Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – 70% NE/VI - Anno 43 - N. 08 Dicembre 2015 - Mensile
2015
08
Dicembre
Organo mensile dell’Associazione Italiana Calciatori
A Milano la quinta edizione: una serata da campioni
di Damiano Tommasi
editoriale
E... lezioni Il Comitato Etico della Fifa ha squalificato per 8 anni i vertici del calcio. Salvo ricorsi, la lezione è senz’altro indimenticabile. “Piscis primum a capite foetet” (il pesce comincia a puzzare dalla testa) verrebbe, purtroppo, da confermare. Ma le teste stavolta sono due e per questo non mi sovviene nessun aforisma o proverbio. La reazione? Cercare il futuro in chi ha più consensi. I voti dell’Africa saranno determinanti, l’Asia appoggia il suo presidente, il Sudamerica segue l’Europa… e di calcio chi ne parla? Purtroppo temo che a quei livelli si sia ancora troppo schiavi di voti, business, accordi e intese politico-sportive per sentir parlare di calcio. Un rammarico per ora ce l’ho… veder messi, fino ad oggi, Platini e Blatter sullo stesso piano. Nel mentre, a Milano, noi celebravamo il Galà del Calcio con i premiati della scorsa stagione. Tanta Juve, come nelle ultime edizioni, ma con i “giovani” Masina, Rugani e Darmian a ricordarci che futuro c’è n’è e, sensazione personale, anche fuori dal campo. Il premio più bello sarebbe un giorno vedere quegli 11 sfidare altrettanti campioni per un evento che diventi unico, che possa celebrare il calcio con i suoi migliori protagonisti. Un evento globale che possa ridare il giusto spazio dello sport all’interno dello show-business o, meglio, ridimensionare il ruolo del risultato economico all’interno dello sport… ci lavoreremo.
Elezioni, invece, andate in porto in Lega Pro con piccole aperture su un progetto a noi caro, le Seconde Squadre. Che ci sia di che animarsi per tornare ad essere “utili” in Consiglio Federale? Dubito che sia così travolgente l’entusiasmo da farci sorridere ma indomabili ottimisti cercheremo la via migliore per non essere “complici” ma a nostro modo protagonisti. Infine la lezione che ci arriverebbe dal calcio inglese sul Boxing Day ci pone l’annoso tema del “sindacato nemico del calcio natalizio”. La Serie B da 4 anni ha concordato con l’AIC due partite nel periodo tra Natale e Capodanno, 10gg di pausa e riposo con ripresa dell’attività agonistica a fine gennaio. Diciamo che non siamo troppo nemici, salvo vedere disattesi gli accordi per ben 3 stagioni su 4 con la ripresa dell’attività agonistica prima del termine pattuito. Natale allo stadio comprende però tante variabili, dallo spazio occupato a discapito di altri sport al tempo da dedicare alle famiglie, dagli spazi televisivi da riempire alla fruibilità degli impianti nel periodo invernale. Dal nostro punto di vista interessa molto la parte agonistica e l’opportunità di limitare le partite nel periodo invernale. Partite nel periodo di festa e sosta lunga (vedi Serie B) potrebbe essere un buon compromesso facendo però attenzione che dopo aver concordato un dito non ci si veda sfilare l’intero braccio.
SALVIAMO I BAMBINI COLPITI DAL TERREMOTO. È una corsa contro il tempo. In Nepal milioni di bambini hanno urgente bisogno di aiuto. Molti di loro sono feriti, senza casa, a rischio di malattie perché non hanno acqua potabile e servizi igienici. Altri sono orfani o separati dalle famiglie. L’UNICEF sta rispondendo all’emergenza con acqua, medicinali, attrezzature igienico-sanitarie e tende per ospedali da campo, centri di accoglienza e scuole temporanee. I bambini del Nepal hanno bisogno del tuo aiuto. DONA ORA ALL’UNICEF: • Con carta di credito sul sito www.unicef.it • Cc postale 745000 causale “Emergenza Nepal” • Bonifico bancario su Banca Popolare Etica IBAN: IT 51 R050 1803 2000 0000 0510 051
• Presso i Comitati Locali dell’UNICEF. Trova l’indirizzo su www.unicef.it/comitati • Numero verde
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EMERGENZA NEPAL
Poste Italiane SpA – Spedizione
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2015
sommario serie B di Claudio Sottile
Cristian Pasquato: sognando di tornare dalla… Vecchia Signora
l’intervista di Claudio Sottile
Giuseppe Pugliese: “Sempre pronto a rimettermi in gioco”
scritto per noi di Alessandro Comi
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di Pino Lazzaro
Riccardo Bocalon: il bomber dai “gol pesanti”
segreteria scatti di Maurizio Borsari primo piano di Nicola Bosio
15° Galà del Calcio Triveneto 2015
primo piano di Vanni Zagnoli
Quando Bosman (ri)scrisse la storia del calcio…
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ione Italiana Calciatori
Dicembre
E… lezioni
l’intervista
– 70% NE/VI - Anno 43 - N. 08 Dicembre
A Milano la quinta edizione: una serata da campioni
editoriale di Damiano Tommasi
Parola, questo mese, ad Andrea Bertolacci, centrocampista del Milan: dagli esordi nelle giovanili della Roma all’esordio nei pro col Lecce, dall’affermazione al Genoa fino a vestire la maglia rossonera e quella azzurra della Nazionale di Conte. Sempre, comunque, con sacrifici e non senza difficoltà, ma con umiltà e nessuna invidia. E forse è proprio questa la ricetta per arrivare in alto.
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speciale Inserto, questo mese, dedicato al Gran Galà del Calcio 2015, quinta edizione dei riconoscimenti AIC che premiano ogni anno i calciatori che sono stati votati, ruolo per ruolo, nell’undici ideale della Serie A. Presentata a Milano da Massimo Caputi e Max Giusti, la serata ha visto sul palco anche allenatore, arbitro, calciatrice e squadra che si sono maggiormente distinti nell’ultimo campionato.
l’intervista
di Pino Lazzaro
Andrea Bertolacci, centrocampista del Milan
“Umiltà e niente invidia: la ricetta per arrivare in “Da bambino, avrò avuto sui sei anni, ho cominciato col basket, non mi ricordo nemmeno io perché, forse per seguire i miei amichetti, forse sì. Vivevo con mia mamma, i miei genitori separati, lei a chiedermi che ne pensassi e io a dirle sì, certo. E così è andata avanti per circa tre anni, quartiere Spinaceto, Roma sud. È stato poi sugli otto anni che ho cominciato a stufarmi del basket, lo trovavo un po’ noioso ed è stato lì che ho cominciato col calcio. Io mancino, tecnico, lì i miei piccoli compagni che mi chiamavano ‘Maradona’: avevo soddisfazione e così cresceva pure la passione, mi piaceva proprio il pallone. A casa avevo un terrazzo, mia madre che mi spingeva sempre fuori, ma lì non mi piaceva, ero anche figlio unico e preferivo giocare in casa, mi inventavo le cose, tipo calciare e buttare la palla dentro a un secchio, come fare canestro insomma. Ricordo che ne ho rotte di cose, in particolare dei bicchierini di vetro: ce n’erano dieci e ne sono rimasti tre, forse”.
“Ne aggiungo un’altra di cosa di quand’ero piccolo: uno dei miei sogni era quello di correre con le barche, sì, l’offshore. Mio padre lo faceva, è stato anche campione del mondo e ricordo la volta che andai con lui. Rimasi così traumatizzato e presi così tanta paura che non ho più voluto saperne, non sono più andato a seguire le sue gare. Anzi, mi ricordo che quando mia madre veniva a vedermi a giocare, mi faceva sempre segno che era tutto ok, che era andato insomma tutto bene con papà, che non gli era successo nulla. Ora lui ha smesso e sì, tra loro sono riusciti a mantenere un buon rapporto”. “Partitelle le giocavamo sempre anche a scuola e dai e dai convinsi mia madre a iscrivermi a una scuola-calcio, era l’Eurolimpia, nel quartiere Eur, mia madre che veniva a prendermi a scuola e mi portava al campo. Ricordo ancora che m’era venuta sta passione per Roberto Baggio, cominciai anche a tifare Milan. Non so bene perché, forse perché era in Nazionale, i gol che faceva, anche il codino… così me lo sono fatto fare anch’io, per me era proprio un idolo lui: mia madre lo conserva ancora quel mio codino che pure io ho portato per anni”. “Giocavo all’Eur e cominciarono a venire degli osservatori a vedermi, finché feci un provino con la Roma e passai con loro. I primi anni li feci alle Tre Fontane, poco lontano dalla scuola che frequentavo, poi a Trigoria, abbastanza vicino a casa. Ero un anno più piccolo della prima categoria che c’era, così facevo con loro solo gli allenamenti e il sabato le partite le facevo con la squadra del quartiere. Sempre mia madre a portarmi e gli allenamenti non erano più due ma tre-quattro la settima-
na. Sino ai 12-13 anni mi sono divertito proprio tanto, poi verso i 14, con i campionati di livello nazionale, mi sono accorto che tutto era più serio. Un momento davvero difficile l’ho passato quand’ero con i giovanissimi nazionali. Lì non stavo giocando, tanto che ricordo che papà e mamma mi dissero se non era poi il caso di pensare al divertimento, di continuare con la squadra del quartiere, piuttosto di non aver spazio e starci male. Però io dissi loro che mi sentivo più forte, che mi ci sarebbe voluto ancora un po’ di tempo; dentro me la sentivo questa voglia e poi se avessi mollato, sarebbe stata una grande sconfitta. Verso la fine di quella stagione, successe poi che ci fu il cambio dell’allenatore e per le fasi finali arrivò Stramaccioni che subito mi vide bene e mi fece giocare. In tutto poche partite, ma le giocai bene e mi portarono a fare un salto e passai così poi con Petruzzi, lui allenava gli allievi e mi ci portò sotto età, un anno prima e così continuò poi per me, a 15 giocai con quelli di 16, l’anno dopo ero già in Primavera: sì, tutto partì dal salto che feci dopo l’arrivo di Stramaccioni”. “La scuola? I miei decisero di mandarmi per le elementari e le medie in una scuola privata. Molto rigida, esigente: studiavo molto e ricordo che alla sera ero stanco morto. Finite le medie sono così arrivato in una scuola superiore pubblica e per i primi tre anni ho vissuto in pratica di rendita per quel che avevo fatto prima. Era insomma sì impegnativo, ma riuscivo a starci dietro. Tra l’altro – io sono di gennaio – anche con la scuola avevo cominciato dalla primina, un anno prima e pure lì sono sempre stato sotto età. Con la quarta superiore ho invece cominciato ad allenarmi con la prima squadra, c’era Spalletti
Questione di mentalità
“Se, come capita vedendo le partite dei campionati esteri, capisci che la gente lì sugli spalti si sta divertendo, allora io penso che anche i giocatori che sono lì sul campo si divertono. Ma come, stanno perdendo e li applaudono lo stesso?”
l’intervista
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l’intervista
la pena passare l’estate dovendo studiare? A metà anno decisi così di dire stop e passai a una scuola privata della Roma. Sì, meno impegnativa, era più facile però per fortuna ho avuto con me quella base importante all’inizio: sono uscito con 66, diploma di ragioniere”.
allenatore, spesso allenamento alla mattina e così cominciai a saltare la scuola, non ce la facevo più a stare al passo con i compagni: c’erano i debiti e valeva
“Come detto, se guardo indietro e penso a quei miei anni di settore giovanile, sino grosso modo ai 13 anni ricordo soprattutto il divertimento, poi che le cose s’erano fatte più serie e anche tra noi ragazzini non era più come prima. Screzi, un po’ d’invidia, si comincia a vedere che qualcuno ha magari qualcosa in più, si fanno confronti ed è un po’ come nella vita, dai. Per me per esempio la parola invidia è proprio bruttissima, ma c’è, poco da fare. E così non posso non riandare a Stramaccioni, a quanto lui sia stato importante per me e magari è un po’ un controsenso, ma a suo modo è stato importante per me pure l’allenatore che c’era prima, che non mi faceva giocare. Io che ho tenuto duro, io che non mi sentivo inferiore e questa storia qui mi ha formato il carattere, anche questo così mi ha aiutato. Quando tutto ti
Testimonial Airc
“In famiglia abbiamo subito due episodi e quindi essere stato chiamato a far da tramite lo vedo come un qualcosa che è arrivato da lassù, dal Signore. Sì, sono praticante, molto credente e la frequento la chiesa”.
Mi ritorni in mente
“La partita che non dimentico è quella del mio primo gol in serie A, Lecce-Juventus. Abbiamo vinto 2 a 0: assist di Di Michele dentro l’area e via di corsa sotto la curva”. “Una partita che vorrei rigiocare? (…) Sì, è un derby di Genova, lì dentro c’è l’atmosfera più bella che mai ho vissuto. Certo, c’è la Nazionale e tutto il resto, ma lì – ripeto – è proprio speciale”. “Lo stadio dove più mi piace andare? Beh, ho detto di Marassi ma come faccio a non pensare a San Siro? Dai, essere lì dentro è il coronamento di un sogno e certo che lo si sente l’impatto, tra l’altro a me fa ancora più impressione da fuori che da dentro”. 8
viene facile, non le gusti le cose. Diverso è quando ce la fai, riesci a venir fuori, ti prendi la rivincita e allora sì te la godi la soddisfazione. Ecco, in quel periodo ho tirato fuori un Andrea che non pensavo ci fosse e ogni tanto ci ripenso a quel periodo, specie quando ho qualche problema, quando le cose non vanno come vorrei andassero. Per me è sempre stato così, prima devo un po’ soffrire: è capitato il primo anno a Lecce e anche a Genova all’inizio ho un po’ sofferto e anche qui col Milan è stato un po’ così i primi tempi”. “Sì, adesso sono fermo per un infortunio (l’incontro a Milanello nella prima metà di novembre; ndr), quel gesto innaturale che ho fatto per colpire di tacco: stai sicuro che me lo ricorderò e la lascio andare fuori la palla la prossima volta. L’ho vissuto questo infortunio come un qualcosa che doveva capitare, non sono stato lì troppo con la testa a rimuginarci, anche perché è qualche anno che quel che mi è capitato è stata proprio poca cosa, l’ho raggiunto un mio equilibrio. Per quel che riguarda gli infortuni, il secondo anno di Lecce è stata invece proprio un’annata sfortunata: tre infortuni muscolari, due tra l’altro sempre nello stesso punto. Avevo 21 anni, in un momento in cui stavo davvero conoscendo il calcio, la Serie A: lì sì ho
sofferto, ora come detto la prendo giusto come un qualcosa che doveva capitare, tutto qua”.
l’intervista
“Il calcio intanto che dentro di me è nato come una grande passione, forse i tre anni di basket che ho fatto prima mi hanno fatto poi capire quanto era bello giocare a calcio. Il sogno della Serie A io così l’ho avuto da quando avevo 8 anni, da quando ho cominciato a giocare insomma e non sapevo certo dove potevo arrivare. Ora non dico che non ci sia più, di passione ce ne vuole sempre, ma ora è diventata pure una professione e penso adesso a quel che mi capita di dire sempre ai ragazzini, di divertirsi il più possibile perché poi, quando ti trovi a che fare col calcio vero, allora il divertimento passa in secondo piano: con la tanta pressione che c’è, diventa lavoro. Sì, mi ritengo fortunato, il Signore mi ha fatto coronare questo sogno, quel che desideravo da bambino: ho lottato, non è stato facile e così me lo sono pure gustato”. “Ricordo che avevo 14-15 anni, riuscivo a dedicare del tempo anche ai miei amici, giusto una passeggiata assieme, prima di cena, ma bastava. Poi non ce l’ho più fatta: scuola-allenamenti-libri; anche la ragazzetta d’allora. Loro, gli amici, che avevano i loro programmi, io figlio unico, ho anche sofferto. I miei a farmi capire che i sacrifici ci volevano e in effetti all’inizio li ho vissuti proprio così, il sabato niente uscire perché c’era la partita e poi serviva anche riposare per bene. Sì, posso definirli dei sacrifici anche se credo di averli vissuti bene, anche perché quando arrivano le soddisfazioni, diventano meno sacrifici”. “Quando mi diverto? Beh, quando l’arbitro fischia la fine e tu hai vinto e giocato bene, allora sì mi dico magari che mi sono divertito. Certo che in campo, con tutta quella pressione addosso… che vuoi, il divertimento è legato al risultato, ecco. Ogni tanto mi accorgo che faccio magari qualche colpo, diciamo che capita che mi accorgo che sto “giocando”, ma non tanto spesso. Ed è una cosa, questa delle pressioni che qui abbiamo, che proprio non mi piace di questo nostro calcio, specie vedendo quel che capita in altri campionati. La troppa importanza che qui da noi si dà al calcio ed è vero, ci sono i pro per una situazione così, ma ci sono anche i contro. Parlo con compagni che ora giocano all’estero e ripetono che qui è diverso, lo si vive in un altro modo il calcio”.
Stare in panchina?
“Dico che bisognerebbe essere il più obiettivi possibile, magari arrivando a capire se uno la merita per davvero. Però aggiungo che se ci vai, poi sta a te dimostrare di essere più forte di chi gioca. Lo so, sono giusto parole, che dicono tutti, però io invece penso che lo farei, nei fatti intendo”. “All’inizio le pativo di più le partite, la sentivo la pressione ma ora le vivo con più tranquillità. Adesso quando mi guardo allo specchio, riconosco quel che sono diventato, ho una mentalità più forte, l’ho pur raggiunto qualche obiettivo. In campo so isolarmi, penso a quel che devo fare, l’importante è riuscire a dare tutto e l’unico rammarico che mi porto dietro – è però capitato poche volte – è di dirmi alla fine che potevo dare di più. Tutto il contorno, le televisioni, le pagelle hanno meno importanza, non ci sto tanto dietro. Ne abbiamo così tante di pressioni che è meglio lasciar stare, tenersi fuori, anche perché si sa che una volta passi per Messi e basta poco e la volta dopo sei uno scarso scarso”. “Se guardo agli anni della Roma, sin che stavo crescendo, allora ricordo che consideravo De Rossi una figura importante, come poi a Lecce è stato Giacomazzi e Marco Rossi il primo anno col Genoa. Poi però sono cresciuto, sono diventato un giocatore importante, sono arrivato in Nazionale e così adesso cerco di essere io il 9
l’intervista
riferimento di me stesso, provando a metterci ancor più professionalità ed essere magari io ora un riferimento per quelli più giovani. Visto che prima parlavo di Stramaccioni, un’altra persona importante per me è stato Gasperini. Ricordo che stavo facendo fatica, non trovavo spazio e lui mi è stato dietro e ne ho imparate tante di cose da lui, tipo cercare la verticalizzazione, così, di prima. Lui mi ha sempre spinto a farle, diceva che ce l’avevo io questo colpo, dai”. “Certo che ci guardano, con tutte le telecamere che ci sono in campo, sono consapevole di questo e parlo per me. Non so però se tutte queste telecamere possono far cambiare gli atteggiamenti. Se uno ha come riferimenti dei modi sbagliati, questi gli rimangono e poi saltano fuori. Se penso a quel che cerco di essere in campo, allora penso a mia madre, a quel che mi ha insegnato. Ecco perché io sento d’avere un modo consono, direi giusto, perché di base ho l’umiltà. A coloro che mi stanno attorno, che mi conoscono per quel che sono, ho sempre chiesto di farmi capire se vedono in me dei cambiamenti, sarebbe una grande sconfitta se la perdessi questa umiltà che mi riconosco. So e sappiamo che i ragazzini ci seguono, ci ammirano; quel che spero è che sappiano seguire i modelli giusti. Sì, sì, quando c’è da fare interviste e queste cose qui sono sempre disponibile, non mi considero uno timido: cerco di essere più me stesso possibile, non c’è in me un mister Jekyll e un mister Hide, penso d’essere lo stesso, dentro e fuori. Certo che li firmo gli autografi, ricordo ancora bene quand’ero io dall’altra parte. Quelle che mi danno fastidio sono le persone che hanno dentro cattiveria, che sono invidiose dentro e non riescono a non mostrarla. Che vuoi, lì in campo vuoi o non vuoi ci deve convivere, ma fuori sono persone che “sento”, che mi danno fastidio e da cui cerco di stare distante”. “Beh, se mi paragono ai ragazzi della mia età, ho proprio tanto ma sul fatto come veniamo visti, lo stereotipo fatto di grandi macchine, donne a volontà eccetera, devo dirti che non mi riconosco, è un qualcosa che non mi appartiene, non sono io. Io mi considero “serio”, molto professionale e cerco di stare attento a tutto, 10
di star dietro a tutto: l’alimentazione, la vita privata, il riposo. Sono consapevole che il nostro è un lavoro breve, sui 35 anni più o meno si finisce e poi c’è la vita davanti. Così, fin che giocherò, farò di tutto per essere il più possibile professionista, ne ho in fondo solo 24 di anni. Ci sono calciatori e calciatori e ti dico anche che io tra poco mi sposo, prima di Natale, c’è insomma chi fa in un certo modo e chi riesce ad avere una vita normale. Con lei ci si conosce che avevamo dieci anni, stesso quartiere; poi ci siamo persi per un po’, entrambi eravamo fidanzati, poi ci siamo ritrovati. Lei lo conosce questo mio mestiere, lei ha lavorato in televisione come attrice ma poi c’è stato un periodo in cui le ho chiesto di starmi vicino, ne avevo bisogno. Gli allenamenti? Sì, sono uno di quelli che arrivano ben prima e se ne vanno ben dopo, non voglio che nessuno sia lì a tirarmi per la giacca, le cose voglio farle bene e con calma, è la mia professione ora alla base di tutto. Nello spogliatoio diciamo che sono una via di mezzo, né muto, né di quelli che scherzano sempre. Penso però di essere uno che “vede” e specie ora che sto sempre più entrando a far parte del gruppo, lo esterno sempre il mio pensiero”. “Cosa ci ho messo di mio? Voglia e pure quella cattiveria che mi è servita per venir fuori da una situazione non facile, la rabbia che mi ha aiutato a non tirarmi fuori ma che mi ha fatto anche sgomitare, farlo diventare mio quel sogno che avevo. Che direi a un ragazzo che comincia, che so, dalla C? Di vivere le cose nella maniera più positiva possibile, senza avere l’ossessione di arrivare in alto a ogni costo. Di farlo insomma giorno per giorno, con la consapevolezza di quel che stai facendo, di fare il tuo percorso”.
La scheda
Andrea Bertolacci, del gennaio 1991, è nato a Roma. Entrato da piccolino nel settore giovanile della Roma, ha fatto tutta la trafila ma l’esordio tra i professionisti l’ha fatto col Lecce in serie B (in prestito dalla Roma) nella stagione 2009/2010. Una stagione quella coronata dalla promozione in serie A, categoria in cui poi Andrea debutta esattamente il 21 novembre 2010, dunque non ancora ventenne (LecceSampdoria 2-3). Ancora un campionato in A col Lecce e dalla stagione 2012/2013 eccolo al Genoa (in comproprietà con la Roma), società con cui gioca tre campionati mettendo assieme 88 presenze; dalla scorsa estate è passato a titolo definitivo al Milan. Anche con le maglie azzurre Andrea ha fatto un po’ tutta la trafila, a partire dall’U16; la prima convocazione con la Nazionale maggiore l’ha avuta con c. t. Prandelli, mentre l’esordio (Genova: Italia-Albania 1-0; 18/11/2014) l’ha fatto invece con Conte: al momento sono 5 le sue presenze.
scatti
di Maurizio Borsari
Esordio in Nazionale in Italia Albania 1-0
Giovanili della Roma
dal 2006 al 2010
Con l’Under 21
argento in Israele 2013
Con la maglia del Genoa Con il Lecce
dal 2012 al 2015
dal 2010 al 2012 11
serie B
di Claudio Sottile
Cristian Pasquato, fantasista del Livorno
Sognando di tornare dalla… Ve Il senso del 10. Come il numero giusto sulla maglia e come il numero di maglie già cambiate, non tutte giuste. In chimica il 10 è il numero atomico del Neon, tuttavia gli allenatori in campo non sempre hanno capito quel senso di luce costante che avrebbe potuto garantire. E allora il 10, che in matematica è un numero felice, diventa 37 in quel di Livorno e anche Cristian diventa un numero felice di giocare tra le linee che la geometria tatticistica non chiuderà mai. Della serie “Natale con i tuoi (credi tattici), Pasquato con chi vuoi”. Tanto 3+7 sempre 10 fa.
soluzione da fermo, ma paradossalmente proprio con l’avvento dello spray per il rispetto della distanza non sei più andato a referto con il calcio piazzato (ultima segnatura su punizione datata 7 settembre 2014 a Terni, ndr). “Non c’è un perché. Occasioni ce ne sono state. In questo campionato ad esempio, in casa contro il Brescia, ho preso il palo dopo una bellissima parata del portiere Minelli. Continuo ad allenarmi, sperando che ne capitino tante di punizioni. Lo spray aiuta, perché comunque la distanza viene rispettata, mentre in passato la barriera avanzava senza che ce se ne rendesse conto”.
Perché militi in Serie B? “Bella provocazione. Se sono in Serie B probabilmente mi manca ancora qualcosina, che nelle due avventure in A si è notato. Gli addetti ai lavori forse vedono in me un buon giocatore non ancora completo per compiere il salto di qualità”.
Il Livorno ha mostrato tutta la sua caratura? “Io credo di no. Abbiamo fatto vedere qualcosa di importante ma tutto il nostro potenziale no. Ci hanno penalizzato gli infortuni. Con una partenza a razzo abbiamo illuso qualcuno. Il Livorno non è partito per vincere il campionato, però se la gioca con tutte”.
A causa di quale lacuna? “Tattica, nella fase difensiva, ma sono mie idee, lo presumo. Non posso rispondere io. Se mi chiedessi se mi sento pronto risponderei di sì, ma lo avrei detto anche qualche stagione fa. Dentro di me la convinzione di poterci stare c’è, probabilmente non l’ho ancora dimostrato al 100%, perciò lo voglio fare quest’anno”. Se manterrai questa media gol (4, aggiornata al 21 dicembre 2015), sei candidato a battere il tuo record di segnature, 9 nel torneo 2010/2011. Di chi è il merito? “La posizione in campo è fondamentale, gioco nel mio ruolo, dove posso esprimermi al meglio. Noi calciatori moderni sappiamo che possiamo adattarci in qualsiasi zona del campo, ma nell’adattarsi si perde inevitabilmente qualcosa. Quindi merito alla collocazione e ai miei compagni, che sono fondamentali. Il plauso va anche a loro, il feeling è ottimo con tutti”. Sei uno specialista della 12
Qual è la tua griglia promozione? “Il Cagliari fa un campionato a parte, hanno costruito una corazzata straordinaria e anche i numeri lo dicono. Il loro valore è immenso. Vedo bene il Bari, il Cesena, la rivelazione Crotone… poi le altre sono lì. Anche il Pescara è un’ottima squadra, con buoni singoli. La B è difficile, in pochi punti ci sono tantissime squadre”. I calabresi potranno durare? “Dipende tutto da loro. La stessa domanda ce la ponevamo per Carpi e Frosinone, invece hanno dato la dimostrazione fino in fondo di quella che era la loro forza”. Cosa significa, nello stesso tempo, essere e non essere della Juventus, con il cartellino in mano alla Vecchia Signora e il tuo destino sempre lontano da Torino? “Un mio sogno, che col tempo rischia di rimanere tale, è quello di
Un giovanissimo Cristian Pasquato nelle giovanili della Juventus, società proprietaria del suo cartellino. Sopra, il fantasista, attualmente al Livorno, con le maglie di Modena, Lecce e Bologna.
vestire per un’annata la maglia bianconera. Per me la Juve è tutto, quello che ho vissuto col settore giovanile e in qualche ritiro con la prima squadra è irripetibile. Questo peregrinare non ha aiutato la mia carriera. Sono otto anni che giro, ho cambiato dieci squadre, è un qualcosa che non ha facilitato il mio percorso di crescita. Non c’è mai stato qualcuno che abbia realmente puntato su di me. L’unico anno in cui sono riuscito ad andare in comproprietà con l’Udinese sono stato girato al Bologna. Ero di due società e in prestito a una terza, difficile imporsi così”. A che punto sei della tua vita calcistica? “Credo di aver raggiunto la maturità che in questi anni mi è mancata. Vedo le cose in maniera diversa rispetto a quando avevo 20 anni. Osservo gli errori dei ragazzi di oggi e sono gli stessi che commettevo anch’io all’epoca, e mi dico che ero scemo a comportarmi in una certa maniera. Probabilmente è un percorso che fanno tutti. Gli errori sono normali e aiutano a crescere”. Come valuti gli oriundi in Nazionale proprio nel tuo ruolo?
serie B
ecchia Signora
“È un discorso molto più ampio. La Nazionale gioca col 4-4-2 e il ruolo del trequartista non viene contemplato. In Italia di trequartisti non ce ne sono tantissimi. Il primo che mi viene in mente è Riccardo Saponara, che sta facendo bene. Gli italiani scarseggiano, al pari delle società che puntano su quella figura tattica. Il classico numero 10 in Italia si è perso, il Rui Costa per intenderci non c’è più”. È un’evoluzione tattica che tolleri? “Il calcio anche all’estero è cambiato, non esistono più i ruoli fissi. Il modulo lascia il tempo che trova, nel calcio moderno non si danno punti di riferimento, chi è in possesso di palla ha tre o quattro soluzioni di passaggio e la differenza la fa il ritmo”. Il più forte fantasista italiano in circolazione? “Alessandro Diamanti, con cui ho avuto il piacere di giocare a Bologna. Quello che più si sta mettendo in evidenza è Saponara”. E Jack Bonaventura? “Ci ho giocato assieme nelle nazionali giovanili, ha uno spirito di adattamento eccezionale e qualità fuori dalla norma. È forte tecnicamente e fisicamente, è il giocatore moderno che ogni allenatore vorrebbe. Sì, potrebbe fungere da trequartista”.
La piazza che ha fatto emergere la parte migliore di te? “Modena, dove ho vissuto la mia annata più proficua. Però sono stato bene ovunque sia andato. Penso a Pescara, l’anno scorso mi ha lasciato dentro qualcosa di straordinario, con i play off e la A sfumata per un cm…”. Come valuteresti un arretramento davanti alla difesa, a dettare i tempi della manovra, alla Davide Di Gennaro restando nell’ambito della cadetteria? “Mi piacerebbe veramente un sacco provare a giocare in quel ruolo lì. Sono diverso da Di Gennaro, però vederlo giostrare in quel ruolo è bello e stimolante, sta facendo girare tutto il Cagliari. Credo che con le mie caratteristiche potrei vestire i panni del play basso. Mi piace prendere la palla, impostare a testa alta, lanciare. Non sarebbe facile, ci vuole l’allenatore che ci creda e che ti supporti dopo gli errori, soprattutto nella fase iniziale di adattamento. Avendo spunto, gamba e tiro in porta vengo collocato in chiave offensiva, io però vorrei cimentarmi. Se un allenatore mi chiedesse di provare direi subito di sì, affrontando le stesse difficoltà che all’epoca può aver incontrato Andrea Pirlo o più recentemente Marco Verratti”.
La scheda Cristian Pasquato è nato a Padova il 20 luglio 1989. Ha iniziato giovanissimo con i biancoscudati per passare al Montebelluna, quindi nel settore giovanile della Juventus. In bianconero debutta con la prima squadra nel 2008 (Ranieri allenatore) subentrando a Del Piero contro il Catania. Passa quindi in prestito all’Empoli, alla Triestina, al Modena, al Lecce, al Torino, al Bologna (via Udinese), di nuovo al Padova, al Pescara e al Livorno. Il suo cartellino rimane sempre di proprietà della Juventus. Ha vestito le maglie delle nazionale Under 16, 17, 18, 20 e 21. Stagione
Squadra
Cat.
P.
G.
2015-16
Livorno
Serie B
17
4
2014-15
Pescara
Serie B
33
6
2013-14
Padova
Serie B
36
7
2012-13
Bologna
Serie A
15
2
2011-12
Torino
Serie B
3
1
2011-12
Lecce
Serie A
11
0
2010-11
Modena
Serie B
40
9
2009-10
Triestina
Serie B
17
1
2009-10
Empoli
Serie B
12
1
2008-09
Empoli
Serie B
24
1
2007-08
Juventus
Serie A
1
0
2006-07
Juventus
Serie B
0
0
13
serie B
di Tommaso Franco
Medie voto e curiosità
Crotone, elogio del talento
Il Crotone è la vera sorpresa di questa peramento e classe da vendere. Serie B. Il bilancio di fine anno sorride ai In ogni reparto di questo “Top Team” che calabresi che hanno chiuso l’anno solare a chiude l’anno solare 2015 è presente alquota 45 punti dietro all’armata sarda: mimeno un calciatore del Crotone: e così di glior attacco (34 reti realizzate) e miglior Cenerentola, proprio non si può più pardifesa (16 reti subite). Quasi impenetrabili lare. Cinque giocatori su undici a comportra le mura amiche, si re la squadra ideale della Serie B secondo sono lasciati colpire solala stampa equivale ad una benedizione, mente 4 volte dall’inizio un “per me è sì” grande come una casa. del campionato. Equivale ad un riconoscimento per il gioAnte Budimir, maglia co, per i risultati sin qui ottenuti e per la numero 17, è il bomber valorizzazione dei talenti, giovani e meno della squadra con 9 cengiovani della rosa. tri all’attivo: l’attaccante Il timoniere Ivan Juric (calciatore con il croato, in prestito dal St. Crotone dal 2001 al 2006) si è fatto le ossa Pauli, non aveva partinello staff di Gianpiero Gasperini (Inter e colarmente brillato nella seconda serie Palermo) per poi approdare alla guida deltedesca (Zweite Liga) segnando la Primavera del Genoa. una sola rete È lui il primo tifoso della LAPADULA SENSI Pescara 6,57 in Coppa di sua squadra, ha Cesena 6,42 ammesso VIOLA BUDIMIR Novara 6,49 recente MARTELLA Crotone 6,56 Crotone 6,49 RICCI mente Crotone 6,62 KESSIE che il Cesena 6,37 FARAGÒ gioco dei Novara 6,45 ELOGE suoi lo diverte, Crotone 6,38 CORDAZ che non è solamente TROEST Crotone 6,38 Novara 6,36 efficace ma anche bello da vedere: “Siamo un gruppo di tanti ragazzi giovani che arrivano dalla Primavera o dalla Lega Pro. Assieme a loro qualche giocatore esperto che Germaci dà una grossa mano. Dobbiamo sofLa miglior fornia. Quest’anfrire ogni volta per arrivare alla vittoria. mazione di Serie B no a Crotone è dall’inizio del torneo diventato imprescindibile, un formidabile realizzatoNuova edizione re, un riferimento per tutti i compagni. inaugurata a Cesena Il rendimento dell’attaccante croato, secondo solo a “Sir” Lapadula del Pescara nella classifica voto degli attaccanti, è accompagnato dal talento e dal rendimento in ogni È stata inaugurata il 16 dicembre scorso la zona del campo. quarta edizione di “Facciamo la Formazione”, In porta, Alex Cordaz è il corso formativo per calciatori in attività orconsiderato dalla stampa il ganizzato dall’Associazione Italiana Calciatori portiere con il rendimento e Lega B. più alto della categoria. DaIl primo appuntamento ha visto protagonivanti a lui, in difesa, troviasti i calciatori del Cesena Calcio, che hanno mo altri tre nomi della banincontrato il Vicepresidente AIC Umberto Calcagno ed il Direttore Generale AIC Gianni da di Juric: Bruno Martella, Eloge Koffi e Gian Marco Ferrari. Altri due, giovanissiGrazioli. mi, sono a centrocampo: Federico Ricci Obiettivo del corso è quello di preparare i (classe ’94 cresciuto nel settore giovanile calciatori a carriere professionali dopo il terdella Roma) e Leonardo Capezzi (classe mine dell’esperienza calcistica professionistica, partendo dalle competenze acquisite. ’95 proveniente dal vivaio della Fiorentina). Poco più di quarant’anni in due, temGli incontri prevedono tematiche che vanno
Portieri CORDAZ PIGLIACELLI IACOBUCCI MAZZONI DA COSTA
Crotone Pro Vercelli Virtus Entella Ternana Novara
6,34 6,32 6,28 6,26 6,24
Difensori MARTELLA KOFFI YANNICK TROEST FERRARI
Crotone Crotone Cesena Novara Crotone
6,49 6,38 6,37 6,36 6,30
Centrocampisti RICCI VIOLA FARAGÒ SENSI CAPEZZI
Crotone Novara Novara Cesena Crotone
6,62 6,49 6,45 6,42 6,40
Attaccanti LAPADULA BUDIMIR EVACUO ACOSTY GIACOMELLI
Pescara Crotone Novara Latina Vicenza
6,57 6,56 6,44 6,43 6,41
In alto, Ante Budimir e Alex Cordaz, attaccante e portiere del Crotone, considerati tra i migliori di tutta la B nei loro rispettivi ruoli. A sinistra, una foto d’annata di Ivan Juric, attuale allenatore del Crotone, quando giocava nel Genoa.
Non dobbiamo mai perdere l’umiltà e far mancare l’impegno”.
Facciamo la Formazione
14
dalla psicologia al marketing, dall’organizzazione alla leadership fino alla comunicazione, con un occhio di riguardo all’utilizzo dei social network: il corso fornirà una preparazione specifica per ricoprire alcune importanti “nuove” figure all’interno di un club, partendo da un approccio di approfondimento generale propedeutico a qualsiasi professione manageriale, per arrivare ad analizzare le singole posizioni.
l’intervista
di Claudio Sottile
Giuseppe Pugliese, difensore svincolato
“Sempre pronto a rimettermi in gioco” “Gepy, vai subito a casa e fai la valigia, hai un volo aereo prenotato per Verona. Firmi per l’Hellas”. “Dai, non scherzare, ti saluto, ho poca batteria, ci vediamo al campo domani”. “No, non scherzo. Ti abbiamo venduto, hai le visite mediche tra qualche ora”. Gepy era ed è Giuseppe Pugliese, terzino sinistro che consumava le fasce del girone C di Serie C2, dal “Veneziani” di Monopoli al… veneto “Bentegodi” di Verona, il passo è stato breve per chi lo ha affrontato tutto d’un fiato. Pugliese di nome e di fatto, natio di Turi, dove c’era già stato un Pugliese nel calcio, che di nome faceva Oronzo e di mestiere l’allenatore, e dove c’è il carcere che vide imprigionati anche Antonio Gramsci e Sandro Pertini. La storia è compiuta e corre ancora. Come Gepy, pronto a scriverne un altro pezzo. Dopo quel pomeriggio del gennaio 2009 hai vestito per 59 volte la maglia dell’Hellas Verona, spareggi esclusi. I gialloblù (cambio di allenatore e ultimi in classifica) stanno vivendo un momento difficile… “Il periodo del Verona è molto complicato, dall’esterno è sempre difficile giudicare. Credo che molto sia dovuto agli infortuni, in particolare quello di Luca Toni, autentico trascinatore degli ultimi anni. Quando le cose non vanno si cambia sempre l’allenatore. Purtroppo quattordici giornate senza vittorie sono tante e la società è stata costretta a fare questa scelta molto dolorosa”. Nel luglio 2012 la tua carriera ha subito un brusco stop a causa dell’infortunio causato da uno scontro di gioco con Alessio Cerci. L’hai più rivisto? Gli diresti qualcosa? “Dopo l’incidente non ci siamo più incontrati, non ho nulla da dirgli se non che mi sarei aspettato una telefonata nei giorni seguenti, almeno per sapere come stessi, dato che si era subito notato che fosse una cosa parecchio grave”. A Varese hai avuto Giuseppe Sannino. Cosa pensi della sua chiamata seguita da un rapido allontanamento dal Carpi? “Di Sannino posso solo parlar bene, visto che è stato il tecnico con cui ho esordito in Serie B a Varese e con lui ho passato una stagione fantastica, fermata solo ai
playoff dal giovanissimo Stephan El Shaarawy allora al Padova. A Carpi credo che abbia pagato il fatto di essere subentrato a Fabrizio Castori, esonero mai andato giù all’ambiente”. Nel gennaio scorso hai accettato le lusinghe del Monza nonostante fosse una piazza già chiacchierata di problemi economici. Come mai? “Scelsi Monza perché era subentrata una nuova proprietà, perché era una piazza a me molto gradita e perché c’era mister Fulvio Pea, ottimo allenatore e bravissima persona. Sulla piazza non mi sbagliavo, infatti a Monza ci sono tutti i presupposti per fare calcio in modo serio. Per quanto riguarda la proprietà meglio lasciar stare”. Ti è stata accanto l’AIC? “Sì, moltissimo, con diversi incontri con la squadra per spiegarci la situazione e tuttora siamo ancora in contatto per il recupero dei crediti, anche se i tempi saranno parecchio lunghi. Anzi, colgo l’occasione per ringraziare l’AIC per tutto”. In questo momento dell’anno, considerando che ormai siamo a dicembre, come valuti il mercato degli svincolati? “Difficile, visto il grosso numero di calciatori ancora senza squadra. Purtroppo nel calcio di adesso, soprattutto in Lega Pro, non gioca più chi merita bensì chi porta soldi nelle casse delle società essendo giovane o addirittura pagando di tasca propria per far parte di una rosa, togliendo automaticamente posto a chi meriterebbe realmente. Il livello del calcio così facendo si sta abbassando notevolmente”. Stai già pensando al dopo carriera? “Sì, però per il momento vorrei continuare
ancora a giocare, che è ciò che più mi piace, poi vedremo. Nell’estate 2014 ho preso a Coverciano il patentino di allenatore di base, proprio grazie al ritiro or-
ganizzato dall’Assocalciatori. Scendere in campo, tuttavia, resta la cosa che più amo fare al mondo”. Hai mosso i primi passi nel professionismo con la maglia del Monopoli. La compagine biancoverde ad agosto è stata ripescata in Lega Pro e la tifoseria sui social network ha iniziato a invocare a più riprese il tuo ritorno in riva all’Adriatico. È un matrimonio che s’ha da fare? “I tifosi vorrebbero che tornassi lì, a Monopoli ho passato quattro anni bellissimi conditi da una promozione in Serie C2, sono stato anche il capitano, ho un ottimo ricordo. A Monopoli andrei volentieri, la Puglia è casa mia e mi manca, ma non dipende solo da me”. 15
scritto per noi
di Alessandro Comi
Attaccante dell’Alessandria
Riccardo Bocalon: il bomber dai “gol pesanti”
C’è un miracolo che si chiama Alessandria, capace di eliminare il Genoa agli ottavi di Coppa Italia ed approdare ai quarti di una competizione che da più di trent’anni non vedeva arrivare così avanti una squadra di Lega Pro. E se al “miracolo” dobbiamo dare un nome, come non citare Riccardo Bocalon, autore della rete decisiva ai supplementari? Bomber dal gol facile (è stato capocannoniere di Lega Pro con l’Unione Venezia), Bocalon è attaccante forte fisicamente, bravo di testa e veloce nel dribbling. Nella sua carriera ha giocato nelle giovanili del Treviso, passando poi alla Primavera dell’Inter che ha acquistato il suo cartellino e lo ha girato in prestito a varie squadre di Lega Pro tra cui Portogruaro-Summaga, Viareggio, Cremonese, Carpi, Sud-Tirol, Venezia, Prato e nell’ultima stagione è stato acquistato in via definitiva dall’ Alessandria. Sei un predestinato dei “gol pesanti”: l’ultima tua “perla” è la rete che è valsa recentemente il passaggio del turno in Coppa Italia… “È vero, ho già segnato gol decisivi nella mia carriera, ma quello contro il Genoa resterà comunque indimenticabile poiché è avvenuto nei tempi supplementari, con la squadra in inferiorità numerica, e ci ha permesso di espugnare Marassi e uscire tra gli applausi degli sportivissimi tifosi genoani e la gioia dei 2500 tifosi alessandrini che ci hanno seguito in trasferta”.
Non è la prima volta… “In passato ho avuto altre grandi soddisfazioni: col Portogruaro ho siglato, nell’ultima partita contro il Verona al minuto 89, il gol che ci ha dato i 3 punti per salire in Serie B. Col Viareggio, nella partita dei play out per non retrocedere, ho fatto una tripletta contro il Cosenza che ci ha salvato. A Venezia, nella finale per salire dalla C2 alla C1 contro il Monza, ho segnato 2 gol nella vittoria per 3 a 2 che ci ha dato la promozione. E poi, non da meno, la soddisfazione di essere stato capocannoniere con 17 reti dei 2 gironi di Lega Pro quando militavo nell’Unione Venezia”. Un predestinato con già molti gol importanti all’attivo a soli 26 anni: come mai ancora non hai calcato altri palcoscenici? Hai 16
Riccardo Bocalon è nato a Venezia il 3 marzo 1989. Cresciuto calcisticamente nel Treviso, viene notato dall’Inter che ne acquista il cartellino e lo fa giocare in Primavera (con lui anche Mattia Destro). Viene ceduto in prestito al Portogruaro, quindi Viareggio, Cremonese, Carpi, Sud Tirol, Venezia (vince la classifica marcatori aggiudicandosi il “Premio AIC al capocannoniere” e viene insignito con il premio del Galà del Triveneto) e Prato prima di vestire la maglia dell’Alessandria.
qualche rimpianto? “Nessun rimpianto, sono fatalista e penso che ognuno abbia ciò che si merita. Ho la coscienza a posto, nessuno mi ha mai regalato niente e mi sono costruito da solo. Posso dire di essere fiero di me stesso e spero un domani di raggiungere traguardi più alti di quelli che ho raggiunto fino a questo momento”. Come ti trovi attualmente all’Alessandria? “Molto bene. Spero di vincere con questa maglia prestigiosa e salire in Serie B, mi trovo in un ambiente ottimale, la società è seria ed ambiziosa, i tifosi sono fantastici, ci alleniamo in un centro spor-
tivo splendido e lo stadio è stato rifatto quest’anno: tutte componenti positive per fare bene…” Quali sono i tuoi traguardi futuri? “Il mio obiettivo è quello di migliorarmi sempre, sono ambizioso, e come ogni bambino che inizia a giocare a calcio il mio sogno nel cassetto è quello di arrivare a giocare in Serie A. Spero un giorno di avere questa possibilità”. E fuori dal campo? “Diciamo che mi godo la vita, sono sposato da giugno con mia moglie Barbara, ho un diploma come tecnico turistico. Un domani si vedrà il da farsi, intanto per il momento cerco di buttarla dentro il più a lungo possibile…”.
Lega Pro
di Tommaso Franco
La bella favola dei “grigi” di Gregucci
Alessandria: stairway to heaven Il passaggio ai quarti di finale di Coppa Italia dell’Alessandria è certamente l’evento più sorprendente di questo finale d’anno. Gregucci, al timone dei piemontesi dalla quinta giornata di campionato, quella maglia la conosce bene. La indossò per 4 stagioni in C2 dal 1982 al 1986: più di 100 presenze e qualche rete, malgrado il suo ruolo non lo richiedesse. L’Alessandria Calcio 1912 vanta 13 partecipazioni al campionato di Serie A, 20 a quello di Serie B e 46 a quello di Lega Pro (considerando anche la Seconda Divisione e le “vecchie” C e C2). Nei “grigi” mosse i primi passi da professionista un certo Giovanni Rivera, detto Gianni, nato a Valle San Bartolomeo, frazione di Alessandria, il 18 agosto del 1943; padre ferroviere e madre casalinga si spostarono dal centro per sfuggire ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale; il 30 aprile del ’44 le bombe colpirono il quartiere popolare “Cristo” causando 239 morti e molti feriti. Rivera esordì in Serie A nella stagione 1958-59 e nella successiva si conquistò un posto da titolare fisso (25 presenze e 6 reti). Poi, sempre e solo Milan, dal 1960 al 1979: oltre 500 presenze, 3 scudetti, 4 Coppe Italia, 2 Coppe dei Campioni, 2 Coppe delle Coppe 1 Coppa Intercontinentale. Con la maglia della Nazionale vinse nel 1968 il Campionato Europeo. Nel 1969 vinse il “Pallone d’Oro”, il primo calciatore italiano ad essere insignito con il premio dei premi, il massimo riconoscimento individuale per un calciatore. Tutto partì da Alessandria, la sua città e dall’Alessandria, la squadra che lo face crescere e lo lanciò tra le stelle del firmamento calcistico. Sono passati 56 anni e l’Alessandria Calcio, tornata tra i professionisti nel 2008, è riuscita nell’impresa di arrivare fino ai quarti di Coppa Italia; già quella che sfiorò appena contro il Torino nel 1936. Ma allora
erano altri tempi, era un’altra storia. I “grigi” erano nella massima serie, sul gradino alto del podio dei professionisti in Italia. Oggi, con una differenza di due categorie, Marras, Loviso e compagni sono riusciti a conquistare un traguardo davvero insperato battendo nell’ordine Altovicentino, Pro Vercelli, Juve Stabia, Palermo e Genoa (in totale 3 reti di Loviso e 2 di Fischnaller). Solamente in un’altra occasione una squadra di Lega Pro (allora Serie C) era riuscita nell’impresa di arrivare così in alto in questa competizione: il Bari, anno 1984. L’Alessandria si giocherà il passaggio alle Semifinali sfidando lo Spezia di Mimmo Di Carlo, altra gradita sorpresa di questa competizione, arrivata sin qui battendo Brescia, Frosinone, Salernitana e Roma. In semifinale, quindi ci sarà di certo una squadra che non milita nel campionato di Serie A. Sui social network, tifosi ed appassionati hanno accolto con grande entusiasmo il sorprendente cammino delle due Cenerentole. C’è un grande bisogno di assistere ad imprese incredibili, alle vittore di Davide contro Golia. I pronostici rovesciati, da sempre, destano ammirazione. Il calcio, assieme a tutti gli altri sport, anche in questo, è metafora della vita. “Con l’impegno si raggiunge qualsiasi risultato… Il lavoro duro, prima poi, paga sempre… I sogni a volte diventano realtà…”. Quando ciò accade, e accade di rado proprio per mantenere il sogno nella sua dimensione, proviamo un senso di profonda empatia per chi quel sogno lo ha realizzato, proprio come se fossimo stati noi i protagonisti dell’impresa.
Portieri PISSERI RAVAGLIA FURLAN NARDI LA GORGA
Monopoli Cremonese Lumezzane Santarcangiolese Pro Patria
6,54 6,47 6,46 6,35 6,33
Difensori FAISCA QUINTADAMO LOIACONO MASSONI RINALDI
Maceratese Cuneo Foggia Carrarese Cuneo
6,40 6,34 6,32 6,32 6,32
Centrocampisti VARELA MANCOSU DETTORI CAROTTI ONESCU
Pisa Casertana Carrarese Maceratese Fidelis Andria
6,56 6,54 6,50 6,48 6,40
Attaccanti NETO PEREIRA INFANTINO DE CENCO KONKO PETRELLA
Padova Carrarese Pordenone Maceratese Teramo
6,57 6,56 6,50 6,50 6,45
non è: l’impresa sportiva come metafora di speranza. E la speranza, ognuno di noi, la può appoggiare dove meglio crede.
Alessandria e Spezia ci hanno regalato la possibilità di assistere all’incredibile, PEREIRA all’insolito ma possibile, al soCAROTTI Padova 6,57 gno che si realizza. Una Maceratese 6,48 cosa che sembra DETTORI INFANTINO Carrarese 6,50 STEVANIN piccola ma Carrarese 6,56 Bassano Virtus 6,24 LORES VARELA che piccola Pisa 6,56 FAISCA Maceratese 6,40
PISSERI Monopoli 6,54
QUINTADAMO Cuneo 6,34
MANCOSU Casertana 6,54
MARIANO Foggia 6,25
La miglior formazione di Lega Pro dall’inizio del torneo
17
amarcord Mi ritorni in mente…
Quel mio cartellino rosso
Leonardo Massoni (Carrarese) mento, più ancora anni fa, è capitato di una respinta. Io che cerco di calciare ma “Sono un difensore e sono anche di quelli arbitrare qualche nostra partitina e pur Foglio mi anticipa e velocemente riparte. che entrano sempre decisi. Però un fallo se era così una cosa tra noi, proprio amiDei nostri c’era solo Vives: lui scivola e così cattivo proprio non mi riesce di farlo, non chevole, tutti lì ad attaccarsi a tutto pur Foglio se ne va tutto solo verso la nostra è da me, sono uno a cui piace giocare pudi ottenere un rigore o qualcosa a favore. porta. Lì ho fatto proprio una grande lito insomma. Quel che ti posso raccontaAllora sì capisci ancor più quanto può esrincorsa e praticamente l’ho raggiunto a re è un cartellino rosso del tutto ingiusto, sere dura per loro”. una spanna dal limite dell’area, tenendolo per me clamoroso. È capitato quand’ero poi per la maglia, prima così che entrasse. al Viareggio e si giocava quel giorno conManuel Iori (Cittadella) Fallo dal limite ed è come detto un cartro il Foggia, come avversario diretto ave“Di cartellini rossi ne ho presi in fondo potellino rosso che tutto sommato ricordo vo Burrai. Ero salito per un calcio d’angolo, chi, non mi considero certo uno cattivo, ancora con piacere, è stato utile dato che loro erano ripartiti e stavo così correndo ne ricordo uno per doppia ammonizione eravamo 0 a 0 (così poi è finita) e se quel indietro, situazione comunque sotto cone un altro per fallo diretto. Quel che ti racfallo l’avessi fatto giusto qualche centitrollo. Ci stava comunque un fallo tattico conto è un rosso che tutto sommato rimetro dopo sarebbe stato rigore. Con gli e così ho semplicemente allungato un cordo anche volentieri perché quella mia arbitri? Beh, cerco sempre di dar loro una mano, se possibile dialogare, mi pare inbraccio per ostacolarlo, niente di più. espulsione ha significato qualcosa di poSì, certo, il fallo l’avevo fatto, era un fallo sitivo per la mia squadra. La partita era normalissimo, magari volendo un giallo Torino-Albinoleffe, noi eravamo tutti poteva al limite starci, l’avrei accettato, ma all’attacco e lì al limite dell’area c’è stata lui, Burrai, s’è buttato giù con una gran scena (lo scorso anno s’era assieme a Monza e ci siamo fatti una bella risata) e così l’arbitro mi sventola il rosso e ne ho pure prese due di giornate. Con gli arbitri a dir la verità cerco semL’incipit pre di mettermi nella loro testa, specie quando sono lì e prenUn nuovo inizio dono delle decisioni sbagliate. Ci sono cose sulle quali vado a colpo sicuro. In campo e nella vita di tutti Si sa che la loro parte è difficile i giorni. Non sono uno che si fa divorare dai dubbi. Anzi. Entro deciso. e così io cerco Con il mare, per esempio, mi sono fidanzato da piccolo: è stata la mia prima cotta e, crescendo, ho capito che non avrei potuto vivere senza di lui. di dare loro una mano, Quando si tratta di staccare e concedersi una vacanza, il caldo di una sempre rilocalità balneare vince sempre con due gol di scarto. La montagna? spettandoli Mi piace meno e la “subisco”, diciamo così, per lavoro, quando vado perché così in ritiro con la squadra. Se ti vuoi divertire vai in spiaggia, ma se devi faticare e sudare è medeve fare un calciatoglio farlo a temperature più “miti”, in zone dove l’aria è più respirabile. re. Anche a Sono un calciatore: questo è il mio lavoro. Ma lo è diventato senza che me ne rendessi del me in qualche tutto conto, automaticamente e inconsciamente: dai primi tiri con gli amici alla maglia dei allenaragazzini del Brescia è stato un attimo. Per non parlare, poi, del salto dalle giovanili del Pavia alla Serie A, passando per Reggio Calabria. È accaduto tutto troppo in fretta? Forse sì. Sono a Prato allo Stelvio, in provincia di Bolzano, e sto cominciando una nuova avventura. Il ritiro precampionato del Sassuolo parte proprio da qui: a un’ora di macchina da Bormio. Ed è un ritiro speciale, perché la squadra si sta preparando per la sua prima stagione in Serie A. Ci troviamo a più di novecento metri sopra il livello del mio amato mare (che, se va bene, vedrò tra un bel po’, durante i pochi giorni di pausa che il mister ci concederà…), ma il posto mi piace lo stesso. Lo trovo perfetto per cominciare nel modo migliore il campionato. Siamo arrivati qui dopo aver svolto i test fisici sul campo sintetico di Fiorano: piccolo paese a due passi da Sassuolo, famoso soprattutto per il circuito dove la Ferrari fa i test alle monoposto che poi utilizzerà in Formula 1. Volendo ben vedere, non è che sia una gran bella coincidenza date le difficoltà del Cavallino in questi ultimi anni. In realtà la Formula 1 la
amarcord
somma un modo per aiutarli. Se poi lui lì sul campo mi dice che l’ha vista in un certo modo, non sto lì a insistere, che gli posso dire… ma se dall’altra parte c’è uno che mi dice che è lui che comanda e “faccio tutto io”, allora nemmeno ci penso a dargli una mano, no”.
La parola all’autore…
Francesco e il libro
“All’inizio avevo detto no, non volevo farlo. Poi però lui, Pucci, mi ha convinto e per me a farmi decidere è stata anche l’idea che potevo magari dare una mano, forse anche un consiglio a persone che stanno vivendo quello che anch’io ho passato, o peggio. Il libro è stato messo assieme così: o Pucci veniva qui da me o ci si trovava vicino al mio paese, in provincia di Milano. Veniva col registratore e stavamo lì un’oretta e mezza alla volta, lui a farmi le domande, io a rispondere; il tutto per una decina di volte. Ogni volta lui mi mostrava quel che aveva scritto e se io dovevo correggere qualcosa, lo facevo. Non c’è voluto poi tanto, è stato fatto in 3-4 mesi. No, no, io non scrivo, ho tutto in testa, tutto è lì. Sì, ho già avuto modo di dirlo: dopo quel che ho passato, mi sento molto più maturo e più consapevole. Soprattutto ho ben chiaro quel che voglio, quali sono gli obiettivi e ho un equilibrio mentale maggiore che mi fa sentire più tranquillo e più sereno”. Beh, non è certo poco: complimenti.
guardo raramente: non sono un patito delle quattro ruote. Per me l’auto è come la montagna: la subisco. Ho una macchina bella e confortevole, e questo mi basta. L’idea di buttar via dei soldi per acquistare un “macchinone” tipico di alcuni calciatori non mi passa neanche per la testa. Magari più avanti, quando smetterò di giocare, mi regalerò uno sfizio. Un Suv, forse. con Alberto Pucci
Tutto bene – La mia doppia vittoria sul tumore Sperling & Kupfer
Francesco Acerbi è nato nel febbraio del 1988 a Vizzolo Predabissi (Mi) e l’esordio tra i professionisti l’ha fatto a 18 anni in C1 col Pavia. Passato per qualche mese al Renate (Cnd), è poi tornato al Pavia, disputando due stagioni in 2a Divisione. Da qui dapprima il salto in serie B con la Reggina, sino ad approdare successivamente (2011/2012) alla serie A col Chievo. Dopo una parentesi al Milan e il ritorno al Chievo, dalla stagione 2013/2014 è al Sassuolo. Proprio nell’estate del 2013, era luglio, le visite mediche d’inizio stagione evidenziano una forma tumorale a un testicolo. Operato, torna in campo dopo alcuni mesi ma le risultanze positive a un test antidoping dopo la partita col Cagliari (dicembre 2013), rivelano la ricomparsa del tumore. Sottoposto a chemioterapia, eccolo poi nuovamente in campo “più forte di prima” (in una stagione, quella scorsa, in cui ha messo assieme 32 presenze). Convocato a suo tempo dal c. t. Prandelli, ha firmato la prima (e per ora, unica) presenza nella Nazionale A con Conte in panca (esattamente il 18 novembre 2014, a Genova: Italia-Albania 1 a 0). Alberto Pucci, milanese, racconta e commenta sport e calcio da più di vent’anni. Giornalista e telecronista per Mediaset Premium, collabora con la testata online Fanpage.it e con Infront Italy. Ha pubblicato Da San Paolo a San Siro: un angelo per il Diavolo (Limina 2008) e Io sono Zlatan… con Sperling & Kupfer (2001). * Parte dei proventi di questo libro saranno devoluti al Centro di oncobiologia sperimentale dell’Università di Palermo.
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segreteria
Siglato a Roma il 26 novembre scorso
Convenzione tra AIC e Credito Sportivo Nuove opportunità nell’impiantistica sportiva per i calciatori oltre la carriera agonistica. È questo lo scopo della convenzione sottoscritta e presentata il 26 novembre scorso nella sede del Credito Sportivo dal Commissario Straordinario Paolo D’Alessio e dal Presidente dell’Associazione Italiana Calciatori Damiano Tommasi. “Il patrimonio di competenze e conoscenze acquisito dai calciatori durante la carriera agonistica deve essere reinvestito nel settore sportivo” – ha commentato il Commissario Straordinario Paolo D’Alessio – “e siamo sicuri che, grazie alla collaborazione tra il Credito Sportivo e l’AIC, tanti ex giocatori troveranno opportunità e soddisfazioni nella vita post agonistica e tanti giovani potranno apprendere e sviluppare le loro qualità sportive attraverso gli insegnamenti e la
passione di veri specialisti”. Grazie al plafond di 20 milioni di euro previsti dalla convenzione, verranno infatti agevolate tutte le richieste di finanziamento relative alla costruzione di impianti sportivi o comunque connesse all’attività di gestione di impianti sportivi e provenienti da associati AIC. L’accordo, che avrà una durata triennale, permetterà così di dare seguito a tutte le richieste degli affiliati che vogliono investire nel loro futuro utilizzando fuori dal campo la professionalità acquisita in tanti anni di attività. “Come Associazione Italiana Calciatori siamo molto impegnati in tutte le attività che riguardano il post carriera dei giocatori” – ha commentato il Presidente AIC Damiano Tommasi – “e unendo il patrimonio di conoscenze ed esperienze dei calciatori con le competenze specifiche
del Credito Sportivo potremo dar vita a progetti importanti sia dal punto di vista professionale che tecnico e di cui potrà beneficiare tutto il mondo del calcio e dello sport”. Alla conferenza stampa di presentazione sono intervenuti anche il Consigliere Federale Simone Perrotta e il Vice Presidente Vicario AIC Umberto Calcagno.
Per celebrare i 20 anni del premio
Gentleman 20: il libro benefico Il Premio Gentleman ha festeggiato nel 2015 i suoi primi 20 anni. Dal 1996 l’idea di Gianfranco Fasan e Federico Aloisi è diventata ormai un tradizionale appuntamento di fine stagione per assegnare il Gentleman Fair Play allo sportivo più corretto dell’anno. Questo Premio ha, dunque, accompagnato 20 anni di calcio italiano, un calcio che ha regalato grandi gioie, come quella dei Mondiali 2006, ma anche tanti momenti difficili, come testimoniano le inchieste sul calcioscommesse. Per chiudere le celebrazioni ha preso corpo l’idea di un progetto per una pubblicazione che raccontasse, da diversi punti di vista, questo ventennio e che al tempo
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stesso fosse coerente con le finalità benefiche che hanno sempre contraddistinto il Premio: ed infatti gli utili dell’iniziativa saranno destinati alla Fondazione Pupi di Paula e Javier Zanetti, quest’ultimo plurivincitore e dal 2014 anche Presidente onorario del Premio Gentleman. Quattro amici del Premio e prestigiose firme del giornalismo sportivo italiano, David Messina, Massimo Caputi, Filippo Grassia, Mino Taveri, hanno aderito con entusiasmo al progetto e hanno raccontato questi quattro quinquenni compresi fra il 1996 e il 2015. A Marco Civoli, invece, e alla sua celebre “il cielo è azzurro sopra Berlino” è toccato il compito di farci rivivere le emozioni az-
zurre nello speciale capitolo del Mondiale 2006. I saluti iniziali sono stati firmati dal Presidente del Coni Giovanni Malagò, dal Presidente della Figc Carlo Tavecchio e da Damiano Tommasi, Presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, che ha messo a disposizione il proprio archivio fotografico per il libro. Il volume è stato curato da Gabriele Tacchini e Stefano Gramegna, rispettivamente presidente e segretario dell’USSI Lombardia con il coordinamento editoriale di Dario Colombo e Alessandro Botta per New Col e si avvale della grafica di Marina Bonanni. Editore è GF Communication srl. Alle presentazione, presso il Circolo della Stampa, sono intervenuti l’Assessore regionale allo Sport Antonio Rossi, Gianni Grazioli Direttore generale AIC, gli ideatori del Premio, Gianfranco Fasan e Federico Aloisi e naturalmente di Javier Zanetti. Il libro potrà poi essere acquistato, anche come omaggio natalizio, attraverso il sito gentleman.it, nelle librerie Il Libraccio e nei corner della Fondazione Pupi allo stadio G. Meazza.
Speciale
Buffon; Darmian, Bonucci, Rugani, Chiellini; Nainggolan, Pirlo, Pogba; Tevez, Toni, Icardi: in un ipotetico formidabile 4-3-3, questa è la fantastica squadra premiata il 14 dicembre scorso a Milano per la quinta edizione del Gran Galà del Calcio AIC.
GRAN GALÀ DEL CALCIO AIC 2015 di Nicola Bosio foto di Nicolò Zangirolami
Un format che ha “incoronato” Carlos Tevez “calciatore dell’anno”, quindi Massimiliano Allegri “allenatore dell’anno”, Nicola Rizzoli “arbitro dell’anno”, Adam Masina “miglior giovane della Serie B”, Melania Gabbiadini “calciatrice dell’anno” e la Juventus quale società di Serie A che più si è distinta nella passata stagione.
Ci sono la professionalità di Massimo Caputi e la coinvolgente simpatia di Max Giusti. Ci sono tutte le più “alte cariche” del nostro calcio sedute in platea, oltre naturalmente al “padrone di casa” Damiano Tommasi. C’è il pubblico delle grandi occasioni, le tv, i media, i social e tutto quanto fa “informazione”. Ci sono quattro grandi sponsor (Cantine Ferrari Trento, Club Med, Radio 101 e Wyscout in rigoroso ordine alfabetico), ma soprattutto ci sono loro, i calciatori premiati, quelli più votati da una speciale giuria che solo l’Associazione Italiana Calciatori poteva mettere insieme per questa iniziativa tutta particolare. “Gran Galà del Calcio AIC 2015” anno quinto, ovvero un’esclusiva serata di sport e spettacolo, un avvenimento seguitissimo per celebrare ufficialmente i “top” del campionato scorso; ovvero un premio, ormai “consolidato”, molto ambito perché assegnato da allenatori, arbitri, giornalisti qualificati, C.T. ed ex C.T. della Nazionale, ma soprattutto dai calciatori stessi che, meglio di chiunque altro, possono giudicare compagni o avversari con i quali si sono affrontati direttamente sul campo.
Una grande festa del nostro calcio durante la quale, sul palco dell’Auditorium di Milano, è salito quello che per il campionato 2015 è stato votato come l’undici ideale della Serie A. Ruolo per ruolo, i più forti calciatori di una ipotetica super squadra dell’anno, un formidabile 4-3-3: Buffon; Darmian, Bonucci, Rugani, Chiellini; Nainggolan, Pirlo,
Pogba; Tevez, Toni, Icardi.
Letta tutta d’un fiato fa una certa “impressione”, farebbe invidia pure al Barcellona super titolato di Leo Messi, soprattutto se a guidarla in panchina fosse Massimiliano Allegri (eletto “allenatore dell’anno”), mister di quella Juventus ancora una volta votata come “squadra dell’anno”. Come votatissimi, ancora una volta, Nicola Rizzoli “arbitro dell’anno” e Melania Gabbiadini “calciatrice dell’anno”: i migliori, nei loro rispettivi campi, sono sempre loro… per buona pace dei “secondi”. Il “volto nuovo”, in tutti i sensi, si chiama Adam Masina (“miglior giovane di Serie B”) difensore del Bologna già azzurro con l’Under 21. Poi, a chiudere, il vincitore dei vincitori: Carlos Tevez, eletto “calciatore dell’anno” per una manciata di voti. Ormai l’Apache è volato in Argentina per tornare nella sua terra d’origine, vicino alla sua gente, lasciando ricordi indelebili. Così come questo “Gran Galà del Calcio AIC”, già proiettato verso la sua sesta edizione…
Su il sipario e… prima le “signore”: al di là della consueta galanteria, a maggior ragione in una serata di gala, il premio per la miglior calciatrice, che apre questa quinta edizione del Galà, ha un significato che va oltre le formalità. Sì, perché il calcio femminile, soprattutto in quest’ultimo periodo, è cresciuto in immagine e popolarità e, forse proprio grazie all’AIC, anche in credibilità. Allora tocca a Melania Gabbiadini, ormai un abitué (quarta statuetta per lei) e Katia Serra aprire le danze con ovvia soddisfazione dell’una (“Non ci si stanca mai di
vincere qualcosa, soprattutto per un premio assegnato dai voti delle mie colleghe e che proprio per questo assume per me un’importanza particolare”) e dell’altra (“Il calcio femminile ultimamente ha fatto passi importanti e l’augurio è che presto abbia an-
che in Italia la giusta considerazione che merita”).
Arriva una leggenda, soprattutto in quel di Milano sponda rossonera, che di nome fa Gianni e di cognome Rivera, che ha incantato l’Italia azzurra con reti rimaste nella storia (tipo l’epico 4 a 3 alla Germania in quel Messico ’70), che ha scritto un libro sulla sua vita, e che, da buon trequartista, non può che lanciare a rete due grandi attaccanti, i migliori dello scorso campionato, e non solo per il numero di gol (22) messi a segno: Luca Toni e Mauro Icardi. Per loro, non solo la statuetta del Galà (e l’immancabile Jéroboam Ferrari da tre litri personalizzato), ma anche la targa del “Premio AIC al capocannoniere” confezionata da Brusco Gioiellerie con tanti diamanti quante le reti segnate. E se per l’attaccante gialloblù è un “premio ina-
spettato visto che non pensavo di fare una grande
annata”, per il nerazzurro è un “riconoscimento graditissimo perché avevo iniziato male ma poi ho preso la rincorsa e finito in bellezza”.
Il 4-3-3 esige un’altra punta, di quelle che svariano su tutto il fronte d’attacco, di quelle che inventano giocate imprevedibili, di quelle che segnano gol pesanti come… Carlos Tevez: è lui il più votato, come lo scorso anno, ma stavolta Carlitos a ritirare il premio ci manda il Direttore Generale della Juve Giuseppe Marotta: “Tevez ha espresso la volontà
di tornare in Argentina e lo abbiamo accontentato. Lui è un grandissimo calciatore, ma noi con Dybala abbiamo per fortuna trovato il suo erede”.
Piccolo stacco, non pubblicitario stavolta, ma per passare dalla massima serie alla Serie B, campionato che offre sempre di più spunti d’interesse e giovani promettenti. Questo
premio in passato lo hanno vinto El Shaarawy, il trio Immobile-Verratti-Insigne, Berardi e Rugani: tutta gente che alla maglia azzurra della Nazionale maggiore ci è arrivata o ci arriverà. È l’augurio che Andrea Abodi, nei panni di premiatore (“ringrazio l’AIC per questa finestra lasciata aperta sulla B”), non può che fare ad Adam Masina, difensore del neopromosso Bologna: “Onorato
di questo riconoscimento. Spero di far bene anche quest’anno in Serie A: ora sono cambiati i dettagli e soprattutto la qualità degli avversari”. Applausi, sentiti “in bocca al lupo” e pure una vacanza premio targata Club Med. Fermi tutti, arriva il capitano: della Juve, della Nazionale, del nostro calcio. Sul palco sale Gigi Buffon, un monumento, probabilmente “il” monumento, “un esempio
per i giovani” sostiene Carlo Tavecchio pronto a con-
segnargli l’ennesima statuetta. Il portierone dice che di premi AIC ne ha vinti una dozzina (in realtà con questo sono “solo” 11) servendo su un piatto d’argento la battuta a Max Giusti (“ma che ci fai con tutte ‘ste statuette:
ci fermi le porte? Le metti in giardino al posto dei nani?”). La realtà ce la spiega il numero 1, anche quest’anno “numero 1 dei numeri 1”: “Ho vinto tanto perché ho sempre avuto la fortuna di giocare in grandi squadre, Parma prima e Juventus ora, con grandi compagni senza i quali non sarei andato da nessuna parte”. E il futuro è ancora suo, anche se all’orizzonte hanno già indicato quale suo erede quel Gianluigi (nomen omen) Donnarumma che a soli 16 anni è già titolare al Milan: “Donnarumma è bravo, è riuscito a gesti-
re le pressioni di San Siro nonostante l’età. E vedo che lo stanno tutelando in maniera egregia: altri giovani sono stati bruciati, dai complimenti prima e dalle critiche poi”. Compagno di Buffon, in quel Parma dei miracoli, c’era pure Marco Di Vaio chiamato a premiare il miglior terzino di fascia destra. Di difensori se ne intende (“al Parma
in allenamento, o mi trovavo di fronte Thuram o Fabio Cannavaro. In porta poi c’era Gigi… e per un anno li ho guardati dalla panchina”), così come se ne intende chi ha votato Matteo Darmian, certamente il migliore nel suo ruolo dello scorso campionato. Direttamente da Manchester l’ex granata non ha dubbi: “In
Inghilterra si sta bene, è un gran bel campionato, anche se in questo momento lo United non sta at-
traversando un gran momento. Ma abbiamo una grande struttura, un grande pubblico e tutto ciò che ci serve per risalire”. Si prosegue con Leonardo Bonucci (premiato dal presidente delle Cantine Ferrari Trento, Matteo Lunelli) il primo dei due “centrali” di difesa, una new entry dal momento che mai si era aggiudicato un premio AIC: “Se ti
eleggono i colleghi vuol dire che hai fatto bene, ma vuol dire che devi continuare a far bene”.
Altro centrale ed altro bianconero, anche se stavolta il premio lo ha preso per la sua splendida stagione con la maglia dell’Empoli: Daniele Rugani lo scorso anno aveva vinto come miglior giovane di Serie B e, a distanza di dodici mesi, è già nella “Top 11” del campionato: “Già nella
passata edizione per me era stata una grande emo-
zione, a maggior ragione quest’anno. Un premio bellissimo perché dato dai colleghi”. Nelle vesti di
premiatore Giancarlo Abete, una presenza sempre gradita come ha ribadito scherzosamente anche Max Giusti: del resto “sotto Natale un Abete fa sempre piacere…”. A completare un reparto difensivo tutto “made in Italy” arriva Giorgio Chiellini, “lo stereotipo del calciatore italiano, tutto grinta e sacrificio” come lo definisce il Direttore Generale FIGC Michele Uva. Per “Chiello” altra graditissima statuetta (“È la quinta, vuol dire che sto diventando vecchio”) da spartire con i compagni: “La difesa è uno dei nostri punti di forza, ma
andrebbero premiati tutti perché in una squadra come la Juve tutti partecipano alla fase difensiva, centrocampisti e attaccanti compresi”.
Altro break, prima di completare la “formazione dei sogni” con i tre centrocampisti, dedicato agli arbitri. Anche qui pochi dubbi… e una sola certezza, quel Nicola Rizzoli, fischietto mondiale, alla sua quinta statuetta: “Ormai sto
andando verso la fine della mia carriera ed è bello ricevere questo premio che viene dai calciatori”. I fischietti italiani, checché se ne dica, restano i migliori: “Ci stiamo abituando a prendere anche i complimenti”,
chiude soddisfatto il premiatore Marcello Nicchi. Ci sono due creste bionde in sala che brillano più di quelle delle hostess, e che in mezzo al campo dettano legge: è il momento dei centrocampisti, è il momento di Radja Nainggolan e Poul Pogba. Per il romanista (“uno
che incarna il centrocampista moderno che corre, lotta e segna”, sostiene Simone Perrotta) è una “prima
volta” (“una bella soddisfazione, vado avanti per migliorarmi sempre”), per lo juventino è il “bis” dopo lo strepitoso campionato dello scorso anno. “Pogba è un
calciatore che vince i premi senza ancora aver dato il meglio di sé”, sentenzia il Presidente AIC Tommasi,
e nemmeno a farlo apposta ecco che di premi il “polpo” ne riceve subito un altro dal giornalista Luigi Colombo e dal Direttore Generale AIC Gianni Grazioli, quel “Premio Bulgarelli” che ogni anno va al centrocampista più completo di tutta Europa. Nel centrocampo a 3 c’è pure Andrea Pirlo, anzi non c’è, nel senso che è tornato a New York lasciando però un filmato della sua premiazione avvenuta a Torino qualche giorno prima: “Premio prestigioso, ringrazio tutti
quelli che mi hanno votato. Ora sto facendo una
bella esperienza, arrivata al momento giusto della mia carriera. Agli Europei tengo molto e sono a disposizione. Il campionato quest’anno è più equilibrato ma credo che la Juventus sia ancora la numero uno”. Chi guiderà questo fantastico “11”? E chi se non il “mister” che ha vinto lo scudetto, chi se non l’allenatore che ha portato la sua squadra alla finale di Champions League, chi se non Massimiliano Allegri? “Ho la fortu-
na di allenare giocatori che hanno dei valori importanti, al di là della bravura sul campo”, il suo
commento a caldo. Certo che Renzo Ulivieri (pisano) che premia un livornese, però, non si era mai visto… “Ma io
e Allegri siamo due toscanacci, due allenatori che si intendono alla perfezione e questo premio per
lui è senza dubbio meritatissimo”.
Ultimo premio, scontato, quello alla Juventus come miglior squadra dell’anno, consegnato dal Presidente della Lega di Serie A Beretta ad Andrea Agnelli, un “ricono-
scimento per tutti quelli che lavorano in società, uomini e donne, dal primo all’ultimo”.
Siamo ai saluti, non prima di svelare il nome del “migliore assoluto” (Carlos Tevez) e della chiosa finale del Presidente AIC Tommasi: “Una serata bellissima, che riconci-
lia con il calcio vero. Ancora una volta iniziative come questa ci fanno capire quanto emoziona il rettangolo verde, un messaggio importante anche per noi dirigenti che da dietro le scrivanie dovremmo lasciare da parte rancori e litigi e vivere questo sport con più serenità”.
scatti
di Maurizio Borsari
Ancora tu
Barcellona vincitore Coppa del Mondo per Club FIFA
Contatti proibiti
Lionel Messi e Jonathan Maidana in Barcellona – River Plate 3-0
Spalla a spalla Manna dal cielo
Ivan Rakitic e Ricardo Goulart in Barcellona - Guangzhou Evergrande 3-0
Neymar e Dani Alves in Barcellona – River Plate 3-0 21
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di Nicola Bosio di
Gianni De Biasi ospite d’onore
15° Galà del Calcio Triveneto 2015 L’allenatore dell’Albania è stato il protagonista del premio AIC/Ussi che, anche quest’anno, è andato ai calciatori delle squadre professionistiche del Triveneto (Calcio a 5 e Femminile compresi), nonché al miglior arbitro e al miglior allenatore che, più e meglio di altri, hanno saputo mostrare qualità e continuità di rendimento nell’arco dello scorso campionato. Ha portato la Nazionale albanese alla prima qualificazione della sua storia alla fase finale di un Europeo di calcio, chiudendo al secondo posto il girone ed ottenendo subito il pass per Francia 2016: Gianni De Biasi, ex calciatore di Pescara, Brescia, Palermo e Vicenza, oggi apprezzato tecnico, è stato l’ospite d’onore del Galà del Calcio Triveneto, giunto quest’anno alla quindicesima edizione. L’iniziativa, che si è svolta lunedì 23 novembre al Teatro Comunale di Vicenza, organizzata dall’Associazione Italiana Calciatori in collaborazione con l’Ussi (Unione Stampa Sportiva) del Triveneto, ha voluto premiare anche quest’anno i calciatori delle squadre professionistiche del Triveneto (Calcio a 5 e Femminile compreso), nonché il miglior arbitro e il miglior allenatore, che più e meglio degli altri hanno saputo mostrare qualità e continuità di rendimento nell’arco dello scorso campionato. Presenti sul palco, oltre a De Biasi, il Presidente dell’AIC Damiano Tommasi, il Presidente onorario Sergio Campana (“Facciamo tornare il Veneto un serbatoio
importante per il nostro calcio”), il Direttore Generale Gianni Grazioli, il Presidente USSI Veneto Alberto Nuvolari (“Lanciamo da questo palco messaggi positivi”) e il Direttore del Giornale di Vicenza Ario Gervasutti, che hanno dato vita, assieme agli studenti delle scuole superiori della provincia, ad un dibattito sui temi più attuali sia riferiti al calcio, sia più in generale, a ciò che sta accadendo nel mondo, soprattutto dopo gli ultimi tragici avvenimenti legati agli atti di terrorismo a Parigi. “Momento non facile per tutto quanto è successo in questi giorni drammatici” – ha esordito Gervasutti. “Ripartiamo dai giovani e dal loro entusiasmo per la vita. Il terrorismo ha colpito anche lo stadio perché lo stadio è identificato come simbolo della nostra civiltà, e noi dobbiamo difendere questo simbolo come dobbiamo difendere la nostra civiltà. Quindi riportiamo gli stadi ad essere un luogo di festa ed aggregazione”. “Ritrovarsi e parlare di calcio come motivo di riflessioni è bello dopo tutto quello che è successo” – gli ha fatto eco Tom-
masi – “Lo stadio come simbolo di civiltà, ma anche il piccolo campo di periferia. È da lì che dobbiamo ripartire, anche dal calcio dilettantistico oltre che da quello di vertice. Tornare coi piedi per terra: forse è il momento giusto. Far tornare il calcio per quello che è, un momento di festa, di emozioni, di valori”. E di festa ed emozioni si è riempita tutta una nazione, quell’Albania qualificata agli Europei grazie ad un allenatore italiano: “Sono, per così dire, scappato dall’Italia perché deluso da come qui si interpreta il calcio, soprattutto per un allenatore” – ha esordito De Biasi. “Un lavoro difficile ed instabile. Ho avuto l’occasione di andare a fare un’esperienza all’estero e l’Albania mi ha dato una grande opportunità. Noi italiani siamo caratterialmente un po’ mammoni e forse abbiamo perso occasioni importanti. Dobbiamo aprire la nostra testa, aprirci al mondo e a nuove opportunità”. “Abbiamo fatto un programma a lungo termine tenendo presente i tanti calciatori che giocano nei campionati esteri” – ha proseguito l’allenatore dell’Albania. – “La cosa buona è stata far credere ad un gruppo di ragazzi di poter realizzare un sogno. Arrivare ad un obiettivo importante diventa più semplice. Siamo partiti per la qualificazione all’Europeo con
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Ecco la lista dei premiati stagione 2014-2015 CHIEVO: HELLAS VERONA: UDINESE: CITTADELLA: VICENZA: BASSANO VIRTUS: PORDENONE: REAL VICENZA: SÜDTIROL - ALTO ADIGE: UNIONE VENEZIA: ALLENATORE: ARBITRO: CALCIO A 5: CALCIO FEMMINILE:
Qui a fianco l’allenatore dell’Albania Gianni De Biasi in un momento del dibattito con gli studenti. A sinistra, gli ospiti sul palco della 15ª edizione del Galà del Triveneto: Sergio Campana, Damiano Tommasi, De Biasi, Ario Gervasutti e Alberto Nuvolari “presentati” da Gianni Grazioli. In alto a destra gli studenti vincitori del concorso giornalistico indetto in collaborazione con Il Giornale di Vicenza.
I temi del concorso giornalistico
Nicolas Frey Vangelis Moras Giampiero Pinzi Andrea Pierobon Nicolò Brighenti Simone Iocolano Denis Maccan Nicola Pavan Fabian Tait Stefano Fortunato Pasquale Marino Daniele Orsato Daniel Giasson Federica Di Criscio
Casa o stadio, Davide contro Golia e i “miracoli” sportivi Anche quest’anno al Galà è stato legato un concorso giornalistico nato dalla collaborazione tra Aic, Il Giornale di Vicenza e l’Ufficio Scolastico provinciale, riservato gli studenti delle scuole superiori di città a provincia. Tre i temi proposti, e tre i relativi vincitori: “Una pizza, una birra e un po’ di amici. Milan-Inter in tv: attesa. Eccoli, sono entrati in campo. Slogan e canti. Milan-Inter allo stadio: attesa. Da che parte ti vedi di più?” (vinto da Deborah Casarotto);“Davide contro Golia: la storia insegna che non basta essere più forti sulla carta, per vincere è necessaria la determinazione” (vinto da Filippo Zambello); “Il Giappone che batte il Sudafrica nella Coppa del Mondo di rugby. Agli Open degli Stati Uniti, Roberta Vinci batte Serena Williams in tre set a va in finale. Giusto un caso? Irripetibile? Una riflessione” (vinto da Marco Bedin che ha concluso il tema ricordandoci che, come dice Neil Simon, drammaturgo e sceneggiatore statunitense, “lo sport è l’unico spettacolo che, per quante volte tu lo veda, non sai mai come andrà a finire”.
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1) Tommasi e Campana premiano De Biasi come sportivo dell’anno. 2) Il difensore del Chievo Nicolas Frey premiato da Alberto Nuvolari (USSI). 3) Miglior calciatore dell’Hellas Verona è risultato Vangelis Moras premiato da Tommasi. 4) Daniel Giasson (Calcio a 5) e il vicepresidente AIC Umberto Calcagno. 5) Il Direttore Generale AIC Gianni Grazioli con Nicolò Brighenti, miglior calciatore del Vicenza. 6) Giampiero Pinzi, oggi al Chievo, premiato da Ario Gervasutti come miglior calciatore dell’Udinese della passata stagione.
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7) Katia Serra premia Federica Di Criscio (Calcio Femminile). 8) Daniele Orsato, miglior fischietto triveneto 2015 premiato da Gigi Agnolin. 9) Il trascinatore del Bassano Simone Iocolano con Sergio Campana. 10) Stefano Fortunato (Unione Venezia) con Sira Miola, coordinatrice dell’Ufficio scolastico Provinciale.
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11) Denis Maccan premiato da Luca Pozza (USSI). 12) Fabian Tait, miglior calciatore del Sud Tirol. 13) Nicola Pavan (Real Vicenza). 14) Diego Bonavina, presidente di AIC Onlus, premia Andrea Pierobon, portiere “record” del Cittadella. 15) L’allenatore del Vicenza Pasquale Marino con Tommasi e De Biasi. 16) Foto di gruppo per tutti i premiati.
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un girone difficilissimo, ma ci abbiamo creduto e un gruppo di buoni giocatori è diventata una grande squadra. Gente che si è aiutata a vicenda e ha creato un gruppo importante”. Prima di passare alle premiazioni, De Biasi ha voluto lanciare un ultimo appello ai ragazzi presenti in sala: “Non spaventiamoci di fronte a gente che non ha valori: il terrorismo non ha logica e va condannato, sempre”. Quindi via alla lunga lista dei premiati a cominciare da Stefano Fortunato (Unione Venezia, oggi senza contratto) premiato da Sira Miola, coordinatrice dell’Ufficio scolastico Provinciale. Figlio d’arte (il padre Daniele è stato un grande centrocampista di Atalanta, Juve e Torino), ha scelto di fare il portiere perché “non mi piaceva tanto correre e allora ho scelto di andare in porta”. Per il Real Vicenza, Nicola Pavan (premiato sempre da Sira Miola) quest’anno al Pavia. “L’obiettivo è quello di migliorare sempre. Ho avuto un brutto infortunio ma ormai mi sono ripreso”. Dopo Denis Maccan (Pordenone) premiato da Luca Pozza (Ussi), sul palco è salito Fabian Tait (Sud Tirol), giovane reduce da un grande campionato: “A Bolzano è difficile portare la gente allo stadio, ma a suon di vittorie speriamo di farcela”. A premiare il miglior giocatore del Bassano, Simone Iocolano, non poteva che essere un bassanese doc come Sergio Campana che ha ribadito il proprio rammarico per la promozione sfumata alla fine dello scorso campionato contro il Como. “La Serie B era ad un passo” – ha confermato Iocolano – “La promozione l’abbiamo persa prima, non credo nella finale. La cosa importante è stato il percorso fatto con questo gruppo. Anche quest’anno ci riproveremo. Il campionato è difficile perché tutte le squadre sono attrezzate bene”. Per il Calcio Femminile, Federica Di Criscio (Agsm Verona), premiata da Katia Serra, ha voluto ribadire che “purtroppo in Italia c’è molta difficoltà per andare avanti
nel nostro settore, ma ci vuole impegno e passione”. Impegno e passione che certo non sono mancati ad Andrea Pierobon, premiato da Diego Bonavina come miglior calciatore del Cittadella. “Il mio sogno era arrivare tra i professionisti e ci sono riuscito con tanti sacrifici e dando sempre il 100%. È la seconda volta che vinco questo premio, e credo che lo scorso anno sia stata una grande stagione nonostante la retrocessione: giocare in B a 46 anni e battere tutti i record è stato comunque motivo di orgoglio”. E se per Pierobon era il secondo trofeo, per Daniele Orsato (miglior arbitro, premiato da Gigi Agnolin), addirittura il terzo: “Per me è un onore ricevere il premio da Agnolin, per tutto quello che ha fatto in campo e fuori. Mi piacerebbe un domani essere ricordato non tanto come arbitro ma come brava persona quale è stato lui”. E a chi gli ha chiesto se è più facile arbitrare all’estero ha risposto: “Arbitrare è difficile ovunque: La differenza sta nei comportamenti”. Parentesi anche per il Calcio a 5, con Daniel Giasson della Luparense, premiato dal Vicepresidente AIC Umberto Calcagno: “Il nostro sport” – ha commentato il campione europeo – “è di grande velocità sia di pensiero che… di piedi. Ci vuole tanta tecnica”. Beniamino “di casa” il difensore del Vicenza Nicolò Brighenti (premiato dal Direttore Generale AIC Gianni Grazioli) ancora ai box per un brutto infortunio che ormai, per fortuna, si è lasciato alle spalle: “Sto riprendendo il campo e spero che la strada sia in discesa. Lo scorso anno è stato particolare perché una squadra costruita per la Lega Pro si è via via trasformata andando a sfiorare la promozione in A”. E con la massima serie si va a chiudere la carrellata delle premiazioni a cominciare da Nicolas Frey (Chievo) premiato da Alberto Nuvolari (USSI): “Mi fa piacere ricevere questo premio da difensore perché di solito si premiano gli attaccanti. Il cam-
pionato è sempre più difficile, il livello si alza e ci piace far capire che il Chievo non è solo una meteora”. Quindi Giampiero Pinzi (Udinese, oggi di nuovo al Chievo), quasi 400 partite in Serie A, premiato da Ario Gervasutti, e Vangelis Moras (Hellas Verona, premiato da Damiano Tommasi) che più che di calcio (“Quest’anno siamo un po’ in difficoltà ma non dobbiamo mollare ed essere positivi”) ha voluto ricordare la vicenda di suo fratello, prematuramente scomparso a causa della leucemia: “Sono stato vicino a mio fratello tentando il trapianto di midollo osseo, ma non siamo riusciti a salvarlo. Ora apriamo un progetto in Grecia per ricordarlo e cercherò di portarlo anche in Italia”. Miglior allenatore non poteva che essere Pasquale Marino (premiato da Tommasi e De Biasi), artefice del “miracolo Vicenza”: “Sono felice perché ho visto una grande passione. Speriamo di ripeterci anche quest’anno soprattutto sotto il profilo del gioco. Sono tutti ragazzi umili, che hanno fame. Quando alleni grandi campioni c’è poco da insegnare”. Finale naturalmente con Gianni De Biasi, premiato come sportivo dell’anno da Tommasi e Campana: “I tanto decantati progetti in realtà in Italia durano poche settimane. Ma al centro del progetto c’è sempre l’allenatore. E ci deve essere una perfetta sintonia tra allenator, società e squadra. Solo così si ottengono grandi risultati”.
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di Vanni Zagnoli
A vent’anni da una sentenza storica
Quando il Signor Bosman (ri)scrisse la storia de Vent’anni sono passati da un cambio epocale nella storia dei calciatori: il 15 dicembre 1995 la legge Bosman ha riscritto le regole, liberalizzando la compravendita dei giocatori europei a fine contratto. Quel provvedimento era frutto della sentenza sulla libera circolazione dei lavoratori emessa dalla Corte di giustizia Ue. Sino a quel momento, ogni giocatore a fine contratto doveva ottenere il permesso del suo club per potersi trasferire e per la società che vendeva c’era un indennizzo calcolato in base allo stipendio lordo del calciatore nell’ultimo anno, moltiplicato per un coefficiente che variava in base alla sua età. Il numero dei calciatori stranieri, anche comunitari, era limitato dalle norme delle federazioni nazionali, in Italia si era saliti da uno (con la riapertura delle frontiere nel 1980) al massimo di 3 contemporaneamente in campo: nel 1994-95, per esempio, il Milan campione d’Italia in carica ne aveva 5, ma 2 per volta dovevano restare fuori. L’unica eccezione continentale era l’Inghilterra che assimilava i giocatori britannici, dunque non c’era limite agli scozzesi, agli irlandesi e ai gallesi. La rivoluzione avvenne grazie al belga Jean Marc Bosman, che contestò di fronte alla Corte di giustizia europea il mancato trasferimento al Dunkerque, squadra fran-
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cese di seconda divisione, nonostante il suo contratto con il Rfc Liegi fosse scaduto. Nel 1990, i dirigenti belgi avevano ritenuto insufficiente la proposta transalpina e così la battaglia legale era durata per 5 anni. I giudici dettero ragione a Bosman e così dal dicembre di 20 anni fa ogni giocatore a fine contratto poté trasferirsi senza indennizzi. Il calciatore è stato insomma considerato alla stregua di un qualsiasi lavoratore e circolare liberamente in tutta l’Europa, senza restrizioni relative alla nazionalità. Dunque le federazioni non possono più limitare il tetto di giocatori stranieri comunitari in campo. Inoltre, a sei mesi dalla scadenza del contratto, un calciatore può già firmare un preaccordo con un altro club. “Le cose sono migliorate per tutti, giocatori e club” – ha spiegato Damiano Tommasi. “Si è solo aperto un mercato che prima era limitato, permettendo così a tanti ragazzi italiani di andare a fare esperienza all’estero e di giocare le coppe”. Il livello del nostro calcio può essere complessivamente aumentato, eppure ha creato anche molti disoccupati, costringendoli a espatriare o a finire nelle categorie inferiori, soprattutto tra gli attaccanti e i centrocampisti offensivi. Dal 1968 all’80, quando le frontiere erano chiuse, le classifica cannonieri premiava giocatori non sempre di primo piano. Prendiamo la graduatoria del 1979-80, vinse Roberto Bettega, davanti ad Altobelli e a Paolo Rossi, poi Selvaggi, Pruzzo, Graziani, Savoldi, Giordano, Palanca e Antognoni, tutti giocatori eccellenti. A quota 7 reti (si giocavano 30 giornate) c’erano Gianfranco Bellotto, poi allenatore anche in Serie A, nel Modena, e Alessandro Scanziani, altro centrocampista e poi tecnico soprattutto in Lega Pro, che nel calcio degli stranieri avrebbero faticato a essere così protagonisti, tanto più dopo la Bosman. “Quella sentenza” – ha aggiunto Tommasi – “aprì la strada al parametro zero. L’aumento del numero degli stranieri non va letto solo in modo penalizzante. Ci sono stati casi in cui ha rappresentato un valore aggiunto. Iniziai a fare il professionista poco prima di quel pronunciamento e
mi diede l’opportunità di crescere insieme a tanti campioni stranieri”. In questo ventennio, però i trasferimenti si sono moltiplicati… “C’è meno stabilità, perché le rose sono molto larghe e non tutti giocano. Così per non perdere il posto in squadra, quando non si gioca magari si cambia squadra spesso”. Le ripercussioni sono state anche sui vivai… “Il mercato tanto ampio a portata di mano agevola la pesca di giovani negli altri Paesi, così non vengono formarti in casa. Costa meno e anche l’organizzazione è meno impegnativa”. Brasile e Argentina, per esempio, restano primattrici mondiali pur avendo molti nazionali all’estero. “Ma è più formativo” - si chiede Tommasi – “giocare la Champions con il Manchester United o rimanere in Italia e non fare le coppe? Quasi un terzo dei giocatori convocati abitualmente in Nazionale gioca nei maggiori campionati esteri”. Qui il Presidente AIC riprende un suo cavallo di battaglia. “In Italia la formazione giovanile non ha lo sbocco presente all’e-
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el calcio… stero, dove esistono campionati di squadre B o squadre riserve. Così oggi Rugani gioca solo in Coppa Italia, con la Juve, mentre Saponara è dovuto tornare all’Empoli, per trovare spazio in Serie A”. Qualche eccezione esiste, il Sassuolo è in zona Europa League pur avendo in rosa solo tre stranieri: il croato Vrsaljko, esterno destro, il ghanese Duncan, spesso in panchina, e il francese Defrel, pure non titolare fisso. “Anche prima della legge Bosman” - ha concluso Tommasi – “il nome esotico ha sempre attirato. Quella sentenza però ha cancellato tante storture, dando la possibilità al giocatore che non si sente gratificato di decidere il suo futuro”. Al tempo stesso si sono creati dei paradossi. “Oggi i club si lamentano perché un giocatore vuole andare via e allo stesso tempo ne cercano altri in scadenza di contratto. Servirebbe un modo per regolamentare e dare certezze, le società invece tengono duro e non vogliono spostarsi dalle regole esistenti”. E così nell’attuale Serie A il numero di stranieri è di circa il 60%, rispetto agli italiani. È dal 2006-07 che è stato effettuato il sorpasso rispetto ai calciatori nostrani, non solo grazie alla legge Bosman.
di Sergio Campana
Bosman: una sentenza importante, ma è cresciuto il divario tra ricchi e poveri Vent’anni fa, esattamente il 15 dicembre 1995, una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, avente sede in Lussemburgo, sconvolse il calcio italiano e quello internazionale. È passata alla storia come sentenza Bosman e concluse un’azione giudiziaria dal calciatore belga Jean Marc Bosman contro la sua società, il Royal Club Liegi, che aveva rifiutato un’offerta di un club francese per il suo acquisto e lo teneva vincolato, mettendolo addirittura fuori squadra ed impedendogli di fatto di poter giocare nella stagione successiva. Inoltre nel frattempo l’ingaggio di Bosman fu ridotto costringendolo ad un rapporto insostenibile. Il 15 dicembre 1995 la Corte di Giustizia stabilì che il sistema fino ad allora in essere costituita una restrizione alla libera circolazione dei lavoratori. La sentenza escluse la possibilità per un club di reclamare un indennizzo (il famoso parametro allora esistente) a contratto scaduto, ma soprattutto fece crollare il tetto dei tre calciatori stranieri per squadra appartenenti alla UE. All’epoca la Uefa prevedeva che alle squadre non fosse permesso nelle partite giocate nell’ambito delle proprie competizioni (Coppa dei Campioni, Coppa delle Coppe e Coppa Uefa) convocare più di tre stranieri. La sentenza Bosman cancellò queste limitazioni. In proposito, va ricordato che l’Associazione Calciatori fin dalla sua fondazione nel 1968, iniziò unna dura battaglia per abolire il vincolo che partì con un esposto al Pretore di Milano al fine di bloccare il calciomercato. Ciò avvenne e allora intervenne il sotto-
segretario alla Presidenza del Consiglio del Governo Andreotti, on. Evangelisti, e promosse una riunione del Consiglio dei Ministri che portò ad un decreto legge conclusosi con la famosa Legge n.91 del 4 marzo 1981. Questa rimarrà una data storica perché fu abolito il vincolo e riconosciuto il diritto dei calciatori, come lavoratori subordinati, di stipulare contratti a tempo determinato. Per un periodo è rimasto comunque in piedi il diritto della vecchia società che perdeva il calciatore di avere un indennizzo dalla nuova. Ma la sentenza Bosman ha sancito l’illegittimità dell’attribuzione di compensi alle società in occasione del passaggio degli atleti da una all’altra nel caso in cui il contratto dello stesso fosse giunto a scadenza. Questa decisione della Corte di giustizia ha modificato i rapporti di forza nel mondo del calcio. I calciatori sono liberi di cambiare squadra alla scadenza del contratto senza che alla vecchia società sia dovuta un’indennità. I presidenti dei club, temendo di perdere i giocatori senza ritorno economico, sono stati costretti ad accontentare le richieste di ingaggi sempre maggiori, con un inevitabile innalzamento degli stessi. La logica conseguenza è stata che solo quelle poche società dotate di maggiore disponibilità finanziaria hanno potuto permettersi di partecipare a questa corsa al rialzo. In conclusione la sentenza Bosman è stata un passaggio fondamentale nella storia del calcio ma ha provocato un allargamento del divario tra ricchi e poveri, sia società che calciatori. 27
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di Vanni Zagnoli
La triste parabola di un uomo coraggioso
“Per quella legge ho dato tutto ma pagato un prezzo alt Se il calcio è diventato quello che è oggi, soprattutto business, lo deve a un anonimo calciatore belga, con un passato allo Standard Liegi, la squadra del cuore, e poi problemi di alcol e disoccupazione. Jean Marc Bosman ebbe ragione dalla Corte di giustizia del Lussemburgo, decretando che all’interno dell’Ue il trasferimento di giocatori in scadenza di contratto sarebbe dovuto avvenire senza indennizzi. “Ho fatto quello che era giusto” - racconta all’Ansa nel ventennale della sentenza - “anche perché tutti dicono che la legge Bosman è stato il caso legale del secolo, nello sport. È stato un sacrificio ben speso. Iniziai la mia battaglia legale a 26 anni, nel momento cruciale della carriera e l’ho pagata a caro prezzo”. Aspettò 5 anni per vedere riconosciuti i suoi diritti in tribunale, quando però era ormai tardi, per emergere sul campo, e così finì la carriera nel 1996 nel Visè, in seconda divisione belga. Bosman non è mai stato un campione, aveva giocato in Francia, nel SaintQuentin, e poi in Belgio, nello Charleroi. “Pagai un prezzo altissimo, perché nel momento in cui si attaccano la Fifa o l’Uefa è chiaro che la carriera è danneggiata, finita. È stata una battaglia snervante che ha sfidato le autorità calcistiche, in ballo c’erano tanti soldi, ma già allora il calcio era politica”. Venne sostenuto dalla FifPro, federazione internazionale dei calciatori professionisti, con sede a Hoofddorp, nei Paesi Bassi, fondata giusto mezzo secolo fa, il 15 dicembre del 1965. “Però non c’è mai stato un giocatore, un ex collega che mi abbia contattato anche solo per ringraziarmi. E pensare che per tanti ha significato molto”. Proprio a metà dello scorso mese, Bo28
sman è intervenuto al congresso Fifpro di Amsterdam, a spiegare le difficoltà che ebbe nel portarsi tutto sulle spalle. “I giocatori generalmente hanno paura di parlare, perché temono di avere problemi con i loro club”. La sentenza ha levato importanza ai settori giovanili. “Ma oggi ci sono un sacco di cose sbagliate, nel calcio. C’è tanta speculazione finanziaria, certo, non per colpa mia. La sentenza ha fatto solo in modo che i calciatori siano trattati come gli altri lavoratori. Hanno il diritto di circolare, senza essere trattati come animali. C’è ancora molto da fare perché siano rispettati e perché tutto avvenga nel rispetto delle regole”. Bosman pensa alle nazioni di secondo piano, nel calcio… “Ci sono molti grandi Paesi e grandi campionati, come la Serie A, dove i calciatori sono ben pagati e godono dei pieni diritti, in alcuni territori invece le regole ancora non sono rispettate, nè i diritti di chi produce lo spettacolo del pallone. Io ho condotto la mia battaglia anche per loro, non solo per quanti poi sono diventati milionari”. Neanche Jean Marc Bosman è diventato milionario. Vive grazie al sussidio statale in una casa alla periferia di Liegi, senza la compagna Carine e i due figli Martin e Samuel (ha anche una figlia, oggi 25enne, nata dal primo matrimonio): non possono stare in casa con lui per non rischiare di perdere l’aiuto economico. È ingrassato e ha perso i capelli, ha combattuto la battaglia contro l’alcol e la depressione. Dalla FifPro prese 200mila sterline, più un altro milione di risarcimento, il tutto però se ne andò fra avvocati e spese processuali. “L’idea della partita-celebrazione è falli-
ta” - spiegò 4 anni fa – “mi sono accontentato di un match contro il Lille davanti ad appena 2mila persone”. Giocava centrocampista e quando iniziò la battaglia legale voleva andare a giocare in Francia, nel Dunkerk, ma i belgi rifiutarono di concedergli il trasferimento e allora finì nelle serie francesi minori e persino sull’isola di Reunion, nell’oceano Indiano. Al ritorno in Belgio, lo Charleroi lo tesserò per appena 650 sterline al mese. “Sapevano chi ero e cosa avevo fatto, dunque per loro ero a rischio”. Due anni dopo, l’ingaggio gli venne revocato e allora continuò a giocare per divertimento, ma non poteva più pagare l’affitto a Charleroi. Ritornò a Liegi e trasformò il garage della casa dei genitori in un monolocale, vivendoci per due anni. Intanto il suo avvocato, Renaud Molders, scrisse a tutti i club del Belgio, la risposta però era sempre la stessa: “No, grazie”. “Auguriamo buona fortuna al signor Bosman, ma noi abbiamo già i nostri giocatori”. Prima della battaglia legale, il centrocampista aveva due Porsche, oltre a due case, ora ha solo una casetta accanto a quella dei genitori, ci vive ormai da 20 anni. Nel 2011 spiegava: “La Comunità Europea non voleva accusare il sistema, il mio avvocato sapeva che mi avrebbero fatto sputare sangue e mi disse che potevo fermarmi quando volevo, ma era una faccenda importante, perciò sono andato avanti”. Ebbe ragione, ma per lui fu una vittoria di Pirro. “In genere, quando vinci in tribunale ti senti libero, ma la stampa belga mi si è scatenata contro: sono finito in depressione e ho cominciato a bere sempre di più. Alla fine, stavo sempre in casa e bevevo di tutto, birra o vino”. Ebbe problemi di fegato, venne ricoverato in ospedale, uscì il 27 dicembre 2007. “Dovrei essere il giocatore più famoso del Belgio, ho il mio posto nella storia e ho combattuto a lungo per conquistarlo, ma nessuno mi conosce. Non voglio aver fatto tutto questo per niente. Ho dato la carriera perché i giocatori non fossero più trattati da schiavi. Voglio solo che il merito mi sia riconosciuto, per quella legge ho dato tutto e sono diventato alcolizzato”.
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Ekong, Webster e Müller
tissimo” Jean Marc Bosman citava persino Confucio: “La felicità più grande non sta nel non cadere mai, ma nel risollevarsi sempre dopo una caduta’”. Nel novembre 2011 è stato accusato di violenza in famiglia perché, ubriaco, colpì con un pugno la compagna e la figlia di lei. Nel febbraio 2013 è stato condannato a un anno di carcere con la condizionale, ma con l’obbligo di sottoporsi a una serie di misure: terapie specifiche, controlli periodici del sangue e divieto di assumere alcolici. Si era mantenuto anche con interviste e documentari a pagamento, elargizioni di varie associazioni e sussidi statali. Lo aiutavano la madre e il Comune di Awans, dove vive, gli aveva offerto un posto da operaio: doveva pulire le strade, raccogliere le foglie e persino tosare l’erba del campo di calcio della squadra locale, che milita in quinta serie. Bosman spera sempre che qualche campione si ricordi di lui, visto che sino a 20 anni fa i soldi andavano anzitutto nelle casse delle società. Oggi basta non accettare il prolungamento del contratto per svincolarsi e offrirsi al miglior offerente. Grazie a questo belga coraggioso quanto fragile.
Non solo Bosman… Negli ultimi mesi, ci sono stati altri 3 pronunciamenti significativi, in materia calcistica. Nella Bundesliga, il portiere Heinz Müller aveva esaurito il contratto con il Mainz, voleva che gli fosse rinnovato a tempo indeterminato. Il giudice gli
ha dato ragione, equiparandolo anche in questo caso agli altri lavoratori. Nella pratica, ogni club si potrebbe vedere costretto a tenere a libro paga i calciatori a vita, pensione compresa. È però evidente che i guadagni dei calciatori sono molto più consistenti rispetto ai normali dipendenti: nella Premier League, per esempio, sono stati di 20 volte, in 20 anni, raggiungendo la media di due milioni l’anno. L’articolo 17 dello statuto Fifa deriva dalla sentenza Bosman e permette a un calciatore di svincolarsi senza giusta causa, secondo precisi parametri, temporali ed economici. Se ne avvalso per primo lo scozzese Andy Webster, contro gli Hearts of Midlothian, nel 2006. Incontrò qualche difficoltà per vedere applicato il codice a proprio favore ma poi tornò a giocare. Da allora molti altri calciatori se ne sono serviti. Intanto, il Fifpro si è rivolto alla Commissione europea per affermare la libertà di un calciatore di trasferirsi con un preavviso di tre mesi, senza alcun compenso per il club, come ogni altro lavoratore, e così si azzererebbe il calciomercato. Una sentenza significativa è arrivata ad aprile. A.B., minorenne, nell’estate 2011
firmò con la Virtus Valladossale, società piemontese, per giocare tra gli juniores. L’anno successivo la squadra non si iscrisse al campionato, così i suoi tesserati, per andare a giocare in un’altra società, avrebbero dovuto “riscattare” il proprio cartellino. La famiglia si è opposta e il giudice di pace ha sancito che la firma del cartellino, se riguarda un minorenne, necessita dell’autorizzazione del giudice tutelare e non della semplice firma dei genitori del minore, a differenza di quanto considera la Lega Nazionale Dilettanti. Il giudice di Appello, Mauro D’Urso, di Verbania, ha modificato i termini ma poi ha confermato la sentenza. Dunque la Figc deve intervenire per regolamentare la situazione, altrimenti può andare in tilt il sistema, mettendo a rischio migliaia di tesseramenti e i relativi vincoli e premi di valorizzazione. La sentenza stabilisce che qualunque firma che lega un minorenne a una società di calcio, vincolandolo fino all’età di 25 anni, è nulla anche se accompagnata dalla “garanzia” dei due genitori, poiché non si tratta di un atto di ordinaria amministrazione come ritenuto dalla leggi federali, bensì di straordinaria amministrazione e come tale richiederebbe l’autorizzazione del giudice tutelare. Quindici anni fa, il tribunale di Reggio Emilia accolse il ricorso di Prince Ipke Ekong, nigeriano di 22 anni, contro il divieto opposto alla squadre di serie C dalla federazione di utilizzare giocatori extracomunitari. Ekong aveva firmato un contratto con la Reggiana quando la società emiliana militava in serie B, ma poi era retrocessa nell’allora C1. Il gip emise il provvedimento d’urgenza, ordinando alla Figc di tesserare Ekong per la Reggiana, facendo riferimento alla legge TurcoNapolitano, secondo la quale i lavoratori residenti in Italia hanno gli stessi diritti dei lavoratori italiani. Le norme federali avrebbero quindi discriminato Ekong. Da allora le norme per il tesseramento avrebbero cancellato la discriminazione fra comunitario e non. Sono state però le singole federazioni a mettere qualche paletto, per salvaguardare i giocatori autoctoni. 29
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di Fabio Appetiti
Gioacchino Alfano, Sottosegretario al Ministero della Difesa
“Il calcio può unire e far arrivare messaggi C’è un contrasto evidente nell’intervista con il Sottosegretario Alfano che è anche la forza di questo scritto: da una parte parliamo di guerra, di terrorismo, di sicurezza, purtroppo anche di morte, come quella che hanno trovato tanti ragazzi innocenti a Parigi la sera del 13 novembre; dall’altra parliamo di calcio, di passione per questo sport ,di vita. Il soldato che parte per una zona di guerra e porta, oltre la mimetica e le armi, anche un pallone, è il simbolo di questo contrasto. Il calcio e la guerra, la vita contro la morte. E allora sarebbe bello raccogliere l’idea di andare lì, dove tanti giovani hanno perso la vita, per giocare una partita di calcio e per dire, a quelli che ci vogliono portare via la dignità e la libertà, “siamo qui non ci avete sconfitto ne mai lo farete... noi giochiamo a pallone”. Tutti a Parigi. Partiamo da quel tragico 13 novembre che ha sconvolto le coscienze di noi tutti e che forse non riusciamo neanche ora a dimenticare. Come Sottosegretario alla Difesa, subito una domanda secca: l’Italia oggi è un paese in guerra? “Purtroppo la data tragica del 13 novembre è solo l’ultimo drammatico evento di una fase temporale che è cominciata già da molto tempo e che vede il mondo in guerra contro coloro i quali vogliono colpire, non una nazione o un paese, ma la dignità e la libertà dell’uomo. Questa è una guerra, ma non è una guerra come le altre. Non c’è un confine da difendere o un territorio da annettere, non è una guerra convenzionale, che è già di per sé drammatica ma con le sue regole, qui si colpiscono bambini, anziani, civili, persone innocenti e inermi in nome di una guerra di chi vuole riconvertire la dignità umana e vuole colpire la vita, la libertà, la gioventù. L’Italia di fronte a questa guerra dichiarata non intende nascondersi e farà per intero la sua parte con serietà ed impegno, come già fa in tanti parti del mondo, dove siamo presenti con i no-
stri contingenti e i nostri uomini. È decisione di queste ore la presenza di un nostro contingente a difesa della diga di Mosul che ha una importanza strategica nel conflitto contro l’IS. Ma la risposta non può essere solo militare e bisogna mettere in campo politiche che eliminino anche l’acqua dove nuotano e proliferano questi radicalismi. Ci vuole, tanto più nell’anno del giubileo, una grande battaglia contro la povertà perché troppe popolazioni ancora oggi al mondo vivono in condizioni di miseria e a lungo termine non è più sopportabile avere queste disuguaglianze tra diverse aree del mondo”. Le nostre città si sono nuovamente riempite di militari: ci puoi dare qualche idea dello sforzo messo in campo e soprattutto l’Italia è un paese sicuro? “La presenza di militari, in numero sicuramente maggiore, presso i luoghi abituali della nostra vita di tutti i giorni come metro, stazioni, aeroporti è solo la parte più visibile di una strategia molto più complessa che nel nostro paese è attiva da tempo e che parte da sistemi di intelligence e monitoraggio molto sofisticati che fino ad oggi hanno messo il nostro paese al riparo da eventuali attacchi. In questi ultimi anni si è investito molto nella tecnologia e nei sistemi più sofisticati di videosorveglianza, in grado di esercitare controllo e sicurezza senza ledere la libertà delle persone. C’è poi nel nostro paese, oltre che un forte coordinamento tra forze di intelligence, militari e forze dell’ordine anche un diffuso e capillare sistema di controllo
Gioacchino Alfano è nato a Sant’Antonio Abate il 12 luglio 1963. È stato Sottosegretario di Stato al Ministero della Difesa sotto il Ministro Mario Mauro nel Governo Letta ed è stato riconfermato allo stesso Ministero sotto il Ministro Roberta Pinotti nel Governo Renzi.
del territorio che sta nella tradizione delle forze dell’ordine italiane. Quasi 8000 stazioni di carabinieri diffuse capillarmente in tutta Italia già di per sé sono un controllo efficace del territorio e permettono continui flussi di informazione. Quindi sistemi di intelligence, coordinamento tra le varie forze dell’ordine e presenza capillare sul territorio sono la nostra risposta, che fino ad oggi ha funzionato, al pericolo terrorista”. A Parigi uno degli obiettivi da colpire era proprio lo stadio che, al pari di un teatro, di un cinema, di un ristorante, fa parte delle nostre abitudini quotidiane. Oggi negli stadi italiani c’è più attenzione da parte delle forze di sicurezza? “Sì, all’indomani dell’attentato del 13 novembre si è rimodulato il protocollo di controllo sugli stadi che prima si limitava al controllo già severo sugli episodi di violenza tra tifoserie. C’è evidentemente più attenzione per tutto quello che accade sia prima, sia durante le gare, sia dopo le gare. E su questo vorrei fare un ulteriore appello ai tifosi per rendere sempre più semplice il nostro lavoro e il lavoro delle
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positivi”
forze dell’ordine: segnalare situazioni sospette, evitare l’utilizzo di petardi anche quelli più innocui all’interno degli stadi, favorire i controlli delle forze dell’ordine che con i nostri addestratissimi cani presidiano gli accessi allo stadio. I tifosi debbono collaborare e allo stesso tempo debbono continuare ad andare allo stadio senza preoccupazioni. Vogliamo continuare a rendere sicuri i nostri stadi e anche ad eliminare tutti i fenomeni di violenza tra tifoserie che purtroppo ancora oggi accadono come segnalato dall’ultimo report dell’Osservatorio sulle manifestazioni sportive”. La guerra e il calcio. L’Italia è presente in tante parti del mondo con proprie missioni: hai mai avuto modo di verificare quanto il calcio aiuta i nostri ragazzi nelle zone di guerra a sentirsi più vicini a casa e quanto favorisce il dialogo con popolazioni lontane e martoriate dalle guerre? “Il calcio ha un suo linguaggio universale ed è davvero un elemento di aggregazione tra i popoli. Mi viene da ricordare che in occasione della commemorazione dei 70 anni della battaglia di Montecassino per la liberazione dal nazifascismo, a cui erano presenti gli eserciti di tante nazioni, tutti ci hanno richiesto, per commemorare in forma pacifica quella battaglia, di organizzare partite di calcio tra le varie rappresentanze nazionali. Sono venute fuori partite molto sentite che mi hanno fatto capire, una volta di più, quanto il calcio può unire e far arrivare messaggi positivi. Anche con la Nazionale Parlamentari abbiamo organizzato qualche partita nelle missioni di pace all’estero che hanno sempre avuto un grande successo. Non per niente nell’equipaggiamento dei soldati in missione militare non mancano mai i palloni, perché un pallone può aiutare il morale dei soldati che possono impegnarsi nei momenti di svago in partite molto combattute e, altro fattore molto importante, può divenire uno strumento di dialogo e conoscenza con popolazioni lontane
dove, soprattutto fra i bambini, tutti conoscono i nomi di tutti i calciatori più famosi”. Sei Presidente da molti anni della Nazionale Parlamentari. Ci racconti come è nata l’idea e qual è la sua attività? “La Nazionale Parlamentari Italiana fu fondata all’inizio degli anni ‘80 per partecipare alla prima partita del cuore con la Nazionale Cantanti destinando i fondi di quella partita in beneficenza e da quella volta sono ormai circa trent’anni che disputiamo partite di calcio a scopo benefico. Oggi, la sua guida è affidata ad uno sportivo che ha contribuito a scrivere la storia del calcio italiano, Giancarlo De Sisti, il mitico “Picchio” in campo con i protagonisti di Italia–Germania del 1970. Molti parlamentari si sono avvicendati negli anni e abbiamo avuto anche ex calciatori importanti come Gianni Rivera e Massimo Mauro. I nostri eventi sono tutti dedicati a sostenere campagne di solidarietà o a raccogliere contributi da dare in beneficenza. Voglio sottolineare qui anche il senso di attaccamento alla squadra di molti ex parlamentari che spesso partecipano a questi eventi anche se non sono più in servizio proprio perché credono agli scopi positivi della squadra.Tra i nostri compiti c’è anche quello di dare una idea diversa dell’istituzione del parlamentare che è una istituzione al servizio del cittadino e della collettività e merita rispetto e non la demagogia e il qualunquismo a cui siamo stati abituati negli ultimi anni. Io sono un ex calciatore per me fare il presidente di questa nazionale è un grande piacere e un grande onore e cerco di dare una mano per coordinare e organizzare gli impegni”.
voluto scegliere il calcio per lanciare i loro messaggi e questo mi ha fatto immensamente piacere. Sicuramente la nascita della Nazionale Parlamentari è un segnale importante per promuovere la parità di genere e portare avanti battaglie che riguardano in primis le donne. Faccio i complimenti a Lia Quartapelle e a tutte le colleghe, al mister Katia Serra, per la bella idea e faccio loro, da queste pagine, un grande in bocca al lupo: speriamo che con un po’ di allenamento prima o poi ci possano battere in una partita ufficiale!”. Sei un grande appassionato di calcio: come vedi oggi il calcio italiano che sembra un calcio in crisi che ha perso competitività? “Sono tifoso del Napoli, ma soprattutto amo il calcio. Da ragazzo ero legato alla Fiorentina ed il mio idolo da giovane era Antognoni. Il calcio deve tornare ad essere uno spettacolo fruibile per le famiglie, non intendo in questo dire per la famiglia in senso tradizionale, ma intendo dire uno spettacolo per famiglie cioè per tutti per uomini, donne e bambini, che devono vivere la giornata di calcio come una giornata conviviale e di festa. Ci vuole un senso di responsabilità da parte di tutti, istituzioni, tifosi e calciatori. Anche i calciatori debbono sapere che sono sempre sotto gli occhi dei bambini e i loro comportamenti debbono essere irreprensibili… non mi piacciono certi atteggiamenti troppo da divi e sopporto poco le simulazioni perché mi sembrano una piccola truffa. Higuain
Con il tuo sostegno è nata anche una Nazionale Parlamentari di calcio femminile: qualche suggerimento alla neonata formazione delle colleghe? “È stato bello verificare che le parlamentari donne, che potevano scegliere tante altre discipline sportive, hanno 31
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guain lo ammiro come uomo e come calciatore così come ho sempre ammirato per lo stesso motivo il capitano dell’inter Zanetti. Giocatori di esempio sia dentro sia fuori dal campo”.
è il mio modello di calciatore e uomo. Infine il ruolo degli stadi è importante perché debbono divenire sempre più delle strutture a disposizione della collettività durante la settimana per fare sport, passeggiate, shopping, presentazioni di libri, debbono essere strutture in grado di offrire servizi in grado di attrarre le famiglie anche oltre il semplice evento sportivo, non ci possono stare stadi che aprono la domenica mattina e chiudono la domenica sera”. Vieni da una regione calcisticamente prolifica dove il calcio svolge un’importante funzione sociale ma dove spesso si registrano infiltrazioni di criminalità organizzata e calcioscommesse. Come si può difendere il calcio da questi fenomeni? “Ci vogliono pene severe, che tra l’altro abbiamo, senza nessuno sconto nei confronti di nessuno. Il calcioscommesse è una piaga e bisogna intervenire severamente su questi fenomeni che colpiscono la credibilità dell’intero sistema. Spesso la criminalità organizzata vede il calcio come un terreno di conquista sia all’interno delle tifoserie, sia
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come occasione di guadagno con l’alterazione dei risultati. Ma ripeto, le norme sia a livello penale, sia sportivo ci sono e vanno applicate con severità e gli stessi calciatori come hanno sentore di qualche ambiguità la debbono denunciare”. Come vedi il campionato italiano e il giocatore che più ammira “È vero che sono tifoso del Napoli e posso sembrare un po’ di parte, ma per quest’anno il campionato lo vincerà proprio la squadra di Sarri anche se deve crescere ancora sotto il piano della mentalità. Come ho detto prima, il calciatore che più ammiro è Hi-
A giugno c’è l’Europeo proprio in Francia e non si può negare ci sia un po’ di preoccupazione: vuoi mandare un messaggio a calciatori e tifosi? “A proposito di Francia 2016 ho già parlato con l’Ambasciatore italiano a Parigi per organizzare a ridosso degli Europei una partita che possa ricordare i fatti tragici del 13 novembre. In questo senso mi rivolgo al presidente di AIC Tommasi perché potremmo insieme, parlamentari e calciatori, portare un messaggio di pace e abbracciare e commemorare tutte le vittime del terrorismo di quella disgraziata notte. Per quanto riguarda i tifosi spero partecipino in massa agli Europei perché non esiste un pericolo maggiore di quello che viviamo tutti i giorni e non dobbiamo cedere a nessuna paura. Da un punto di vista strettamente tecnico invece vorrei che questa manifestazione fosse anche l’occasione per ricordare a tutti di investire sui vivai e settori giovanili perché credo che nel nostro paese si possa fare molto di più per avere non solo un Insigne, ma tanti Insigne in ogni squadra e rendere quindi più competitiva e forte la nostra Nazionale”.
Katia Serra allenatrice
La Nazionale delle Deputate Il 24 novembre scorso, in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, è stata presentata la prima Nazionale di calcio femminile formata da quindici tra Deputate ed Eurodeputate dei diversi schieramenti politici. “Il nostro obiettivo, più che sportivo, è di sensibilizzazione” – ha spiegato Lia Quartapelle, deputata del Partito Democratico – “Contro la violenza di genere tutti gli strumenti necessari sono utili e uno dei messaggi più forti da mandare è che le donne sono in grado di fare tutte le cose proprio come gli uomini”. La squadra, che si è già messa al lavoro con il primo allenamento ufficiale, presso il Centro Sportivo Olimpico dell’Esercito, agli ordini dell’ex calciatrice professionista Katia Serra, è composta da Lia Quartapelle, Veronica Tentori, Simona Malpezzi, Caterina Bini, Barbara Saltamartini, Laura
Coccia, Anna Ascani, Daniela Sbrollini, Fabrizia Giuliani, Lorenza Bonaccorsi, Enza Bruno Bossio, Ilaria Capua, Francesca Bonomo, Mara Mucci, Chiara Gribaudo, Gea Schirò, dalla senatrice Francesca Puglisi e dalle europarlamentari Rosa D’Amato, Elly Schlein, Eleonora Forenza e Lara Comi. “Ho detto subito sì perché mi piace portare avanti questo messaggio per tutte le donne” – ha detto alla presentazione l’allenatrice Katia Serra. “Sappiamo che qualche sorrisino ci sarà, non ci spaventiamo. Faremo capire a tutti quanto è difficile essere donna nella società italiana. E quanto valorizzare le donne sia un elemento di sviluppo della società e dal Paese”. Infine Laura Coccia, ex atleta disabile: “Vogliamo dare un messaggio a tutti, abili, disabili, uomini e donne: avere una caratteristica diversa è un dato di fatto non determinante per la capacità di fare qualcosa”.
regole del gioco
di Pierpaolo Romani
Non solo calciatori sotto tiro…
Il calcio (e lo sport) significa ancora “valori” Assassinato a freddo, con diciotto colpi di pistola sparati da un uomo non identificato nel parcheggio di un centro commerciale a La Ceiba, sua città natale. È questa la tragica sorte toccata il 10 dicembre ad Arnold Peralta, capitano ventiseienne della nazionale dell’Honduras. Nel 1994, sempre in America Latina, un killer aveva freddato con modalità simili il capitano della Colombia, Andrés Escobar, reo di
del centro sportivo di Formello, con relativo invito a mangiarselo, mentre ai secondi sono stati inviati alcuni chili di carote e su di un grosso striscione è stato scritto “Buon appetito conigli”. Ad Altamura, in Puglia, nel campionato di eccellenza, per tutta la durata della partita, il 13 dicembre scorso i tifosi della squadra avversaria, l’Atletico Mola, hanno ripetutamente insultato il centrocampista della squadra locale, Diagnè Abaca, urlandogli: “Negro, sei un mangiabanane”, ogni volta che toccava palla. Risultato: la squadra ospite ha perso 3-0, Abaca è stato il migliore in campo e l’Atletico Mola giocherà la prossima partita a porte chiuse per discriminazione etnica e razziale. Un episodio simile a quello pugliese è accaduto nel mese di novembre a Ammeto, in provincia di Perugia, nel campionato di seconda categoria, durante la partita Ammeto Vis contro Nuova Alba.
aver provocato un involontario autogol contro gli Stati Uniti durante il campionato del mondo. Quel goal dentro la propria porta, secondo alcune ipotesi investigative, avrebbe mandato a monte scommesse da milioni di dollari effettuate da narcos colombiani. I calciatori continuano ad essere sotto tiro in tutto il mondo, come denuncia da due anni AIC con il suo rapporto. Minacce, insulti, offese, intimidazioni, aggressioni dentro e fuori dallo stadio, sino a giungere all’omicidio. Non è normale una situazione del genere. Né si deve pensare che debba esserlo. L’Italia, fortunatamente, non conosce episodi cruenti come quelli registrati in Honduras e Colombia. Tuttavia, le minacce e le intimidazioni nei confronti dei giocatori continuano. In tutti i campionati. Sia professionistici che dilettantistici. A Roma, per esempio, sono stati presi di mira sia i calciatori della Lazio che quelli giallorossi. Ai primi sono stati fatti recapitare dieci sacchi pieni di letame davanti ai cancelli
sionistiche come la Fiorentina e la Pistoiese, questo bimbo ha realizzato un goal che l’arbitro ha immediatamente convalidato. Leonardo non ha festeggiato dopo la rete. Si è avvicinato al direttore di gara e gli ha detto: “Arbitro ho fatto goal di mano”. I compagni di squadra di Leonardo non si sono lamentati. Anzi, al contrario, gli hanno manifestato la loro stima in modo evidente. Stessa cosa ha fatto l’arbitro e il pubblico a fine partita. Al bambino è stato attribuito il premio fair play. A ricordarci che non solo il calcio, ma lo sport in generale è innanzitutto passione, impegno, correttezza, rispetto delle regole e divertimento è stato anche un altro episodio accaduto in Spagna a metà dicembre nel mondo del ciclismo. Ad un chilometro dall’arrivo di una gara di ciclocross, Ismael Esteban, che fino a quel momento aveva costantemente capeggiato la gara, ha forato una ruota della sua bicicletta. L’atleta, non si è perso d’animo. Ha caricato la bici sulle spalle ed ha iniziato la sua corsa a piedi verso il traguardo. Mentre alcuni lo hanno superato, l’avversario che si trovava in quarta posizione, il corridore Agustín Navarro, ha scortato Esteban fino all’arrivo, permettendogli così di classificarsi al terzo posto. “Esteban non meritava di finire fuori dal podio. Ha fatto una prova migliore della mia per tutta la gara”. Chapeau señor Navarro.
Per fortuna il calcio non è solo questo. A ricordarcelo, di recente, non è stato un noto campione, ma un bambino di nome Leonardo, che vive in Toscana e gioca nei pulcini. Durante un torneo al quale hanno partecipato anche squadre giovanili di società profesIn alto, Arnold Peralta, ventiseienne calciatore dell’Honduras assassinato a colpi di pistola lo scorso 10 dicembre. Sotto, Andrés Escobar, difensore colombiano ucciso per aver causato un autogol ai Mondiali dell ’94 e di conseguenza aver mandato a monte le scommesse milionarie dei narcotrafficanti. Qui a lato, la contestazione ai calciatori della Roma e sotto, il grande gesto di fair play di Agustín Navarro a vantaggio di Ismael Esteban.
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di Stefano Sartori
Ad Amsterdam l’11 e 12 dicembre scorso
Congresso generale FIFPro Si è svolto ad Amsterdam (Olanda) nei giorni 11 e 12 dicembre 2015 il Congresso generale della FIFPro, la federazione mondiale dei sindacati dei calciatori che rappresenta circa 65.000 atleti. Ai lavori e all’annessa Legal Conference hanno partecipato i delegati di 69 tra paesi membri a pieno titolo, candidati membri ed osservatori.
Il ricorso FIFPro all’Unione Europea Come efficaciemente spiegato dal Presidente Philippe Piat, dopo anni di trattative i risultati della partecipazione della FIFPro ai tavoli di lavoro con FIFA, EPFL (l’associazione delle leghe calcio europee) ed ECA (l’associazione dei principali clubs europei) sono deludenti. Sono rimasti senza soluzione temi di cruciale importanza, come il sistema dei trasferimenti conseguente l’adozione ed applicazione dell’art. 17 del Regolamento FIFA. La giurisprudenza esistente e quindi l’applicazione pratica di questo articolo legittima la prassi attraverso la quale le società “si liberano” dei calciatori che non sono più di loro interesse; in questo caso il calciatore si vede costretto a chiedere alla DRC della FIFA la risoluzione del contratto ed il pagamento del suo stipendio e, in genere, se la risoluzione viene disposta in tempi relativamente brevi, non altrettanto si può dire in merito alla quantificazione degli importi dovuti dal club al calciatore in quanto, quasi sempre, la società se la cava spendendo poco o niente. Se invece l’iniziativa non dipende da mancati pagamenti o mobbing ma dalla volontà del calciatore di usufruire delle possibilità concesse dall’art. 17, gli indennizzi liquidati ai club sono assai rilevanti, qualche volta enormi (caso Matuzalem). Per questo motivo, il 18 settembre 2015 la FIFPro ha presentato un ricorso all’UE con-
testando il sistema di trasferimento dei calciatori considerandolo “anticoncorrenziale, ingiustificato e illegale”. In sostanza, si chiede alla Commissione europea di verificare le regole sui trasferimenti che “impediscono una equa concorrenza fra i club sul mercato di acquisizione dei ta-
lenti sportivi, danneggiando gli interessi dei calciatori, le squadre piccole e medie professionali e i loro sostenitori”.
Circolare FIFA n° 1468 Come già segnalato nel numero di luglio del “Calciatore”, dal 1° marzo 2015 è stato introdotto nel Regolamento FIFA in materia di Status e Trasferimento dei Calciatori una nuova disciplina in tema di morosità nel pagamento degli stipendi. In sintesi, ecco i punti fondamentali da ricordare: • la sanzione è richiedibile quando il ritardo nel pagamento supera i 30 giorni; • il calciatore deve mettere in mora per iscritto il club debitore; • ricevuta la richiesta di messa in mora il club deve adempiere entro 10 giorni; • se ciò non avviene, il ricorso va inviato DRC - Dispute Resolution Chamber – della FIFA, che deciderà entro 45/90 giorni; • le sanzioni irrogabili sono, in ordine di gravità, a) l’avvertimento, b) la nota di biasimo, c) la multa, d) il divieto di tesserare nuovi calciatori, sia a livello nazionale che internazionale, per uno o due interi e consecutivi periodi di tesseramento. FIFPro Europe Nel corso della seconda giornata si sono
svolte le usuali assemblee delle divisioni continentali. Va segnalato che i progressi conseguenti al cosiddetto Social Dialogue sono piuttosto contenuti. L’implementazione del Minimum Requirements, cioè l’ “Accordo per i Requisiti Minimi del Contratto Standard” che riproduce un articolato normativo che deve costituire la base minima per la negoziazione di un accordo collettivo applicabile in tutti i paesi che aderiscono all’UEFA e che ne sono privi, va a rilento in tutti i paesi dell’Europa orientale.
UNI World Athletes La FIFPro ha istituzionalizzato il rapporto con UNI World Athletes, la federazione mondiale delle associazioni sindacali degli atleti presieduta dall’australiano Brendan Schwab, ex presidente del sindacato calciatori australiano nonché della FIFPro Division Asia/Oceania. La UNI rappresenta circa 85.000 atleti, 65.000 dei quali calciatori, e ha tra gli obiettivi principali quello di rapportarsi a livello politico ed istituzionale con l’Unione Europea, con particolare riferimento al Dialogo Sociale ed alle norme comunitarie in materia di lavoro, e i rapporti con la WADA, l’agenzia mondiale antidoping, in particolare per attenuare gli effetti dei c.d. “whereabouts”, particolarmente invasivi nei confronti della privacy e delle libertà personali degli atleti. Women Football Committee Caroline Jonsson ha presentato i risultati raggiunti nonché il prossimo piano di lavoro biennale del Women Football Com-
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I principali punti
Gli obiettivi del ricorso FIFpro
2015 mittee, la commissione per lo sviluppo del calcio femminile creata dalla FIFPro. L’intervento di Jonsson si è basato soprattutto sul concetto di “eguaglianza” tra calcio maschile e femminile, seppur nelle rispettive diversità, ed ha sottolineato il costante progresso del movimento in termini di visibilità ed attrattiva, anche dal punto di vista economico.
50° anniversario FIFPro/20° anniversario sentenza Bosman Come evidenziato dalle foto riprodotte a fianco, il 15 dicembre successivo sono stati festeggiati due eventi storici: il cinquantesimo anniversario della FIFPro, in quanto proprio il 15 dicembre 1965 i rappresentanti delle associazioni dei calciatori francesi, scozzesi, inglesi, italiani e olandesi si incontrarono a Parigi, con l’obiettivo di costituire insieme una federazione internazionale dei calciatori. Inoltre, sempre il 15 dicembre 1995 la Corte di Giustizia delle Comunità Europee emise la famosa “sentenza Bosman”, in virtù della quale i calciatori professionisti UE poterono trasferirsi gratuitamente a un altro club alla scadenza del contratto.
L’AIC nella FIFPro e nelle Commissioni tecniche 2013/2017 L’avv. Leonardo Grosso è membro del board della FIFPro, della FIFPro Division Europe ed è inoltre arbitro nella DRC (Dispute Resolution Chamber); Damiano Tommasi, Presidente AIC, è membro del Comitato Strategico; Stefano Sartori è componente del Regulations Committee; Gianfranco Serioli è membro del Financial Committee e del neocostituito Supervisory Board; infine, Ilaria Pasqui è componente del Women Football Committee.
La salvaguardia dei diritti contrattuali fondamentali dei Calciatori • Prevenire e proteggere i calciatori contro i ritardi sistematici del pagamento degli stipendi e quindi: a) Risoluzione del contratto dopo 30 giorni il mancato pagamento b) Possibilità di tesserarsi con un nuovo club in qualsiasi momento durante la stagione c) Compensazione pari al valore residuo del contratto d) L’applicazione obbligatoria di questi passaggi a livello nazionale • L’attuazione obbligatoria dei requisiti minimi e dei contratti di lavoro
• Assicurare l’applicazione del diritto comunitario • Salvaguardare l’accesso alla FIFA DRC per tutte le controversie internazionali indipendentemente dai CA domestici
Reciprocità e riequilibrio dell’indennità di compensazione e delle sanzioni per violazione del contratto senza giusta causa • Rimuovere il presunto valore di mercato dal calcolo della compensazione (caso Matuzalem) • Resto dell’importo della compensazione post periodo protetto • Applicazione reciproca e proporzionata delle sanzioni sportive • Rimozione di criteri soggettivi, che forniscono spazio per deterioramento dei diritti dei calciatori (inclusa la specificità dello sport)
Riforma settoriale • Rimuovere o ridurre consistentemente i costi dei trasferimenti tramite intervento diretto o indiretto (modifiche normative: ridurre l’indennità per rottura contrattuale, riforma del periodo protetto, etc. • Sviluppo di modelli equi e sostenibili di ridistribuzione delle entrate tra i club al fine di garantire standard minimi di governo e controllo per club e leghe nonché rapporti di lavoro; aumentare il numero di posti di lavoro di qualità • Prevenzione efficace degli abusi commerciali in tema di contratti e reclutamento dei calciatori - TPO, compensi agli agenti, ecc. – e degli abusi in tema di traffico di giovani calciatori (direttamente e indirettamente tramite diminuzione degli incentivi per le indennità di trasferimento
Libertà di sottoscrivere un nuovo contratto lavoro e giusto accesso al mercato del lavoro • Riforma del periodo protetto e periodo di stabilità da applicare solo al primo contratto (o piena rinegoziazione delle garanzie contrattuali) al fine di garantire un accesso equo al mercato del lavoro per i calciatori durante il contratto/la carriera • Diritto di essere tesserati e giocare per altro club, durante e al di fuori dei periodi validi per i trasferimenti, in caso rottura contrattuale da parte del club • Minimizzazione dei periodi chiusi ai trasferimenti, pur tenendo conto del principio dell’integrità delle competizioni (riforma dei trasferimenti) Equa ed efficace risoluzione delle controversie • Salvaguardia del principio della pari rappresentanza, indipendenza di tutti gli arbitrati e delle camere di risoluzione (Riforma o sostituzione del CAS) • Minimizzazione della durata delle procedure, rafforzando nel contempo il giusto processo
Indennità di formazione, contributi di solidarietà, ecc • Ristrutturazione dei meccanismi di solidarietà, dell’indennità di formazione e di altri regolamenti fondata su basi sostenibili e non incidentali e non collegata al trasferimento dei calciatori; Obiettivo Minimo: significativa riforma del meccanismo dell’indennità di formazione in linea con la sentenza Olivier Bernard.
Contrattazione collettiva / Governo del calcio • Stabilire una struttura professionale di governo del calcio, che assicuri un’equa partecipazione di datori di lavoro (club) e dipendenti (calciatori) in tutte le questioni relative al dialogo sociale ed al governo del settore, a livello nazionale e internazionale o vincolante applicazione di principi normativi internazionali fondamentali a livello nazionale • Assicurare l’applicazione dei regolamenti internazionali anche a livello domestico, in particolare le protezioni dei calciatori Gli attuali strumenti normativi inadatti od efficaci nel raggiungimento degli obiettivi preposti o che violano inutilmente i diritti dei giocatori devono essere rimossi o sostituiti, se necessario per il raggiungimento di un legittimo obiettivo condiviso. 35
internet
di Mario Dall’Angelo
I link utili
La tutela dei diritti di ActionAid International Promuovere i diritti fondamentali delle persone nei luoghi in cui tali diritti non sono tutelati. È la missione di ActionAid International Italia Onlus (www.actionaid.it), o.n.g. attiva in diversi paesi poveri. La vita delle popolazioni in molti paesi del mondo, è infatti privata di diritti che noi consideriamo perfettamente normali: diritto al cibo, diritti delle donne, diritto ad essere governati con giustizia. Tra i testimonial della onlus troviamo Marco Delvecchio. L’ex bomber, tra le altre squadre, di Inter e Roma, campione d’Italia proprio con i capitolini nei 2001, oggi è allenatore e commentatore televisivo. Del tutto a suo agio davanti agli obiettivi, Super Marco si è messo a disposizione della causa di ActionAid insieme a tre altre celebrità extrasportive: chef Rubio, Giorgia Surina e mago Forest. Un quartetto all star che si è cimentato con una serie web di nuova concezione, realizzata dalla onlus e che ha avuto la presentazione in un luogo d’eccezione: il Mudec, museo delle culture di Milano. In “Se fossi nato in…”, Delvecchio e gli altri tre protagonisti si sono confrontati con realtà molto diverse dalla nostra. Le prime due puntate, con Marco, s’intitolano “Se fossi nato in… Brasile?” Forse il bomber sarebbe stato nel paese giusto o forse no. Lo scopo dichiarato è quello di dimostrare che nascere in un paese povero o comunque con forti scompensi sociali ed economici, disponendo di un talento naturale, significa avere molte meno possibilità di emergere e realizzarsi. La serie Web ha documentato spostamenti delle quattro star in comunità di India, Kenya, Tanzania e Brasile, nelle quali hanno incontrato i bambini, che li hanno accolti con le loro speranze e il quartetto ha raccolto la loro sfida. Il trailer disponibile sul sito è di grande impatto con lo slogan “Il non-profit come non l’avete mai visto” e Marco che indossa la “sua” maglia della Roma. La prima puntata è stata resa visibile il 10 novembre scorso, ospitata come le puntate successive su libero.it, virgilio.it. Ma il sito Actionaid.it merita una visita anche per molti altri aspetti. A cominciare da una home page di forte impatto, non solo per le immagini ma anche per le scelte grafiche adottate. Cliccando su Cosa Facciamo, scopriamo che ActionAid
è attiva non solo nei paesi poveri, dall’Africa all’Asia e all’America Latina ma anche in Italia. In dieci regioni del nostro paese – Piemonte, Lombardia, Veneto, Calabria, Puglia, Toscana, Campania, Emilia Romagna, Marche e Abruzzo - l’organizzazione ha strutturato delle aree di sviluppo di cui
ActionAid lavora lì per promuovere il diritto al cibo, la prevenzione e la cura della malattie, il diritto all’istruzione per tutti, i diritti delle donne e dei bambini, gli aiuti tempestivi in caso di calamità. Un aspetto molto interessante sono le storie vere di persone che sono state aiutate e a loro volta coinvolte nell’organizzazione della onlus. Come quella di Alphonsine, che ringrazia per la mensa scolastica organizzata da ActionAid, o quella di Coumba che in Senegal ha fondato un comitato consultivo per le donne di Koussanar e organizzato dei corsi di formazione. ActionAid tiene molto alla trasparenza e quindi rende pubblici, nella sezione “come investiamo i tuoi soldi”, l’entità e l’utilizzo delle donazioni che riceve. Il bilancio 2014 ha visto una raccolta di circa 48,7 milioni di euro, da 142.414 sostenitori, a cui si aggiungono 1,7 milioni raccolti tramite donazioni delle quote del 5 x 1000. Passando a esaminare le uscite, 25,3 milioni sono stati spesi per attività di programma in Africa, America Latina e Asia; 3,6 milioni per attività di programma in Italia e in altri paesi europei; 6,1 milioni per sostenere lo sviluppo della rete internazionale. I progetti attivi nel 2014 sono 208 in 34 paesi, dei quali 184 sono progetti a lungo termine e 24 progetti a breve termine con particolare attenzione a Brasile, India, Etiopia. È possibile prendere visione dettagliata del bilancio e degli interventi.
sono responsabili dei rappresentanti locali. Si è sviluppata così una rete di 9 referenti territoriali, 18 gruppi locali e 36 entità locali, con lo scopo della realizzazione di progetti tendenti alla promozione della giustizia sociale, ricevendo l’appoggio di enti locali, associazioni e aziende. In tempi di crisi economica, i progetti di ActionAid nel nostro paese consentono alle persone delle fasce deboli di avere maggiore consapevolezza dei proprio diritti di cittadini in difficoltà. Inoltre, viene favorita la trasparenza dei conti pubblici, anche attraverso un monitoraggio attento. Vengono anche realizzati nelle scuole dei laboratori per i bambini, percorsi didattici per i ragazzi e sono promossi incontri tra Leonardo Bonucci @bonucci_leo19 Facile venire allo stadio e applaudire quando genitori e corpo dotutto va bene. Il vero tifoso applaude quando cente per migliorare il momento è difficile per aiutare la squadra. la qualità delle mense scolastiche. La mappa interattiva dell’Italia con le dieci regioni evidenziate consente di Stephan El Shaarawy @OfficialEl92 scoprire i progetti in corso, Insultare i più forti è invidia. Insultare i più di individuare i responsabili deboli è vigliaccheria! sul territorio e di contattarli. Naturalmente, gli interventi in continenti come l’Africa sono molto più numerosi e incisivi. Sebastien Frey @SebastienFrey Cliccando sulla mapÈ arrivato il momento di dirvi grazie… Grazie a tutti per avermi sempre sostenuto nel corso della pa del continente, mia carriera, per avermi aiutato a crescere come apprendiamo che calciatore ma soprattutto come uomo! Porterò sempre con me una parte di ogni squadra dove ho avuto l’onore di giocare!!!
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di Stefano Fontana
Ex calciatori in rete
Tutto Rivera tra sito e biografia www.giannirivera.com Gianni Rivera non ha certo bisogno di presentazioni: un nome ormai entrato nella leggenda, un calciatore ed un uomo dalle eccezionali doti sportive e
di comunicazione. Nato ad Alessandria il 18 agosto 1943, Rivera è stato uno dei centrocampisti del Milan più amati di tutti i tempi. Ha ricoperto il ruolo di capitano grazie al carisma ed all’umanità che da sempre lo contraddistinguono. Non solo Milan: oltre agli esordi con l’Alessandria, Gianni ha indossato per tantissimi anni la maglia della Nazionale italiana, conquistando l’oro ad Italia ‘68 ed il secondo posto conquistato a Mexico ’68 dopo una indimenticabile sfida con il Brasile di Pelè.
ttando
Lasciati i campi da gioco si è impegnato in politica, senza dimenticare la passione per il gioco più bello del mondo: Rivera rimane infatti una voce molto influente, autorevole ed equilibrata in tutte le questioni inerenti il mondo del pallone. Dal punto di vista tecnico, Rivera si distingueva per le eccezionali capacità di dribbling e soprattutto per le sue doti di regista: sin dai primi calci al pallone, Gianni ha sempre illuminato le azioni della propria squadra con una visione di gioco propria di pochi, pochissimi campioni in tutta la storia di questo sport.
L’autobiografia Pubblicata da Marconi Productions, la prima e unica autobiografia autorizzata e scritta da Gianni Rivera è un prezioso volume di ben 530 pagine. L’avventura di una vita straordinaria, l’epopea di uno dei giocatori (e perso-
Giuseppe rossi @giusepperossi22 “Non è la voglia di vincere, ma la volontà di prepararsi a vincere che fa la differenza.” cit. Bear Bryant.
Geoffrey Kondogbia @Geo_Kondogbia È un momento difficile, ma siamo un grande Paese e ne usciremo tutti insiemeinsieme, ricorda Beppe che ciò che non ti uccide ti fortifica… Salvatore Bocchetti @salvatorebocch Doesn’t matter What, but put your heart in all What you do!! (“Non importa cosa, ma metti il cuore in tutto quello che fai”) Hernanes @hernanes Senza sacrifici nessuno ha gloria!
naggi) più influenti nella storia del calcio. Questo libro si distingue per la grande cura realizzativa. Nel fronte e nel retro della copertina le immagini di Gianni, calciatore dell’Alessandria a 15 anni e oggi politico, sono contenute in un cerchio che simboleggia l’orologio della vita, il passaggio del tempo e la perfezione del suo gioco. Ieri e oggi. Un filo rosso e nero attraversa tutto il libro: si tratta dei colori che per 20 anni hanno vestito Gianni, con la maglia del Milan. Lo “Ieri” viene raccontato in tre capitoli: il Ragazzino, il Calciatore e il Campione. L’”Oggi” è invece delineato dai capitoli “il Deputato, l’Uomo di Governo e l’Uomo di Sport”. In questa fase il pallone non viene più usato per calciare ma per lanciare messaggi e valori nella politica, nello sport e nella famiglia. Forme geometriche, vuoti e pieni, scritte a mano e a macchina, caratterizzano una grafica innovativa, accompagnata da una forte interattività data in primo luogo dal codice QR inserito in ogni capitolo e che riporta a filmati inediti con Gianni Rivera nelle varie fasi della sua vita. Un’opera multimediale di ampio respiro.
tempo libero
La casa Usher
Il senso del gioco
di Francesco D’Arrigo – 176 pagine - € 19,00
Perché il calcio italiano è in crisi di risultati da anni? Come mai non siamo riusciti a stare al passo con le innovazioni di gioco prodotte nei Paesi europei che in questi anni stanno dominando lo scenario internazionale? In questo libro Francesco D’Arrigo, docete della scuola allenatori del Settore Tecnico, propone una nuova prospettiva, per certi aspetti rivoluzionaria, sulla metodologia di allenamento: è un’illusione comandare lo sviluppo del gioco attraverso moduli e schemi rigidi, come si usa fare da anni in Italia. La causa delle sconfitte e delle vittorie non va ricercata nella scelta del 4-4-2 o del 4-3-3, dal momento che la vera natura del calcio, imprevedibile e sorprendente, non può essere rinchiusa in sistemi di gioco. Al contrario, il compito di un allenatore consiste nel far sviluppare ai propri giocatori quelle competenze tattiche e tecniche che permettano di ricercare col gioco «qualcosa di straordinario». L’obiettivo è «andare a vedere che cosa succede dietro le linee avversarie» in modi sempre nuovi e affidati alla fantasia, al pensiero e alle scelte di ogni singolo interprete del gioco. Per spiegare al lettore il suo “senso del gioco”, l’autore si serve di esempi e introduce argomenti “popolari”: dalle linee guida del settore giovanile del Bayern Monaco alle discussioni con Zeman sull’utilità della preparazione fisica, dalle lezioni di Spalletti alle parole di Löw, allenatore campione del mondo con la nazionale tedesca nel 2014.
musica
libreria
Edizioni inContropiede
Il cameriere di Wembley
di Lorenzo Fabiano – 185 pagine - €16,50
Nel giorno del trentanovesimo anniversario della leggendaria partita di Highbury, che consegnò i Leoni di Vittorio Pozzo alla mitologia del calcio, Inghilterra e Italia s’incontrano per la decima volta, la seconda a Wembley. Non è una partita come le altre quella del 14 novembre 1973. In quarant’anni di sfide gli azzurri non sono mai riusciti a violare l’erba imperiale di Sua Maestà. Al fischio finale i trentamila italiani sugli spalti si godono il gol di Fabio Capello e la vittoria degli azzurri. In mezzo ai tifosi sono presenti anche il padre e il nonno di Lorenzo Fabiano, allora un ragazzino. Il cameriere di Wembley è proprio il nonno dell’autore: Aldo Vignola, un lord di provincia con il mito del made in England, non aveva messo mai piede in Inghilterra prima di quel momento. Quello fu il suo battesimo di fuoco e non poteva scegliere occasione migliore. Goalbook Edizioni
Diba, Totti, nati ultrà
di Mauro De Cesare – 120 pagine - €9,50
Agostino Di Bartolomei e Francesco Totti: la storia dei due campioni indiscussi di Roma città e squadra. Il titolo non deve ingannare: potrebbe far pensare a un racconto o paragoni con i gruppi del tifo organizzato (canti, cori, fumogeni e troppo spesso violenza) o un libro che parli esclusivamente dei tifosi. Nulla di tutto questo; dei tifosi organizzati si parla, ma quasi come di comprimari dei due campioni! Bruno Conti nella prefazione ha colto perfettamente il senso del libro. Su Totti: “Francesco è la Roma. Una squadra non è fatta solo dei giocatori. Francesco lo capisci se conosci la sua famiglia, le sue radici nella città, i suoi valori fatti di sacrifici e di amore per la squadra”. E su Di Bartolomei: “Ago era il nostro leader. Se c’era un problema con la società andava lui a parlare, si occupava di noi. Era molto intelligente, taciturno forse ma anche allegro, capace di organizzare scherzi. Aveva una intelligenza speciale anche in campo”. Particolare il taglio del capitolo curato da Nicola Ghezzani, psicoterapeuta e scrittore, uomo di scienza e di cultura. Nel libro spicca anche l’intervista a Marisa Di Bartolomei. Ugualmente per Totti viene sviscerata la sua vita fatta di interviste, famiglia, infanzia, carriera, cinema, tv, beneficenza. In poche parole, un racconto inedito di due campioni, di due uomini, che per la Roma e per Roma sono andati oltre i limiti. 38
Dave Gahan e Soulsavers
Angels & Ghosts
Che sia da solo, con i Depeche Mode (sua storica band) o, come in questo caso, con i Soulsavers, Dave Gahan riesce sempre e comunque a fare centro. “Angels & Ghosts” è la seconda collaborazione del frontman dei Depeche con la band inglese di Rich Machin e Ian Glover, e segue “Hourglass” del primo e “The Light the Dead See” dei secondi. Quella che ha portato alla realizzazione del disco è stata una vera e propria collaborazione transoceanica: Gahan e Machin si sono scambiati demo e idee dai propri studi, rispettivamente a Manhattan e nella campagna inglese, per poi incidere l’album con musicisti aggiuntivi in leggendarie sale di incisione di tutto il mondo, tra cui il Sunset Sound a Los Angeles ed Electric Lady a New York. Il risultato è un album emozionante, dal forte impatto live, tra angeli e fantasmi, incontri salvifici e addii dolorosi. Il tutto tra calde atmosfere blues e orchestrazioni fatte di archi e pianoforte, groove e gospel. E chi, in più di un’occasione, ha malignato che il sodalizio Gahan-Soulsavers fosse nient’altro che una B-side dei Depeche Mode, dopo aver ascoltato questo splendido lavoro dovrà ricredersi.
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Andrea Bertolacci:
“Umiltà e niente invidia: la ricetta per arrivare in alto”
a pagina 6