Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – 70% NE/PD –Anno 48 –N. 07 Novembre 2020 –Mensile
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Organo mensile dell’Associazione Italiana Calciatori
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Lorenzo De Silvestri difensore del Bologna
Il mio calcio senza etichette
© UNICEFUNI122942Dicko
Un giorno unico, da ricordare insieme.
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di Umberto Calcagno
editoriale
SE TUTTO VALE In campagna elettorale tutto vale. Sarà pur vero, ma a una settimana dalla nostra assemblea elettiva non sono rassegnato a quest’idea che non mi appartiene. TUTTO VALE, anche raccontare che non ci sono più i soldi del TFR dei calciatori perché il Fondo di Fine Carriera sarebbe stato mal amministrato in questi anni. Il Fondo è un’associazione della quale fanno parte tutte le componenti del sistema federale, dove calciatori e allenatori hanno la maggioranza all’interno del Consiglio di Amministrazione; ha sempre chiuso il bilancio in positivo utilizzando gli utili per riconoscere gli interessi sulle somme maturate, anche nell’attuale momento storico con tassi di mercato addirittura negativi. Gli investimenti effettuati, valutati ad oggi, sono più che sufficienti a coprire tutti gli importi sia per quanto riguarda i contributi, sia per le rivalutazioni e i benefici agli stessi riconosciuti; a ciò deve aggiungersi anche la liquidità corrente. Il Fondo controlla al 100% la società Sport Invest 2000 SpA. Anche il Consiglio di Amministrazione di questa società è espressione delle componenti tecniche e costituisce la parte immobiliare di investimento del Fondo. Il valore degli immobili di proprietà della Sport Invest 2000 SpA è superiore all’investimento fatto dal Fondo. Negli ultimi anni, inoltre, si è attivato un processo di ristrutturazione di alcuni degli immobili di proprietà che, se da un lato ha generato nell’immediato minori incassi per affitti rispetto al passato, dall’altro
ha aumentato il valore economico dei cespiti e la loro appetibilità sul mercato. Non a caso la recente vendita dell’immobile di Via Gregorio VII a Roma, porterà una plusvalenza (cioè una differenza positiva tra il costo di acquisto e il ricavo di vendita) di circa € 800.000,00. TUTTO VALE, anche raccontare dei costi sostenuti in questi anni da AIC e AIC Service senza una corrispondenza ai ricavi, con la mera volontà di creare dubbi sulla corretta e proficua gestione della nostra Associazione. Chi non ha mai lavorato in AIC non sa - o si dimentica di dire - che negli ultimi 9 anni, grazie a un aumento dei ricavi e a una gestione oculata dei costi, abbiamo capitalizzato risorse, incrementando dell’80% il Patrimonio Netto complessivo di AIC e AIC Service, pur riuscendo a garantire contributi pari a 6 milioni di Euro al Fondo di Solidarietà, ampliando i nostri servizi (Formazione e WY ad esempio) e l’attività sindacale a tutti i livelli. TUTTO VALE, anche raccontare di spese legali ammontanti nel 2019 a poco meno di 1 milione di Euro, lasciando intendere che vadano a rimpinguare le tasche di pochi eletti, anche non sapendo o dimenticandosi di dire che in tali importi sono ricompresi costi come l’IVA al 22% indetraibile e i contributi previdenziali (per un totale di circa 150mila euro) e che questa somma copre l’intervento di ben 28 tra i migliori professionisti italiani nelle diverse materie di nostra competenza. Consulti e pareri che indirizzano correttamente tutta la nostra attività sindacale e, soprattutto, il supporto legale svolto gratuitamente agli associati del mondo dilettantistico e professionistico. Con un particolare non trascurabile: le somme recuperate dai nostri legali nell’ultimo quadriennio ammontano a una cifra totale non inferiore a 16 milioni di Euro, il segno tangibile e la legittimazione di quanto di buono è stato fatto nell’attività di assistenza dei calciatori e delle calciatrici. In campagna elettorale tutto vale, ma al momento del voto vale la storia di un gruppo di persone composto soprattutto da calciatori e calciatrici, ex o in attività, che hanno lavorato e si impegneranno anche in futuro nell’esclusivo interesse della categoria.
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AIC Onlus la ONLUS dell’Associazione Italiana Calciatori
Dona il tuo 5 x mille ad A.I.C. O.N.L.U.S. Basta una semplice scelta nella tua dichiarazione dei redditi per aiutare calciatori, ex calciatori e loro familiari in difficoltà economica, finanziare progetti sociali e tutta l’attività benefica da sempre svolta dall’Associazione Italiana Calciatori. È sufficiente riportare questo codice fiscale
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Criteri di assegnazione dei contributi erogabili da Aic Onlus La Onlus può erogare contributi a sostegno di: richieste che abbiano come obiettivo un beneficio per soggetto richiedente o per il proprio nucleo familiare avanzate da un ex calciatore o calciatore professionista; richieste che abbiano come obiettivo un beneficio per soggetto richiedente o per il proprio nucleo familiare avanzate da un ex calciatore o calciatore dilettante, purché tesserato Aic; progetti di interesse calcistico, che saranno valutati dal Consiglio della Onlus.
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sommario Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – 70% NE/PD –Anno 48 –N. 07 Novembre 2020 –Mensile
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Organo mensile dell’Associazione Italiana Calciatori
V
2020
Lorenzo De Silvestri difensore del Bologna
Il mio calcio senza etichette
l’intervista 6 di Pino Lazzaro
Incontro con Lorenzo De Silvestri, difensore del Bologna che si racconta in una lunga intervista ripercorrendo tutta la carriera, dalla Romulea alla Lazio, per arrivare a Bologna dopo aver indossato le maglie di Fiorentina, Sampdoria e Torino.
Organo mensile dell’Associazione Italiana Calciatori
direttore direttore responsabile condirettore redazione
foto redazione e amministrazione tel. fax http: e-mail: stampa e impaginazione REG.TRIB.VI
Sergio Campana Gianni Grazioli Nicola Bosio Pino Lazzaro Stefano Sartori Stefano Fontana Tommaso Franco Diego Guido Mario Dall’Angelo Claudio Sottile Fabio Appetiti Maurizio Borsari A.I.C. Service Contrà delle Grazie, 10 36100 Vicenza 0444 233233 0444 233250 www.assocalciatori.it info@assocalciatori.it Tipolitografia Campisi Srl Arcugnano (VI) N.289 del 15-11-1972
editoriale
di Umberto Calcagno
serie B di Claudio Sottile
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lega pro di Vanni Zagnoli
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amarcord di Pino Lazzaro
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amarcord di Vanni Zagnoli
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scatti
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scatti di Stefano Ferrio
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regole del gioco di Pierpaolo Romani
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femminile di Pino lazzaro
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calcio e legge di Stefano Sartori
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politicalcio di Fabio Appetiti
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secondo tempo di Claudio Sottile
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io e il calcio di Pino Lazzaro Antonio Esposito
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tempo libero
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Alberto Gerbo, centrocampista dell’Ascoli Antonio Palma, neolaureato in Giurisprudenza La partita che non dimentico Ho visto Maradona di Maurizio Borsari
Tre foto tre storie
La drammatica storia di Doudou Faye
Alice Pignagnoli e Alessia Tuttino Un caso di fuori rosa alla DRC e al CAS
Andrea Rossi
Luciano Dondo Questo periodico è iscritto all’USPI Unione Stampa Periodica Italiana
Finito di stampare il 25/11/2020
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l’intervista
di Pino Lazzaro
Lorenzo De Silvestri, difensore del Bologna
Il mio calcio senza etichette “Se penso agli inizi, devo per forza riandare a mio padre Roberto. È stato lui a passarmi l’amore per lo sport, a instradarmi e lo stesso ha fatto con mia sorella Martina. Lui abruzzese, m’ha portato a fare lo sci da fondo, ho fatto gare sin da piccolo e nel periodo della scuola lì a Roma facevo altro, ginnastica artistica. Con lo sci da fondo sono arrivato pure a vincere il Trofeo Topolino, uno dei più importanti, avevo 11 anni e lì in Val di Fiemme, c’è pure il mio nome su quella statua
a scuola, durante le pause, ci giocavo con i miei compagni e piano piano il calcio ha cominciato a piacermi sempre più, insistevo con mia madre Angela che convincesse papà e tanto ha voluto dire poi pure l’intervento di mio nonno Dino”.
“Dai e dai un po’ così mio padre si sciolse: lasciai la ginnastica artistica e pur se a malincuore – ero forte – lasciai pure lo sci da fondo. Lui però a dirmi: tre volte la settimana fai calcio e tre volte “È pur vero però che io il calcio non l’ho mai fai atletica. E così sentito come un mestiere. È una passione che mi andò, tre allenamenoccupa una mezza giornata, una passione/lavoro, ti con la Romulea diciamo passione lavorativa. Sento mia madre, per il calcio e tre per lei che dice che deve andare al lavoro, io invece l’atletica alle Terme che dico che vado al campo, vado ad allenarmi, di Caracalla. Fu un vado a giocare. Non lo vivo come lo vivono i miei, anno quello in cui mi ritrovai a crescere anche se lavoro lo è”. di quasi 10 cm, mi si che ricorda tutti i vincitori. Mio padre stava forgiando il fisico, soprattutto verso il calcio aveva delle riserve, non per quello credo mi abbiano preso alla lo riteneva poi molto adatto per una Romulea, fisicamente ero insomma buona crescita psicofisica, però io lì più avanti degli altri. M’hanno messo difensore centrale, andavo bene, anche se mi mancavano le basi tecniche, non avevo fatto nessuna scuola calcio, per me il pallone era solo quello che capitava di giocare, lì con i miei amici, con le felpe a terra a fare i pali delle porte. Passarono due anni, feci un provino con la Lazio, mi presero, Giovanissimi Nazionali”. “I miei lavoravano, entrambi dentisti, mio padre in uno studio, mia madre all’ospedale. Si facevano in quattro, fin che hanno potuto mi hanno accompagnato, è stato più avanti che mi arrangiavo con un po’ di metro e di bus. Tanto ha comunque voluto dire mio nonno, ho proprio un ricordo speciale di lui, peccato non mi abbia visto arrivare in A: gli devo molto, forse è stato proprio lui più di tutti a convincere mio padre, era lui il mio primo tifoso”.
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“Giocavo così a calcio, ero orgoglioso nei confronti di mio padre e tutto per me è andato poi proprio veloce sino alla prima squadra. Ricordo come i miei all’inizio avessero pensato a una scuola inglese, imparare un’altra lingua ci sarebbe certo servito (lo stesso per mia sorella), poi la scelta è caduClasse 1988, di Roma, Lorenzo De Silvestri dopo gli inizi con la Romulea è entrato nel settore giovanile della Lazio, esordendo in prima squadra, nell’Intertoto, a 17 anni e in campionato a 18 anni, esattamente il 22 aprile del 2007 (Lazio-Fiorentina). Vincitore della Coppa Italia 2008-2009 con la Lazio, ha via via poi giocato con Fiorentina, Sampdoria e Torino, passando infine la scorsa estate al Bologna (una curiosità: dovunque ha giocato, ha sempre avuto modo – prima o dopo – di avere Mihajlovic come “mister”). Con presenze in tutte le Nazionali giovanili, partecipando pure all’Olimpiade 2008 in Cina, l’esordio nella Nazionale maggiore l’ha fatto nel settembre del 2010, a 22 anni, contro le Isole Far Øer (vedi A filo d’erba) e sono complessivamente sei le sue presenze. Poliglotta (parla correntemente tedesco, inglese e francese; elementari medie e sino alla seconda liceo in una scuola tedesca di Roma, per poi passare a un Liceo linguistico), ha dalla sua pure una laurea triennale in Economia Aziendale.
l’intervista
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l’intervista
A filo d’erba
Mi ritorni in mente “Ne ho più di una di partite che non dimentico, penso all’esordio in serie A, Lazio-Fiorentina o la vittoria della Coppa Italia nel 2009 o, ancora, alla prima partita con la Nazionale, Italia-Far Øer. Ricordo che ero seduto sul divano, c’erano i miei genitori con me ed è arrivata la notizia della convocazione da parte del segretario della Nazionale,
quell’abbraccio forte con la mia famiglia, c’era pure mia sorella Martina. A Firenze feci venire allo stadio i miei amici più stretti, avevo 22 anni, orgoglioso di me stesso [siamo andati a sfogliare l’Almanacco Panini, era esattamente il 7 settembre 2010 e quella sera vincemmo per 5 a 0, c’era Prandelli quale commissario tecnico ed era una partita valida per le qualificazioni all’Europeo; questa la formazione azzurra: Viviano, De Silvestri, Bonucci, Chiellini, Antonelli, Montolivo, Pirlo, De Rossi (Palombo)i, Rossi G. (Quagliarella), Cassano, Gilardino (Pazzini)]. Quella invece che vorrei rigiocare ce l’ho subito bene in testa, è proprio facile: Bayern Monaco-Fiorentina 2 a 1, un ottavo di Champions, con quel loro secondo gol, era quasi finita, con Klose che era in fuorigioco clamoroso, l’arbitro era Ovrebo. Al ritorno poi vincemmo per 3 a 2 e fu così proprio quel gol a farci uscire; loro, il Bayern, arrivarono sino in finale e persero contro l’Inter, quella del ‘triplete’. Un gol che mi è proprio piaciuto è naturalmente il primo che ho fatto in campionato, la partita era Parma-Fiorentina, avevo già segnato sì quand’ero con la Lazio ma lì era
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Coppa Italia. Palla messa in mezzo da Jovetic, io che taglio dentro e la metto dentro di punta. Aggiungo che esultai come un pazzo, persino i miei compagni mi dissero che avevo esagerato… il più bello che ho fatto è stato però in un Torino-Empoli, di sinistro, che non è il mio piede, all’incrocio. Un cartellino rosso che non mi dimentico è quello che ho preso in un Fiorentina-Lazio, io ero con la Lazio, avevo 20 anni. Una doppia ammonizione, tutto nel primo tempo, primo giallo per un fallo, il secondo per aver tirato la maglia a uno di loro: dopo mezzora già avevo lasciato i miei compagni in dieci, ricordo che poi perdemmo per 1 a 0, ma proprio all’ultimo. Quanto mi sono sentito responsabile e quanto dispiacere. Pensando ad avversari che più mi hanno reso dura la vita potrei riandare a quella partita col Bayern, da una parte Ribery, dall’altra Robben, me li ricordo come due furie. Però quello che più è difficile marcare è Ibrahimovic, con lui tu salti di testa e lui arriva magari a stoppare di petto, destro e sinistro, rapido di piedi e difende benissimo la palla, è dura. Lo stadio dove più mi piace giocare? Beh, io sono innamorato di Roma e penso dunque prima di tutto all’Olimpico, è stato quello il mio primo teatro, grazie alla Lazio, la mia mamma calcistica. Penso ai miei primi derbies, in 70.000 allo stadio, io con i miei 19 anni. Ricordo qui che ho giocato anche al Bernabeu, quella volta mi tremavano davvero tanto le gambe, ma sono stato anche ad Anfield e pure San Siro è particolare, però se è pieno. Ecco, mi piacerebbe giocare a Wembley, non ci sono mai stato, così pieno di storia”.
ta su una scuola tedesca, poco lontana da casa. Lì ho fatto le elementari e le medie e ci sono rimasto sino alla seconda liceo. Col calcio non potevo starci più dietro, c’erano dei corsi obbligatori al pomeriggio. Sì, lì a scuola sapevano che giocavo a calcio, che ero nella Lazio, ma questo non ha poi voluto dire molto, quella loro rigidità non cambiava. Così sono passato in un liceo linguistico, per questo ora parlo bene l’inglese, il tedesco, il francese, un po’ più fatica faccio invece con lo spagnolo e anche questo mi aiuta col calcio, posso parlare con i compagni stranieri, anche farmi capire dagli arbitri quando capita… sono stati bravi i miei, ne hanno fatti di sacrifici per darci un futuro migliore”. “Ripensando agli anni che ho fatto nel settore giovanile della Lazio, posso dire che a livello educativo tutti, dai direttori agli allenatori, sono stati sempre attenti ai comportamenti, sulle regole da seguire legate ai valori dello sport, quelle regole – assieme alla disciplina e ai sacrifici da fare – che mi hanno in fondo insegnato a vivere, il buono da fare e il non buono da non fare. Per quel che riguarda invece l’aspetto scolastico, lì arrivavano invece solo sino a un certo punto, in effetti avrebbero potuto essere più presenti e anche più rigidi, ma mi rendo conto che non era facile, quanti ce n’erano
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di genitori che spingevano e spingevano, era il calcio a venire prima dello studio. Io di mio posso dire che con il calcio e grazie al calcio sono riuscito a non superare mai un certo limite, m’ha fatto starci dentro, un modo questo anche per rispettare quel che andavo facendo”. “Sì, era fare il calciatore il mio sogno. Io che mi mettevo lì a disegnare la porta, io che calciavo, lo stadio pieno. Io che immaginavo di firmare un autografo e c’era sempre di fondo questa sorta di “sfida” con mio padre, chissà poi cosa avrei fatto se non mi avesse fatto fare sport, penso allo sci da fondo, a quanto possa essere pure massacrante. Dentro però mi sono sempre sentito un calciatore ed è stato a 19 anni, già avevo giocato un mezzo campionato in A, che ho capito/sentito che poteva essere proprio la mia strada. Già un primo contratto l’avevo firmato a 17 anni, era al minimo, ma quello che poi ho firmato che ne avevo 19 mi ha fatto sentire davvero un professionista, lì insomma ho visto di più”. “Di mio penso d’averci messo soprattutto la caparbietà, tanta caparbietà. Dapprima sto confronto con mio padre e poi sta storia che non venivo dalla strada, famiglia agiata, fin troppo educato, io che volevo dimostrare che non per forza bisognava essere così.
Io quella fame in più comunque ce l’ascemassero, non fossero tali. Un’altra vevo, anche se i miei non stavano lì a cosa che non mi piace del nostro amspingere e non mi dicevano certo di labiente è il fatto che si intromettono sciare la scuola. C’era poi sempre chi chissà quanti personaggi che cercano tirava fuori il discorso dei miei limiti di venderti qualsiasi cosa, proprio fatecnici, io che non avevo fatto nessucendo leva sulla nostra “ignoranza” in na scuola calcio: ecco allora la spinta tanti settori. Bisogna stare attenti, sono a lavorarci ancora di più, proprio delle dei veri e propri squali, sono per forza leve motivazionali che mi hanno spinimportanti le persone che hai attorno e to all’azione, ad agire e il tutto non è per forza di cose non si è preparati, è stato solo all’inizio ma anche dopo. Ripenso “Sai cos’è adesso per me il divertimento? È a quella solita frase, tutto quel viaggio, lo chiamo così, che fai per che magari ‘è facile arrivare alla partita. Che comincia in settimana, arrivare ma il difficile l’arrivare un’ora prima al campo per iniziare la è rimanere’… le moti- fase di riattivazione, le partitelle tra noi, un caffè vazioni le ho ancora, bevuto con i magazzinieri, stare con i compagni come no, sono ormai a e parlare di tutto. Un viaggio che so già che sarà una presenza dalle 350 quel che più mi mancherà quando smetterò”. partite in Serie A, un altro traguardo sì da festeggiare, ma un mondo in fondo capovolto il nostro, ecco che adesso l’obiettivo è quello di pensa solo al fatto che si va in pensione arrivare alle 400, tutte in Serie A…”. quando gli altri cominciano magari per davvero a lavorare. Altro lato della me“Quel che non mi piace di questo nodaglia sono poi gli accanimenti ora sui stro mondo sono le etichette che ci social, questi cosiddetti tifosi-haters mettono addosso, a noi calciatori inche si sfogano, tu che comunque un tendo. Magari a volte alcune possono personaggio pubblico lo sei”. anche essere vere, molte altre invece no. Certo, anch’io sono stato giovane, “Sì, anch’io all’inizio ero proprio ingeprivilegi, sui giornali, era figo, saltare nuo, tutti quelli che mi venivano vicino la fila al ristorante… ma sfido chiunpensavo fossero come degli amici, ma que, chiunque: chi non avrebbe fatto poi ho capito come stanno le cose, quain fondo lo stesso? A quell’età? Come li sono le vere amicizie, quelle più stretdetto, le etichette non mi sono mai piate. Che sono per me quelle storiche, di ciute e mi sono sempre battuto perché quando avevo 17-18 anni, gli amici che
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frequentavo da studente, anche all’università, con i loro problemi diversi dai miei, loro alle prese con dei problemi veri che mi hanno aiutato e mi aiutano a capire la realtà, quella che noi del calcio spesso possiamo dimenticare”.
“Certo che sono e mi sento un privile“All’inizio, da giovane, capitava che mi giato, come potrebbe essere altrimenti? tremassero le gambe lì prima di iniziaAncor più da calciatore, sul piano ecore, però poi, quando l’arbitro fischiava, nomico, dell’immagine eccetera. Quel sono sempre riuscito a lasciar stare, a che però mi dà fastidio è che tutto venconcentrami giusto sulla partita, penga visto facile, che basti dare due calci a “La prima volta allo stadio? All’Olimpico, ma per il un pallone ed è fatta. rugby, sempre mio padre di mezzo, Italia-Sudafrica, poi Invece no, non è così, da raccattapalle per le partite della Lazio. La raccolta dietro c’è comunque delle figurine la facevo, ricordo che attaccavo le doppie un lavoro incredibile sull’armadio nella mia cameretta, mia madre non da fare e da continua- era contenta, le tiravi via e qualcosa sempre un po’ si re a fare, con la consa- scrostava”. pevolezza che ci siamo comunque tolti qualcosa di una vita so siano in tanti a fare così. No, in quecosiddetta normale, pezzi di vita andati e sti anni a me non pare che il tifo sia posso pensare alla discoteca in cui i tuoi poi così cambiato, non ci sono tante amici andavano e tu no o le vacanze d’adifferenze, forse, ecco, ci sono meno gosto, che presto non ci sono più state. coreografie, forse per via che ci sono Non ho mai abusato comunque di quepiù controlli. Quello che invece è stasto mio privilegio, per fortuna di base c’è to proprio un grande cambiamento risoprattutto tanta passione, la stessa che guarda i social e i media, lì sì è molto purtroppo non sempre i miei amici sanno diverso da prima”. o possono mettere nei lavori che fanno”. “Sono consapevole che possiamo essere d’esempio, io questo cerco di farlo. Con tutte le telecamere che ci sono, adesso il Var, non so nemmeno più quanti arbitri, per forza i comportamenti sono migliorati, per forza. Tra l’altro ha poi cambiato il nostro ruolo di difensori; c’è sempre chi mi sottolinea come si marcava una volta, lì sull’uomo, che ci siamo persi qualcosa adesso, però bisogna ammettere che non puoi fare praticamente nulla, altro che contatto fisico. Con gli arbitri personalmente va molto bene, li rispetto e credo d’essere da loro rispettato. In fondo, si sa, loro sono “uno”… quel che mi piacerebbe è sentirli parlare, capire quali sono le loro emozioni, quel che provano, così da capirli di più. Di noi si sa tutto, di loro no: sapendo di più e conoscendoli di più, penso che si arriverebbe a rispettarli ancora di più”. “Sono un vero professionista, certo. Ancor più dopo l’infortunio al crociato nel 2015, con la Nazionale, un infortu-
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nio che mi ha fatto anche patire. Arrivo sempre prima al campo, mi riattivo per bene e cerco di stare attento a tutto, anche all’alimentazione. Il calcio in questi anni si è ancor più evoluto, i ritmi sono diversi, c’è una grandissima competizione e così a contare di più sono ora proprio i dettagli. Mangio pure cibi bio e del resto basta vedere adesso cos’è un buffet di una squadra di calcio, trovi di tutto, dal farro, alle bacche, la pasta al kamut, pesce e carne, tanto altro ancora”. “Quando perdiamo le partite è ancora un po’ dura, sono sì migliorato, ma faccio ancora fatica. Il fatto è che fare il calciatore è un qualcosa che io prendo in pieno, me le tira proprio fuori le emozioni e se vuoi può essere anche
nuovi linguaggi, sui social ci sono e mia carriera. Di obiettivi comunque poi, stringi stringi, le carriere in fondo ne ho ancora, non è ancora per me il sono tutte uguali, almeno per la stramomento di guardare indietro, è angrande maggioranza: cora davanti che guardo. Quello delle “Dovunque sono stato ci sono rimasto più stagioni, c’è l’ascesa, l’ostacolo, 400 partite te l’ho detto che è un traè una cosa questa di cui sono orgoglioso. Sempre la caduta ed è lì che si guardo, come poi diventare uno dei più m’hanno cercato, sempre ho poi giocato e dappertutto vedono e nascono le prolifici tra i difensori, ora sono a 20 di ho avuto modo di conoscere per bene le varie città, categorie, lì ci sono le gol: voglio farne ancora di più”. un qualcosa che considero un valore aggiunto della differenze. Anch’io ho mia vita. Sì, l’essere stato per anni in posti diversi la fatto lo stesso, anch’io “Al dopo ci penso, poco da fare, anche considero una delle parti belle del mio lavoro”. sono caduto ed è prose non è un’ossessione. Ho quella mia prio in quel momento laurea triennale, l’impegno con l’Asun pregio questo, non sono insomma che sono riuscito a farmi aiutare e socalciatori (come rappresentante di un menefreghista. No, le pagelle non consigliare”. squadra; ndr), sono testimonial Airc le guardo più; all’inizio sì ed è capitato per la ricerca sul cancro e c’è pure che ci sia stato anche male a leggerle, “Che consiglio mi sentirei di dare a l’impegno con l’onlus degli ‘Insuperaperò poi ho smesso, una tua idea te la un giovane? Soprattutto di essere rebili’. Sì, ci penso e ad oggi – sapendo fai, diventi tu arbitro di te stesso”. siliente, di avere la voglia di superare però che potrà anche cambiare – non gli ostacoli, di portare sempre con sé mi vedo come allenatore, mi vedo “In spogliatoio, quando è il momento, quel suo sogno. Per quel parlo con tutti, direi che sono insomche mi riguarda, se uno “Il mio riferimento è sempre stato Zambrotta, sì, lui. ma un chiacchierone, dai. Sfrutto le la vuole veramente una L’ho visto per la prima volta di persona a un evento lingue che conosco e anche così cerco cosa, ci arriva, quel tipo con la Nazionale, ho potuto così dirgli che era proprio di fare gruppo. Mi piace sempre andare di motivazioni sono quelle lui il mio idolo. Certo, il Mondiale del 2006 eccetera, a scoprire cosa c’è dietro al calciatore, che ti fanno fare davvero ma da lui mai una parola fuori posto, sempre così, in conoscere le storie, magari facendo qualcosa in più. Tenerse- campo e fuori”. così da collante. Ormai sono arrivato a lo stretto dunque il sogno una certa età, ancor più dico quel che insomma più da dirigente, giacca e e cercare di ascoltare chi è cresciuto penso, non mi piacciono quelli che se con te, genitori e amici, ma è chiaro cravatta. Così come sempre vedo i ne stanno zitti per comodo. Anche con miei amici quando escono per lavoro, che è un discorso molto soggettivo i giovani ho un buon rapporto e devo questo. Personalmente tanti obiettivi c’è quello che fa l’avvocato, l’altro il dire che ho trovato sempre persone li ho raggiunti e so naturalmente che broker, ora penso che farò come loro, che ascoltano. Cerco ora di capire i in giacca e cravatta”. sono ormai nella seconda fase della
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serie B
di Claudio Sottile
Neolaureato centrocampista dell’Ascoli
Con la maglia 110 (e lode)… Alberto Gerbo Il centrocampista dell’Ascoli Alberto Gerbo, lo scorso 3 novembre, è diventato dottore in “Scienze Motorie curriculum Calcio” (110/110 con lode), il corso di laurea triennale dell’Ateneo Uni San Raffaele, creato con la collaborazione dell’Associazione Italiana Calciatori. Alberto ha redatto una tesi in “CALCIO: regole, tecnica, storia e management”, dal titolo “Il concetto oltre il modulo. La rivoluzione filosofica nel calcio”, coadiuvato nelle vesti di relatore dal nostro Direttore Organizzativo Fabio Poli. “Ci ho messo qualche anno in più del dovuto, per conciliare lo studio agli impegni professionali. Tante volte dare gli esami o andare fisicamente in facoltà, con le partite ravvicinate, non era sempre possibile. I risultati alla fine mi hanno premiato, avevo una buona media, ma non immaginavo un voto così alto. Per la tesi ho scelto il calcio come argomento. Sono partito delle origini del calcio, quello inglese, per
arrivare all’attuale, passando per la rivoluzione filosofica e tattica, kick and run, dribbling game, passing game, la piramide di Cambridge, fino al Milan di Sacchi e al Barcellona di Guardiola, c’è anche Zdeněk Zeman. Ho concluso analizzando due esperienze personali, che rappresentano la parte più specifica dell’elaborato: il Foggia di Roberto De Zerbi, quando nel giugno 2016 perdemmo la finale playoff per andare in B, contro il Pisa di Gennaro Gattuso, e il Crotone di Giovanni Stroppa con cui ho raggiunto la Serie A pochi mesi fa. Con i miei due tecnici, ho vestito i panni dell’intervistatore”. Com’è stato imbracciare penna, taccuino e registratore? “Con i mister ho sempre avuto un rapporto certamente bello, ma professionale. Si sono però subito resi disponibili. Per quando mi riguarda sono due allenatori diversi dagli altri, mi hanno aperto la mente e permesso di vede-
Alberto Gerbo è nato a Valenza (AL) il 9 novembre 1989. Cresciuto nelle giovanili del Giaveno prima e dell’Inter poi, ha vestito in carriera le maglie di Ancona,Triestina, Gubbio, Latina, Foggia, Crotone e Ascoli.
re il calcio in maniera differente. Con loro c’è un rapporto speciale, ma intervistarli non è stato così semplice. Ho scritto le domande in autonomia, le ho inviate e mi hanno risposto con dei video, che poi ho pubblicato nel mio canale YouTube”. A parer tuo, cos’hanno di particolare? “Nella mia carriera ho avuto tanti allenatori, ma De Zerbi e Stroppa hanno qualcosa in più degli altri. Mi hanno fatto passare da un calcio basato un po’ sulla casualità a un calcio ragionato e pensato, che necessita di giocatori pensanti. Le dinamiche vengono processate con un criterio. Incontrare due
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serie B
allenatori del genere è una fortuna. Ti fanno vedere il calcio diversamente. Scendi in campo con una logica ben precisa, capisci davvero molto di più di quello che fai. A livello umano, e tecnico-tattico, hanno una marcia in più. Alcuni allenatori allenano la squadra puntando sugli episodi. Loro invece impostano il gioco fin dalla fase di costruzione, che è ben precisa, tutti sanno ciò che devono fare, l’obiettivo da raggiungere, è continua la ricerca della superiorità numerica. Ogni movimento che fai è ragionato, non random. De Zerbi si vedeva già dai tempi di Foggia che aveva un quid, e ora i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Stroppa ha un approccio più completo, meno geniale sotto certi punti di vista, ma offre un calcio bello e propositivo. Sono sicuro che anche lui, con una squadra all’altezza, potrà avere i risultati. Col Crotone, al momento, non stanno arrivando, ma non mancano mai le prestazioni”. In quanto tempo l’hai scritta? “Ho iniziato poco prima del lockdown, e ho terminato ai primi di ottobre, ho consegnato la tesi il 15 del mese. Ho iniziato documentandomi sulla storia del calcio, e ho scoperto aspetti interessanti, ad esempio che l’antenato di questo sport è da ricercare in Cina. Ho amato studiare le rivoluzioni tattiche, davvero stimolanti, e poi le due esperienze personali sono quelle che ho raccontato con maggior gusto e pia-
veniva in un incontro virtuale su Zoom, invece adesso è il relatore che ne parla con la commissione, non ho vissuto purtroppo l’adrenalina di quel momento. Ne approfitto per ringraziare Fabio Poli, che mi ha seguito costantemente, dandomi consigli preziosi”. Sei nel pieno della tua vita agonistica, ma un domani ti vedi come allenatore? “Per ora sto pensando a giocare. Se dovessi intraprendere quella carriera, di sicuro prenderei enorme spunto da loro, che hanno influenzato la mia crescita all’interno di questo sport”. Intanto, sotto con la magistrale? “Ci devo pensare, è stato un percorso lungo, vorrei riposarmi un po’. Non sarebbero tanti esami, vediamo. Non ci ho ancora pensato appieno. È stato bello, ma comunque la mia priorità era il campo, non ho ancora realizzato appieno di aver centrato questo obiettivo. Però ci terrei di consigliarlo ai miei colleghi calciatori, è un percorso fattibilissimo, è importante studiare e aprirsi qualche strada in più. Il periodo economico del nostro settore non è dei migliori, dove possibile è opportuno crearsi delle alternative”.
Hai le idee chiare. “La laurea potrà tornarmi utile sotto tanti punti di vista. Per un atleta sostenere un esame di traumatologia, anatomia o fisiologia è importante, capisci come lavorano i mu“Ho avuto tanti allenatori, ma De scoli, cosa devi fare A inizio carrieZerbi e Stroppa hanno qualcosa orano. ho subito tanti infortuni, avessi avuto in più degli altri” queste conoscenze cere. Mi prendeva così tanto mettere magari qualcuno me lo sarei gestito le mani in pasta che magari scrivevo meglio. Dopo la carriera, inoltre, può tutto il giorno. Ho avuto il Covid per un servirmi per avere un punteggio più mese, dal 26 agosto al 26 settembre, e alto nella graduatoria per il corso a ho sfruttato il tempo di clausura per Coverciano da allenatore professionimettermi sotto con la scrittura. Agli sta. In ultimo, posso sempre pensare inizi della pandemia la discussione avdi fare il preparatore atletico”.
Come hai festeggiato? “Con la pandemia non ci si può inventare chissà che, ma un brindisi con la fidanzata non potevo non concedermelo. Non erano a conoscenza in molti di questa mia attività. Ho ricevuto tanti complimenti e auguri dai ragazzi che erano a Crotone con me nella stagione passata. Anche i due mister intervistati mi hanno cercato per congratularsi, anche se comunque ci eravamo sentiti parecchio nelle settimane precedenti per via del materiale da organizzare”. Dediche particolari? “Ai miei genitori, che mi hanno sempre sostenuto, e ci tenevano particolarmente che portassi a termine. I ringraziamenti finali invece a De Zerbi e Stroppa, che mi hanno permesso tutto questo, e al Professore che mi ha seguito nel cammino”.
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lega pro
di Vanni Zagnoli
Antonio Palma, neolaureto in Giurisprudenza
La straordinaria bellezza di essere umili Questa non è un’intervista, è una rivalutazione, di una categoria, è un dare un calcio ai luoghi comuni, allo stereotipo del pensiero dominante che vede il calciatore pensare con i piedi. No, falso, non sempre, anzi ne abbiamo assaporati, avvicinati, interpretati tanti, in 30 anni di professione. Nello scorso numero abbiamo raccontato la scelta singolare di Alessandro Spanò, di studiare e poi lavorare, di lasciare il calcio per una business school, un business e una scelta di uscire dal campo a 26 anni che non abbiamo capito, forse proprio perché non abbiamo mai, orgogliosamente, messo piede in università. Le borse di studio, i viaggi di lavoro, di un lavoro che, onestamente, fatichiamo a comprendere. Comprendiamo, invece, benissimo, la mentalità di un “calciatore medio qualsiasi”, di un calciatore che per orientarsi legge “Il Calciatore”, ovvero questo mensile che non va in edicola né in tv, che non fa audience sugli addominali o sui corpi, che a Natale non vende un calendario di una soubrette nuda e tantomeno fa spogliare sportive. Dunque avviene che contorniamo il racconto di Spanò, dell’intervista,
Palma no, Palma è laureato in Giurisprudenza. Qui non raccontiamo tanto la sua storia, l’abbiamo interrogato per un’ora, anche in video, ma volutamente non riascoltiamo, non mettiamo i nomi della fidanzata e dei genitori, la mamma è avvocatessa, Antonio non è detto che ne seguirà le orme. Antonio Palma è il giocatore medio dei sogni, un giocatore medio, che forse non diventerà un campione, ha 26 anni, è tardi, è stato avversario di Spanò. Palma non si lega alla schiera di sbruffoni che fanno bella mostra dei propri corpi, di sportive che sono finite su Playboy. “E in fondo” - racconta – “sono alto e 71 e non ho la fisicità prepotente di una stella straniera o anche italiana, sono molto normale”. Di una normalità straordinaria, di una straordinaria umiltà, sensibilità, pazienza. Palma è la dimostrazione che la base del calcio italiano è buona e può prescindere dal risultato sportivo. Palma gioca in Serie C, al Piacenza, nel caro, vecchio Piace. Non ha studiato la storia del Piace, era appena nato quando la squadra di Gigi Cagni stupiva l’Italia, promossa in Serie A per la prima volta nella sua “Sappiamo di essere dei storia e con una rosa autarchica, senza campioni privilegiati, perché a calcio né bidoni forestieri, avrebsi giocherebbe anche gratis” be strameritato la salvezza. Andata alla Reggiana, con gli altri laureati. Tanti, non tutti, per quel gol di Esposito al Milan, a magari Antonio Palma è saltato, abSan Siro, sul campo dei campioni biamo controllato male, ma poi chissà d’Europa e d’Italia e poi del mondo. La quanti ne abbiamo dimenticati. Reggiana si salvò per la parata di TafAntonio gioca nel Piacenza, ci trova farel, per la sua mano di Dio, un Dio su instagram e ci fa notare di essere che lo fece opporre al tiro di Massaro laureato. Fa piacere. Essere letti, conche avrebbe portato il Piace, il caro, siderati, cercati, non solo evitati. vecchio Piace, allo spareggio con la Antonio non è laureato in scienze moReggiana. torie, una laurea che per uno sportiPoi la Reggiana retrocedette l’anno vo al top o anche ex è normale, quasi successivo, male, come tre stagioroutine. Ogni calciatore professionista ni più tardi, da cenerentola. Mentre con la testa sulle spalle potrebbe meriil caro, vecchio, Piace tutto italiano tarla ad honorem. avrebbe disputato 8 campionati, in
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totale, in Serie A, utilizzando pochi stranieri solo nelle ultime stagioni. Ecco, Palma questo lo imparerà adesso, capirà cosa vuol dire il Piace per i piasintèin, detto in dialetto. La magia di quel biancorosso. “Ma già sapevo, del blasone”. I calciatori sono andati al voto, mentre scriviamo non sappiamo chi sarà il nuovo presidente, sappiamo di certo che tanti sono a posto, non solo perché hanno figli e famiglia, perché danno il massimo in campo e magari fuori, ma è gente di cultura, che legge, che studia.
lega pro
LA SCHEDA
“Cerchiamo di fare bene qualsiasi cosa”. Palma non abusa dei social. “Mi stacco dal telefonino, come tutti, in spogliatoio, non amo mettere la mia vita in piazza, neanche la mia fidanzata ostenta”. Ecco, abbiamo visto presidenti e vice con fuoriserie, Stoickhov insultarci per avere stigmatizzato, senza registrato, la sua auto targata San Marino, quando venne nel Parma, abbiamo ascoltato truffatori, falliti, procuratori poi condannati, mediatori radiati e poi riabilitati, ascoltato grandi e piccoli allenatori, grandi e piccoli uomini, in maggioranza i calciatori sono grandi uomini. Antonio Palma è quel che ogni genitore vorrebbe, una persona seria, che sogna la Serie A e che gioca con noi. “Sono un regista, alla Pirlo. Ma disputassi una partita nella Juve, oggi, si vedrebbe subito la differenza di passo, di capacità fisica, di abitudine alla pressione. Sì, potrei entrare giusto negli ultimi minuti per difendere il risultato, per gestire palla, smistarla, sacrificarmi”. Applicazione è la parola chiave dei tanti Palma di cui è popolato il pallone. Quello vero, che abbiamo raccontato su stampa vera, che racconta la vita vera, magari cattolica, magari di destra, di sinistra o di centro, ma intellettualmente onesta. Come il calciatore medio. “Da distinguere rispetto al campione che va in copertina”. E in fondo c’è campione e campione. La sensazione è che dove non girano camionate di soldi ci sia uno sport vero, una pulizia intellettuale, un’onestà senza pari. Antonio Palma, di padre napoletano, abita nel Monzese, fa avanti e indietro, Covid permettendo, da Piacenza. Antonio difficilmente arriverà in Europa, ma si gioca la sua Europa, come tanti, ogni giorno. Dando il massimo in allenamento e in partita, pensan-
do anche al dopo calcio. “Per creare un’alternativa, perché mica è detto che camperò sempre di sport”. Antonio Palma è uno. Ma uno dei tanti. Soprattutto, fra le riserve, fra i secondi e i terzi portieri, fra i quarti, quinti e sesti difensori centrali in rosa, fra gli esterni in panchina non trovate tanto. “No, nello spogliatoio la superficialità è bandita”. Siamo, sono seri, per favore. Prima di tutto nei confronti di se stessi. “Certo so, sappiamo di essere privilegiati, di non lavorare, perché a calcio si giocherebbe anche gratis”. Ecco, uno che pensa bene, che parla a filo, uno da campionato europeo, almeno di pensiero. E non è una finta, non è per finta, non fa solo per assecondare il nostro pensiero. A Piacenza c’è uno che ricorda Sergio Porrini. Ricordate? La Juve era sul tetto d’Europa, nel ’96, con Vialli e lui un giorno ai giornalisti disse: “Andate da Porrini, ha tante cose più interessanti di me, da dire”. “Ricordo quella frase” - ci confermò l’ex difensore anche dell’Atalanta, dove fu vice di Reja, per esempio – “mi fece piacere”. Nel calcio c’è di ogni, la parte migliore spesso sono i calciatori, non tanti chi ci orbita attorno. Salvo eccezioni, ovviamente. Grazie, Antonio Palma, il piacere è stato tutto nostro. Magari ci iscriveremo all’università anche noi. Ma in questi 30 anni siamo andati all’università dello sport, curiosando nelle varie discipline, dentro persino spogliatoi vuoti, di nascosto. Perché le emozioni dello sport danno alla testa. Specialmente quelle degli Antoni Palma della Serie B, meglio C. Dalla serie C in giù, ecco, ci sono i calciatori più veri. Che meritano la nostra attenzione. Che non vivono per strappare il contratto migliore. “In spogliatoio non ci si confronta sui soldi presi, si pensa a migliorare”. Chapeau.
Antonio Palma è nato a Monza il 3 gennaio 1994. Cresciuto nel settore giovanile dell’Atalanta ha esordito in prima squadra nella stagione 2012/13. Ha vestito poi le maglie di Nocerina, Como, Cittadella, Feralpisalò, Juve Stabia, Teramo, Renate, Giana Erminio e Rimini prima di approdare in estate a Piacenza. In azzurro ha fatto parte delle rose dell’Under 16, 19 e 20. Stagione Squadra
Serie Presenze Reti
2020-2021
PIACENZA
C
10
0
2019-2020
RIMINI CALCIO
C
24
1
01/2019
RIMINI CALCIO
C
18
1
2018-2019
GIANA ERMINIO
C
15
2
2017-2018
A.C. RENATE
C
33
3
2016-2017
A.C. RENATE
C
34
3
2015-2016
TERAMO CALCIO
C
5
1
08/2015
S.S. JUVE STABIA
C
1
0
01/2015
FERALPISALO'
C
10
0
2014-2015
A.S. CITTADELLA
B
5
0
01/2014
COMO CALCIO
C1
10
2
2013-2014
NOCERINA
C1
17
0
2012-2013
ATALANTA CALCIO
A
1
0
2011-2012
ATALANTA CALCIO
SG
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3
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amarcord
di Pino Lazzaro
La partita che non dimentico
Francesco Valiani (Pistoiese)
“Quella che ricordo subito, che ho proprio dentro, è l’esordio in A. Era esattamente il 31 agosto 2008, dai, me lo ricordo beane. La Serie A, un traguardo importante, io che ci arrivavo passo passo, dopo aver fatto tutte le categorie, a partire dalla vecchia C2, come dire che me la sono proprio conquistata la A, confermandomi anno dopo anno. Avevo 27 anni quando ho esordito, giocavo nel Bologna e pensa che l’esordio – un sogno nel sogno – l’ho fatto proprio a San Siro, contro il Milan, quella squadra straordinaria [siamo andati a rivedere, ecco la formazione del Milan di quel giorno: Abbiati, Zambrotta, Maldini, Kaladze, Jankulovski (46’ Shevchenko), Flamini, Pirlo,
il calendario, un po’ d’emozione l’avevo subito avuta, a San Siro! Poi via via magari ci pensi meno e alla vigilia sono stati soprattutto i miei amici a sottolineare che esordivo in A, a Milano contro il Milan. Un po’ me l’aspettavo però di giocare, venivo da una stagione in B in cui ero stato tra i protagonisti, sapevo poi di avere la considerazione e la fiducia dell’allenatore, di Arrigoni: quella di essere tra gli undici era insomma più di una speranza”.
“Pensa, per me quella era pure la prima volta in assoluto a San Siro, nemmeno da spettatore c’ero stato e andare lì a vedere il campo prima della partita, è stata una cosa speciale, un qualcosa che tra l’altro si è sempre “L’esordio in A, col Bologna, ripetuta, ogni volta che sono tornato a giocarci. Non era ana San Siro contro il Milan. cora stracolmo come poi sarebbe stato, proprio quel giorE ho pure fatto gol” no c’era la presentazione di Ambrosini (84’ Emerson) Seedorf, RoRonaldinho, quasi tutto esaurito. Oh, naldinho, Inzaghi (68’ Pato); allenatore abbiamo vinto per 2 a 1 e proprio io ho Ancelotti e già che ci siamo, l’arbitro fatto il gol della vittoria! Prima Di Vaio, era Orsato; ndr]”. Quando era uscito poi pareggio di Ambrosini e mancava-
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no una decina di minuti alla fine, loro che ci assediavano e di occasioni ne avevano sbagliate parecchie: palla rubata, noi in avanti e da sette-otto metri fuori area, di destro, di contro balzo, la metto un po’ a girare all’incrocio. Risento ancora quel silenzio dello stadio ammutolito, con l’esultanza lontana dei nostri tifosi, lassù, nel terzo anello. In porta c’era Abbiati e una scarica di adrenalina che non ti dico”. “Macché, non me la sono mica tolta la maglia, non l’ho mai fatto e mai m’è venuto di farlo: io stesso incredulo, mai mi sarei aspettato pure di segnare, ho giusto aperto le braccia, guardando là in alto, verso i nostri tifosi. Sì, ogni tanto mi capita di rivederlo quel gol, c’è sempre qualcuno che magari me lo ripropone. Non che io stia lì a rivangare, non è che gli dia poi tanto peso, certo a pensarci o a rivedermi, un po’ di emozione la riprovo, anche adesso ne ho”.
amarcord
“Con la carriera sono arrivato al punto in cui volevo essere. L’anno scorso ho fatto una scelta di cuore, l’obiettivo era ed è chiudere la carriera qui a casa, la società sapeva quanto ci tenessi e io sapevo quanto loro ci tenessero. Io che sono cresciuto lì in curva, io ora con la fascia da capitano e in un’annata poi, questa, in cui si celebra il Centenario della società. Potevo ancora stare in B ma ho deciso intanto per due anni con la Pistoiese, due anni che poi col Covid non sono stati tali. Di mezzo un senso di appartenenza vero, che proprio sento dentro”. “Sì, sono il capitano e non ho certo
la stazza per mettere uno al muro… a parte gli scherzi, ne ho conosciuti di capitani vecchio stampo, che facevano i sostenuti, che quasi nemmeno parlavano con i giovani. Io invece con loro ci sono sempre stato bene e già da quando ne avevo 30 di anni, con tempi e modalità che non sono più quelle di prima. Sono stato giovane anch’io, so che non si può usare solo la carota, ma per quel che vedo io, non è vero come s’usa dire che siano privi di valori e che pensino solo alle cavolate. Certo, è cambiato rispetto a prima, ma loro continuano a essere belli e genuini, c’è gusto insomma stare con loro nello spogliatoio”.
“Il dopo è una domanda per me ricorrente, è già un po’ di anni che mi accompagna. Al momento non mi è chiara la risposta e non perché non ci penso, anzi. Sento che la voglia di rimettermi in gioco non mi mancherà, però ora come ora penso a qualcosa di diverso. Potrei dire che ora non penso di allenare, però vedo ex compagni che dicevano lo stesso e allenano… penso piuttosto a un ruolo dirigenziale, magari a fare l’osservatore, star dietro così allo scouting. L’immagino da qui un ruolo comunque che sia importante, dove possa davvero decidere, magari da direttore sportivo, adesso non lo so”.
Andrea Arrigoni (Teramo)
“Scelta semplice per me. Vado subito così a Lecce-Paganese, l’anno in cui lì a Lecce abbiamo vinto il campionato di C. Penultima giornata, in casa, vincendo saremmo stati matematicamente promossi. Settimana in effetti come le altre, in ritiro come sempre il giorno prima, però c’era un’atmosfera diversa, un’attesa che sentivi, erano sei anni che lì provavano a salire, c’era una città intera che aspettava. Allo stadio saranno stati in 25.000 e abbiamo fatto gol abbastanza presto, sarà stato il 25’: un calcio d’angolo che tra l’altro ho battuto io e Armellino di testa l’ha messa dentro. E così è finita, 1 a 0 per noi, altre occasioni ma non siamo riusciti a chiuderla, tanta adrenalina sino alla fine. Finire è stato così liberatorio e bellissimo. Dietro inseguivano Catania e Trapani, noi che eravamo davanti sin dall’inizio ma che poi, a 6-7 partite dalla fine, avevamo avuto una flessione, in classifica s’erano avvicinati e già negli anni prima era successo lo stesso, il Lecce era stato sorpassato proprio all’ultimo, in città temevano di rivivere la stessa storia. Ricordo i giri di campo che abbiamo fatto alla fine, la gente era arrivata allo stadio un’ora e mezza
prima ed è poi rimasta lì con noi per un’altra ora e ricordo poi il giro per la città che abbiamo fatto in pullman, tutta quella gente lì per noi, quanta soddisfazione. Di campionati ne ho vinti così sinora tre: quello col Lecce in C, poi l’anno dopo sempre col Lecce che abbiamo vinto la B e un altro di C al tempo in cui ho giocato con la Ternana”. “Come detto col Lecce ho fatto la B, ora sono tornato in C e l’ambizione che ho, la voglia che ho, è quella di riprovarci. Ormai ho quasi 32 anni, tantissime altre opportunità di risalire non credo ci potranno comunque essere: non sono certo tanti 32, però nel calcio di oggi non sono nemmeno pochi. Credo però che sia fondamentale porsi degli obiettivi, averne sempre di ambizioni. Devo dire che gli ultimi anni, quelli che ho fatto al sud, tra Cosenza e Lecce, sono stati certo i più belli e coinvolgenti. Io “polentone” – sono di Lecco – mi sono trovato benissimo a viverci, sono stati anche anni “completi”, con i bambini (uno e una) che crescevano”.
all’inizio erano proprio delle partite assurde, irreali, ma ora un po’ ci siamo adattati, non sembra nemmeno più tanto strano. Fino a qualche settimana fa ce n’erano almeno 1000 di persone, non che cambiasse molto ma era almeno qualcosa, serviva se non altro per ricordarsi com’era prima”. “Al dopo ci penso, specie ultimamente. Sinceramente faccio fatica a inquadrarmi, non è né facile, né semplice. Penso alla famiglia, ai bambini… non è facile darmi una risposta che mi convinca al 100%. Da una parte potrei avere sì l’idea di continuare nel calcio, dall’altra non escludo certo a priori altre soluzioni”.
“Negli stadi la gente manca, tanto. Il “brutto” è che ci stiamo abituando,
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biblioteca AIC
di Pino Lazzaro
Il nuovo libro di Claudio Marchisio
Il bianconero come seconda pelle L’incipit - Capitolo 1 Dicono che la prima volta non si scorda mai. Mi sa che io invece l’ho scordata. Quando penso al momento in cui ho iniziato a giocare a calcio ho un ricordo che certamente non corrisponde alla prima volta, devo aver cominciato a correre dietro a un pallone molto presto, stando ai racconti dei miei genitori e a qualche soprammobile tenuto insieme con il Bostik che ancora fa bella mostra di sé nel salotto dei miei. Fu mio papà il primo a provare a dare un senso ai miei tiracci casalinghi, forse proprio nel disperato tentativo di salvare i bicchieri del servizio buono che erano pericolosamente esposti in una vetrinetta senza protezione. Mi ritrovai a calcare per la prima volta un vero campo da calcio nel settembre del 1992, e questo è il mio primo vero ricordo calcistico. Avevo sei anni e un male ai piedi mai provato prima (e fortunatamente neanche dopo). Mio papà mi aveva dotato di un paio di scarpe da
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calcio nuove fiammanti ma con un piccolo difettuccio: erano equipaggiate con i sei tacchetti di ferro che di solito si usano sui campi allagati dalla pioggia, estremamente fangosi e scivolosi. Torino non vedeva pioggia da almeno un mese e mezzo, il terreno compatto del campo somigliava decisamente più all’asfalto di corso Vittorio che al prato del Delle Alpi. Ricordo di aver tenuto duro, stoicamente, per i primi sette minuti. Pit stop, cambio scarpe, allenamento finito grazie alle Nike Air d’ordinanza a scuola. Il primo anno di scuola calcio volò tra grandi partite al “gatto e la volpe” e infiniti inseguimenti a “ce l’hai”. Estremamente divertente ma non proprio il massimo per chi come me non vedeva l’ora di emulare le gesta di Baggio e Ravanelli. Se non si fosse capito, sono nato juventino a Torino, sono cresciuto guardando tutte le partite della Juve, volevo diventare un giocatore della Juve.
Sfogliando … (pag. 19) A scuola, al contempo, non brillavo. Mi piacevano storia e geografia, per il resto pensavo letteralmente ad altro. Se non avessi avuto fortuna nel mondo del calcio, mi sarebbe piaciuto aprire un’agenzia di viaggi. … (pag. 20) Nella mia testa fare l’agente di viaggi voleva dire esplorare ogni remoto avamposto del pianeta, incontrare le popolazioni più diverse e disparate, stare lontano da casa per mesi armato solo di zaino, macchina fotografica e spirito di osservazione. Il business sarebbe venuto da sé. … (pag. 23) Il concetto, piuttosto, è che non è necessario che le cose vadano tutte per il verso giusto per essere soddisfatti di sé stessi. E non è dal giudizio degli altri che si può dipendere per valutare il proprio operato. O almeno non completamente. … (pag. 26) Chissà quanti ragazzini hanno un enorme talento e nessuno lo saprà mai. E se questa disparità di condizioni di partenza è vera nel calcio, lo è tanto più in altri contesti. Quanti sono i bambini che per la loro situazione familiare non possono continuare gli studi perché devono lavorare appena possono?
biblioteca AIC
… (pag. 42) … la scuola tende a replicare le disuguaglianze sociali che ci sono nel paese, e dunque a replicare i gap di opportunità che i ragazzi si portano sulle spalle insieme allo zaino quando a scuola ci entrano. Gli studi Ocse dicono con chiarezza che i più poveri economicamente e culturalmente tendono a essere bocciati di più e che chi viene bocciato una volta poi ha una probabilità molto più alta di interrompere gli studi. … (pag. 44) Nello sport professionistico conta la prestazione, tutto il resto passa in secondo piano, non c’è spazio per il prima e il dopo, si vive costantemente nel momento presente. … (pag. 51) Se penso alla parola “solidarietà”, non mi viene in mente luogo migliore per incarnarla se non lo spogliatoio di una squadra. … (pag. 52) Il mister è una sorta di capobranco, quello che detta la linea, che fa marciare tutti allo stesso passo. Una specie di cane pastore che recupera le pecore che si fermano, sbagliano strada, si isolano o rallentano. E mostra a tutti la direzione da seguire, a volte anche abbaiando e ringhiando non poco. … (pag. 56) Quando la macchina gira tu ti senti invincibile, fai allenamenti durissimi e nemmeno te ne accorgi, vivi la pressione in modo molto più leggero e controllato, ti diverti come quando da bambino giocavi nel campetto sotto casa, in molti casi vinci. … (pag. 64) Si possono fare grandi prestazioni, ma solo se si è integri e consapevoli di che cosa sia la leale competizione si può arrivare a essere un leader che dura negli anni, un esempio, un mito. … (pag. 67) Negli anni del filotto di scudetti consecutivi bastava sapere di giocare nella Juve per non temere nessuno svantaggio, nessun avversario, nessun campo. … (pag. 74) Con lo sguardo di oggi dico che avremmo dovuto prendere posizione in maniera più decisa, in quello come in altri episodi. Oggi sarei pronto a dire che la soluzione da attuare, quando si verificano questi atti (cori razzisti), è la sospensione immediata
Claudio Marchisio
IL MIO TERZO TEMPO
Nel calcio e nella vita valgono le stesse regole Chiarelettere editore
della partita con relativa sconfitta a tavolino della squadra la cui tifoseria si rende protagonista di questo schifo. … (pag. 78) Quello che noi possiamo fare è non minimizzare, non chiamare goliardia il razzismo, non chiamare tifo la discriminazione. Non è ammissibile abbassare la testa davanti all’ignoranza. … (pag. 84) Forse dovremmo cercare di ricordarci che certe cose o sono giuste o sono sbagliate, e che se riteniamo che siano giuste dobbiamo difenderle sempre, non solo quando ci serve per interesse personale. … (pag. 110) Se di qualcosa mi posso rammaricare, casomai, è proprio il fatto di non essere arrivato prima a comprendere quante situazioni ho dato per scontate senza considerare che potessero in qualche modo fare male a qualcuno. … (pag. 123) Siamo nel 2020, il fatto che quando c’è da stendere i panni anche gli uomini siano pronti a mettersi in moto non solo non dovrebbe fare notizia, ma è il minimo sindacale per conquistare la qualifica di marito. … (pag. 127) Tra i primi cento sportivi più pagati al mondo c’è una sola donna ed è al 63° posto (la tennista Serena Williams, una che nella sua carriera ha vinto praticamente tutto quello che si poteva vincere e lo ha fatto per quasi due decenni consecutivi). … (pag. 134) L’ipotesi che mi potessi prendere il congedo parentale per occuparmi io dei figli, come qualunque lavoratore, nel mondo dello sport non era contemplata e, a paventarla, si sollevavano solo risate come se si parlasse di asini che volano.
(Così in terza di copertina) Claudio Marchisio (1986) ha legato gran parte della carriera alla Juventus, club con cui ha vinto sette campionati di A consecutivi (dal 2011-2012 al 20172018), uno di Serie B (2006-2007), tre Supercoppe italiane (2012, 2013 e 2015), quattro Coppe Italia consecutive (dal 2014-2015 al 2017-2018). Ha vinto il campionato russo con lo Zenit di San Pietroburgo, con cui ha giocato l’ultimo anno della sua carriera (2018-2019). Da calciatore si è schierato con forza contro episodi di razzismo e ingiustizia sociale. Il suo impegno civile ha suscitato apprezzamenti e anche reazioni critiche. Collabora con il “Corriere della Sera” (edizione torinese). Nel 2016 ha pubblicato il libro Nero su bianco (Mondadori). (Aggiungiamo noi) Una stagione pure all’Empoli (2007-2008, campionato quello che segnò pure il suo esordio in Serie A), con la maglia azzurra delle Nazionali ha partecipato alle Olimpiadi del 2008 (in Cina), mettendo poi assieme 55 presenze con la Nazionale maggiore, partecipando al Mondiale del 2010 in Sudafrica, all’Europeo 2012 in Polonia-Ucraina (sconfitta in finale con la Spagna), alla Confederations Cup 2013 e al Mondiale 2014 in Brasile. “Voce tecnica” ora alla Rai, è stato per due volte (2011 e 2012) nella “nostra” squadra dell’anno AIC.
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scatti
di Maurizio Borsari
EL PIBE DE ORO Diego Armando Maradona 1960-2020
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scatti
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amarcord
di Vanni Zagnoli
La scomparsa di un mito
Ho visto Maradona È morto Maradona, per i più è stato il più grande calciatore di ogni tempo, assieme a Pelè. Aveva compiuto 60 anni meno di un mese fa, poi era stato operato alla testa, sembrava che fosse in buone condizioni e invece gli è stato fatale un arresto cardiorespiratorio, a casa. Era nella villa del Barrio San Andrés di Benavides, a Tigre, nella parte settentrionale dell'area metropolitana della grande Buenos Aires, sono arrivate 9 ambulanze per tentare di rianimarlo, tutto inutile. Sono arrivate presto l'ex moglie Claudia Villafane e le figlie Dalma e Giannina, poi la sua ultima fidanzata, Veronica Ojeda. In Argentina sono stati proclamati tre giorni di lutto nazionale. Qui selezioniamo una serie di ricordi fra le migliaia di messaggi arrivati, alcuni raccolti dall’agenzia di stampa Ansa. Partiamo dal Napoli, su twitter una foto di Diego che esulta in maglia azzurra e la scritta “Per sempre” con un simbolo del cuore in azzurro. “Tutti si aspettano le nostre parole. Ma quali parole possiamo usare per un dolore come quello che stiamo vivendo? Ora è il momento delle lacrime. Poi ci sarà il momento delle parole. Diego nel cuore”. E a Napoli si pensa subito di intitolargli lo stadio San Paolo, è d’accordo anche il presidente Aurelio De Laurentiis. “Non riesco a parlarne”, dice con voce tremante Ottavio Bianchi, l’allenatore che costruì attorno al suo talento la squadra del primo scudetto, della coppa Italia e della Uefa. “Napoli perde un figlio” - gli fa eco Giuseppe Bruscolotti, capitano di quel Napoli del 1986, che poi cedette a Diego la fascia. “Mi aspetto un lutto cittadino, anzi il lutto dovrebbe essere di tutto il mondo”. Centravanti del Napoli del secondo scudetto era Antonio Careca: “Sono senza parole, il nostro amico e fratello se n’è andato. È stato e sarà sem-
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pre speciale per tutti noi”. Lorenzo Insigne, capitano del Napoli di oggi. “Dal primo giorno in cui sei arrivato nella nostra amata Napoli, sei diventato un napoletano doc. Hai dato tutto per la tua gente, hai difeso questa terra, l'hai amata. Ci hai regalato la gioia, i sorrisi, i trofei, l’amore. Sono cresciuto sentendo i racconti della mia famiglia sulle tue gesta, vedendo e rivedendo le tue infinite partite. Sei stato il più grande giocatore della storia, sei stato il nostro Diego. Ho avuto la fortuna di incontrarti, parlarti, conoscerti e non ti nego che mi tremavano le gambe. Per me hai sempre avuto belle parole, parole di conforto che non potrò mai dimenticare e che custodirò per sempre dentro di me. Da tifoso, da napoletano, da calciatore: Grazie di tutto D10S. Ti ameremo per sempre”. Michel Platini, ex presidente Uefa e bandiera della Juventus. “Con Diego, ci siamo visti, affrontati tante volte. Avevo una grande ammirazione per lui, poi, certamente, c’era la rivalità. Non si può essere al vertice entrambi, giocare coppe del mondo per vincerle, giocarsi i campionati con Juve e Napoli e non essere rivali. La prima parola che imparai arrivando in Italia fu la parola 'sfida': Maradona sfida Platini, Platini sfida Zico… Negli anni Ottanta vivevamo di rivalità. Sono molto, molto triste, c'è la nostalgia di un'epoca che è stata bella. È morto Cruyff, è morto Di Stefano, è morto Puskas, tanti grandi giocatori che hanno segnato la mia giovinezza e la mia vita. Si arriva a un'età in cui vedi tanta gente andarsene”. Paulo Roberto Falçao, ex regista della Roma. “Maradona è stato un semidio del calcio. Con la palla, era un dio, senza la palla, è stato umano. Ho avuto il privilegio di vedere il suo immenso talento in campo e posso testimoniare la sua genialità. Don Diego sarà sempre tra i ricordi migliori degli appassionati di calcio”.
Bruno Conti, responsabile del settore giovanile della Roma: “Ciao Grande Diego. Rip”. E’ stato suo grande rivale in tante sfide fra Roma e Napoli e fra Italia e Argentina, come quella epica dei Mondiali del 1982 in cui l'azzurro divenne 'Marazico'. Franco Baresi, vicepresidente onorario del Milan: “È una notizia che mi ha sconvolto, mi piange il cuore. È una leggenda, un mito, uno dei più grandi della storia del calcio o, possiamo dirlo, il più grande di tutti. Ci ha fatto soffrire, ci ha fatto un sacco di gol. A volte gli si faceva fallo, lui prendeva le botte ma senza mai lamentarsi. In campo era leale. Era amato dai suoi compagni, perché non faceva pesare la sua grandezza, e dalla gente, che andava allo stadio per le emozioni che regalava”. Paolo Rossi, capocannoniere del mondiale vinto dall’Italia, nel 1982: “Diego è stato il genio del calcio mondiale, un talento ineguagliabile. Assoluto. Una gioia per tutti quelli che amano il calcio. Mancherà. Ciao Diego”. Claudio Gentile, terzino di quella Italia, lo fermò nel girone al mondiale del 1982. “Lo fermai e non accettò la sconfitta: non volle darmi la maglia e al Mondiale non si fa. Mi deluse. Con Zico ci fu a fine partita il tradizionale scambio di maglie a fine partita, nonostante l’avessi scambiata con lui e non con l'argentino, come molti erroneamente ricordano. Diego doveva essere la ciliegina sulla torta dell'Argentina campione, non accettò la sconfitta. Mi accusò di averlo picchiato: ma in tutta la mia carriera non sono mai stato espulso. Lui, in quel Mondiale, sì. Come giocatore è stato il più grande di tutti. Riposi in pace”. Stefano Tacconi, ex portiere della Juve, anni ‘80. “Aver preso gol da Diego Armando Maradona per un portiere è un orgoglio, non una sconfitta. Sono 35 anni che viene ricordata la rete che Diego mi fece su punizione con il pallone all'interno dell'area di rigore in
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Napoli-Juventus, è stato il secondo gol più bello di sempre segnato da Maradona, dopo quello all’Inghilterra. Secondo me Maradona avrebbe voluto morire esattamente così e non certo arrivare a 100 anni quando non ti si fila più nessuno. Adesso invece lui è eterno, per sempre sarà Diego Armando Maradona per tutte le generazioni che verranno. Oggi ci sono Messi e Ronaldo che sono dei fuoriclasse, ma il loro è un calcio business, quello di Maradona, Platinì, Falcao era invece calcio spettacolo. Voglio ricordare il suo tratto generoso di uomo, in occasione della partita di beneficenza a Terni tra la Ternana, con la quale giocai pure io, l’Argentina, si presentò con tutta la squadra al completo. Anche questo era Maradona”. Ruud Gullit, olandese, avversario di Diego con il Milan, negli anni ’80. “Vivrai per sempre nel mio cuore e in quello di moltissimi altri amanti del calcio. Il miglior giocatore che abbia visto e contro cui abbia giocato”. Claudio Caniggia, argentino, ex Atalanta e Verona, suo compagno nel Boca Juniors e in nazionale. “Sono devastato per la notizia, era mio fratello... Spero che tu capisca che non ho parole in questo momento. Voglio solo dire ai suoi familiari che li accompagno in questo dolore”. Il vicepresidente dell’Inter Javier Zanetti: “Diego è unico per tutto quello che ha fatto, per come ci ha reso felici dentro in campo di calcio. Io ancora non ci credo, come tutti gli argentini non credono a questa notizia che è arrivata. È una tristezza per tutti coloro che amano questo sport. Nel 1986, quando vinse il mondiale, avevo 13 anni, ho vissuto uno dei momenti più belli della mia vita, vedere l’Argentina campione del mondo e tutto quello che ha fatto Diego in quel mondiale, per tutti noi è stata una grande felicità. Diego ci ha tramesso l’amore per questo sport. Diego ha rappresentato
l’essenza del calcio”. Antonio Conte, allenatore dell’Inter: “Stiamo versando tutti quanti tante lacrime per la scomparsa di una persona che ha fatto la storia del calcio e rimarrà per sempre in maniera indelebile nella storia. Stiamo parlando della poesia del calcio, un calciatore contro cui ho avuto il piacere di giocare e di marcarlo. Fatico a credere che non ci sia più, era anche giovane”. Giampiero Gasperini, allenatore dell’Atalanta: “Ho avuto la fortuna di vivere da giocatore, da avversario, l'esperienza fantastica di Diego a Napoli: non lo si può dimenticare”. Zinedine Zidane, francese, tecnico del Real Madrid. “La notizia della scomparsa di Maradona è molto triste, non solo per il mondo del calcio ma per il mondo intero. Ricordo soprattutto il Mondiale del 1986, avevo 14 anni. È stato un giocatore unico. Il mio idolo era Francescoli, ma volevamo tutti imitare Maradona. Ho avuto la fortuna di potergli dire che era fantastico”. Alejandro Gomez, il Papu dell’Atalanta, argentino: “Oggi è morto anche il calcio, hai dato gioia a tante persone. Riposa in pace Diego, mancherai molto a tutti gli argentini e a tutti noi che sogniamo un giorno di essere come te e di indossare quel numero. Non meritavi di passare il resto dei tuoi giorni così. Mando le mie condoglianze a familiari e amici. È tutto molto triste”. Domenico Criscito, capitano del Genoa, napoletano di Cercola: “Grazie per tutto quello che hai fatto per il calcio... riposa in pace”. Leo Messi, argentino, capitano del Barcellona. “Un giorno molto triste per tutti gli argentini e per il calcio. Ci lascia ma non se ne va, perché Diego è eterno. Mi rimangono tutti i momenti belli vissuti con lui, voglio cogliere l'occasione per inviare le mie condoglianze a tutta la sua famiglia e ai suoi amici”.
Zlatan Ibrahimovic, capocannoniere della Serie A, con il Milan. “Maradona non è morto, è immortale. Dio ha dato al mondo il miglior calciatore di tutti i tempi. Vivrà per sempre”. Frank Ribery, francese, della Fiorentina. “Terribile venire a sapere della perdita di una vera leggenda del calcio. Ma le leggende non muoiono mai. Che Dio ti dia la pace. Ciao Diego”. Infine Jorge Valdano, compagno di nazionale di Diego Maradona in quell'Argentina che vinse i mondiali del 1986, e poi suo 'cantore' in saggi e articoli. Per l'emittente Movistar, era collegato su un campo di Champions. “La notizia mi ha colto di sorpresa e mi ha fatto immensamente male, per il giocatore e per l'uomo. Molti dei ricordi mi provocavano sorrisi...”. Valdano non ce la fa a proseguire e comincia a piangere. Ecco, nelle lacrime di Valdano ci sono i sentimenti di tanti che hanno apprezzato Diego Armando Maradona. In Argentina, in Spagna, in Italia e in tutto il mondo. Anche nella sua carriera di allenatore, a Dubai e negli Emirati Arabi, in Messico e Argentina, persino da ct dell’Albiceleste. Sul campo è stato immenso, fuori, meno. Ebbe due bimbi (Dalma Nerea e Giannina Dinorah) dalla storica moglie Claudia Villafane, poi Diego junior con Cristiana Sinagra, la ragazza napoletana che dovette combattere per anni in attesa che il campione riconoscesse quel figliolo identico a lui. E poi Jana, avuta da una nuova fidanzata, tale Valeria Sabalaìn, per chiudere un altro Diego, questa volta un Diego Fernando, figlio (ultimo) di Maradona e Veronica Ojeda. Fece uso di droghe e stimolanti, ha sofferto di bulimia e sbalzi d’umore. Apparì biondo ossigenato e poi tatuatissimo. È morto nello stesso giorno di George Best, scomparso 15 anni fa, e di Fidel Castro (spirato 4 anni or sono), il leader cubano che l’aveva ospitato spesso. Come segni del destino.
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di Maurizio Borsari
Under 20,5 gli “azzurrini” in Italia – Eire 2-0
Testa o… croce Stefan de Vrij e Zlatan Ibrahimovic in Inter – Milan 1-2
Casquè Tommaso Pobega, Julian Chabot e Alvaro Morata in Spezia - Juventus 1-4
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di Maurizio Borsari
Fallo da dietro Gianluigi Donnarumma a Stefano Pioli in Inter – Milan 1-2
La Lanterna Magica Emil Audero su tutti in Sampdoria 1-1 Genoa
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di Stefano Ferrio
Tre foto tre storie
Il mediano-avvocato, cinque fa e i “pallonetti” di Cecilia In queste preziose immagini tratte dall'archivio dell'Associazione Calciatori compaiono: Diego Bonavina, centrocampista nel Treviso degli anni '90', oggi legale affermato (nonché assessore allo sport a Padova), alcuni protagonisti di una drammatica stracittadina del 1951 fra Genoa e Sampdoria, e infine la ventiduenne Prugna, talentuosa ragazza dell'Empoli al debutto in Nazionale. Quella testa che svettava nel mucchio - Svettava di testa, l'avvocato Diego Bonavina, classe 1965, romagnolo di Morciano, entrato nella storia del Treviso Calcio, di cui in questa foto
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indossa la maglia. Svettava di testa, accreditandosi come uno di quei centrocampisti abili nell'irrompere in area al momento giusto, quando nessuno della difesa avversaria è più in grado di prenderlo in tempo, ovvero prima della solenne incornata o dell'incontrollabile "spizzata" che non danno scampo ai portieri. Di questa sua dote aerea, come della capacità di coprire il campo con severa intelligenza tattica, conservano ricordi nitidi, forse indelebili, i tifosi del Treviso, quando rievocano il triennio più aureo nella storia della squadra biancoceleste: i campionati che, fra il 1994 e il 1997, partendo dal campionato interregionale, segnano le tre consecutive promozioni in Serie C2, C1 e B. Memorie evocate anche dalle frequenti occasioni in cui l'ex centrocampista fa la sua comparsa nelle cronache come attuale assessore allo sport del Comune di Padova. D'altra parte, di quel Treviso allenato dal trevigiano di Preganziol Bepi Pillon, l'avvocato Diego Bonavina è uno dei perni essenziali. Vi arriva nell'estate del 1994, fresco dell'esame di stato con cui ha dato completamento alla laurea in giurisprudenza, ma anche provato da una stagione al Mantova trascorsa più in panchina che in campo. Eppure mister Pillon crede in questo nobile faticatore della mediana, formatosi tramite una dura gavetta da giocatore di provincia, al punto da inserirlo a pieni giri nei suoi schemi, votati all'arrembaggio offensivo. E Bonavina lo ripaga, realizzando 28 reti in 153 partite disputate con la maglia del Treviso, compresa la storica zuccata con cui, il 12 maggio 1996, la squadra impatta 1-1 in casa con l'I-
mola, ottenendo il punto che le manca per salire in Serie C1. Una volta giunto in B, l'avvocato Bonavina vi firma due onorevoli tornei nel Treviso prima di un'ultima stagione al Padova. Continua invece la sua brillante carriera da "civilista" nei tribunali, trovando modo, dal 1999 al 2012, di distinguersi anche come consigliere dell'AIC, il sindacato dei calciatori italiani. Se si aggiunge l'impegno sociale, che lo porta ad allenare le formazioni giovanili della società padovana Sacra Famiglia, l'identikit è completo perché nel 2016 Sergio Giordani, non appena eletto sindaco di Padova, lo nomini assessore allo sport della propria giunta. A dimostrazione che si può "svettare di testa", elevarsi nel mucchio, anche una volta appese le scarpette al chiodo, e non necessariamente restando nel mondo del calcio. Una vita fa ne dava testimonianza il friulano Annibale Frossi, campione olimpico nel 1936 a Berlino con la maglia della nazionale italiana, nonché attaccante dell'Inter, prima di intraprendere un percorso professionale diviso fra le attività di allenatore, giornalista e capufficio dell'Alfa Romeo. Poi sarebbe giunto il momento dell'avvocato Sergio Campana, fondatore nel 1968 dell'Associazione Italiana Calciatori, non appena smessa la casacca biancorossa del Lanerossi Vicenza, e di una progressiva fioritura di professionisti del pallone reinventatisi nei più vari campi. E se più di qualcuno ha investito i propri guadagni in una carriera da imprenditore, come i difensori Antonio Percassi (attuale presidente dell'Atalanta) e Giulio Zignoli, ex compagno di Gigi Riva nel Cagliari dello scudetto, altri hanno intarpreso la via delle scienze: è il caso del portiere-biologo Lamberto Boranga e del centrocampista-medico Damiano Coletta, eletto sindaco di Latina. Sono tendenze forse destinate a svilupparsi considerando i sempre più numerosi "dottori" oggi in circolazione negli
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acce da derby stadi italiani, come il capitano della Juventus Giorgio Chiellini e il terzino del Bologna Lorenzo De Silvestri, entrambi economisti. Da ricordare infine che nel gruppo trova posto anche Filippo Furiani, nato a Bastia Umbra nel 1977, una vita da nomade della mediana, spesa militando in una dozzina di club, fra cui Palermo e Pisa, prima di diventare cooperatore sociale. Un cambiamento radicale, dovuto, stando a quanto racconta lo stesso Furiani, all'incontro con un frate che gli dice: "Il calciatore passa, l'uomo resta". Come retrocedere per un gol dell'ex - Quante storie in un solo scatto: per l'esattezza cinque, come i calciatori fotografati prima di questo (drammatico) derby della Lanterna, giocato fra Genoa e Sampdoria il 22 aprile 1951. Atleti che ci hanno tutti lasciato. Innanzitutto, spicca l'uomo del destino, che in questo caso è l'unico con la divisa blucerchiata della Samp. Si chiama Vittorio Bergamo, è un triestino doc della classe 1922, e fino all'anno prima è stato quel che si dice una colonna proprio del Genoa, mediano capace di stregare i tifosi con partite disputate all'arma bianca, come quelle in cui, negli anni '40, cancella dal campo Valentino Mazzola, capitano e uomo-squadra del Grande Torino. Solo che nell'estate del 1950 Vittorio Bergamo diventa, nella storia, il primo giocatore genoano a passare alla "Doria", con la cui maglia, proprio in questo derby, realizza su punizione uno dei gol grazie a cui i blucerchiati superano 3-2 i "cugini" rossoblu, dando loro la spinta definitiva per retrocedere in Serie B. I tifosi genoani non la prendono affatto bene, inseguendo Bergamo dagli spogliatoi fino alla porta di casa, così da far passare in secondo piano la prestazione non felicissima del portiere che è il primo a sinistra di questa stessa foto. Si chiama Pietro Bonetti, è nato a Brescia nel 1922 e nelle gior-
nate di grazia, oltre a chiudere a doppia madata la porta del Genoa, fa pensare a un suo futuro in nazionale, salvo poi distrarsi fatalmente la domenica successiva. A renderlo vulnerabile è una dolce vita che, assiduamente praticata, porterà Bonetti a tentare senza fortuna la carriera di attore, intrapresa dopo un rovente flirt con Lucia Bosè, diva italiana di superba bellezza. Tornando all'immagine, accanto al portiere campeggia la figura dell'attaccante Giuseppe Baldini, romagnolo di Russi, dove è sua volta nato nel '22. L'anno prima ha fatto il cammino opposto a quello di Bergamo, passando dalla Samp al Genoa nella stessa operazione di mercato. Le sue credenziali sono favolose, avendo fatto coppia per quattro anni con Adriano Bassetto in quello
chè è tuttora ricordato come l'"attacco atomico" della Sampdoria, caratterizzato da una capacità realizzativa destinata a essere superata solo negli anni '80 dai formidabili "gemelli del gol" Vialli & Mancini. In maglia rossoblu non va altrettanto bene, a Baldini, tanto da durare un solo campionato, prima di essere ceduto al Como. Il genoano al centro della foto è invece Giulio Castelli, difensore nato a Torino nel 1925, uno che si lascia apprezzare in varie piazze d'Italia per l'impeccabile professionismo. Tanto che a Novara, dove gioca assieme all'ex bomber della nazionale Silvio Piola prima del passaggio in rossoblu, i tifosi gli regalano un orologio d'oro alla fine di un campionato di Serie A concluso con la sospirata salvezza.
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Una volta lasciata Genova, anche a Napoli Castelli darà il meglio di sè, durante i cinque eccelsi campionati di militanza nell'ambiziosa squadra allestita dal presidente Achille Lauro, e allenata da Eraldo Monzeglio. Infine, l'ultimo a destra si rivela essere il difensore centrale Amedeo Cattani, detto Medeo, che del Genoa è stato un'autentica "bandiera", reso tale dalle 312 partite disputate in rossoblu fra il 1942 e il 1955, quando qualsiasi attaccante avversario doveva pensarci bene prima di transitare dalle sue parti. Compreso Giampiero Boniperti, famoso attaccante della Juventus, inseguito per tutto il campo, preso per il collo, e scaraventato sulla rete di recinzione dello stadio di Genova, dopo avere "osato" stampargli i propri tacchetti su una caviglia. La ragazza toscana che colpisce di fino - Potenza del bianco e nero. Ce lo ricorda il primo piano che, eliminando i colori, esalta l'intensità di questo sguardo vigile, spossato dalla battaglia, eppure fiammeggiante. Appartiene, non a caso, a Cecilia Prugna, pisana di 22 anni, ammirata sui campi della Serie A femminile nei panni di centrocampista dell'Empoli dotata di spettacolare vocazione per i gol siglati in pallonetto. Su You Tube se ne può ammirare una serie, inframezzata da altre segnature realizzate di piede e di testa, a dimostrazione della confidenza con il gol che caratterizza questa giocatrice versatile, battagliera, tecnicamente dotata. Tali doti non potevano sfuggire a una commissaria tecnica accorta e aperta come Milena Bertolini, che ha inviato a Cecilia Prugna la prima convocazione nella Nazionale maggiore, in occasione del match di qualificazione europea disputato contro la Danimarca. La maglia azzurra segna l'approdo più importante, e meritato, per questa guerriera toscana che su qualsiasi
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fazzoletto di prato disponibile iniziava a sgambettare bambina, già divorata da una passione "totale" per ogni pallone vagante nei suoi pressi. Inevitabile che, anche perchè sospinta da una famiglia di sportivi, la ragazza inizi a praticare calcio agonistico con la maglia del Castelfranco, società della provincia pisana successivamente assorbita dall'Empoli, ragione per cui si può dire che Cecilia Prugna non ha mai cambiato maglia, e per lungo tempo nemmeno allenatore, essendo stata portata alla maturità tecnica e agonistica da mister Alessandro Pistolesi, in panchina uno dei pionieri del fo-
otball femminile italiano. Ma anche adesso che Alessandro Spugna è subentrato a Pistolesi alla guida del club toscano, la traiettoria seguita da Cecilia resta la stessa di prima, tesa verso il massimo dei risultati. Si arricchisce caso mai l'identikit della giocatrice, laureatasi durante il lockdown della scorsa primavera in Discipline di arte, musica e spettacolo all'università di Firenze. D'altra parte, i suoi pallonetti sono opere d'arte che contribuiscono ad abbellire ulteriormente la parabola di un calcio femminile italiano sempre più praticato e applaudito.
regole del gioco
di Pierpaolo Romani
Stop alla tratta degli esseri umani
La drammatica storia di Doudou Faye Doudou Faye aveva 14 anni e amava il calcio. Giocava come terzino nella Diambars Academy fondata in Senegal nel 2003 da Patric Vieira, ex centrocampista di Juventus, Inter e Arsenal. Era una giovane promessa Faye ed aveva una vita davanti a sé. All’Academy, infatti, oltre a giocare al calcio frequentava la scuola perché, come sostiene il regolamento di questo ente,
ha cambiato radicalmente il mondo nell’arco di pochi mesi, rischia di moltiplicare queste storie di disperazione. Il Covid-19, insieme ad una globalizzazione fondata sul primato della finanza, sta accentuando la povertà e le diseguaglianze, sia all’interno delle nazioni che tra i diversi stati. La ricchezza è sempre più concentrata in pochissime mani e non è adeguatamente ridistribuita. Secondo l’ultimo rapporto Per i trafficanti, i baby calciatori Oxfam, nel monnon sono persone ma oggetti che do 2.153 miliardasi comprano, si usano e si vendono ri detengono più ricchezza di 4,6 se uno fallisce con il calcio, nella vita miliardi di persone, circa il 60% della può sempre fare qualcosa d’altro se popolazione globale. A ciò si aggiungaè istruito. Il padre di Doudou aveva no le guerre e gli effetti, ora ben visibili, prospettive diverse per il figlio. Pendel cambiamento climatico che stansava che sarebbe diventato un granno progressivamente desertificando de campione, che avrebbe giocato nel diverse aree del pianeta e minacciancampionato italiano di Serie A e che do di inondarne altre. Tutto questo sta questo avrebbe garantito soldi, fama spingendo milioni di persone a lasciare e successo alla famiglia. Accecato da il Sud del mondo in direzione dell’Occiquesto pensiero, Mamadou Lamine dente visto e considerato come una terFaye ha abboccato ad una falsa prora di Bengodi, un approdo miracoloso messa fattagli da alcuni trafficanti di in cui poter realizzare i propri sogni e le uomini. Ha raccolto 250mila franchi proprie speranze. In tutto ciò, il calcio è CFA, poco meno di 400 euro, e li ha un vero e proprio magnete. consegnati, insieme al figlio, a dei loschi figuri. Così Doudou, contro la sua La drammatica storia di Doudou fa parvolontà, è stato caricato su una barca te di quel fenomeno chiamato “tratta insieme ad altre persone – noi li chiadegli esseri umani”, un mercato crimimeremo “clandestini” – ed è iniziato il nale che, attraverso corruzione, ingansuo lungo viaggio verso la nostra penini e violenza, produce ricchezza illecita sola. Non è facile per un adulto sfidare le acque dell’oceano Atlantico. Figuriamoci per un bambino. Paura, fame e freddo sono avversari terribili che non puoi dribblare come succede sul campo, né puoi smarcarti da loro. E, difatti, Doudou durante la traversata si è ammalato e alla prima tappa verso l’Italia, la Canarie, il piccolo è deceduto. Il dramma ulteriore è che i trafficanti lo hanno gettato in mare come fosse un pacco ormai inutile da trasportare.
schiavizzando e sfruttando le persone. Una parte della “tratta” riguarda giovani calciatori originari del continente africano, asiatico e sudamericano. In questo mercato di carne umana sono coinvolti non solo dei criminali ma anche dei “colletti bianchi”, tra cui: procuratori, dirigenti di società calcistiche, funzionari di consolati e ambasciate, membri delle forze di polizia. Il primo passo è l’adescamento della famiglia con promesse mirabolanti. Il successivo è quello di portare i bambini in Europa, aggirando il divieto di trasferimento degli under 18 extracomunitari imposto dalla Fifa. Questo viene fatto attraverso la falsificazione di documenti – es. visti temporanei – tesseramenti in società dilettantistiche, partecipazioni a dei tornei giovanili. Spesso questi ragazzi sono oggetto di falsi ricongiungimenti familiari attraverso la complicità di famiglie originarie dello stesso stato da cui essi provengono. Oppure risultano “minori non accompagnati”. Il giro di soldi che sta dietro la tratta dei baby calciatori è impressionante. Per i trafficanti e i loro complici, i baby calciatori da sfruttare non sono considerati delle persone, ma degli oggetti che si comprano, si usano, si vendono e, quando risultano improduttivi, si abbandonano al loro destino. Un dramma che anche in Italia è stato portato alla luce da alcune inchieste giudiziarie svolte in Toscana, Emilia Romagna e Liguria.
La pandemia che stiamo vivendo, e che
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di Pino Lazzaro
Alice Pignagnoli e Alessia Tuttino
Mamme calciatrici: così diverse, così uguali Alice e Alessia, una in porta, l’altra in mezzo al campo. Entrambe in Serie B, una (Alice) col Cesena, l’altra (Alessia) col Tavagnacco. Entrambe mamme da poco: la piccola Eva (Alice) di pochi mesi e Tommaso (Alessia) di un anno e mezzo. Entrambe – ancora – sono tornate a giocare dopo il parto e già questa come si suol dire è già una notizia, mica ce ne sono tante di calciatrici mamme che giocano e chissà poi quanto ci vorrà perché il tutto possa diventare meno… notizia. Nel 2022/2023 è stato programmato il passaggio al professionismo per il calcio giocato dalle donne e per forza di cose una voce a cui si dovrà pensare sarà per l’appunto quella rappresentata dalla maternità. Comunque sia, torniamo ad Alice e Alessia, loro malgrado continuano a essere “una notizia”. Sono così tornate in campo, un po’ uguali a prima, parecchio diverse da prima. Alice Pignagnoli, portiere del Cesena
"Quanto è cambiato il nostro calcio" “Eva? Ha tre mesi ed è bravissima, mai ci ha tenuti svegli di notte. Credo d’avere così tutto sommato un approc-
ha seguito e mi segue, assieme pure allo staff tecnico. Sia per l’alimentazione che per la ripresa fisica, lavori a secco in piscina e palestra, poi il differenziato. No, non ho fatto insomma troppa fatica, sono riuscita a perdere 15 kg in poche settimane ed è stato un percorso tutto sommato “semplice”, potendo contare su mio marito, anche i suoceri, con in più che so di essere un caterpillar. Nonostante sia stato il mio un parto cesareo… già non me lo ricordo più e non mi sento di avere qualcosa
Dura tornare? “Ho partorito tre mesi fa e credo comunque di essere stata fortunata e brava perché in pratica ho con“Società e compagne non mi hanno tinuato ad allenarmi sin quasi certo fatto sentire un problema, bensì al 9° mese, solo le ultime tre una risorsa. M’hanno dato fiducia, settimane, era pieno m’hanno fatto sentire fondamentale per luglio, ho rallentato. “Mio marito mi ha sempre sostenuta, sempre. il gruppo: una consapevolezza questa Ora sono tornata, Di base una grande stima ed è stato proprio sono solo due setti- bravo perché a lungo in questi anni sono che me ne dà proprio tanta di forza”. mane che mi alleno andato ad allenarmi con lui, in Eccellenza: cio verso la maternità un po’ diverso e col gruppo e non è che mi non so quanti altri avrebbero accettato di c’entra anche il fatto che dal martedì senta, che so, più debole. vedermi lì con tutti sti uomini attorno”. al venerdì sono via, non vedo l’ora di Anzi, credo di aver acquisitornare, di stringerla: non rompe into molto altro, quel che “vedo” ora neldi meno lì in porta: mica è solo il fisico somma le scatole come in tanti mi dilo spogliatoio, lo stesso approccio alle quel che si porta in campo”. cevano, proprio no”. partite. Molto lo devo allo staff che mi In pratica un Giro d’Italia con tutte le squadre in cui hai giocato… “Ho cominciato, ambiziosa la mia parDi Reggio Emilia, classe 1988, portiere di te, partendo dal settore giovanile delruolo, Alice Pignagnoli ha iniziato con la la Reggiana, la B, la A2, poi il Milan Reggiana, inanellando poi una lunga sequenza di squadre (da Wikipedia): via via in A che però è fallito. Sono ripartita Galileo Giovolley, Tradate Abbiate, Milan, dal Como in A2, l’esperienza di vita di Como 2000, Napoli, Torres (uno scudetto, Napoli e la chiamata della Torres, aluna Supercoppa italiana e la partecipalora un po’ la Juventus di adesso. Lo zione alla Champions League), Riviera di scudetto, la Supercoppa, giocare in Romagna, Atletico Oristano, Valpolicella, Champions. È stato quello l’anno in cui ancora Riviera di Romagna, Imolese, Manho conosciuto lui, Luca, ora mio marito, tova, Genoa e infine Cesena, il suo club tra Sardegna e Reggio Emilia mica era attuale. Una laurea in Scienze della Cocosì facile. Poi il lavoro, col calcio altri municazione e… un marito (Luca Lionetti, due fallimenti col Riviera di Romagna che sempre Wikipedia ricorda ha giocato e il Genoa… Il lavoro? Ho una laurea oltre 300 partite nell’Eccellenza emiliain Scienze della Comunicazione, ero na-romagnola).
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project manager in un’agenzia di comunicazione, già avevo qualche stanchezza/dubbio, sapendo poi d’essere incinta, ho deciso di starmene a casa”. Calcio cambiato “Sì, con l’ingresso delle società prof è proprio cambiato il nostro calcio. Ripenso all’anno dello scudetto con la Torres, ricordo che era il capitano che andava a comprare l’acqua per tutte
noi. Vedo come ora vengono trattate alla Juventus e mi dico che avrei sì potuto nascere io dieci anni dopo o il tutto poteva capitare dieci anni prima. Però, come “vecchia guardia”, penso d’avere il privilegio di sapere quello che abbiamo passato, nulla lo potevamo dare per scontato come vedo fanno adesso le ragazzine (a Cesena hanno puntato molto sul settore giovanile). Loro non possono sapere che noi in Serie A con
la Reggiana avevamo per esempio una sola maglietta e un solo paio di pantaloncini ed eravamo sempre noi che dovevamo lavarli tra un allenamento e l’altro, specie quando si faceva doppio. Penso ai nostri anni bui e penso pure a quelle prima di noi, che avevano ancora meno. Tanti sacrifici, quante ore di macchina giusto per un allenamento: le ho dentro di me queste cose e tuttora le porto con me in campo”.
Alessia Tuttino, centrocampista del Tavagnacco
"Campionato condizionato dalla pandemia" “Con Tommaso è andata abbastanza bene, dai, una via di mezzo, poteva certo andare peggio e c’è da dire, specie per il dormire, che ero proprio abi-
un po’ per conto mio, poi col Tavagnacco, ma con patti chiari, vediamo come va, nessun problema se qualche allenamento lo salto, ste cose qui. Come detto, ero curiosa di come “Poco da fare, in campo mi accorgo rispondevo, è stata una cosa grache la testa vorrebbe fare tante cose, duale e non ho fatto particolare fatica, se non per dei dolori, qui e ma il fisico…” là, che mai prima avevo provato, tuata bene prima. No, niente e nessutipo a un tendine d’Achille”. no mi ha convinta a tornare. Quand’ero incinta andavo a vedere le partite, senE in campo? za aver alcun pensiero che mi mancas“Qui attorno a me è cambiato proprio se il calcio, proprio no. È stato dopo la tutto, tutte ragazze molto giovani, pennascita di Tommaso che ho cominciato sa che quattro o cinque delle compagne a pensare che avrei potuto provarci, che ho adesso le allenavo anni fa. Come soprattutto per curiosità, per vedemi vedono? Da una parte è arrivata la re come avrei risposto fisicamente. Tuttino, la calciatrice d’esperienza inDopo, solo dopo, veniva la squadra, il somma; dall’altra, metti quando chiedo preparare le partite, l’adrenalina lì sul di fare in fretta perché devo tornare da campo e tutto il resto” Tommaso, ecco che salta fuori la mamma: quel che più conta comunque è l’aCom’è andata? spetto calcistico”. “Con la gravidanza avevo messo assieme quasi 11 chili in più, ci ho mesPeccato per il Covid so quasi un anno per tornare al peso “Sì, proprio un peccato. Dopo il Mondiale c’era un entusiasmo “Se penso alle compagne che avevo io alla tale, un’onda che ha porloro età, allora dico che una volta c’erano delle tato a parlare e programcalciatrici molto più brave tecnicamente. Ora mare tra non molto addisono certo più atlete, ma il livello è diminuito, rittura il professionismo, le squadre stesse sono più livellate e meno peccato che questa pandemia ora abbia rallenscontate sono così anche le partite”. tato le cose. È proprio un di prima. E devo dire pure che in foncampionato “brutto” questo, lo scorso do ho ricominciato dopo essere stata turno di campionato si sono giocate ferma praticamente due anni, prima solo due partite, proprio oggi abbiamo
Alessia Tuttino è nata a Udine nel marzo del 1983 ed è di Blessano, una frazione di Basigliano (Ud). Centrocampista di quantità e temperamento, ha giocato con Tenelo Club Rivignano (C-B), Foroni (A), Bardolino (A), Chiasiellis (A), Roma (A) e Tavagnacco (A, ora in B). Nel palmares quattro scudetti, quattro Coppe Italia e quattro Supercoppe italiane. Sono ben 133 le sue presenze con la maglia della Nazionale maggiore. Complimenti.
saputo che anche domenica non giochiamo… ti prepari e poi non giochi, non è una cosa tanto reale così”.
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calcio e legge
di Stefano Sartori
Questo mese parliamo di…
Un caso di fuori rosa alla DRC e al CAS Un argomento ricorrente anche a livello internazionale riguarda l'esclusione di un giocatore dagli allenamenti con la prima squadra ed uno degli ultimi casi discussi alla DRC della FIFA ed al CAS di Losanna in sede di appello riguarda un noto calciatore greco tesserato con un club turco. I fatti: nell'agosto 2014 il calciatore e la società sottoscrivono un contratto valido per due stagioni; a fine marzo 2015 il giocatore, di 34 anni di età, viene informato per iscritto dalla società che per le successive 4 partite non avrebbe più fatto parte della prima squadra e che si sarebbe dovuto allenare con la formazione Under 21 del club. Il calciatore si rifiuta immediatamente ed invia delle contestazioni scritte; in aggiunta, non riceve puntualmente nemmeno lo stipendio di aprile e pertan-
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to risolve unilateralmente il contratto in data 18 maggio 2015 invocando quali motivi principali l’illegittima esclusione dalla prima squadra e la violazione dei suoi "diritti della personalità". La competente DRC delle FIFA esamina il reclamo e la domanda riconvenzionale con la quale il club evidenzia, in estrema sintesi, a) la temporaneità dell’esclusione dalla prima squadra, b) il contratto non vieta la possibilità che il calciatore venga inviato ad allenarsi con la seconda squadra. La decisione viene assunta a maggioranza, con il dissenso degli arbitri nominati dalla FIFPro – il sindacato mondiale dei calciatori, ed accoglie la domanda del club affermando, in generale, che se il contratto tace sulla questione, un club può legittimamente inviare un calciatore ad allenarsi con la
squadra B o Under 21. Inoltre, il club ha comunicato ripetutamente al calciatore che avrebbe dovuto allenarsi con la seconda squadra, ma quest’ultimo non ha rispettato le istruzioni e rifiutandosi di adempiere per circa 1 mese ha legittimato la risoluzione del contratto per giusta causa da parte del club. Il calciatore viene pertanto condannato a pagare al club un risarcimento del danno. In secondo grado, fortunatamente il CAS di Losanna ha annullato la decisione della FIFA DRC ed ha ribaltato la decisione. In relazione alla questione principale (se il club fosse autorizzato a mandare il giocatore alla squadra Under 21), il CAS ha innanzitutto notato che il contratto non conteneva né una clausola che consentisse al club di assegnare
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Decisione n. 46 del TFN
il giocatore alla squadra under 21, né una clausola che specificasse che il giocatore aveva il diritto di allenarsi solo con la prima squadra. In questo scenario, i componenti della corte hanno ritenuto di non poter concordare con quanto precedentemente deciso - a maggioranza - dalla DRC sul fatto, francamente aberrante, che se il contratto tace, un club abbia il diritto di spostare i suoi giocatori da una squadra all'altra. Inoltre, esiste una decisione del Tribunale Federale Svizzero (paese in cui hanno sede sia la FIFA che il CAS), in cui si afferma che un lavoratore ha una giusta causa per risolvere il proprio contratto in caso di grave violazione dei suoi diritti, come, ad esempio, un cambiamento unilaterale o inaspettato del suo status che non sia relativo “alle esigenze dell'azienda o all'organizzazione del lavoro o al mancato rispetto dei propri obblighi da parte del dipendente”. Il CAS ha infine giustamente sottolineato che la squadra under 21 del club era composta principalmente da giocatori dilettanti ed in questo contesto, ha ritenuto che “la retrocessione del giocatore nella squadra U21 a fini di allenamento non è giustificata e costituisce una modifica unilaterale dei termini del contratto di lavoro a scapito del giocatore e, in quanto tale, abusiva”. In conclusione, ha ritenuto che il club abbia arbitrariamente retrocesso il giocatore nella squadra U21, violando il suo diritto di allenarsi e giocare con la prima squadra, col possibile rischio di pregiudicare gravemente la sua carriera professionale, e pertanto, nel riformare la decisione di primo grado, il club è stato dichiarato colpevole di aver violato il contratto ed il calciatore meritevole del diritto di ricevere un risarcimento del danno. Un’altra delibera importante ed un altro punto fermo a tutela dei calciatori.
Calciatori dilettanti, Procuratori ed Avvocati Lo spunto per questa riflessione nasce dalla decisione n. 46 del TFN – Sezione Disciplinare, del 13.11.2019. Nella motivazione del proprio provvedimento i giudici, decidendo sulla posizione di un avvocato deferito all’interno del procedimento che aveva inizialmente riguardato vari soggetti tra calciatori, procuratori e società, dettano un’interessante lettura di una questione che, necessariamente, coinvolge anche i calciatori dilettanti. Si tratta, in particolare, dell’assistenza fornita da un soggetto ad un giocatore non professionista nell’ambito di attività ritenute di interesse sportivo. Il deferimento nasceva, nel caso particolare, dal fatto che un avvocato aveva assistito un giocatore dilettante nelle fasi di contrattazione di un contratto con una società di Serie D pur non essendo iscritto al registro dei procuratori sportivi. A sua difesa il legale deferito (il giocatore assistito aveva invece optato per il patteggiamento e quindi la sua posizione non è stata presa in considerazione nel provvedimento del Tribunale) sosteneva di non aver svolto alcuna consulenza in favore del calciatore e che in ogni caso l’attività eventualmente svolta sarebbe dovuta essere considerata totalmente lecita, tipicamente di natura legale, rientrante nell’ambito della sua attività professionale e del tutto irrilevante per l’ordinamento federale anche a fronte del fatto che lui, fisicamente, alla sottoscrizione del contratto non era presente. Totalmente contraria è risultata, invece, la posizione tenuta dai Giudici del Tribunale che giustificano la loro decisione partendo dall’art. 2, comma 2 CGS. In generale, infatti, la rilevanza per l’ordinamento federale dell’attività svolta nasce nel momento stesso in cui l’avvocato assume, in modo stabile, l’assistenza di un calciatore anche sulla base di un semplice contratto di consulenza (che ben potrebbe
essere anche semplicemente verbale). Il solo agire all’interno del panorama federale rende per ciò stesso assoggettabile un soggetto alla normativa della Federazione. Ed in più, per ciò stesso, l’avvocato che svolge attività tipiche di un procuratore sportivo dovrà essere considerato equiparato a tale figura ed assoggettato alla relativa disciplina, anche se il legale non si qualifica espressamente come tale. A ragionare diversamente, argomentano i giudici, si arriverebbe ad ammettere la possibilità per gli avvocati di agire in assoluta libertà nell’ordinamento federale senza alcuna limitazione o vincolo, che invece vengono imposti agli altri operatori, creando perciò un inspiegabile ed ingiustificabile disparità di trattamento. Sulla base di tali argomentazioni, valutando come rilevante per l’ordinamento federale l’attività svolta dal deferito, i Giudici hanno accolto il deferimento e sanzionato lo stesso sia per aver assistito un calciatore dilettante sia per aver posto in essere tale attività senza apposito mandato depositato e senza essere iscritto all’apposito albo dei procuratori sportivi. Per concludere, invece, guardando la vicenda dal punto di vista esclusivamente dei giocatori, la decisione risulta molto interessante perché sottolinea come un calciatore dilettante, nello svolgimento di attività rilevanti per l’ordinamento federale, oltre a non potersi servire dell’assistenza di un procuratore sportivo (così come tassativamente stabilito dal Regolamento per i servizi di Procuratore Sportivo della FIGC) non potrà nemmeno farsi affiancare o assistere da un avvocato e ciò perché questi, nello svolgimento di attività professionali all’interno della federazione, si vedrà equiparato ad un procuratore ed assoggettato alla stessa disciplina limitativa. Alfredo Giaretta
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politicalcio
di Fabio Appetiti
Con l’On. Andrea Rossi
Lo sport vera infrastruttura sociale del Paese Ringraziamo l’On. Andrea Rossi, parlamentare del Partito Democratico in Commissione Cultura, che ha seguito con attenzione tutto l’iter del testo unico dello sport e che subito dopo l’approvazione dei decreti in Consiglio dei Ministri ci ha concesso questa intervista raccontandoci le principali novità. Tra le luci ce n’è una in particolare che salutiamo con entusiasmo, quella relativa all’abolizione del vincolo entro due anni, da anni attesa da AIC, mentre tra le ombre quella della mancata approvazione del decreto sulla governance dello sport, rinviato a tempi migliori. Un’occasione anche per parlare dei decreti “ristoro” e dei molti provvedimenti che si stanno studiando in legge di bilancio per aiutare lo sport e il calcio ad uscire dall’emergenza. Con la consapevolezza che finalmente il mondo politico ha compreso qual è il valore sociale ed economico del settore e prova a dare risposte concrete. Per una rubrica dal nome “Politicalcio”, che ha sempre cercato di far dialogare questi due mondi, è già questo un piccolo grande successo. Con le restrizioni attuate dal Governo si sta andando verso un lento miglioramento della situazione. Era inevitabile questa seconda ondata della pandemia o si poteva fare qualcosa di meglio nei mesi precedenti? “Io parto dal presupposto che non esiste ‘il perfetto’ e che sempre si può fare meglio soprattutto quando ci si confronta con una pandemia sconosciuta. Chi parte con la presunzione della ragione, in una situazione come quella che si è generata dal punto di vista medico scientifico, parte con il piede sbagliato. Se guardiamo anche a quanto accaduto in quelli che sono i paesi anche a noi più vicini, non vedo ricette miracolose per affrontare la pandemia. Ritengo dunque si sia agito in modo responsabile per un Paese che, non dobbiamo dimenticare, aveva delle sofferenze economiche e infrastrutturali conosciute a tutti da tempo e che ovviamente l’emergenza ha acuito. In ogni modo è stato un Paese che ha saputo reagire e che ha visto assumere 30 mila nuove unità tra gli operatori sanitari tra infermieri e medici e creato più di 5000 mila nuovi posti in terapia intensiva e un Paese che sta facendo un grande sforzo economico cercando di dare ristoro a tutte le categorie produttive, consapevoli che tali risorse non riusciranno mai a sostituire del tutto le normali risorse generate dai settori economici a pieno regime.
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Se poi guardando indietro e dobbiamo fare un po’ di autocritica credo che due siano stati gli elementi che più di altri hanno inciso nella ripartenza del contagio in questa seconda ondata: il primo, che durante l’estate molti hanno pensato che il virus in qualche modo si estinguesse da solo e questo pensiero, unito alla voglia di tornare alla vita normale dopo mesi di lockdown, ha fatto saltare molte difese e dall’altra, a seguito della riapertura delle scuole che di fatto con 9 milioni di studenti era inevitabile aumentasse la circolarità del virus, non si è fatto abbastanza nella fase precedente e successiva all’orario scolastico. Ma ora guardiamo avanti e le misure del governo sia sul piano sanitario, sia sul piano economico sono state ben recepite dal Paese”. Lei è un deputato di una delle regioni più avanzate di Italia, l’Emilia Romagna. La dialettica Governo-Regioni nella fase emergenziale spesso è stata conflittuale. Secondo lei è necessaria una riforma dell’articolo V? “È chiaro che ogni Regione vive la propria situazione sia di contesto sociale, sia di contesto economico ed è chiaro che dalle Valle d’Aosta alla Calabria non è facile tenere unito un Paese che è fatto di mille culture e di mille campanili, ma io credo che ci sia stata nella stragrande maggioranza dei provvedimenti comunità di intenti tra il Gover-
no, le Regioni e i Comuni. Se qualche volta si è andato un po’ sopra le righe dobbiamo anche tener presente la forte tensione che ha accompagnato le scelte di questi mesi e credo che questo sia normale quando combatti un fenomeno nuovo e sconosciuto e ti trovi a navigare in mare aperto. Se poi mi si chiede se bisogna fare una riflessione sul titolo V, dico sì assolutamente e del resto non va dimenticato che ci eravamo battuti come Partito Democratico in tal senso con il sì al referendum del 2016. Sono convinto che alcune materie e competenze concorrenti debbano essere gestite in ambito nazionale, penso ad esempio al piano energetico o alla promozione turistica, mentre invece sulla supremazia del Governo in ambito sanitario ho qualche dubbio perché credo che la conoscenza e la specificità del territorio permetta di intervenire meglio da parte delle Regioni e penso anche a quanto fatto in Emilia Romagna in questi anni dove, nonostante tutte le difficoltà, si è sviluppato un piano sanitario molto attento alle esigenze dei cittadini garantendo a tutti il diritto alla salute”. Parliamo di sport visto che lei è uno dei parlamentari più attivi nella maggioranza su questo mondo. Faccio una riflessione un po’ amara, ci voleva una pandemia per far capire a tutti
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quanto vale questo settore in termini sociali e occupazionali? “A maggio e giugno ho fatto la stessa riflessione sulla scuola dove, finalmente, si è fatta una discussione vera come mai si era fatto negli anni precedenti. E la stessa cosa la potremmo dire certamente nello sport che è una di quelle politiche pubbliche che non trova il giusto riconoscimento che dovrebbe avere sia nel Governo nazionale, ma anche sui territori e negli enti locali. Sono d’accordo sul fatto che la pandemia alla fine ci ha fatto scoprire la dimensione sociale ed economica dello sport che non va mai dimenticata. Pensiamo al calcio, che oggi è la terza/quarta industria del Paese, ma che non può essere considerato solo dal punto di vista dell’evento agonistico o del fatturato economico, ma deve essere considerato anche come fenomeno sociale di massa che riguarda migliaia di giovani che lo praticano, dove ogni fine settimana si svolgono migliaia di partite e in cui lavorano oltre 50 mila persone occupate che vanno dai magazzinieri ai custodi degli impianti che sono lavoratori con stipendi normali, come lo sono anche la stragrande degli atleti che non sono solo quelli di prima fascia. Di fronte ad un fenomeno con questi numeri non possiamo non veder che lo sport deve essere considerato come una vera e propria infrastruttura sociale che rappresenta un tratto di identità dei territori e direi anche un elemento di sicurezza sociale diffusa”. Il Governo ha fatto comunque sforzi importanti verso il settore in questi mesi di emergenza, con i bonus o con provvedimenti come il suo emendamento sul credito di imposta per le società. È soddisfatto? “Io penso sia stato fatto il possibile ma che si possa fare ancora di più. Noi oggi abbiamo messo in campo risorse per quasi un miliardo per gestire l’emergenza con i bonus per i collaboratori sportivi, le sanificazioni delle strutture, i contributi a fondo perduto per le società sportive ma dobbiamo fare un ulteriore salto di qualità che non risponda solo all’emergenza, ma a mettere in campo misure strutturali sul modello dell’emendamento del cre-
dito di imposta, che serve ad attrarre risorse private da incentivare verso il fattore sport utilizzando la leva fiscale. Un altro esempio potrebbe essere quello di lavorare sulla detraibilità delle quote di iscrizione per le attività sportive, non solo per i ragazzi under 18, ma anche per il quarantenne che decide di fare sport e andare in palestra o fare un corso di qualsiasi disciplina: sarebbe un messaggio di grande valore perché significherebbe comunicare a tutti che lo sport fa bene, che lo sport è importante e faciliterebbe l’accesso a tutti alla pratica sportiva”. A fine mese comincerà il dibattito sulla legge di bilancio, sono previsti altri interventi per il mondo dello sport? “In legge di bilancio quest’anno non ci saranno grandi spazi di discussione e credo che dovremmo individuare come maggioranza in Parlamento alcuni provvedimenti e portarli avanti in modo chiaro con il Governo. Per ora nella legge di bilancio sono previsti gli interventi a favore dello stanziamento dei contributi per i lavoratori sportivi e il fondo di 50 milioni di euro per tutte le società dilettantistiche. Accanto a questi interventi individuare altri due-tre interventi strutturali che servano a sostenere e a rilanciare il settore: penso per esempio a rilanciare le risorse a disposizione sul credito di imposta per i motivi che ho detto prima, un ecobonus ampliato a tutta l’infrastruttura sportiva e non
solo alla parte energetica e degli spogliatoi e poi riconoscere delle risorse al Credito sportivo per garantire a tutto il mondo dello sport finanziamenti e liquidità a tassi agevolati, con aiuti anche sul fronte delle garanzie”. Testo unico dello sport. La sensazione è che ci siano novità interessanti come il lavoratore sportivo, ma non ci sia ancora una visione di insieme su come dovrà essere organizzato lo sport italiano nel futuro. “Sì, ormai non parliamo più di testo unico, ma di decreti. Penso che sia stato fatto un grande sforzo da tutte le forze di maggioranza per costruire un reticolato di norme per la riforma complessiva dello sport italiano. Non nascondo certamente la delusione per non essere riusciti a completare ancora la governance dello sport italiano ma spero che in futuro si possa trovare un equilibrio tra le forze di maggioranza per definire questa importantissima parte. Ci sono però nei decreti degli spunti molto importanti: il primo punto l’ampliamento delle tutele per i diritti dei lavoratori sportivi, che dovremo sempre valutare attentamente tenendo presente anche la sostenibilità dell’intero sistema. Per ora sono stati previsti stanziamenti per assorbire nei primi due anni gli oneri contributivi a carico delle società e successivamente rendere strutturale tale sistema. Il secondo punto è quello del superamento del vincolo sportivo adeguandoci a quella che è la realtà europea e rimuovendo un elemento di pregiudizio e ingiustizia nel rapporto tra atleta e società trasformandolo in un indennizzo di formazione e di supporto all’addestramento perché è giusto non disperdere e tutelare le società che investono su vivai e settori giovanili. Infine molto importante la semplificazione sulla normativa relativa all’impiantistica sportiva, la regolamentazione dell’attività dell’agente sportivo con il registro presso il CONI e le norme di sicurezza per impianti sciistici in montagna per garantire a tutti l'accesso all'attività sciistica in sicurezza”. Il calcio professionistico a porte chiuse sta vivendo una fase di grossa difficoltà economica. Lei conosce bene questo mondo per lavoro e passione.
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Come può aiutare la politica una delle principali industrie italiane? “È chiaro che da un lato il calcio prima di tutto si deve aiutare da solo rivedendo un po’ i propri parametri che probabilmente non sono più sostenibili e che danno l’idea di un mondo che vive oltre le proprie possibilità. Ma dall’altro io non sono tra quelli che vedono il calcio come uno “sport per ricchi” o lo descrivono con punte di demagogia visto che come già detto, il calcio è la terza o quarta industria del Paese, riconosce un importante gettito fiscale a tutto lo stato italiano, ha decine di migliaia di occupati in tutto il Paese con un indotto importantissimo e soprattutto rappresenta anche un elemento di costume sociale e popolare per il nostro Paese su cui non si può non riflettere. Se due italiani su tre si dicono appassionati di calcio e se sui primi 50 eventi televisivi più visti 49 sono partite di calcio è evidente che si tratti di un fenomeno popolare di cui la politica ha l’obbligo di tenere conto. E io penso che se di fronte alle difficoltà di questo settore la politica facesse spallucce farebbe un grande errore. Se c’è una richiesta di aiuto io credo che il Governo debba trovare il modo di intervenire con provvedimenti mirati. In tal senso ci impegneremo anche in Parlamento per capire quali”. Come giudica l’entrata di fondi di investimento e la creazione di una media company nel calcio italiano?
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“Come detto il calcio da parte sua dovrà individuare nuovi parametri di sostenibilità, Per quanto mi riguarda ho valutato positivamente questo ingresso di nuove risorse determinate dai fondi di investimento perché intanto va detto che queste risorse non sono limitate solo alla Serie A ma innescano una opportunità per tutta la filiera del mondo del calcio e poi, in un momento così difficile da un punto di vista economico, sicuramente dà ossigeno alle società e a tutto il sistema. Ma c’è un motivo ancora più importante: ossia la gestione dei diritti televisivi in modo più professionale certamente contribuirà da una parte a rendere più competitivo il prodotto confezionato dalla Lega di Serie A e dall’altra a garantire più ‘appeal’ per il nostro calcio sui mercati esteri e quindi a venderlo meglio generando un processo virtuoso di cui c’è grande bisogno per tornare a crescere .Vedremo se il processo arriverà in porto anche per capire quali equilibri si determineranno”. Calcio femminile. Ci sono stati importanti passi avanti per Sara Gama e compagne e la FIGC ha deciso il passaggio al professionismo per il 2022. Questo è il giornale delle calciatrici se vuole può rivolgersi a loro direttamente. “Noi abbiamo fatto una battaglia nella legge delega per riconoscere le pari opportunità alle donne, sia in termini di diritti, sia in termini di accesso delle donne nello sport e questo sia in ambito professionistico sia dilettantistico. Io penso che siamo riusciti a dare una spinta decisiva per riconoscere alle ragazze quello che meritano sia nel mondo del calcio, sia ora con la approvazione della figura del lavoratore sportivo nelle altre discipline. Le ragazze del calcio hanno fatto una importante battaglia e io credo sia giusto riconoscere gli stessi diritti dei loro colleghi visto che l’impegno è paritario e quindi non posso che essere soddisfatto del percorso intrapreso dalla FIGC per il passaggio al professionismo delle calciatrici. La mia soddisfazione principale è quella di aver contribuito a questo passaggio fondamentale superando nel nostro Paese anche un elemento culturale che, in qualche modo, frenava anche nello sport il processo della pa-
rità di genere. Anche in questo settore dovremo impegnarci a renderlo sostenibile in modo strutturale a seguito dei maggiori oneri per le società”. Per chiudere la riporto nella sua regione che è anche una regione a grande vocazione sportiva, un mix di realtà professionistiche (tra cui la “sua” Reggiana) e migliaia di realtà dilettantistiche di base. Un modello per il Paese? “Io non ho mai ritenuto che l’Emilia fosse un modello ma certo è una regione dove, onestamente, si vive bene e dove c’è un ricco tessuto economico di imprese e cooperative accompagnato da un forte tessuto di rapporti sociali in stretto rapporto con le istituzioni: questo è sempre stato un valore aggiunto per la nostra regione. Sicuramente sullo sport abbiamo trovato un terreno fertile per due ragioni: la prima ragione è la presenza di un forte radicamento sociale del volontariato che è un valore soprattutto a livello sportivo e che ha visto un proliferare di realtà che vanno dalle piccole società dilettanti al modello professionistico del Sassuolo che domenica, per qualche ora, è stato in testa alla Serie A, fino alle tante società di pallavolo o di basket dove per esempio Bologna è una capitale riconosciuta. La seconda ragione è senz’altro aver avuto in questi anni un presidente sensibile allo sport come Stefano Bonaccini, che ho avuto modo di accompagnare per tre anni nella nostra regione e che è stato sicuramente un valore aggiunto e ha deciso di far diventare lo sport una delle politiche pubbliche più importanti su cui investire risorse e progettualità. Una progettualità fatta di organizzazione di grandi eventi - il 20 gennaio ospiteremo allo Stadio del tricolore - Mapei Stadium di Reggio Emilia la Supercoppa Italiana - e di un sostegno puntuale e diretto a tante piccole realtà sportive regionali. Questo mix ha fatto sì che l’Emilia Romagna divenisse una regione che vuole bene allo sport e su questo basterebbe anche citare i 45 milioni, che è una cifra enorme, messa a disposizione nei 5 anni precedenti dall’Emilia a favore dell’impiantistica sportiva. Sicuramente questa esperienza può essere utile anche in altre regioni di Italia dove lo sport può divenire volano di crescita e di inclusione”.
segreteria In Italia e in tutto il mondo
Esports, movimento in crescita
Il movimento Esports in Italia e nel mondo sta crescendo sempre di più. Sono ormai milioni gli appassionati che seguono le competizioni virtuali, e sempre più numerosi gli sponsor che decidono di investire in un settore che già vale oltre un miliardo di dollari secondo l’agenzia di studi e rricerche New Zoo. Una crescita esponenziale accelerata dal primo lockdown, che ha costretto moltissime società calcistiche a mettersi al passo con questo fenomeno sportivo e sociale. Tra il 2019 e il 2020, la nascita di numerose competizioni virtuali (come la eSerieA, la ePremier League, la eLaLiga, la Esports Bundesliga, ecc.), ha portato quasi tutti i club di calcio d’Europa a dotarsi di un proprio team di FIFA o di Pro Evolution Soccer, i videogiochi più amati e popolari. Ma in un contesto di continua crescita ed evoluzione del movimento, questo non sembra già bastare più: non solo calcio, quindi. Si è resa infatti necessaria, in questi ultimi mesi, una diversificazione nella creazione di team Esports interni alle società, con l’esplorazione di titoli diversi da quelli di simulazione sportiva, che stanno prendendo sempre più piede tra i giovani e scalano velocemente le classifiche dei videogiochi più usati e seguiti. Così, a livello internazionale, il Paris Saint-Germain Esports ha deciso di scendere in campo con Brawl Stars,
Dota2 e League of Legends. Grazie alla collaborazione con Talon Esports, ad esempio, il nuovo team PSG Talon parteciperà alla Pacific Championship Series, uno dei più seguiti campionati a livello mondiale. Niente a che vedere con il calcio, quindi, ma una mossa di marketing e business che porterà il club transalpino ad abbracciare un bacino d’utenza molto ampio e altrimenti difficilmente raggiungibile. Ma non solo, perché anche il Wolves Esports, il team esports del Wolverhampton in Inghilterra, che già vantava una presenza in PUBG e Identity V, ad inizio novembre ha lanciato il proprio team di Rocket League, titolo inizialmente inserito nel programma di Tokyo2020 come disciplina dimostrativa. Se l’apripista europeo di questa nuova tendenza fu lo Schalke04, capace già dal 2016 di partecipare alla massima competizione europea di League of Legends con il team S04 Esports, il pioniere in Italia di questa nuova tendenza è il Milan, che ha da poco annunciato (in partnership con i QLASH, il team esports più prestigioso del nostro paese) l’inizio di un progetto videoludico che, oltre a FIFA21 si concentrerà anche su Brawl Stars, video game da 141milioni di download unici e un grande seguito tra le celebrity, a partire dalla superfan Gwyneth Paltrow. Decisioni che guardano a mercati anco-
ra inesplorati, come quello degli appassionati asiatici o quello dei teenager di casa nostra, che preferiscono la piattaforma Twitch alla televisione. Un modo per agganciare milioni di possibili nuovi utenti, e allargare la propria community con tutto ciò che di positivo ne deriva. “La diversificazione del business è tutto in un settore così dinamico come quello del calcio”, spiega Tommaso Maria Ricci, direttore generale di MCES Italia, team di proprietà francese che tra i primi ha capito l’importanza di espandersi su tutti i mercati, e ha quindi deciso di aprire pochi mesi fa una sede anche a Roma. “L’anima virtuale degli Esports permette di crescere molto più velocemente, ed esplorare nuovi settori con molta più facilità. Non sorprende quindi che alcuni club di calcio, anche molto importanti come il PSG, stiano puntando su Esports diversi da quelli di simulazione sportiva” – continua Ricci – “Il mondo sta cambiando e bisogna capirlo, i giovani di adesso seguono i player professionisti come fossero stelle del calcio, e se questi competono su videogiochi che sembrano lontani dal mondo del pallone, è necessario adeguarsi e comprendere questi nuovi trend”. Il confine è stato superato, quindi, e il mondo degli Esports chiama a gran voce quello del calcio: un connubio che si sta rivelando vincente, ma che potrebbe essere solo all’inizio.
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secondo tempo
di Claudio Sottile
La seconda vita dell’ex difensore
Guarda (il mare) come Dondo “Nella vita non sempre puoi chiederti come mai, ci sono delle scelte che fai e altre che arrivano. Ho seguito il corso da allenatore e ho iniziato ad allenare. Promozione, Prima categoria, sempre in Liguria, ma non c’è un gran mercato dalle mie parti. C’è bisogno di tempo per fare l’allenatore, e devi conciliare con le entrate di un altro lavoro, altrimenti con gli introiti di quelle categorie non campi. Allora mi è arrivata la proposta di un amico, che mi ha chiesto di dargli una mano con la direzione di un ristorante. Ora sono alla terza esperienza nel settore”. Luciano Dondo, dal prato al bagnasciuga, difendendo con la stessa passione l’area di rigore e quella ristoro. “Ho iniziato in un ristorante con albergo, una situazione assimilabile a quella attuale. È durata un anno e mezzo. Poi con un altro amico chef abbiamo preso in gestione un ristorante sempre a Borgio Verezzi, per 5 anni. Dal 2015 gestisco il ‘Rivamare’, nel mio paese in provincia di Savona. C’è il bed and breakfast con quattro camere, un ristorante, tutto attorno la spiaggia con un bar, quindi in più d’estate si lavora con cabine e ombrelloni. Il ristorante è abbastanza grande, ma anche l’albergo e la spiaggia dicono la loro. È sabbia, mista a ciottoli, dipende da cosa decide il mare. Quello ligure è sempre pulito e sa essere molto bello”. Di cosa ti occupi, nello specifico? “Sono responsabile della gestione. In cucina lascio fare ai cuochi perché so preparare qualcosa, ma non ho mai svolto professionalmente questa attività, mi ci dedico solo a casa per far da mangiare ai miei o a me stesso”. L’hotellerie è nel tuo destino. “I miei genitori gestiscono tuttora un albergo a Pietra Ligure, vengo da una famiglia di albergatori, so di cosa si tratta. A 14 anni, in estate, aiutavo in sala e nelle impellenze quotidiane.
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Quando ho iniziato a giocare non ero più tanto libero per farlo”. Quando eri ancora in campo, pensavi già al dopo? “Sì, ci pensi quando inizi ad avere l’età per smettere. Ho giocato fino a 37 anni in categorie minori, e il pensiero talvolta mi sfiorava. Mi sono dato da fare, ho preso l’Uefa B quando ancora ero a Pavia. Mi sono, inoltre, laureato col massimo dei voti in Scienze Motorie, avevo fatto l’Isef e mi è bastato aggiungere il quarto anno integrativo. Pensavo di rimanere nel calcio, mi piaceva stare in questo ambito e mi piace tutto lo sport, ma ti scontri con una realtà diversa. Qui in Liguria non ci sono tante occasioni, che permettono di sfruttare quello per cui ti sei speso, non siamo in Lombardia o in Veneto”. Che calciatore sei stato? “Sono arrivato fino alla Serie B col Pisa. Ho in cascina parecchi anni di professionismo. La maggior parte della carriera l’ho trascorsa in C. Ho girato quasi tutto il nord ovest, Pavia, Pisa, Fiorenzuola, Livorno, Varese, Cuneo. Ho macinato anche la mia trafila nelle nazionali minori di C, fino a sbarcare appunto nei cadetti, due anni e mezzo col Pisa, compreso il fallimento dell’ottobre 1994. Sono riuscito a togliermi delle soddisfazioni, e come diceva un mio vecchio compagno ognuno ha ciò che si merita. A 15-16 anni ho esordito in Promozione, dopo le giovanili in parrocchia. Questo mi ha fatto acquisire più malizia, ma mi mancava un po’ di tecnica, perché non avevo una base di scuola calcio giovanile. Feci un provino col Genoa, non ho mai capito se non mi hanno voluto dare o non mi hanno preso loro, avevo 14 anni e non saprò mai come può essere andata. Ho svolto per tanti anni sicuramente il lavoro che piacerebbe a chiunque”. Sei tifoso del Grifone? “Sono juventino, simpatizzante genoa-
no. Mi piace il pallone, adoro la competizione, di tutti gli sport. A sette anni, eravamo alla fine degli anni ‘70, mio zio mi portò al vecchio Comunale di Torino a vedere qualche partita dei bianconeri allenati da Giovanni Trapattoni, quella Juve aveva il blocco della Nazionale, perciò mi sono legato”. Nella tua struttura transitano addetti ai lavori? “Negli anni sono passati. Parecchi miei ex compagni, in primis. È venuto Evaristo Beccalossi, poi Gigi Maifredi. La mia non è proprio una zona da calciatori, non sono in Sardegna o in centro a Milano (sorride, ndr). Però sono vicino di Claudio Marchisio, che ha uno stabilimento nei pressi del mio, gestito dallo zio”. Com’è andata l’estate 2020, costretta tra la prima e la seconda ondata pandemica? “Eravamo preoccupati a maggio in vista della stagione, perché abbiamo rivisitato le distanze, togliendo molti ombrelloni, in una spiaggia non grande già di per sé. Qui in Liguria i mesi lavorativi da giugno a settembre sono fondamentali. Gente ce n’è stata, anche in Toscana mi hanno detto, pure la montagna ha avuto un buon successo, in tanti non sono andati all’estero. Hanno sofferto le grandi città, lì c’è stata una ripercussione maggiore. Speriamo di risolvere in fretta la situazione che ci attanaglia, non si può andare avanti così a lungo, fermo restando il rispetto della salute”. Cosa hai percepito nel momento in cui hai deciso di guardare oltre, smettendo con l’agonismo? “Può capitare di fare nella vita ciò che ti piace, come può essere lo stare nel ramo sportivo. Altre volte non si riesce a combinare il tutto, nella vita servono fortuna, capacità, voglia di impegnarsi anche in cose che non riguardano aspetti sui quali hai studiato o lavorato fino ad allora. Capita di cambiare total-
secondo tempo
Luciano Dondo è nato a Loano (SV) il 5 febbraio 1970. In carriera ha vestito le maglie di Carrarese, Pavia, Pisa, Fiorenzuola, Livorno, Varese, Pro Patria e Cuneo. A fianco, nel suo locale insieme a Maifredi. A fianco con Castagner e Ferrante nel Pisa in B, dove ha giocato anche con Bobo Vieri.
mente il percorso lavorativo. In questo caso ci si dedica ad altro, l’applicazione e la preparazione portano a risultati. Fortuna e periodo fanno il resto, basti pensare a ciò che stiamo vivendo adesso. Come in campo, bisogna sempre ragionare su una soluzione e impegnarsi per cercarla. Le partite non hanno mai copioni da rispettare, il calcio è bello per quella componente di imprevedibilità. Come la vita”. Il tuo è un addio o un arrivederci al mondo del calcio? “Un arrivederci coi puntini di sospensione. Sto sempre aggiornando i miei corsi, per tenermi pronto. In tanti mi chiedono di andare a dare una mano su qualche panchina, ma il problema è sempre il tempo da dedicare. Quando hai un’attività come la mia, devi stare dentro per seguirla 24 ore su 24, non puoi delegare, in primis perché avresti un aumento dei costi, e poi perché è giusto che il cliente si confronti con chi ha le briglie della gestione. Alle attività, soprattutto quelle piccole, devi stare accanto. La domenica è un giorno di grande lavoro e non potrei andare alla partita, stesso discorso con la preparazione e il ritiro, è impensabile lasciare il lido in piena estate. E poi non sempre sono a mio agio rispetto a certe dinamiche”.
re un post sul risultato di una partita, perché tutto si traduce in una rissa verbale virtuale che non mi piace”.
In che senso? “Vedo troppo accanimento su ciò che riguarda lo sport, sembra quasi una guerra di quartiere. Sono diventati tutti ultrà di ogni argomento, dalla politica al calcio. I social hanno aumentato e amplificato queste distorsioni. Si alimenta una discussione sterile, io non mi azzardo nemmeno più commenta-
Ti capita di avere ogni tanto la sfera di cuoio tra i piedi? “Ho partecipato con gli amici a qualche torneo, però se mi rimetto le scarpette è facile che mi stiri, nonostante fortunatamente fisicamente sia ancora integro e non ho ancora tanta pancetta. Se non ti alleni sei predisposto a farti male, tuttavia ogni tanto vado a sciare”.
E se invece si preferiscono le onde, perché venire al “Rivamare” di Borgio Verezzi? “È una delle poche attività complete, soprattutto in Liguria, che ti permette di avere un affaccio sul mare, scendere dalla camera e fare colazione praticamente in spiaggia. Poi si ha la possibilità di una passeggiata nei borghi dei dintorni, si può mangiare bene a giudicare dai riscontri. Offriamo una buona qualità a un giusto prezzo”.
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io e il calcio
di Pino Lazzaro
Antonio Esposito (judo)
“Fatica, lavoro, costanza… e un po’ di talento” “Ho iniziato per via di mio padre Giuseppe e pure di mio zio, entrambi ex judoka. Ricordo che mio padre mi portava alle gare, anche ai campionati assoluti e vedendo quelle tute dei gruppi sportivi della Finanza, dei Carabinieri e degli altri, mi brillavano gli occhi, pensa un po’, come per uno del calcio a vedere Messi. Tra l’altro, quelli che più ancora mi attiravano erano quelli del gruppo sportivo della Polizia Penitenziaria, la loro era sempre una squadra fortissima e adesso che pure io sono in
che ho cominciato a crederci e le cose sono andate avanti negli anni, quando ne avevo 16 i primi ritiri con la Nazionale e poi, a 18 anni, il boom della vittoria al Mondiale Juniores. Con la scuola? Sono arrivato al diploma, ragioneria e l’idea dell’università l’ho lasciata stare, proprio non ce la farei a starci dietro”.
c’è la parte tecnica che comprende pure i pandori, così li chiamiamo noi (sorta di combattimenti liberi; ndr). Un’altra delle fortune che ho è che a Napoli ce ne sono parecchi di partner con cui mi posso allenare, il judo non è come il calcio, non è che di iscritti ce ne siano così tanti, ecco dove sta la fortuna per me che sono di Napoli”.
“Macché, se proprio vuoi chiamarlo lavoro, devi metterci le virgolette: per me è prima di tutto una passione e pensa che sono pagato “Sono tifosissimo del Napoli, per fare ciò che mi diverTe ne dico una: se poi ogni anno spero sia la volta te. si potrà fare, il prossimo 20 novembre abbiamo buona per lo scudetto” l’Europeo. Ora sono qui al questo gruppo sportivo, posso proprio centro di Ostia, prima sono anche stadire d’aver realizzato un sogno. M’è to positivo al Covid e insomma è più di subito piaciuto il judo, proprio tanto e un mese che sono qua dentro, uno pose facevo qualcosa che non andava, trebbe anche pensare ma chi me lo fa la punizione di mio padre era proprio fare, invece sono contento e sereno, mi quella di non portarmi in palestra”. sento sempre fortunato di poter fare quello che mi piace”. “Ho capito che potevo fare anche un po’ di strada quando ho vinto il cam“Sì, riconosco d’essere uno un po’ pionato italiano esordienti, è stato lì quadrato, non ne salto certamente nemmeno uno di allenamento, per me è come andare in chiesa e a volte lo capisco pure che dovrei mollare un po’, anche quando mi capita qualche infortunio non è che riesca poi a stare troppo fermo, no, so che non sempre va bene. Però ci sto attento a quello che faccio, tanto attento e curo sia l’alimentazione che ancor più il riposo, sono uno che ha bisogno di dormire parecchio. Solo nei fine settimana, ogni tanto, un po’ lascio andare”.
“Devo dirti che tutto sommato sono più forte credo in allenamento che in gara. Capita sì di fare delle gare strepitose e allora sono io il primo quasi a stupirmi di come sono andato. Tieni conto poi che di gare non ce n’è una ogni domenica, capitano ogni uno-due mesi, la tensione così è ancora di più: in allenamento sei libero, in gara c’è un avversario, c’è l’arbitro, ce ne sono di cose, puoi sempre avere un calo di rendimento. Sono poi gare lunghe, s’inizia al mattino e si finisce di sera, la devi tenere la concentrazione e così quel che più conta è la testa, così è sempre andata per me quando ho fatto bene in gara. Di solito la notte prima faccio fatica a dormire, abbiamo il sorteggio, sai già con chi dovrai misurarti e allora mi vado a studiare l’avversario, di notte sono lì che immagino il combattimento, per questo ce ne sono parecchi di atleti che nemmeno ci badano al sorteggio, preferiscono così… te l’ho detto che sono uno quadrato”.
“La nostra settimana tipo va da lunedì a sabato, domenica è proprio festa. Sedute doppie il lunedì, il martedì, il giovedì e il venerdì; al mercoledì e al sabato ne facciamo solo uno di allenamento. In genere le mattine le dedichiamo alla preparazione atletica, con percorsi aerobici in circuiti, mentre al pomeriggio
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“No, non ho mai fatto ricorso io al mental coach, basta e avanza avere al mio fianco i miei allenatori, come Raffaele Parlati, lui che sa stimolarmi giorno dopo giorno. Di momenti brutti ne ho passati ma sono sempre riuscito a rialzarmi da solo. Ricordo da junior, continuavo a perdere e non ero nemmeno ancora entrato in un gruppo sportivo. Però non ho mollato, mai; tanto mi hanno aiutato i miei genitori, sia a rialzarmi che a farmi tirar fuori quello che avevo dentro. Continuavo a perdere ed è poi arrivato il titolo di campione del mon-
io e il calcio
LA SCHEDA che proprio cerco di non mancare mai è quella con la Juventus, chissà quando li riapriranno adesso gli stadi. E ci gioco ancora con gli amici, a fine allenamento facciamo spesso partitelle tra noi e visto quanto corriamo, si fa un po’ di allenamento in più”.
do Under 21, allora sì è stato là che mi sono guardato allo specchio, che ho capito chi potevo essere. La mia qualità migliore credo sia la costanza, così sono sempre stato; mi sono costruito, poco alla volta, non è che abbia chissà quale talento: sono partito insomma da zero, tanta fatica e tanto lavoro”. “Ora come ora sono in corsa per un posto alle Olimpiadi di Tokio, nel ranking sono pure messo bene, mi manca solo un punto per la qualificazione, basta un combattimento vinto, però il problema non è tanto quello di vincere, quanto quello di poterlo in effetti fare un combattimento, col Covid siamo sempre sospesi, una marea di tamponi, col terrore di ricascarci, d’essere di nuovo positivo… allenamenti, devo scendere di peso, i tamponi, ce n’è di stress. Vediamo se si farà insomma sto Europeo, due anni fa sono arrivato secondo, l’anno scorso quinto: spero di fare meglio. Però, anche se faccio bene, non è che sia finita, sino al prossimo maggio ci sono poi altri tornei, qualcuno potrebbe sempre superarmi”. “Sono tifosissimo del Napoli, come no, ogni anno spero sia la volta buona per lo scudetto. Mio padre mi ha raccontato quel periodo con Maradona, quel che era diventata la città, tutta colorata di azzurro: ecco, mi piacerebbe poter vivere un’esperienza così. Allo stadio certo che ci vado, la partita
“Beh, sto fatto che ci sono sempre pagine e pagine sul calcio e quasi niente per noi del judo un po’ mi fa diventare nervoso. Oltre al judo ce ne sono tanti altri poi di sport che non sono calcolati, che non vengono riconosciuti, eppure si fanno sacrifici almeno pari di quelli dei calciatori. Anche noi portiamo a casa delle medaglie importanti e ricordo quelle poche righe che sulla Gazzetta sono uscite su di me per un terzo posto europeo. Lì alla televisione vedo che c’è scritto Studio Sport: perché poi c’è invece solo il calcio? Qui al Centro Olimpico di Ostia ci sono grandi atleti, campioni olimpici, del mondo: ci si fa caso solo al tempo dell’Olimpiade e solo se portiamo a casa una medaglia. Persino per un Mondiale o un Europeo fai fatica a trovare una riga…”.
Classe1994, di Melito di Napoli, Antonio Esposito ha cominciato ad affacciarsi sui tatami seguendo il papà Giuseppe, a sua volta judoka nella scuola della famiglia Maddaloni a Scampia: in seguito ha trasferito la sua sede di allenamento al Nippon Club di Ponticelli. Campione italiano esordienti nel 2008, il suo primo successo internazionale è arrivato ai Mondiali U20 del 2013 a Lubiana: primo italiano a conquistare un titolo iridato juniores. Un oro e due argenti in tre consecutive edizioni degli Europei U23, nel 2018 ha portato a casa da Tel Aviv un altro bronzo a livello assoluto europeo (kg. 81). Atleta delle Fiamme Azzurre, il Gruppo Sportivo della Polizia Penitenziaria, punta ora alla qualificazione ai prossimi Giochi Olimpici di Tokyo. Ecco come si chiudono, sul sito della Polizia Penitenziaria, le note biografiche a lui dedicate: “…ha avuto il merito di emergere in un territorio difficile come quello della provincia nord di Napoli, nonostante l’assenza quasi totale di strutture sportive adeguate: e la sua speranza è quella di cambiare in positivo questa realtà sociale grazie alle sue imprese sportive”.
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internet
di Mario Dall’Angelo
I link utili
Insieme ad AVSI per la cooperazione internazionale Il meeting di Rimini, nell’edizione 2020, si è svolto sia pure in tono minore e con molti interventi a distanza, come qualunque evento pubblico al tempo del Covid. È un’iniziativa della Fondazione Meeting per l'amicizia fra i popoli, par-
tita nel 1980 per un viaggio che dopo 40 anni si arricchisce sempre di nuove tappe ed esperienze. Il motore che lo mise in moto e lo mantiene a regime è costituito da alcuni valori fondamentali: felicità, bene, verità e giustizia. Valori ispirati dalla Costituzione e dagli scritti di don Luigi Giussani. Lo scopo è quello di trovare, in mezzo a tanti motivi di contrapposizione e scontro che vi sono nel mondo, le passioni e i motivi con cui creare la possibilità dell’incontro e del dialogo. Un’iniziativa dell’edizione 2020 è stata “#inostrigoal. Calcio e cooperazione giocano nella stessa squadra”, con la collaborazione del Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale, dell’Associazione Italiana Calciatori e con Sky Sport come media partner. A collegarsi con il Meeting nell’ambito dei #inostrigoal è stata Sara Gama. Il capitano delle Juventus Women e della Nazionale di Milena Bertolini è diventata, come altre colleghe, un volto fresco del calcio italiano. E le calciatrici hanno capito subito la responsabilità che investe i personaggi pubblici, come ha chiarito Sara: “Siamo fiorite in questo periodo e ci siamo prese volentieri delle responsabilità in più. Quando si ha la possibilità di fare qualcosa ad alto livello e si è visti da tante persone, non
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ci si può sottrarre al fatto di essere un esempio e di veicolare un messaggio. Lo sport è un mezzo potentissimo per dare l’esempio e trasmettere valori. È una palestra di vita”. La cooperazione, secondo il difensore, “Per noi è un’opportunità di restituire qualcosa agli altri: se siamo arrivate fino al punto in cui siamo è perché tante persone ci hanno aiutato nella nostra vita. Tante bambine e tanti bambini: bisogna prendersi delle responsabilità per loro”. Tra le realtà attive da lunga data nel panorama della cooperazione, era presente al Meeting 2020 la Fondazione AVSI – ETS (www.avsi.org). Costituita a Cesena nel 1972, è un’organizzazione no profit che si occupa di cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario in 33 Paesi, compresa l'Italia, con la missione di lavorare per costruire una realtà in cui ogni persona diventi in grado di realizzare se stessa e possa contribuire al pieno sviluppo della sua comunità, anche in situazioni emergenziali. La onlus dichiara di aver raggiunto con i suoi progetti, nel 2019, fino a 5 milioni di individui in difficoltà, di cui oltre 23.000 bambini. Il ventaglio d’azione dei progetti è molto ampio e multisettoriale. Alcuni numeri, senza pretesa di esaurire le statistiche dei progetti: il 74% coinvolge i migranti, il 71% lavora per la parità di genere e l’empowerment delle donne, il 37% ha coinvolto il mondo del privato. Uno degli obiettivi dell’AVSI è l’educazione e la protezione dei bambini, proprio l’argomento toccata da Sara Gama nel suo intervento. In collaborazione con alcune altre organizzazioni - Terre des Hommes Italia, Terre des Hommes Olanda e War Child Holland – ha dato vita al progetto “Back to the Future”. Grazie al sostegno finanziario dell’UE, tra il 2016 e il 2019 è stato dato supporto allo studio a oltre 2.700 bambini siriani e giordani, garantendo loro il trasporto, corsi di recupero e altre iniziative nei centri educativi di comunità ad Aqaba
e Az-Zarqa. Il fenomeno dell’abbandono scolastico, nelle due zone dei paesi del vicino Oriente, è stato così contrastato efficacemente nel periodo indicato. Un’altra emergenza e un altro intervento, attualmente in corso, riguardano il trasferimento forzato, causa esproprio per la costruzione di un’autostrada, di oltre 7.000 famiglie che vivono in una baraccopoli alle porte di Kampala, in Uganda. AVSI ha inviato degli assistenti sociali che, nell’ambito del progetto No One Worse Off – in collaborazione con Cities Alliance e sostenuto da un fondo europeo – stanno incontrando le persone più vulnerabili per mettere a fuoco la loro situazione e individuare le soluzioni adeguate. Un’azione umanitaria svolta nel pieno dell’emergenza Covid del continente africano. Una situazione di grande difficoltà e rischio che AVSI ha deciso di affrontare è il fenomeno dei desaparecidos in Messico. Nel paese centroamericano ogni anno spariscono senza lasciare tracce molte migliaia di persone, in un contesto di estrema violenza endemica - oltre 250.000 vittime dal 2006. Una violenza che non risparmia donne e bambini e neppure i sacerdoti: sono 27 i soli preti cattolici uccisi dal 2012. La onlus cerca di mitigare questo disastro umanitario con un progetto, anch’esso finanziato dall’UE, che dà sostegno a circa 200 ong messicane impegnate a dare voce ai famigliari delle persone scomparse. I numerosi progetti dell’AVSI, di cui si trova puntuale descrizione, portano gli operatori a incontrare nel mondo numerosi bambini abbandonati, per i quali l’onlus cesenate si propone come tramite per agevolare adozioni internazionali da parte di famiglie italiane.
Gianluigi Donnarumma @gigiodonna1 The match is not over until it’s over! (La partita non è finita finché non è finita!)
internet
di Stefano Fontana
Calciatori in rete
Pedro e Reina: eviva España www.pedro17.com Pedro Rodríguez Ledesma, meglio noto come Pedro, è un attaccante di straordinario talento originario di Tenerife. Forte di un talento straordinario, è uno dei calciatori più titolati al mondo. Classe 1987, si distingue per la
velocità, le eccellenti capacità in materia di dribbling, la freddezza davanti alla porta avversaria e l'istinto nel fornire assist cruciali agli avversari. Il sito web ufficiale di Pedro Ledesma è consultabile in spagnolo ed in inglese: nonostante la mancanza dell’italiano, i contenuti risultano decisamente fruibili anche per chi non “mastica” la lingua d'Albione o l'idioma iberico. Il navigatore, accolto nel sito da un'im-
magine del giocatore con la maglia della Roma, accede alla homepage vera e propria una volta selezionata la lingua: l'impostazione grafica del sito è davvero realizzata con cura. Pedro17.com ricorda un portale di informazione sportiva. In alto troviamo i collegamenti con le varie sezioni, lo strumento “cerca” e l'ultimo risultato ottenuto dalla Roma. In seguito, quattro articoli dei quali uno in evidenza costituiscono il taglio centrale della pagina: ciascuno corredato di foto e statistiche, questi articoli trattano delle performance di Pedro nelle fila della squadra capitolina. Come lecito aspettarsi, il sito dedica il giusto spazio all'impressionante palmares del giocatore: nel corso della sua carriera, Ledesma ha tagliato con varie squadre di club e la Nazionale spagnola tutti i traguardi più importanti. Non mancano infine una nutrita galleria fotografica ed uno spazio dedicato ai tifosi. pepereina25.com José Manuel Reina Páez, madrileno classe 1982, è il talentuoso portiere
Giampaolo Pazzini @pazziniofficial Ciao CALCIO, sono passati più di 30 anni da quando ci siamo conosciuti… Ero un bambino la prima volta che ho stretto un pallone tra le mani e da allora è diventato per me come un “amico inseparabile”. Ero un ragazzino come tanti, con una vita davanti e mille sogni nel cassetto che sperava di diventare un giorno un calciatore di serie A. Guardavo i grandi campioni in tv e con loro sognavo la maglia azzurra della nazionale, la magia degli stadi pieni di tifosi e la Champions League; ma mai avrei pensato che un giorno tutto ciò diventasse realtà e che grazie a te potessi vivere così tante emozioni. Quel bambino pian piano si è fatto grande e grazie a te ha realizzato uno ad uno tutti i suoi sogni e sai cosa ti dico: “È stato tutto pure più bello di come me l’immaginavo!” Adesso però siamo arrivati alla nostra resa dei conti ed è giunto il momento di lasciarti riposare, penso sia giusto così. Avrei potuto continuare per vivere ancora un po’ quelle sensazioni ed emozioni che solo tu sai darmi, forse sì; il bambino che è in me avrebbe voluto continuare a farlo, ma l’uomo mi dice che è arrivato il momento di salutarci anche perché so già che tutto ciò mi mancherà anche tra 20, 30, 40 anni, perciò: Grazie di tutto! È stato un viaggio PAZZesco!
della Lazio e ultimo difensore della Nazionale spagnola per ben 13 anni, senza contare le innumerevoli sfide affrontare con le formazioni giovanili. Carismatico, da molti definito un leader nato, Pepe Reina è tra i goalkeeper più efficaci del campionato italiano (e non solo). In particolare, nel corso degli anni Reina ha affinato la sua capacità di intercettare i calci di rigore.
Attualmente in forze al club bianco azzurro, Reina ha militato in club internazionali di primo piano come Barcellona, Villareal, Liverpool, Bayern Monaco, Napoli, Milan, Aston Villa, fino ad arrivare alla Lazio nel 2020. Il sito ufficiale di Pepe Reina è consultabile in spagnolo, inglese ed italiano. Dopo aver visitato la sezione news spostiamo l'attenzione sulla pagina dedicata alla biografia del giocatore. Reina parla di sé stesso in prima persona con naturalezza e semplicità: ci sono riferimenti alle sue origini, al valore della famiglia, all'amore incondizionato per il calcio ed ai grandi obiettivi raggiunti come la conquista dei Mondiali in Sud Africa nel 2010. La pagina dedicata alla carriera vede protagonisti i numerosi trofei conquistati nel corso di una carriera costellata di grandi successi: pochi altri giocatori al mondo hanno vinto tanto. La sezione dedicata ai progetti vede Pepe promotore e testimonial di importanti attività benefiche. Non mancano infine la possibilità di contattare il giocatore ed i collegamenti con i profili social ufficiali su Facebook, Instagram e Twitter.
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sfogliando Frasi, mezze frasi, motti, credi proclamati come parabole, spesso vere e proprie “poesie”
Alle volte il calcio parlato diverte più del calcio giocato lo alleno tutti allo stesso modo mischiandoli sempre. Fino a sabato nessuno sa chi gioca anche se io comincio ad ipotizzare la formazione seguente già nel viaggio di ritorno dalla partita. Do a tutti le stese attenzioni. Poi nelle mie scelte non contano nazionalità o età: solo la qualità – Roberto De Zerbi (Sassuolo) Lo spogliatoio, i suoi equilibri valgono sul resto. Sono fili sottilissimi e non devono essere mai spezzati. Il calcio è un gioco collettivo, nel corso
Franck Ribery attaccante della Fiorentina “Made in Italy”
Del calcio italiano mi ha colpito il fatto che qui si vive per il calcio, c'è un'attenzione incredibile, viene molto curata la tattica, gli allenamenti sono intensi, tutti sono molto preparati, si vede che è un Paese dove il calcio è molto importante.
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di una stagione sono tanti i momenti in cui si ha bisogno dei compagni, del passaggio in più, del pallone servito nel punto giusto e al momento giusto. Il buon gruppo ha un'ottima memoria – Ciro Immobile (Lazio) Ho sempre creduto che bisognasse fare gruppo, che chi stava dietro dava il suo contributo come chi stava davanti. Ma un conto è dirlo, un conto è esserci. Mi sono messo alla prova. E sono fiero di me stesso, perché la prova l’ho superata. Questo è stato veramente un anno diverso, per me: fare il secondo, non volere la numero 1, non volere essere capitano. Ho sempre detestato i gradassi e questo era un modo per mettermi alla prova, per dire: io non lo sono – Gianluigi Buffon (Juventus) Si vince con il gruppo – Domenico di Carlo (Lanerossi Vicenza) Sono un classe 1999 e ancora non posso dare consigli ai compagni. Poi è normale che la Serie A ti migliora sotto tanti aspetti, ma non mi sento arrivato – Riccardo Sottil (Cagliari) Penso di essere migliorato a ogni stagione, e non c'entra l'età. C'è chi esce di casa a diciotto anni, e chi vive ancora in famiglia a trenta. Quello che conta è l'esperienza: più impari a capire ciò che fai bene e cosa male, più cresci – Giovanni Simeone (Cagliari) La differenza di un campione come Cristiano Ronaldo è la grandissima fame. Ronaldo ha sempre voglia di migliorarsi, cerca sempre nuove sfide, non si accontenta mai, né in allenamento né in partita, è questo che fa la differenza – Franck Ribery (Fiorentina) I calciatori che mi divertono di più? Non è facile indicare uno o due nomi. Ci sono calciatori come Messi, Ronaldo, Salah, Manè, De Bruyne che sono uno spettacolo per gli occhi ma di sicuro me ne sto dimenticando qualcuno – Franck Ribery (Fiorentina) Anche Ibrahimovic che, come Ronaldo o Messi ad esempio, vive per il calcio. Si diverte in quello che fa ed è spettacolare, da lui ci si aspetta sempre una giocata, un numero ed è sempre capace di fare la
differenza, di trascinare i compagni. È un motivatore eccezionale oltre che un calciatore eccezionale – Franck Ribery (Fiorentina) Ribery è come Ibra, sono campioni che vogliono vincere. Basta vedere Franck un istante col pallone
Giovanni Simeone attaccante del Cagliari “Energie positive”
Il lavoro ti concede opportunità. E le opportunità arrivano quando stai bene, sei equilibrato, possiedi energia positiva dal punto di vista fisico e mentale. Noi siamo fatti di energia e trasmettiamo energia. Io avverto l'energia delle persone, e quando mi sento a disagio è perché intorno ho persone con energia negativa.
tra i piedi per capire che è di alto livello – Giacomo Bonaventura (Fiorentina) La Var è stata un passo in avanti dal punto di vista tecnologico ma bisogna ancora assestarlo del tutto, di certo può essere migliorato. Ad esempio si potrebbe dare la possibilità anche alle squadre di chiamarlo in determinate occasioni – Franck Ribery (Fiorentina)
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Quando entriamo in campo, vado subito dall'arbitro e gli dico: Per favore, se segno non andare al Var, neanche se ti chiamano. Fai finta di niente. Già mi avete annullato un gol il 5 di luglio, il giorno del mio compleanno, contro l'Atalanta – Giovanni Simeone (Cagliari) La formazione di un giocatore, di un attaccante, si completa tra i 28 e i 32 anni. O almeno così è stato per me. Mi accorgo di essere cresciuto mentalmente, sono diverso soprattutto nei momenti di difficoltà, gestisco con maggiore equilibrio e serenità i periodi complicati, lo stress. Quando sei giovane devi continuamente dimostrare, con il passare degli anni acquisisci una consapevolezza della tua forza che ha effetti positivi sul rendimento – Ciro Immobile (Lazio) Io vivo di sogni e utopie. Vivo di questo e non posso pensare che sia diversamente. Mi fa bene anche al fisico. Se non ho un capello bianco, è per quel 20 cento di follia fanciullesca. Non posso pensare che mi venga meno l'entusiasmo – Gianluigi Buffon (Juventus) Futuro allenatore? Per adesso ho ancora voglia di giocare, ci penserò quando sarà il momento Finché avrò ancora voglia e le giuste motivazioni e il mio fisico continuerà a reggere vorrei continuare – Franck Ribery (Fiorentina) Giocherò fino a quando la testa mi guiderà come adesso – Ciro Immobile (Lazio) Se costruisci 5-6 palle gol e non la butti dentro, poi finisce che perdi – Gennaro Gattuso (Napoli) Il calcio però è fatto di momenti e di situazioni non sempre spiegabili – Ciro Immobile (Lazio) Io gioco per vincere qualcosa o sto a casa – Zlatan Ibrahimovic (Milan) Un attaccante per rendere al meglio non deve mai perdere il senso del divertimento, il gusto del gioco – Ciro Immobile (Lazio) Il corpo e la mente ti suggeriscono immediatamente di cosa hai bisogno: mangiare, dormire, lavorare... Ora il mio bisogno primario è divertirmi. Devo andare all'allenamento e in partita per divertirmi. Devo
(Sampdoria) Non vorrei che ognuno pensi che la colpa sia degli altri. Dobbiamo ragionare di squadra. Annusare il pericolo. Non è che poi c'è un interruttore e di colpo ritrovi tutto – Gennaro Gattuso (Napoli) Scontato dire che ho preso da tutti gli allenatori che ho avuto. Loro però mi hanno dato un marchio. Poi bisogna andare sulle proprie gambe. Le mie due gambe sono umiltà e tanta voglia di migliorare – Domenico di Carlo (Lanerossi Vicenza)
Roberto De Zerbi allenatore del Sassuolo “Né marionette né soldatini”
Tanti opinionisti pensano che io muova i giocatori come le marionette: sbagliato. Ero un 10 anarchico, come potrei farlo? Lo cerco di dare una lingua comune alla squadra, ma poi esigo che siano i calciatori a scegliere le parole: la giocata da fare, la soluzione da trovare. Non voglio soldatini. Però mi piace che con uno sguardo due giocatori si intendano. Se poi con uno sguardo si intendono in undici, beh, significa che ho fatto bene il mio lavoro.
ricordare che il calcio è un gioco. In un certo senso, devo tornare a quando avevo dieci anni e in campo facevo più cose di quelle che faccio oggi, proprio perché mi divertivo. Nel calcio si può fare bene o sbagliare, proprio perché è un gioco. Se capisco questo, mi tolgo di dosso tante pressioni. Prima era il contrario: mi caricavo di troppe tensioni – Giovanni Simeone (Cagliari) Uno le critiche le prende e le accetta. Non bisogna fare drammi – Emil Audero
Riccardo Sottil attaccante del Cagliari “Più uniti post Covid”
Stiamo affrontando questo momento con maturità e consapevolezza di dover stare attenti a tutto. Apprezziamo piccoli momenti quotidiani, come lo stare insieme sul campo, che prima davamo per scontati. Siamo diventati più uniti.
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tempo libero Bob Mould
Blue Hearts Il rock è sparito dalle classifiche, monopolizzate da “ribelli” rap e trap e dai loro tatuaggi fighetti, ma per quei pochi (che non sono pochi…) che ancora amano il rock nella sua essenza voce, chitarra, basso e batteria “Blue hearts” di Bob Mould è un disco da non perdere. Mould è stato membro fondatore degli Hüsker Dü, una band hardcore punk/alternative formatasi nel 1979 nel Minnesota, considerata tra i gruppi più influenti della storia del rock alternativo e “Blue Hearts” è il suo ultimo lavoro di una carriera solista che non si ferma mai. È un disco senza pau-
se, quattordici brani per trentacinque minuti, un misto di post punk e rock elettrico, che trasuda impegno politico senza compromessi e che trasmette un’immagine dolente ma non priva di speranza di quello che, forse, rimane ancora il paese delle opportunità, gli Stati Uniti d’America. Chi fosse stanco di rime facili e nenie stordenti può ascoltare il lavoro di questo eclettico cantante e chitarrista, autore e produttore di sé stesso: a breve compirà sessant’anni, ma basta un solo ascolto di Blue Hearts per convincersi che il rock è tutt’altro che morto.
Edizioni SLPC
Transfers of Football Players di Michele Colucci e Desirée Bellia – pag. 892 - € 140 “Transfers of football players” è una guida in lingua inglese indispensabile, che già dal sottotitolo – a practical approach to implementing FIFA rules – evidenzia l’ambiziosa e sicuramente riuscita finalità di fornire indicazioni pratiche sull’implementazione ed interpretazione delle FIFA rules e del Regolamento sullo Status ed i Trasferimenti dei calciatori. I curatori, che coordinano uno staff di addetti ai lavori di provata esperienza, non hanno bisogno di presentazione e rispondono ai nomi di Michele Colucci, consulente dell’Assocalciatori per le relazioni internazionali, funzionario dell’Unione Europea e componente della DRC della FIFA e da Desirée Bellia, Head of Professional Football della FIFA. L’elaborato è suddiviso in due volumi: il primo è dedicato ai trasferimenti
internazionali dei calciatori ed a tutte le tematiche connesse (il contratto di lavoro dei calciatori, il TMS, le terze parti, i diritti d’immagine, la giurisprudenza della DRC e del CAS, indennità di formazione e contributo di solidarietà, regime fiscale dei trasferimenti internazionali, il trasferimento dei minori, gli intermediari), mentre il secondo analizza l’impianto normativo che regola i trasferimenti nazionali di Argentina, Brasile, Cina, Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Portogallo ed USA. Si tratta, in definitiva, di un testo imprescindibile per chiunque voglia approfondire le tematiche internazionali ed a livello domestico relative ai trasferimenti dei calciatori ed è richiedibile contattando lo Sports Laws and Policy Centre all’indirizzo e-mail info@sportslawandpolicycentre.com.
Fondazione Museo del Calcio
Il gioco del calcio e il suo Museo di Paolo Serena – 110 pagine Un volume che racconta i trionfi e le delusioni, le partite e i grandi campioni che hanno segnato il cammino della Nazionale italiana e l’immaginario di milioni di tifosi e appassionati, attraverso maglie, coppe e altri oggetti che compongono la collezione del Museo di Coverciano. Paolo Serena (sociologo
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e giornalista e dal 2015 lavora a Coverciano per l’ufficio stampa della FIGC) ripercorre in un viaggio emozionante, attraverso una cinquantina di cimeli, la storia degli azzurri dalla prima partita del 1910 fino ai giorni nostri. Per informazioni: Tel. 055 600526, e-mail info@museodelcalcio.it
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