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amarcord di Pino Lazzaro

La partita che non dimentico

Francesco Valiani (Pistoiese)

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“Quella che ricordo subito, che ho il calendario, un po’ d’emozione l’aveproprio dentro, è l’esordio in A. Era vo subito avuta, a San Siro! Poi via via esattamente il 31 agosto 2008, dai, me magari ci pensi meno e alla vigilia sono lo ricordo beane. La Serie A, un tra- stati soprattutto i miei amici a sottoguardo importante, io che ci arrivavo lineare che esordivo in A, a Milano passo passo, dopo aver fatto tutte le contro il Milan. Un po’ me l’aspettavo categorie, a partire dalla vecchia C2, però di giocare, venivo da una stagione come dire che me la sono proprio con- in B in cui ero stato tra i protagonisti, quistata la A, confermandomi anno sapevo poi di avere la considerazione dopo anno. Avevo 27 anni quando ho e la fiducia dell’allenatore, di Arrigoni: esordito, giocavo nel Bologna e pen- quella di essere tra gli undici era insa che l’esordio – un sogno nel sogno somma più di una speranza”. – l’ho fatto proprio a San Siro, contro il Milan, quella squadra straordinaria “Pensa, per me quella era pure la prima [siamo andati a rivedere, ecco la forma- volta in assoluto a San Siro, nemmeno zione del Milan di quel giorno: Abbiati, da spettatore c’ero stato e andare lì Zambrotta, Maldini, Kaladze, Jankulo- a vedere il campo prima della partita, vski (46’ Shevchenko), Flamini, Pirlo, è stata una cosa speciale, un qualco“L’esordio in A, col Bologna, sa che tra l’altro si è sempre ripetuta, ogni volta che sono a San Siro contro il Milan. tornato a giocarci. Non era ancora stracolmo come poi saE ho pure fatto gol” rebbe stato, proprio quel giorno c’era la presentazione di Ambrosini (84’ Emerson) Seedorf, Ro- Ronaldinho, quasi tutto esaurito. Oh, naldinho, Inzaghi (68’ Pato); allenatore abbiamo vinto per 2 a 1 e proprio io ho Ancelotti e già che ci siamo, l’arbitro fatto il gol della vittoria! Prima Di Vaio, era Orsato; ndr]”. Quando era uscito poi pareggio di Ambrosini e mancavano una decina di minuti alla fine, loro che ci assediavano e di occasioni ne avevano sbagliate parecchie: palla rubata, noi in avanti e da sette-otto metri fuori area, di destro, di contro balzo, la metto un po’ a girare all’incrocio. Risento ancora quel silenzio dello stadio ammutolito, con l’esultanza lontana dei nostri tifosi, lassù, nel terzo anello. In porta c’era Abbiati e una scarica di adrenalina che non ti dico”.

“Macché, non me la sono mica tolta la maglia, non l’ho mai fatto e mai m’è venuto di farlo: io stesso incredulo, mai mi sarei aspettato pure di segnare, ho giusto aperto le braccia, guardando là in alto, verso i nostri tifosi. Sì, ogni tanto mi capita di rivederlo quel gol, c’è sempre qualcuno che magari me lo ripropone. Non che io stia lì a rivangare, non è che gli dia poi tanto peso, certo a pensarci o a rivedermi, un po’ di emozione la riprovo, anche adesso ne ho”.

“Con la carriera sono arrivato al punto in cui volevo essere. L’anno scorso ho fatto una scelta di cuore, l’obiettivo era ed è chiudere la carriera qui a casa, la società sapeva quanto ci tenessi e io sapevo quanto loro ci tenessero. Io che sono cresciuto lì in curva, io ora con la fascia da capitano e in un’annata poi, questa, in cui si celebra il Centenario della società. Potevo ancora stare in B ma ho deciso intanto per due anni con la Pistoiese, due anni che poi col Covid non sono stati tali. Di mezzo un senso di appartenenza vero, che proprio sento dentro”.

“Sì, sono il capitano e non ho certo

“Scelta semplice per me. Vado subito così a Lecce-Paganese, l’anno in cui lì a Lecce abbiamo vinto il campionato di C. Penultima giornata, in casa, vincendo saremmo stati matematicamente promossi. Settimana in effetti come le altre, in ritiro come sempre il giorno prima, però c’era un’atmosfera diversa, un’attesa che sentivi, erano sei anni che lì provavano a salire, c’era una città intera che aspettava. Allo stadio saranno stati in 25.000 e abbiamo fatto gol abbastanza presto, sarà stato il 25’: un calcio d’angolo che tra l’altro ho battuto io e Armellino di testa l’ha messa dentro. E così è finita, 1 a 0 per noi, altre occasioni ma non siamo riusciti a chiuderla, tanta adrenalina sino alla fine. Finire è stato così liberatorio e bellissimo. Dietro inseguivano Catania e Trapani, noi che eravamo davanti sin dall’inizio ma che poi, a 6-7 partite dalla fine, avevamo avuto una flessione, in classifica s’erano avvicinati e già negli anni prima era successo lo stesso, il Lecce era stato sorpassato proprio all’ultimo, in città temevano di rivivere la stessa storia. Ricordo i giri di campo che abbiamo fatto alla fine, la gente era arrivata allo stadio un’ora e mezza la stazza per mettere uno al muro… a parte gli scherzi, ne ho conosciuti di capitani vecchio stampo, che facevano i sostenuti, che quasi nemmeno parlavano con i giovani. Io invece con loro ci sono sempre stato bene e già da quando ne avevo 30 di anni, con tempi e modalità che non sono più quelle di prima. Sono stato giovane anch’io, so che non si può usare solo la carota, ma per quel che vedo io, non è vero come s’usa dire che siano privi di valori e che pensino solo alle cavolate. Certo, è cambiato rispetto a prima, ma loro continuano a essere belli e genuini, c’è gusto insomma stare con loro nello spogliatoio”. prima ed è poi rimasta lì con noi per un’altra ora e ricordo poi il giro per la città che abbiamo fatto in pullman, tutta quella gente lì per noi, quanta soddisfazione. Di campionati ne ho vinti così sinora tre: quello col Lecce in C, poi l’anno dopo sempre col Lecce che abbiamo vinto la B e un altro di C al tempo in cui ho giocato con la Ternana”. “Come detto col Lecce ho fatto la B, ora sono tornato in C e l’ambizione che ho, la voglia che ho, è quella di riprovarci. Ormai ho quasi 32 anni, tantissime altre opportunità di risalire non credo ci potranno comunque essere: non sono certo tanti 32, però nel calcio di oggi non sono nemmeno pochi. Credo però che sia fondamentale porsi degli obiettivi, averne sempre di ambizioni. Devo dire che gli ultimi anni, quelli che ho fatto al sud, tra Cosenza e Lecce, sono stati certo i più belli e coinvolgenti. Io “polentone” – sono di Lecco – mi sono trovato benissimo a viverci, sono stati anche anni “completi”, con i bambini (uno e una) che crescevano”. “Il dopo è una domanda per me ricorrente, è già un po’ di anni che mi accompagna. Al momento non mi è chiara la risposta e non perché non ci penso, anzi. Sento che la voglia di rimettermi in gioco non mi mancherà, però ora come ora penso a qualcosa di diverso. Potrei dire che ora non penso di allenare, però vedo ex compagni che dicevano lo stesso e allenano… penso piuttosto a un ruolo dirigenziale, magari a fare l’osservatore, star dietro così allo scouting. L’immagino da qui un ruolo comunque che sia importante, dove possa davvero decidere, magari da direttore sportivo, adesso non lo so”.

Andrea Arrigoni

(Teramo) all’inizio erano proprio delle partite assurde, irreali, ma ora un po’ ci siamo adattati, non sembra nemmeno più tanto strano. Fino a qualche settimana fa ce n’erano almeno 1000 di persone, non che cambiasse molto ma era almeno qualcosa, serviva se non altro per ricordarsi com’era prima”.

“Al dopo ci penso, specie ultimamente. Sinceramente faccio fatica a inquadrarmi, non è né facile, né semplice. Penso alla famiglia, ai bambini… non è facile darmi una risposta che mi convinca al 100%. Da una parte potrei avere sì l’idea di continuare nel calcio, dall’altra non escludo certo a priori altre soluzioni”.

Il nuovo libro di Claudio Marchisio

Il bianconero come seconda pelle

L’incipit - Capitolo 1 Dicono che la prima volta non si scorda mai. Mi sa che io invece l’ho scordata. Quando penso al momento in cui ho iniziato a giocare a calcio ho un ricordo che certamente non corrisponde alla prima volta, devo aver cominciato a correre dietro a un pallone molto presto, stando ai racconti dei miei genitori e a qualche soprammobile tenuto insieme con il Bostik che ancora fa bella mostra di sé nel salotto dei miei. Fu mio papà il primo a provare a dare un senso ai miei tiracci casalinghi, forse proprio nel disperato tentativo di salvare i bicchieri del servizio buono che erano pericolosamente esposti in una vetrinetta senza protezione. Mi ritrovai a calcare per la prima volta un vero campo da calcio nel settembre del 1992, e questo è il mio primo vero ricordo calcistico. Avevo sei anni e un male ai piedi mai provato prima (e fortunatamente neanche dopo). Mio papà mi aveva dotato di un paio di scarpe da calcio nuove fiammanti ma con un piccolo difettuccio: erano equipaggiate con i sei tacchetti di ferro che di solito si usano sui campi allagati dalla pioggia, estremamente fangosi e scivolosi. Torino non vedeva pioggia da almeno un mese e mezzo, il terreno compatto del campo somigliava decisamente più all’asfalto di corso Vittorio che al prato del Delle Alpi. Ricordo di aver tenuto duro, stoicamente, per i primi sette minuti. Pit stop, cambio scarpe, allenamento finito grazie alle Nike Air d’ordinanza a scuola. Il primo anno di scuola calcio volò tra grandi partite al “gatto e la volpe” e infiniti inseguimenti a “ce l’hai”. Estremamente divertente ma non proprio il massimo per chi come me non vedeva l’ora di emulare le gesta di Baggio e Ravanelli. Se non si fosse capito, sono nato juventino a Torino, sono cresciuto guardando tutte le partite della Juve, volevo diventare un giocatore della Juve. Sfogliando … (pag. 19) A scuola, al contempo, non brillavo. Mi piacevano storia e geografia, per il resto pensavo letteralmente ad altro. Se non avessi avuto fortuna nel mondo del calcio, mi sarebbe piaciuto aprire un’agenzia di viaggi. … (pag. 20) Nella mia testa fare l’agente di viaggi voleva dire esplorare ogni remoto avamposto del pianeta, incontrare le popolazioni più diverse e disparate, stare lontano da casa per mesi armato solo di zaino, macchina fotografica e spirito di osservazione. Il business sarebbe venuto da sé. … (pag. 23) Il concetto, piuttosto, è che non è necessario che le cose vadano tutte per il verso giusto per essere soddisfatti di sé stessi. E non è dal giudizio degli altri che si può dipendere per valutare il proprio operato. O almeno non completamente. … (pag. 26) Chissà quanti ragazzini hanno un enorme talento e nessuno lo saprà mai. E se questa disparità di condizioni di partenza è vera nel calcio, lo è tanto più in altri contesti. Quanti sono i bambini che per la loro situazione familiare non possono continuare gli studi perché devono lavorare appena possono?

… (pag. 42) … la scuola tende a replicare le disuguaglianze sociali che ci sono nel paese, e dunque a replicare i gap di opportunità che i ragazzi si portano sulle spalle insieme allo zaino quando a scuola ci entrano. Gli studi Ocse dicono con chiarezza che i più poveri economicamente e culturalmente tendono a essere bocciati di più e che chi viene bocciato una volta poi ha una probabilità molto più alta di interrompere gli studi. … (pag. 44) Nello sport professionistico conta la prestazione, tutto il resto passa in secondo piano, non c’è spazio per il prima e il dopo, si vive costantemente nel momento presente. … (pag. 51) Se penso alla parola “solidarietà”, non mi viene in mente luogo migliore per incarnarla se non lo spogliatoio di una squadra. … (pag. 52) Il mister è una sorta di capobranco, quello che detta la linea, che fa marciare tutti allo stesso passo. Una specie di cane pastore che recupera le pecore che si fermano, sbagliano strada, si isolano o rallentano. E mostra a tutti la direzione da seguire, a volte anche abbaiando e ringhiando non poco. … (pag. 56) Quando la macchina gira tu ti senti invincibile, fai allenamenti durissimi e nemmeno te ne accorgi, vivi la pressione in modo molto più leggero e controllato, ti diverti come quando da bambino giocavi nel campetto sotto casa, in molti casi vinci. … (pag. 64) Si possono fare grandi prestazioni, ma solo se si è integri e consapevoli di che cosa sia la leale competizione si può arrivare a essere un leader che dura negli anni, un esempio, un mito. … (pag. 67) Negli anni del filotto di scudetti consecutivi bastava sapere di giocare nella Juve per non temere nessuno svantaggio, nessun avversario, nessun campo. … (pag. 74) Con lo sguardo di oggi dico che avremmo dovuto prendere posizione in maniera più decisa, in quello come in altri episodi. Oggi sarei pronto a dire che la soluzione da attuare, quando si verificano questi atti (cori razzisti), è la sospensione immediata della partita con relativa sconfitta a tavolino della squadra la cui tifoseria si rende protagonista di questo schifo. … (pag. 78) Quello che noi possiamo fare è non minimizzare, non chiamare goliardia il razzismo, non chiamare tifo la discriminazione. Non è ammissibile abbassare la testa davanti all’ignoranza. … (pag. 84) Forse dovremmo cercare di ricordarci che certe cose o sono giuste o sono sbagliate, e che se riteniamo che siano giuste dobbiamo difenderle sempre, non solo quando ci serve per interesse personale. … (pag. 110) Se di qualcosa mi posso rammaricare, casomai, è proprio il fatto di non essere arrivato prima a comprendere quante situazioni ho dato per scontate senza considerare che potessero in qualche modo fare male a qualcuno. … (pag. 123) Siamo nel 2020, il fatto che quando c’è da stendere i panni anche gli uomini siano pronti a mettersi in moto non solo non dovrebbe fare notizia, ma è il minimo sindacale per conquistare la qualifica di marito. … (pag. 127) Tra i primi cento sportivi più pagati al mondo c’è una sola donna ed è al 63° posto (la tennista Serena Williams, una che nella sua carriera ha vinto praticamente tutto quello che si poteva vincere e lo ha fatto per quasi due decenni consecutivi). … (pag. 134) L’ipotesi che mi potessi prendere il congedo parentale per occuparmi io dei figli, come qualunque lavoratore, nel mondo dello sport non era contemplata e, a paventarla, si sollevavano solo risate come se si parlasse di asini che volano.

Claudio Marchisio

IL MIO TERZO TEMPO Nel calcio e nella vita valgono le stesse regole Chiarelettere editore

(Così in terza di copertina) Claudio Marchisio (1986) ha legato gran parte della carriera alla Juventus, club con cui ha vinto sette campionati di A consecutivi (dal 2011-2012 al 20172018), uno di Serie B (2006-2007), tre Supercoppe italiane (2012, 2013 e 2015), quattro Coppe Italia consecutive (dal 2014-2015 al 2017-2018). Ha vinto il campionato russo con lo Zenit di San Pietroburgo, con cui ha giocato l’ultimo anno della sua carriera (2018-2019). Da calciatore si è schierato con forza contro episodi di razzismo e ingiustizia sociale. Il suo impegno civile ha suscitato apprezzamenti e anche reazioni critiche. Collabora con il “Corriere della Sera” (edizione torinese). Nel 2016 ha pubblicato il libro Nero su bianco (Mondadori). (Aggiungiamo noi) Una stagione pure all’Empoli (2007-2008, campionato quello che segnò pure il suo esordio in Serie A), con la maglia azzurra delle Nazionali ha partecipato alle Olimpiadi del 2008 (in Cina), mettendo poi assieme 55 presenze con la Nazionale maggiore, partecipando al Mondiale del 2010 in Sudafrica, all’Europeo 2012 in Polonia-Ucraina (sconfitta in finale con la Spagna), alla Confederations Cup 2013 e al Mondiale 2014 in Brasile. “Voce tecnica” ora alla Rai, è stato per due volte (2011 e 2012) nella “nostra” squadra dell’anno AIC.

EL PIBE DE ORO Diego Armando Maradona 1960-2020

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