Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – 70% NE/VI - Anno 44 - N. 02 Febbraio-Marzo 2016 - Mensile
2016
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Febbraio Marzo
Organo mensile dell’Associazione Italiana Calciatori
Nicolàs Burdisso difensore del Genoa
O capitano! Mio capitano!
di Damiano Tommasi
editoriale
The art of the Italian welcome
Se il buongiorno si vede dal mattino il fatto che Gianni Infantino abbia festeggiato l’elezione a presidente della Fifa dello scorso 26 febbraio con una partita di calcio fa ben sperare. In realtà già nelle ultime settimane aveva dato indicazioni precise, come tutti noi auspicavamo, che i calciatori, ex calciatori soprattutto, avrebbero avuto più spazio nella “sua” Fifa. Detto fatto e Seedorf, Albertini, Toldo, Salgado, Figo, Shevchenko e tanti altri, calciatrici comprese, si sono trovati con il numero uno dell’organismo mondiale del calcio; attendiamo che a questa partita segua il coinvolgimento istituzionale dei calciatori. Facciamo il tifo e siamo, ovviamente, a disposizione perchè il buon progetto continui ma rimango perplesso di quanti, riconoscendone le origini italiane, sentano “nostro” un presidente che già da questo inizio sembra essere anni luce dalla “nostra” idea di istituzione calcistica… ma si sa che il carro a volte si riempie in fretta.
oscuro, di imbrattare la macchina di qualche calciatore parcheggiata sotto casa con i colori della squadra. A Foggia si è ripetuta l’ignobile scena, già vista a Pisa, di gente armata di mazze da baseball e spranghe, qualcuno incappucciato, che ferma il pullman della squadra e “regola” i conti con i primi che capitano sotto tiro. A Caserta si danneggiano e si incendiano le auto dopo una sconfitta. Altra new entry in questo benedetto assurdo Belpaese (come direbbe F. Guccini) è la richiesta poco gentile di non indossare per le future partite le maglie ufficiali ma la terza o quarta maglia. Ce lo diciamo sempre e ce lo ripeteremo continuamente, così non è normale! Ma sono putroppo consapevole che per tanti, troppi, di noi calciatori “la contestazione ci può stare, le mani addosso no” e “è normale se perdi continuamente”. Non è normale e lo ripeteremo all’infinito sperando che tra qualche mese, anno, si possa dire Non era normale!
Si ripropone da anni l’eterno dilemma se il gioco del calcio (in Italia!) debba prevedere il lato negativo delle contestazioni violente, delle minacce e delle intimidazioni. Il nostro report “Calciatori sotto tiro” per qualcuno sembrava, e sembra, una provocazione ma si sta putroppo riempiendo di pagine per certi versi inedite. A Terni abbiamo assistito al messaggio, nemmeno tanto
Non so perché a questo proposito mi viene in mente lo slogan scelto per la presentazione della candidatura olimpica di Roma 2024 avvenuta lo scorso 17 febbraio (speriamo possa andare in porto!) che voleva e vuole celebrare “The art of the Italian welcome”. I dubbi su questo fatto di essere artisti dell’accoglienza mi vengono ogni giorno di più.
SALVIAMO I BAMBINI COLPITI DAL TERREMOTO. È una corsa contro il tempo. In Nepal milioni di bambini hanno urgente bisogno di aiuto. Molti di loro sono feriti, senza casa, a rischio di malattie perché non hanno acqua potabile e servizi igienici. Altri sono orfani o separati dalle famiglie. L’UNICEF sta rispondendo all’emergenza con acqua, medicinali, attrezzature igienico-sanitarie e tende per ospedali da campo, centri di accoglienza e scuole temporanee. I bambini del Nepal hanno bisogno del tuo aiuto. DONA ORA ALL’UNICEF: • Con carta di credito sul sito www.unicef.it • Cc postale 745000 causale “Emergenza Nepal” • Bonifico bancario su Banca Popolare Etica IBAN: IT 51 R050 1803 2000 0000 0510 051
• Presso i Comitati Locali dell’UNICEF. Trova l’indirizzo su www.unicef.it/comitati • Numero verde
© UNICEF NYHQ2015-1054 Nybo
EMERGENZA NEPAL
Poste Italiane SpA – Spedizione
02
2016
sommario
Nicolàs Burdisso difensore del Genoa
serie B di Claudio Sottile Paolo Hernán Dellafiore
servizi come stai? di Pino Lazzaro
l’intervista
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di Pino Lazzaro
Nicolò Brighenti
scritto per noi di Alessandro Comi Emiliano Bonazzoli
scatti di Maurizio Borsari amarcord di Vanni Zagnoli Marco Osio
calcio e legge di Stefano Sartori Ius soli sportivo e Regolamento FIFA
Organo mensile dell’Associazione Italiana Calciatori
direttore direttore responsabile condirettore redazione
foto redazione e amministrazione
tel fax http: e-mail: stampa e impaginazione REG.TRIB.VI
Sergio Campana Gianni Grazioli Nicola Bosio Pino Lazzaro Gianfranco Serioli Stefano Sartori Stefano Fontana Tommaso Franco Giulio Segato Mario Dall’Angelo Claudio Sottile Maurizio Borsari A.I.C. Service Contrà delle Grazie, 10 36100 Vicenza 0444 233233 0444 233250 www.assocalciatori.it info@assocalciatori.it Tipolitografia Campisi Srl Arcugnano (VI) N.289 del 15-11-1972
politicalcio di Fabio Appetiti Sandro Donati
amarcord di Claudio Sottile Roberto Scarnecchia
femminile di Pino Lazzaro
Calciatrice mamme, mamme calciatrici
regole del gioco di Pierpaolo Romani
La vittoria può essere ovunque e a portata di ognuno
io e il calcio
Rosario Maddaloni
internet
Questo periodico è iscritto all’USPI Unione Stampa Periodica Italiana
Member of
tempo libero
Finito di stampare il 14-03-2016
Organo mensile dell’Associaz
Febbraio O capitano! Mio capitano! Marzo
editoriale di Damiano Tommasi
Nicolàs Burdisso, capitano del Genoa. Dietro quella fascia, una carriera lunghissima, una storia lunghissima. Dal Boca Juniors alla Nazionale argentina, passando dal sogno chiamato Italia: Inter, poi Roma, fino alla maglia rossoblù. Sempre a testa alta, con grinta, umiltà, determinazione. Perché essere capitano non è la stessa cosa che fare il capitano.
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in Abbonamento Postale
– 70% NE/VI - Anno 44 - N. 02 Febbraio
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ione Italiana Calciatori
2016 - Mensile
l’intervista
Nicolás Burdisso, difensore del Genoa Nicolás Andrés Burdisso è nato nell’aprile del 1981 ad Altos de Chipión, paesino del dipartimento di San Justo (provincia di Cordoba). I suoi bisnonni, emigrati in Argentina agli inizi del 1900, sono originari di Racconigi e Revello, due comuni piemontesi in provincia di Cuneo (ha così passaporto italiano). L’esordio in prima squadra l’ha fatto col Boca Juniors di Buenos Aires, formazione con cui ha vinto due campionati argentini (2000 e 2003), tre Coppe Libertadores (2000, 2001 e 2003) e due Coppe Intercontinentali (2000 e 2003). In Italia, con l’Inter, dal campionato 2004/2005, ha aggiunto nel suo personale palmares: 4 scudetti (05/06, d’ufficio, dopo Calciopoli; 06/07; 07/08; 08/09), due Coppe Italia (04/05 e 05/06) e tre Supercoppe Italiane (05, 06 e 08). Alla Roma dalla stagione 2009/2010, a gennaio 2014 è passato infine al Genoa. Con la maglia della Nazionale argentina (49 le sue presenze) ha partecipato al Mondiale 2006 di Germania e a Sudafrica 2010. Sempre con la maglia della nazionale argentina, ha vinto il Mondiale Under 20 del 2001 e la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Atene 2004. Sposato con Maria Belen, ha tre figli: Angelina, Facundo ed Emilia.
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di Pino Lazzaro
l’intervista
O capitano! Mio capitano! Di come ho iniziato, di quei miei anni da ragazzino ricordo tutto e non c’entra il fatto che possa avere una buona memoria. Un qualcosa di bellissimo, il periodo più importante della mia vita. Quel mio paesino, poco più di 1000 abitanti, lì tutto piatto in mezzo alla pampa, un’idea di libertà assoluta e così giocavamo a pallone finché era buio e le urla di mia madre verso ora di cena. E lì sul campetto restavano i più forti, quelli che avevano più personalità, quelli che la volevano davvero finire la partita. Sì, erano quelli che ci tenevano meno che se ne andavano prima, noi invece restavamo sino a che era buio ed è un qualcosa tutto questo che per me dice parecchio pure di noi argentini, di come siamo fatti. Giocare a pallone era il gioco principale e continua ancora ad essere così. Spazi ce ne sono fin che vuoi lì al mio paese e in più io avevo la fortuna di averne uno giusto a 30 metri da casa. Avevamo solo un pallone e le porte le facevamo con le felpe o dei sassi e la cosa bella è che è tuttora così, me ne accorgo sempre quando me ne torno a casa
per Natale e d’estate: la stessa essenza di venti anni fa. Anche lì, ad Altos de Chipión, c’era un club. Fatto dai soci, senza un proprietario e questo spiega il senso di appartenenza che spesso c’è da noi. Ho giocato lì con loro sino ai 14 anni, a casa avevo pure mio padre che è sempre stato appassionato, ha pure fatto il calciatore semiprofessionista, centrale difensivo, uno che entrava sempre, molto forte di testa: ancora adesso me lo fa notare se magari di testa ne perdo qualcuno di contrasto. Dicevo che avevo 14 anni quando ho cominciato a vedere che quella mia era una realtà limitata, che tutto insomma finiva lì. E allora sono andato a farmi vedere in una grande squadra, sino a Rosario, 400 km di distanza, aveva la fama di lavorare molto bene col settore giovanile. Così s’usava allora, si andava ai provini ed eravamo magari un centinaio e anche in Argentina non è più così, lo vedo adesso che sto cercando di far fare un provino a un mio nipote che ha 15 anni: è più difficile, più mirato e ci vogliono insomma delle conoscenze. Ricordo il viaggio che abbiamo fatto in camion sino a Rosario. Il camionista era amico di mio padre (c’era anche lui), trasportava cereali al porto di Rosario. Tre giorni di provini ma mio padre non poteva stare sempre lì con me, se n’è tornato a casa e io sono rimasto nel loro pensionato. Alla fine dei tre provini mi hanno preso e ricordo che dopo i primi due, il terzo l’abbiamo fatto contro una squadra di ragazzi che già erano lì, già scelti insomma e abbiamo perso per 10 a 0. Loro con la divisa, noi vestiti con le magliette che ci eravamo portati da casa, io ne avevo una anche del Boca (la mia preferita) ma di certo non la potevo mettere quel giorno, ne avevo così una blu, me lo ricordo, senza scritte. Abbiamo perso come detto 10 a 0 e mi hanno preso lo stesso. Credevo magari di aver fatto bene gli altri due, così mi pareva, ma tanti anni dopo il direttore generale di allo-
ra mi ha detto che quel giorno ha deciso di tenermi per la rabbia con cui ogni volta andavo a prendere il pallone in porta dopo che avevano fatto gol, quello aveva visto. Ero felice che mi avessero preso ma subito la realtà mi ha messo in riga. In quel pensionato eravamo una trentina, io avevo 14 anni, lontano da casa, solissimo, per iniziare un possibile mestiere che minimo solo dopo 4-5 anni avrebbe potuto dare dei frutti. È stata durissima, non stavo per niente bene, tutto così esigente per la competizione che c’era: troppo per me. Insisto sui 1200 abitanti del mio paese, io che nella nostra aula a scuola eravamo in tutto in otto, mi sono ritrovato in un istituto dove ce n’erano 2000 di ragazzi. In più ero sempre in panchina e decisi di tornare a casa, lo dissi ai miei, magari torno l’anno prossimo, potrò essere più pronto. Ricordo che eravamo alla vigilia di una partita, mancava poco all’inizio del nostro campionato e telefonai a casa, dissi a mio padre che non ci volevo più stare. Lui a dirmi di aspettare un’altra settimana, dai, e io che dentro di me avevo comunque già deciso, non mi vedevo in quel posto: me ne sarei andato giusto dopo la partita. Sono così in panca e ce n’era un altro che non si trovava bene, lui era un attaccante e non era nemmeno venuto, così c’ero io (allora giocavo da centrocampista) e un altro paio di difensori. Perdevamo 1 a 0 e quando mancava poco alla fine, l’allenatore mi mette dentro e m’è capitato di fare un gran gol, al volo, giusto all’incrocio. Un tiro, niente di più, ma lì è cambiato tutto, un qualcosa che mi ha fatto sentire con gli altri, la gioia di fare gol, di condividerla, di sentirla poi al telefono anche da parte dei miei genitori ed è così che ce l’ho fatta a resistere, andando a casa una volta ogni due mesi, con quel calendario che tenevo vicino al letto e in cui segnavo quanto mancava al mio prossimo ritorno. No, non posso dire che mi abbiano trattato bene, né che mi abbiano trattato 7
l’intervista
Mi ritorni in mente La partita che non dimentico è la mia partita d’esordio in prima squadra. Un po’ il culmine, il coronare tanti anni di sogni e illusioni, tutto racchiuso in quella partita. Ancora adesso, a tutti i ragazzi che vanno a esordire io continuo a dire di non pensare a niente, di andare in campo e godersela. Era il 10 ottobre del 1999, certo che mi ricordo pure la data. Alla Bombonera, Boca Juniors-Instituto, vincemmo 2 a 0, doppietta di Palermo. Ricordo che prima di iniziare, ci fu quel giorno un minuto di silenzio e m’è proprio rimasto dentro quel minuto, tutto misto, paura e voglia. Di quell’esordio l’ho saputo lì allo stadio, da due partite ero in panchina. Appena arrivato, avevo messo giù la borsa ed ero andato a vedere la partita della Primavera, dei miei compagni, ero il capitano. Sono lì che scendo per andare negli spogliatoi e sento mister Carlos Bianchi che mi urla che “vai dal primo minuto”. C’erano anche i miei genitori quel giorno allo stadio, ma erano lì per caso, l’hanno così saputo dagli altoparlanti che ero nella formazione. Quella invece che vorrei rigiocare è la mia ultima partita in Nazionale, quando mi sono rotto il ginocchio. Dieci anni che ci giocavo e così ho dovuto lasciare, non ci sono più tornato. Argentina-Colombia, partita di qualificazione al Mondiale, con Jaime Rodriguez che mi frana addosso… per me gli infortuni devo dire che sono sempre stati una sfida, quella di tornare al più presto: è sempre stata questa la mia maniera di vivere il calcio. Il cartellino rosso che potevo evitare è quello di Valencia quando sono stato protagonista di quella rissa. Da un battibecco si è arrivati a una battaglia: ho iniziato io e vorrei averla gestita in un’altra maniera. Un avversario che ricordo in particolare è Diego Milito, le nostre “battaglie”. Potrei parlare di Shevchenko, di Totti, di uno poi che mi colpì così tanto che pensavo fosse di un altro pianeta, Van Nistelrooy. Ma con Diego ogni partita era particolare; eravamo amici ma dopo la partita ci volevano sempre due-tre giorni prima che tornassimo a chiamarci, a volte io, a volte lui, così rompevamo il ghiaccio. Di stadi ne ho due in particolare. Il primo è la Bombonera di Buenos Aires, dove gioca il Boca Juniors. Per noi è un mito, davvero “la terra trema” e bisogna provarlo, specie per come lo si vive lì. L’altro è l’Azteca di Città del Messico, ci sono stato due volte: la prima volta avevo 18 anni ed ero in panchina, l’altra per una finale di Copa Libertadores (giugno 2001, sconfitti i messicani del Cruz Azul; n.d.r.) . Un impianto enorme e che ha tutta quella storia. Due finali mondiali, i gol di Maradona agli inglesi, l’Italia-Germania del 1970… esci lì, da dietro a una porta e lo vedi, impressionante e bellissimo. male. Una situazione quella in cui sei tu che devi tirar fuori qualcosa che hai dentro, sei tu che devi sopravvivere per poi, come dico io, super-vivere perché devi per forza crescere in fretta, diventare più 8
forte dentro, facendo dei sacrifici pur sapendo che non sei preparato per l’età che hai. Le cose insomma le devi avere da qualche parte dentro di te, quasi a farle poi in automatico. Un percorso che co-
munque ti arricchisce, anche se smetti presto e non diventi un professionista, resta un’esperienza di vita. Ti devi gestire da solo e così cresci e maturi di più, più dei ragazzi della tua età. Quello di diventare calciatore professionista era il sogno che comunque avevo sin da piccolo, già in quei campetti lì del mio paese immaginavo se mai sarei arrivato a stadi con tanta gente, chissà, la Nazionale, l’Europa: era questo il mio obiettivo/illusione. E se mi chiedi quando il calcio per me è diventato un mestiere, allora penso alle mie prime settimane in prima squadra, lì mi sono reso conto che molto di quello che avevo avuto sempre dentro, che mi aveva accompagnato fin che giocavo semplicemente a calcio, dovevo lasciarlo da parte, senza però dimenticarlo. Vedi per esempio l’essere tifoso. Io sono sempre stato come tifo per il Boca e quando sono arrivato a giocarci, c’è stato un periodo che non s’andava bene, ricordo che c’era pure chi mi insultava e io questa cosa qui non la capivo, ma come, eppure ce la stavo mettendo tutta, anch’io stavo male, anch’io ero tifoso, anch’io ce l’avevo dentro questo senso di appartenenza speciale. Ecco, lì ho capito che fare il calciatore è un’altra cosa, li devi gestire in un’altra maniera questi legami che ti porti dentro da bambino. Ci sono stato due anni a Rosario, poi all’improvviso mi dicono che dovevo trovarmi un posto per vivere fuori del pensionato, che per me non c’era più posto e non era altro che una scusa: credevano poco in me e pensavano di averne altri migliori di me. Avevo 16 anni, la voglia di arrivare ce l’avevo e il destino stavolta ha messo di mezzo un conoscente, lui mi poteva far provare col Boca Juniors, la squadra più forte dell’Argentina. Sarei insomma andato a provare al livello più alto e ce l’ho fatta: è cominciata un’altra storia, anche questa piena di ostacoli. Sì, essere arrivato al Boca m’aveva fatto pensare di aver ormai fatto il più difficile ma me ne sono accorto subito che non era così, anzi. Quel che dovevo sempre e comunque dimostrare era la fame di arrivare, l’amor proprio e il tutto è diventato così ancora più intenso. Dovevo concentrarmi di più, sempre a testa bassa:
l’intervista
Un luogo democratico
“Dentro il terreno di gioco siamo tutti uguali, undici loro e undici noi. Credo sia questa la cosa più bella, questo è il gioco, stesse regole per tutti e stessi obiettivi. Il campo è un qualcosa che noi calciatori dobbiamo cercare di difendere”.
il traguardo poteva anche essere non lontano ma quanto difficile era fare l’ultimo pezzo di strada. E domande me le facevo tutti i giorni, se sarei poi stato capace di farcela e il tutto da una parte certo mi poteva anche stimolare, ma dall’altra pure mi condizionava, dai, uno a 16 anni dovrebbe, che so, studiare e godersi la vita. Io invece lì a chiedermi se ce l’avrei fatta o no, se tutto alla fine avrebbe potuto essere invano (ma non era tempo perso, no) e tu queste cose qui non le sai, non le puoi sapere se non dopo che accadono o meno. Sì, come detto avevo anche l’Europa come sogno. A parte che io sono originario da una famiglia che veniva dall’Italia e che lì nel mio paese in Argentina è pieno di piemontesi, per noi allora anche col calcio l’Europa voleva dire Italia. Noi siamo cresciuti con Maradona, Batistuta, Crespo, Veron; non era come adesso con Messi, allora Diego era a Napoli, quelle erano per noi le opportunità e c’era per me pure sto fatto del sangue italiano che avevo, la sentivo questa cosa qui. Con la scuola? Se non proprio studiare, mi piaceva però imparare e poi, accanto, avevo loro, c’era il loro di esempio: mio padre insegnante di educazione fisica, mia madre maestra alle elementari. Sono un perito mercantile, si dice così
da noi, sorta di ragioniere e per due anni ho poi continuato con l’università, studiavo Gestione d’impresa. Poi non ce l’ho più fatta: il primo anno già giocavo in A e l’anno dopo avevamo la Copa Libertadores, tantissime assenze alle lezioni; i prof che erano pure tifosi, mi dicevano di non preoccuparmi, ma decisi di fermarmi. Sono parecchi anni che sono qui in Italia e certo è cambiato questo Paese, ma non solo l’Italia, tutto il mondo è cambiato, la società è cambiata. Anzi, direi che qui ancora si conservano dei valori e dei gesti in cui mi identifico, che in Argentina non esistono più. Vedi ad esempio nello spogliatoio, l’ho visto anche con l’Inter e la Roma, con ragazzi giovani che ti rispettano, che hanno quasi timore a parlarti, l’avverto questa cosa qui. In Argentina invece non è così, ricordo le ultime volte che ho giocato con la Nazionale, ragazzi di 20 anni che già sapevano tutto… sembra una cosa da poco, ma ne fa capire di cose. Perché sono il capitano? Un po’ per personalità, un po’ per capacità. Essere capitano non è la stessa cosa di fare il capitano. E tutto dipende dai momenti, da quelle che sono le situazioni, quel che devi fare al momento giusto. Puoi così giusto ascolta-
re, puoi urlare, anche mettere al muro qualcuno e comunque tutto quello che fai lo fai al servizio del gruppo, non per te. Ho visto che qui in Italia a volte contano gli anni che uno ha giocato in un posto, ma non è detto che uno sia un leader. In Argentina invece è il gruppo a scegliere il giocatore che meglio li può rappresentare. Il primo concetto per me resta comunque sempre lo stesso: ogni cosa che fai, deve essere fatta per il bene della squadra, è lei che viene prima di tutto. No, non credo che il divertimento siano giusto i tre punti, o almeno uno. C’è dell’altro. Un qualcosa che va legato alla realizzazione di te, di quel che sei, lo scopo che hai e poi arriva la domenica e c’è la partita. Di mio sarei un po’ alla vecchia maniera, quando esci dal campo tutto finisce lì ma ora purtroppo ce ne sono tanti di occhi che guardano e vedono tutto, specie le televisioni naturalmente che fanno i loro di interessi. Dobbiamo crescere come categoria ed è un peccato che molto spesso l’informazione si soffermi e si fermi sulla polemica, anche questo non aiuta. Più che serio, sono stato adulto per l’età che avevo, un qualcosa che fa parte di me, direi una maniera d’essere. No, il “lavoro”
Di derby in derby Boca Juniors-River Plate Partita della vita, uno spettacolo mondiale. Non è solo una partita, è tanto di più: è tutto il Paese che si ferma.
importa come sei messo in classifica, ultimo o primo, quel che conta è difendere i tuoi colori. Tanta storia e non ci sono limiti, sino appunto alla follia.
Inter-Milan Qui è uno spettacolo del calcio, tutto è perfetto, con San Siro che è conosciuto in tutto il mondo e ti pare d’essere dentro un teatro.
Genoa-Sampdoria Il derby che mi sono goduto di più, anche qui tanta storia ma un’atmosfera – come dire – familiare e bellissima. Per quanto te lo fa sentire la gente, è un derby che dura tantissimo, già ben prima della partita. Col Boca, con l’Inter e la Roma in fondo ci sono sempre altre partite importanti, ma qui no, conta ancora di più e vincerlo è un po’ come vincere il campionato.
Roma-Lazio La follia in una partita di calcio, l’essenza del tifo dei romani, lì si può vedere un campionato dentro il campionato. Non
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l’intervista
cerco di non portarlo a casa, qualche volta capita, quando non riesco a togliermi le cose dalla testa però lì trovo la famiglia, sono loro il termometro, la misura: loro sono con te e tu sei con loro. E il tutto vale sia che le cose sul campo stiano andando bene o male, tanto devi comunque, che so, riscaldare il latte o parlare della scuola dei bimbi, sono queste le cose, semplici e di tutti i giorni, che ti riportano in linea, su quella che è lì la realtà. L’atmosfera negli stadi trovo sia cambiata rispetto a prima, la gente s’è allontanata un po’, poco da fare. Non so se dipende dalle strutture, dai prezzi, dallo spettacolo che magari non riusciamo più ad offrire, non so. È un segnale grave a cui dobbiamo rispondere, fare qualcosa. I rapporti poi con determinate fasce di tifosi sono, come dire, corti, durano poco e si esauriscono in situazioni comunque sempre estreme: gratitudine se vinci, grande disapprovazione quando le cose vanno male. Con settori dello stadio, esistono in Italia e pure in Argentina, che spesso non fanno il bene del calcio. Noi calciatori possiamo e dobbiamo fare di più, soprattutto adesso che l’informazione va ultra veloce e qualsiasi cosa tu possa fare, arriva subito. No, non penso che tutto possa iniziare e finire col campo da gioco, dobbiamo fare anche altro. Il calcio può essere così uno strumento, non una questione di vita e di morte. Con gli anni, a proposito di interviste, ho imparato ad essere un po’ più aperto e non è che mi sia “allenato” per fare questo. Capitava che non mi piaceva di dover dire sempre le stesse cose, mi fermavo magari a parlare solo quando ne avevo voglia ma c’è stato chi mi ha fatto capire che bene o male sono un personaggio, che ci sono persone che si aspettano qualcosa anche
da me e allora capisco più di prima certi trucchi del mestiere e poi cose che devi fare per il ruolo che hai, finisci la partita e ti trovi a dover dare anche delle spiegazioni. Allora determinate interviste vanno bene, mentre non mi piacciono le conferenze stampa, in cui ti ritrovi a dover rispondere a domande che saltano dalle questioni di campo magari al gusto del gelato che più ti piace, ecco, queste non mi piacciono. So che siamo senz’altro meglio di quell’etichetta, quelli del “tutto dovuto”. Torno a quella che è l’essenza di un calciatore, quelle storie sempre uguali e sempre diverse che tutti vivono all’inizio, come le vivono. Così nelle squadre ci sono sempre quei due-tre che pensano alle macchine potenti, che fanno coppia con le “veline” eccetera, ma ce ne sono altri venti che pensano a lavorare, alla famiglia, che magari sono impegnati nel sociale. Purtroppo vendono di più – così vanno le cose – coloro che fanno “casino” ed è solo di quelli che si parla e non è così, non è così, lo ripeto. Quasi tutti si rifanno infatti a quel percorso che hanno avuto modo di fare, l’essenza del calcio la chiamo io, con stili di vita molto normali e così li difendo – certo – i calciatori! E poi le generalizzazioni possono valere per qualsiasi mestiere e allora gli avvocati sono tutti così, lo stesso per i giornalisti… Beh, non so se come s’usa dire la categoria dei calciatori sia proprio la migliore, non so. Certo per me rimane comunque la più bella ed è
proprio per il legame che abbiamo col gioco calcio che dobbiamo cercare di fare qualcosa in più. Ce ne sono tanti come me, lo so. Tanti ne conosco, in tutte le squadre, siamo in maggioranza a vedere il calcio in un certo modo. Con gli arbitri il mio è sempre stato un rapporto stretto e corretto. In fondo lo stesso rapporto che ho avuto sempre con “la legge” e loro sono in effetti la legge. Mi sforzo di mettermi nei loro panni e credo di rendermi conto quanto sia difficile aver a che fare con 22 “matti” che lì sul campo chiedono tutto e il contrario di tutto. Io penso che aiutare loro voglia pure dire aiutare noi. Certo dipende dai singoli, da come ciascuno è fatto, però anche loro in fondo sono un po’ come noi, sempre sotto gli occhi di tutti, spesso solo critiche e per forza si chiudono. Io penso che dando loro una mano, aiutandoli anche con una parola, loro possono arrivare a gestire meglio la partita, cosa questa che la fa diventare più semplice anche per noi, per questo ripeto che è meglio dar loro una mano. Il privilegio che ho e che vedo è innanzitutto quello di essere nato in un posto e con una famiglia che mi hanno dato la possibilità di giocare, non capita a tutti e basta pensare alla Siria: lì puoi adesso pensare di giocare al calcio? Quel mio bagaglio che mi ha aiutato lo devo ai miei genitori, è stato quello che mi ha aiutato a resistere, a farcela. Alla fine esce comunque il “singolo”, parlo di quello che hai tu dentro, quello che è la tua famiglia a darti. Certo, sono orgoglioso di quello che ho fatto, ma penso a volte che lo dovrei essere di più. Io che ho continuato a farmi domande su domande e davvero non so più se sia un pregio o un difetto. Ora più di prima capisco che bisogna comunque guardare avanti, saperle insomma girare ste pagine. Credo che avrei potuto fare di più, ma non ho rimpianti. Con le armi che avevo sono arrivato dove sono arrivato. Grandi squadre, ho partecipato a due Mondiali e continuo a chiedermelo se potevo fare di più, altre domande. So che le cose ho
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l’intervista
cercato di farle alla perfezione e sono soddisfatto di quello che ho fatto ma le domande me le continuo a fare e se devo dire una cosa, ecco, avrei potuto essere un po’ più spensierato. Ci sono stati degli episodi che mi hanno fatto fermare: il crac al ginocchio prima di un Mondiale, la malattia di mia figlia e attraverso questi fatti credo d’essere migliorato. Mi dico insomma che non serviva martellarmi quando non ce n’era bisogno: sprechi tempo ed energie, forse per questo non sono arrivato ad essere un vero top player come li chiamano adesso. E credo che la forza dei grandi campioni stia proprio nella loro capacità di mettere un punto e a capo, di guardare avanti. No, non ne ho avuti di modelli particolari. Ricordo che sì guardavo in Italia, Maldini e Costacurta, loro mi sembravano proprio dei calciatori “assoluti” ma se proprio devo ricordarne uno, allora penso a mio padre, sì, che ha pure giocato, professore di educazione fisica, lui mai fermo, anche il carnevale organizzava al mio paese (ora ci pensa mia sorella…). Se posso essere io magari un modello? Mah, non lo so. Certo avverto attorno a me stima, non so se c’entra pure l’età o le maniere che ho. Sul lavoro sono certo dedicato, ma non all’estremo. Sì, per esempio agli allenamenti arrivo sempre per tempo e un qualcosa che faccio (ho sempre fatto) è quella di passare sempre per la sede, informarmi delle novità, su
tutto. Credo infatti, così la penso, che informazione sia potere. Di consigli devo dire che mi è sempre piaciuto darne, sì, ma sono pure bravo a recepirli quelli verso di me, c’è sempre tanto scambio e alla fine è un arricchimento. Se proprio ne devo dare uno qui dal giornale, dico quello che per me è il più importante. Ricordarsi che quel che si sta facendo è un percorso di crescita, deve essere tale. Uno inizia a 18 e magari smette a 35: non devono restare magari solo i soldi, ma uno deve essere cresciuto come persona, deve essersi migliorato e deve aver “usato” il calcio non solo per i soldi, le modelle, gli orologi. Ecco allora
che hai fatto qualcosa di importante: hai usato il talento per dare un senso a quel che hai fatto, a come l’hai fatto. Ancora non so dove e come sarà il mio “dopo”, ma penso che sarà in qualche modo dentro al calcio. È la mia passione, quel che so fare. Avendo fatto il calciatore sono tante le cose che non ho fatto e cercherò così di recuperare il tempo perso. Penso ad esempio al viaggiare: col calcio l’ho certo fatto ma sempre un qualcosa di limitato, vorrei farlo per davvero. Continuerò nel calcio perché è un mondo che mi appartiene e sul campo mi ci vedo, mi piace ancora quell’odore dell’erba: intanto ho fatto il corso di allenatore, vedremo.
www.nicolasburdisso.com
Dal sito personale di Burdisso “… la sfida più importante non l’ho vinta io su un campo di calcio ma l’ha vinta Angelina, la mia “niña”, quando aveva solo due anni. Ero appena arrivato in Italia, giocavo nell’Inter, quando le hanno diagnosticato una leucemia acuta. Per seguire le cure ho deciso di tornare in Argentina insieme alla famiglia, restando lontano dalla squadra per molti mesi. In quel momento non esistevano il calcio, la mia professione, il contratto, la carriera. In quel momento curare Angelina, starle vicino, accudirla amorevolmente, era la cosa più importante e preziosa della mia vita! Lei è stata bravissima, fortissima: ha superato la chemioterapia e tutte le sofferenze della malattia. Io le sono rimasto accanto perché era la cosa più giusta da fare, una scelta importante che avrebbe fatto ogni papà! Oggi, grazie a Dio, Angelina è una bimba sana e felice. Ed io mi sento in dovere di ringraziare l’allora presidente Moratti e tutta la dirigenza dell’Inter, che hanno appoggiato le mie scelte… gesti che non si dimenticano…”
L’impegno nel sociale “Non mi piace ostentare la beneficenza e il mio impegno nel sociale. Se lo faccio è solo per dare una speranza alle tantissime persone che soffrono, perché devono sapere che non sono sole, che ci sono tante persone che danno il loro contributo. In particolare per chi soffre di leucemia, visto che ho vissuto la malattia della
mia piccola Angelina, ora guarita, vorrei dare forza e speranza a chi sta vivendo lo stesso dramma. Nella vita non bisogna mai mollare la presa, e in queste occasioni è importante tenere i nervi saldi e avere fiducia. Perché molti tipi di leucemie sono ora guaribili. Oltre a sostenere l’Ail (Associazione Italiana contro le Leucemie) sono impegnato anche nell’aiutare i dottori degli ospedali pediatrici Bambin Gesù di Roma e San Gerardo di Monza, Tra gli altri progetti che sostengo ce n’è
uno in Paraguay, un altro in India e un altro ancora in Nicaragua. A volte basta davvero poco per fare qualcosa: oltre a sostenere finanziariamente i progetti mi piace mettere all’asta magliette, fasce da capitano, palloni firmati, ecc. Invito tutti i miei colleghi calciatori ad impegnarsi nel sociale!” 11
serie B
di Claudio Sottile
Difensore del Latina
Paolo Hernán Dellafiore: “Lavoro per migliorare Non c’è due senza tre. Lo sanno bene a Latina, dove la panchina ha già calato un tris di proprietari: Mark Iuliano, Mario Somma e Andrea Chiappini. E allora alza la guardia l’argentino bergamasco, il poliedrico difensore Paolo Hernán Dellafiore, che analizza il “petaloso” cammino dei pontini. “Fino alla sconfitta interna col Cagliari eravamo imbattuti nel 2016, con tre vittorie consecutive e un pareggio. Stiamo vivendo una stagione di alti e bassi. Abbiamo iniziato bene, poi siamo calati, ci siamo rialzati, di nuovo giù ed è stato mandato via Iuliano. Hanno preso Somma, all’inizio un po’ di fatica, c’eravamo ripresi poi è stato allontanato pure lui dopo un doppio stop ravvicinato. La squadra è ottima, nel campionato cadetto conta essere costanti, purtroppo nel momento in cui potevamo fare il salto in avanti per raggiungere posizioni importanti non ci siamo riusciti, e siamo sempre qui a combattere per non farci risucchiare nei bassifondi”. Tre avvicendamenti al vertice: per il gruppo più benefici o problemi? “Non è mai una bella cosa quando salta il mister, vuol dire che non sta andando bene come la società e noi ci aspettavamo che andasse. Se si cambia, c’è qualcosa che
non va. La dirigenza per dare un segnale e cercare di invertire la rotta ha come unica soluzione quella di esonerare l’allenatore. La responsabilità è dei giocatori, la guida tecnica ha una parte di colpa ma in campo ci andiamo noi, dobbiamo essere onesti”. Secondo te si disputeranno i playoff? “Penso di sì. Sono un po’ tutte lì. È un campionato equilibrato, Cagliari e Crotone a parte. Ci sono ancora parecchi punti in ballo, può succedere di tutto. Le prime due sono ormai avvantaggiate, per i playoff invece ci sarà da combattere fino alla fine sia per farli sia per accaparrarsi i posti. In B la classifica è sempre stata estremamente corta, in poche lunghezze ci sono molte squadre, fino all’ultima giornata ci sarà tanto da decidere”. Chi è l’attaccante che in questa stagione ti ha dato più rogne? “Federico Melchiorri, un ottimo giocatore. Ha forza, corsa, è bravo tecnicamente, in allungo, è sempre difficile da marcare e arginare. È completo e maturo, sono sicuro che se saranno promossi spiccherà anche in A”. A proposito di massima serie, ti manca? “La speranza è quella di tornarci, almeno per un’altra volta. L’impegno c’è sempre, lavoro per migliorare il mio futuro. La car-
ta d’identità non è più quella di una volta, a 31 anni non è facile. Alcune dinamiche del mercato di A sono mutate, cercano di valorizzare i giovani anche rischiando, così da poterli magari rivendere. Sono cambiati i tempi e le strategie delle società. Resta un mio obiettivo, sarebbe ancora meglio raggiungerlo dalla B con la mia squadra”. Tutto il contrario di quello che fece l’Inter con te. “Mi avrebbe fatto piacere rimanere nella sua orbita, ma quando passai al Palermo aveva i suoi interessi, rientrai nell’affare Fabio Grosso, logicamente puntavano su di lui che era all’apice della carriera. È stato giusto così”. Però con i nerazzurri milanesi facesti in tempo a esordire in Champions League: era il 7 dicembre 2004, 3-0 casalingo all’Anderlecht. “È un qualcosa che mi rimarrà per sempre impresso nella memoria e potrò raccontare. In molti si emozionano ascoltando la musichetta dalla televisione, se penso che io l’ho udita dal vivo e sono potuto addirittura entrare… Una grossa soddi-
serie B
il mio futuro”
Una carriera piena di “maglie” quella di Dellafiore: oltre a quelle (nelle foto) di Treviso, Palermo, Torino, Parma, Cesena, Novara, Siena, Padova e Latina, anche Inter e Spezia.
sfazione, che mi porterò dietro. Un’emozione forte per chi fa questo mestiere, che auguro a tanti altri ragazzi”. Nel Palermo sei stato compagno di squadra e di reparto di Andrea Barzagli, considerato dalla critica il miglior difensore italiano dell’attuale fase storica. Condividi la valutazione? “Già all’epoca era valido e faceva la differenza. Fu venduto a una cifra importante
al Wolfsburg. Poi fu sfortunato perché in Nazionale non replicò sempre le prestazioni mostrate in Sicilia, ricordo la partita con l’Olanda agli Europei 2008 che andò male e fu punzecchiato. Ma era forte da allora e tornando in patria alla Juventus ha dimostrato di essere uno dei più bravi difensori italiani, se non il più bravo. A me piace molto, tatticamente e tecnicamente ha tutto, può fare anche la fascia. È il migliore al momento”.
In 6 righe… Diritti
di Damiano Tommasi
C’è chi è sceso in piazza per vedersi riconosciuti i diritti e chi ha fatto le barricate in Assemblea per difendere i suoi diritti. C’è chi dice che i diritti devono essere per tutti e chi i diritti non li vorrebbe condividere con tutti. Questo inizio 2016 ci ha regalato il riconoscimento di qualche diritto in Parlamento e un paracadute enorme che ha salvato la discussione sui diritti in Lega di A. L’impressione è che con i diritti ci si guadagna ovunque!
La scheda Paolo Hernán Dellafiore è nato a Buenos Aires il 2 febbraio 1985 da genitori italiani. Inizia calcisticamente nell’Inter dove completa la trafila delle squadre giovanili e debutta in prima squadra nella stagione 2004-2005, in Champions League contro l’Anderlecht. Viene ceduto in prestito allo Spezia (C1), ritorna all’Inter, va in prestito al Treviso, neopromosso in Serie A, e debutta nella massima serie il 28 agosto 2005 proprio nella partita contro l’Inter, che il Treviso perderà per 3-0. Viene ceduto al Palermo (debutta anche in Coppa UEFA), quindi in prestito al Torino, torna coi rosanero ma viene poco utilizzato e a gennaio 2009 veste nuovamente la maglia granata. A fine stagione ritorna al Palermo, ma solo di passaggio poiché viene ceduto al Parma in prestito. Coi crociati gioca 1 stagione e mezzo perché nel gennaio 2011 va in prestito al Cesena. Riscattato interamente dal Parma viene ceduto in compartecipazione al Novara, neopromosso in Serie A. Quindi al Siena, al Padova, di nuovo a Siena dal quale si svincola per la mancata iscrizione dei toscani in B. Dallo scorso anno è a titolo definitivo al Latina. 13
serie B
di Tommaso Franco
Medie voto e curiosità
Il campionato degli italiani La Serie B, il campionato degli di tutta Italia si conosce bene. italiani. Grandi nomi e piccole E la gente ritorna allo stadio, per vedere realtà che si incrociano ogni saun campionato dai contenuti sempre più bato pomeriggio. nuovi e dalle sfide sempre più avvincenti. E girando per i campi, per gli staA Bari ti ritrovi ventimila spettatori di medi, ce l’hai la percezione che tra i dia, un lontano miraggio per la maggior cadetti tiri un aria diversa. In un parte delle società della massima serie. A calcio “teleguidato” dai diritti teCagliari e Cesena si recano allo stadio cirlevisivi, fare la Serie B è una sfida ca dodicimila persone. Ogni santo sabato. per molte società. Costi notevoli, A Salerno, dove la B mancava da qualche pochissime risorse neanche lontempo, non si contano mai meno di dietanamente paragonabili con il cimila persone. I dati parlano chiaro: la “paradiso” della Serie A. Serie B ha vinto la sua sfida, riavvicinando E così, negli ultimi anni, sono al mondo del pallone molti appassionati apparse sul palcoscenico nuove che avevano lasciato nel cassetto la loro protagoniste, con il loro stadio voglia di calcio. “su misura”, una gestione societaria ocuLe pay-tv hanno certamente inciso, almelata, un tifo composto. Squadre no inizialmente, sulla cifra legata nuove nuove, alle presenze allo stadio. LAPADULA SENSI Pescara 6,57 come l’EntelMa poi la moda Cesena 6,42 passa e il FALETTI BUDIMIR Ternana 6,40 campo MARTELLA Crotone 6,45 Crotone 6,49 RICCI rimane Crotone 6,65 KESSIE sempre il Cesena 6,34 FARAGÒ campo. Se Novara 6,37 ELOGE lo spettacolo è Crotone 6,35 CORDAZ all’altezza, il teatro è FERRARI Crotone 6,41 Crotone 6,26 pulito e l’incolumità delle persone non è a rischio l’onda positiva prende coraggio e il calcio si riprende quella passione, quella della la, gente, che fino a venti anni fa portava nei e noteatri del calcio di tutta Italia intere famiLa miglior forbili storiche mazione di Serie B ritornate a fare dall’inizio del torneo capolino tra i campionati Convenzione AIC/ICS italiani di vertice, come la “vecchia” Pro Vercelli. Grandissime soprese, come il Crotone, con giovani di belle speranze e veterani del pallone a dispensar consigli. Già, il campionato degli italiani. Il campionato in cui i calabresi volano a sorpresa a Si è svolto a Roma, lunedi 7 marzo scorso, braccetto col Cagliari, il cui cammino, inpresso la sede del Credito Sportivo, una giorvece, era stato pronosticato fin dall’inizio nata di formazione ed approfondimento dei giochi. È il camsulla convenzione stipulata tra l’Associaziopionato di Stefano ne Italiana Calciatori e l’Istituto per il Credito Sensi, Ante Budimir Sportivo, relativa alla concessione di mutui (nella foto), Eloge agevolati per investimenti su impianti sporYao. Il campionato tivi. Nel corso dell’incontro sono stati approfonditi tutti i dettagli della convenzione e le di Federico Ricci (nella foto), di Gianrelative condizioni agevolate. luca Lapadula. È un Ricordiamo che in forza di questa conven“paradiso fantastizione, ICS si impegna a concedere a favore co”, giusto per citadelle società ed associazioni indicate dall’Associazione Italiana Calciatori nelle quali siano re un celeberrimo coro che nei campi coinvolti tesserati AIC, mutui per lo sviluppo
Portieri CORDAZ PIGLIACELLI GOMIS IACOBUCCI DA COSTA
Crotone Pro Vercelli Cesena Virtus Entella Novara
6,41 6,29 6,27 6,24 6,20
Difensori MARTELLA KOFFI KESSIE CLAITON FERRARI
Crotone Crotone Cesena Crotone Crotone
6,48 6,35 6,34 6,28 6,26
Centrocampisti RICCI SENSI VIOLA FALETTI FARAGÒ
Crotone Cesena Novara Ternana Novara
6,65 6,42 6,40 6,40 6,38
Attaccanti LAPADULA BUDIMIR ACOSTY VANTAGGIATO GIACOMELLI
Pescara Crotone Latina Livorno Vicenza
6,57 6,45 6,32 6,28 6,28
glie, come ad una festa. In rete, tra gli archivi fotografici, viene raccontata l’Italia del pallone di un tempo. Una lunga storia d’amore fatta di viaggi, trasferte, settimane di attesa, lacrime. Il pallone, in fondo, è ancora il gioco più bello del mondo. Anche da noi.
Rientra in campo. Il futuro si costruisce insieme
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dell’impiantistica sportiva, nel limite della somma complessiva di € 20.000.000,00 (ventimilioni/00). I mutui concessi saranno finalizzati ad interventi strutturali concernenti la costruzione, l’ampliamento, l’acquisto delle attrezzature, il miglioramento, la ristrutturazione, l’efficientamento energetico, il completamento e la messa a norma di impianti sportivi e/o strumentali ivi compresa l’acquisizione delle relative aree e all’acquisto di immobili da destinare ad attività sportive o strumentali a queste.
servizi
di Bianca Maria Mettifogo
Quarta edizione del progetto AIC-Lega B
“Facciamo la formazione” arriva a metà percorso
Sono passate già quattro stagioni dalla prima edizione di “Facciamo la Formazione”, il corso formativo ideato ed organizzato dall’Associazione Italiana Calciatori con la Lega B, tenuto a battesimo nel 2012/13 dal Novara Calcio. Numerose le squadre coinvolte nel progetto: dalla seconda edizione con Bari, Pescara e Spezia, alla terza con Vicenza, Virtus Entella, Latina, Frosinone e Carpi. Per questa quarta stagione sono tre “gli spogliatoi” ad essere “scesi in aula”: il Cesena, la Pro Vercelli e il Brescia. Nel corso degli anni, il corso ha visto crescere l’interesse ed il riscontro da parte dei calciatori. L’obiettivo è preparare i calciatori in attività ad attività professionali post carriera calcistica, partendo proprio dalle competenze e dalle abilità acquisite durante il calcio giocato. Non sempre vi è infatti la consapevolezza delle importanti e numerose capacità extra-sportive che la carriera da professionista permette di acquisire, qualità ed attitudini che potranno poi essere messe a frutto in una “seconda vita” professionale. Si investe quindi sul presente per pre-
parare il proprio futuro. Grazie a questo progetto, l’AIC prosegue infatti nel suo obiettivo di contribuire alla formazione culturale dei propri tesserati, per far concretamente comprendere loro le potenzialità personali dentro e fuori dal campo. Il corso fornisce inoltre una preparazione specifica per ricoprire le “nuove figure del calcio”, partendo da un approccio di approfondimento generale propedeutico a qualsiasi professione manageriale, per arrivare ad analizzare le singole posizioni. Si pensi, ad esempio, al manager del pubblico, al team manager, al security manager ed allo stadium manager: tutte attività che possono essere svolte in modo più naturale e competente da chi il campo lo ha visto da protagonista… I giocatori cambiano veste e si ritrovano all’interno di un’aula per partecipare attivamente ad incontri di comunicazione, per capire come gestire al meglio la propria immagine e comunicare se stessi attraverso interviste e social; ad incontri di economia finanziaria per imparare ad amministrare il proprio patrimonio; a lezioni
di marketing e management, per approcciarsi al calcio anche considerandolo da altri punti di vista; a lezioni di organizzazione aziendale, per comprendere come si gestisce un’azienda, in primis “l’azienda calcio”. Molti altri i temi proposti, utili al calciatore per affrontare la vita calcistica e post calcistica dentro e fuori dal campo. Per informazioni: Bianca Maria Mettifogo formazione@assocalciatori.it Tel. 0444 233224
Da aprile a giugno 2016
Segretario amministrativo: al via la seconda edizione Sono aperte le iscrizioni al Corso per “Segretario Amministrativo”, organizzato dall’Associazione Italiana Calciatori con l’Assoallenatori ed il Fondo di Fine Carriera. La prima edizione, che ha avuto luogo a Roma, presso la sede del Fondo, la scorsa primavera, ha ottenuto un grande riscontro in termini di interesse e partecipazione da parte degli ex calciatori, che ora stanno continuando il loro stage presso diverse Società dei campionati pro. Il ruolo di “Segretario amministrativo” rappresenta una delle funzioni di maggiore interesse e utilità per un club di Lega. La conoscenza dei regolamenti, delle procedure e delle prassi da parte di un Segretario rappresenta infatti un concreto vantaggio per la società stessa, senza contare che il suo ruolo è di centrale importanza nella gestione dei rapporti tra club, staff e calciatori tesserati.
Appare quindi evidente che il ruolo di “Segretario amministrativo” possa essere preferenzialmente ricoperto da chi abbia avuto modo di vivere il campo o lo spogliatoio in prima persona, durante la sua carriera agonistica: un ex calciatore che voglia restare all’interno del calcio, vivendolo da un’altra prospettiva! Su queste basi prosegue il progetto: per garantire a 10 ex-calciatori ed allenatori la possibilità di accedere ad un corso di formazione per lo sviluppo delle competenze di “Segretario Amministrativo” per una società che militi in un campionato professionistico. Il corso è completamente gratuito per tutti i partecipanti ammessi, sulla base della graduatoria stilata. Per accedere alla graduatoria è necessario rispettare i seguenti requisiti:
• essere calciatori ed ex-calciatori professionisti ed aver compiuto il 35° anno d’età; • essere allenatori professionisti ed aver compiuto il 35° anno d’età. È condizione indispensabile che i partecipanti abbiano avuto accesso al Fondo di Fine Carriera, secondo le modalità previste. Il corso si svolgerà a Roma, da aprile a giugno, e prevede circa 70 ore di lezione. Alla fine del programma d’aula, i corsisti potranno accedere ad uno stage retribuito presso una società. Per la richiesta di ammissione alla graduatoria è necessario inviare il proprio cv entro il 20 marzo 2016 a: formazione@assocalciatori.it Per avere maggiori informazioni e per l’invio della presentazione: Bianca Maria Mettifogo: tel. 0444 233224 15
Come stai?
l’incontro
di Pino Lazzaro
Difensore e capitano del Vicenza
Certo, si può proprio dire che ne abbia già passate parecchie, tanto che ammette che una delle cose che gli piacerebbero di più, sarebbe poter trascorrere una stagione, come dire, tranquilla, riuscendo così ad avere la possibilità – se se lo merita – di mettere finalmente assieme un bel filotto di presenze, sai, quei campionati in cui ci sei sempre o quasi in campo, anche questa è una soddisfazione/traguardo. No, finora a Nicolò Brighenti, difensore e capitano del Vicenza, il tutto ancora non è capitato, tanto che la sua stagione più completa – diciamo così – è giusto quella dello scorso anno, con 29 presenze in serie B (che non sono comunque poche). Di mezzo insomma quasi sempre dei traumi (“mai problemi muscolari”, sottolinea), come naturalmente quello dello scorso settembre (partita in casa contro il Como): in uno scontro di gioco ha avuto la lacerazione del pancreas. Operazione, tanti dubbi e un recupero quasi prodigioso che lo ha visto tornare in campo e in squadra, appena quattro mesi dopo l’infortunio. Giusto per completare un po’ il quadro, c’è da aggiungere che già nel 2010 (allora era al Pergocrema) Nicolò suo malgrado arrivò sulle pagine e sui titoli dei giornali per quella diagnosi di un tumore benigno al cervello che lo costrinse a un lungo stop. Insomma, il “Come stai?” di questo numero è in effetti particolarmente adatto a ospitare le sue di riflessioni. Bentornato. “Il momento peggiore? Beh, intanto devo dire che dopo l’operazione al pancreas a farmi compagnia per un mese è stato il dolore. Me l’hanno pur detto i dottori, uno dei dolori più forti che uno può provare: mai avrei pensato potesse esistere una cosa così. È stata proprio dura: non sapevo come sarebbe andata a finire e non solo per il calcio ma per la mia vita. I medici non me l’hanno nascosto: se avessero dovuto togliermi tutto il pancreas, avrei dovuto davvero cambiare vita. Le peggiori sono state così le due settimane che ho passato in ospedale, lì proprio non sapevo come sarebbe andata a finire, è stato quello il momento più difficile”. “Sì, il pensiero che avrei dovuto smettere di giocare m’è passato per la testa proprio in quel periodo e in definitiva credo sia stata proprio la passione a darmi una mano. È vero, ora volendo è anche un lavoro (e puoi metterci o no le virgolette), ma se non avessi lei – la passione – credo proprio che adesso me ne starei a casa tranquillo, farei un’altra vita, con la mia famiglia. Anch’io penso che fare il calciatore sia uno dei lavori più belli e mi sento fortunato perché ho 16
realizzato in parte il sogno che ho sempre avuto, continuando ad avere la fortuna di potermela giocare”. “Devo dire che lì sul campo m’hanno fatto piacere i saluti e i complimenti di tante persone, anche che non conoscevo per niente, tipo anche qualche preparatore di squadre che abbiamo incontrato. Non mi sento comunque un marziano o un eroe, ma va: mi considero e voglio essere uno normale, quello che sono sempre stato, con gli amici di sempre. Anche se gioco nel Vicenza e ho la fortuna di fare questo bellissimo sport/ lavoro”. “Sono stati i miei genitori a insegnarmi a prendere le cose sul serio e se penso alle rinunce e ai sacrifici che posso aver fatto per stare dietro a questa mia passione, allora dico che non mi è costato particolarmente, che non ho mai fatto malvolentieri quel che facevo. L’unica ombra è quella legata alla scuola, lì mi sono fermato all’ultimo anno delle superiori. Avevo fatto a suo tempo tre anni di liceo scientifico, poi ero stato bocciato. Avevo provato con una scuola privata ma anche lì sono stato bocciato per via delle assenze non perché andassi male con le materie. L’anno se-
guente, su quindici giorni ci sono andato giusto uno, così ho preferito fermarmi. Quando poi sono andato a Mezzocorona sono riuscito con le scuole serali a recuperare due anni, ma a Pergocrema, per via anche dell’operazione per il tumore, ho lasciato stare. Come detto, è uno dei pochi rimpianti che ho anche se devo dire che ce l’ho messa tutta, ci ho provato e non sono stato certo aiutato, tipo quando mi interrogavano subito il giorno dopo quando magari ero stato via dieci giorni con la Nazionale, dai”. “Qualche volta mi capita adesso di andare in qualche scuola a parlare ai ragazzi, ci vado volentieri. E non certo per farmi vedere come un “eroe”, quanto perché sento dentro l’urgenza e l’obbligo di por-
l’incontro
difensivo e dato che il fisico standard per quel ruolo io non ce l’ho, ecco che devo puntare sulla concentrazione, sulla capacità di leggere prima le giocate, cercando spesso così l’anticipo. Un tempo ero più irruente, ricordo ancora quanto insisteva con me Nicolato, l’allenatore della Primavera al Chievo: io sempre lì a entrare in scivolata, mi piaceva”.
tare quella che è la mia esperienza, di indicare che anche le difficoltà possono essere uno stimolo. Io sono arrivato ai livelli in cui sono, soprattutto per la mia forza di volontà dato che non ho la fortuna di avere chissà che doti tecniche e fisiche. No, devo allora arrivarci col lavoro, con l’applicazione, nel fare bene le cose. Così sono migliorato e continuo a farlo e il mio sogno/obiettivo è quello di arrivare a giocare in A, è questo che mi stimola per continuare a migliorarmi. Faccio il centrale
“So che siamo guardati come esultiamo, per i falli che facciamo, per come stiamo in campo. Per me uno stimolo in più per dare a chi ci guarda dei messaggi giusti e ricordo il tempo in cui ero raccattapalle col Chievo, proprio l’anno che loro dalla B sono saliti in A. Capitava che uno di loro mi dava per esempio alla fine un paio di calzoncini: come facevo a non considerarlo una specie di super-eroe? Beh, di calciatori “viziati” sicuramente ce ne sono, ma io comunque ci tengo a essere diverso da questo, io mi sento e sono normale ed è proprio la normalità a cui tengo di più”. “Qualcosa che non mi piace di questo nostro calcio? A volte quel suo essere “troppo”, vorrei un qualcosa all’inglese, come tra l’altro sento sempre che confermano quelli che ci sono poi andati a giocare in Inghilterra. Sì, non nascondo che pure a me piacerebbe poter fare un’esperienza del genere”.
In 9 righe… La panchina da ora di Damiano Tommasi
Mentre vedevo la premiazione della Panchina d’oro ad Allegri mi è venuto in mente, non so perché, un altro premio al quale personalmente vorrei concorrere. Apprezzerei, infatti un giorno, ricevere la Panchina da ora che stesse a significare che ho fatto il mio tempo ed è giusto, con rispetto e gratitudine, che mi accomodi su una serena e tranquilla panchina con nipotini e piccioni in qualche alberato parco cittadino. Insomma, un’onesta manifestazione di accompagnamento verso altre più consone attività altrettanto, se non più, gratificanti.
La scheda Nicolò Brighenti, è nato a Bussolengo in provincia di Verona, il 1° agosto 1989. Cresciuto nelle giovanili del Chievo, fa il suo esordio tra i professionisti con il Mezzocorona (Lega Pro 2a Divisione), quindi passa al Pergocrema (1a) in prestito (con il cartellino in compartecipazione tra Chievo e Triestina). A causa di un tumore benigno al cervello, che gli toglie l’idoneità agonistica, è costretto a rescindere il contratto col Pergocrema nel gennaio 2010. Sconfitta la malattia, viene acquistato dall’Esperia Viareggio (sempre in prestito), disputando due ottime stagioni in Lega Pro Prima Divisione. Il Chievo torna in possesso del suo cartellino che viene acquistato in compartecipazione dal Vicenza, squadra dove fa il suo esordio in Serie B e dove gioca per due stagioni. Torna a titolo definitivo al Chievo, dove però non trova spazio nel corso dell’intera stagione 2013/14, né in Campionato né in Coppa Italia. Finito il campionato, viene riacquistato dal Vicenza a titolo definitivo con contratto quadriennale. All’inizio della sua quarta stagione in biancorosso, precisamente alla 3ª giornata Vicenza-Como, subisce un grave raro infortunio, la lacerazione del pancreas. A seguito dell’infortunio salta tutto il girone di andata, tornando in campo alla prima di ritorno contro il Modena. Ha ricevuto il premio al Galà del Triveneto 2015. 17
Lega Pro
di Tommaso Franco
Straordinaria stagione per i granata
Cittadella, il sogno oltre le mura Nei tre gironi di Lega Pro nessuna squadra ha fatto, fino ad ora, meglio del Cittadella, formazione della bellissima cittadina murata in provincia di Padova con poco più di 20 mila abitanti. 53 i punti al momento in cui scriviamo, vittoria centrata in 16 delle 24 partite disputate (stesso ruolino di marcia tra le mura amiche e in trasferta) e miglior attacco del Girone A con 39 reti segnate (come il Feralpisalò). Il bomber di casa è Gianluca Litteri (nella foto), attaccante classe ’88 nato a Catania: per lui 11 centri stagionali, l’ultimo nel derby vinto contro il Padova. La storia dell’Associazione Sportiva Cittadella ebbe inizio nel 1973. Qualche stagione in promozione fino al primo grande balzo in avanti con la conquista, nel 1980, del titolo di “Campioni d’Italia”: i granata divennero, quell’indimenticabile 7 giugno, la miglior squadra dilettantistica di tutto il panorama nazionale. Poi l’Interregionale fino alla stagione 1988-1989, annata culminata con la storica promozione tra i Professionisti. Ad eccezione della stagione 1991-92, da allora, i granata militano nel calcio professionistico (16 apparizioni tra Serie C e Lega Pro e 9 in Serie B). La stagione scorsa ha chiuso un ciclo importante della storia del Cittadella. Dopo dieci anni al “Citta” hanno vissuto il trauma della retrocessione e il cambio di percorso di due storici punti di riferimento che hanno intrapreso una nuova avventura. Andrea Pierobon è passato dall’altra parte della scrivania assumendo l’incarico
di “Preparatore dei portieri”: classe ’69, detiene il record di giocatore più esperto nell’intera storia del calcio professionistico italiano, avendo abbandonato il ruolo di calciatore alla veneranda età di 46 anni. Con la maglia del Cittadella debuttò in Interregionale nel lontano 1987. Dal 1990 al 2005 ha indossato le maglie di Giorgione, Massese, Fidelis Andria, Treviso, Venezia e Spal prima del ritorno in granata. A chi gli chiedeva se fosse arrivato il momento di smettere, ha sempre risposto che la voglia di esserci vince su qualsiasi cosa, anche sull’età. L’altro simbolo granata è il tecnico Claudio Foscarini, ora al timone della Pro Vercelli. Anche lui come Pierobon, ha lasciato la città murata dopo dieci anni di onorato servizio in Serie B. Anche per lui una vita in granata mantenendo la categoria per dieci stagioni consecutive; un miracolo sportivo in una società modello, sempre lontana da chiacchiere e riflettori. Foscarini è stato un po’ il “Ferguson” della società veneta, vero punto di riferimento per tutto l’ambiente. Nella conferenza stampa della partita che dettò la retrocessione della scorso anno in Lega Pro consegnò a tutti la sua amarezza per non aver chiuso “in bellezza” la sua avventura con il Cittadella. Sarebbe stata comunque la sua ultima stagione, a prescindere dai risultati ottenuti. Quell’attaccamento, quella riconoscenza, quella delusione dal sapore antico sono stati comunque un esempio per chi frequenta questo sport e lo vive “da dentro”. Al “Citta” si guarda con fiducia al domani: un gruppo importante, obiettivi ambiziosi e un passato che aiuta a programmare il futuro.
Portieri RAVAGLIA PISSERI GRANDI NARDI FORTE
Cremonese Monopoli Catanzaro Santarcangiolese Maceratese
6,46 6,44 6,39 6,36 6,34
Difensori LUCIONI MASSONI DE ALMEIDA GASPARETTO FAISCA
Benevento Carrarese Foggia Spal 2013 Maceratese
6,39 6,35 6,33 6,29 6,28
Centrocampisti DETTORI LAZZARI MANNINI MORA IORI
Carrarese Spal 2013 Pisa Spal 2013 Cittadella
6,52 6,47 6,47 6,44 6,42
Attaccanti PETRELLA CACCAVALLO NETO PEREIRA KOUKO ZINON MANGIACASALE
Teramo Paganese Padova Maceratese Casertana
6,49 6,43 6,43 6,40 6,37
CACCAVALLO Paganese 6,43
LAZZARI Spal 6,47 DETTORI Carrarese 6,52
SBRAGA Padova 6,27
MANNINI Pisa 6,47
MASSONI Carrarese 6,35 RAVAGLIA Cremonese 6,46
PETRELLA Teramo 6,45
LUCIONI Benevento 6,39
TREMOLADA Arezzo 6,42
DE ALMEIDA Maceratese 6,32
La miglior formazione di Lega Pro dall’inizio del torneo
scritto per noi
di Alessandro Comi
Emiliano Bonazzoli, attaccante del Cittadella
“Sono ancora qui a dire la mia…” Una carriera straordinaria, fatta di tanta Serie A, tanti gol, tanti successi per poi “sparire” tra i Dilettanti prima, e all’estero poi, e “riapparire” improvvisamente nel nostro calcio professionistico, in quella Lega Pro che ancora infiamma le piazze: Massimiliano Bonazzoli è tornato, ha lasciato Siena e si è accasato a Cittadella a gennaio per inseguire un sogno che si chiama Serie B. Cresciuto calcisticamente nelle giovanili della Voluntas, il bomber mantovano si afferma con la maglia del Brescia con cui esordisce in Serie B nel 1997, all’età di 18 anni, e nella stagione successiva anche in Serie A. Nel 1999 passa in prestito al Cesena, in B, ritorna al Brescia e nel 2000 va al Parma. Passa quindi in prestito al Verona, ritorna al Parma e poi nel 2003 approda alla Reggina dove giocherà per 3 stagioni. Nell’agosto del 2005 va in prestito alla Sampdoria, dove resta per 4 stagioni con rendimento altalenante dovuto ad una lunga serie di infortuni che lo tengono spesso lontano dai campi di gioco. Nel 2009 passa in prestito alla Fiorentina, a giugno torna alla Sampdoria, quindi torna alla Reggina in serie B per tre stagioni e nel novembre 2012 finisce al Padova. Dopo una parentesi al Marano in serie D, prova la sua prima esperienza all’estero in Ungheria, all’Honved di Budapest. Terminato il contratto con la squadra ungherese, si accorda con l’Este, che milita in Serie D. Quindi nuova esperienza “straniera”: viene ingaggiato dal neonato sodalizio statunitense Miami Fusion FC dove trascorre solo un mese e mezzo, vista l’impossibilità di giocare la stagione in corso a causa del rinvio dell’iscrizione al campionato alla stagione successiva della squadra statunitense. Torna in Italia alla Robur Siena, neopromosso in Lega Pro, ma dopo l’esonero di mister Atzori (che lo aveva fortemente voluto) decide di rescindere il contratto e a gennaio firma per il Cittadella. Emiliano, si riparte… “Mi trovo molto bene a Cittadella, mi sono avvicinato alla mia famiglia che vive a Padova e ho trovato un bel gruppo con voglia di far bene, un ambiente e una società sana e familiare, senza troppe pressioni. L’obiettivo è quello di tornare quanto prima in Serie B e credo con un allenatore come Venturato, pacato e tranquillo ma molto preparato e con
cui si può dialogare tranquillamente, ci siano tutte le componenti ideali per ambire a togliersi grosse soddisfazioni già quest’anno”. Tra le tue ultime esperienze calcistiche ci sono state alcune avventure in terra “straniera”… “A Miami ho passato solo 1 mese e mezzo, ero arrivato con il progetto di giocare nella Serie B americana ma arrivato lì le cose erano cambiate: per motivi burocratici societari ridimensionati mi sono ritrovato a disputare una Serie C e quindi ho pensato di ritornare in Italia. In Ungheria invece ho giocato nell’Honved di Budapest per 4 mesi, da gennaio ad aprile. Belle esperienze comunque”. Scendendo di categoria, e ora ripartendo in Lega Pro dopo aver fatto qualche parentesi nei Dilettanti, che differenze hai trovato? “Sicuramente rispetto a 10 anni fa c’è più atletismo nei Dilettanti fino alla Serie C, a discapito della qualità: una volta c’era un tasso tecnico più elevato, ora ci sono molte lacune esasperate da un gioco più veloce e meno ragionato”. Alla tua età c’è ancora spazio per un sogno nel cassetto? “Per quanto mi riguarda, calcisticamente parlando, sono soddisfatto della mia
Emiliano Bonazzoli è nato ad Asola (MN) il 20 gennaio1979. Ha vestito le maglie di Brescia, Cesena, Parma, Verona, Reggina, Samdoria, Fiorentina, Padova, Este, Marano, Miami, Honved, Robur Siena e Cittadella. Nel 2006 ha fatto l’esordio in Nazionale in una amichevole Italia-Turchia.
carriera e spero di vincere ancora, magari salire in B con il Cittadella. Per il futuro invece non so ancora di preciso, magari non mi dispiacerebbe fare l’osservatore o il procuratore di giovani talenti”. Quali sono state le tue più grandi soddisfazioni e delusioni calcistiche? “Tra le soddisfazioni di sicuro ci metto la vittoria nello spareggio contro l’Atalanta quando ero nella Reggina, poi la vittoria della Coppa Italia nel 2002 con il Parma e l’esordio in Nazionale anche se in amichevole in un Italia-Turchia. Il rammarico invece più grande forse è stato l’infortunio all’apice della mia carriera quando giocavo nella Sampdoria: feci 9 gol ed era solo fine dicembre con mezzo campionato ancora da disputare ed ero capocannoniere, mi sono rotto il crociato destro e lì terminò la mia promettente stagione. Dopo aver ripreso a distanza di altri 6 mesi mi ruppi il crociato sinistro, una delusione legata purtroppo al destino, ma nonostante tutto mi sono rimesso in gioco e sono ancora qui a dire la mia…”. 19
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La partita che non dimentico
Mi ritorni in mente…
Alessandro Gambadori (Arezzo) “Ricordo in particolare una partita che ho giocato col Varese. Era contro la Cremonese e la giocammo in casa quella volta: la finale playoff per andare in serie B. Quel giorno noi si doveva vincere per 2 a 0 e non sembrava certo facile, ma poi riuscimmo a farlo, vincemmo proprio per 2 a 0 ed è quella una partita che come detto faccio fatica a dimenticare. A livello personale ci sono dentro infatti tante cose: ricordo che entrai nel secondo tempo, eravamo ancora 0 a 0, io che di ruolo sono centrocampista, mi ritrovai a fare il terzino destro. Ma lì non contavano né ruolo, né caratteristiche e penso adesso a quel che s’usa dire riferendosi alla panchina, di come possa esserci a volte con i cambi quella sorta di scossa in più: in effetti, io e gli altri due miei compagni che subentrarono, quel qualcosa in più siamo riusciti a darlo. Sapevo già da prima che sarei andato in panca, ero preparato, anche all’andata non avevo giocato e ricordo bene la voglia matta che avevo quando toccò
a me. Riandare a quel tempo mi fa poi ricordare quel nostro fantastico gruppo, quanto pieno poi fosse quel giorno lo stadio e certo sarebbe stata una gran brutta cosa non farcela. Sì, di campionati ne ho vinti altri, in tutto sono sei e so bene d’essere tra i “fortunati”: sono tanti quelli che in tutta la carriera non ne arrivano a vincerne nemmeno uno di campionato, lo so”.
Marco Piccinni (Fidelis Andria) “Penso alle partite dei playout che ho fatto col Piacenza, eravamo in C1, la stagione dopo la quale il Piacenza è fallito. Avevamo subito nel corso della stagione la penalizzazione di dieci punti ma nonostante questo, eravamo arrivati a giocarci la salvezza, con quei dieci punti in più saremmo stati addirittura quasi da playoff. Nel corso di quel campionato, la squadra era stata praticamente rifatta, tutti gio-
vani e quelle due partite di playout contro il Prato finirono entrambe per 1 a 0. All’andata per noi, al ritorno per loro. Eravamo dunque retrocessi e tornando a Piacenza venimmo a sapere che allo stadio c’erano i tifosi che ci aspettavano. L’idea che avevo in testa (io che pure vengo dal
L’incipit Frammenti di azzurro “Campioni del mondo! Campioni del mondo! Campioni del mondo!”. Io il mitico grido di Nando Martellini non l’ho sentito, ho potuto ascoltarlo solo quando sono tornato a casa e ho visto in tivù le registrazione di Italia-Germania. Io, Franco Causio, quell’11 luglio ’82 ero in campo, al Bernabeu. Ero campione del mondo. Un giorno come un altro. Sveglia, colazione, chiacchiere, riunione tecnica, un po’ di tensione nei soliti (Conti e il “Coyote” Tardelli hanno dormito poco). Noi scherziamo come sempre. Bearzot ha una parola per tutti, ci fa sentire leggeri. Anche se c’è la Germania, fra poco. Già, la Germania. Un pensiero al passato è ovvio. Con i tedeschi eravamo tornati in prima pagina, il 13 giugno ’70, con una prestazione leggendaria. Ero già un calciatore professionista, a quei tempi, ma giuro che in quella sarabanda di gol venne fuori tutto il ragazzino innamorato della palla che c’era in me. Già prima della fine della partita si sentiva che stava nascendo una festa popolare. M’è passata per la mente, in quei momenti, una voglia matta di futuro, non solo per vivere altre glorie azzurre da italiano, ma da Franco Causio: un’ambizione legittima, se no cosa giochi a fare? Per l’ingaggio? Per un momento di gloria e mille di dimenticanza? All’epoca giocavo nel Palermo. Ero tornato a casa, a Lecce, e quel fantasmagorico 4-3 me l’ero visto in tivù, felice ed emozionato come tanti, ma anche di più, perché l’eroe della partita era stato il mio idolo, Gianni Rivera. Allora simpatizzavo per il Milan, che mi aveva stregato con Dino Sani, un vero maestro del calcio che aveva completato l’istruzione di Gianni facendolo diventare fin da ragazzo il miglior giocatore d’Italia. Quindi il popolarissimo Golden Boy era un modello per me, sia come calciatore che come uomo, abile ed 20
amarcord
sud) era in effetti di chissà quale contestazione, sai com’è. Invece – è per questo che lo ricordo tra i momenti più belli che ho vissuto – ecco lì i tifosi che sono venuti ad abbracciarci, anche a piangere assieme a noi, perché l’avevano ben visto e capito che noi ce l’avevamo comunque messa tutta. Avevo allora 24-25 anni, ero tra i più vecchi: l’anno prima ero stato a Lucca e venivo da sei mesi fuori rosa col Bari. Quel ritorno col Prato era una classica partita da 0 a 0, il loro gol era stato giusto un episodio, con in più all’ultimo minuto quel loro salvataggio sulla linea: è stata davvero una questione di centimetri. Già in campo e poi nello spogliatoio eravamo tutti in lacrime: venivamo da mesi difficili e avevamo dato tutto, lo sapevamo. Continuavano a darci punti di penalizzazione, non ci pagavano, tutto era complicato ma noi tenemmo duro. Ho così un grandissimo ricordo del tifo piacentino: avevano ben visto che non avevamo mollato”.
Quel mio cartellino rosso
Marco Anghileri (Renate) “Finora in tutto ne ho presi giusto due di rossi e quello a cui penso è proprio il primo. Partita di tre-quattro anni fa, non ricordo per bene ed eravamo ad Alessandria, era C2, io giocavo col Monza ed è successo nel secondo tempo. Mancavano 20 minuti alla fine e c’è stata una loro ripartenza. Io che marcavo l’ultimo uomo e su una palla profonda e laterale sono entrato in scivolata, lui girato di spalle e l’ho giusto toccato col ginocchio, nemmeno col piede, appena appena. Va bene, il fallo poteva starci ma in effetti il tutto s’era dimostrato esteticamente un bel volo. Non era insomma un fallo cattivo, ricordo che mi capitò subito di pensare che magari poteva anche ammonirmi ma invece – credo anche per quella che fu la reazione del pubblico – quando l’ho visto arrivare con uno scatto che di più non si può, allora mi sono subito preoccupato e infatti mi ha sventolato il rosso. Qualcosa m’è pure venuto di dirglielo, almeno provarci, giusto un accenno: dai, con gli anni ho imparato che più insisti e peggio è. La partita? Per fortuna è finita 0 a 0 e ne ho presa una di giornata poi di squalifica. L’anno dopo è venuto lì a giocare a Monza Nicolò Bianchi, io non sapevo che fosse proprio lui quel giorno ad Alessandria e la prima cosa che mi ha detto è stata per l’appunto che era stato lui a far quella bella elegante. Poi il destino ha voluto che quattro anni dopo, nel mondiale di Germania, toccasse capriola: ci siamo fatti una bella risata. proprio a me sostituirlo, in una dolorosissima giornata di sconfitta: 23 giugno ’74, PoloniaIn campo? Tutto sommato sono uno tranItalia 2-1; gol bello e inutile di Fabio Capello. quillo, ogni tanto ci sta di protestare, ma credo in definitiva sia uno spreco di energie Franco Causio con Italo Cucci nervose. Si sa che l’arbitro può sbagliare, credo sia importante riuscire ad aiutare e aiutarVincere è l’unica cosa che conta si un po’ di più. Lo scorso anno ho fatto per Sperling & Kupfer alcuni mesi il capitano lì a Monza e ho fatto Franco Causio è nato nel febbraio del 1949 a Lecce. Cresciuto nel Lecce, arriva all’esordio in prima squadra tra così l’esperienza di poter dialogare un po’ di i professionisti (in C) nella stagione 64/65. Dopo un campionato alla Sambenedettese (C), passa una prima più, senza comunque mai mettermi a fare volta alla Juventus con cui fa l’esordio in A (esattamente il 21 gennaio 1968: Mantova-Juventus 0-0). Gioca poi scenate. Che sia difficile quel che fanno lo si con Reggina (B) e Palermo (A) e nell’estate del 1970 torna alla Juventus dove resta per ben undici stagioni sa, già facendo l’arbitro – come m’è capitato consecutive (447 le sue presenze in bianconero). Ha giocato poi con Udinese (A), Inter (A), Lecce (A) e ha – per un due contro due a calcio-tennis, mi concluso la sua lunga carriera nel 1988 con la maglia della Triestina (B). sono accorto quanto sia complicato, sì”. Nei suoi anni juventini ha vinto ben 6 scudetti (71/72, 72/73, 74/75, 76/77, 77/78 e 80/81), una Coppa Italia (78/79) e una Coppa Uefa (76/77). Esordiente in Nazionale nell’aprile del 1972 (commissario tecnico Valcareggi; 0-0 a Milano contro il Belgio in una partita valida per la qualificazione a Euro 1972), in azzurro ha messo assieme 63 presenze (l’ultima a Cipro, 1-1, fase di qualificazione a Euro 1984; Bearzot c.t.), conquistando il titolo di campione del mondo a Spagna 1982 e il quarto posto sia al Mondiale argentino del 1978 che all’Europeo 1980, giocato in Italia. Commentatore televisivo per Sky, era soprannominato ‘Barone’: “Soprannome al quale sono molto legato. Me lo dette il giornalista Fulvio Cinti de La Stampa nei miei primi anni a Torino, perché mi piaceva vestire in giacca e cravatta e per come mi muovevo in campo”. Italo Cucci, giornalista e scrittore, è stato direttore di importanti testate sportive quali il Guerin Sportivo e il Corriere dello Sport, oltre il Quotidiano Nazionale.
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scatti
di Maurizio Borsari
Traffico aereo
Handanovic, Helander, Murillo, Juan Jesus in Verona-Inter 3-3
Scarpate
Borja Valero in Fiorentina-Lazio 1-3 22
2016
Febbraio Marzo
speciale
Allegati al Regolamento per i servizi di Procuratore Sportivo
speciale Allegato A) FAC-SIMILE CONTRATTO DI RAPPRESENTANZA tra le parti: Il Calciatore (Cognome)_________________________________________(Nome)_________________________ nato a_________________________________________________il__________________________ residente in________________________________________________________________________ via__________________________________________________________cap__________________ Nazionalità________________________________________________________________________ oppure La Società Sportiva ______________________________________________________in persona del Legale Rappresentante_______________________________________________________________ con sede in ________________________________________________________________________ via__________________________________________________________cap__________________ e il Procuratore Sportivo (Cognome)_________________________________________(Nome)_________________________ nato a_________________________________________________il__________________________ residente in________________________________________________________________________ via__________________________________________________________cap__________________ Nazionalità________________________________________________________________________ iscritto nel Registro FIGC. oppure (in caso di mandato conferito a persona giuridica) La Società___________________________________________in persona del Procuratore Sportivo e Legale Rappresentante_______________________________________________________________ con sede in ________________________________________________________________________ via__________________________________________________________cap__________________ (di seguito per brevità, il “Procuratore Sportivo”) II
speciale (di seguito “le Parti”) 1. Oggetto. Il presente Contratto di Rappresentanza è stipulato tra le Parti con espresso riferimento al Regolamento per i Servizi di Procuratore Sportivo della FIGC (il “Regolamento”). Il Calciatore conferisce mandato al Procuratore Sportivo affinché lo stesso curi i suoi interessi, improntando il proprio operato a principi di correttezza e diligenza professionale, prestando, in particolare, opera di consulenza nelle trattative dirette alla stipula del contratto di prestazione sportiva con una società di calcio professionistica, assistendolo nell’attività diretta alla definizione, durata, compenso ed ogni altra pattuizione del contratto e curando, altresì, le trattative per eventuali rinnovi contrattuali. e /o La Società Sportiva conferisce mandato al Procuratore Sportivo affinchè lo stesso curi i suoi interessi, improntando il proprio operato a principi di correttezza e diligenza professionale, prestando in particolare opera di assistenza relativamente al tesseramento, al rinnovo contrattuale, alla risoluzione o alla cessione di contratto del seguente Calciatore: _________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________ 2. Durata. Il mandato avrà validità sino al (max due anni) ________________. Le parti possono risolvere consensualmente il mandato, dandone immediata comunicazione alla FIGC. Il Calciatore o la Società Sportiva possono revocare il mandato dandone immediata comunicazione alla FIGC. Eventualmente inserire In caso di revoca del mandato, le parti stabiliscono il pagamento della somma di Euro___________________a titolo di penale. 3. Corrispettivo. Il corrispettivo del Procuratore Sportivo per la sua attività, al netto di IVA, è pattuito tra le Parti con riferimento all’art. 6.3 del Regolamento: III
speciale a) una somma forfettaria di Euro___________________da corrispondersi con le seguenti modalità e tempi: _________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________ b) una somma determinata nella misura percentuale del ______% sul valore della transazione. c) una somma determinata nella misura percentuale del ______% sul reddito lordo complessivo del calciatore risultante dal contratto di prestazione sportiva. Gli effetti del presente Contratto di Rappresentanza sottoscritto dalla Società Sportiva cessano automaticamente qualora il Calciatore - per qualsiasi motivo - non sia più tesserato con la Società Sportiva. 4. Clausola di riservatezza. Il Procuratore Sportivo ha l’obbligo di mantenere riservate le informazioni di cui viene a conoscenza nell’espletamento del mandato e di non diffondere notizie comunque relative ai suoi Contratti di Rappresentanza con Club o Calciatori. 5. Clausole aggiuntive. _________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________ 6. Controversie. Ogni controversia nascente dal presente mandato sarà devoluta ad un Collegio Arbitrale/Arbitro Unico _________________________________________________ o all’autorità giudiziaria competente del foro di_____________________. 7. Note Finali. Le parti prendono atto della sottoscrizione da parte del Procuratore Sportivo della dichiarazione delle Persone Fisiche e delle Persone Giuridiche (se necessaria) che vengono allegate al presente Contratto IV
speciale di Rappresentanza, se non già depositate presso la FIGC nell’anno precedente e non siano intervenute variazioni. Letto, confermato e sottoscritto in_______________________________addì___________________ Il Calciatore/La Società Sportiva_______________________________________________________ Il Procuratore Sportivo_______________________________________________________________ Gli esercenti la potestà genitoriale o il tutore legale (in caso di calciatore minorenne) _______________________________________________________________ Il Procuratore Sportivo DICHIARA di non trovarsi in una situazione di incompatibilità o di conflitto di interessi, ovvero di avere edotto le parti. Letto, confermato e sottoscritto in_______________________________addì___________________ Il Procuratore Sportivo__________________________________ 8. Mandato congiunto. Ai sensi del Regolamento, il Procuratore Sportivo deve indicare se agisce nell’interesse di una sola parte contrattuale o più parti e in tal caso ottenere il consenso scritto. Nella fattispecie il Procuratore Sportivo agisce nell’interesse della seguente/i parte/i: □ il Calciatore □ la Società Sportiva Il Procuratore Sportivo__________________________________ Le Parti rilasciano il proprio consenso affinché il Procuratore Sportivo agisca nell’interesse di entrambe le parti: Il Calciatore_________________________ La Società Sportiva__________________________
V
speciale DEPOSITO CONTRATTO DI RAPPRESENTANZA
Spett.le Federazione Italiana Giuoco Calcio Commissione Procuratori Sportivi Via Gregorio Allegri, 14 00198 ROMA
Il sottoscritto/a____________________________________________________________________ nato/a______________________________________________________il____________________ residente in_______________________________________________________________________ iscritto nel Registro FIGC dei Procuratori Sportivi deposita l’allegato Contratto di Rappresentanza sottoscritto con: ________________________________________________________________________________
Data_________________________
Firma__________________________________
Allegato: copia della ricevuta del bonifico bancario di Euro 150,00= (Centocinquanta/00), per diritti di segreteria, effettuato sul seguente IBAN: IT 73R 01005 03309 000000010000 - SWIFT: BNLIITRR.
VI
speciale Allegato B) AUTODICHIARAZIONE DELLE PERSONE FISICHE AI FINI DELLA ISCRIZIONE NEL REGISTRO DEI PROCURATORI SPORTIVI DELLA FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO Io sottoscritto/a: Nome:__________________________________________________________________________ Cognome:_______________________________________________________________________ Data di nascita:___________________________________________________________________ Residenza : ______________________________________________________________________ Nazionalità : _____________________________________________________________________ Ai fini dell’esercizio dell’attività di procuratore sportivo di cui al Regolamento della Federazione Italiana Giuoco Calcio (il “Regolamento”) DICHIARO 1.
Di essere in possesso dei requisiti richiesti dal Regolamento per l’esercizio dell’attività di
procuratore sportivo, e in particolare: ‐
di essere legalmente residente in Italia;
‐
di godere dei diritti civili e non essere stato dichiarato interdetto, inabilitato, fallito;
‐
di non avere riportato condanne definitive per il reato di frode sportiva di cui alla legge 401/1989 ovvero per delitti non colposi puniti con la pena edittale della reclusione superiore, nel massimo, a cinque anni;
‐
di non avere riportato nell’ambito dell’ordinamento sportivo la sanzione della preclusione;
‐
di non trovarmi in nessuna situazione di incompatibilità prevista dal Regolamento e di non avere procedimenti e/o sanzioni disciplinari in essere nell’ambito della FIGC.
2.
Di obbligarmi senza riserve al puntuale rispetto del Regolamento e di ogni altra norma
statutaria o regolamentare della FIGC, nonché al pieno rispetto delle norme comunque afferenti alla mia attività di procuratore sportivo, comprese le norme statutarie e regolamentari della FIFA e delle sue Confederazioni.
VII
speciale 3.
Di sottopormi volontariamente alla giurisdizione disciplinare della FIGC e della FIFA,
secondo le norme del Regolamento e secondo le altre norme regolamentari e i principi della giustizia sportiva. 4.
Di non ricoprire alcuna funzione nell’ambito della FIGC e di non avere alcun rapporto con la
FIGC o le sue leghe, né con la FIFA o le sue Confederazioni, che possano creare situazioni di conflitto di interesse, obbligandomi a informare la FIGC di ogni eventuale mutamento di tale condizione. 5.
Di prestare sin d’ora il consenso per il trattamento dei miei dati personali da parte della FIGC
e per la pubblicazione nel sito federale o nei Comunicati Ufficiali o pubblicazioni istituzionali, dei mandati da me sottoscritti e per la pubblicazione dei relativi compensi. 6.
Di autorizzare sin d’ora la FIGC e le sue leghe ad acquisire informazioni e documenti da
qualsiasi fonte, compresa la pubblica amministrazione, ovvero dal sottoscritto o da terzi privati, al fine di verificare la veridicità delle mie dichiarazioni e la correttezza del mio operato. 7.
Di autorizzare sin d’ora la FIGC a pubblicare eventuali sanzioni disciplinari irrogate dagli
organi della giustizia sportiva nei miei confronti e di darne altresì comunicazione alla FIFA per le finalità previste dal Regolamento. 8.
Di prestare la mia attività in modo leale, osservando le leggi applicabili e le norme
regolamentari, evitando che la mia condotta possa arrecare pregiudizio agli interessi dei miei rappresentati, alla integrità delle competizioni organizzate dalla FIGC e dalle sue leghe, nonché dalla FIFA e dalle sue Confederazioni. Luogo______________________ Data________________________ Firma________________________
VIII
speciale Allegato C) AUTODICHIARAZIONE DELLE PERSONE GIURIDICHE AI FINI DELLA ISCRIZIONE NEL REGISTRO DEI PROCURATORI SPORTIVI DELLA FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO Io sottoscritto/a: Nome:__________________________________________________________________________ Cognome:_______________________________________________________________________ Data di nascita:___________________________________________________________________ Residenza :_______________________________________________________________________ Nazionalità :______________________________________________________________________ Codice Fiscale :___________________________________________________________________ In proprio e nella qualità di Legale Rappresentante di: Ragione Sociale: __________________________________________________________________ Sede:___________________________________________________________________________ CF/P.IVA:_______________________________________________________________________ Iscrizione CCIAA:_________________________________________________________________ (la “Società”) Ai fini dell’esercizio dell’attività di procuratore sportivo di cui al Regolamento della Federazione Italiana Giuoco Calcio (il “Regolamento”) DICHIARO 1.
Di essere in possesso dei requisiti richiesti dal Regolamento per l’esercizio dell’attività di
procuratore sportivo, e in particolare: ‐
di essere legalmente residente in Italia;
‐
di godere dei diritti civili e non essere stato dichiarato interdetto, inabilitato, fallito;
‐
di non avere riportato condanne definitive per il reato di frode sportiva di cui alla legge 401/1989 ovvero per delitti non colposi puniti con la pena edittale della reclusione superiore, nel massimo, a cinque anni; IX
speciale ‐
di non avere riportato nell’ambito dell’ordinamento sportivo la sanzione della preclusione;
‐
di non trovarmi in nessuna situazione di incompatibilità prevista dal Regolamento e di non avere procedimenti e/o sanzioni disciplinari in essere nell’ambito della FIGC.
2.
Di obbligarmi senza riserve, anche per conto della Società, al puntuale rispetto del
Regolamento e di ogni altra norma statutaria oi regolamentare della FIGC, nonché al pieno rispetto delle norme comunque afferenti alla mia attività di procuratore sportivo, comprese le norme statutarie e regolamentari della FIFA e delle sue Confederazioni. 3.
Di sottopormi volontariamente alla giurisdizione disciplinare della FIGC e della FIFA,
secondo le norme del Regolamento e secondo le altre norme regolamentari e i principi della giustizia sportiva. 4.
Di non ricoprire alcuna funzione nell’ambito della FIGC e di non avere alcun rapporto con la
FIGC o le sue leghe, né con la FIFA o le sue Confederazioni, che possano creare situazioni di conflitto di interesse, obbligandomi a informare la FIGC di ogni eventuale mutamento di tale condizione. 5.
Di prestare sin d’ora il consenso per il trattamento dei dati personali da parte della FIGC e per
la pubblicazione nel sito federale o nei Comunicati Ufficiali o pubblicazioni istituzionali, dei mandati sottoscritti e per la pubblicazione dei relativi compensi, anche relativi agli altri procuratori sportivi operanti per conto o nell’interesse della Società. 6.
Di autorizzare sin d’ora la FIGC e le sue leghe ad acquisire informazioni e documenti da
qualsiasi fonte, compresa la pubblica amministrazione, ovvero dal sottoscritto o da terzi privati, al fine di verificare la veridicità delle mie dichiarazioni e la correttezza del mio operato. 7.
Di autorizzare sin d’ora la FIGC a pubblicare eventuali sanzioni disciplinari irrogate dagli
organi della giustizia sportiva nei miei confronti e di darne altresì comunicazione alla FIFA per le finalità previste dal Regolamento. 8.
Di prestare la mia attività in modo leale, osservando le leggi applicabili e le norme
regolamentari, evitando che la mia condotta possa arrecare pregiudizio agli interessi dei miei rappresentati, alla integrità delle competizioni organizzate dalla FIGC e dalle sue Leghe, nonché dalla FIFA e dalle sue Confederazioni. 9.
Di obbligarmi ad informare la FIGC di ogni mutamento della compagine sociale e dei
collaboratori dell’attività di procuratore sportivo e di provvedere alla iscrizione nel Registro FIGC di ogni nuovo collaboratore. Dichiaro inoltre che allo stato attuale nell’ambito della Società prestano la loro attività i seguenti Procuratori Sportivi:
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speciale ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ Dichiara infine che sono soci di capitale di SocietĂ i seguenti soggetti: ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ Luogo_______________________ Data_________________________ Firma________________________
XI
speciale Allegato D) RICHIESTA DI ISCRIZIONE AL REGISTRO PROCURATORI SPORTIVI FIGC Spett.le Federazione Italiana Giuoco Calcio Commissione Procuratori Sportivi Via Gregorio Allegri, 14 00198 ROMA Il sottoscritto/a____________________________________________________________________ nato/a______________________________________________________il____________________ residente in_______________________________________________________________________ via________________________________________________________cap___________________ chiede l’iscrizione al Registro Procuratori Sportivi della FIGC. Dichiara all’uopo: a)
di essere legalmente residente in Italia;
b)
di godere dei diritti civili e non essere stato dichiarato interdetto, inabilitato, fallito;
c)
di non avere riportato condanne definitive per il reato di frode sportiva di cui alla Legge n.
401/1989 ovvero per delitti non colposi puniti con la pena edittale della reclusione superiore, nel massimo, a cinque anni; d)
di non avere riportato nell’ambito dell’ordinamento sportivo la sanzione della preclusione;
e)
di non trovarsi in nessuna situazione di incompatibilità prevista dal Regolamento Procuratori
Sportivi FIGC e di non avere procedimenti e/o sanzioni disciplinari in essere nell’ambito della FIGC. Data_________________________
Firma__________________________________
Allegato: copia della ricevuta del bonifico bancario di Euro 500,00= (Cinquecento/00), quale diritti di segretereria per l’iscrizione al Registro FIGC, effettuato sul seguente IBAN: IT 73R 01005 03309 000000010000 - SWIFT: BNLIITRR.
XII
scatti
Ostacoli
Lorenzo Tonelli e Ryder Matos in Empoli – Udinese 1-1
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amarcord
di Vanni Zagnoli
I cinquant’anni dell’ex “sindaco” di Parma
Marco Osio: “Occorre sempre Il 13 gennaio scorso ha compiuto 50 anni Marco Osio, l’ex “sindaco” di Parma, uno dei giocatori più amati della tifoseria di riferimento, tra gli artefici del boom crociato, nei primi anni ’90. Da bambino era tifoso della Juve, poi passò al Toro e divenne sostenitore granata, con l’esordio in A nel febbraio dell’84. “Allenatore era Eugenio Bersellini” - ricorda – “c’erano i campioni del mondo Franco Selvaggi e Beppe Dossena e l’attaccante austriaco Walter Schachner. Non avevo neanche fatto un allenamento, con la prima squadra, fu una sorpresa enorme. Vivevamo tutti in un collegio-pensione, arrivò una telefonata la domenica mattina: non ero stato convocato per il ritiro, avevamo un unico telefono con cui rispondere, mi svegliò un compagno, avvisandomi della chiamata del mister. C’erano state defezioni, ero impreparato anche solo psicologicamente, eppure debuttai, a 20’ dalla fine”. A chi si ispirava, all’epoca? “Il mito era Renato Zaccarelli, anconetano come me. Speravo di intraprendere la sua carriera, per portare il nome della mia città in Serie A e l’ho fatto. Erano molto professionali, allora, c’era persino un pizzico di nonnismo, ovvero la massima disciplina, in particolare nei confronti dei giovani che si recavano a fare anche solo gli allenamenti”.
Nell’86-87 il passaggio all’Empoli in A, con il primo gol contro l’Inter. “In squadra avevamo Amedeo Carboni, poi a lungo al Valencia e anche collaboratore di Rafa Benitez, all’Inter e al Napoli, e il giovane Eusebio Di Francesco, oggi fra i tecnici più importanti d’Italia, con il Sassuolo. E c’era anche Walter Mazzarri, che per la verità giocava poco. Senza dimenticare Ciccio Baiano, già vice di Corini, al Chievo”. Come arrivò in Toscana? “In prestito dal Torino, la squadra era in Serie B. A un pranzo ci ritrovammo in A, grazie al ripescaggio, per le vicende del calcioscommesse, con mancata promozione del Vicenza”. Quindi il prestito in Serie B al Parma, inizialmente con Zeman e poi con Nevio Scala, con il gol della promozione alla Reggiana, nel ’90. “Furono 6 anni complessivi, strepitosi, di cui tre anni in Serie B. La squadra era molto giovane, tanti andavano a fare esperienza, c’erano grosse aspettative. Zeman era fra i tecnici più spregiudicati del calcio italiano, mi divertivo molto in campo, non altrettanto in allenamento”. Il boemo fu esonerato dopo due mesi, arrivò il compianto Giampietro Vitali. “Con il quale ci salvammo senza grossi patemi, idem l’anno successivo. Finché arrivò Nevio Scala con il suo 3-5-2 innovativo, per l’epoca. Portò una ventata di novità, ci trovammo al posto giusto nel momento giusto, creando una squadra modello, con cui arrivammo al top d’Europa”. Al debutto in A, i gialloblù persero in casa contro la Juve di Maifredi, gol di Napoli a metà primo tempo, raddoppio di Baggio su rigore; chiuse un rigore di Melli quasi allo scadere. “Entusiasmo comunque alle stelle, per noi, che difatti
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all’Olimpico con la Lazio portammo a casa un brillante 0-0. E alla terza l’impresa, la prima, vera nella storia crociata in Serie A”. Minuto 64, cross da destra del mancino De Marco (ex Reggina, poi gravemente infortunato e allora soppiantato da Antonio Benarrivo) e Marco Osio in tuffo batté Giovanni Galli. “Una grande soddisfazione. L’Italia scoprì la favola che sappiamo, fu in quella domenica di settembre, di 26 anni fa che sbocciò l’isola felice”. Fu quel giorno che il calcio italiano si innamorò di Marco Osio, visibile non solo per i lunghi capelli e la grande potenza. “Fu una grande emozione, la prima grande che cadde per mano del Parma in Serie A. Indimenticabile. Io arrivai in prestito dal Torino, fui talmente amato che mi ribattezzarono sindaco”. E perché? “Il Tardini era insufficiente per l’entusiasmo, si parlava addirittura di uno stadio a metà con Reggio Emilia, il primo cittadino dell’epoca, Mara Colla, non risolveva la situazione e qualcuno dalla curva ebbe quella pensata di esporre lo striscione Osio sindaco. Da allora sono ricordato così, ma in tante città d’Italia”. Il primo trofeo fu la Coppa Italia del ’92. “Ai danni della Juve dei pluricampioni, dal potenziale esagerato. All’andata perdemmo 1-0 a Torino, pur disputando una grandissima gara, risolse Roberto Baggio. Mi divorai un gol clamoroso nel finale, al rientro a Parma promisi ai compagni di
amarcord
e uscire a testa alta” fargli vincere la coppa, andò veramente così. Il ritorno fu straordinario, con il vantaggio di Sandro Melli e il mio raddoppio”. Nel ’92-’93 arrivò la Coppa delle Coppe, contro i belgi dell’Anversa, a Wembley. “Ormai non eravamo più una sorpresa, si era veramente lanciati verso il grande calcio”. Nel ’93 passò al Torino. “Al posto di Vincenzino Scifo. Ero nel mirino anche di Juve e Milan e persino del Monaco, allenato da Arsene Wenger, dal ’96 poi sulla panchina dell’Arsenal. Il principe Alberto faceva parte dell’organigramma e allora optò proprio per Scifo, belga di origine siciliana”. Marco Osio tornava alla casa madre, eppure si infortunò più volte e così disputò appena 27 partite in 2 stagioni. “Rimanevo nell’ambito europeo, perché all’epoca il Toro raggiunse i quarti di Coppa delle Coppe. Ebbi infortuni molto gravi, che mi ostacolarono, operazioni alla tibia, al perone e alla caviglia, ero sempre dentro e fuori dagli ospedali”. Allora emigrò nel Palmeiras, fu il primo italiano in Brasile, come poi Francesca Piccinini nel volley. “Trovai Cafu e Rivaldo, poi campioni del mondo e milanisti. Ricordo una delegazione del Parma arrivata per acquistarli, ma Cafu optò per la Spagna, andò al Real Saragozza. Fu Rivaldo il più vicino alla maglia gialloblù”. All’epoca vigeva ancora il parametro, se ne liberò per andarsene il Sudamerica. “Tutti sceglievano l’Inghilterra, la Spagna o la Francia, a me il Brasile sembrava il massimo. Feci un anno magnifico, vincemmo il campionato paulista con uno scarto esagerato, conobbi una nuova lingua, usi e costumi locali”.
zioni, peraltro stavo bene. Ci fu il contatto con il presidente Enrico Preziosi, poi al Como e da un decennio al Genoa. Ritrovai il parmense Eugenio Bersellini dt e in panchina Mario Beretta. Fu un campionato strepitoso”. Poi la parentesi con altri biancazzurri, al Faenza di Giancarlo Minardi, con il miglior piazzamento anche nella storia di quella società, in C2. E i suoi 8 gol, il record personale di reti. “Era anche proprietario della scuderia di Formula uno. Vinse il campionato di Serie D, con me ci salvammo alla penultima giornata, in C2”. Chiuse la carriera con i Crociati Parma, da allenatore iniziò nel Brescello, come vice del cremasco Adriano Cadregari. “Che mi ha lasciato qualcosa in più di tutti. Mi volle come collaboratore, fu lui a iscrivermi al corso da tecnico, voleva che facessi la carriera insieme a lui. Ci dividemmo presto, però mi ha lasciato una bella eredità”. A chi altri si ispira? “Amo il 4-3-3 di Zeman. Di certo ho imparato anche da Scala e da Emiliano Mondonico”. È stato persino nella Serie D marchigiana, alla Pergolese, nel 2006. “Ma sempre con grande entusiasmo, anche in quella piccola società, nell’entroterra di Fano. Ho guidato anche l’Aosta, in D, ho sempre messo la faccia in tutte le cose che faccio. Anche in Lega Pro, l’ultima
esperienza è stata al Rimini, devi sempre dimostrare, perché neanche la bravura paga”. Lei era discusso, per la barba e quella chioma lunga, fintamente trasandata. “Non sono mai stato attento al look, era frutto del caso. Non ho creato il personaggio ad hoc, nasce tutto dal piacere di avere i capelli lunghi, quando nei primi anni ’90 facevano tagliare anche la barba incolta. Me ne sono sempre sbattuto, ero me stesso”. Per lei cos’è il calcio? “È sempre stato un gioco e un divertimento, ci sono anche cose molto più importanti. Mi piace essere schietto, a volte occorre saper tacere, senza andare mai allo scontro con i presidenti. A me piace essere sempre chiaro, da allenatore magari ti scontri, anche con i dirigenti, e questo dà fastidio, però mi tengo il mio carattere. La prestazione peraltro dev’essere massimale, occorre sempre uscire a testa alta”. L’ultima esperienza è stata a Rimini… “Adesso sono a spasso, si fa sempre più fatica, perché a parte la Serie A e la B subentrano altri interessi e non c’è programmazione. La meritocrazia incide poco: ho vinto un campionato, mi sono salvato con squadre non all’altezza, sono retrocesso e ho subìto esoneri, come tanti. Persino Mourinho viene licenziato… Capita a tutti, insomma. Però ho sempre voglia di allenare”.
Rientrò in Italia ma in Serie C1, al Saronno. “Trovai difficoltà a ricollocarmi, perché chi andava all’estero era considerato a fine carriera, eppure io avevo appena 30 anni. Nessuno conosceva le mie condi25
calcio e legge
di Stefano Sartori
Questo mese parliamo di…
Ius soli sportivo e Regolame Il 14 gennaio 2016, con l’approvazione finale da parte del Senato, il disegno di legge (ddl) istitutivo del cosiddetto “ius soli” sportivo ha completato il suo percorso istituzionale. Pertanto, nei quindici canonici giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, diventerà legge dello stato il principio che consentirà il tesseramento per società sportive appartenenti alle federazioni nazionali, alle discipline associate o agli enti di promozione sportiva dei minorenni residenti in Italia a partire dai dieci anni di età. In sostanza, tutti gli stranieri minorenni “regolarmente residenti nel territorio italiano almeno dal compimento del decimo anno di età, possono essere tesserati con le stesse procedure previste per il tesseramento dei cittadini italiani”. Inoltre, il tesseramento resterà valido anche dopo il compimento dei 18 anni fino al completamento delle procedure per l’acquisizione della cittadinanza italiana. Ciò detto e precisato che, nonostante il tenore letterale della norma sia fuorviante e poco chiaro, l’interpretazione fornita dalla relatrice on. Fabbri consente di stabilire che una volta compiuti i 10 anni, tutti i minori residenti in Italia da 0 a 10 anni di età saranno tesserabili con le stesse modalità ed indipendentemente dalla nazionalità, si pone subito un problema che, nell’euforia generale seguita all’approvazione del testo, è sfuggito ai più: la compatibilità del principio appena introdotto ex lege dallo Stato italiano con quanto stabilito dall’art. 19 del Regolamento FIFA su Status e Trasferimenti dei Calciatori in tema di protezione dei minori stranieri e di lotta al cosiddetto trafficking che altro non è che il “mercato” internazionale dei calciatori minorenni. In sintesi, dal 2009 la FIFA prevede che il primo tesseramento di calciatori che hanno una nazionalità diversa da quella del paese nel quale richiedono di essere tesserati per la prima volta e/o qualsiasi trasferimento internazio26
nali siano consentiti solo se il calciatore ha superato il 18° anno di età. A questa regola generale sono possibili tre eccezioni: a) i genitori del calciatore si trasferiscono nel Paese della nuova società per motivi indipendenti dal calcio; b) il trasferimento avviene all’interno del territorio dell’Unione Europea (UE) o dell’Area Economica Europea (AEE) e il calciatore ha un’età compresa fra i 16 e i 18 anni. In questo caso la nuova società è tenu-
ta a soddisfare i seguenti obblighi minimi: 1) fornire al calciatore un’adeguata istruzione e/o formazione calcistica in linea con i più elevati standard nazionali; 2) garantire al calciatore una formazione accademica e/o scolastica e/o formazione professionale che consenta l’eventuale prosecuzione di una carriera diversa da quella calcistica nel momento in cui dovesse cessare l’attività professionistica;
calcio e legge
ento FIFA 3) adottare tutte le misure necessarie affinché il calciatore sia seguito nel miglior modo possibile (ottime condizioni di vita presso una famiglia ospitante o una struttura della società, nomina di un tutore all’interno della società, ecc.); 4) all’atto del tesseramento del calciatore, dimostrare alla Federazione di appartenenza di avere soddisfatto tutti i presedenti; c) Il calciatore vive in una località ubicata ad una distanza massima di 50 km dal confine nazionale e la società all’interno della federazione confinante si trova altresì a 50 km di distanza dallo stesso confine. La distanza massima fra il domicilio del calciatore e la sede della società sarà quindi di 100 km. Infine, ogni trasferimento internazionale ma anche ogni primo tesseramento è soggetto all’approvazione di una Sottocommissione nominata all’uopo dalla Commissione FIFA per lo Status dei Calciatori, se si tratta di minori tesserabili per società professionistiche, o dalla commissione istituita presso ciascuna federazione e quindi, per l’Italia, dalla Commissione Minori Stranieri FIGC se tratta di minori tesserabili per società dilettantistiche italiane. La procedura prevede che tutte le richieste di tesseramento inviate alle due commissioni sopra citate siano corredate dalla seguente documentazione: • documento identificativo del calciatore e dei genitori • certificato di nascita del calciatore • contratto di lavoro del calciatore se professionista • contratto di lavoro dei genitori • certificato di residenza del calciatore e dei genitori • documentazione di attività scolastica • documentazione formazione calcistica • autorizzazione dei genitori • per i provenienti da Federazione estera il consenso della Federazione medesima • per i calciatori frontalieri prova della distanza (regola dei 50 km.).
Per concludere, è alquanto evidente che la disciplina relativa al tesseramento dei minori stranieri soggiace a due normative e procedure alquanto diverse: a) per lo Stato italiano (ma non ancora per le NOIF che, ad oggi, non hanno recepito le nuove modalità), il tesseramento richiede lo stato di famiglia, un semplice certificato che provi la residenza in Italia nel periodo che va da 0 a 10 anni compiti, ed il compimento del decimo anno di età; b) per la FIFA è invece necessario il rispetto di tutte le condizioni previste dai sopra citati punti a), b) e c) ed il preventivo parere favorevole della commissione competente allo scopo istituita. Va sottolineato che, in linea di principio, un problema di gerarchia delle fonti non si pone in alcun modo: per la FIFA non esiste alcuna modalità di tesseramento che non rientri nelle ipotesi da essa stessa disciplinate, e qualsiasi ingerenza governativa viene da sempre considerata una grave violazione all’indipendenza dell’organizzazione sportiva e sanzionata di conseguenza. Inoltre, pur se abituati a considerare la FIFA come la sentina di tutti i mali del calcio, si deve ammettere che la restrittiva disciplina in tema di tesseramento e trasferimento dei minori stranieri introdotta dal 2009 è ampiamente giustificata dai fatti e rappresenta un lodevole, almeno nelle intenzioni, tentativo di combattere il trafficking. Solo alcuni dati aggiuntivi: le recenti sanzioni inflitte dalla Commissione Disciplinare della FIFA a Barcellona, Real Madrid ed Atletico Madrid e consistenti nell’impossibilità di acquisizioni di calciatori per due sessioni di campagna trasferimenti sono connesse a violazioni della normativa sul tesseramento di minori stranieri. Inoltre, la stessa AIC ha promosso la pubblicazione di un libro – Niños Futbolistas – dello scrittore e giornalista cileno Juan Pablo Meneses che
altro non è che una denuncia circostanziata del traffico di giovani calciatori dall’America Latina all’Europa. In conclusione, la nuova legge che introduce lo “ius soli” sportivo ha senz’altro la lodevole finalità di equiparare, senza distinzioni di sorta, le modalità di tesseramento di calciatori minori italiani e stranieri ma, ciò detto, nulla può e dice in tema di lotta al trafficking: ciò significa che, una volta ottenuta la residenza in Italia entro i 10 anni di età, accompagnato da genitori o da un tutore che dir si voglia, qualsiasi minore può teoricamente essere sradicato dal proprio paese di provenienza senza particolari difficoltà e/o impedimenti. Proprio ciò che la FIFA intende evitare e sanzionare. Sarà quindi necessario che la FIGC, nel recepire la nuova disciplina nelle NOIF, individui la possibilità di bilanciare le due diverse istanze intervenendo o a livello normativo o interagendo con la FIFA in modo da garantire l’impossibilità di pervenire ad un primo tesseramento in violazione delle norme poste a tutela dal traffico di minori calciatori. 27
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di Fabio Appetiti
Da sempre in prima fila contro le sostanze proibite
Sandro Donati: “No all’antidoping forte c A leggere questa intervista di Sandro Donati qualcuno rimarrà sorpreso. Troppe volte si mettono etichette che poi in verità fanno comodo a chi le dà per non ascoltare, non vedere e non sentire. Le parole di Donati, “paladino vero” della lotta al doping, sono parole misurate, di denuncia costruttiva e mai pretestuosa. Sono critiche nel merito delle questioni e proposte concrete di chi vuole cambiare le cose. Non ascoltarlo, come si è fatto per anni in questo paese, non aiuta a crescere. E forse il presidente Giovanni Malagò, a cui sono stati riconosciuti con obiettività alcuni passi in avanti che non avevano fatto i suoi predecessori, potrebbe essere la persona giusta per far sì che si possa prendere davvero, in tema di lotta al doping, la strada senza ritorno dei controlli indipendenti e coinvolgere in questa direzione il resto del sistema sportivo internazionale. Sarebbe il più bel biglietto da visita per Roma 2024. Sandro Donati, una vita contro il doping: chissà quante volte avrai sentito questa frase… Se doping contro antidoping fosse una partita di calcio, in questo momento chi sarebbe in vantaggio? “Sta vincendo l’antidoping apparente, quello istituzionale che è un antidoping tardivo, volutamente debole, ma di positivo c’è che, nel tempo, la spinta che viene dal mondo dello sport per combattere il doping è divenuta sempre più forte, il tema del doping occupa sempre più spazio. Insomma la situazione è molto cambiata rispetto a sei/sette anni fa. Di contro, il sistema sportivo internazionale continua purtroppo ad egemonizzare l’antidoping, si è autoproclamato come il principale ed unico esperto, basti pensare al controllo egemone sui laboratori antidoping. A mio avviso, se un qualsiasi laboratorio è in grado di esprimere elevati e certificati standard di qualità dovrebbe essere preso in considerazione, ma il sistema sportivo vuole fermamente mantenere solo quei 24-25 laboratori al mondo riconosciuti dal Cio e dall’Agenzia mondiale antidoping. Al di là del problema dei laboratori antidoping, la determinazione del sistema sportivo a gestire in esclusiva l’antidoping lascia perplessi. Sembrerebbero non rendersi conto che se i controlli fossero affidati a terzi si toglierebbero dalle mani una patata bollente e, in parallelo, invece, crescerebbe la credibilità dell’attività antidoping e quindi anche di tutto il mondo dello sport. Avere controllori 28
terzi e indipendenti rivoluzionerebbe il sistema dei controlli antidoping ed eliminerebbe ogni sospetto di compiacenza o, quantomeno, di tolleranza”. Il caso eclatante della Russia ha sconvolto la Federazione di atletica internazionale… “Il caso della Russia ha visto corruttori e corrotti. I russi pagavano affinché le positività venissero cancellate, ma il presidente internazionale dell’atletica e il suo staff, compreso il responsabile antidoping, accettavano questi denari! La Russia è un paese che in continuità assoluta con il sistema ex sovietico ha proseguito a praticare il doping in maniera centralizzata. Ciò è inaccettabile. Ma dall’altra parte c’è stato anche di peggio: i massimi rappresentanti della Federazione internazionale di atletica, coloro i quali si professavano ogni giorno contro il doping, dietro le quinte con il doping si riempivano le tasche! Questo è uno scandalo a due poli: da una parte la Russia dall’altra la complicità delle massime istituzioni internazionali. Inoltre il tema non si limita ad un solo
paese: è di questi giorni la notizia che hanno sospeso il presidente della federazione atletica del Kenia, ma si sa che ci sono diversi altri paesi coinvolti. Nel database sequestrato al medico indagato dalla procura di Bolzano, che collabora con la Federazione internazionale di atletica internazionale, sono stati trovati migliaia di dati che spiegano eloquentemente la situazione. Ed ora la domanda è: possibile che tutti quelli che lavoravano nell’antidoping dell’atletica internazionale non si accorgevano della corruzione dei loro capi e delle coperture date ai russi? Peraltro, tutto è stato scoperto non per merito delle Istituzioni sportive ma grazie solo alla denuncia di un’atleta russa… In questa vicenda ci sono anche responsabilità della WADA che è apparsa decisa nei confronti della Federazione russa mentre nei confronti della Federazione internazionale ha cercato di limitare i danni solo al Presidente e al responsabile dell’antidoping senza cercare oltre. Tutti si aspettavano molto di più dopo che l’ex presidente della WADA Dick Pound aveva promesso un durissimo Report contro la IAAF”. C’è una critica alla WADA? “La WADA ha limiti economici e politici e non è in grado essere efficace nel controllo delle Federazioni internazionali e delle autorità sportive dei diversi Paesi. Secondo punto la sua debolezza politica. Dopo lo slancio iniziale del 1999 molti Paesi si sono
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con i deboli e debole con i forti” disinteressati e la WADA è ricaduta nell’orbita del sistema sportivo e ha perso indipendenza. I governi avrebbero dovuto spingere per darle una veste di organismo pubblico ma così non è stato ed essendo ora una associazione privata significa che non ha sufficiente forza nel confronto con i Governi nazionali e, per fare un esempio, se va in Cina a fare i controlli a sorpresa, dovrà chiedere un visto per entrare come qualsiasi cittadino straniero e questo significa vanificare quei controlli visto che gli atleti e i dirigenti lo sapranno con largo anticipo. Ai responsabili della WADA ho posto personalmente un tema fondamentale legato al codice mondiale in cui troviamo sanzioni per infrazioni di doping solo riferite ai singoli soggetti - tecnici, atleti, medici - ma mai alle istituzioni! In questo senso è un codice forte con i deboli e debole con i forti poiché le responsabilità delle istituzioni non sono mai prese in esame e colpite. Affinché la WADA svolga bene il suo compito ci vuole un capitolo del Codice mondiale che colpisca le responsabilità delle istituzioni e che i governi restituiscano all’agenzia la forza politica necessaria per controllare un fenomeno planetario come il doping che si lega con innumerevoli interessi e complicità”. Qual è la situazione in Italia? “Ambigua. In Italia c’è una legge penale del 2000 che assegna il potere di controllo del doping al Ministero della salute ma in tal senso non è stata mai applicata e in questo la politica e tutti i partiti sono responsabili. Quando poi la WADA ha cominciato a chiedere ai diversi Paesi la creazione di organismi nazionali antidoping indipendenti, bisognava mettere mano ad un’Agenzia nazionale ma per la suddetta complicità tra il CONI e la politica si è istituita una agenzia con sede al CONI, con impiegati del CONI, coordinata da dirigenti del CONI, tutti i suoi Atti sono vistati dalla Giunta nazionale del CONI. Da poco tempo, si è provveduto ad un maquillage formale cam-
biando la denominazione dell’Agenzia che da CONI-NADO è stata chiamata NADO Italia: è evidente che si tratta di un diversivo utile solo per i distratti. Con tutto il rispetto per il generale in pensione dei Carabinieri Gallitelli che da poco la guida, la nuova Agenzia ha una credibilità solo apparente. Per giunta si è aggiunta confusione a confusione perché in alcune inchieste giudiziarie i carabinieri si potrebbero trovare da una parte e dall’altra, come polizia giudiziaria e come collaboratori antidoping del CONI. Per ritornare all’attuale legge è una buona legge ma va aggiornata. Per fare solo due esempi, all’epoca della sua stesura si ignorava il fenomeno del doping amatoriale o il fenomeno del traffico internet dei farmaci. È ormai necessario un aggiornamento che la renda più articolata ed efficace. Per fare un altro esempio, il recente deferimento da parte degli organismi di giustizia del doping di 26 atleti dell’atletica che non ottemperavano all’obbligo di fornire le informazioni sulla propria reperibilità (indispensabile per i controlli a sorpresa) evidenzia che il sistema sportivo ha invece saltato a piè pari le responsabilità di coloro che gestivano quel sistema di controlli, riducendolo ad un colabrodo. Insomma un altro caso nel quale si colpiscono gli atleti ma il sistema si autoassolve. Io credo che il generale non se ne sia ancora reso conto e sono certo che se e quando se ne renderà conto prenderà posizione ma intanto è chiaro che chi è intorno a lui si è guardato bene dal metterlo in guardia”. Con il tuo libro “Lo sport del doping” hai girato l’Italia ed il libro è stato un fenomeno editoriale: cosa puoi raccontarci di questa esperienza? “Ho fatto fino ad oggi 202 presentazioni del libro e ne ho almeno 150 non evase che ho rimandato all’autunno. Ho incontrato tante persone che amano lo sport e che vogliono reagire contro il doping che fa perdere credibilità al sistema. C’è sicuramente più consapevolezza rispetto al tema e cre-
do che lo stesso libro abbia contribuito a farla aumentare. C’è una parte sana del mondo dello sport che non si vuole arrendere e che vuole costruire uno sport pulito, leale, fatto di vittorie conseguite solo con l’allenamento e con uno stile di vita adeguato”. Qualche settimana fa sei andato a Vicenza per incontrare con Damiano Tommasi i ragazzi delle scuole superiori. È importante che alle nuove generazioni arrivino messaggi positivi… “A Vicenza abbiamo partecipato ad una giornata, insieme a Tommasi e Grazioli, incontrando circa 500 studenti delle scuole superiori di Vicenza con i loro insegnanti. Incontrare gli studenti è una mia mission perché mi da la possibilità di informare e far conoscere i danni del doping ai giovani. Gli studenti avevano precedentemente ricevuto dall’Istituto Superiore di Sanità materiale didattico che è stato realizzato dal Ministero della sanità e quindi sono venuti preparati. Non è la prima volta che faccio incontri pubblici con Damiano e per me è un piacere farlo visto che Damiano è una persona intelligente, che conosce lo sport in maniera profonda, è un attento osservatore e un uomo profondamente onesto; quindi rappresenta una speranza per il futuro e un esempio positivo per i giovani. Con lui ho svolto parecchie attività anche in precedenza, per esempio abbiamo presentato insieme il libro “Qualcuno corre troppo” di Lamberto Gherpelli sul doping e più in generale sull’abuso di farmaci nel calcio”. Parliamo allora di calcio, doping e abuso di farmaci…
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“Io sono d’accordo con Damiano che, prima ancora di affrontare il tema del doping che viene spesso negato dal mondo del calcio (negazione a cui non credo), vada affrontato il tema dell’eccessiva medicalizzazione. L’abuso di farmaci antidolorifici e antidepressivi o di altri farmaci che servono ad accelerare il rientro dagli infortuni o a coprirne solo in apparenza i postumi mette a rischio la salute dei giocatori. Questa è una battaglia che AIC sta portando avanti in modo encomiabile e il video con Batistuta è uno dei prodotti più avanzati sul tema che io abbia mai visto. Il video è di enorme efficacia e anzi direi di più, è un atto di generosità di Gabriel Batistuta nei confronti dei giovani calciatori e, secondo me, va sempre più incentivata la sua diffusione nelle squadre giovanili. Bisogna far conosce le parole pronunciate da Batistuta che, con il sorriso sulle labbra, ha avuto il coraggio di esternare le proprie sofferenze causate dall’abuso di farmaci. Per quanto riguarda il doping vero e proprio purtroppo esso è figlio delle persone scarsamente capaci che vogliono comunque arraffare il successo. Questi soggetti hanno provocato danni enormi al sistema sportivo alterando il tutto, annullando spesso gli stessi vantaggi del doping perché in alcuni sport l’uso è divenuto talmente generalizzato
che si è giunti ad una sorta di livellamento, sia pure caotico ed ingestibile. L’uso di sostanze dopanti ha modificato anche la struttura stessa degli sport e la loro specificità penso, per esempio, al tennis dove l’abilità tecnica si è inchinata alla potenza e all’estrema capacità di resistere alle alte intensità”. Come risolvere per mettere al riparo il nostro sport, il calcio, e tutelare gli atleti? “Il calcio è uno sport che si è sem30
pre autoassolto, in realtà abbiamo visto che dopo lo scandalo del 1998, alla ripresa dell’attività del laboratorio antidoping, ci furono ben 13 casi positività per nandrolone. Nel calcio l’interesse economico è enorme ed entrano in gioco altri fenomeni ed è ipocrita da parte delle istituzioni sportive antidoping voler far credere che per loro gli sportivi siano tutti uguali: il sollevatore di pesi come il calciatore che vale decine di milioni di euro. In realtà non è la stessa cosa fermare per due anni uno piuttosto che l’altro. Dunque bisogna avere il coraggio per affermare che il calcio professionistico non pagherà mai quel prezzo e cercare altre strade. Una soluzione può essere nei test ematici che debbono essere effettuati con frequenza allo scopo di fermare temporaneamente il calciatore con valori alterati, fino a che essi non tornino nella norma. Il test ematico non deve essere pensato come è attualmente solo come integrazione degli esami sulle urine per colpire l’atleta e squalificarlo ma, prima di tutto, va pensato in termini di prevenzione. Quando si trovano soggetti che hanno valori anormali vanno fermati fino a quando i valori non tornano normali. La luce si accenderà in quel caso non solo sui soggetti ma sulle squadre e si intensificheranno i controlli. Il sistema antidoping dovrebbe, in primis, essere a tutela della salute e della prevenzione del doping. I giustizialisti da strapazzo, quando c’è una positività, vorrebbero dare all’atleta la radiazione e lo ritengono il centro del male poi magari non si pongono neppure una piccola domanda sulle complicità delle istituzioni sportive o anche delle semplici squadre. Bisognerebbe lavorare molto di più sulla prevenzione per evitare o ridurre al minimo i drammi delle positività. L’obbiettivo non è quello di snidare ogni tanto qualche atleta ma di ridimensionare fortemente il doping! Peraltro, se i controlli ematici fossero svolti da organismi terzi, ci sarebbe più probabilità di individuare anche tutti i soggetti che ruotano intorno all’atleta e spesso lo inducono a sbagliare. Il calciatore è la prima vittima del doping poiché è sul suo corpo che si determinano i danni dell’abuso dei farmaci ed è vittima allorché c’è un ambiente che lo spinge e per non rimanere emarginato dalla squadra, o per recuperare il posto da titolare, l’atleta decide o accetta di utilizzare tali sostanze”.
Caso Schwazer: come nasce l’idea? “Premetto che Schwazer è stato trovato positivo perché io ho mandato alla WADA due mail l’11 e il 12 luglio 2012, indicando una serie di fatti non chiari che lo riguardavano ed esprimendo seri dubbi su come stava procedendo la sua preparazione per i Giochi di Londra. Quindi non è stato controllato su indicazione di qualche organismo sportivo. E trovo incredibile che alcuni “professori” di etica abbiano poi ironizzato sul fatto che io, “paladino” dell’antidoping (in un attimo un appellativo da onorevole diventa una presa per i fondelli) avessi accetta la richiesta di Schwazer di fare da garante e di allenarlo per il ritorno credibile alle competizioni… “il paladino dell’antidoping che allena il dopato”... dimenticando che l’appellativo dopato l’avevo provocato io stesso con la mia segnalazione. Che avrebbero dovuto fare altri della FIDAL e del CONI, ma si sono guardati bene dal farla”. Glielo hai detto subito che eri stato tu? “No, dopo un po’, quando era mentalmente pronto, perché la storia è complessa. Dopo la positività Alex è caduto in uno stato di forte depressione, costretto ad assumere giornalmente farmaci antidepressivi. Io ho accettato di allenarlo ed aiutarlo perché ho avuto le prove che era pentito e che il suo doping non era stata una necessità per arraffare successi altrimenti irraggiungibili, ma un atto di solitudine e disperazione. Dunque mi sono preoccupato di fare l’allenatore a 360° e di recuperare il giovane e la sua autostima. Quando, giorno per giorno, ha capito che allenandosi in una certa maniera otteneva grandi progressi, è divenuto una locomotiva di entusiasmo”. Perché hai detto sì alla sua richiesta? “Per tre motivi. 1) Perché un atleta male intenzionato che vuole tornare a gareggiare con il trucco non si sarebbe mai rivolto a me ma sarebbe rimasto in quell’ambiente ambiguo in cui è maturato il suo utilizzo del doping, cosa che fanno quasi tutti coloro che tornano alle gare dopo un periodo di squalifica. 2) Perché quando l’ho incontrato mi ha subito detto “stabilisca lei un sistema di controlli che garantisca lei, garantisca me ed il pubblico che deve credere nelle prestazioni di un ex dopato”, e io, con l’aiuto del professor Dario D’Ottavio, ho realizzato un sistema di controlli ematici indipendenti affidato al responsabile di
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ematologia dell’ospedale pubblico San Giovanni di Roma, il professor Benedetto Ronci che lo ha testato in media una volta ogni dieci giorni. 3) Infine perché Alex mi ha detto che avrebbe rinunciato alla finestra oraria rendendosi disponibile per essere controllato 24 ore su 24. Ho capito dunque che il giovane aveva fatto chiarezza dentro se stesso ed a quel punto aveva riacquistato ai miei occhi tutta la dignità”. Come sta andando? Riuscirà a partecipare a Rio? “Inutile nascondersi: Alex va fortissimo. Perfino gli allenamenti che lui ha fatto nel periodo in cui assumeva il doping con Epo sono stati surclassati da quelli attuali. È evidente che qui si parla di conoscenza o meno della metodologia di allenamento, il che pone degli interrogativi per quei tecnici che compensano la propria incompetenza spingendo gli atleti ad utilizzare scorciatoie. L’8 maggio, se supererà un test di efficienza richiesto dalla Fidal, potrà essere convocato in nazionale per partecipare alla Coppa del mondo a squadre che è la gara più importante dell’anno dopo le Olimpiadi. Per partecipare a Rio dovrà entrare tra i primi dieci marciatori più forti del mondo: io non credo proprio che ci siano dieci marciatori al mondo in grado di battere Schwazer, forse qualcuno ma non certo dieci. Quindi per Rio penso proprio che ce la farà. Spero che questa storia faccia riflettere: allenare Schwazer per me ha significato rompere schieramenti consolidati e determinare dei riposizionamenti nella lotta al doping. Riconosco al Presidente del CONI Giovanni Malagò di aver accolto positivamente e supportato da signore questa storia rendendo pubblica la sua fiducia nel recupero della
persona. Non posso dire altrettanto degli organi di giustizia sportiva che invece hanno manifestato nei confronti di Schwazer una durezza “esemplare” che avrebbero dovuto indirizzare altrove. Inoltre mi sarei aspettato da loro un altro atteggiamento, visto che sono stato io e non certo loro a denunciare il caso di Schwazer prima di Londra. Avrebbero potuto ascoltare anche me nel corso del procedimento e lo stesso avrebbe potuto fare la WADA ma, evidentemente, la storia della lotta al doping conta poco. Per queste persone era molto più importante cercare di dimostrare una radicalità degna di altri obbiettivi. Non hanno fatto nulla per aiutarmi, pazienza, cercherò di farcela lo stesso”. Per concludere ROMA 2024 è una opportunità per il sistema sportivo italiano? “Per le Olimpiadi come volano economico bisogna andarci piano perché lo hanno detto anche gli organizzato-
ri di tante altre edizioni dei Giochi e spesso non è stato così ma convengo che sia giusto dare fiducia al nostro Paese e operare affinché venga offerta all’Italia questa possibilità. Ma prima della candidatura olimpica vanno chiariti alcuni argomenti chiave, garanzie, per dimostrare che siamo in grado di affrontare la candidatura olimpica. Anzitutto, vanno rilanciate le politiche per lo sport giovanile con una presenza curriculare nelle scuole elementari e va riformato il sistema di formazione dei tecnici e dei dirigenti che si occupano di sport giovanile. In modo che imparino a rispettare il diritto al gioco e al divertimento dei bambini e a far svolgere loro una pratica serena, formativa ma equilibrata. Un altro obiettivo è rappresentato da una politica antidoping seria. L’Italia, va riconosciuto, è già avanti in tema di lotta al doping rispetto ad altri paesi e bisogna dire che l’attuale gestione di Malagò non ha nulla a che vedere con quella precedente ed è chiaro come siano stati fatti passi in avanti. La gestione precedente non si sarebbe mai messa i carabinieri in casa a controllare il proprio operato. Ma io auspico che venga fatto un ulteriore salto di qualità portando avanti il concetto di terzietà dei controlli e che sia proprio l’Italia a mettersi alla testa di questa rivoluzione, affinché in tutti i Paesi ci siano agenzie davvero autonome che attuino controlli e politiche antidoping indipendenti. Con queste due precondizioni l’Italia può affrontare la candidatura olimpica e fare in modo che le Olimpiadi siano una grande occasione di sviluppo duraturo e non temporaneo del sistema sportivo italiano”.
Edizioni Gruppo Abele
Lo sport del doping
di Alessandro Donati – 304 pagine - € 16,00
Gli scandali del doping si susseguono coinvolgendo campioni di primissimo piano. È ormai consapevolezza diffusa che in diverse discipline sportive il ricorso al doping coinvolge gran parte degli atleti di vertice e altera i risultati delle maggiori competizioni sportive, favorito da dirigenti che guardano solo al numero
delle vittorie e da una stampa sportiva che preferisce non vedere e non sentire. Pochi sanno, invece, che tutto questo ha fatto “scuola” e che molti praticanti di livello amatoriale affollano gli ambulatori dei medici dei “campioni” per farsi prescrivere la “cura” miracolosa che può consentire loro di battere in gara il collega di ufficio o il vicino di pianerottolo. Così il doping è diventato fenomeno di grandi numeri, con molti punti di contatto con la droga e sta generando traffici internazionali manovrati dietro le quinte dalle multinazionali farmaceutiche. 31
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di Claudio Sottile
Roberto Scarnecchia, dal campo ai fornelli
Il pallone non scuoce mai L’appetito vien calciando e mangiando. Quindi posata la borsa, si prende la posata. Cucina Roberto Scarnecchia, dai tacchetti da calcio ai tocchetti di guanciale, dall’ala destra all’ala di pollo, dalla graticola di un big match ai fornelli, dal chiodo con gli scarpini al chiodo di garofano. Una vita col giallorosso, della Roma e… dei pomodori, perché “se vai in un qualsiasi ristorante al mondo e vuoi capire come si mangia, devi ordinare uno spaghetto pomodoro e basilico, così puoi valutare il livello della cucina e tutto il resto”. Calcio e cucina, stesso rigore? “Hai citato quello che da sempre è stato il mio motto. C&C, calcio e cucina. La cucina è un proseguire il calcio. Faccio un esempio. Considero la preparazione dei piatti, durante la giornata, come un Roberto Scarnecchia è nato a Roma il 20 giugno del 1958. Ha giocato (da ala destra) con Roma, Napoli, Pisa e Milan. Ha chiuso la carriera da calciatore nel Barletta prima di intraprendere quella di allenatore (Seregno, Merate, Voghera e Derthona). Smesso di giocare ha fondato una ditta commerciale nel campo dell’abbigliamento e ha coltivato la passione per la cucina (“ereditata” da sua madre) che lo ha portato ad essere uno degli chef più apprezzati in circolazione.
allenamento, che ti forma per le due ore dove hai settanta persone sedute, pronte per mangiare. Identifico il servizio con la partita, c’è molta pressione, escono le comande, bisogna essere rapidi e precisi, trottare e camminare. Calcio e cucina hanno delle similitudini, due passioni che sono diventate due lavori”. Che sapore ha questo campionato? “Agrodolce, onestamente. Osservo un torneo divertente, c’è un’alternanza in testa, i valori di quattro – cinque squadre sono sovrapponibili e ci stiamo divertendo. Invece è acre il livello, che è schizzato verso il basso e non verso l’alto. Questo purtroppo è un dato di fatto”. La Roma di cosa sa? “In questo momento ha un retrogusto mieloso. Da abbastanza amarognolo è migliorato con l’avvento di Luciano Spalletti, un allenatore che le ha cambiato il volto, dandole un gioco e un’identità. Adesso stiamo vivendo dei momenti di dolcezza, perché col Real Madrid in casa si è perso ma ho ammirato una squadra che ha lottato e giocato. Se l’arbitro avesse concesso almeno un rigore, sarebbe finita in maniera diversa. Gli spagnoli sono difficili da battere, però la Roma in campo è stata all’altezza”. Scrivi un menù, abbinando ai seguenti personaggi un piatto che ti viene in mente. Partiamo con Gonzalo Higuain. “Lui è uno tenace, arcigno. Cucinerei uno spaghetto vongole, bottarga e riccio. Le vongole sono i gol che sigla, di piena apertura, saporiti, vivaci. La bottarga ha un sapore abbastanza deciso che mi fa pensare a tutti i palloni che gioca, numerosi come le uova di muggine. Il riccio invece è intenso, con gli aculei, pungente
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come la carriera che vive con caparbietà, senza guardare in faccia nessun difensore”. Maurizio Sarri. “È un tipo particolare, un toscano e un italiano vero, quindi vedrei la tartare di chianina, una delle carni più pregiate d’Italia, con il rosso d’uovo, la cipolla e il pepe macinato”. Paulo Dybala. “Emana una sensazione di colori, penso a una paella non tradizionale bensì sarda. Metterei anche della fregola, una pasta sarda di grano duro. La fregola mi dà l’idea della sua velocità e della sua rapidità”. Roberto Mancini. “Non mi sta esaltando. Visto che allena a Milano, farei un bel risotto alla milanese con l’ossobuco, semplice e giallo”. Alessio Romagnoli. “Non è un difensore che mi fa impazzire, è sicuramente interessante ma deve ancora dimostrare. Preparerei un’insalata di basilico, in onore della freschezza e della gioventù ancora in fiore. Questo tipo di insalata comprende i germogli di basilico ligure, i pinoli, il grana, una ricottina fresca di vaccino. Un qualcosa che sta nascendo, delicato e buono, che però ancora si deve affermare”. Chiusura con Antonio Conte, a meno di 100 di giorni dall’inizio degli Europei. “Un piatto tradizionale italiano: una bellissima amatriciana. Molto piccante, rossa, con prezzemolo verde, che richiama i nostri colori, con il gusto del guanciale determinato come lo è il commissario tecnico”. Per quale personaggio del nostro calcio sceglieresti di cucinare? “Per tantissimi interpreti. Un nome che mi viene in mente è Walter Sabatini. Fuma 40 sigarette l’ora e sarei curioso di riuscire a farlo diminuire durante il pasto, facendogli venire più il gusto del cibo che quello del tabacco”.
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Le televisioni sono entrate nello spogliatoio e in cucina: con quali effetti? “Hanno portato una cultura e delle nozioni, svelando cosa c’è dietro le quinte. È chiaro che ci sono dei pizzichi di finzione ed esaltazione, ma con gran parte di verità. Questo ha portato a far sì che comunque tanta gente si mettesse a giocare a calcio e a cucinare. È chiaro che prima di diventare cuoco, come dice il mio amico Antonino Cannavacciuolo, bisogna studiare tanto. Io sono vent’anni che studio cucina, anche la succitata pasta pomodoro e basilico ha uno studio dietro”. Che cosa rispondi a chi giudica Francesco Totti alla frutta? “Totti ha 39 anni, non possiamo pretendere che abbia la stessa brillantezza di prima. È normale che comunque un po’ di smalto l’abbia perso, un po’ di usura ce l’ha. Non può stare più a un livello top, tuttavia qualche ritaglio a buoni livelli potrà ancora garantirlo. Anche il fatto che ci sia, con il suo carisma, incide su un avversario”. È il momento del caffè di fine pasto… “Che offrirei a Edin Dzeko. Un bell’espresso napoletano per lui, magari si sveglia”. Nella pentola di questo finale di stagione bollono sorprese? “Se la Juve continua a vincere non si prende più. Credo che però potrà accusare una flessione. Si è adoperata in una grandissima rincorsa, consumandosi a livello psicofisico e prima o poi la pagherà”.
“Sono molto amico di Lino Banfi, fece questo film e mi chiamò. Un’esperienza bellissima. Stando nel mondo del cinema vedi come si girano le scene. Quando è montato è un pezzo unico, ma quando reciti fai pause lunghissime, non ti sembra neanche di fare un film bensì tanti piccoli cortometraggi. L’attore deve esse-
re bravo a restare sempre concentrato”. Roberto, meglio da calciatore o da chef? “Forse sono più bravo come allenatore. È un ruolo che racchiude tutte e due le attività, spero presto di tornare in panchina. Curerò bene il campo così come curo la cucina, se me ne daranno la possibilità”.
Allo Stadio “Appiani” il 27 febbraio scorso
AIC Senior League Sabato 27 febbraio scorso sono stati molti i volti noti che hanno messo gli scarpini e sono scesi in campo con l’AIC nel mitico stadio “Appiani” di Padova. Dino Baggio, Paolo Vanoli, Filippo Maniero, Paolo Poggi, Luigi Sacchetti, Valerio Bertotto, Vittorio Pusceddu, Alessandro Dal Canto, Carlo Perrone, Damiano Tommasi e molti altri hanno accettato con grande entusiasmo l’invito della loro Associazione. Si è trattato del secondo appuntamento organizzato per i Senior AIC, dopo quello di “andata” del 7 dicembre scorso che ha visto la partecipazione di oltre 60 ex-calciatori che hanno calcato i campi di calcio di tutta Italia residenti nelle province di Verona, Vicenza, Padova e Venezia. La formula ha previsto due incontri da 50 minuti (due tempi da 25 ciascuno) nei quali si sono fronteggiate le quattro delegazioni di ex-calciatori, divisi tra loro in base alla provincia di residenza: Padova
contro Vicenza e Verona contro Venezia. Paolo Poggi, capitano della squadra di Venezia, ha definito l’iniziativa un aiuto importante per gli ex-calciatori che hanno così avuto modo di ritrovarsi sul campo, ritrovare vecchi amici e far riaffiorare piacevolissimi ricordi. “Tornare indietro di qualche anno è davvero una bella cosa”. Tra i protagonisti della squadra della provincia di Verona è sceso in campo anche Damiano Tommasi, molto soddisfatto per la riuscita dell’iniziativa che ha riportato sul campo, assieme all’AIC, oltre 60 excalciatori. Per Filippo Maniero è stata una bella emozione rivivere il campo con compagni ed avversari, persone con cui hai condiviso gioie, emozioni e delusioni professionali. Il prossimo appuntamento con la “Senior League AIC” sarà il 21 marzo a Cesena e vedrà protagonisti i calciatori delle province di Cesena, Bologna, Ferrara, Ravenna e Rimini.
Non hai fatto a tempo a giocare nel football dei cognomi sulle magliette, in compenso hai recuperato con la divisa da chef. “A calcio in genere puoi giocare fino a 33 – 34 anni, quindi la cucina è una prosecuzione del calcio, è come se mi avesse allungato la carriera. Adesso ho quasi 58 anni e il fatto di vestire una casacca col mio nome mi piace parecchio”. Nel tuo calderone le vite da giocatore, mister, imprenditore, cuoco e… attore, nel film “L’allenatore nel pallone”. 33
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di Pino Lazzaro
Maria Caramia, Vanessa Nagni e Simona Sodini
Calciatrici mamme, mamme calciatrici Come mai fanno notizia (e ci siamo pure noi ora nel gruppo) delle calciatrici Tre donne, tre calciatrici, combinazioche sono diventate o diventeranno presto mamme? Eppure, dai, parliamo di ne: tre attaccanti. Nell’ordine (alfabedonne: come dice più sotto Simona, capita che restino incinte, no? La “notizia” tico): una con una figlia di poche settiforse sta nel fatto che effettivamente di calciatrici mamme ce ne sono poche, mane; l’altra che è diventata mamma dato questo che in un certo qual modo si allinea a quel che capita anche fuori lo scorso giugno; la terza il cui parto è dal campo, nella società tutta, in questo nostro vecchio Paese: questo segnalaprevisto circa per metà aprile. Tre storie no recenti statistiche e dati sul nostro tasso di natalità. che qui abbiamo voluto un po’ racconUna delle voci che più sappiamo contare è quella del lavoro, meglio, un lavoro. Se tare, dando voce a loro. ce l’hai, allora qualche garanzia puoi averla, altrimenti è davvero dura. A Maria, Vanessa e Simona. E visto che fare calcio qui in Italia per le donne non può essere certo un lavoro, proprio questo può essere magari un altro dei motivi della “rarità” di cui sopra. Sì, ragionando al maschile, si potrebbe insomma dire che sono cose da donne. Ma se ci si sofferma un attimo a pensare, qualcosa magari cambia. Provando a mettersi così nei loro panni – questo tipo di “problemi” ovviamente non ci appartengono e non fanno proprio parte di noi – ecco aprirsi una realtà nuova e sconosciuta, che loro invece conoscono molto ma molto bene. Noi e loro. Loro e noi. Già, un qualcosa di cui in qualche modo bisogna/bisognerebbe tener conto.
Maria Caramia, Real Statte
“Più garanzie per noi donne”
Nata a Taranto, parecchi gol, capocannoniere in B e A2, ha giocato anche in serie A (con Lazio e Napoli). Ultima squadra il Real Statte, calcio a 5 “Mah, penso che la nostra sia una notizia perché in effetti è raro che una calciatrice decida di mettere su famiglia. Oltretutto anche noi vorremmo sempre giocare, magari tirando sino a tarda età. Mio marito in effetti l’avrebbe voluto fare anche prima, sono stata
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io che ho preferito aspettare. Ho scoperto che ero incinta quando mancavano circa un paio di mesi alla fine della stagione e subito mi sono fermata. Per l’impegno che avevo con la squadra, come detto ho preferito prima aspettare, poi avvicinandosi la conclusione del campionato, con mio marito abbiamo “cominciato la pratica” e la fortuna ha voluto che rimanessi subito incinta. Appena l’ho saputo, ho subito smesso, ero col Real Statte, calcio a 5, squadra forte, lo scorso anno abbiamo vinto la Coppa Italia. Sì, mi sono adattata a giocare a 5 ma devo dire che preferisco il calcio a 11, soprattutto per quelle che sono le mie caratteristiche: attaccante che ama lanciarsi in progressione negli spazi. Dunque mi sono un po’ adattata: l’idea era insomma quella di mettere su famiglia e qui dalle nostre parti la realtà più ambiziosa è appunto quella del Real Statte (a Statte, provincia di Taranto; n.d.r.).
Lasciare il calcio è un qualcosa che altrimenti non avrei mai voluto fare, ma in questo caso diciamo che mi è dispiaciuto fino a un certo punto, dall’altra parte c’era questa grande gioia di essere in attesa. Ora però che ci siamo… sbrigati, già penso alla prossima stagione, ora è presto, ho appena partorito (i primi di febbraio, Tonia il nome della figlia; n.d.r.). Sì, ora sono mamma e casalinga e un altro desiderio che ho è di tornare ad allenare i bimbi, lì al mio paese, Carosino. Mio marito? È diventato un appassionato di calcio con me, mi ha sempre seguito e non mi ha mai creato delle difficoltà, anzi. Il fatto che fossi una sportiva gli piaceva, secondo lui sono tante adesso le “belle addormentate”, le chiama così: molto meglio un “maschiaccio”, attivo e appassionato. L’augurio che posso fare è che ci siano più garanzie per noi donne che facciamo sport. E non penso solo alla questione maternità, ma a tutto quello che ancora manca per noi, a quanto siamo indietro”.
La rinuncia dell’Eleo Lo scorso numero del Calciatore avevamo dedicato un servizio al “ritorno” di Pamela Conti che aveva accettato la scommessa di ripartire come allenatrice/calciatrice alla Eleonora Folgore di Palermo (serie B, girone D). Vi avevamo promesso un aggiornamento dato che la chiusura del numero in tipografia coincideva per la società con una
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CAMPIONATI NAZIONALI DIPARTIMENTO CALCIO FEMMINILE – L.N.D. ACCORDO ECONOMICO STAGIONE SPORTIVA 201__ /201__
L’accordo economico nel calcio femminile Recentemente l’AIC e la LND hanno concordato modifiche al testo dell’art. 94 ter e la nuova modulistica relativa agli accordi economici validi per le calciatrici di Serie A e B. A seguire le principali modifiche: gli accordi devono essere depositati entro e non oltre 30 giorni dalla loro sottoscrizione; • le calciatrici possono stipulare accordi economici per un periodo massimo di 3 stagioni sportive. Nel caso di accordi economici pluriennali, gli accordi possono prevedere la corresponsione di una ulteriore indennità, per la durata pluriennale dell’accordo • In caso gravidanza della calciatrice l’accordo non potrà essere risolto • Svincolo per morosità: il pagamento delle somme accertate dalla CAE deve essere effettuato entro 30 giorni dalla comunicazione della decisione o, in caso d’impugnazione al TFN - Sezione Vertenze Economiche, entro 30 giorni dalla comunicazione della decisione dell’Organo di Appello. Decorso inutilmente questo termine, la calciatrice che ha ottenuto l’accertamento di un credito pari al 20% della somma risultante dall’accordo depositato, può chiedere alla CAE lo svincolo per morosità nei termini e con le modalità previste dall’art. 25 bis del relativo regolamento..
Con la presente scrittura privata, da valere ad ogni effetto di legge: La Società …………………………………………………………………………. con sede in ……………………………………………………………………………… via……………………………………………………………..CAP……………………………C.F./P.Iva ………………………………………………………………………………. rappresentata da …………………………………………………………………………………… qualifica ……………………………………………………………......... affiliata alla FIGC - Lega Nazionale Dilettanti – Dipartimento Calcio Femminile (nel prosieguo definita per brevità la “Società”); e la calciatrice ............………………………………………………………………………………… Matricola FIGC…………………………………………. nata a............................................................il ………………………………………………… C.F. .…………………………………………………………………. domiciliata a …………………………………………in via……………………………………………………………………………………….CAP…………………….. (nel prosieguo, per brevità, la ”calciatrice”);
Premesso che la calciatrice, ai sensi della vigente normativa federale, è tesserata con la Società partecipante al Campionato Nazionale di Serie ____ di Calcio Femminile; che le Parti intendono stipulare un accordo economico in conformità alla normativa federale, per disciplinare le modalità di rimborso da parte della Società, in favore della calciatrice, delle indennità di trasferta, dei rimborsi forfettari di spesa e ogni altra voce premiale e non prevista dalla normativa federale in occasione dell’attività agonistica; Convengono quanto segue
Art. 1 - La Sig.ra ............................................................................................................................. si impegna, nella sua qualità di calciatrice ‘’non professionista’’ (come sarà fin d’ora individuata nell’accordo economico), ex art. 81 comma 1 lettera m del D.P.R. 917/86, a fornire le proprie prestazioni sportive alla Società a decorrere dal ...................................................... e fino al 30 giugno ......................... escludendo espressamente ogni forma di lavoro subordinato. Art. 2 - La Società, anche in considerazione della durata pluriennale del presente accordo1, si impegna ad assicurare alla calciatrice le condizioni necessarie per una preparazione tecnica adeguata al suo status federale, in particolare per quanto riguarda la partecipazione all’attività di addestramento, allenamento ed agonistica, e a corrispondergli i seguenti importi annui lordi: Euro…………………………………. (……………………………………………………………………….......), per la stagione sportiva................................................. Euro…………………………………. (…………………………………………………………………………..), per la stagione sportiva ................................................. Euro…………………………………. (……………………………………………………………………………), per la stagione sportiva................................................. oppure in via alternativa e non concorrente e nel rispetto dei massimali previsti dalla normativa federale Euro giornalieri .............................................. ( ….........................................................................................................................……..), a titolo di indennità di trasferta; Euro giornalieri .............................................. ( ............................................................................................................................),a titolo di rimborso forfettario di spesa; Euro ............................... ( ......................................................................................................................), per ogni convocazione relativa alla disputa di una partita di Campionato e Coppa Italia. Art. 3 - In caso di previsione di una somma annua, la Società si impegna ad erogarla in dieci rate mensili di uguale importo, entro la stagione sportiva di riferimento, In caso di previsione di somme pattuite in via alternativa a titolo di indennità di trasferta, rimborso forfetario di spesa e voci premiali per ciascuna gara, la Società si impegna ad erogare i relativi importi al termine del mese di maturazione, nel rispetto della normativa fiscale vigente. Ai fini fiscali, le somme oggetto del presente accordo sono inquadrabili tra i redditi diversi di cui all’art. 67, comma 1 lett. m), d.p.r. 917/86, e successive modificazioni. Art. 4 - In caso di inadempimento della Società la calciatrice potrà ad adire la competente Commissione Accordi Economici (C.A.E.) della L.N.D., ai sensi della normativa federale. In nessun caso il buon fine dell’accordo economico è garantito in solido dalla L.N.D. Art. 5 - In caso di svincolo o trasferimento della calciatrice avvenuto ai sensi della normativa federale, la validità del presente accordo si intende decaduta a far data dall’efficacia del provvedimento. Art. 6 - La calciatrice che nel corso o alla fine della stagione sportiva vanti un credito minimo pari al 20% dell’importo annuo previsto dall’accordo economico, potrà chiedere alla competente Commissione Accordi Economici (C.A.E.) della L.N.D. lo svincolo per morosità. Il relativo procedimento si svolge nei termini e con le modalità stabilite dalle norme federali. Art. 7- Ove nell’accordo economico depositato sia stata pattuita l’erogazione di una somma lorda annuale e la calciatrice non abbia fornito le prestazioni sportive o le abbia fornite in misura ridotta senza giustificati motivi ovvero in conseguenza di malattia o di infortunio indipendenti dall’attività sportiva, la Società avrà diritto di ridurre proporzionalmente l’importo concordato in relazione alle assenze. Ove la malattia o l’infortunio dipendano invece dall’attività sportiva e si siano protratti oltre i sei mesi, la Società avrà la facoltà di risolvere l’accordo corrispondendo comunque alla calciatrice le mensilità sino ad allora maturate. In caso gravidanza della calciatrice il presente accordo non potrà essere risolto. Art. 8 - A tutti gli effetti del presente accordo economico la società elegge domicilio presso la propria sede, la calciatrice nel luogo indicato in epigrafe, salvo variazioni delle quali le parti dovranno darsi reciproca comunicazione. Art. 9 – Per quanto non previso dal presente accordo, si intendono richiamate le norme statutarie e regolamentari della FIGC, nonché i principi e le regole contenute nel protocollo d’intesa tra LND e AIC. Luogo e data ......................................................... _______________________________________ Per la Società (timbro e firma)
____________________________________ La calciatrice
Le parti dichiarano di aver preso esatta cognizione delle clausole previste dagli art. 3-4-5-6-8-9 della presente convenzione e le approvano specificatamente.
eonora Folgore sorta di “decisione finale”: continuare o no il campionato? In sintesi la risposta l’ha data il comunicato ufficiale n. 53 dello scorso 11 febbraio: “… delibera di dichiarare rinunciataria al Campionato di Serie B femminile, per la stagione 2015/2016, la società FCD Eleonora Folgore…”. Peccato, un’altra pagina chiusa.
________________________________________ Per la Società (timbro e firma)
_____________________________________ La calciatrice
N.B. - Il presente accordo, in triplice copia, deve essere obbligatoriamente depositato, a cura della Società, presso il Dipartimento Calcio Femminile della L.N.D. (Piazzale Flaminio, 9 - 00196 Roma) entro 30 giorni dalla data di sottoscrizione. La Società deve dare comunicazione alla calciatrice dell’avvenuto deposito contestualmente allo stesso. Qualora la Società non vi provveda, il deposito può essere effettuato dalla calciatrice entro 45 giorni dalla data di sottoscrizione dell’accordo. Un’ulteriore copia dell’accordo, regolarmente sottoscritto, deve essere consegnata alla calciatrice al momento della stipula. 1
Le parole “anche in considerazione della durata pluriennale del presente accordo” sono efficaci solo nel caso di accordo biennale e triennale.
1 - COPIA PER IL DEPOSITO FEDERALE L.N.D. Dipartimento Calcio Femminile Piazzale Flaminio, 9 – 00196 Roma
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Vanessa Nagni, Res Roma
Simona Sodini, Cuneo
“Bello tornare in campo”
“Mi vedo ancora calciatrice”
Romana, tifosissima della Roma, gioca con la Res Roma, squadra con cui ha fatto tutta la trafila su su dalla C1 e di cui è capitano dal 2008.
Di Sassari, ne ha cambiate proprio tante di società. Numerose le annate in serie A, con lo scudetto e la Supercoppa italiana al tempo del Milan e pure presenze in maglia azzurra, sia a livello giovanile che con la Nazionale maggiore. Ultima squadra il Cuneo
“Fino a poco prima di partorire ho continuato comunque a frequentare il campo, giusto per starci, un qualcosa che mi piace proprio tanto. E dopo aver partorito, ho cercato di iniziare il prima possibile e mi sono resa conto che riprendere è comunque dura, ci vuole il suo tempo e forse dovevo aspettare un po’ di più, ma ci tenevo tanto ed è stato pure bello ritornare. Me ne sono accorta d’essere incinta che ero già al secondo mese, ma ho lo stesso continuato a giocare, non l’ho detto e sono andata avanti sino al quarto mese. Francesco, mio figlio (sì, c’è Totti di mezzo) è nato il 20 giugno e poi ho ripreso in pratica con la preparazione successiva. Devo dire che non sono ancora tornata com’ero prima, qualcosa mi manca. Per come gioco, per dare un’idea alla Montella, mi manca ancora un po’ di reattività, quel qualcosa lì sul breve. Per fortuna io ho un lavoro, in un museo di carrozze antiche. Così ho avuto la possibilità di andare in maternità, ho scelto un mese prima e quattro dopo: ho potuto farlo. Di lavori in questi anni ne ho cambiati parecchi e sempre per me la priorità è stata il calcio. Quasi tutte le squadre della A sono al nord, si deve partire il venerdì, mica è così semplice se hai un lavoro, per fortuna col mio ce la faccio. A parte gli stipendi e si sa che è questa quasi dappertutto la realtà in Italia per noi donne, la società in cui sono non ci fa mancare nulla. No, non ho questo sogno di andare all’estero, vorrei che avvenisse qui il cambiamento. Quando gioca l’Italia, la si vede bene la differenza che c’è con le altre squadre, specie sul piano fisico: qui da noi non c’è la possibilità che hanno loro di fare solo calcio, mattina e pomeriggio. Francesco? Dorme, è tranquillo e lo porto spesso al campo quando ho allenamento. Se nessuno può venire con me, ci sono sempre dei genitori delle mie compagne o degli amici: lui sta con tutti ed è davvero bravo”.
“Sono arrivata a 33 anni e ho deciso di fare questo passo. Tutto è venuto naturalmente, non lo abbiamo insomma proprio cercato: io e il mio compagno, tra l’altro ben dentro al calcio anche lui, Rosario Amendola, secondo di Cabrini in Nazionale (e allenatore della… neonata Under 23; n.d.r.). Certo una gioia grandissima, un sogno che mi ha sempre accompagnato, però dico anche che farò di tutto per riprendere a giocare, tornare in forma la prossima stagione. Lo scorso campionato ho giocato col Cuneo in A e giusto due giorni prima dell’inizio della preparazione ho saputo di questa bella notizia. Ricordo che sono stata anche un po’sconcertata per un attimo, ti prepari a cominciare una nuova stagione e invece scopri che devi prepararti per ben altro: è stato comunque un momento molto felice. Rosario mi aiuta, soprattutto adesso e già mi ha detto che appena arriverà Thomas (verso metà aprile; n.d.r.) mi darà una mano a riprendere la forma. Ho 33 anni ma devo dire che non me li sento, mi vedo ancora calciatrice. Un qualcosa che per me è sempre stato un più, non un meno. Io sono sarda, il mio compagno, sardo pure lui, viaggia molto quindi sono tornata a casa adesso ma con la squadra lì a Cuneo sono rimasta in contatto, ci sentiamo e spero di tornarci in serie A. È vero, non sono tante quelle tra noi che rimangono incinte, ho letto di quattro pallavoliste che hanno fatto dei figli, ora hanno ripreso la loro attività. Sono due anni che oltre a giocare ho avuto la fortuna di trovare un lavoro come impiegata, potendo così avere adesso la maternità. Penso al calcio, ai miei venti anni sul campo: non avrei avuto proprio nulla, nessuna tutela, noi che vogliamo fare le professioniste e in cambio non abbiamo proprio niente. Ripeto, ho giocato tanti anni in serie A e ora che quest’anno non gioco mi pare di non essere mai appartenuta a questo mondo… eppure alle donne capita di essere incinte, no?”.
regole del gioco
di Pierpaolo Romani
Cosa significa vincere?
La vittoria può essere ovunque e a portata di ognuno Vincere. Ecco l’imperativo dello sport. In particolare del calcio. La sconfitta, pur essendo parte delle regole del gioco, non è ammessa. Se non vinci non sei nessuno. Se si perdono due o tre partite di fila si cambia l’allenatore. Se sei un calciatore perdente resti in panchina, ti guardi la partita dalla tribuna e, se non giochi con
una certa frequenza, prima o poi ti vendono ad un’altra squadra. La vittoria è importante, necessaria, ma non può essere l’unico parametro per valutare le qualità di una squadra e di un/una atleta. Mirare ad essere al vertice della classifica è uno stimolo a mettercela tutta, è un modo per dimostrare che si è più forte degli altri. La ricerca del primato è una cosa positiva. Cessa di esserlo quando l’arrivare primi viene cercato bruciando i tempi e a qualsiasi costo, anche violando le regole. Il principio del “tutto e subito” non può andare d’accordo con l’idea di progetto sportivo. Spesso, la strada che conduce alla vittoria non è breve. Si costruisce con un paziente e duro lavoro di studio, di analisi, di strategia e di allenamento. La vittoria è frutto di fatica, di impegno, di dedizione. Essa matura anche attraverso le sconfitte. Un grande velocista come Pietro Mennea ha dichiarato che se non avesse perso certe competizioni, quando tutti si aspettavano di vederlo sul primo gradino del podio, lui non avrebbe mai vinto le Olimpiadi. Cosa significa vincere? E quando si è vin-
centi? Per cercare di rispondere a questa domanda, che ha una valenza educativa fondamentale, soprattutto quando giochiamo e alleniamo bambini e ragazzi, citiamo alcuni stralci di un articolo di Silvia Raccagni, pallavolista professionista, pubblicato sul sito sportivo illatob.it. Scrive l’atleta: “Ci hanno sempre insegnato che chi vince è colui che sale sul podio più alto, è colui che alza la coppa, chi ha appesa al collo la medaglia d’oro ed è l’unico che festeggia, ci hanno sempre fatto credere che tutto ciò che non sia il primo posto o “il risultato” sia sinonimo di sconfitta. E allora quando vinci?” - si domanda Raccagni. Vinci quando “capisci che la vittoria può essere ovunque e a portata di ognuno, fondamentalmente ti rendi conto che non tutti possono esser da medaglia d’oro ma tutti possono essere dei vincenti. Vinci” – continua Raccagni – “quando si è un esempio, si è umili, si è capaci di superare le proprie paure”. Vince chi “nonostante il passare del tempo sa che non si finisce mai di imparare, chi indossando il pettorale (o una maglia, NdR) si emoziona ogni volta, chi riconosce i suoi limiti e li usa come punto di partenza per migliorarsi, chi sotto la doccia sente che l’amaro di una sconfitta è inferiore alla stanchezza per aver lottato con tutte le forze”. A Bolzano c’è una squadra di calcio che
gioca nel campionato di terza categoria, l’Excelsior La Strada, che è diventata famosa per le sue plurime sconfitte. A marzo verrà presentato un documentario realizzato da una televisione francese che ha ritenuto questa storia sportiva meritevole di essere raccontata al grande pubblico. L’Excelsior, infatti, è conosciuta come la squadra simbolo della sconfitta per eccellenza ma, andando dentro gli spogliatoi e seguendo quanto avviene in campo e fuori dal campo, si scopre che questo team è molto forte sotto altri punti di vista. Grazie al calcio, l’Excelsior ha messo insieme persone di età diverse: dai sedicenni agli over 35, mescolando in tal modo freschezza ed esperienza, impeto e saggezza. Non solo. In squadra giocano italiani e persone provenienti da altri paesi del mondo, dimostrando così che il calcio è un grande strumento di inclusione sociale. L’obiettivo della squadra è prima di tutto quello di divertirsi e di vivere con passione il calcio, cercando la vittoria ma non mettendola la primo posto. I dirigenti hanno deciso di adottare il “minuttometro”, una tabella che conteggia i minuti giocati da ciascun calciatore nel corso del campionato. In questo modo, tutti i calciatori giocano lo stesso tempo nel corso della stagione sportiva, indipendentemente dalle loro qualità e capacità tecniche. A Bolzano hanno messo al centro le persone insieme al pallone.
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Io e il calcio l’intervista
di Pino Lazzaro
Rosario Maddaloni (badminton)
“Sono nato a Torre del Greco ma la mia infanzia l’ho passata a Santa Marinella, in provincia di Roma. Mio padre lavorava alla Tirrenia, la compagna imbarcava a Civitavecchia e così ci trasferimmo lì. Col badminton tutto è cominciato a scuola, avevo dieci anni, quinta elementare. Per il progetto scuola ci presentarono un giorno in classe un foglio con tutti gli sport che potevamo scegliere. Il calcio, la pallavolo eccetera, queste furono le scelte di quasi tutti e ricordo che mi incuriosì quello strano nome e così misi il mio lì a fianco, l’unico di tutta la classe. Così capitò poi l’allenatore che mi portò in palestra e davvero quella mia fu una scelta fortunata perché proprio a Santa Marinella c’era una forte tradizione col badminton: era lì allora il vecchio centro nazionale”. “Iniziai e fu un amore a prima vista. Una cosa strana e diversa, quella pallina con le piume d’oca che non rimbalza, troppo divertente. E poi la racchetta più piccola, la rete più alta, a me sembrava un videogame. E la velocità che c’è, in televisione non rende quella che è la realtà, specie quando a giocare sono quelli più forti: la velocità della pallina nel badminton è la più alta che ci sia tra tutti gli sport. Mi piaceva e ancor più poi, quando ho iniziato da subito a vincere; a 12 anni ero già campione italiano U15 e ho continuato a vincere sino alla prima convocazione in Nazionale, a 16 anni. Anche i miei genitori erano all’inizio curiosi, pure stupiti dalla scelta che avevo fatto. Anch’io giocavo a calcio, come tutti; ero anche bravo e ti dico subito che è proprio il calcio lo sport che sempre guardo alla tv, ma per me il badminton era un’altra cosa: mia madre ricorda (anche lei contenta che avessi scelto una cosa, come dire, diversa) che era tanta la voglia che avevo, che le dicevo che avrei voluto dormire nella palestra. No, col calcio non sono mai stato tesserato per una squadra, ma quando si giocava tra noi, alle medie e anche alle superiori, vedevo bene che me la cavavo bene: lì sulla fascia, gran velocità e pure buona tecnica e le sapevo mettere bene le palle lì in mezzo”. “Con la scuola ho lasciato stare nel 2009, quando mi sono trasferito al Centro Na38
zionale che è a Milano, mi sono fermato alla quarta. A mia madre avevo promesso che avrei ripreso dopo il tentativo che avrei fatto di qualificarmi per l’Olimpiade di Londra e così è stato: il diploma l’ho preso privatamente, sono un perito tecnico industriale. Aggiungo che un anno, il 2008, l’ho poi passato in Danimarca, lì c’era un allenatore danese con cui ho lavorato. Ero solo ed è stata dura. Via da casa, dalla mia famiglia, dai miei amici e quanto ho sentito la mancanza del mare! In un posto che come clima è davvero uno dei più “tristi”, anche se col badminton sono fortissimi. Un’esperienza che comunque rifarei, magari mettendoci qualcosa in più, maggior convinzione e impegno: mi
La scheda
ci voleva una maggiore maturità ma non c’ero ancora arrivato allora”. “Ora sono un professionista ed è diventato a suo modo un lavoro. Mi alleno tutti i giorni, due volte al giorno e sono pure entrato nel gruppo sportivo delle Fiamme Oro. Qui da noi non è per esempio come col calcio, che c’è la sosta estiva: in fondo non si smette mai dato che di tornei ce ne sono ogni settimana. Funziona un po’ come nel tennis, con diversi livelli di tornei e rispettivi punteggi. Tu ne puoi fare quanti ne vuoi di questi tornei ma quel che contano sono solo i tuoi dieci migliori piazzamenti dell’anno e nella classifica internazionale sei tu, anno dopo anno, a dover “difendere” i pun-
Rosario Maddaloni è nato a Torre del Greco (Napoli) nel 1988 e ha iniziato l’attività agonistica vestendo la maglia del Pirgy BC. È entrato nella scena nazionale nel 2001 quando vince il Tricolore negli individuali Under 15, aggiudicandosi poi i Campionati Italiani giovanili dal 2002 al 2004. Nel 2007 ha conquistato il primo titolo Italiano di Doppio Maschile, traguardo raggiunto anche nel 2013 e nel 2014, anno in cui realizza una doppietta vincendo pure il Tricolore nel Singolo Maschile, già suo nel 2010; doppietta centrata poi (nelle scorse settimane) anche in questo 2016. Con il BC Milano ha vinto lo Scudetto nel 2014 e ha partecipato (nel 2013 e 2014) alla European Club Championships, la Champions League del Badminton, arrivando sino ai quarti. Dopo aver sfiorato nel 2012 la qualificazione alle Olimpiadi di Londra (nell’elenco dei qualificati, era tra le otto riserve nel singolo), ha partecipato alla prima edizione dei Campionati Europei di Baku 2015 e ai Campionati del Mondo nei tabelloni di singolo e di doppio maschile in coppia con Giovanni Greco. Dalla stagione 2014/2015 fa parte del Gruppo Sportivo Fiamme Oro.
l’intervista
teggi che prima hai ottenuto. Ora come ora sono 100° al mondo, vicino alla mia miglior classifica, 93° e sono il primo escluso per quel che riguarda la lista olimpica per Rio 2016: dopo aver sfiorato Londra, è questo l’obiettivo che ora ho in testa”. “Dicevo dei due allenamenti al giorno. Al mattino grosso modo sulle tre ore, dedicate alla tecnica con un continuo susseguirsi di colpi sui volani. Al pomeriggio un altro paio di ore, con l’aggiunta poi di un richiamo in palestra, con un preparatore atletico che ci segue. In genere noi lavoriamo molto sulla forza esplosiva, con balzi e cambi di direzione, non trascurando esercizi propriocettivi: è una disciplina molto traumatica la nostra, specie a livello articolare. Di mio sono uno di quelli che rendono più in gara che in allenamento, lì mi capita anche di pensare al divertimento. Sì, anche noi lavoriamo molto sui filmati, c’è tantissima videoanalisi per studiare gli avversari, vedendone i punti forti e quelli deboli in modo di poter così preparare con l’allenatore dei possibili schemi di gioco. Di solito alla vigilia delle partite dormo abbastanza regolarmente, un po’ più fatica faccio quando mi aspettano delle partite particolarmente importanti e allora sono sempre lì che vedo e rivedo dentro di me quel che ho visto nei filmati e continuo così a pensare a quel che dovrò fare, a come dovrò farlo”. “Beh, mi considero uno fortunato e pure privilegiato. Pur facendo uno sport poco conosciuto, è una disciplina che mi dà da vivere e pensa che siamo in tutto in tre in Italia che ce la fanno a mantenersi col badminton. Ora come detto sono con le Fiamme Oro, cosa questa che mi dà pure della tranquillità per il futuro, ma già prima con la Federazione percepivo uno stipendio. Sacrifici so che ne ho fatti, come ogni sport richiede. Sono andato anche all’estero e poi gli allenamenti e le gare, fin da piccolo in fondo per conto mio, senza la famiglia, lontano dagli amici e quelli che ho adesso, li posso contare sulle dita di una mano, sono tutti dentro questo mio mondo del badminton. Anche la scuola ho trascurato ma ora che sono qui e ripenso a quel che ho fatto, allora mi dico che ne è valsa la pena”. “Perché il badminton per un bambino? Parlare del divertimento magari è pure
banale, però io ho avuto modo di allenare dei bambini, di vederli lì con questa pallina che non è una pallina e che all’inizio fanno fatica a prendere. E allora si mettono lì e non smettono finché non hanno capito come si fa. Intanto è un qualcosa di differente, di diverso e già questo attira. E poi anche il badminton, come lo sport tutto, ti aiuta a crescere, ci sono delle regole, impari a comportarti, a capire che puoi pure provare a dare l’esempio, che ci vuole umiltà, dentro e fuori il campo. Poi la possibilità che io ho di confrontarmi con atleti di altri Paesi, di culture diverse. Ora che sono professionista, sento che questa responsabilità per me è molto cresciuta. Anche il nostro è uno sport fatto di regole: di arbitri ce ne sono due, un giudice di servizio e il referee, gli allenatori che non possono parlare durante gli scambi, occhio a quel che dici in campo. C’è insomma molta disciplina e io sono diventato disciplinato col tempo, da ragazzino ero indisciplinato e finivo così spesso per buttare delle partite che potevo vincere e su questo ho lavorato con gli allenatori e pure con lo psicologo che ci affianca, sono quattro anni ormai che siamo assieme: era la rabbia che mi prendeva a farmi perdere le partite”. “Sì, l’obiettivo che ho è quello di qualificarmi per le Olimpiadi di Rio: le qualificazioni si chiuderanno il 30 aprile. In base a quella che è la classifica, ciascuna nazione ne può portare tre se ne ha appunto tre nei primi quattro; poi due se ne ha due tra i primi 16 e dal 16° posto in poi c’è solo un atleta per nazione. Io ora sono l’italiano più alto in classifica e sarei il primo escluso in graduatoria. Anche noi abbiamo come nel tennis tornei più importanti di altri, si chiamano Superseries e ci sono poi gli International Challenge. Più su vai col valore dei tornei, più vai a incontrare atletici cinesi e altri asiatici, tutta gente che è proprio di un’altra categoria, praticamente è un altro sport quello loro. In Italia di tornei importanti ne abbiamo giusto uno, lo si gioca in dicembre, come tradizione è sempre a Roma ma quest’anno l’hanno fatto a Milano. Io di tornei ne faccio 20-25 l’anno, diciamo due al mese”. “Sono tifosissimo del Napoli e comunque sia, lo seguo sempre, dovunque io sia, a qualsiasi ora: col computer, anche
col cellulare, in streaming, non ne perdo una. Appena posso vado anche allo stadio, sempre a vedere il Napoli: sono proprio contento di come sta andando in questo campionato. Il fatto che noi del badminton praticamente non ci siamo quasi mai nei giornali che invece dedicano così tanto spazio al calcio, a dir la verità nemmeno mi disturba, sarà che ci sono abituato. Il massimo che noi facciamo è appunto riuscire almeno a entrare in fondo al giornale, ma le cose ora stanno un po’ migliorando: A Milano per esempio di articoli sul nostro club ne scrivono (anche se sempre in fondo), quando ho vinto il titolo italiano il pezzo c’era e chissà, spero di arrivare magari anch’io sulla prima pagina, magari se arrivo a qualificarmi per l’Olimpiade, sarebbe davvero un qualcosa di storico”. “Certo che sono “serio”, come potrebbe essere altrimenti? Dai, lo devo essere, anche perché sto inseguendo un sogno e comunque sia non puoi fare altrimenti: attorno ho uno staff di professionisti, ho la mia dieta personalizzata, devo riposare per bene e non esco praticamente mai da quell’appartamento della Federazione che divido con altri due ragazzi. Penso a Rio e penso a quello che ho fatto a Londra. Ora sono cresciuto e ho più esperienza. Sto inseguendo come detto un sogno e so bene che ci sono anche gli altri, ho modo di vedere se muovono anche loro la classifica, magari vedo che fanno meglio di me ma so che se non dovessi riuscire, dovrò per forza di cose essere a posto con la mia coscienza, con la consapevolezza di aver dato il massimo: solo di questo posso e devo essere sicuro”. “Il dopo? L’essere intanto un atleta delle Fiamme Oro mi dà fin d’ora come detto della tranquillità e l’idea che ho adesso, che mi stimola, è quella di lavorare con dei ragazzi, come preparatore atletico, e intendo ragazzi ancora non tanto cresciuti, non penso insomma al livello degli élite. Stare insomma con quelli un po’ più piccoli, preparandoli sia per quel che riguarda il badminton, che per la preparazione fisica”. 39
internet
di Mario Dall’Angelo
I link utili
Il Calciastorie: valori ed integrazione I comportamenti violenti e razzisti negli stadi, oltre che sanzionati dalle leggi dello Stato, sono puniti con ammende alle società da parte della giustizia sportiva. Vandalismi, cori offensivi, uso di petardi e fumogeni e quant’altro avviene di incivile, purtroppo a ogni turno di campionato, negli stadi italiani comporta una “raccolta fondi” che vanno alla Lega di serie A per iniziative di carattere educativo nei confronti, in particolare, dei giovani. Una di queste è stata il Calciastorie (ilcalciastorie.uisp.it), in collaborazione con l’Uisp – Unione Italiana Sport per tutti - attiva per l’integrazione, la multiculturalità e l’antirazzismo. L’Aic ha dato il suo patrocinio. Ora che si è conclusa, la manifestazione itinerante ha lasciato un bel sito, ricco di contenuti e testimonianze, tutto da esplorare. Il Calciastorie ha compiuto nel giro di circa un anno, dall’avvio a Cesena fino alla conclusione a Milano, una sorta di giro d’Italia nel quale numerosi calciatori ha fatto da testimonial. Uno dei primi eventi, nel gennaio 2015, è stato l’incontro tra Guglielmo Stendardo, in forza all’Atalanta, con gli studenti dell’istituto Natta di Bergamo. Il difensore ha lanciato ai ragazzi un messaggio limpido: “La diversità è una ricchezza: l’unico modo per combattere la piaga del razzismo è quello di prevenire, cambiando la mentalità e la cultura. A partire dai giovani che, come diceva Giovanni Paolo II, rappresentano la speranza di un futuro migliore. La storia e la memoria sono le basi da cui ripartire”. Guglielmo ha anche ribadito l’importanza centrale che ha la correttezza nella vita di tutti: “Serve fair play, in campo e fuori: il fine non giustifica mai i mezzi. Non si può maltrattare il prossimo perché ha il colore della pelle diverso, o perché proviene da un’altra città o nazione”. La sua conclusione è stata: “Tutti i cittadini
sono uguali. Dobbiamo mettere in campo questi valori anche nello sport. Noi calciatori abbiamo il dovere di dare un esempio positivo”. Importanti anche le parole di Adam Ma-
funesti. A loro modo, lo sport e il calcio insegnano l’importanza della memoria: le grandi squadre del passato ci ricordano che solo con i valori positivi - volontà, sacrificio, amicizia - si riescono a cogliere i grandi traguardi e, per quanto riguarda i singoli, ad essere indicati ad esempio. Nella sezione download troviamo il link per scaricare un pdf intitolato “Guida metodologica” che riguarda il progetto del Calciastorie. L’opuscolo si apre con la storia di Weisz e prosegue con cenni sociologici alle questioni delle discriminazioni e dell’integrazione, riportando esperienze concrete, come la rete Football against Racism in Europe (FARE) e i Mondiali Antirazzisti. Seguono capitoli con consigli di libri, film e siti con storie di sport e intercultura. Il capitolo successivo - Cenni metodologici - è di particolare interesse per chi si occupa di sport giovanile. L’attività sportiva e motoria è proposta innanzitutto come progetto culturale, con al centro il soggetto, la condivisione delle regole e l’importanza del fare squadra. Un’idea di calcio, quindi, in cui la cooperazione e l’iniziativa individuale responsabile si sposano nell’ottica della solidarietà e dell’accettazione delle differenze in quanto ricchezza. Il capitolo propone poi giochi di socializzazione, considerazioni della potenziale equivalenza tra sport e integrazione, giochi di ruolo applicati al calcio. Non manca un bibliografia che permette di approfondire gli argomenti affrontati.
sina, in forza al Bologna e all’Under 21, nell’incontro conclusivo: “All’interno di uno spogliatoio si stabiliscono relazioni con ragazzi di tutte le culture e religioni. Ci si ascolta e si crea armonia. Quando sento i racconti dei miei compagni mi perdo dentro i loro occhi. È come un viaggio low cost, per questo le differenze sono una risorsa e il confronto è la parola chiave di ogni rapporto”. Sulla homapage notiamo, sotto la grafica principale, un ritratto in bianco e nero il cui link ci porta in una pagina in cui apprendiamo che anche ai calciatori può accadere di essere vittime di discriminazioni e tragedie per ragioni razziali. Come Árpád Weisz, ungherese di origini ebraiche, che prima della seconda guerra mondiale vinse due scudetti con il Bologna ma nel 1944 venne arrestato e trovò la morte, con tutta la sua famiglia, in campo Antonio Floro Flores @FloroFlores83 di sterminio, come Questo è uno dei momenti più difficili per un calciatore. Cambiare squadra specialmente quando documentato nel sai di lasciare un posto dove ti hanno fatto sentire libro “Dallo Scudetimportante, dove i compagni, al momento del to ad Auschwitz” di saluto, avevano le lacrime agli occhi. Lì capisci di aver lasciato qualcosa di bello. Matteo Marani, direttore del Guerin Sportivo. Come si legge nel sito, “Il recupero della memoria Leonardo Bonucci @bonucci_leo19 storica è fondamentaBisogna saper soffrire per diventare grandi. le per la costruzione di percorsi futuri”, perché dimenticare gli errori e le tragedie del passato comporta il perpeDavide Moscardelli @Moscagol tuarsi di sbagli ed eventi Ormai sono vecchietto, non ho tempo da
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perdere… È ora di regalare nuove emozioni a chi crede ancora in me…
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internet
di Stefano Fontana
Ex calciatori in rete
Khedira e Ranocchia: siti da non perdere www.sami-khedira.com Talentuoso centrocampista tedesco di origine algerina, Sami Khedira è in forze alla Juventus ed alla Nazionale tedesca. Dispone di un sito ufficiale di recente realizzazione, moderno e ricco di contenuti. Tra le lingue disponibili, manca purtroppo l’italiano: la scelta
è tra inglese, tedesco e spagnolo. La prima sezione del sito ad attrarre la nostra attenzione è denominata “blog”. In questo spazio trovano posto tutte le news riguardanti Sami, proposte in una formula attuale ed accattivante. Troviamo messaggi del giocatore stesso, notizie
ttando
inerenti l’andamento del campionato italiano, aggiornamenti sulle sessioni di allenamento ed infine messaggi e pensieri di Khedira fuori dal campo di gioco. In pieno stile “social”, è possibile condividere ogni post su Facebook oppure Twitter semplicemente cliccando sull’apposita icona. La sezione “career” contiene ampi cenni biografici e vanta uno stile grafico di forte impatto. La cronistoria di Sami Khedira è divisa per anno e copre l’avventura calcistica di questo fuoriclasse dal 1992 fino ai tempi più recenti. Insieme al fratello, Sami gestisce una fondazione benefica nata nel 2014 a suo nome (Sami Khedira Foundation). Questa organizzazione si occupa della raccolta di fonde a favore di bambini malati o in condizioni di povertà. In generale siamo di fronte ad un sito internet curato nei dettagli e piacevole da consultare: visitatelo!
li doti fisiche e tecniche. Attualmente è in forze alla Sampdoria, dove gioca in prestito dall’Inter. Vanta inoltre numerose presenze nella Nazionale azzurra, dal 2010 ad oggi. Il sito ufficiale di Andrea Ranocchia vanta uno stile grafico particolarmente pulito: tale caratteristica lo rende perfettamente fruibile non solo da computer desktop, ma anche da dispositivi mobili come tablet e smartphone. L’homepage del sito ha come sfondo tre immagini: due vedono il giocatore impegnato con i colori della Samp, mentre la terza è un intenso primo piano... “in borghese”. Sul piano dei contenuti multimediali, troviamo tantissimo materiale: foto e video di ottima qualità sono consultabili e scaricabili nelle omonime sezioni. Attraverso immagini, video di gioco ed interviste è possibile conoscere meglio Ranocchia sia sul piano calcistico che su quello umano. Nella pagina denominata “stampa” troviamo una esaustiva raccolta di tutte le notizie su Andrea comparse sui giornali.
www.andrearanocchia.com Nato ad Assisi ne 1988, Andrea Ranocchia è un difensore caratterizzato da notevo-
Claudio Marchisio @ClaMarchisio8 Partite facili non esistono.
Enzo Maresca @EnzoMaresca16 Figlio è una creatura che Dio ci ha dato per fare un corso accelerato di come amare qualcuno più di noi stessi, cambiando i nostri difetti peggiori per dare i migliori esempi e, noi, imparare ad avere coraggio.
Pepe Reina @PReina25 Su quello che succede in campo? Deve restare in campo. Come insegnano le regole del calcio
Koulibaly Kalidou @kkoulibaly26 Una vittoria importante! Però stasera voglio ringraziare tutti per i messaggi di solidarietà che mi sono arrivati. Voglio ringraziare anche i giocatori della Lazio, ma soprattutto l’arbitro Irrati per il suo coraggio. Ringrazio i miei compagni di squadra, la società e i nostri tifosi che sono stati di un grande sostegno contro queste brutti cori!
La pagina “notizie” è una delle più interessanti del sito: qui troviamo numerosi articoli, corredati da foto, redatti da Ranocchia stesso. Con stile gradevole, asciutto e diretto, il giovane difensore della Samp e della Nazionale scrive di calcio, esperienze di vita e sogni. Rimane molto da scoprire su questo sito, come le varie sotto-sezioni relative a carriera e biografia. Vi invitiamo a farlo di persona, non ve ne pentirete. 41
tempo libero
musica
libreria Ultrasport
A un passo dal paradiso
di Fabrizio Tanzilli – 141 pagine - € 15,00
Dopo averci raccontato nello “Spazio della libertà” il viaggio nel tempo dell’idea fondante del calcio moderno, Fabrizio Tanzilli ci guida ora nell’esplorazione della turbolenta e affascinante realtà calcistica dei Balcani, sviscerando la vera anima del football figlio di una regione che da sempre vive nella complessità, e spesso ne rimane vittima. Il calcio slavo, soprattutto dal dopoguerra in poi, è questo: un movimento che combatte con eleganza e in punta di fioretto, esprimendo un estro geniale e inimitabile, ma è sempre costretto a scontrarsi con un destino drammatico. Un percorso sinusoidale che va dalle prime brillanti prove della Nazionale slava negli anni Cinquanta all’età dell’oro del decennio successivo, passa dalla talentuosa generazione balcanica che porta in cielo la Stella Rossa di Belgrado nel 1991 e culmina tragicamente nella disgregazione della Jugoslavia, che coincide con il beffardo Campionato Europeo del 1992. Ecco a voi quindi, i brasiliani d’Europa: romantiche e fantasiose vittime del tempo, sempre pronti a concepire e produrre gioco nella loro inebriante maniera, per soccombere poi agli umori del fato, a un passo dal paradiso. Mazzanti libri
Di angolo in angolo
di Pino Lazzaro – 395 pagine - €18,00
Storico nostro collaboratore, e per lungo tempo direttore proprio di questa rivista, Pino Lazzaro da molto tempo collabora con “Il Gazzettino” sul quale pubblica, ogni lunedi, una striscia settimanale intitolata “L’angolo”. Ogni volta ci racconta la “vita” e la passione di chi fa sport, non necessariamente quello che va sulle prime pagine dei giornali, ma quello meno conosciuto, quello di provincia, lontano dai riflettori ma pieno di sentimenti, di storie, di luoghi, di personaggi e dei loro aneddoti. Spesso sfumature di un pallone romantico, di valori ormai persi, di genuinità di sport vero, di calcio sporcato di fango e profumato d’erba. Quindici anni di racconti, ancora attualissimi, che sono diventati un libro che è quasi un romanzo tanta è la sensibilità col quale è scritto. Storie, rigorosamente viste dal basso, raccontate da un “artigiano della scrittura” che ama ancora scriverle prima a mano, perché la tecnologia spesso soffoca il lato romantico di ogni cosa. “Di angolo in angolo” è un viaggio attorno allo sport di tutti, famosi e non, trattati allo stesso modo, perché la passione e il “campo” regalano pari dignità a chiunque.
Bradipo Libri
Salvate il soldato pallone
di Niccolò Mello – 160 pagine - € 14,00
È il racconto di 11 coppie di calciatori che sono stati coinvolti nel dramma della Seconda Guerra Mondiale. Ognuna delle coppie è formata da calciatori che sono stati amici o compagni di squadra. Il libro racconta sia le loro imprese sportive che il loro legame con le vicende belliche. Alcuni di questi calciatori sono stati perseguitati e sono morti, molto spesso in un lager, altri hanno combattuto al fronte, altri ancora si sono dati alla fuga, uno addirittura si è trasformato in un efferato criminale al soldo dei nazisti. Un libro che dunque rievoca i 70 anni della fine della Seconda Guerra Mondiale attraverso storie calcistiche meno note e spesso dimenticate. 42
Elio e le Storie Tese
Figgata de Blanc Vincitori “morali” dell’ultimo festival di Sanremo, gli Elio e le Storie Tese tornano con un nuovo lavoro, “Figgata del Blanc” (con chiaro riferimento a “Reggata de Blanc” dei Police), decimo album di inediti. Mettiamo subito in chiaro una cosa. Elio e le Storie Tese sono una di quelle band che divide l’ascoltatore in due categorie: o si ama incondizionatamente, o si reputa semplicemente “esponente del rock demenziale” etichettandola così superficialmente come un gruppo che “più che far musica tenta di far ridere”. Facendo parte della prima categoria, e con tutto rispetto di chi invece fa parte della seconda, mi riesce davvero difficile comprendere come non si riesca a cogliere la bravura musicale (e non solo) degli Elii: ogni brano, ogni nota, ogni testo, racchiude un mondo, fatto di straordinarie citazioni, di ampia cultura musicale, di poliedrico talento, di geniale inventiva. Certo, qua e là ci scappa la parolaccia, ma il bello è proprio quello, la frase dissacrante che va ad impreziosire l’opera, il tema apparentemente banale (il bullismo, la manie di usare gli inglesismi, le donne che apprezzano un certo tipo di sesso, l’invasione dei cinesi, le terme come vacanza alternativa) musicato su basi stilisticamente perfette. “Ospiti” J-Ax e il compianto Francesco Di Giacomo (voce del Banco) che rivive nel brano “Bomba intelligente”.
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