceva Wolfgang Goethe: “Come raggiungere un traguardo? Senza fretta ma senza sosta”. Anche il più piccolo tassello serve per completare un mo-
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saico quindi, se avete bisogno di rallentare non esitate a farlo. Ma poi rimettetevi in viaggio e correte più forte di prima verso il vostro orizzonte. Condividete la strada con chi più vi fa piacere: ci sarà gente che entra ed esce, prende scorciatoie o vicoli ciechi e si vedrà costretta a tornare indietro e corrervi dietro per riaffiancarvi. La cosa più bella è che ognuno sceglie chi prendere per mano e non lasciare mai. Un viaggio condiviso è un viaggio fatto due volte e non sarà mai tempo buttato. Noi non ci dimenticheremo da dove siamo venute e cosa rincorriamo. Perché alla fine la forza più grande non deriva tanto dalla grandezza dei sogni che si hanno ma dai sacrifici che si è disposti a fare per raggiungerli. Oggi e sempre, FORZA ITALIA! PENSIERI “Quel sogno che comincia da bambino E che ti porta sempre più lontano Non è una favola, e dagli spogliatoi Escono i ragazzi e siamo noi”. Cantavano così Gianna Nannini ed Edoardo Bennato nel 1990 ma oggi la sento come se me la cantassero all’orecchio. Da oggi iniziano quelle “notti magiche” che ognuno sogna e rincorre fin da bambino immaginandosi da solo, in mezzo ad un campo verde, coi riflettori puntati addosso e circondato da migliaia di persone che lo applaudono. È un po’ la scena delle pubblicità, quelle
in cui non vedi la faccia del giocatore che è lì e quindi i tuoi pensieri e la tua mente hanno la facoltà di inserirci la tua. Sono quelle cose considerate impossibili in effetti, quasi surreali, che non sai mai se inserire nel cassetto dei sogni o della realtà... Oggi quei cassetti li ho aperti tutti e svuotati di ogni cosa ci fosse dentro - realtà o finzione che fosse - mettendo il tutto su un piatto. L’ho guardato, pesato e ho visto che faceva tutto parte di quel puzzle chiamato vita. Sì, perché la vita
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è fatta di tanti tasselli, di tanti pezzi belli o meno belli che siano - che alla fine, uniti, vanno a comporre il quadro. Un quadro immenso, senza fine, in cui mancherà sempre qualcosa ma lì, in quel momento, io avevo tutti i pezzi per completare la parte centrale e non mi è rimasto altro che metterli insieme. Così mi sono trovata catapultata in uno stadio, a cantare di “Fratelli d’Italia” - nel nostro caso “Sorelle d’Italia” - che sono “pronti alla morte”. In quel momento mi è presa un po’ d’ansia, sono onesta, ma mi sono guardata intorno cercando gli sguardi delle mie compagne e di chi amo in tribuna e tutto si è rimesso a posto quando ho iniziato a canticchiare nella mia testa “I got that sunshine in my pocket, Got that good soul in my feet. I feel that hot blood in my body when it drops, ooh”*. Perché in fondo “voglio viverla cosi quest'avventura: senza frontiere e con il cuore in gola”. Proprio così… Senza frontiere, con il cuore in gola… Senza paura, senza ansia, senza pensieri… E così l’ho vissuta, questa estate mondiale! Come diceva Henry David Thoreau: “Volevo succhiare tutto il midollo della vita, sbaragliare tutto ciò che non era vita e non scoprire in punto di morte che non ero vissuto”. Volevo portare a casa l’esperienza di giocare un Mondiale ma ho portato a
casa molto di più. Ho portato a casa emozioni, sensazioni, pensieri, momenti, ricordi e, soprattutto, una nuova Laura. Ci sono esperienze che non lasciano solo lo spazio di un ricordo ma anche strascichi di vita e ti cambiano profondamente perché ti cambiano la prospettiva delle cose... Per
me, questo pezzetto enorme di puzzle, verrà per sempre tenuto in quel cassetto chiamato “vita” che io conserverò gelosamente come uno dei paesaggi principali del mio quadro. * da Can’t Stop the Feeling, brano di Justin Timberlake.
Barbara Bonansea
Quella nostra bolla di sapone 54 giorni, otto alberghi, altrettanti letti, due treni, molti pullman e quattro aerei. A volte giorni lunghi, eterni; altre volte corti e fiammanti. Eravamo un gruppo che si muoveva compatto in Francia ma sentivamo che c’erano tante ragazze che ci sostenevano come se noi fossimo una leggerissima bolla di sapone. Sono state anche loro a farci arrivare lì, così, pronte e leggere; loro che erano rimaste a casa. La nostra bolla era reale ma ci sentivamo tante di più nei giorni in cui faticavamo ancora di più nei giorni premondiali e poi ci siamo sentite una bolla grossa come l’Italia nel post. Da dentro però, vivevamo tutto senza troppi pensieri, ogni giorno come un altro giorno di Nazionale: orari, allena-
menti, riunioni, film in stanza. Perché poi la scaramanzia era tutto. 54 giorni in quella bolla e quando questa sembrava lì lì per esplodere, noi chiudemmo gli occhi e sentimmo 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 e tutto volò via, eravamo noi, lo squadrone, il pallone e nient’altro. I 90 minuti più belli di sempre. Dopo gli inizi con i ragazzini nel Bricherasio (To), è passata al Torino femminile (esordienti-Primavera-serie A), giocando poi con Brescia e Juventus. Per lei 4 scudetti (due col Brescia e due con la Juventus), 3 Coppe Italia (due Brescia, una Juve) e 3 Supercoppe Italiane (tutte col Brescia). 62 le sue presenze con la Nazionale maggiore (aggiornato sempre a settembre 2019).
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di Pino Lazzaro
Mi ritorni in mente…
VISIONI MONDIALI /1: Rosalia Pipitone Il Mondiale di Francia è laggiù, ormai lontano, ma non certo dimenticato, no. Un ricordo molto bello, la sua parte sorprendente che, come si sa, ha dato un forte scossone a questo nostro mondo del calcio giocato dalle donne. Un ricordo che come detto è comunque lì alle spalle, ormai andato ed è stata infatti per prima la stessa c.t. Bertolini a dire e ridire che ora le cose saranno più difficili di prima dato che le attese sono per l’appunto cresciute. Si ricomincia insomma pur sempre da 0 a 0 e per crescere servono forse soprattutto partite proprio come quelle contro Israele e Georgia, partite così così, comunque inizio del cammino per poter arrivare agli Europei. Dai, nessuno regala niente e abituate come sempre sono state a guadagnarsi ogni millimetro di strada, certo le nostre sapranno come fare per continuare ad alimentare quella famosa “fame”, essenziale per non star lì troppo a rimirarsi allo specchio. Da parte nostra abbiamo pensato di far partire una nuova rubrica, l’abbiamo chiamata “Visioni Mondiali”. Da qui lo vediamo pure come un piccolo contributo che parte sì dal guardare un attimo indietro, alle giornate francesi d’inizio estate, a quella immagine/diapositiva che le protagoniste del nostro Mondiale hanno per prima ben piantata nel cuore e nella mente, ma che vuole concentrarsi poi sul presente/futuro, a quelle che per forza di cose sono ora nuove responsabilità (e maggiori consapevolezze). Quale la tua “visione mondiale”? “Se ripenso a quel periodo, quel che viene prima di tutto è l’inno di Mameli che tutte assieme abbiamo cantato prima della partita con l’Australia. Lì, stretta
alle mie compagne, l’adrenalina, quanta emozione. Cantando l’inno, pensavo a tutto quello che era stato il percorso che avevamo fatto per arrivare sin lì: gli allenamenti, la fatica, le battute, le risa-
te, la rabbia, la sofferenza. In sostanza, due anni in poco più di un minuto”. Cambiato qualcosa? Ora anche qualche responsabilità in più? “Beh, sul fatto della maggiore responsabilità che in effetti sento, posso dire intanto che dipenda dal sentirmi in effetti più osservata. Dico questo perché sono 20 anni che gioco a calcio e tutto il percorso che ha portato al cambiamento attuale l’ho via via vissuto in pieno. Quello di cui sono più contenta è che finalmente è cambiata la mentalità, ora quel rassegnarsi dicendo che tanto non si può fare, tanto è lo stesso, non ha più senso, ora vedo bene quanto si sia più propositive e positive. Sì, il cambiamento c’è stato, ora ci sono le società, ci sono i mezzi per poter praticare un certo tipo di vita il che significa la possibilità di fare qualcosa per tutto il movimento, proprio potendoti e dovendoti comportare da professionista, in campo e fuori. No, prima non era certo così, saranno state che so una ventina le calciatrici che già l’avevano quella mentalità.
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Su Instagram l’addio alla Nazionale
GRAZIE GRAZIE GRAZIE Ecco il post sul suo profilo Instagram, con cui Pipa ha salutato la Nazionale.
Il Mondiale ha portato visibilità: ora chiunque ti guarda vede la calciatrice, l’atleta, c’è insomma questo riconoscimento e così anche tu sei motivata a comportarti in un certo modo”
“È arrivato il momento di lasciar spazio a chi meriterà questa maglia da me tanto desiderata e tanto amata. È arrivato il momento di dare la possibilità a qualcun’altra di realizzare i sogni che, sicuramente come è stato per me, ha sin da bambina”. “Io ho avuto la fortuna di poter realizzare il sogno più grande. Ho avuto la fortuna di realizzarlo insieme a persone meravigliose. Di più non potevo chiedere. Che strano come il tempo sia davvero relativo. Una maglia indossata solo due anni ma vissuti talmente tanto intensamente che sembrano molti ma molti di più. Ringrazio tutte le persone che hanno fatto e che fanno parte di questo meraviglioso gruppo... TUTTI!”. “Ringrazio il mister, lo staff e tutte le persone che lavorano per permetterci di “lavorare” nelle migliori condizioni
possibili. Ringrazio Milena per avermi dato la possibilità di realizzare un sogno che ormai sembrava irrealizzabile. Ringrazio me stessa per non aver mai smesso di crederci e non aver mai mollato. Ringrazio le mie amate compagne. Loro le ringrazio più di tutti e so che mi mancheranno da morire. Posso dire che la mia fortuna più grande nell’essere chiamata in Nazionale non è stata indossare la maglia tanto attesa ma trovare compagne, AMICHE, persone che oltre la rivalità in campo faranno sempre parte della mia vita! Ringrazio la mia Nazionale… SIETE LA SQUADRA CHE OGNI TIFOSA O GIOCATRICE DESIDERA. Vi seguirò sempre. Sarò sempre la vostra prima tifosa e ci sarò sempre per voi. Grazie per tutto. IN BOCCA AL LUPO PER IL NUOVO PERCORSO CON LE QUALIFICAZIONI EUROPEE. FORZA AZZURRE! E FORZA, NON SI MOLLA UN C…”
Un po’ ti spiace sia capitato solo adesso questo “scrollone”? “Me l’hanno già fatta questa domanda, se insomma un po’ mi rompe, alla mia età: quel che penso è invece che finalmente è successo. Non sono invidiosa e sono contenta d’aver contribuito a questo cambiamento. E voglio qui insistere sulla mentalità, è stato questo il più importante passo avanti. Anche in quel nostro Mondiale, a partire dal mister e comprendendo proprio tutta la spedizione: ci siamo ritrovate a pensare giusto positivo, lasciando stare le difficoltà, i problemi, le mancanze eccetera eccetera. No, l’approccio era quello di pensare a quel che potevamo fare noi, in che modo fare bene la nostra parte. Ecco, se penso alle nuove generazioni, vorrei tanto che la pensassero in questo modo: lottare sempre, senza adagiarsi”.
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segreteria Hope for football
Il calcio come una speranza L’organizzazione Hope for football, supportata da AIC, quest’anno ha organizzato il suo secondo campeggio sportivo in Italia per i bambini orfani e con disagio sociale dalla Lituania. Un progetto che, in questa occasione, è stato ampliato dalla presenza di un periodo di accoglienza nelle famiglie italiane della Parrocchia di Silvelle a Padova. Il gruppo lituano è arrivato in Italia il 30 giugno scorso ed e tornato il 18 luglio in Lituania: un soggiorno organizzato da varie realtà come la sezione degli Alpini di Piombino Dese, la Parrocchia di Silvelle e la sua comunità guidata dal parroco Don Federico Giacomini e supportata dalla FIGC, Lotto sport, Ovs, Moncler e dalla Federazione Lituana con Tomas Danilevicius. “Abbiamo ricevuto un fortissimo supporto dalla comunità di Silvelle” – spiega il responsabile Stefano Piciulin – “i bambini sono stati accolti con cuore e non volevano più tornare in Lituania. Questi bambini hanno bisogno di amore, non di discriminazione, e in questi giorni si son sentiti amati e speciali”. La comunità di Silvelle vorrebbe conti-
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nuare anche il prossimo anno con questo progetto ampliando il periodo in famiglia di due settimane e aggiungendo poi il campeggio sportivo ad Auronzo di Cadore. Inoltre per alcuni di loro ci sarà la possibilità di tornare presso le famiglie italiane anche a Natale. C’è una forte volontà da parte della comunità di Silvelle di creare un punto d’appoggio in Italia per questi bambini per quando usciranno dall’orfanotrofio, in modo da supportarli durante gli studi. “Stiamo pensando a delle soluzioni per prenderci cura di loro fino a quell’età con una pianificazione di una comunità in modo da non perderli perché altrimenti l’accoglienza in Italia per loro rimarrebbe solo un’illusione”. Ad Auronzo, durante il ritiro sportivo, c’è stato l’incontro con i calciatori della Lazio con i quali i bambini hanno avuto un’esperienza che non dimenticheranno facilmente: “Erano felicissimi, di incontrare Simone Inzaghi, il campione del Mondo Angelo Peruzzi, ma specialmente il portiere lituano Marius Adamonis”. Per questo incontro la società è stata disponibilissima promuovendo questo evento attraverso il loro ufficio stampa e il team manager Stefan Derkum. I bambini hanno ricevuto doni, delle divise sportive, palloni aggiunti poi alla donazione ricevuta dalla FIGC con i complimenti dal suo presidente. Durante il campeggio sportivo i bambini sono stati ricevuti anche dal sindaco di Auronzo di Cadore la dott.ssa Tatiana Pais Becher che ha dimostrato una forte stima e volontà di accoglierli anche nei prossimi anni. “Il nostro scopo” – prosegue Piciulin – “è continuare con la strada dei campeggi estivi e vorremmo aprire una scuola calcio italiana, ma con caratteristiche da comunità dello sport, in modo da potersi prendere
cura del disagiato, ritrovando una speranza per gli orfani, ragazze madri, disabili e famiglie povere. Vorrei organizzare ancora partite del cuore, magari andando giocare a Vilnius da Tomas Danilevicius in modo da fare una gara tra Italia e Lituania di
ex calciatori e creare questo Centro della speranza. Faccio quindi appello come direttore del progetto e fondatore della Nazionale dei ragazzi guariti dalla Leucemia, a tutti i campioni che giocano in Italia, da Cristiano Ronaldo a tutti gli altri, di credere in questa iniziativa e supportarci, magari a creare degli eventi benefici per poter sviluppare queste attività e dare speranza. Io credo nel calcio, sono sicuro che questo progetto possa creare speranza per chi l’ha persa e credo che, come uomini di sport, si possa fare quel passo in più per cambiare il futuro di chi ha delle difficoltà.”. Un ultimo pensiero anche per Sinisa Mihajlovic: “Ho una disabilità all’80% dovuta ai danni della chemioterapia, ho avuto la leucemia quando ero piccolo e avevo solo il 10% di speranza di sopravvivere e per questo capisco e sono vicino a Sinisa Mihajlovic, Come Sinisa combatte da vero guerriero, io provo ad essere una speranza per questi bambini, e credo che con l’aiuto di tutti possiamo diventare una famiglia per loro e vincere assieme la Champions League della speranza”.
regole del gioco
di Pierpaolo Romani
Il messaggio di Padre Pino Puglisi
Il calcio supera ogni barriera sociale Il calcio ha un potere eccezionale: far capire come le regole siano alla base del gioco, del divertimento, della competizione e della nostra convivenza civile. Giocare a calcio non è un semplice rincorrere la palla. Questo lo aveva capito, e lo aveva messo in pratica, non un allenatore, ma un prete: Padre Pino Puglisi, 3P, come lo chiamavano i suoi ragazzi. Parroco del quartiere Brancaccio di Palermo fu assassinato su ordine dei fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, boss del quartiere, perché, come scrissero i magistrati “toglieva i ragazzi dalla strada” offrendo loro la possibilità di vivere una vita scevra da violenza e sopraffazione. Nel bellissimo film di Roberto Faenza intitolato Alla luce del sole, un bravissimo Luca Zingaretti interpreta Padre Pino, proclamato beato dalla chiesa nel 2013. Una scena colpisce in modo particolare lo spettatore. Quella in cui il sacerdote porta i ragazzi all’oratorio, il Centro “Padre Nostro”, e li fa giocare a pallone su un campo sterrato, ma segnato con le righe. Due squadre che si sfidano, alla presenza di un arbitro, Gaspare, il figlio del boss mafioso del quartiere. Un ragazzo, figlio di un padre che disprezza le regole, viene chiamato a farle rispettare. Padre Pino Puglisi aveva capito che il calcio è un grande strumento educativo, che accoglie, aggrega e include, se usato con responsabilità e intelligenza. Più volte minacciato, pur avendo paura, non si è mai arreso. Padre Pino ha giocato il suo campionato del riscatto civile fino in fondo salvando da un macabro destino diversi ragazzi del quartiere. Testimoniando come il Vangelo e, aggiungiamo noi, la Costituzione e la Carta dei diritti dei ragazzi allo Sport, siano incompatibili con la mafia e la mafiosità. Il suo insegnamento è stato portato avanti in vari contesti nel nostro Paese. Un’esperienza recente è quella della
società di calcio del quartiere di Montespaccato, a Roma. Un territorio fino a poco tempo fa controllato da un clan mafioso, quello dei Gambacurta, legati alla camorra napoletana, che si era impossessato anche della locale squadra di calcio. Quest’ultima, adesso è gestita dall’Ipab Asilo Savoia e milita nel campionato di Eccellenza. Più di 200 ragazzi del quartiere partecipano alle attività della scuola calcio evitando in questo modo di trascorrere i loro pomeriggi lungo la strada con il rischio concreto di essere arruolati nelle file della criminalità organizzata. “Difendiamo i valori dello sport contro chi prova a sporcarli. Il calcio supera ogni barriera sociale” ha dichiarato Massimiliano Monnanni, presidente dell’Ipab Asilo Savoia, ente che gestisce anche la “Palestra delle legalità”, confiscata al clan Spada ad Ostia. La squadra è stata ricevuta dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e la sua storia è stata raccontata in un cortometraggio intitolato Il sogno di Aimone, curato da Daniele Piervincenzi, che molti ricordano per essere stato colpito da una testata da Roberto Spada, personaggio legato all’omonimo clan criminale ostiense, quando il giornalista lavorava per la trasmissione televisiva “Nemo”. Anche nel quartiere napoletano di Scampia il calcio è stato protagonista e testimone di legalità. Dal 5 all’8 settembre, ben undici squadre di calcio a cinque provenienti da tutta Italia, hanno partecipato ad una quattro giorni di sport e formazione civile organizzate nell’ambito del torneo intitolato “Libera in goal”, dedicato ad Antonio Landieri, vittima innocente di camorra, organizzato da Vo.di.Sca., Libera, Get Up e Legalité, Associazione “Dream Team donne in rete” e della Scuola Calcio Arci Scampia. Tutte le squadre sono state formate in modo misto ed è stato previsto l’autoarbitraggio, in modo che ognuno si impegnasse con-
cretamente per essere corretto e leale. “Ci sono alcuni paesi e villaggi del Brasile che non hanno una chiesa, ma non ne esiste neanche uno senza un campo di calcio” ha scritto Eduardo Galeano. Una frase, che debitamente contestualizzata nel nostro Paese, chiunque ama questo straordinario sport non deve mai dimenticare.
Giulio Einaudi Editore
A testa alta di Bianca Stancanelli 158 pagine - € 15,00 La storia di Giuseppe Puglisi, prete-coraggio in terra di Sicilia, eliminato perché, sottraendo i bambini alla strada, li sottraeva al reclutamento della mafia che nel rione Brancaccio, alle porte di Palermo, ha da tempo immemorabile creato un vivaio di manovalanza criminale. Ma se Giuseppe Puglisi, protettore d’infanzia sfortunata, fu giudicato dai boss di Cosa Nostra un fastidioso intralcio, una possibile bandiera della quale liberarsi alla svelta, il suo assassinio fu soltanto il mostruoso epilogo di una lunga catena di incomprensioni, inadempienze e silenzi da parte di tutti: autorità politiche, gerarchie ecclesiastiche e perfino intellettuali «schierati». Un caso di inquietante solitudine. La solitudine dell’uomo di fede, impavido fino al sacrificio di sé. Una solitudine che Bianca Stancanelli racconta con appassionata meticolosità e rara efficacia letteraria nella convinzione che talvolta, a illuminare il buio della nostra generale codardia, basta l’esempio di un solo «hombre valiente». Un modo per avvertire il lettore che quella che si accinge a leggere è la biografia di un piccolo prete dal grande cuore, un eroe vero tra tanti eroi di cartapesta, deciso a dare un’anima a un quartiere che un’anima non l’ha mai avuta, un quartiere abbandonato dallo Stato e posseduto dal diavolo, dove è già un atto di sfida camminare a testa alta.
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secondo tempo
di Claudio Sottile
Il progetto “BeCoach” dell’ex attaccante
Elvis Abbruscato, essere uomini e allenatori Dopo 121 gol in carriera, un brutto bel giorno Elvis Abbruscato dice basta, ma non col calcio. Basta con quello che definisce un “vortice”, avvitatosi su di lui una volta smesso di essere bomber. Basta con i su e giù, che andavano bene solo quando significava girare l’Italia per metterla dentro. E diventò un bel brutto giorno. “Il vortice è un’esplosione di emozioni, che passano dal positivo al negativo. È avere certezze e il giorno dopo non averne, è avere un’idea e il giorno dopo ricevere una cattiva notizia. Nel vortice c’è chi non è in grado di pianificare una missione personale. Non si è calciatori per caso. Il calciatore è il protagonista del calcio, tutto ciò che c’è attorno è utile, ma al calciatore poco interessa. Quando smetti soffri la mancanza della prestazione, dell’eccitazione della partita e del tifo. Per trovare quelle
ti, ti muove. Ho vissuto questa sorta di crisi abbinata alla paura come un momento di scelta. Ho scelto di andare a fare l’allenatore della Berretti ad Arezzo, ho scelto di fare l’allenatore in seconda ad Arezzo. E adesso grazie a Dio ho avuto la possibilità di fare l’allenatore nel Club Italia, ora sono vice in Under 20. Sto rafforzando il mio knowhow come allenatore”.
Da qui l’idea di lanciare il progetto “BeCoach”. “La scintilla è stata proprio ad Arezzo, quando l’allenatore che affiancavo l’ho visto subire una spirale di disorganizzazione e di avvenimenti. A un certo punto il club stava per fallire, mi chiedevo come facesse a tenere in mano e partecipe lo spogliatoio. Non c’era più un DS. Ho realizzato che gli allenatori sono soli, ma incarnano la figura più imIl calciatore è il protagonista del portante in un amcalcio, tutto ciò che c’è attorno è organigr ma, perché utile, ma al calciatore poco interessa respons abili nei confronti emozioni, l’ex calciatore magari viene del patrimonio della società, i giocatoavviluppato da personaggi che gli diri. Per me sono alla stregua di un amcono di investire in case e ristorazione. ministratore delegato. L’allenatore ha Ma un calciatore, se non ha una minima attorno a sé organizzazioni alle quali idea di leadership e management, non deve essere collegato, deve comunicariesce a creare né valore né gestione”. re in maniera costruttiva e aggiornata, quotidianamente. Lo si può fare solo Hai mai avuto paura? se hai una cultura digitale, mixata con “Sì, la paura ti scuote ad andare avanuna cultura dal punto di vista del ma-
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nagement calcistico. Ho pensato che avrei dovuto fare qualcosa per migliorare il lavoro dell’allenatore. Non parlo di campo, lì ci sono libri su libri, parlo invece di coaching manageriale, stile HR, responsabile delle risorse umane. L’idea quando smetti è di fare l’allenatore. Il calcio è il luogo nel quale siamo cresciuti e nel quale crediamo di avere competenze per il futuro. È vero, perché sono assimilate qui e lì, ma che di fondo non hanno conoscenze. Sto puntando tanto sull’abbinare le conoscenze del mondo del calcio di tipo top-down con quelle botton-up. Quello che sto notando è una mancanza di tirocinio dei calciatori che smettono di giocare, ma non lo imputo alle istituzioni. Mi sono ritrovato appunto in un vortice di sensazioni, con una propensione spiccata nel voler fare allenatore. Frequenti il corso, pensi di essere allenatore o direttore sportivo, poi nella pratica bisogna mettersi a confronto con leadership e management. Sono due cardini per la formazione di un allenatore o di un DS o comunque di figure importantissime del calcio, un mondo nel quale bisogna lavorare sull’eccellenza. BeCoach è partito dalla presa di coscienza del momento che stavo vivendo. Mi sto formando, ho iniziato questo percorso col team di sette persone che mi affianca. È una startup dal valore etico, sulla costruzione e la formazione non di metodologia calcistica, perché c’è n’è troppa, ma di un meccanismo che metta ordine ai processi digitali e di comunicazione tra le organizzazioni. Un allenatore non si può permettere di sbagliare una comunicazione e, anzi, deve avere completo monitoraggio di tutto, trasmettendo e condividendo la sua missione personale al direttore e al presidente. L’app riesce a sintetizzare i tre processi fondamentali: gestione di tutto ciò che riguarda le organizzazioni, i processi comunicativi e i processi sociali all’interno del team e del club. È un need del momento”.
secondo tempo Un controllo capillare. “BeCoach ti aiuta. La parte iniziale non è il classico tutorial per capire come si usa l’app. Il tutorial vero sono le persone, è l’azienda che ti sta vicino. Un allenatore con una visual experience banale non ha la governance dello spogliatoio, di ciò che ti circonda attorno e non può conoscere il sentiment della squadra. Il riconoscimento del sentiment attraverso il facciale è la punta di diamante del progetto. Dietro l’app c’è un processo, che è il core dell’azienda. Senza il processo non potevo neanche partire. Sto puntando tantissimo sul brand, su chi sono, su cosa voglio fare, essere e rappresentare. L’app nel Marketplace sarà facile da copiare o imitare, quindi conta poco, ma conta di più ciò che sto preparando con il team. L’allenatore oggi deve usare tante applicazioni diverse, vorrei invece dare la possibilità, a partire dalle società dilettantistiche, di avere feedback quotidiani dai calciatori in un linguaggio comune e facilmente accessibile con un banale smartphone. L’allenatore non dovrà pensare solo ad allenare. I ragazzini dagli 8 ai 12 anni pensano solo a vincere, non curano più la parte empatica, i calciatori in generale non
In campo ci vanno gli non i sistemi di gioco sono più empatici e le statistiche degli infortuni parlano chiaro. È lì che voglio intervenire con il mio staff. Vorrei dare un’opportunità alle generazioni che arriveranno, perché sono tutte smartfoniche, i millennials ragionano in un’altra maniera. E con questa digitalizzazione un allenatore si deve adeguare”. Quando sarete pienamente operativi? “Lanceremo il tutto a fine ottobre. Voglio sottolineare che non è solo per il calcio questo progetto. Quest’anno ho coinvolto alcune società dilettantistiche, con le quali creerò una case history così da affinare le user experience e ricavare un po’ di feedback. La prima vera case history, però, sarà me stesso. A pieno regime l’app funzionerà in abbonamento. All’inizio ho finanziato io, una persona deve investire in attività formative e poi in attività hardware. Ora, invece, mi servo di un venture capitalist”. Ipotizzando un ritorno al passato, avresti consigliato quest’app a un tuo vecchio allenatore?
“No, perché erano tutti di una generazione troppo lontana. Sicuramente servirà ai giovani allenatori di oggi o comunque a qualche allenatore che ha voglia di crearsi uno storico, un diario di bordo, un qualcosa che porterà sempre con sé, che gli permetterà di affinare e migliorare le sue conoscenze”. Hai un modello che ti ispira in panchina? “Giro molto, ci sono tanti allenatori sconosciuti in Europa, che sono molto bravi, proattivi e anche molto determinati con la digitalizzazione. Come personaggio e come stile di gioco mi piace molto Jürgen Kloop, diciamo che io sono uomini, ma io, sono autentico, non mi interessa emulare. Voglio essere un allenatore con conoscenze, alimentato da confronti, relazioni, esperienze. In campo ci vanno gli uomini, non i sistemi di gioco. Questa è la mia filosofia di calcio”. Un continuo aggiornamento, il tuo. “Bisogna studiare per forza. Le persone che ho attorno implementano questa mia possibilità di formarmi. Sicuramente public speaking e management sono due rafforzativi importanti per un allenatore. Noi abbiamo una ricchezza immisurabile, che sta dentro di noi e che va attivata. Alcune persone l’attivano con esperienze, altre con la fede. La mia ispirazione viene dalla ricchezza più grande che è dentro ognuno di noi. Nei momenti di paura e di difficoltà la forza della fede è stata ed è pazzesca. Ci sono dei crolli quando smetti di giocare che sono difficili da gestire. Il calciatore è una persona all’apparenza molto goliardica, ma è sensibile. La sostanza è ben diversa. Ti trovi solo nel buio. Parliamo di quattro divorzi su dieci
quando smetti di giocare, spesso condizionati dalla mancanza di obiettivi e di missioni comuni a livello di famiglia. Io devo ringraziare Dio, mia moglie, i miei figli e gli amici vicini, sono un supporto. All’interno della casa abbiamo una dichiarazione di missione comune. Non sono solo un ex calciatore, sono un padre, un marito, un amico, a ognuna di queste figure io do una missione sempre da riscrivere e da rielaborare in base alla situazione. Questo è fondamentale e ci dà la possibilità di creare uno statuto familiare, che ci fa confrontare in modo adeguato e ci fa capire dove stiamo andando assieme. Tanti giocatori non hanno gestito bene le finanze e si ritrovano soli, la rubrica del telefono deve essere quasi tutta cancellata perché non ti chiama più nessuno. Credo tantissimo in questo progetto, nel quale ho messo tutto me stesso, sia in tempo professionale sia investendo parte dei miei risparmi. Non cerco successo, ma connessioni con le persone che vogliono alimentare questa visione. Voglio lasciare una traccia, un’impronta legata ad un cambiamento comune. A tal proposito vorrei fare un appello”. Prego. “Mi piacerebbe creare un team di BeCoach composto da calciatori che smettono di giocare. I giocatori hanno potenzialità immense, quando smettono devono essere solo canalizzate. Un giocatore se scopre la sua vocazione si avvantaggia. Ho fatto una strada un po’ più lunga, all’interno di questo percorso ci sono anche dei fallimenti, che mi sono serviti per crescere, formarmi e dare vita a una missione. Questo è il focus. La mia e-mail è elvis@beacoach.it se ci sono colleghi o ex interessati, mi contattino pure”.
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internet
di Mario Dall’Angelo
I link utili
Sempre informati sulle tecnologie del calcio La tecnologia è entrata nello sport rapidamente in queste ultime stagioni. Le esigenze di monitoraggio delle prestazioni e della salute degli atleti, come pure la necessità di garantire la regolarità delle gare, hanno fatto
premere prepotentemente sull’acceleratore dell’aggiornamento di pratiche e regolamenti per consentire l’introduzione e l’uso di dispositivi elettronici dentro e attorno ai campi da gioco. Se pensiamo alla durata ultradecennale della battaglia di una parte degli addetti ai lavori e della pubblica opinione per introdurre il Var e la moviola in campo - On Field Review -, ci rendiamo conto che è stato un processo lungo e difficile ma che anche il calcio, a lungo uno degli sport più conservatori a livello di normativa, alla fine ha scelto di adeguarsi rapidamente a un mondo che si trasforma ad alta velocità. La Fifa, che nelle ultime stagioni si è fatta promotrice dell’innovazione, ha costituito un sito per consentire alla comunità internazionale del calcio di mantenersi informata sulle ultime novità. Collegandosi a football-technology.fifa.com si accede a una homepage che fin dallo sfondo - una foto di una gara del mondiale femminile della scorsa estate vuole dare la sensazione del nuovo che avanza. La sezione Latest - ultime notizie - si presenta con uno slogan chiaro: “Restate informati sulle ultime tecnologie e innovazioni nel calcio”. Tra i numerosi articoli sulle iniziative
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più recenti della Federazione internazionale, non mancano anche interviste a protagonisti del mondo del calcio. Particolarmente interessante quella a Diego Maradona, dal titolo che fa riflettere: “Il Var avrebbe invalidato il mio gol all'Inghilterra“. Il riferimento è a uno dei più clamorosi errori arbitrali di sempre: la marcatura di mano del grande 10 argentino al Mondiale del 1986, “la mano de Dios” come la definì lui stesso. Maradona però non è contrario alle tecnologie anzi, le sostiene apertamente: “Il calcio non può tornare indietro. Con la rapidità con cui la tecnologia entra in tutti gli sport, come potremmo pensare di non utilizzarla nel calcio?”. E conclude: “Ci sono stati parecchi “incidenti" che avrebbero potuto cambiare la storia dei campionati del mondo, se allora fosse stata utilizzata la tecnologia. È il momento di cambiare”. Un deciso appoggio quindi, da parte di uno che ha fatto la storia dello sport. La sezione Innovations riguarda le nuove idee che guidano l’impresa del calcio in direzione di un miglioramento della sicurezza, del comfort degli spettatori e per rilevare e analizzare le caratteristiche delle performance degli atleti e degli arbitri in azione sul campo. Per quanto riguarda questi ultimi, vi sono numerosi articoli e video riguardante il Video Assistant Referee, che spiegano chiaramente come, nella visione della Fifa, l’intervento in aiuto dell’arbitro in campo per evitare un chiaro errore può avvenire esclusivamente nelle quattro situazioni che cambiano l'andamento di una gara: gol, calcio di rigore, espulsione, scambio di persona. Il materiale informativo sul Var è molto abbondante e chiaro; consente di capire esattamente competenze e limiti dell’intervento dell’arbitro assistente al video. Un’altra innovazione ampiamente descritta nei dettagli è l’Electronic Performance and Tracking Systems,
il sistema che consente di tracciare i movimenti di atleti e pallone sul campo per mezzo del Gps-Lps in combinazione con dispositivi quali giroscopi, accelerometri e sistemi ottici. Mentre i monitor del battito cardiaco e altri dispositivi medici permettono di misurare e controllare vari parametri fisiologici. Sotto la voce Standards troviamo il Fifa Quality Programme, che pone gli obiettivi di qualità industriale per prodotti, tecnologie e superfici impiegati per il gioco, sia all’aperto sia indoor. Si va quindi dall’attrezzo pallone ai materiali artificiali per i campi fino alle tecnologie. Queste ultime infatti devono superare test accurati che la Fifa svolge periodicamente. Il più recente annunciato sul sito riguarda le prove per i sistemi Virtual Offside Lines. Le linee virtuali impiegate dal Var e dai suoi assistenti per determinare il fuorigioco sono infatti frutto di una tecnologia molto sofisticata e i produttori dei sistemi VOL devono ottenere la certificazione Fifa per poter diventare fornitori ufficiali. Un aspetto non secondario del Quality Programme è l’attenzione posta alla responsabilità sociale: i prodotti devono soddisfare il codice di condotta WFSGI per porter essere contrassegnati con l’apposito simbolo, a garanzia della sostenibilità. Da segnalare che il blog del sito è più aggiornato della sezione Latest.
Giorgio Chiellini @chiellini Grazie a tutti i miei tifosi e persone care che mi hanno donato un pensiero di conforto, e grazie ai tanti avversari che mi hanno piacevolmente sorpreso con attestati di stima ed affetto. E grazie al destino che mi ha regalato questa bella sfida che vivo davvero con tanto entusiasmo, certo che rimarrà il ricordo di un'altra sfida vinta!
internet
di Stefano Fontana
Calciatori in rete
Ronaldo vs Messi: la sfida continua www.cristianoronaldo.com l sito ufficiale di Cristiano Ronaldo è all’altezza del fuoriclasse che, di fatto, è attualmente la stella più brillante del firmamento calcistico mondiale. Cristiano Ronaldo dos Santos Aveiro, nato a Fun-
chal in Portogallo il 5 febbraio 1985, milita attualmente nelle fila della Juventus ed è capitano della Nazionale portoghese. Attaccante di straordinario talento e portentoso carisma, vanta doti tecniche ed atletiche tali da renderlo uno dei giocatori più forti di tutti i tempi. Il sito di Ronaldo si distingue per la
ghoulam faouzi @GhoulamFaouzi Lève toi avec détermination, couche toi avec Satisfaction (Alzati con determinazione, dormi con soddisfazione).
veste grafica raffinata ed elegante. I contenuti sono fruibili esclusivamente in lingua inglese, scelta condivisibile dato il vastissimo panorama di fan di Ronaldo sparsi in ogni angolo del globo. Basti pensare che CR7 vanta oltre 182 milioni di follower su Instagram! Tra le varie sezioni del sito troviamo 18/19 Highlights, pagina dedicata alle migliori giocate dell’ultima stagione sia con la maglia della Juve che con quella della Nazionale, attraverso una serie di video a dir poco emozionanti. La pagina denominata #playitcool contiene solo un simpatico video atto a promuovere la nuova eau de fragrance firmata da Cristiano. Fini promozionali anche per la sezione successiva, semplice redirect al sito ufficiale della linea di intimo maschile “CR7 underwear”. Troviamo poi spazio dedicato a sponsor, la possibilità di registrarsi ad una newsletter ed il link diretto a tutti i profili social ufficiali di Cristiano Ronaldo (Instagram, Facebook e Twitter).
Daniele Rugani @DanieleRugani Le vittorie sofferte sono sempre le più importanti
Eder citadin martins @Edercitadin7 La cosa più bella dell'amore è la libertà. L'amore non si compra, non si comanda, non fa eccezioni.
Koulibaly Kalidou @kkoulibaly Sport e vita sono anche dolore. L’importante è rialzarsi più forti: migliori.
R.Lukaku Bolingoli9 @RomeluLukaku Il calcio è un gioco amato da tutti e non dovremmo accettare alcuna forma di discriminazione che possa provocare vergogna nel nostro sport. Noi calciatori dobbiamo essere uniti e prendere una posizione, per far sì che il calcio resti un gioco pulito e divertente per tutti
www.messi.com Attaccante del Barcellona e della Nazionale argentina, Lionel Messi rientra a pieno titolo nell'Olimpo del calcio mondiale. Siamo di fronte ad un fantasista dal talento unico, ritenuto da molti giornalisti del settore (e semplici appassionati) uno dei bomber più forti di tutti i tempi. Caratterizzato da un'altezza contenuta in appena 170 cm, Messi
può contare sul baricentro basso ed una reattività e capacità di controllare il pallone a tratti sovrumani. Chiamato a confrontarsi spesso con difensori di stazza ben più imponente, il fenomeno argentino può contare su progressioni devastanti e su una magistrale capacità di dribbling. Mancino di nascita, Messi ha affinato attraverso anni di pratica ed allenamento specifico anche la precisione con il piede destro. Consultabile in inglese e spagnolo, il sito ufficiale di Lionel Messi è un'autentica miniera di informazioni e... di emozioni! Entrambe molto nutrite, le sezioni dedicate a foto e video vedono “la Pulce” protagonista dentro e fuori dal campo. La sezione “Goals 18/19” è perfetta per risollevare l'animo durante un momento di tristezza: uno dopo l'altro, possiamo ammirare tutte le reti realizzate da Messi nella stagione scorsa, uno spettacolo in grado di far svoltare anche la giornata più grigia. Infine, ampio spazio è dedicato anche alle interviste ed alla vastissima platea di tifosi che, da tutto il mondo, sostengono il fuoriclasse nato a Rosario nel 1987.
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io e il calcio
di Pino Lazzaro
Cristina Tartarone (squash)
La voglia di dare tutto aiuta a rendere Ha via via accumulato un bel po’ di ospiti questo nostro spazio. Il titolo “Io e il calcio” è stato sin dall’inizio volutamente un po’ fuorviante, di calcio infatti in genere si parla pochissimo, giusto magari se l’ospite di turno a suo tempo ci ha giocato, se magari fa il tifo per qualche squadra, andando pure allo stadio. In effetti è uno spazio questo in cui si vuole/vorrebbe raccontare qualcosa di altre discipline, di che tipo sono i “loro” campionati, settimane-tipo, preparazioni eccetera. Per questo numero (ed è in genere questa la strada che scegliamo) abbiamo così bussato alla porta della Federazione Italiana Giuoco Squash, chiedendo dunque a chi se ne intende e le cose le sa, quale atleta poter ospitare sul Calciatore. L’indicazione che ci è arrivata è stata così per Cristina, vera e propria speranza del movimento dello squash di casa nostra. Tra l’altro, la prima rappresentante femminile a entrare nella lista degli ospiti de “Io e il calcio”. Benvenuta “Lo squash l’ho incontrato la prima volta a scuola, facevo la prima media. Quel giorno è venuto da noi quello che poi è diventato ed è il mio allenatore, Salvatore Speranza. La sua visita alla scuola faceva parte di un progetto sportivo e lui quel giorno lì nella palestra montò un campo gonfiabile in miniatura, ci fu un torneo tra le classi. Da parte mia già avevo avuto modo di provare col tennis, qualcosa sapevo e
lo sport mi aiuta anche per l’organizzazione del mio tempo, riuscendo a sfruttare il tempo libero che ho. Sì, a scuola mi danno una mano: non contano per esempio le assenze quando sono lontana per dei tornei e sono pure attenti per quel che riguarda i compiti e la programmazione delle interrogazioni”.
“Ora come ora mi alleno 6 giorni su sette e di questi uno è dedicato alla corsa. Un solo allenamento al giorno, perché Il sogno nel cassetto è quello ho la scuola al mattino. di poter disputare le Olimpiadi Minimo sto lì sul campo un’ora e mezza alla subito m’è piaciuto di più, tutto così volta e per la preparazione fisica, molto immediato e veloce. In più l’ho visto dipende dal momento della stagione; in proprio come sport individuale, là dove lo devi proprio tirar fuori il carattere. Ho cominciato così che avevo 11 anni, una volta la settimana ed è stata insomma una cosa automatica tesserarmi con la società lì di Rende, lo Squash Rende si chiama, è appunto Speranza l’allenatore. Poco lontano da casa, pochi minuti in macchina, sempre mamma o papà a portarmi; loro che mi hanno intanto sempre incentivato a fare sport, mio padre a suo tempo è stato un nuotatore; ora loro mi seguono dappertutto, si sono appassionati e vengono pure nelle trasferte più lontane”. “Faccio il Liceo Classico, sono al quarto anno e devo dire che me la cavo bene, non faccio fatica. Conciliare le due cose non è poi facile, ma vedo che
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estate molti lavori più cardio e in prossimità dei tornei lavori più intensi, con salti e scatti. A tutto questo aggiungo lavori addominali, propriocettivi e pure la piscina. Con la scuola esco alle 13.10 ed è proprio a scuola che pranzo, altrimenti non potrei poi andarmi subito ad allenare. Così mi metto a studiare qualcosa prima di andare all’allenamento; me ne torno a casa verso le 17.30 e lì
io e il calcio
La scheda Classe 2001, calabrese di Rende, Cristina Tartarone è stata tra i primi atleti olimpici dello squash mondiale, partecipando lo scorso anno alle Olimpiadi giovanili a Buenos Aires, dove la disciplina è entrata, per la prima volta, quale sport dimostrativo (nonostante l’ottimismo che a più riprese l’ambiente aveva respirato, come potrete leggere nel suo racconto le speranze di una partecipazione ufficiale dello squash a livello di Giochi Olimpici sono state deluse: niente da fare né per Tokio 2020, né per Parigi 2024). Atleta della nostra Nazionale, al suo attivo ha i titoli italiani di U15 (due volte), U17 e U19 (quest’anno) ed è stata la vice campionessa assoluta nel 2018. Con lo Squash Scorpion di Rende partecipa al Campionato Italiano Assoluto a Squadre (sono attualmente primi in classifica).
non riesco a mettermi subito sui libri, così aspetto dopo la cena. Sacrifici sento che ne faccio, sì, ma li faccio volentieri: la compagnia degli amici esce tutti i giorni, io invece vado con loro una-due volte la settimana e approfitto nei week-end in cui sono più libera. Di tornei ne faccio due-tre al mese, tornei che durano tutto il fine settimana e visto che a volte sono pure lontani, partiamo già il giovedì. La stagione dura praticamente tutto l’anno ed è agosto in genere il mese in cui ce ne sono meno di tornei”. “Diciamo che quando mi dedico allo squash sono molto “seria”. Penso capiti a tutti quelli che fanno sport di sentire più la fatica, di far così pure più fatica per andarsi ad allenare, però ogni volta che sono sul campo do il 100%, altrimenti sarebbe come imbrogliare me stessa, oltre che tempo sprecato. Durante i tornei ancora non riesco a viverli benissimo, sono parecchio agitata, anche se poi l’adrenalina e la voglia di dare tutto ti aiutano a rendere”. “Per il 2019 non ho obiettivi particolari, l’unico scopo che ho è quello di fare
bene nei tornei, anche se non è facile ripetersi torneo dopo torneo. Il sogno nel cassetto, davvero un sogno, è quello di poter disputare le Olimpiadi, di esserci anch’io. Speravamo come squash di avere delle possibilità per Tokio 2020, ma alla fine hanno scelto karate, arrampicata sportiva, surf e skateboard, saranno così loro a far parte per la prima volta dei Giochi Olimpici. Si sperava allora in Parigi 2024 ma hanno infine scelto la breakdance e allora non so, magari per il 2028 (a Los Angeles; ndr). È proprio un sogno, ancor più perché non dipende da me… però l’età migliore per lo squash è sui 26-27 anni, vedo che arrivano a smettere sui 36-37, è sì uno sport logorante ma tempo davanti ne ho”. “No, il calcio lo seguo proprio poco e pure poco da dire ho sul fatto che di calcio sono pieni i giornali, mentre di squash non c’è mai nulla. Magari un po’ antipatica sta cosa lo è, però come faccio a non pensare alla storia che qui da noi ha il calcio? Ancor più poi perché non è certo un grande movimento il nostro… comunque sia, pubblicati o no sui giornali, i risultati comunque ci sono e restano”.
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tempo libero
Sting
My songs Come fare un “greatest hits” senza fare un “greatest hits”, come rielaborare 18 vecchi brani senza stravolgerli, come rendere assolutamente attuali canzoni di almeno 30 anni fa: il nuovo lavoro di Sting è un progetto tanto ambizioso quanto ben riuscito, un album che pur ripercorrendo un lungo repertorio, sembra essere nuovo di zecca. “My songs” contiene 19 tracce, di cui 14 rieditate in nuove versioni di studio, e 5 dal vivo, con “Fragile” presente due volte; 10 sono dei Police e 9 della sua carriera da solista, alcune reincise completamente, altre sono le versioni originali
rivisitate con nuovi suoni e con nuove parti vocali. Ma niente è stato stravolto: in un meticoloso lavoro di ricostruzione e ristrutturazione, Sting riesce a dare quel soffio di contemporaneità a brani storici come “Walking On The Moon” (1979), “Every breath you take” (1983) o “If You Love Somebody Set Them Free” (1985). In ogni canzone c'è una maggiore enfasi sulla sezione ritmica: in generale la batteria è più “sentita” e il basso più evidente, più di un remix o una rivisitazione, diciamo un “aggiornamento” senza però tradire l’originale.
Neri Pozza
Elogio della finta di Oliver Guez – 112 pagine - € 12,00 Manoel Francisco dos Santos, detto Garrincha (lo scricciolo), era alto un metro e sessantanove, la stessa altezza di Messi. Grazie a lui il Brasile divenne campione del mondo nel 1958 e nel 1962, e il Botafogo, il suo club, regnò a lungo sul campionato carioca. Con la sua faccia da galeotto, le spalle da lottatore e le gambe sbilenche come due virgole storte, è passato alla storia come il dribblatore pazzo, il più geniale e il più improbabile che abbia calcato i campi di calcio. «Come un compositore toccato da una melodia piovuta dal cielo» (Paulo Mendes Campos), Garrincha elevò l’arte della finta
a essenza stessa del gioco del calcio. Il futebol divenne con lui un gioco ispirato e magico, fatto di astuzia e simulazione, un gioco di prestigio senza fatica e sofferenza, creato soltanto per l’Alegria do Povo, la gioia del popolo. Dio primitivo, divise la scena del grande Brasile con Pelé, il suo alter-ego, il re disciplinato, ascetico e professionale. Garrincha resta, tuttavia, il vero padre putativo dei grandi artisti del calcio brasiliano: Julinho, Botelho, Rivelino, Jairzinho, Zico, Ronaldo, Ronaldinho, Denílson, Robinho, Neymar, i portatori di un’estetica irripetibile: il dribbling carioca.
Marsilio
Storia reazionaria del calcio di Massimo Fini e Giancarlo Padovan – 264 pagine - € 17,00 Il calcio, come la musica, come le arti in genere, è uno specchio, e non dei più marginali, della società, dei suoi cambiamenti, delle sue trasformazioni, della sua evoluzione o involuzione. Massimo Fini e Giancarlo Padovan lo affrontano da questo particolare punto di vista. C’è un’enorme differenza fra come si inten-
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deva il calcio, sia in senso tecnico che, soprattutto, sociale, nei più semplici e naïf anni Sessanta e come lo si vive oggi che sul campo hanno fatto irruzione l’Economia e la Tecnologia (televisione, moviola, Var), le divinità dominanti della nostra società a cui tutto, a cominciare dall’uomo, viene dato in sacrificio.
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Ritiro precampionato AIC a Coverciano per "senza contratto"
Un nuovo inizio 6_