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amarcord di Vanni Zagnoli
La scomparsa di un mito
Ho visto Maradona
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È morto Maradona, per i più è stato il più grande calciatore di ogni tempo, assieme a Pelè. Aveva compiuto 60 anni meno di un mese fa, poi era stato operato alla testa, sembrava che fosse in buone condizioni e invece gli è stato fatale un arresto cardiorespiratorio, a casa. Era nella villa del Barrio San Andrés di Benavides, a Tigre, nella parte settentrionale dell'area metropolitana della grande Buenos Aires, sono arrivate 9 ambulanze per tentare di rianimarlo, tutto inutile. Sono arrivate presto l'ex moglie Claudia Villafane e le figlie Dalma e Giannina, poi la sua ultima fidanzata, Veronica Ojeda. In Argentina sono stati proclamati tre giorni di lutto nazionale.
Qui selezioniamo una serie di ricordi fra le migliaia di messaggi arrivati, alcuni raccolti dall’agenzia di stampa Ansa. Partiamo dal Napoli, su twitter una foto di Diego che esulta in maglia azzurra e la scritta “Per sempre” con un simbolo del cuore in azzurro. “Tutti si aspettano le nostre parole. Ma quali parole possiamo usare per un dolore come quello che stiamo vivendo? Ora è il momento delle lacrime. Poi ci sarà il momento delle parole. Diego nel cuore”. E a Napoli si pensa subito di intitolargli lo stadio San Paolo, è d’accordo anche il presidente Aurelio De Laurentiis. “Non riesco a parlarne”, dice con voce tremante Ottavio Bianchi, l’allenatore che costruì attorno al suo talento la squadra del primo scudetto, della coppa Italia e della Uefa. “Napoli perde un figlio” - gli fa eco Giuseppe Bruscolotti, capitano di quel Napoli del 1986, che poi cedette a Diego la fascia. “Mi aspetto un lutto cittadino, anzi il lutto dovrebbe essere di tutto il mondo”. Centravanti del Napoli del secondo scudetto era Antonio Careca: “Sono senza parole, il nostro amico e fratello se n’è andato. È stato e sarà sempre speciale per tutti noi”. Lorenzo Insigne, capitano del Napoli di oggi. “Dal primo giorno in cui sei arrivato nella nostra amata Napoli, sei diventato un napoletano doc. Hai dato tutto per la tua gente, hai difeso questa terra, l'hai amata. Ci hai regalato la gioia, i sorrisi, i trofei, l’amore. Sono cresciuto sentendo i racconti della mia famiglia sulle tue gesta, vedendo e rivedendo le tue infinite partite. Sei stato il più grande giocatore della storia, sei stato il nostro Diego. Ho avuto la fortuna di incontrarti, parlarti, conoscerti e non ti nego che mi tremavano le gambe. Per me hai sempre avuto belle parole, parole di conforto che non potrò mai dimenticare e che custodirò per sempre dentro di me. Da tifoso, da napoletano, da calciatore: Grazie di tutto D10S. Ti ameremo per sempre”. Michel Platini, ex presidente Uefa e bandiera della Juventus. “Con Diego, ci siamo visti, affrontati tante volte. Avevo una grande ammirazione per lui, poi, certamente, c’era la rivalità. Non si può essere al vertice entrambi, giocare coppe del mondo per vincerle, giocarsi i campionati con Juve e Napoli e non essere rivali. La prima parola che imparai arrivando in Italia fu la parola 'sfida': Maradona sfida Platini, Platini sfida Zico… Negli anni Ottanta vivevamo di rivalità. Sono molto, molto triste, c'è la nostalgia di un'epoca che è stata bella. È morto Cruyff, è morto Di Stefano, è morto Puskas, tanti grandi giocatori che hanno segnato la mia giovinezza e la mia vita. Si arriva a un'età in cui vedi tanta gente andarsene”. Paulo Roberto Falçao, ex regista della Roma. “Maradona è stato un semidio del calcio. Con la palla, era un dio, senza la palla, è stato umano. Ho avuto il privilegio di vedere il suo immenso talento in campo e posso testimoniare la sua genialità. Don Diego sarà sempre tra i ricordi migliori degli appassionati di calcio”. Bruno Conti, responsabile del settore giovanile della Roma: “Ciao Grande Diego. Rip”. E’ stato suo grande rivale in tante sfide fra Roma e Napoli e fra Italia e Argentina, come quella epica dei Mondiali del 1982 in cui l'azzurro divenne 'Marazico'. Franco Baresi, vicepresidente onorario del Milan: “È una notizia che mi ha sconvolto, mi piange il cuore. È una leggenda, un mito, uno dei più grandi della storia del calcio o, possiamo dirlo, il più grande di tutti. Ci ha fatto soffrire, ci ha fatto un sacco di gol. A volte gli si faceva fallo, lui prendeva le botte ma senza mai lamentarsi. In campo era leale. Era amato dai suoi compagni, perché non faceva pesare la sua grandezza, e dalla gente, che andava allo stadio per le emozioni che regalava”. Paolo Rossi, capocannoniere del mondiale vinto dall’Italia, nel 1982: “Diego è stato il genio del calcio mondiale, un talento ineguagliabile. Assoluto. Una gioia per tutti quelli che amano il calcio. Mancherà. Ciao Diego”. Claudio Gentile, terzino di quella Italia, lo fermò nel girone al mondiale del 1982. “Lo fermai e non accettò la sconfitta: non volle darmi la maglia e al Mondiale non si fa. Mi deluse. Con Zico ci fu a fine partita il tradizionale scambio di maglie a fine partita, nonostante l’avessi scambiata con lui e non con l'argentino, come molti erroneamente ricordano. Diego doveva essere la ciliegina sulla torta dell'Argentina campione, non accettò la sconfitta. Mi accusò di averlo picchiato: ma in tutta la mia carriera non sono mai stato espulso. Lui, in quel Mondiale, sì. Come giocatore è stato il più grande di tutti. Riposi in pace”. Stefano Tacconi, ex portiere della Juve, anni ‘80. “Aver preso gol da Diego Armando Maradona per un portiere è un orgoglio, non una sconfitta. Sono 35 anni che viene ricordata la rete che Diego mi fece su punizione con il pallone all'interno dell'area di rigore in
Napoli-Juventus, è stato il secondo gol più bello di sempre segnato da Maradona, dopo quello all’Inghilterra. Secondo me Maradona avrebbe voluto morire esattamente così e non certo arrivare a 100 anni quando non ti si fila più nessuno. Adesso invece lui è eterno, per sempre sarà Diego Armando Maradona per tutte le generazioni che verranno. Oggi ci sono Messi e Ronaldo che sono dei fuoriclasse, ma il loro è un calcio business, quello di Maradona, Platinì, Falcao era invece calcio spettacolo. Voglio ricordare il suo tratto generoso di uomo, in occasione della partita di beneficenza a Terni tra la Ternana, con la quale giocai pure io, l’Argentina, si presentò con tutta la squadra al completo. Anche questo era Maradona”. Ruud Gullit, olandese, avversario di Diego con il Milan, negli anni ’80. “Vivrai per sempre nel mio cuore e in quello di moltissimi altri amanti del calcio. Il miglior giocatore che abbia visto e contro cui abbia giocato”. Claudio Caniggia, argentino, ex Atalanta e Verona, suo compagno nel Boca Juniors e in nazionale. “Sono devastato per la notizia, era mio fratello... Spero che tu capisca che non ho parole in questo momento. Voglio solo dire ai suoi familiari che li accompagno in questo dolore”. Il vicepresidente dell’Inter Javier Zanetti: “Diego è unico per tutto quello che ha fatto, per come ci ha reso felici dentro in campo di calcio. Io ancora non ci credo, come tutti gli argentini non credono a questa notizia che è arrivata. È una tristezza per tutti coloro che amano questo sport. Nel 1986, quando vinse il mondiale, avevo 13 anni, ho vissuto uno dei momenti più belli della mia vita, vedere l’Argentina campione del mondo e tutto quello che ha fatto Diego in quel mondiale, per tutti noi è stata una grande felicità. Diego ci ha tramesso l’amore per questo sport. Diego ha rappresentato l’essenza del calcio”. Antonio Conte, allenatore dell’Inter: “Stiamo versando tutti quanti tante lacrime per la scomparsa di una persona che ha fatto la storia del calcio e rimarrà per sempre in maniera indelebile nella storia. Stiamo parlando della poesia del calcio, un calciatore contro cui ho avuto il piacere di giocare e di marcarlo. Fatico a credere che non ci sia più, era anche giovane”. Giampiero Gasperini, allenatore dell’Atalanta: “Ho avuto la fortuna di vivere da giocatore, da avversario, l'esperienza fantastica di Diego a Napoli: non lo si può dimenticare”. Zinedine Zidane, francese, tecnico del Real Madrid. “La notizia della scomparsa di Maradona è molto triste, non solo per il mondo del calcio ma per il mondo intero. Ricordo soprattutto il Mondiale del 1986, avevo 14 anni. È stato un giocatore unico. Il mio idolo era Francescoli, ma volevamo tutti imitare Maradona. Ho avuto la fortuna di potergli dire che era fantastico”. Alejandro Gomez, il Papu dell’Atalanta, argentino: “Oggi è morto anche il calcio, hai dato gioia a tante persone. Riposa in pace Diego, mancherai molto a tutti gli argentini e a tutti noi che sogniamo un giorno di essere come te e di indossare quel numero. Non meritavi di passare il resto dei tuoi giorni così. Mando le mie condoglianze a familiari e amici. È tutto molto triste”. Domenico Criscito, capitano del Genoa, napoletano di Cercola: “Grazie per tutto quello che hai fatto per il calcio... riposa in pace”. Leo Messi, argentino, capitano del Barcellona. “Un giorno molto triste per tutti gli argentini e per il calcio. Ci lascia ma non se ne va, perché Diego è eterno. Mi rimangono tutti i momenti belli vissuti con lui, voglio cogliere l'occasione per inviare le mie condoglianze a tutta la sua famiglia e ai suoi amici”. Zlatan Ibrahimovic, capocannoniere della Serie A, con il Milan. “Maradona non è morto, è immortale. Dio ha dato al mondo il miglior calciatore di tutti i tempi. Vivrà per sempre”. Frank Ribery, francese, della Fiorentina. “Terribile venire a sapere della perdita di una vera leggenda del calcio. Ma le leggende non muoiono mai. Che Dio ti dia la pace. Ciao Diego”. Infine Jorge Valdano, compagno di nazionale di Diego Maradona in quell'Argentina che vinse i mondiali del 1986, e poi suo 'cantore' in saggi e articoli. Per l'emittente Movistar, era collegato su un campo di Champions. “La notizia mi ha colto di sorpresa e mi ha fatto immensamente male, per il giocatore e per l'uomo. Molti dei ricordi mi provocavano sorrisi...”. Valdano non ce la fa a proseguire e comincia a piangere.
Ecco, nelle lacrime di Valdano ci sono i sentimenti di tanti che hanno apprezzato Diego Armando Maradona. In Argentina, in Spagna, in Italia e in tutto il mondo. Anche nella sua carriera di allenatore, a Dubai e negli Emirati Arabi, in Messico e Argentina, persino da ct dell’Albiceleste. Sul campo è stato immenso, fuori, meno. Ebbe due bimbi (Dalma Nerea e Giannina Dinorah) dalla storica moglie Claudia Villafane, poi Diego junior con Cristiana Sinagra, la ragazza napoletana che dovette combattere per anni in attesa che il campione riconoscesse quel figliolo identico a lui. E poi Jana, avuta da una nuova fidanzata, tale Valeria Sabalaìn, per chiudere un altro Diego, questa volta un Diego Fernando, figlio (ultimo) di Maradona e Veronica Ojeda. Fece uso di droghe e stimolanti, ha sofferto di bulimia e sbalzi d’umore. Apparì biondo ossigenato e poi tatuatissimo. È morto nello stesso giorno di George Best, scomparso 15 anni fa, e di Fidel Castro (spirato 4 anni or sono), il leader cubano che l’aveva ospitato spesso. Come segni del destino.
Under 20,5 gli “azzurrini” in Italia – Eire 2-0
Testa o… croce Stefan de Vrij e Zlatan Ibrahimovic in Inter – Milan 1-2
Casquè Tommaso Pobega, Julian Chabot e Alvaro Morata in Spezia - Juventus 1-4
Fallo da dietro Gianluigi Donnarumma a Stefano Pioli in Inter – Milan 1-2
La Lanterna Magica Emil Audero su tutti in Sampdoria 1-1 Genoa
Tre foto tre storie
Il mediano-avvocato, cinque facce da derby e i “pallonetti” di Cecilia
In queste preziose immagini tratte dall'archivio dell'Associazione Calciatori compaiono: Diego Bonavina, centrocampista nel Treviso degli anni '90', oggi legale affermato (nonché assessore allo sport a Padova), alcuni protagonisti di una drammatica stracittadina del 1951 fra Genoa e Sampdoria, e infine la ventiduenne Prugna, talentuosa ragazza dell'Empoli al debutto in Nazionale.
Quella testa che svettava nel mucchio - Svettava di testa, l'avvocato Diego Bonavina, classe 1965, romagnolo di Morciano, entrato nella storia del Treviso Calcio, di cui in questa foto indossa la maglia. Svettava di testa, accreditandosi come uno di quei centrocampisti abili nell'irrompere in area al momento giusto, quando nessuno della difesa avversaria è più in grado di prenderlo in tempo, ovvero prima della solenne incornata o dell'incontrollabile "spizzata" che non danno scampo ai portieri. Di questa sua dote aerea, come della capacità di coprire il campo con severa intelligenza tattica, conservano ricordi nitidi, forse indelebili, i tifosi del Treviso, quando rievocano il triennio più aureo nella storia della squadra biancoceleste: i campionati che, fra il 1994 e il 1997, partendo dal campionato interregionale, segnano le tre consecutive promozioni in Serie C2, C1 e B. Memorie evocate anche dalle frequenti occasioni in cui l'ex centrocampista fa la sua comparsa nelle cronache come attuale assessore allo sport del Comune di Padova. D'altra parte, di quel Treviso allenato dal trevigiano di Preganziol Bepi Pillon, l'avvocato Diego Bonavina è uno dei perni essenziali. Vi arriva nell'estate del 1994, fresco dell'esame di stato con cui ha dato completamento alla laurea in giurisprudenza, ma anche provato da una stagione al Mantova trascorsa più in panchina che in campo. Eppure mister Pillon crede in questo nobile faticatore della mediana, formatosi tramite una dura gavetta da giocatore di provincia, al punto da inserirlo a pieni giri nei suoi schemi, votati all'arrembaggio offensivo. E Bonavina lo ripaga, realizzando 28 reti in 153 partite disputate con la maglia del Treviso, compresa la storica zuccata con cui, il 12 maggio 1996, la squadra impatta 1-1 in casa con l'Imola, ottenendo il punto che le manca per salire in Serie C1. Una volta giunto in B, l'avvocato Bonavina vi firma due onorevoli tornei nel Treviso prima di un'ultima stagione al Padova. Continua invece la sua brillante carriera da "civilista" nei tribunali, trovando modo, dal 1999 al 2012, di distinguersi anche come consigliere dell'AIC, il sindacato dei calciatori italiani. Se si aggiunge l'impegno sociale, che lo porta ad allenare le formazioni giovanili della società padovana Sacra Famiglia, l'identikit è completo perché nel 2016 Sergio Giordani, non appena eletto sindaco di Padova, lo nomini assessore allo sport della propria giunta. A dimostrazione che si può "svettare di testa", elevarsi nel mucchio, anche una volta appese le scarpette al chiodo, e non necessariamente restando nel mondo del calcio. Una vita fa ne dava testimonianza il friulano Annibale Frossi, campione olimpico nel 1936 a Berlino con la maglia della nazionale italiana, nonché attaccante dell'Inter, prima di intraprendere un percorso professionale diviso fra le attività di allenatore, giornalista e capufficio dell'Alfa Romeo. Poi sarebbe giunto il momento dell'avvocato Sergio Campana, fondatore nel 1968 dell'Associazione Italiana Calciatori, non appena smessa la casacca biancorossa del Lanerossi Vicenza, e di una progressiva fioritura di professionisti del pallone reinventatisi nei più vari campi. E se più di qualcuno ha investito i propri guadagni in una carriera da imprenditore, come i difensori Antonio Percassi (attuale presidente dell'Atalanta) e Giulio Zignoli, ex compagno di Gigi Riva nel Cagliari dello scudetto, altri hanno intarpreso la via delle scienze: è il caso del portiere-biologo Lamberto Boranga e del centrocampista-medico Damiano Coletta, eletto sindaco di Latina. Sono tendenze forse destinate a svilupparsi considerando i sempre più numerosi "dottori" oggi in circolazione negli
Il mediano-avvocato, cinque facce da derby
stadi italiani, come il capitano della Juventus Giorgio Chiellini e il terzino del Bologna Lorenzo De Silvestri, entrambi economisti. Da ricordare infine che nel gruppo trova posto anche Filippo Furiani, nato a Bastia Umbra nel 1977, una vita da nomade della mediana, spesa militando in una dozzina di club, fra cui Palermo e Pisa, prima di diventare cooperatore sociale. Un cambiamento radicale, dovuto, stando a quanto racconta lo stesso Furiani, all'incontro con un frate che gli dice: "Il calciatore passa, l'uomo resta".
Come retrocedere per un gol dell'ex - Quante storie in un solo scatto: per l'esattezza cinque, come i calciatori fotografati prima di questo (drammatico) derby della Lanterna, giocato fra Genoa e Sampdoria il 22 aprile 1951. Atleti che ci hanno tutti lasciato. Innanzitutto, spicca l'uomo del destino, che in questo caso è l'unico con la divisa blucerchiata della Samp. Si chiama Vittorio Bergamo, è un triestino doc della classe 1922, e fino all'anno prima è stato quel che si dice una colonna proprio del Genoa, mediano capace di stregare i tifosi con partite disputate all'arma bianca, come quelle in cui, negli anni '40, cancella dal campo Valentino Mazzola, capitano e uomo-squadra del Grande Torino. Solo che nell'estate del 1950 Vittorio Bergamo diventa, nella storia, il primo giocatore genoano a passare alla "Doria", con la cui maglia, proprio in questo derby, realizza su punizione uno dei gol grazie a cui i blucerchiati superano 3-2 i "cugini" rossoblu, dando loro la spinta definitiva per retrocedere in Serie B. I tifosi genoani non la prendono affatto bene, inseguendo Bergamo dagli spogliatoi fino alla porta di casa, così da far passare in secondo piano la prestazione non felicissima del portiere che è il primo a sinistra di questa stessa foto. Si chiama Pietro Bonetti, è nato a Brescia nel 1922 e nelle giornate di grazia, oltre a chiudere a doppia madata la porta del Genoa, fa pensare a un suo futuro in nazionale, salvo poi distrarsi fatalmente la domenica successiva. A renderlo vulnerabile è una dolce vita che, assiduamente praticata, porterà Bonetti a tentare senza fortuna la carriera di attore, intrapresa dopo un rovente flirt con Lucia Bosè, diva italiana di superba bellezza. Tornando all'immagine, accanto al portiere campeggia la figura dell'attaccante Giuseppe Baldini, romagnolo di Russi, dove è sua volta nato nel '22. L'anno prima ha fatto il cammino opposto a quello di Bergamo, passando dalla Samp al Genoa nella stessa operazione di mercato. Le sue credenziali sono favolose, avendo fatto coppia per quattro anni con Adriano Bassetto in quello chè è tuttora ricordato come l'"attacco atomico" della Sampdoria, caratterizzato da una capacità realizzativa destinata a essere superata solo negli anni '80 dai formidabili "gemelli del gol" Vialli & Mancini. In maglia rossoblu non va altrettanto bene, a Baldini, tanto da durare un solo campionato, prima di essere ceduto al Como. Il genoano al centro della foto è invece Giulio Castelli, difensore nato a Torino nel 1925, uno che si lascia apprezzare in varie piazze d'Italia per l'impeccabile professionismo. Tanto che a Novara, dove gioca assieme all'ex bomber della nazionale Silvio Piola prima del passaggio in rossoblu, i tifosi gli regalano un orologio d'oro alla fine di un campionato di Serie A concluso con la sospirata salvezza.
Una volta lasciata Genova, anche a Napoli Castelli darà il meglio di sè, durante i cinque eccelsi campionati di militanza nell'ambiziosa squadra allestita dal presidente Achille Lauro, e allenata da Eraldo Monzeglio. Infine, l'ultimo a destra si rivela essere il difensore centrale Amedeo Cattani, detto Medeo, che del Genoa è stato un'autentica "bandiera", reso tale dalle 312 partite disputate in rossoblu fra il 1942 e il 1955, quando qualsiasi attaccante avversario doveva pensarci bene prima di transitare dalle sue parti. Compreso Giampiero Boniperti, famoso attaccante della Juventus, inseguito per tutto il campo, preso per il collo, e scaraventato sulla rete di recinzione dello stadio di Genova, dopo avere "osato" stampargli i propri tacchetti su una caviglia.
La ragazza toscana che colpisce di fino - Potenza del bianco e nero. Ce lo ricorda il primo piano che, eliminando i colori, esalta l'intensità di questo sguardo vigile, spossato dalla battaglia, eppure fiammeggiante. Appartiene, non a caso, a Cecilia Prugna, pisana di 22 anni, ammirata sui campi della Serie A femminile nei panni di centrocampista dell'Empoli dotata di spettacolare vocazione per i gol siglati in pallonetto. Su You Tube se ne può ammirare una serie, inframezzata da altre segnature realizzate di piede e di testa, a dimostrazione della confidenza con il gol che caratterizza questa giocatrice versatile, battagliera, tecnicamente dotata. Tali doti non potevano sfuggire a una commissaria tecnica accorta e aperta come Milena Bertolini, che ha inviato a Cecilia Prugna la prima convocazione nella Nazionale maggiore, in occasione del match di qualificazione europea disputato contro la Danimarca. La maglia azzurra segna l'approdo più importante, e meritato, per questa guerriera toscana che su qualsiasi fazzoletto di prato disponibile iniziava a sgambettare bambina, già divorata da una passione "totale" per ogni pallone vagante nei suoi pressi. Inevitabile che, anche perchè sospinta da una famiglia di sportivi, la ragazza inizi a praticare calcio agonistico con la maglia del Castelfranco, società della provincia pisana successivamente assorbita dall'Empoli, ragione per cui si può dire che Cecilia Prugna non ha mai cambiato maglia, e per lungo tempo nemmeno allenatore, essendo stata portata alla maturità tecnica e agonistica da mister Alessandro Pistolesi, in panchina uno dei pionieri del football femminile italiano. Ma anche adesso che Alessandro Spugna è subentrato a Pistolesi alla guida del club toscano, la traiettoria seguita da Cecilia resta la stessa di prima, tesa verso il massimo dei risultati. Si arricchisce caso mai l'identikit della giocatrice, laureatasi durante il lockdown della scorsa primavera in Discipline di arte, musica e spettacolo all'università di Firenze. D'altra parte, i suoi pallonetti sono opere d'arte che contribuiscono ad abbellire ulteriormente la parabola di un calcio femminile italiano sempre più praticato e applaudito.
Stop alla tratta degli esseri umani
La drammatica storia di Doudou Faye
Doudou Faye aveva 14 anni e amava ha cambiato radicalmente il mondo il calcio. Giocava come terzino nella nell’arco di pochi mesi, rischia di molDiambars Academy fondata in Sene- tiplicare queste storie di disperazione. gal nel 2003 da Patric Vieira, ex centro- Il Covid-19, insieme ad una globalizzacampista di Juventus, Inter e Arsenal. zione fondata sul primato della finanza, Era una giovane promessa Faye ed sta accentuando la povertà e le diseaveva una vita davanti a sé. All’Aca- guaglianze, sia all’interno delle nazioni demy, infatti, oltre a giocare al calcio che tra i diversi stati. La ricchezza è frequentava la scuola perché, come sempre più concentrata in pochissime sostiene il regolamento di questo ente, mani e non è adeguatamente ridistriconsegnati, insieme al figlio, a dei losola. Non è facile per un adulto sfidare le acque dell’oceano Atlantico. Figuriamoci per un bambino. Paura, fame e freddo sono avversari terribili che non puoi dribblare come succede sul campo, né puoi smarcarti da loro. E, difatti, Doudou durante la traversata si è ammalato e alla prima tappa verso l’Italia, la Canarie, il piccolo è deceduto. Il dramma ulteriore è che i trafficanti lo hanno gettato in mare come fosse un pacco ormai inutile da trasportare. buita. Secondo Per i trafficanti, i baby calciatori l’ultimo rapporto non sono persone ma oggetti che Oxfam, nel mondo 2.153 miliardasi comprano, si usano e si vendono ri detengono più se uno fallisce con il calcio, nella vita miliardi di persone, circa il 60% della può sempre fare qualcosa d’altro se popolazione globale. A ciò si aggiungaè istruito. Il padre di Doudou aveva no le guerre e gli effetti, ora ben visibili, prospettive diverse per il figlio. Pen- del cambiamento climatico che stansava che sarebbe diventato un gran- no progressivamente desertificando de campione, che avrebbe giocato nel diverse aree del pianeta e minacciancampionato italiano di Serie A e che do di inondarne altre. Tutto questo sta questo avrebbe garantito soldi, fama spingendo milioni di persone a lasciare e successo alla famiglia. Accecato da il Sud del mondo in direzione dell’Occiquesto pensiero, Mamadou Lamine dente visto e considerato come una terFaye ha abboccato ad una falsa pro- ra di Bengodi, un approdo miracoloso messa fattagli da alcuni trafficanti di in cui poter realizzare i propri sogni e le uomini. Ha raccolto 250mila franchi proprie speranze. In tutto ciò, il calcio è CFA, poco meno di 400 euro, e li ha un vero e proprio magnete. schi figuri. Così Doudou, contro la sua La drammatica storia di Doudou fa parvolontà, è stato caricato su una barca te di quel fenomeno chiamato “tratta insieme ad altre persone – noi li chia- degli esseri umani”, un mercato crimimeremo “clandestini” – ed è iniziato il nale che, attraverso corruzione, ingansuo lungo viaggio verso la nostra peni- ni e violenza, produce ricchezza illecita ricchezza di 4,6 schiavizzando e sfruttando le persone. Una parte della “tratta” riguarda giovani calciatori originari del continente africano, asiatico e sudamericano. In questo mercato di carne umana sono coinvolti non solo dei criminali ma anche dei “colletti bianchi”, tra cui: procuratori, dirigenti di società calcistiche, funzionari di consolati e ambasciate, membri delle forze di polizia. Il primo passo è l’adescamento della famiglia con promesse mirabolanti. Il successivo è quello di portare i bambini in Europa, aggirando il divieto di trasferimento degli under 18 extracomunitari imposto dalla Fifa. Questo viene fatto attraverso la falsificazione di documenti – es. visti temporanei – tesseramenti in società dilettantistiche, partecipazioni a dei tornei giovanili. Spesso questi ragazzi sono oggetto di falsi ricongiungimenti familiari attraverso la complicità di famiglie originarie dello stesso stato da cui essi provengono. Oppure risultano “minori non accompagnati”. Il giro di soldi che sta dietro la tratta dei baby calciatori è impressionante. Per i trafficanti e i loro complici, i baby calciatori da sfruttare non sono considerati delle persone, ma degli oggetti che si comprano, si usano, si vendono e, quando risultano improduttivi, si abbandonano al loro destino. Un dramma che anche in Italia è stato portato alla luce da alcune inchieste giudiziarie svolte in Toscana, Emilia Romagna e Liguria.