Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – 70% NE/VI - Anno 46 - N. 01 Gennaio-Febbraio 2018 - Mensile
2018
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Gennaio Febbraio
Organo mensile dell’Associazione Italiana Calciatori
Calcio nel caos: FIGC commissariata
Quanti voti ha il cambiamento?
editoriale
di Damiano Tommasi
Commissariati Dovevamo girare pagina e l’abbiamo strappata! Devo ancora capire se la non-elezione del 29 gennaio sia stato il segnale di qualcosa da cambiare alla radice o il segno che la mancata qualificazione mondiale è solo la punta dell’iceberg. Forse entrambe le cose e su tutto si inserisce la classica italica tendenza al lamento condita da una campagna elettorale politica contro. Si mette quasi sempre la lente d’ingrandimento su ciò che non va e si trascura ciò che si può/deve fare. Anche nel nostro “piccolo” ambito federale abbiamo forse peccato di catastrofismo contagioso e, anzi, ne abbiamo aggiunto dell’altro? Certo che non si possono nascondere i fatti sotto il tappeto (mondiale fallito) ma in questi mesi ci siamo concentrati forse poco sulle belle cose che si potrebbero fare… solo a volerle. Stiamo vivendo ora un momento di pausa, di riflessione, di attesa. Sembra di essere nel bel mezzo di una tappa di montagna del giro d’Italia dopo il primo grande passo dove nessuno è riuscito a fare la differenza e si ritorna a compattare il gruppo. Tutti coperti dietro il commissario in attesa della prossima salita, quella che porterà all’ennesimo passo alpino da affrontare con fiato, risorse e voglia di arrivare lassù.
La bagarre delle ultime settimane e delle tante schede bianche ci ha forse insegnato qualcosa? Ironia della sorte il commissariamento CONI inizia al rallentatore. I commissari sono impegnati nelle Olimpiadi “della Pace”. Sì, dall’altra parte del mondo lo Sport si candida addirittura a Nobel per la Pace facendo gareggiare le due Coree con la stessa maglia! Chissà che i due commissari non prendano spunto dall’esperienza olimpica per mettere ordine dalle nostre parti. Dovranno fare quello che si sta cercando di fare a Vicenza. Il Lane, la storica città veneta ad un passo dalla scomparsa stile Modena, si è vista ripresa per i capelli e avviata all’ennesima procedura fallimentare del nostro calcio. Un curatore esterno che arriva, si dedica all’ordinario, rassicura dipendenti e tifosi, cerca di mettere le cose a posto e di rendere la società appetibile a chi ama il calcio e che possa essere attratto da questa realtà di prospettiva affascinante. Un po’ come la nostra Federazione, dopo un tonfo di sonore ripercussioni è arrivato, ahimè, un commissario esterno che dovrà rendere appetibile e affascinante il progetto azzurro. Già detto e ridetto, se le sconfitte insegnano possono anche diventare benedette sconfitte!
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Poste Italiane SpA – Spedizione
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primo piano di Damiano Tommasi Quanti voti ha il cambiamento?
serie B di Claudio Sottile Luca Valzania
serie B di Tommaso Franco Leonardo Morosini
scatti di Maurizio Borsari femminile di Pino Lazzaro Raffaella Manieri
l’intervista
14
di Pino Lazzaro
politicalcio di Fabio Appetiti calcio e legge di Stefano Sartori
Termine per il deposito dell’incentivo all’esodo Organo mensile dell’Associazione Italiana Calciatori
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calcio e legge di Stefano Sartori Proroga del tesseramento
primo piano di Nicola Bosio
“Calciatori sotto tiro”: IV Rapporto stagione 2016/17
regole del gioco di Pierpaolo Romani
Nessun posto è sicuro quando si finisce sotto tiro
amarcord di Vanni Zagnoli
Azeglio Vicini, il signore delle notti magiche
secondo tempo di Claudio Sottile Paolo Baldieri
io e il calcio di Pino Lazzaro Marco Lodadio
tempo libero
– 70% NE/VI - Anno 46 - N. 01 Gennaio-Febbraio
Organo mensile dell’Associaz
ione Italiana Calciatori
Gennaio Febbraio
editoriale di Damiano Tommasi
Dopo l’addio di Francesco Totti è lui il nuovo capitano della Roma: Daniele De Rossi si racconta tra presente, passato e… un futuro che si augura ancora sul prato verde, non certo in giacca e cravatta. E sulla maglia della Nazionale dice che…
in Abbonamento Postale
Calcio nel caos: FIGC commissariata
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sommario
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Gennaio Febbraio
Quanti voti ha il cambiam ento?
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2018 - Mensile
primo piano
di Damiano Tommasi
L’intervento di Tommasi all’Assemblea elettiva FIGC
Quanti voti ha il cambia Tre candidati e un commissario: sembra il titolo di una fiction, quella andata in onda lo scorso 29 gennaio a Roma in occasione dell’Assemblea elettiva FIGC. Non sono bastate tre votazioni per convergere su un nome, non sono serviti mesi di “contatti” per trovare un presidente, a nulla sono valsi “tradimenti”, “inciuci” ed “accordi surreali” dell’ultimo momento. Non ha vinto nessuno, o meglio hanno perso tutti… di sicuro ha perso il nostro calcio, l’ennesima occasione per dare inizio ad un vero cambiamento. Quel cambiamento che Damiano Tommasi, mettendosi a disposizione in prima persona, aveva auspicato per dare una risposta responsabilmente adeguata ai tanti “perché” del dopo “Italia-Svezia”, quello che nel suo programma e nel suo apprezzato discorso all’Assemblea aveva indicato chiaramente, con la “schiena dritta” da uomo di sport e con la forza di andare fino in fondo con inossidabile coerenza.
“Quanti voti hai? Questa è la frase che si è sentita per due mesi dopo Italia-Svezia. L’ho detta prima dei saluti perché credo che sia sintomatica di dove siamo… Quanti voti hai?… La nostra Federazione è riuscita a rispondere così ad una mancata qualificazione al Mondiale; questa è stata la risposta istituzionale nei nostri colloqui, lo è stata anche oggi, lo è stata ieri. Quanti voti hai?… io credo che la risposta debba essere un’altra. La mancata qualificazione è storica, purtroppo. Ci ha detto tante cose; ci ha detto che serve una risposta storica. I calciatori hanno deciso di candidarmi, io mi sono messo a disposizione perché volevo cercarla questa risposta, insieme a voi, ovviamente. Quanti voti ha il cambiamento, quanti voti ha la voglia di cambiare un trend che purtroppo viene da lontano. Noi il programma l’avevamo scritto all’indomani di Italia-Svezia. L’avevamo scritto come componente calciatori e calciatrici partendo dalle priorità, ci abbiamo aggiunto le cose realizzabili una volta decisa la candidatura, abbiamo tolto quelle irrealizzabili; il nostro programma è fatto di cose che si possono fare; secondo noi molte di quelle si devono fare e si devono fare per cambiare rotta, per cambiare quello che abbiamo oggi nelle nostre mani e nella nostra responsabilità che è l’andamento del nostro movimento. Nel mondo dilettante i problemi non sono il vincolo sportivo, i premi di preparazione, non sono legati all’obbligatorietà o ad altre norme. I problemi sono i giovani che smettono di giocare, le società che si devono fondere, i genitori che devono pagare perché i loro figli giochino, gli allenatori dilettanti che fanno la partita sul giovane della squadra avversaria; sono i giovani che escono dall’età obbligatoria e smettono di giocare. Sono le realtà territoriali che non vengono rappresentate, sono i tanti giovani che si dirigono verso gli enti di promozione e giocano a calcio. Anche quello è calcio, non c’è solo la FIGC ma noi come Federazione dobbiamo porci questa questione: cos’è che muove questo mondo dilettante e qual è la sua finalità? Questo dobbiamo chiedercelo e ce lo chiederemo. La Federazione dovrà chiederselo.
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iamento? Mi hanno detto che sono troppo sindacalista… io credo che un sindacalista non sarebbe qua oggi perché il sindacalista di solito non va al governo, non vuole andarci; il sindacalista sarebbe seduto su una di quelle sedie con la lista della spesa completa, facendo il vice Presidente forse, ricoprendo un altro ruolo e invece siamo qua. Siamo qui come calciatori, ed io personalmente, sono qui perché ho raccolto le lacrime di chi era a San Siro in mezzo al campo e voglio, vogliamo dare una risposta, anche a voi. Perché questa sala sembra chiusa ma è molto aperta, ci sono gli occhi di milioni di tifosi che non vedono l’ora che il club più seguito in Italia, che è la Nazionale, ritorni ad essere quella che è sempre stata. Credo che abbiamo un dovere nei confronti loro di essere responsabili, di far vedere che c’è voglia di cambiare, che c’è voglia di dare un’altra scossa a questo ambiente. E la scossa la danno le persone. Dicevo prima che nel nostro programma uno dei primi punti è proprio la vera svolta: abbiamo inserito l’abbattimento automatico dei contratti inserito nell’accordo collettivo in caso di retrocessione. È un passo gigante, i calciatori lo fanno se si sentono garantiti perché quel passo indietro vuol significare che il paracadute che oggi condiziona la competizione sottostante debba essere distribuito in un altro modo. Oggi si rischia di giocare a metà stagione solo per il paracadute, non si gioca per la classifica. Questo dobbiamo cambiare e una proposta che arrivi dai calciatori in questo senso significa che i calciatori sono pronti a prendersi il rischio di impresa. Ho sentito troppe volte dire che non siamo al Mondiale perché i calciatori in campo non hanno fatto quello che dovevano fare. Non ci siamo presi il Mondiale per colpa dei calciatori, vero. Abbiamo quattro stelle per colpa dei calciatori, che è altrettanto vero e credo che chi parla debba saperlo. Si vince e si perde insieme e si riparte insieme, si ricostruisce insieme. È stato detto che i calciatori sono contro la riduzione delle
Hanno scritto… Ci perdoni Gravina, ma gli italiani hanno altro a cui pensare. Scusarsi con loro perché non è stato eletto un presidente federale ci sembra francamente esagerato. E non siamo d’accordo nemmeno con Abete che parla di giorno triste peri tifosi e gli appassionati. Questo è il giorno più bello per la storia recente del calcio. Un vero trionfo che in qualche modo ripaga dalla vergognosa esclusione dal Mondiale perché ne è la diretta, naturale conseguenza. Anche se a distanza di troppo tempo. A dispetto di quanti, incuranti del ridicolo, hanno voluto continuare su una strada di presenzialismo e mediazioni ormai anacronistiche. E complimenti ai delegati che hanno convinto i loro rappresentanti a evitare inciuci e accordi tanto cari a Lotito. Basta con i pupari che credono di governare tutto: il calcio ha bisogno di riforme fondamentali e che nessuno pensi di poter intralciare il lavoro del commissario perché sarebbe insopportabile. Meglio di tutti ne esce Tommasi, che non è sceso a compromessi e ha mantenuto sempre una conduzione coerente. Sugli altri due candidati sorvoliamo soprattutto pensando alla ipotetica, terrificante intesa che si stava delineando in presenza del ballottaggio. Non ce ne vogliano Sibilla e Gravina, anche nel rispetto di chi rappresentano, ma il calcio ha bisogno di cure energiche e non di promesse davanti a un tramezzino. Paolo De Paola (Tuttosport) Meglio il commissariamento della Figc di un accordo al ribasso, fatto di spartizioni e poltrone. Tanto una terza via, normale, di leale assunzione di responsabilità e di un progetto condiviso da cui ripartire, questa classe dirigente qui non l'ha voluta mai imboccare. In queste settimane abbiamo purtroppo capito che il nostro calcio non solo non sa più vincere, ma non sa neanche perdere. Stefano Barigelli (Corriere dello sport)
Sarebbe ingeneroso addossare ai tre contendenti alla presidenza le responsabilità, anzi le irresponsabilità, di un intero movimento. Semplicemente ne rappresentano bene l’impotenza. Sibilia è un politico di lungo corso e come tale si è comportato sbagliando i calcoli e accompagnando nel disastro il suo grande elettore Lotito. Gravina, che nel lotto mi è parso il più preparato, ha pagato l’usura di una lunga presenza ai vertici. Tommasi, a cui va riconosciuta una pervicace coerenza, in realtà ha rinunciato a vincere e quindi a governare: può darsi che si sia guadagnato una posizione migliore nella partita a scacchi che seguirà ma non c'è sconfitta concreta (e di tutti) che possa essere trasformata in vittoria morale. Adesso palla al commissario. Andrea Monti (La Gazzetta dello sport) II calcio nudo alla meta. Colpe? Di tutti, forse. Ma dei calciatori più degli altri. Tommasi ha la possibilità di guidare il rinascimento, ma si ostina a voler andare avanti da solo sino al suicidio. La base gli aveva suggerito di accettare l’intesa con Gravina e un ticket con Ulivieri, Nicchi e i presidenti riformisti. Ma nella lunga tornata elettorale il sindacalista Aic non molla un centimetro. Va diritto nelle prime due votazioni e, a sorpresa, anche nella terza. Alessandro Bocci (Corriere della Sera) Perché Tommasi la sua partita l’ha giocata, ma è stata - nonostante i bei discorsi di presentazione improntati a un’innegabile senso di responsabilità - una gara tutta di catenaccio, senza provare minimamente ad arrivare a nobili compromessi in nome della governabilità: “o con me o contro di me”. Una posizione che ha fatto infuriare moltissimo i possibili alleati, ma anche osservatori più o meno esterni come l’ex presidente Figc Giancarlo Abete. Stefano Salandin (Tuttosport) Segue
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Hanno scritto… All’una il cavallo vincente era Gravina, alle quattro Tommasi, alle cinque Sibilia, e alle sei di nuovo Gravina con Sibilia vice. Alle sette della sera di un altro lunedì nero del calcio italiano, la sintesi l’ha trovata Gianni Rivera, mentre la hall dell’Hilton di Fiumicino si svuotava con in sottofondo il rumore dei trolley dei delegati: «Siamo riusciti a far peggio della squadra. Sembrava impossibile». Forse, serviva uno sforzo in più di una chiacchierata in ascensore, un pedinamento al buffet, una rincorsa nei corridoi, un invito di Lotito che come Fonzie radunava elettori in bagno, «venite nel mio ufficio», yeah. Questo è il regno del trasformismo: alla terza elezione in tre anni e mezzo, quarta in cinque anni, nessuno ha avuto gli stessi alleati per due volte di fila. Gli stracci erano volati sin dalle dichiarazioni di voto, quando Sibilia ha attaccato Ulivieri («Parla di coerenza, ma era insieme a me e Nicchi a sostenere Tavecchio…») e Tommasi ha avvisato: «Sono qui per fare il presidente, non l’ago della bilancia». Tre candidati non si vedevano da 22 anni: pure allora si finì col commissario. Concordi sull’opportunità di fare squadra, ma ostinati a volere la presidenza. Perciò, in 77 giorni da Italia-Svezia, non si è cucita una maggioranza neanche per sbaglio. Gravina, forte dell’appoggio di arbitri, allenatori, mezza A e mezza B, era convinto che prima o poi i calciatori si sarebbero accodati. Tommasi, invece, è stato coerente e cocciuto: il più brillante in assemblea («Questo mondo non ci è lasciato in eredità dai nostri padri ma lo abbiamo in prestito dai nostri figli»), ha inchiodato Tavecchio per non essersi presentato a parlare dopo l’eliminazione. Fiutato il vento, Sibilia ha ragionato su un’alleanza last minute con Damiano per issarlo alla presidenza alla terza votazione, utopia rivoluzionaria. Ma già un’ora dopo scuoteva il capo: «Niente, i miei delegati non lo vogliono votare». Francesco Saverio Intorcia (Repubblica) 8
Erano partiti in tre, nessuno è arrivato al traguardo per uno spettacolo che lascia in campo solo macerie. «Non farò l’ago della bilancia…», il messaggio consegnato da Tommasi ad un platea di elettori divisi e distanti fra loro. E il sindacalista del nostro calcio si è tenuto il suo 20 per cento dentro al fortino della sua componente, accerchiata nel momento del duello finale alla quarta votazione. Tommasi non ha scelto. O, meglio, ha scelto di non allearsi. Avrebbe dovuto farlo con Gravina ma, per Gravina, non ha mantenuto fede alle promesse e così il castello è crollato. «Ora voglio vedere se scriverete che siamo stati coerenti fino alla fine. E che abbiamo rifiutato ogni tipo di accordo», dirà lo stesso Tommasi quando tutto è andato. Nessuno mette in discussione la coerenza di chi ha deciso di candidarsi per rimarcare la propria differenza dopo un naufragio mondiale vissuto, comunque, da protagonisti. Ma se il peso che ti accompagna dentro l’urna non può arricchirsi, forse sarebbe stato meglio cercare, fin dal primo momento, una forma di intesa per chiudere il cerchio e non correre solo per un nuovo Aventino. Guglielmo Buccheri (La Stampa) Gravina, Sibilia e pure Tommasi, cavaliere bianco non disposto a mercanteggiare il suo venti per cento in nome di una forza che i giocatori, padri - non dimentichiamolo - del patatrac mondiale, non avrebbero mai potuto avere: nessuno di loro, sarebbe riuscito a tirare fuori dalle secche il calcio. Non ne avevano la forza (appunto, Tommasi), l’appeal (Sibilia), il profilo (Gravina). Spazzati via allora. Loro e i registi occulti. Spazzato via Claudio Lotito che fuori dalla porta dopo le dimissioni di Tavecchio (chi era costui?), aveva ripreso il suo vecchio ruolo di burattinaio per rientrare dalla finestra. E invece gli hanno tagliato i fili e non c’è riuscito. Paolo Brusorio (La Stampa) Segue
squadre: non è vero. Nel mio programma ce ne sono almeno due elementi che porteranno forse alla riduzione dell’area professionisti: uno è quello delle seconde squadre (tranquillizzo Balata, l’idea non è quella di metterle nella serie B). Forse qualcuno perché sente dire “squadre B” pensa che siano in B. Quello delle seconde squadre è un progetto tecnico, un progetto sportivo. Italia-Spagna Under 19: abbiamo perso 2-0 ma non abbiamo perso 2-0. Abbiamo perso 230 a 28 che sono le presenze dei ragazzi spagnoli nel professionismo rispetto alle nostre. I nostri ragazzi dell’Under 19 avevano zero presenze in Lega Pro. Ripeto, gli spagnoli under 19, contavano 230 partite nei professionisti. Non so se siano più bravi ma di sicuro sono più avanti nella formazione. Le seconde squadre vogliono essere questo. Le seconde squadre inserite in un campionato di Lega Pro faranno sì che le risorse si ridistribuiranno in meno squadre, significherà aumentare la contribuzione alle singole squadre. Quello delle seconde squadre non è un progetto che scriverò io, lo scriveremo insieme con Balata, con la Lega di B, con la Lega Pro, con le società interessate a portarlo avanti perché un regolamento fatto da me o dalla FIGC che non sposi le esigenze di chi poi lo deve mettere in pratica, è già morto in partenza. E questo sarà e dovrà essere la nuova Federazione. Quella che se ha un progetto lo condivide con chi lo deve portare avanti cercando di convincere, ovviamente, perché altrimenti non andiamo da nessuna parte.
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Umberto (Calcagno) ha accennato l’altro aspetto che riguarda la riduzione dell’area professionisti che è la riduzione del numero delle squadre. Ho detto delle seconde squadre… non voglio fare un torto a nessuno ma Renate-Gubbio ha significato per il Gubbio 75 euro di incasso. Le seconde squadre hanno anche questa finalità, quella di aumentare gli introiti della categoria, di aumentarne l’appeal, di aumentare quel mercato dei giovani che oggi nessuna squadra importante di Serie A andrà a pescare in Lega Pro. Domani sarà costretta a pescare in Lega Pro se vorrà costruire una seconda squadra competitiva. Le seconde squadre ci permetteranno di mettere il limite d’età, permetteranno di mettere il limite dei selezionabili, permetterà di dare alle squadre impegnate in Europa un bacino di ragazzi pronti per intervenire. In questo momento della stagione gli infortuni condizionano il campionato. Le seconde squadre permetteranno questo. Le regole di accesso sono quelle. L’anno scorso il Lumezzane è retrocesso per un punto. La Maceratese gli ha “rubato” quattro punti in campionato, non si è iscritta al campionato e il Lumezzane è rimasto fuori dalla competizione di Lega Pro. Non va bene! Perché se il Lumezzane ha un imprenditore serio, significa che prima o poi essendo serio andrà via dal nostro mondo. E non può essere così con il Modena che inizia il campionato e non lo finisce. E i primi a non volerlo sono i calciatori che vanno in campo. Parlo oggi da candidato Presidente: la Federazione non
se lo può permettere quindi va bene se sono di meno ma devono essere sane. Più sane sono, più imprenditori sani attiriamo. È stato detto bene, la giustizia sportiva va riformata… ci devono mettere le mani, ci dobbiamo mettere le mani. Le sentenze che arrivano in ritardo, le sentenze che non vanno nella direzione che pensiamo ovviamente sono un punto interrogativo. Dobbiamo fare una riflessione, e la faremo a prescindere dal ruolo che avrò in Federazione. I pesi elettorali: nella mia famiglia siamo in 8, il mio peso elettorale è quasi nullo ma se io sono assente, litigo con mia moglie, non ci sono… i miei figli sono autorizzati a fare quello che credono. Riconoscono in me la leadership. Oggi siamo come in calcio d’angolo (a chi è capitato di battere un calcio d’angolo)… a me molte volte è capitato di dover ricorrere un avversario perché i due nostri uomini di punta stavano litigando su chi dei due aveva sbagliato. Prendiamo gol, prendiamo gol se ci fermiamo a litigare. L’ha detto il Coni, abbiamo 20 giorni per sistemare la Serie A. Io non voglio fare la morale a nessuno ma dico che prendiamo gol, dobbiamo correre indietro, dobbiamo sentirci la stessa maglia…! Se non ce l’abbiamo, dove andiamo come Federazione? I pesi elettorali quindi non sono un problema, il problema è la credibilità che diamo ai nostri pesi elettorali. Attenzione, anche i miei figli non possono abusare della loro maggioranza, perché se decidono di andare a Gardaland poi devono passare da me. E quindi anche chi ha il 34% deve
saperlo usare, deve essere responsabile, non deve farlo pesare. Nel programma ci sono tutti gli altri aspetti: il Club Italia, organizzato come un club, una società. Dobbiamo dare l’impressione di essere la società migliore che c’è in Italia, quella che ha più tifosi, quella che ha più responsabilità, che può permettersi di avere i migliori perché li sceglie ma dovrà scegliere i migliori non solo per il campo, anche per gli staff tecnici, per gli amministrativi, per i dirigenti. La Nazionale i calciatori se la conquistano sul campo, è l’apoteosi della meritocrazia. Dovrà essere così anche negli altri ambiti; i fisioterapisti, i magazzinieri, tutti. Dovranno essere i migliori e io mi auguro di creare una Federazione di questo tipo. Il calcio femminile dovrà avere una spina dorsale unica, federale, se vogliamo crescere. Non se vogliamo accontentarci… I centri federali dovranno migliorare in qualità non in quantità. Allenatori: ogni squadra dovrà avere un allenatore, non dobbiamo aver paura di aprirci al sistema scolastico, al sistema dell’università. Anche lì possiamo formare i nostri tecnici. Dobbiamo aprire il campo perché i nostri bambini stanno con gli adulti e l’adulto che non sa stare con un bambino fa i danni. E questo, partendo dal basso. Il beach-soccer, il calcio a 5: domani iniziano gli Europei, abbiamo una grande scuola, dobbiamo crederci e avranno spazio, avremo spazio. Quindi, in sostanza, qual è la FIGC che vogliamo, che voglio? Innanzitutto mi piacerebbe avere una FIGC di uomini e donne con la schiena dritta, che sappiano guardare negli occhi. Purtroppo, troppo spesso in queste settimane non mi sono guardato negli occhi con tutti perché non si regge lo sguardo se non si ha la schiena dritta… E io vorrei una Federazione così, una Federazione che non abbia l’ossessione di fare utili perché la Federazione non deve fare utili, non deve neanche andare in perdita ma ogni euro di utile è un euro in meno che abbiamo investito nel nostro calcio. Mi è sempre stato detto “non possiamo pensare solo al campo”. Non ho detto che il 9
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Hanno scritto… Niente presidente Figc, niente c.t., niente presidente di Lega: il calcio italiano ha finalmente trovato il modo di non fare cretinate. Gene Gnocchi (La Gazzetta dello sport) La posizione dei Calciatori, nonostante le avance degli altri — Gravina e Ulivieri ci hanno provato per un mese, Sibilia è tornato alla carica ieri pomeriggio — è rimasta sempre la stessa: gli altri avrebbero dovuto convergere su Tommasi presidente, altrimenti non se ne sarebbe fatto nulla. Così è stato, non senza conflitti interni però. Non è un mistero, infatti, che una buona fetta dei 52 delegati Aic tifava per un accordo con Gravina e Ulivieri, benedetta anche da una certa parte politica, mentre alcuni tra i più stretti collaboratori di Tommasi non avrebbero disdegnato un’alleanza nemmeno con Sibilia. Ipotesi cui ieri ha lavorato anche Lotito, ma questo patto col diavolo è risultato indigeribile a tutti i delegati. Dunque, schiena dritta, niente inciuci, meglio finire commissariati. Un’ipotesi che peraltro Tommasi non aveva escluso. Alessandro Catapano (La Gazzetta dello sport) Alla fine di una giornata in cui il calcio italiano ha perso definitivamente la faccia, creando una cesura senza precedenti con l’opinione pubblica, Damiano Tommasi rimane senza voce ma con la coscienza a posto. E non semplicemente perché il suo discorso da candidato a presidente della Figc è stato il più coinvolgente, e il meno scontato, tra quelli ascoltati nell’assemblea elettiva di Fiumicino. Chi non conosce bene l’«anima candida», che anima candida poi non è, sarà rimasto stupito, e per certi versi infastidito, dalla caparbietà del suo comportamento - andare da solo fino alla fine, anche a costo di giocarsi la partita del governo. Una fedeltà cieca alla coerenza, e fa niente se manca un senso politico in tutto ciò. I calciatori, con il loro 20%, han10
no dapprima rotto gli schemi della campagna elettorale post Italia-Svezia decidendo di scendere in campo per guidare il cambiamento, e poi hanno resistito a qualsiasi tentazione rifiutando alleanze con Gravina e Sibilia, con conseguenti poltrone e strapuntini, dalla vicepresidenza federale alla gestione del Club Italia al ruolo di direttore generale che è di Michele Uva. Marco Iaria (La Gazzetta dello sport) Molto stupore ho registrato fra gli spettatori dell’ultima farsa pallonara, insieme al livido disappunto dei due non eletti… di rango. Non Tommasi che fin dall’inizio era parso più spettatore che protagonista. Eppure è stato lui il primo ad aprire la strada verso il commissariamento annunciando la mitica scheda bianca; e a giochi…non fatti bisogna dargli atto di avere provocato l'unica soluzione possibile. Italo Cucci (Nazione – Carlino – Giorno) Damiano Tommasi, capo del sindacato calciatori, è stato il granello di sabbia che ha bloccato l’elezione di ieri. Toccherà anche a lui indicare qualche personalità che contribuisca a uscire dal tunnel nel quale il calcio si è infilato anche per sua responsabilità, avendo rifiutato ogni tipo di accordo offerto da Gravina e Sibilia, fedele forse al patto d’onore sottoscritto con Malagò e il ministro Lotti. Vediamo di che pasta sono fatti questi eterni brontoloni. Vediamo di cosa sono capaci certi grandi ex bravissimi nel promuoversi con il contributo di una telecamera. Avanti c’è posto. Franco Ordine (Il Giornale) Ce l’hanno tutti con lui, con l’ex calciatore che ora guida l’Aic. «Ce lo poteva dire che stava aspettando che qualche uccellino lo imbeccasse…», dirà Nicchi, il presidente degli arbitri parlando ad alta voce. Perché tutti sentano. L’uccellino in questione Segue
campo è l’unica cosa importante, è fondamentale anche saper fare i conti. Deve essere tutto al servizio del progetto sportivo. Al servizio del progetto sportivo significa che l’obiettivo, prima della candidatura ad Euro 2028 deve essere vincere sul campo Euro 2020. L’obiettivo non deve essere quello della Federazione, di esultare perché gli assegnano la partita di apertura; va bene anche quello, ma l’obiettivo principale è di vincere quella partita in campo. Ed è giusto che ci siano tutte e due le componenti; credo che questo sia stato l’errore negli ultimi anni: non aver valorizzato quello che è il nostro dovere: formare una Nazionale competitiva, formare dei giovani che sappiano giocare a calcio, aumentare il numero dei tesserati, aumentare il numero delle società che vogliono fare calcio in questa famiglia che siamo noi. E attenzione, abbiamo un obbligo, una grande responsabilità: come ho detto prima, questa mura non sono chiuse, sono aperte; là fuori si aspetta un cambiamento, si aspetta un cambio di marcia, si aspetta un segnale e noi abbiamo questa responsabilità. C’è una bellissima frase che è scritta sul muro della scuola di mio figlio: questo mondo non l’abbiamo ereditato dai nostri padri, ma lo abbiamo in prestito dai nostri figli. Aumenta ancora la responsabilità ma non ci fa sentire padroni. Aumenta la nostra responsabilità. Io girerò per strada domani mattina, voi girerete
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Hanno scritto…
per strada… a voi verrà chiesto cosa avete cambiato del calcio. I calciatori hanno voluto la mia candidatura per questo. In questa campagna elettorale mi hanno dato anche del 5 stelle. Io lascio fuori la politica; la nuova Federazione dovrà essere quella della quinta stella, dovrà puntare ad averla la quinta stella e lasciar fuori ogni discorso di politica da questa campagna elettorale e da queste elezioni. Ci riusciremo? Non lo so. Io vorrei che la prossima Federazione avesse la schiena dritta per presentarsi in sala stampa dopo Italia-Svezia, la cosa che è mancata a questa Federazione: metterci la faccia. Io mi auguro che la prossima Federazione abbia questo, abbia l’appeal di attirare chi ha la ma-
è chiaramente Malagò, per tutti il regista ombra. Perché tutti hanno chiaro il piano di Tommasi. Tutti tranne lo stesso Tommasi. «Non mi pento di aver detto no a Gravina e Sibilia, ho fatto bene. Perché nessuno dei due mi ha offerto l’unica cosa che volevo: la presidenza della Federcalcio». Ha attorno a sé i suoi fedelissimi (Ulivieri si è sfilato da un paio di giorni) che passeggiano soddisfatti. «Finalmente hanno capito che abbiamo le palle», brontola uno di loro parlando al telefono a camminando alle spalle di Tommasi. Il pomeriggio dei lunghi coltelli ormai vira verso sera. «Ho dovuto dare un esempio di coerenza a un mondo che questa parola non conosce», dice il capo dei calciatori. La base sembrava essere tentata ad andare con Gravina, sotto la guida di Chiellini e Montolivo. A Fiumicino, però, lo zoccolo duro, ha tenuto duro. Tant’è che il 59,09 per cento delle schede bianche che sancisce il crollo della Federcalcio è praticamente il totale dei voti di Sibilia e Tommasi al terzo turno. Pino Taormina (Il Mattino) Litigiosi, irrecuperabili, riunioni carbonare e goffi tentativi di accordi, retromarce e accuse. L’eccezione, forse, è quel Damiano Tommasi che ha rifiutato a più riprese di «patteggiare» e di trasformarsi, dunque, solo in un ago della bilancia. Fabrizio Nitti (La Gazzetta del Mezzogiorno)
«Quanti voti hai?». Aveva scelto di cominciare cosi il suo discorso, per scuotere dal torpore il popolo del calcio, abituato in questi consessi a parlare solo di percentuali, di scambi di favori, di concessioni, di ruoli, di compiti, di poltrone. «Io sono candidato a presidente della Federcalcio, non sono candidato a ago della bilancia». E così aveva chiuso i 16 minuti del suo lucidissimo discorso in cui si è parlato di bambini, di genitori in difficoltà, di allenatori dei settori giovanili che preparano la partita sugli avversari, di schiene dritte e occhi fieri, di seconde squadre e di abbattimento di contratti, di giustizia sportiva e di club Italia, di Europei di calcio da vincere e non solo da organizzare, di sport e non di soldi. Un discorso meraviglioso, a dipingere una Federcalcio bellissima, nuova, innovativa, aperta al futuro, con il calcio esattamente al centro. Non gli hanno permesso di diventare presidente. ma guarda caso tutti avrebbero volentieri voluto il gigante al proprio fianco: «Mi hanno detto che non posso essere presidente perché sono un sindacalista. Se fosse così, oggi sarei qui con la lista della spesa». Avrebbe avuto tutto: vicepresidenze vicarie, club Italia, prebende, concessioni. Pensavano che si piegasse, che si ingolosisse, che fosse come gli altri. Invece no. Lui è il gigante. Lui è Damiano Tommasi. Il nostro presidente. Vincenzo Mulè (Il Romanista)
Non ce l’ha fatta Sibilia, senatore di Forza Italia prestato a controllare il vasto bacino elettorale della Lega Dilettanti, né Gravina, presidente di quella Lega Pro dove falliscono società a ripetizione, ultime in ordine di tempo il Modena e il Vicenza, né tantomeno Tommasi, il Don Abbondio a capo del sindacato calciatori che a un certo punto sembrava disposto ad accettare qualsiasi alleanza pur di diventare presidente. Luca Pisapia (Il Manifesto)
Incapaci. Non solo di decidere, ma soprattutto di cambiare. Di trovare la forza, la dignità, di voltare pagina dopo i disastri combinati negli ultimi anni culminati nell’eliminazione, tanto clamorosa quanto dolorosa, dell’Italia dal prossimo mondiale in Russia. Il calcio italiano, specchio della politica e quindi del Paese, non sa far di meglio. Non riesce a trovare un nuovo capo in grado di portare il movimento fuori dalle sabbie mobili della burocrazia, del politically «uncorrect», delle teoSegue
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primo piano
Hanno scritto… rie tutte italiane sugli amici degli amici. Dice: ha perso Sibilia, no ha perso Gravina, macché il vero sconfitto è Tommasi. Tutto vero, tutto falso e schede bianche a pioggia: protesta? Autocritica? Tafazzismo? Alla fine hanno perso tutti (anche il purista Tommasi che non si è mai alleato con nessuno, ma che evidentemente non ha convinto nessuno), a nulla sono serviti i mesi di tentativi di alleanze per certi versi imbarazzanti, di veti e contro veti. Tutti da una parte, poi tutti dall’altra a sostenere il contrario di quanto fatto fino a pochi minuti prima. Insomma, politica «vera» applicata al calcio. Tiziano Carmellini (Il Tempo) Calcio commissariato al termine di un’ennesima giornata surreale e avvilente. II sistema calcio scrive un altro capitolo nel suo ormai più che decennale processo di arretramento, imbarbarimento, deperimento (sportivo, morale, economico). La politica calcistica italiana, come la politica e basta, in un vortice al ribasso di personaggi e contenuti: nelle stanze del pallone soffia sempre più il vento della mediocrità. Almeno un barlume di cambiamento culturale con la candidatura di Damiano Tommasi, un po’ più “alternativo” di Demetrio Albertini, il grande sconfitto da Tavecchio nel 2014. Il numero 1 Aic ha resistito fino alla scheda bianca al ballottaggio. Momento culmine di un ulteriore pessimo spettacolo del potere calcistico, alla ricerca (per molti solo simulata) di impossibili intese per evitare il commissariamento più volte ventilato dal Coni del presidente Malagò. Mauro Casaccia (Il Secolo XIX) Al sesto piano, intanto, l’Associazione Calciatori sembrava una scolaresca. II prof Damiano Tommasi a un certo punto si chiude nell’aula coi suoi (Capuano, l’ex portiere Pelizzoli e altri) e pensi possa fargli un cazziatone: tutti con scarpe da ginnastica, zero cravatte. Falso allarme: «L’abito non 12
fa il monaco - sorride uno svincolato - ci ha illustrato i piani per il voto». Cosa farete? «Se non eleggiamo lui, non appoggiamo nessuno». Detto fatto. Va proprio così. Dario Freccero (Il Secolo XIX) L’ultima giornata di trattative è stata la rappresentazione plastica di un potere tribale, con il capo degli allenatori Renzo Ulivieri che nel cuore della notte ha cambiato fronte in extremis passando con Gabriele Gravina e mandando a quel paese il candidato che aveva deciso di appoggiare, il presidente dei calciatori, Damiano Tommasi, la persona migliore di questa storia e proprio per questo osteggiata dagli altri. Ulivieri, del resto, ai voltafaccia ci è abituato: all’epoca della prima elezione di Tavecchio, nel 2014, si era incatenato in segno di protesta per poi diventarne il vice tre anni dopo all’elezione bis. Stefano Tamburini (Gazzetta di Mantova) Hanno perso tutti. Ha perso Damiano Tommasi, il sindacalista dei calciatori, che secondo programma avrebbe dovuto fare un passo indietro sull’uscio ma si è irrigidito quando il suo alleato del momento, Renzo Ulivieri (rappresentante degli allenatori), ha sbandierato ai quattro venti: «Noi voteremo Gravina». L’ex calciatore della Roma si è sentito delegittimato, ha rotto il patto e ha proseguito la corsa da solo, non andando mai oltre il 20% dei consensi. Ulivieri, che si definisce leninista nel 2018 e si è fatto fotografare con il pugno chiuso a Manhattan davanti alla Trump tower, non è mai stato un diplomatico. Nonostante gli abboccamenti con Tavecchio non avrebbe mai votato Cosimo Sibilia, senatore di Forza Italia. Ha perso pure lui. Giorgio Arnaboldi (La Verità)
glia azzurra come una seconda pelle e magari ha smesso da qualche anno. Io mi auguro che insieme riusciremo a costruire questa Federazione. Concludo dicendo che io oggi sono candidato a Presidente Federale, non sono candidato ad ago della bilancia. Grazie
In FIGC e in Lega di Serie A
Via al commissariamento La giunta esecutiva del CONI ha nominato Roberto Fabbricini commissario straordinario per traghettare la Federcalcio oltre la crisi dopo la mancata elezione del presidente federale. Alessandro Costacurta e Angelo Clarizia sono i due subcomissari che lo affiancheranno per un periodo di sei mesi. Completano la squadra Massimo Proto e Alberto De Nigro. Il primo atto ufficiale di Fabbricini da commissario della Federcalcio è stata la nomina di Giovanni Malagò a commissario della Lega di Serie A insieme a Paolo Nicoletti e Bernardo Corradi. Roberto Fabbricini è il settimo commissario nella storia della FIGC dopo Bruno Zauli (1958), Franco Carraro (1986), Raffaele Pagnozzi (1996), Gianni Petrucci (2000), Luca Pancalli (2066) e Guido Rossi (2006).
primo piano
Hanno detto Il Consiglio Direttivo della Lega Nazionale Dilettanti, su mia proposta, per il bene del calcio aveva fatto un passo indietro riconoscendo a Gravina la presidenza della Figc. Ci siamo incontrati alla presenza di altre persone, dopo di che non ho avuto nemmeno una risposta se non una telefonata di Gravina - ribadisco, e sottolineo, una telefonata - nella quale egli mi diceva che non si poteva fare questo accordo. Ovviamente su questo non ci sto e, quindi, sono andato davanti all’Assemblea facendo una dichiarazione nella quale chiedevo ai delegati della Lega Dilettanti di votare scheda bianca. Abbiamo fatto tutti i tentativi per fare un accordo per avere una larga condivisione, era un accordo con Gravina presidente. Evidentemente all’interno hanno avuto problemi, ma questo sta a significare quanto noi siamo stati responsabili. Un giorno triste per il calcio? Posso solo dire di aver agito per il bene del movimento, nonostante fossi in vantaggio nelle votazioni che si sono tenute fin qui. I Dilettanti pesano troppo? Mi sono stufato di sentirlo dire, rappresentiamo 60mila società, siamo il calcio vissuto nella sua essenza sociale.
Il no a Sibilia per la presidenza? Da sempre ho lavorato per fare il Presidente federale, e investito tutte le mie energie, quindi aver detto di no a questa proposta è un punto a mio favore, non a mio sfavore. Io ho una mia dignità, una mia coerenza che ho messo a disposizione del mondo del calcio in questi anni. Pensare di rinnegarla per il solo fatto di diventare Presidente della Figc non fa parte del mio modo di interpretare le regole del gioco. Mi dispiace, e per questo chiedo scusa a tutti coloro che erano presenti e a tutti gli italiani. La partita doveva essere giocata e doveva essere giocata fino in fondo. Invece qualcuno mentre si stava giocando ha tolto il pallone dal campo. Sibilia ha dato disposizioni agganciandosi a quello che era l’idea dei calciatori di votare scheda bianca. È evidente che non c’è stata più partita. Non stiamo a parlare di proposte di accordo, che definisco volgare: non potevo accettare la presidenza, a dispetto di un progetto, di una squadra, di un pacchetto di voti che va oltre la Lega Pro. Non è la sconfitta del calcio italiano, ma la certificazione della sconfitta di una classe dirigente.
Nessun accordo con Gravina e Sibilia? Gli accordi si potevano trovare ma il presupposto era la mia presidenza, non per un motivo personale ma semplicemente perché pensiamo che il cambiamento debba passare solo attraverso una scelta coraggiosa. All’ultima votazione abbiamo deciso di votare scheda bianca prima di sapere cosa avrebbero fatto gli altri due candidati, perché comunque per noi il cambiamento non poteva venire con le logiche con cui siamo arrivati a questa Assemblea. Una sconfitta per il calcio italiano? È la fotografia del nostro momento. Stiamo soffrendo da un punto di vista sportivo e ancora di più da quello istituzionale. Ci prendiamo le nostre responsabilità perché non siamo riusciti a convincere gli altri che si poteva iniziare un percorso di cambiamento. Questa è una sconfitta perché dobbiamo iniziare dalla pagina numero 1 per costruire. Tante cose che sono state fatte fino adesso sono andate bene, molte altre dobbiamo farle. Ora il commissariamento ci costringe a fare una riflessione profonda. Vittoria di Malagò? Non credo che Malagò esulti quando commissaria una Federazione, soprattutto se è la Federcalcio.
Cosimo Sibilia (Presidente LND)
Gabriele Gravina (Presidente Lega Pro)
Damiano Tommasi (Presidente AIC)
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l’intervista
di Pino Lazzaro
Daniele De Rossi, centrocampista della Roma
Capitan… presente “No, non so dirti perché il calcio quella volta, proprio da bambino, certo ha voluto dire che c’era mio padre che faceva allora il calciatore, normale che lo seguissi. E poi il pallone c’era sempre anche tra i miei amici, sempre lo stesso il percorso. Parlo di Ostia, io sono da lì, allora non era ancora una grande città com’è adesso. Un posto quello che mi ha accompagnato, che mi è rimasto dentro, non è che si andasse spesso poi a Roma. Per tutto quello che è venuto fuori adesso, mi dispiace proprio tanto. Io non ci vivo più, ma ci vivono i miei e magari potrei passare per omertoso, per quello che non vuole dire, ma certo non me ne sono mai reso conto del tutto. Chiaro, problemi ce n’erano, per niente è stata commissariata, però non posso non pensare che me ne sarei dovuto almeno accorgere se tutto s’era ridotto come adesso è saltato fuori, no? A Ostia ci sono rimasto fin che avevo 21 anni e ci sono poi tornato per un po’ dopo che m’ero separato. Ora abito in centro a Roma e mi piace proprio dove sto. Lo dico sempre anche ai miei compagni, è davvero un peccato non approfittare di avere tutto quello che puoi avere lì in centro, quanto bello è, lì sì sei proprio… a Roma. Mi rendo conto che non è facile, che di gente ce n’è tanta e dunque ci sono più possibilità che ti lascino anche meno stare eccetera, però quanto si perdono”. “Lì a Ostia non è poi che ci fossero tanti campetti, anzi. Però avevamo le pinete, così le porte le facevamo con dei pezzi di tronchi o magari con un albero e l’altro palo era uno zaino. Non sempre avevamo il pallone ma andava bene pure una pigna, ricoperta di carta e con un po’ di scotch, così non ci facevamo male ai pie-
di. Era quello il nostro stadio, poco lontano da scuola, da mia nonna, là giocavamo. E poi c’è il mare, così c’era la spiaggia, quando non era stagione, giocavamo lì e così facevamo ‘beach soccer’, come si dice adesso. Con la scuola calcio ho cominciato che avevo sui 5-6 anni, con l’Ostia Mare; un anno siamo stati poi a Sarzana, c’era mio padre che era andato in C con la Sarzanese, anche lì ho fatto il settore giovanile, per tornare poi a Ostia (mio padre aveva deciso di andarci, facevano allora la Serie D). Lo capisco meglio adesso quanto abbia voluto dire aver cominciato avendo dei bravi insegnanti, che hanno dedicato tempo a far tecnica, a farci proprio giocare. Non come tanti di adesso che parlano subito ai bambini di diagonali e raddoppi e vogliono vincere per portare la targa al bar. È stato dunque per me un buon avvio, con gente perbene: sono stati loro che mi hanno fatto così benvolere quel che facevo e chissà cosa avrebbe voluto dire se magari ne incontravo altri, diversi, che non mi avessero stimolato a continuare, chissà. Tra l’altro l’Ostia Mare a livello giovanile ha sempre avuto una fama di qualità, credo l’abbia tuttora”. “Come detto, con la Sarzanese ci sono stato un anno e anche lì mi sono trovato bene e quel che più ricordo è come fosse educata la gente, tutte persone a modo, questo m’è rimasto impresso. Avevo poi 9 anni quando mi prese la Roma ma io non ci andai, non volli farlo, quel che volevo era stare con i miei amici, un qualcosa questo che ancora ho, non se n’è andato. L’anno dopo però ci volevo andare, ma fu la Roma che quella volta decise di non prendermi e ci stetti male. Guarda che giocavo proprio in tutto un altro modo di
adesso, un po’ un trequartista, quello che aveva dei colpi insomma, il 9 di maglia. Alla Roma così andai che avevo 12 anni, anche un po’ spaventato, ma m’intrigava sta cosa. A spiegarmi un po’ le cose ci pensò mio padre, lì a dirmi che dov’ero ero il più forte, ma che alla Roma li avrei trovati tutti forti, che mi preparassi. Sono così andato, pronto ad accettare quel che veniva, non avevo né sogni, né pretese, tipo io in panchina non ci voglio stare eccetera. In effetti giocavo poco, specie i primi anni. Ricordo che in qualche torneo importante, nemmeno venivo convocato e questo è stato doloroso la sua parte; mio padre a dirmi di non mollare, io che me ne sarei anche tornato all’Ostia Mare, ma c’era anche il fatto che mi trovavo bene con i miei compagnetti della Roma”. “La scuola la facevo a Ostia e dato che i miei lavoravano, a pranzo andavo sempre da mia nonna, che mi dava pure un panino per dopo l’allenamento. A turno c’erano dei genitori a portarci e questo è andato avanti sino ai 18-19 anni, avevo già un contrattino, che era comunque già più di quel che uno prende a lavorare normalmente, dai. Ho preso la patente e la mia prima macchina, una Classe A, quanto l’ho amata e mi fa un po’ specie adesso pensare che era col cambio manuale. Ricordo che s’andava a vedere le partite al Flaminio, lo stavano rifacendo l’Olimpico. Mi piaceva andarci, mi appassionava: così vicini al campo, vederli proprio lì, me li ricordo ancora, specie Giannini e Völler, il mio idolo”.
“No, a scuola non ero bravo, ma non ero nemmeno di quelli che dicono che fa schifo. Tutto sommato mi annoiavo, “Sul pullman della Svezia le cose sono andate così. Sotto lì allo stadio, nei anche se c’era sempre parcheggi: con degli amici avevamo organizzato qualcosa, si pensava di fe- qualcosa che mi piacesteggiare e invece niente. Ero insomma poco lontano dal loro pullman, un va di più. Avevo scelto in bocca al lupo con chi di loro passava, ste cose qui; poi un altro, all’andata un liceo linguistico, adesso vedo c’eravamo scambiati qualche legnata, qualche parola di troppo e sai com’è, anche che era stata una buoscusa di qui e scusa di là, mi sono avvicinato e sono salito: ho fatto loro i na scelta, a quanto complimenti. E non c’è alcuna medaglia al valore, no”. servono le lingue,
Nessuna medaglia al valore, grazie
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l’intervista
mentre l’algebra, per dire, non vedevo come mi potesse servire. Però non sono riuscito a finire, in prima superiore sono stato anche bocciato, poi ho continuato ma a 16-17 anni ero già con la prima squadra, troppe assenze. Ho provato pure con una scuola privata ma anche lì m’hanno fatto notare che non c’ero quasi mai e così ho proprio smesso. Sto fatto di non avere il diploma è un qualcosa che ha cominciato a darmi fastidio nel tempo, non subito e ora un po’ mi rode. Ricordo che a casa quella mia bocciatura fu una specie di dramma, specie per mio padre. Lui, sempre il primo a starmi vicino quando mi capita di fare una stupidata, ci rimase proprio malissimo”. “È stato verso gli Allievi nazionali che ho cominciato a pensare al calcio in un modo diverso. Di mio molto autocritico, vedevo tanti altri che per me avevano molte più qualità di me, ricordo, che so, Pepe, Aquilani, Bovo, D’Agostino.
l’intervista
Mi ritorni in mente “Beh, di partite che non dimentico ne avrei parecchie, ma se penso a questa mia professione, proprio per il rispetto che ci vuole, allora penso alla Nazionale, giocarci penso sia il sogno di tutti. Potrei così dirti dell’esordio, ma io con quella maglia – e ne avevo 22 di anni – sono pure arrivato a giocare la finale di un Mondiale e pure vincerla! Il fotogramma che più mi è rimasto impresso, ancora adesso a ripensarci mi vengono i brividi, sono stati tutti quei flash dei telefonini accesi, lì dietro la porta, mentre andavo a tirare il mio rigore. Stessa scena con tutti gli altri, ma proprio m’è rimasta dentro quella scena, tipo quella che capita di vedere a dei concerti”. “Di partite che vorrei rigiocare te ne dico un paio. La prima è quella contro la Sampdoria, all’Olimpico, c’era Ranieri come allenatore (stagione 2009/2010; ndr). Alla fine del campionato mancavano poche partite, in classifica eravamo in testa, davanti all’Inter che quell’anno era veramente una squadra incredibile. Quel giorno vincevamo pure 1 a 0, partite di quelle che se giochi venti volte, diciannove le vinci, ma finisce che capita e quella volta perdemmo 2 a 1. Loro ci passarono davanti e arrivammo secondi, a due punti. L’altra è la finale dell’Europeo 2012. Quando ci penso, allora mi immagino di essere a posto, di essere sano, di poter… giocare. Non so, tra noi nel gruppo s’era creato qualcosa di magico e non dico certo che con me avremmo vinto – ero fuori, infortunato – però quanto avrei pagato per essere lì con i compagni a dare una mano”. “Un rosso che magari ho meritato di più? In effetti ne ho presi diversi di rossi e devo dire quasi sempre meritati, sono proprio pochi quelli che ci potevano anche non esserci. Poi dipende: un conto è un fallo di reazione, lì al massimo hai l’1% di scusanti; poi c’è quello che è lanciato a rete, la doppia ammonizione… dai, me li sono meritati tutti o quasi, sì”. “Il gol più bello che ho fatto non è poi un gran ricordo, è capitato contro il Manchester City, quella partita l’abbiamo persa per 7 a 1. Pensa la soddisfazione, si perdeva per 6 a 0 ed è venuto fuori questo gol meraviglioso: cross di Francesco (Totti; ndr), io di spalle, girata al volo e gol. Bellissimo, ma vuoi mettere? Un altro molto bello è stato quello contro il Giappone, alle Olimpiadi (Atene 2004; ndr): su rovesciata. “Lo stadio più bello per me continua a essere San Siro, nemmeno il Bernabeu, nemmeno il Camp Nou, è sempre stato quello lì di Milano che più mi ha emozionato. Certo, ora magari meno, dai e dai mi capita di giocarci da un bel po’, però sin da piccolo San Siro mi suggestionava, così gigantesco, era quello insomma per me ‘lo’ stadio. Sarà poi quel che sarà, però capita pure che ogni volta che gioco lì dentro, faccio sempre buone partite”. “Lo stadio che invece ancora mi manca è quello del Liverpool, sicuro. Io sono uno che va molto a pelle, a brividi e così, quando penso a uno stadio, non penso tanto alla struttura, a come è fatto eccetera. Penso invece alla tifoseria, all’atmosfera, al “sonoro”. Mi piacciono gli stadi come per esempio il Bentegodi, dove i tifosi cantano dall’inizio alla fine, anche se perdono. Ecco perché vorrei tanto andarci all’Anfield Road… ricordo all’Hampden Park a Glasgow, contro la Scozia, il canto del loro inno o i 90’ lì a cantare degli irlandesi a Dublino. Questo è insomma a cui prima penso parlando di stadi ed è per questo che un altro di desiderio è quello di giocare una volta nella Bombonera (lo stadio del Boca Juniors, a Buenos Aires; ndr), peccato che sono avanti con gli anni, non so se ce la farò”. 16
Però è stato allora che mi sviluppai fisicamente, mi cambiarono pure ruolo e iniziai a crescere come calciatore. Cominciai così a pensare che forse ci avrei potuto stare anch’io, ma non certo per quel che poi è capitato. Già una carriera come mio padre in Serie C mi pareva tanto, arrivare a guadagnarci giocando era il massimo e insomma le mie aspettative erano più basse di quella che è stata poi la realtà. Le cose sono cambiate poco alla volta, giusto allenandomi con loro e guarda che erano quelli della stagione dopo lo scudetto, lì in mezzo ce n’erano proprio di bravi, ma non mi sono fatto problemi, l’ho presa di petto, diciamo con personalità. A volte può essere sì un limite, ma di mio sono pure un testardo, anche se gioco a tresette voglio vincere e poi, fin da piccolo, mai ho avuto paura di giocare, con tutti, anche con i più grandi”. “Oggi, a 34 anni, mi considero e so di essere uno serissimo, è così, tanto che se fossi un mister, ne vorrei avere uno come me in squadra. Anche prima ero serio, come tu dici; il mio punto debole è sempre stato il cibo: ma come, la domenica giochi, vai bene, ma perché non mangiare un po’ di più, qualcosa d’altro? E invece no, non basta, non basta mai e lo dico sempre a tutti i miei compagni. Si deve continuare, perché se si arriva a fare ancora meglio, magari avremmo qualche punto in più in classifica, quella famosa partita la potevamo magari vincere e avrebbe fatto grande differenza, questa insomma la linea. Ora come ora, arrivo sempre ben presto al campo, faccio le terapie, le cose che devo fare, sto attento al mangiare e tutto il resto. Ricordo il tempo in cui in effetti mi vedevo e sentivo meno forte, non sapevo come fare e l’ho capita via via negli anni sta cosa qui. Così rivado a Francesco Rocca, a quel che lui mi ha dato pur essendo “un pazzo”, il suo di esempio. Lui, personaggio rigido, che ha un suo immaginario di calciatore-robot, instancabile: credo proprio che sarà dura che lui lo possa trovare. Allenarsi con lui voleva sempre e comunque dire che finivi con la lingua per terra, però il tutto dando sempre l’esempio, quel che chiedeva lo faceva anche lui. Era rigido e duro, ma li ha sempre protetti i suoi calciatori. Ricordo quando allenava l’Under 20, così ci si vedeva di tanto in tanto… mi ha aiutato, mi ha permesso di fare annate ad alti livelli”.
l’intervista
forze: quale la cosa più vicina a me, dopo il calcio? Intanto, per cominciare, dico che a me non piace la cravatta, mi ci vedo meglio ancora con gli scarpini ai piedi. Allenare magari? Forse, credo che fare il secondo potrebbe essere un qualcosa che mi andrebbe di fare, che so, con Di Francesco o Spalletti o altri allenatori con cui mi sono trovato bene. Così sì, stare ancora sul campo e vivere lo spogliatoio, niente giacca e cravatta”.
Lui era McBride…
“Quella gomitata al Mondiale 2006? Male e tanto ci sono stato i primi giorni, non me le aspettavo addirittura quattro giornate di squalifica. Avevo fatto una cosa grave, certo, però per me esagerarono, quella per me fu anche una dimostrazione di forza da parte della Fifa, di solito se ne danno due, no? Quattro partite voleva dire che nel caso mi sarebbe rimasta giusto la finale e non era… poco. I primi giorni Lippi nemmeno mi parlò, fu duro ma anche paterno: subito dopo la semifinale, venne lì a dirmi di prepararmi, che mi avrebbe fatto giocare. Lo stesso fece poi Peruzzi, che faceva un po’ da tramite con tutti, può darsi non dall’inizio, ma… Già dopo i quarti avevo comunque ‘riacceso i motori’ e visto che le possibilità me le davano, c’era un motivo in più per prepararmi per bene” (entrato al 61’ proprio al posto di Totti, Daniele segnò poi ai rigori il terzo della serie; n.d.r.) “No, non sono un capitano di quelli, per dire, che attaccano al muro dei compagni, anche se magari ci vorrebbe, dai. No, non sono così. Sono in sostanza molto amicone con tutti e mi piace dirti che percepisco che mi vogliono bene, che mi rispettano. Vedo che anche i ragazzi giovani mi apprezzano, tra noi il rapporto è buono, cerco sempre di scherzare, non mi metto mai su un gradino diverso. Nemmeno sono uno che si mette lì davanti a tirare, anche se ormai certe cose non si fanno più, altro che giri di campo. Ecco però, quando magari vedo che una partitella va avanti così così, che mi metto lì a fare pressing, magari fatto male, ma la vedo la reazione degli altri: con l’esempio si riesce a trascinare. Sono il capitano, sì e mi sento tale, ma non però il primo della classe”. “Cos’è adesso il divertimento? Per forza deve essere legato ai tre punti? Mah, certo che vincere è bello, ancor più in un ambiente come il nostro, altrimenti – dall’altra parte – puoi bene immaginare quanto
ti rompano le scatole, il mister arrabbiato eccetera eccetera. Ma per me il divertimento è proprio quel che faccio, il mio quotidiano. Quand’ero più giovane mi lamentavo magari dei ritiri, che mi rompevano, ma ora penso piuttosto al fatto di vivere lo spogliatoio: sì, mi piace la vita che faccio. D’accordo, è faticosa con i ritiri, lo star via dalla famiglia e il resto, ma confesso che mi diverte e so già che soffrirò quando me ne staccherò. Al dopo così ci penso, non voglio arrivare a svegliarmi una mattina e ritrovarmi a dirmi, che faccio adesso? Allora ci penso, senza togliere spazio e
“Sì, tra noi calciatori il rispetto c’è, sappiamo chi siamo ma poi i problemi iniziano quando di mezzo c’è il pallone, il campionato. Penso qui allora al football americano, a come lì si placcano, si sfondano, si distruggono ma poi alla fine li vedi che si abbracciano, non ci sono polemiche, nemmeno sulla tecnologia, su quello che è un po’ il loro Var… qui le cose continuiamo a vederle ciascuno pro domo sua. Con tutte le telecamere che ci sono, piano piano diventeremo… perfetti e certo si vedono gesti che prima non si vedevano. Errori ne ho fatti, anche qui di recente e arrivare a smettere di fare gesti come i miei, è solo un bene”. “Quel che mi piace meno adesso è le abitudini che abbiamo preso. Ora con i social ogni cosa che fai può arrivare subito a milioni di persone, se uno ha una capigliatura un po’ particolare, la posta in rete e non so, non capisco, mi pare sia più un apparire piuttosto quel che si è. Per forza siamo dei personaggi ma ora ti ritrovi nello spogliatoio con i telefonini in mano, ognuno così più per conto suo, c’era un qualcosa di più cameratesco prima. E guarda che non è una questione di età, anche noi vecchi si diventa in prati-
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l’intervista
ca schiavi, la foto con istagram eccetera eccetera, tutte cose che sono distanti da quel che sono. Uno si fa male, allora gli mandi una foto o gli twitti qualcosa? Ma perché – mi domando – non gli telefoni? Non lo vai a trovare?”. “Dai, è il solito disco: i soldi, le macchine grandi, le veline eccetera. Che vuoi, dipende da chi prendi e dato che ci sono, penso al nostro presidente dell’Associazione, a Tommasi, ex mio compagno; lui, sindacalista, uomo di chiesa, uomo di valori. Chiaro, prendi un ragazzo giovane, prende quello che prende, mica facile sapersi gestire e quanti giudizi. Ma te ne potrei dire 100 di nomi di calciatori che sanno parlare di tutto, che si interessano di tutto, che fanno una vita normalissima. Chiaro che non viviamo la stessa vita dei nostri coetanei, siamo sicuramente dei privilegiati ma il fatto che posso prendere quel che prendo non mi fa arrossire, non mi imbarazza: sono fortunato e allora? Comunque sia, i macchinoni, le veline e tutte ste cose non sono i miei punti d’arrivo, no. E poi, a dirla tutta, se sei giovane e c’è una bella ragazza che ti sorride, ma perché non avvicinarla? Idem per una macchina importante o la vacanza a Montecarlo o Dubai, ognuno vive la sua di vita, come vuole. Non trovo vergognosa la vacanza alle Maldive e se un ragazzo si vuol fare la Ferrari, perché deve averne di dubbi? L’importante è sapere di poter vivere poi anche con una macchina normale”. “Mah, l’atmosfera lì in campo, se mai noi potremmo fare qualcosa se c’è casino... intanto ti assicuro che tanti non sentono proprio nulla, così concentrati sulla partita; io invece di ste cose mi capita un po’ di accorgerme-
Sacrifici e discoteche
“Il sacrificio più grande? Per me è sempre stato iniziare la preparazione estiva, sì. Ma come, proprio in agosto quando è il momento che più si vive a Ostia l’estate! Con gli amici, in spiaggia, i gavettoni, che bello. No, quella per dire della discoteca non è una questione che mi abbia troppo pesato. E non tanto perché dovevo giocare, quanto perché non ci ho mai trovato chissà che lì dentro; certo ci andavo e ci sono andato ancora, ma non è insomma un qualcosa che mai mi abbia lasciato molto”. ne… l’esempio possiamo e dobbiamo darlo, è vero, ma non sono io che devo dare l’esempio a quei ragazzi, non è colpa nostra per quel che possono fare e fanno, come ai miei tempi non era colpa di Giannini o di Völler. È un problema dei genitori, non è nostro. Quel che per me è cambiato, è il modo in cui viene vissuto adesso lo stadio. A parte l’affluenza – c’è meno gente – a me pare che fosse più focoso prima, per me era meglio. Quando perdevi, ci potevano anche essere reazioni brutte e fastidiose, ma perché c’era un amore che accecava. Ora sbagli un passaggio e allora si tirano subito fuori i soldi che prendi e tutto quello poi che ti ritrovi sui giornali. Ecco, a me piacerebbe che si tornasse un po’ indietro, a quell’amore che accecava”.
“Il 16 di maglia? C’entra pure Roy Keane, lui è stato uno dei miei idoli, quello che più mi ha impressionato, assieme a Guardiola e Davis, l’olandese della Juve. Quel loro modo di vivere il calcio, la partita, lo spirito che dimostravano… va bene, magari allora non c’era la Var, bisogna stare tanto più attenti 18
adesso. Pensa che con Keane sono pure arrivato a chiedergli una foto, prima e unica volta per me, lui allora faceva il secondo dell’Irlanda. Per un altro po’ c’entra poi una delle mie figlie, è nata un 16”. “Una volta le sentivo di più le partite, ora quel che più sento è la responsabilità che avverto addosso, soprattutto proprio per l’amore che io ho per questa mia squadra, per la Roma: qualcosa di importante. No, alle scaramanzie non ci credo più, chissà quante Champions avrei vinto se mi avessero davvero portato al risultato, magari funzionassero. Quando poi mi faccio male e devo stare fermo, divento intrattabile, poco da fare, praticamente ingestibile. Allora lì a lavorare più di quando sto bene: vorrei rientrare subito e così mi sono capitate delle ricadute, non è che mi sappia insomma troppo aiutare. Le pagelle le leggevo da giovane, ora molto meno e non lo dico per snobismo. Mi capita ancora di darci un’occhiata, magari ancora possono bruciare certi giudizi, un po’ te l’avvelenano sempre il sangue, sia per un 8 che non meriti o per un 5 che poteva essere un 6. Mi rendo conto che, per me, è comunque un qualcosa che non serve,
l’intervista
tanto lo so bene io come ho giocato, se ho fatto bene o no. Sarò pure presuntuoso, ma ormai la maggior parte delle volte credo di saper leggere le cose del campo meglio di chi si trova a giudicare: non mi fa bene star lì a soffermarmi”. “Con gli arbitri all’inizio il mio era un rapporto davvero brutto. Ero un rompiscatole, ancora e ancora, anche perché – per me è un dato di fatto – erano anni quelli in cui subivamo degli arbitraggi che davvero ci penalizzavano, più avanti negli anni non si sono ripetuti. Ricordo con Spalletti allenatore, noi secondi dietro l’Inter, era persino lampante per me. Così partivo già incazzato, bastava niente perché mi facessi sentire e lo stesso, all’incontrario, valeva per loro, per gli arbitri. Ora va meglio, ci si conosce di più, s’impara”. “L’addio alla Nazionale? Che vuoi, con quella partita con la Svezia penso si sia chiuso il ciclo di alcuni di noi e del resto, quando si fallisce, bisogna pur saper fare un passo indietro. Diverso se avessi 25
anni…, ma ne ho 34. Ora sceglieranno un nuovo allenatore, bisognerà vedere, ce ne sono di giocatori forti. Io però la Nazionale l’ho sempre vista come una famiglia e non è insomma che abbia messo un paletto, punto e basta. Se capita, chissà, che l’allenatore si fa vivo con me, che ritiene che possa servire, che dica che c’è bisogno, allora… certo che gli anni sono quelli che sono, sempre 34”. “Il sogno che mi rimane? Sì, potrei anche chiamarla utopia, me ne rendo conto, so che sono più vicino a smettere ormai, ma è vincere qualcosa di grande con la Roma. Noi siamo forti, ma so che ce ne sono di più forti di noi, ma non posso smettere di sognare, anche perché questo vorrebbe
dire che finirei per allenarmi più piano, mangiare peggio, andare a dormire più tardi. Sogni ne ho coronati tanti e poi ho potuto godere di avere vicino l’esempio di Totti. Ehi, dico Totti e si sa che quando tutto il mondo pensa a Roma, saltano fuori il Colosseo, il Papa e… Totti. Certo, lui è irraggiungibile, però l’essere stato suo vice è stato un altro sogno che ho coronato”.
La scheda
Daniele De Rossi è nato a Ostia (Roma) nel luglio 1983. Cosiddetto figlio d’arte (il papà Alberto, da anni allenatore nelle giovanili della Roma, attualmente alla Primavera, ha infatti fatto il calciatore) ha sempre e solo giocato con la Roma: in prima squadra l’esordio l’ha fatto nell’ottobre del 2001 in una partita di Champions League (Roma-Anderlecht 1 a 1), mentre l’esordio in Serie A (sempre con Capello in panca) risale al gennaio del 2003, contro il Como (si giocò quel giorno comunque a Piacenza). Giusto per dare un’idea, ecco com’era quella Roma: Antonioli, Cafu, Dellas, Samuel, Aldair, Tommasi (85’ Cassano), Dacourt, De Rossi, Delvecchio, Montella, Totti (12° Zotti, 14° Ferronetti, 15° Guardiola, 16° Fuser, 17° Bombardini). Per lui, in giallorosso, due Coppe Italia (06/07, 07/08) e due Supercoppe italiane (01, 07). In azzurro da U19, U20 e U21, l’esordio nella Nazionale maggiore (con gol) l’ha fatto esattamente il 4 settembre 2004, a Palermo contro la Norvegia (2 a 1 per noi), partita valida per la qualificazione al Mondiale 2006 in Germania. Anche qui vale la pena un amarcord ed ecco così quella formazione, con in panca Marcello Lippi come c.t.: Buffon, Bonera, Nesta, Materazzi, Favalli (69’ Diana), Fiore, Gattuso, De Rossi, Zambrotta, Miccoli (74’ Toni), Gilardino (59’ Corradi). Campione d’Europa con l’Under 21 nel 2004 e bronzo olimpico ad Atene 2004, si è laureato campione del mondo a Germania 2006 (della squalifica e del rientro giusto nella finale, Daniele ne parla nel pezzo) e vice campione d’Europa all’Europeo 2012. Con 117 presenze, è il quarto nella graduatoria delle presenze in Nazionale e venendo infine qui alle cose più “nostre”, si è aggiudicato pure due premi AIC: nel 2006 come miglior giovane e nel 2009 come miglior calciatore italiano.
serie B
di Claudio Sottile
Luca Valzania, centrocampista del Pescara
“Valza” ha l’occhio Si muove rapido e repentino, tentacolare e dominante, cambiando direzione in un battito di ciglia, con un campo visivo che sembra di 360° ed una visione del campo forse anche più ampia. Nell’acquario del Delfino, pullulato di specie pregiate, è il pesce pulitore o cosiddetto “spazzino”, quello che mette in ordine la situazione, eliminando le scorie residue della trama zemaniana, tanto scintillante quanto dispendiosa. Luca Valzania, se non c’è si vede. Chiedetelo ai centrocampisti avversari. E se c’è… si vede eccome: chiedetelo a tutti. Luca, il Pescara guidato da Zdeněk Zeman dal 17 dicembre 2017 al 20 gennaio 2018 sembra aver mutato pelle: avete segnato 4 gol, uno a partita, a fronte dell’unico incassato. Anche il Boemo cambia idea? “Secondo me sono solo numeri. Le partite a ridosso della sosta sono state una conseguenza del fatto che eravamo nella zona bassa della graduatoria, venivamo da un periodo in cui avevamo perso un po’ di partite e quindi ci siam detti che per finire costruttivamente l’anno ed il girone d’andata avremmo dovuto incamerare il massimo dei punti, per poi ripartire di conseguenza. Quando sei in un momento che non ti va bene, cerchi di rischiare il meno possibile”. La squadra non è interessata dalla lotta per non retrocedere, però vive una sorta di limbo, non sembrando completamente pronta per il salto di qualità. Siete da playoff? “Rispondo di sì, però finora 20
abbiamo trovato difficoltà ed agli occhi di tutti sembrerebbe di no. Noi ci crediamo, siamo consapevoli, puntiamo ad entrare nei playoff e poi chissà, qualcos’altro. Vista la qualità che abbiamo dobbiamo ambire, dopo aver buttato diversi punti stiamo cercando di colmare le lacune, speriamo anche di ritrovare non dico il bel gioco, ma almeno un pizzico in più di continuità. Siamo partiti con l’obiettivo di provare a far qualcosa simile ad un’impresa, questo sarebbe essere promossi dopo l’ultima retrocessione. Non è stato facile all’inizio, tutti molto giovani, un modo di giocare diverso con questo mister, abbiamo trovato delle difficoltà ed anche i risultati non ci hanno dato corda. Vedi le partite dove eravamo in vantaggio e non siamo riusciti a vincere. È stato tutto un effetto. Alcuni commentatori dicono che non siamo una squadra zemaniana, io dico che questi fattori, soprattutto la giovane età mischiata ai risultati non sempre arrivati, hanno prodotto questa paura che ha influenzato gioco e spettacolo. Ecco il riassunto del nostro girone di andata”. Esiste un padrone del campionato? “ Pal er m o. Quest’anno a ridosso dei siciliani ci sono diverse squadre attrezzate, con la stessa voglia e forza, che metteranno in difficoltà il gruppone. I rosanero non vinceranno a mani basse, ma saranno nel lotto delle tre che andranno in Serie A”.
diverso, che si butta negli spazi, in area, alla Simone Perrotta alla Roma od alla Kevin Prince Boateng con Massimiliano Allegri al Milan. Il mio ruolo naturale è mezz’ala. In un contesto adeguato potrei farlo, con caratteristiche diverse dal classico uomo di fantasia”. Nell’annata corrente hai già superato il tuo record personale di segnature, sei a quota tre dopo 16 partite. Un merito ce l’ha il giocare con “Sdengo” oppure sono gol che avevi di tuo nelle gambe? “Col mister abbiamo molte più occasioni rispetto ad altre squadre, anche se in questo momento facciamo fatica a capitalizzarle. Il tiro da fuori l’ho sempre avuto fin da piccolo, magari ci credevo poco fino a quest’anno. Verso la fine del torneo scorso ho capito che certe qualità che magari tenevo nascoste avrei dovuto provare a metterle in mostra, iniziando a tirare con regolarità da fuori”. Sei in prestito in Abruzzo, il tuo cartellino appartiene all’Atalanta. Cosa ti manca per essere stabilmente nel gruppo di Gian Piero Gasperini? “Fino alla passata stagione mi mancava un po’ di consapevolezza e qualche gollettino in cascina. Ora pecco nell’ultimo passaggio. Devo anche migliorare l’aspetto tecnico, più che quello tattico”. Chi ti ispira per il ruolo? “Fin da bambino ho sempre guardato Steven Gerrard, anche se ormai ha smesso. Era lui il mio idolo”.
Chi si laureerà capocannoniere? “Alla fine la spunterà Ciccio Caputo dell’Empoli”.
Esiste uno Gerrard della cadetteria? “Con caratteristiche così simili non ne vedo. Però Dimitri Bisoli del Brescia ha doti importanti e sarà un giocatore di cui sentiremo parlare. Adesso compie 24 anni, ma è ancora in una fase ottima di crescita e non potrà che fare sempre meglio”.
Parlando di punte: come ti vedresti spostato al centro, dietro gli attaccanti? “Sinceramente non c’ho mai pensato a quest’evoluzione personale. Forse potrei, più che come rifinitore da ultimo passaggio sarei un trequartista
A proposito di giovani: il 10 ottobre 2017 hai esordito in Under 21 ed il futuro è dalla tua parte. Su chi punteresti della truppa azzurrina? “Federico Chiesa, Patrick Cutrone, Manuel Locatelli sono già a pieno titolo in A, sarebbe facile nominare loro. Dico perciò
serie B
Luca Vido, di recente tornato al Cittadella, sarà un giocatore veramente importante”.
che nel corso degli anni potrebbero far parlare di sé”.
Proprio i veneti significano una fetta importante della tua storia. “Al Cittadella mi sono trovato in un contesto fantastico, c’ho lasciato il cuore, sono amici. Sono ancora nel gruppo WhatsApp con loro. Gente come i due Manuel, Iori e Pascali, lo stesso Vido, la sento non dico tutti i giorni, ma quasi”.
Dici sì alle squadre B? “Sì, è sicuramente un passo in più che ti permette di far maturare un ragazzo che è ancora indietro fisicamente o caratterialmente. Darebbe una grossa mano una novità del genere”.
Parli di messaggi. Quale sms ha mandato il calcio italiano nella doppia sfida con la Svezia? “Non andare ai Mondiali è stata una grossa batosta. A livello di immagine è una perdita enorme. Sarebbero da cambiare alcune cose, a partire dai settori giovanili e dal passaggio da Primavera a prime squadre. Molte volte si perdono i giocatori perché il calcio italiano è molto basato sui risultati, ed appena uno fa male viene accantonato, senza contare che è giovane ed anche una difficoltà è pur sempre esperienza che mette nel motore. Magari gli basterebbe un mese è in più per la crescita personale. È uno dei punti da migliorare, ci sarebbero molti più giovani pronti,
In
Ed i casi Modena e Vicenza a cosa ti fanno pensare? “Sono state due società importanti in A e B. Il momento nostro del calcio fa sì che squadre che stavano a livelli importanti falliscono per svariati motivi. Non sono delle belle immagini, mi ripeto, mettono in cattiva luce il calcio italiano, che ogni anno perde per fallimento società che sul campo invece meriterebbero di aver ben altri palcoscenici”. E tu, tra un decennio, su quali palcoscenici vorresti recitare? “Spero di essere in Serie A o comunque in contesti importanti da un po’ di anni. Sto crescendo e con un ulteriore salto di qualità potrò dare il mio contributo anche nella massima serie”.
righe… 5 Scheda bianca di Damiano Tommasi
Quando si vota scheda bianca che voto è? Nessun candidato meritevole? Bandiera bianca? Resa incondizionata? Senza parole? Vorrei ma non posso? Votare per non votare è un paradosso ma mi piace pensare ad un foglio bianco sul quale riscrivere un nuovo spartito perché, chissà... magari la musica cambia.
La scheda Luca Valzania è nato a Cesena il 5 marzo 1996. Inizia a giocare nelle giovanili della sua città esordendo in prima squadra nella stagione 2014/15, quella del ritorno dei romagnoli nella massima serie. La stagione successiva con la maglia bianconera esordisce in Serie A e viene ceduto a titolo definitivo all’Atalanta, anche se resta in prestito a Cesena e disputa in buon campionato in Serie B. A fine stagione rientra a Bergamo senza peraltro mai vestire la maglia nerazzurra degli orobici perché viene nuovamente ceduto in prestito al Cittadella nel campionato cadetto. Altro prestito quest’anno in Abruzzo con la maglia del Pescara. Dopo alcune convocazione con la BItalia, conta una presenza con la maglia Under 21 di Di Biagio. Stagione 05/2014
Squadra A.C. Cesena
Cat.
P.
G.
B
1
0
B
33
1
A.C. Cesena
B
1
0
2014-2015 A.C. Cesena
A
2
0
2016-2017 A.S. Cittadella 05/2014 05/2014
A.C. Cesena
B
1
0
2013-2014
A.C. Cesena
SG
16
2
21
serie B
di Tommaso Franco
Dal sito www.assocalciatori.it
4 chiacchiere con…: Leonardo Morosini Settore giovanile con Inter, AlbinoLeffe e Brescia. Con le “rondinelle” il passo importante, nel calcio “dei grandi”. Ci racconti l’emozione dell’esordio con la prima squadra? “Ho fatto delle esperienze bellissime nel settore giovanile dell’Inter. L’Albinoleffe è stata una parentesi difficile che non ricordo molto volentieri. Il Brescia è la società che ha puntato maggiormente su di me, che mi ha fatto esordire tra i professionisti al “Granillo” contro la Reggina: fu mister Ivo Iaconi a darmi questa possibilità. Entrai
a 20’ dalla fine, ricordo, fu un’emozione incredibile; la prima palla che toccai, dopo un’azione personale, mi guadagnai il rigore che costò anche l’espulsione al difensore della Reggina. Poco dopo, colpii anche un palo. Nella mia seconda partita con il Brescia mi guadagnai un altro rigore e alla prima da titolare (25 maggio 2014, contro la Juve Stabia, nda) segnai la mia prima rete tra i “pro”. È sempre stato grande motivo di orgoglio, per me, essermi guadagnato un posto da titolare in una squadra gloriosa come il Brescia”. Ora giochi nell’Avellino, in prestito dal Genoa. Era cominciata alla 22
grande ma l’infortunio ti ha momentaneamente fermato. Cosa è davvero importante per riuscire a rialzarsi? “Dopo un’estate abbastanza turbolenta sono passato in prestito all’Avellino. Ho passato un mese bellissimo, ho conosciuto una realtà nuova molto impegnativa e stimolante che ti dà tanto dal punto di vista sia calcistico che emozionale. La gente vive di calcio e tu, questo, te lo senti addosso. Avevo iniziato molto bene, carico e desideroso di dimostrare il mio valore ma purtroppo ho dovuto fermarmi per questo infortunio e devo dire che inizialmente è stata una cosa molto difficile da digerire. Ora il mio obiettivo è quello di tornare a stare bene e cerco di vivere questo percorso sempre con il sorriso. Giorno dopo giorno, andare in palestra è diventato un lavoro. Questo periodo lontano dal campo mi è servito comunque per passare più tempo in famiglia o con gli amici; l’ho presa come u n ’o c c a s i o n e per recuperare le cose “vere” che il nostro mondo a volte ti fa un po’ perdere di vista e che, ne sono certo, mi daranno la forza per tornare a dare il massimo anche in campo”. Che rapporto hai con il tuo fratello maggiore, To m m a s o , calciatore del
Piacenza Calcio? “Con mio fratello ho un rapporto bellissimo; condividiamo la passione per la musica e per il calcio. Lui ora è a Piacenza, dopo aver vestito molte maglie. È stato un po’ sfortunato a livello fisico (ha sofferto di pubalgia per molti mesi qualche tempo fa) ma negli ultimi anni si è rimesso in carreggiata alla grande, non solo dal punto di vista calcistico. Ha creato un brand di camicie e studia scienze motorie. È in continua evoluzione ed è comunque ancora sufficientemente giovane per crescere ancora anche calcisticamente. Se lo merita. Da lui ho ricevuto moltissimi insegnamenti positivi, è davvero una bella persona”. Si è parlato molto della tua passione per la musica, per il pianoforte in particolare. È il tuo interesse principale quando esci dal rettangolo verde? “La musica è la mia seconda grande passione. Sì, sono un pianista (non me ne vogliano quelli veri…). Io strimpello, ho imparato da solo iniziando quando avevo 8 anni. Abbiamo un pianoforte a casa e la musica ha sempre fatto parte della mia vita. È difficile parlare di cantanti, cantautori o gruppi preferiti perché la musica è talmente ampia che sull’argomento potremmo anche scriverci un libro. La musica che ascolto varia a seconda dello stato d’animo in cui sono, dal periodo che sto vivendo in un determinato momento e per cui il rapporto vero è tra la vita e la canzone che stai ascoltando. Sono particolarmente affezionato ad alcuni cantautori italiani: Paolo Conte, Vinicio Capossela, Lucio Dalla, Fabrizio De André, Francesco De Gregori… Poi seguo i Coldplay, i Radiohead, gli Editors, The Killers, Dire Straits, The Cure, The Clash… Sono tanti, potrei stare qui una giornata intera a parlare di musica. Gli ascolti sono comunque indissolubilmente legati allo stato d’animo. Una canzone sentita alla radio può farti rivivere un momento particolare del tuo passato o, viceversa, è il tuo stato d’animo che ti induce a cercare una determinata canzone. Il bello della musica è proprio questo, che ci parla di noi, di quello che stiamo vivendo”.
serie B
di Tommaso Franco
Voti e curiosità
Si entra nel vivo Il torneo di Serie B ha iniziato a delineare difensore cresciuto nel settore giovanile da qualche settimana le ambizioni deldell’Atalanta, in ascesa rispetto allo scorso le partecipanti. Al vertice troviamo, nel mese. pieno di una entusiasmante corsa “a tre”, Difesa: confermati i due terzini Marco MoFrosinone, Palermo ed Empoli. Appena dolo del Venezia (a destra, media 6,20) dietro, in pochi punti, il nutrito gruppo e Manuel Pasqual dell’Empoli (a sinistra, delle inseguitrici capitanato dal sempremedia 6,32). Nuovi di zecca i due centrali: verde Cittadella. È proprio la formazione Emanuele Terranova del Frosinone e Claipadovana a vantare, per altro, il ruolino di ton Machado della Cremonese (entrambi marcia più redditizio in trasferta (ben 7 le con la media di 6,20). vittorie degli uomini di Venturato lontano Totalmente invariato, invece, il centrocamdalle mura del “Tombolato”). po dove regna un solido equilibrio. ConSono ben 7 i calciatori che mantengono fermatissimi quindi i quattro moschettieri saldamente il loro posto da titolare nella che hanno composto la mediana il mese “top 11” della stampa sportiva ed è curioscorso: Mirko Carretta della Ternana so che, malgrado la posizione in classifica (media 6,32), Manuel del Palermo, nessun rosaneIori del CittaCAPUTO VIVES Empoli 6,62 ro sia riuscito a conquista- Pro Vercelli della 6,29 re un posto nella migliore IORI CIANO squadra del Cittadella 6,41 PASQUAL Frosinone 6,56 Empoli 6,32 campionato. CARRETTA Ternana 6,32 CLAITON Tra i Cremonese 6,20
COLOMBI Carpi 6,35
TERRANOVA Frosinone 6,20
La miglior formazione di Serie B pali si dall’inizio del torneo conferma il portie-
re dal Carpi, Simone Colombi: 6,35 la media dell’estremo
FALZERANO Venezia 6,43
(m e dia 6,41), Giuseppe Vives della Pro Vercelli (media 6,29) e Marcello Falzerano del Venezia (media 6,43). Tutto nuovo il duo attacco che completa il 4-3-1-2 di questo “top team”: si prendono di diritto il posto Camillo Ciano (Frosinone, media 6,56) e Francesco Caputo (Empoli, media 6,62). “Ciccio” Caputo (nella foto) è anche, fino a questo momento, il miglior realizzatore della categoria con 19 reti all’attivo: davvero un bottino impressionante visto il numero di partite che ancora mancano a termine del campionato. Passato quest’anno all’Empoli dalla Virtus Entella il bomber di Altamura aveva già impressionato la platea nella scorsa stagione, con 18 reti segnate (il capocannoniere fu, con 23 reti, Giampaolo Pazzini del Verona). Per Caputo, quest’anno, già sei doppiette e una tripletta (contro il Palermo) che hanno fatto aumentare velocemente il suo bottino personale, facendolo entrare di diritto nell’Olimpo dei grandi bomber. L’Empoli è certamente una squadra spettacolo, non solo grazie al suo bomber di razza. Sono infatti già 52 le reti messe a segno dai toscani dall’inizio del campionato, migliore attacco del campionato.
MODOLO Venezia 6,20
Portieri COLOMBI RADU MONTIPO’ FIORILLO FRATTALI
Carpi Avellino Novara Pescara Parma
6,35 6,26 6,25 6,21 6,20
Difensori PASQUAL LOPEZ CLAITON MACHADO TERRANOVA MODOLO
Empoli Spezia Cremonese Frosinone Venezia
6,32 6,20 6,20 6,20 6,20
Centrocampisti FALZERANO IORI CARRETTA VIVES PESCE
Venezia Cittadella Ternana Pro Vercelli Cremonese
6,43 6,41 6,32 6,29 6,27
Attaccanti CAPUTO CIANO CIOFANI DONNARUMMA GALANO
Empoli Frosinone Frosinone Empoli Bari
6,62 6,56 6,51 6,44 6,43
Hanno contribuito in maniera essenziale anche le reti di Alfredo Donnarumma, compagno di reparto di bomber Caputo: per lui sono 13 in campionato in 1685 minuti giocati. L’Empoli, alla pari di Bari e Frosinone, è la squadra che ha sfruttato meglio il fattore campo capace di raccogliere al Castellani ben 27 punti perdendo solamente una partita (contro il Cittadella all’ottava giornata). Sarà una seconda parte di campionato tutta da vivere, fino alle fine!
Lega Pro
di Pino Lazzaro
Nonsolomoda
Un tatuaggio, una storia Sempre di più. Moda e non solo. Pure qualcosa da dichiarare, da dire, chi siamo e cosa siamo, chissà. Dunque un tatuaggio ha dietro una storia. Quel che si vive e come lo si vive. Tanto importante e significativo da imprimertelo non solo nella testa e nel cuore, ma pure sul tuo corpo, proprio sulla tua pelle, per vederlo e rivederlo, pensarci e ripensarci, ricordare e non dimenticare. Ce n’è di tutti i gusti: basta bussare un po’ e le storie/racconti si dipanano. Così qualcuna abbiamo deciso di farcela raccontare. Con Franco Lepore (Lecce) Lecce, Lecce e ancora Lecce “Di quanti ne ho, un po’ ho perso il conto, non so bene. Vediamo: il braccio destro pieno, poi dietro sulla schiena, altri tre sul braccio sinistro, uno sul polpaccio destro, credo che siano sulla quindicina. Il primo di tutti me lo sono fatto che avevo 18 anni, quello sul polpaccio, un leone con le iniziali di mio papà che morì in un incidente stradale che avevo dieci anni, era giusto il giorno prima del
mio compleanno. Il tatuaggio che voglio qui raccontare è quello che ho qui, sul braccio destro. Io sono cresciuto nel settore giovanile del Lecce, sono di Lecce e ricordo da ragazzino quando andavo in curva con mio fratello. M’è capitato di fare pure il raccattapalle lì dentro quello stadio e ce l’ho sempre avuto il sogno di giocare nel Lecce. Infine si è realizzato, ora tra l’altro sono pure il capitano e così ho pensato bene di mettermi il tutto proprio sulla pelle, qualcosa che la ricordasse questa mia città. Intanto così Piazza Sant’Oronzo, che è proprio in centro, la nostra piazza principale e visto che tutto è legato al calcio, c’è lo stadio, il Via del Mare. È un tatuaggio che ho fatto tre anni fa, il tatuatore è pure lui di Lecce, ma sta a Varese, è lì che me lo sono fatto fare; abbastanza doloroso, sì. Comunque i tatuaggi mi piacciono e di certo non mi fermo qui: sul polso sinistro ho la data di nascita di mia figlia Aurora e chissà, vediamo cosa succede. È vero, la mia carriera è stata un po’ un’altalena, su e giù e di errori ne ho fatti anch’io, soprattutto nel fidarmi di persone che promettevano eccetera… penso a Franco Lepore, detto Checco, è nato a Lecce nell’agosto del 1985. Ha via via giocato con Virtus Castelfranco (D), Varese (D-C2), Lecce (B), Rodengo Saiano (C2), Paganese (C1), Varese (B), Real Vicenza (D) e Nocerina (C1). Capitano della squadra, è a Lecce dalla stagione 2014/2015.
24
quand’ero a Varese, in serie B, per ritrovarmi poi senza squadra e comunque ho sempre saputo rimboccarmi le maniche. Certo che te lo dico il sogno che ho: portare il Lecce in serie A, per il Lecce e per me. È questo il secondo anno che sono il capitano, è stata una scelta della società. Sono un capitano tranquillo e pure silenzioso, che quando però c’è bisogno del bastone, sa usarlo: assieme agli altri “vecchi” qui dello spogliatoio, cerchiamo insomma di orientare un po’ le cose. Un periodo questo in cui la piazza ci sta proprio aiutando, si sa quanto può essere calda qui la tifoseria: un anno questo in cui tutti assieme siamo consapevoli che possiamo fare davvero qualcosa di importante, speriamo”.
Lega Pro
di Tommaso Franco
Tra statistiche e curiosità
Giovani promesse e… vecchie conoscenze Il campionato è entrato nel vivo e la corsa promozione, in ciascuno dei tre gironi, si fa sempre più avvincente. Nel girone A troviamo al comando il Livorno di capitan Luci che precede altre due formazioni toscane: Siena e Pisa. Gli amaranto guidano il terzetto di testa vantando il miglior attacco (47 reti realizzate, in media 2 ogni partita) e la seconda miglior difesa (20 reti, in media poco meno di una rete a partita). Il Siena, sul secondo gradino del podio ha segnato sino ad ora 31 reti, 20 delle quali lontano dalle mura amiche (pari al 64,5%). Sul terzo grandino troviamo il Pisa che vanta la miglior difesa dell’intero torneo con sole 12 reti al passivo (circa una rete ogni due partite). Diversa la situazione nel girone B dove i biancoscudati del Padova sembrano
sono garantite da Caturano e Di Piazza (8 reti ciascuno) ma i giallorossi hanno mandato in gol, complessivamente ben 12 calciatori su 25 scesi fino ad oggi in campo. Poco più indietro, a sole 4 lunghezze, troviamo il Catania di Lucarelli affidato alla sapienza e all’esperienza di Lodi, Biagianti, Marchese… calciatori che hanno sempre avuto la maglia etnea cucita sulla pelle, che conoscono bene l’ambiente e la piazza. Gli etnei hanno segnato fin qui 38 reti (secondo attacco più prolifico del girone) e ne hanno subite solamente 16, miglior difesa del girone C. Il Trapani, formazione più “italiana” tra le prime tre del girone insegue a fatica la coppia di testa: per loro terzo miglior attacco (37 reti fatte) e seconda miglior retroguardia (19 reti subite). In “Top 11”, tuttavia, la squadra più rap-
Renate Piacenza Pro Piacenza Ravenna Bassano Virtus
6,62 6,45 6,38 6,37 6,33
Difensori MANNINI PARISI DI GENNARO CONTESSA PEDRELLI
Pisa Siracusa Renate Padova Livorno
6,42 6,29 6,29 6,28 6,28
Centrocampisti MENSAH VALIANI LUCI CHIARELLO LODI
Triestina Livorno Livorno Giana E. Catania
6,57 6,54 6,48 6,40 6,40
Attaccanti RAGATZU MOSCARDELLI CURCIO GUERRA PETRELLA
Olbia Arezzo Arzachena Feralpisalò Triestina
6,57 6,45 6,45 6,43 6,36
dia 6,42) e Sergio Contessa, terzino sinistro del Padova (media 6,28). A centrocampo ritroviamo Devis Mensah, esterno destro classe ‘91 della Triestina (media 6,57), Luci (media 6,48) e Valiani (media 6,54) del Livorno. La novità è rappresentata da Riccardo Chiarello della Giana Erminio (media 6,40), classe ’93 cresciuto nel settore giovanile del ChievoVerona. In attacco si riconferma Daniele Ragatzu dell’Olbia (media 6,57, 13 reti) accanto alla novità Davide Moscardelli dell’Arezzo (media 6,45, 11 reti).
Luci, Mannini e Moscardelli: tre “veterani” che ancora fanno la differenza nel campionato di Serie C.
aver trovato da subito la quadratura del cerchio. Un buon margine di punti (8 nel momento in cui scriviamo) separa i veneti dalla seconda in classifica (Sambenedettese) malgrado i numeri non evidenzino una differenza così netta da giustificare una simile distanza. Tra le fila del Padova un solo straniero (Zivkov) e qualche senatore a guidare il gruppo: Pinzi, Pulzetti, Belingheri, la bandiera Trevisan rappresentano certamente un lusso per la categoria. La loro esperienza traina un gruppo di giovani forti e motivati come Alessandro Capello, classe ’95 in prestito dal Cagliari fino a giugno. Nel girone C il terzetto di testa è composto da Lecce (52 punti), Catania (48 punti) e, leggermente in ritardo, il Trapani (40 punti). I salentini vantano il miglior attacco del girone (40 reti all’attivo) e la terza miglior difesa (20 reti subite). In attacco le reti
Portieri DI GREGORIO FUMAGALLI GORI VENTURI GRANDI
presentata è il Renate che ha piazzato nell’undici migliore della categoria il portiere Di Gregorio (media 6,62), la coppia di difensori centrali Teso (media 6,22) e Di Gennaro (media 6,29): un reparto difensivo a dir poco invidiabile. Non male per un piccolo Comune brianzolo di poco più di 4000 abitanti. Per l’Associazione Calcio Renate, fondata nel 1947, si tratta della partecipazione numero 8 consecutiva ad un torneo “pro”. RAGATZU CHIARELLO Olbia 6,57 A completare la linea difenGIANA E. 6,40 siva troviamo Daniele LUCI MOSCARDELLI Livorno 6,48 Mannini del CONTESSA Arezzo 6,45 Padova 6,28 MENSAH Pisa (meDI GENNARO Renate 6,29
DI GREGORIO Renate 6,62
Triestina 6,57
VALIANI Livorno 6,54
TESO Renate 6,22 MANNINI Pisa 6,42
La miglior formazione del campionato dall’inizio del torneo
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La partita che non dimentico
Mi ritorni in mente…
Marino Bifulco (Monopoli) “Subito, in mente, me ne sono venute due. La prima la ricordo con un po’ di amaro in bocca. Playout a Foggia, partita di ritorno, noi che si vinceva 2 a 0 e con quel risultato eravamo salvi, all’andata da noi avevamo perso per 2 a 1. Il tutto sino a circa 10’ dalla fine, poi i tifosi del Foggia, lì della curva, hanno
sfondato la recinzione e invaso il campo: partita sospesa per una ventina di minuti. Poi abbiamo ripreso a giocare e – devo 26
dire con la… partecipazione dell’arbitro che sereno non lo era più – loro hanno fatto gol e così siamo retrocessi. Noi, Pescina Valle del Giovenco, contro il Foggia. Ricordo che quella trasferta la facemmo un po’ allo sbando. L’aver perso all’andata, aveva significato l’esonero del nostro allenatore, Cappellacci; lì con noi c’era così l’allenatore della Berretti, dovevamo comunque vincere con due gol di scarto per salvarci, ma non è che fossimo già battuti in partenza, anzi. In effetti fummo noi tutto sommato abbastanza a dominare, subito un gol appena iniziato e un altro dopo poco del secondo tempo. M’è rimasta dentro
quella atmosfera surreale che c’era, si sa quanto Foggia sia un ambiente caldo: ebbene un silenzio assoluto, pareva stessimo giocando a porte chiuse. Quan-
do poi mancava poco alla fine, ecco che sfondarono la recinzione e un bel po’ di gente cominciò a entrare in campo. Tutto sommato noi si rimase tranquilli, non certo l’arbitro, era scosso e si fece influenzare, poco da fare. Infatti, dopo poco che il gioco era ripreso, noi si stava ripartendo e non fischiò un fallo clamoroso su uno dei nostri, ci trovammo scoperti e fecero gol. Loro salvi e noi giù: come faccio a dimenticarlo? La seconda invece ha tutt’altra aria, è di gioia. Fu quando, sempre col Pescina Valle del Giovenco, andammo a vincere i playoff a Gela. Altra piazza calda naturalmente e puoi immaginarti l’accoglienza, quello che non ci hanno detto per esempio quando siamo arrivati allo stadio e durante il riscaldamento. Da noi avevamo vinto per 1 a 0 e nel primo tempo siamo riusciti a passare in vantaggio; loro hanno pareggiato su rigore all’inizio del secondo tempo ed è stato poi con un bel catenaccio proprio all’italiana che abbiamo portato a casa il pareggio e dunque la promozione. Un anno quello, buono sia per la squadra che mio personale. Feci bene e pure nell’inizio dei playoff col Catanzaro parai bene, lo stesso col Gela, ne ricordo una in particolare, s’era ancora sullo 0 a 0. Ho 35 anni e – per come la penso io – uno alla fine dei conti si trova ad avere la carriera che si meritava e si merita, non credo alla sfortuna o ste cose qui. Ancor più prima, quando sì c’era la meritocrazia: se uno doveva arrivare, arrivava. Insomma: non mi è stato tolto o regalato nulla, ci ho messo tutto di mio per arrivare a quel che ho fatto. Sono così soddisfatto e so bene che grandi sogni non è che li posso avere, magari, ecco, spero di poter vivere un’altra soddisfazione, dai. Il tram buono però m’è passato proprio vicino: quando col Matera abbiamo perso ai playoff col Como… valeva la serie B”.
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La partita che non dimentico
Mi ritorni in mente…
Hannes Fink (Sud Tirol) “Sì, la leggo sempre la rubrica: non è che mi sia proprio preparato, ma la mia che non dimentico, quella che mi viene prima di tutte, è la finale playoff che abbiamo perso a Vercelli, qualche anno fa. In casa avevamo perso per 1 a 0 e per quel che ricordo, eravamo noi che si meritava di vincere quel giorno. A Vercelli dunque si stava vincendo 1 a 0, poi c’era pure un rigore per noi che non ci venne dato… loro poi pareggiarono verso la metà del secondo tempo. Dai, eravamo proprio a un passo dalla serie B. Noi che non eravamo certo partiti per vincere, ma che poi, piano piano, abbiamo cominciato a crederci, anche con un filotto di partite, mi pare dieci, quasi tutte vinte e qualche pareggio: ci siamo piazzati terzi. In semifinale avevamo poi eliminato la Cremonese, quella che da tutti era data per la favorita, uno squadrone. Come fai a non crederci? Qui a Bolzano, lo sanno tutti, non è certo una piazza calda, però i tifosi anche durante la settimana ci erano vicini, persino ci fermavano per strada e ti assicuro che mica è normale una cosa così qui da noi. Sì, così vicini alla serie B non ci sono mai stato, l’anno prima ai playoff ci fermammo in semifinale, ci batté il Carpi. È vero, è da quando ero nei giovanissimi che sono qui, mai cambiato, una “bandiera” insomma, come dici tu. Me l’hanno già chiesto e la pura e semplice verità è che non ci sono mai state delle offerte vere, concrete. Qualcosa magari c’è stato, ma mai niente di importante, di serio.
E guarda che da calciatore, come tutti, sono anch’io uno di quelli che ci guarda più su. Qui sto benissimo, non c’è dubbio, ma non è insomma che me la sono messa via, certo che no. È una società seria questa (mai in tutti questi anni ho avuto bisogno “diretto” dell’Associazione), ora da poco abbiamo pure un nuovo centro sportivo, è molto bello. Il campo da gioco? Beh, di questi tempi
dipende dal freddo, dal ghiaccio. A fine dicembre per esempio la partita col Pordenone è saltata, l’altro giorno (prima
della ripresa del campionato, il 21 gennaio; ndr) abbiamo fatto un’amichevole e non era male, speriamo. Ambizioni di quest’anno? Che vuoi, dall’anno scorso siamo rimasti giusto in tre, cambiati pure direttore e allenatore, all’inizio non potevamo pensare altro che alla salvezza, ma ora che le abbiamo viste tutte le altre squadre – e noi stiamo migliorando – penso che ce la possiamo fare a entrare
nei playoff. Sì, sono il capitano, lo sono dall’anno scorso, a decidere fu l’allenatore di allora, Viali. Bandiera o non bandiera, quel che conta è sentire la fiducia dei compagni e quella c’è. L’importante è rimanere sé stessi, non sono certo di quelli che attaccano qualcuno al muro, ma se vedo qualcosa che non va, lo dico subito, con tranquillità e sincerità. Con i giovani? Va bene, va bene e in più siamo anche fortunati: abbiamo ragazzi in gamba e bravi”. 27
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L’incipit La mia famiglia Partiamo dall’inizio, dalle mie origini a cui, nonostante la mia lunga assenza da Lecce, città in cui sono nato, sono fortemente legato. La mia vita professionale mi ha portato in giro per il mondo, ma l’aria di casa, il fascino della Puglia, dei luoghi dove ho vissuto la mia infanzia, il marciapiede dove ho tirato i primi calci a un pallone davanti al negozio dei miei, la mia scuola, il mio primo “vero” polveroso campo di calcio, sono tutti ricordi che custodisco, con molta emozione, dentro di me. E adesso è giunto il momento di condividerlo con voi. La mia carriera sul campo è finita quasi 30 anni fa e mi piace l’idea di poter fare – con i tifosi della Juve, gli appassionati di calcio e di sport in genere – un bilancio che è un po’ personale, ma anche utile – lo spero – a ricostruire un periodo storico, calcisticamente parlando, tra i più affascinanti che la palla rotonda abbia saputo regalare. Parlo di me, anzitutto, e delle mie origini. Del resto, quello che ho realizzato da solo è anche merito della mia famiglia, che era composta da mia madre Paola, mio padre Carmelo, mia sorella maggiore Marcella, che aveva dieci anni più di me, e mia sorella gemella Maria Grazia. Tutta la famiglia, tranne me, lavorava nel negozio di parrucchiere per donna, che avevano i miei genitori in centro a Lecce, vicino alla stazione. Solo quando il negozio era pieno, anch’io aiutavo i miei genitori. Mia madre mi faceva fare lo shampoo e asciugare i capelli ai clienti. Ogni tanto riuscivo anche a rimediare qualche mancia. È stato importante per capire che la vita è fatica, che bisogna sudare per ottenere quello che si cerca, che il lavoro è fondamentale in tutti gli ambiti (anche nello sport). Vedere sul campo chi lavora, quotidianamente, per sostenere la propria fami-
glia, mi ha aiutato pure a restare sempre con i piedi per terra. Però, lo confesso: nella testa avevo solo il pallone. E, quando avevo l’occasione, andavo a giocare a calcio sul marciapiede antistante al negozio o nel retrobottega. Mi piaceva così tanto, che giocavo anche da solo. Un ricordo giocoso e allo stesso tempo pieno di emozione della mia infanzia è legato a mio padre e a quando mi ha regalato il mio primo pallone. Ero piccolo e non potete neanche immaginare la gioia di quel momento. Ho imparato a giocare per strada… Sergio Brio
L’ULTIMO 5TOPPER
con Luigia Casertano* presentazione di Giampiero Boniperti grauseditore (il ricavato del libro è destinato alla Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro) Sergio Brio, classe 1956, gli inizi col calcio li ha avuti nel vivaio del Lecce (la sua città), squadra con cui ha esordito diciottenne in campionato (in C). Venne poi preso dalla Juventus: un anno nelle giovanili e successivo prestito alla Pistoiese (due anni in C e uno in B). Nell’estate del 1978, dunque ventiduenne, il ritorno alla Juve, squadra con cui rimase sino al termine della carriera (stagione 1989/1990). Sono complessivamente 379 le sue presenze in bianconero (243 in serie A) e il suo palmares racchiude 4 scudetti (80/81, 81/82, 83/84, 85/86), 3 Coppe Italia (78/79, 82/83, 89/90), una Coppa delle Coppe (83/84), una Supercoppa Uefa (84), una Coppa dei Campioni (84/85), una Coppa Intercontinentale (85) e una Coppa Uefa (89/90). Dopo il calcio giocato, ha avuto esperienze da allenatore, come secondo di Trapattoni alla Juve, poi a Cagliari e a Mons (Belgio). Attualmente è opinionista televisivo. * Luigia Casertano, una laurea in Scienze Politiche alla Luiss, alla sua prima esperienza come biografa, vive e lavora a Roma. È scrittrice di libri in materia di concorsi pubblici.
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servizi
Uno per tutti tutti per Unico1
Un ambasciatore speciale… Qui la situazione è pessima. Devo subire un bombardamento al rene sinistro, poi un intervento all’occhio destro, un secondo ciclo. Siamo alla frutta, ma comunque scrivo, magari ne esce qualcosa di utile, chissà… non ci capisco più niente ormai. Poi apro gli occhi e non ritrovo più la maglia azzurra. Sento le voci e le parole nel reparto del mio stadio-lettino, dicono che l’Italia non c’è, l’Italia è uscita, l’Italia senza Mondiale. Le immagini di Gigi Buffon, il mio n. 1 che piange, mi prendono la gola, mi manca il fiato. Il calcio, il nostro meraviglioso e amato calcio che non si qualifica a Russia 2018… i volti dei ragazzi affranti, le pagine dei giornali, le interviste, la fine di un sogno. Quanti bambini capiranno e saranno tristi con le loro maglie azzurre appese in camera, quanti tifosi già pronti a seguire gli azzurri, quanti dal lettino di un reparto, aggrappati alla voglia di vedere un gol, ascoltare una telecronaca, vivere emozioni, gioie, speranze. Quanti miei compagni di reparto che aspettavano il Mondiale soltanto per crederci ancora. Ecco, sono triste adesso, tanto che mi tremano le mani e non riesco ad andare avanti, ma la mia maglia azzurra la tengo qui stretta a me sul mio lettino. Perché noi siamo italiani, noi siamo gli azzurri, noi non molliamo mai e torneremo più forti di prima. E allora grazie ragazzi azzurri, grazie con tutto il cuore e molto di più, perché comunque sia andata, voi avete comunque cercato di regalare serate piene di sport, di magia, di felicità. Regalando alle persone piccole come me, la voglia di lottare sino al 95’, in ogni terapia. Non tanto tempo fa, sapendo che mi andavo a giocare la vita con un intervento e con una serie di terapie importanti, ho risentito la voglia di gustare il sapore di uno spogliatoio vero. Allora ho pensato con mamma Silvana di raggiungere uno stadio che è un po’ la mia casa, il “Tombolato” del Cittadella Calcio. Ad aspettarmi davanti allo spogliatoio, una delle bandiere, Andrea Pierobon, splendido portierone che in ogni gara mi faceva sentire a suo fianco tra i pali della vita. Un abbraccio, il suo sorriso, le sue parole a farmi risentire uno di loro: da quanto tempo non andavo dal “mio Cittadella”, quante
partite con loro a lottare contro il male che non voleva darmi scampo, quanti interminabili pomeriggi a gioire per un gol, a soffrire per un pareggio, a piangere per una sconfitta. Ma tutto questo è il suono della vita, loro che da anni a Cittadella mi hanno accolto come uno di loro. Sì, forse perché sono i più vicini da dove abito, ma anche forse perché tra loro ci sono da anni delle persone speciali. Dal presidente Gabrielli al direttore sportivo Marchetti che non hanno esitato, anni fa, assieme ad altri calciatori e dirigenti di altre società, a prendermi per mano per salvarmi la vita. Quante sofferenze vissute con loro sempre al mio fianco, quanti splendidi ragazzi granata a darmi forza giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno. Mai un attimo da solo: Pierobon, Gorini, Giacobbo, Mannucci, Musso, Iori, Coralli, De Gasperi, Pellizzer. Quanti giocatori campioni passati da quello spogliatoio dove io mi sento protetto, sicuro; quanti sguardi da leone per dirmi di non mollare… la tuta, la borsa, il rumore dei tacchetti, il the caldo a fine primo tempo, gli allenamenti guardati dalla finestra. Quanti sogni sulla pelle, i guanti da numero 1 tra le mani, le stampelle al mio fianco e la voglia di ritrovare la forza di stare in piedi. Che meraviglia essere di nuovo là, anche se tanti non ne conosco, così giovani, mi sono sentito finalmente un po’ persona: tutti lì a salutarmi con un semplice ciao, ma così importante per me da farmi tremare le gambe. Poi il mister Venturato che ha portato il mio Cittadella tra le squadre più forti della serie cadetta: “Ciao Diego, non mollare eh, mi raccomando, non mollare”. Io che dò un’occhiata a mia madre e poi Pierobon e Musso, lì, di fronte a me. Io che non sapevo più cosa dire, cosa fare, che emozione. No, non li ricordavo più questi momenti, non ricordavo il campo, il rumore del pallone mentre rimbalza, i bellissimi colori delle vere maglie. È difficile dire, spiegare, capire… ma quando stai lottando per qualcosa più grande di te, perdi tutto ciò che hai intorno, sei sempre a tutta per la terapia: o non stai bene in nessun posto, oppure sei steso sul tuo stadio-lettino, an-
che oggi a giocartela la vita. Così non è più facile nemmeno infilare i guanti e provare l’emozione di avere il numero scritto sulla schiena. I tifosi, gli striscioni, l’abbraccio dopo il gol della vittoria: ecco cosa mi dà il “mio Cittadella”; ecco cosa ritrovo qui tra questi ragazzi che amano il calcio e sanno cosa sono i sacrifici; ecco perché salutando Gorini mi sono venuti gli occhi lucidi. Poi ho voltato la testa e la voce di Stefano Marchetti che mi chiede come sto, come mi sento: domande preziose fatte da un uomo prezioso. Non ho risposto ma ci sia-
mo guardati negli occhi e io lo so che lui ha capito tutto, ha capito che non sono pronto per scendere in campo, ha capito che senza di loro non sarei più qui, ha capito che ho imparato a piangere, ma soprattutto a non mollare, mai. Grazie ragazzi, grazie mister, grazie dal cuore perché quel che mi avete dato in questa mezzora, per me vale ancor più del Mondiale 2018 in Russia. Grazie Cittadella, grazie presidente Gabrielli. Quando sono rientrato nel mio stadio-lettino e ho chiuso gli occhi, di nuovo pronto per un’altra partita-terapia, ho pensato a tutte le cose belle che ho incontrato tra gli stadi d’Italia, a tutti quei campioni che in ogni domenica di calcio mi hanno dato forza per salvarmi, comunque per sognare. E ho pensato all’Assocalciatori che continua a essere parte della mia famiglia, Grazie dunque, da un piccolo uomo come me, che adesso sul suo stadio-lettino s’infila di nuovo i guanti e si prepara ancora una volta a parare quell’ultimo rigore, il rigore della vita. Buon nuovo anno a tutti, ma proprio tuttitutti. Che sia pieno di emozioni indimenticabili. Grazie ragazzi, grazie dal cuore. 29
scatti
di Maurizio Borsari
Gol!
di Roberto Inglese ad Antonio Mirante in Chievo- Bologna 2-3
Sportellate
tra Davide Astori e Mauro Icardi in Fiorentina – Inter 1-1
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scatti
Staffetta
Fabrizio Pasqua e Daniele Orsato in Spal-Genoa 1-0
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femminile
di Pino Lazzaro
Difensore del San Zaccaria Ravenna Woman
Raffaella Manieri: “Il mio continuo rimettermi Tra le tante altre cose, butta lì che il mare non è lontano, un quarto d’ora, poco più. Una sfumatura, certo, ma dice che anche questo un po’ ha contato nella scelta che ha fatto. Sì, di ripartire, di ricominciare dal “basso”, per anni (o sempre?) abituata a provare a vincere, anche a dover vincere in non pochi casi. Lei, che non si è fatta intimorire nemmeno da situazioni, diciamo estreme, come quando se ne andò su per tre stagioni al Bayern Monaco. Che voleva dire sì calcio finalmente professionistico, in una delle squadre più forti del mondo (e con due scudetti portati a casa), ma pure una scalata costosissima (non c’entrano i soldi) per sentirsi infine, da titolare, veramente parte della squadra, consapevole all’inizio del ritardo rispetto i livelli delle compagne, con in più quel praticamente insuperabile ostacolo/barriera della lingua. In questo modo sempre accompagnata, poco da fare, da una sensazione che non poteva essere tradotta altro che con solitudine. Comunque sia, eccoci qui all’incontro con Raffaella Manieri, lei dunque fin qui abituata a vincere o provarci, che è ripartita dal San Zaccaria: ben altre le aspirazioni, ben altra – senza offese – la realtà. Una ragazza poi che dice di non saperlo il numero esatto, di non averle mai contate, che dovrebbero essere tra 60 e 70, non ne è sicura e stiamo parlando di presenze nella Nazionale maggiore… dai, una big insomma, come s’usa dire. Al Bayern “Andando in Germania, uno dei sogni che avevo era la Champions, lì sì avrei potuto aspirare a vincerla. Prima stagione di assestamento, poi i due scudetti, era quel mio terzo anno quello che poteva essere l’anno buono. Ma all’inizio del campionato non ero ancora pronta, fisicamente stavo così così: inizio sì da titolare ma subito nella prima partita, dopo appena mezzora, vengo sostituita. Ci poteva stare, ma non mi piacque il modo, il girarci attorno. Da lì qualcosa si incrinò, noi poi che venimmo eliminate dalla Champions addirittura al 32
primo turno, un qualcosa di… impossibile. M’aspettavo di giocare, invece no: sogno sfumato, atteggiamenti cambiati e così, a poco a poco, mi sono accorta che non c’ero più col cuore, andavo perciò ancor più volentieri in Nazionale: a fine campionato decido di andarmene da Monaco. Richieste ne avevo, anche all’estero, ma dopo tre anni fatti in quella maniera ero consumata, di fisico e anche un po’ di testa. Io lì, in pratica sempre sola, difficile comunicare e mi mancavano pure le sensazioni “di squadra”: ci sarebbe stato poi l’Europeo, ci puntavo e ho finito per scegliere Brescia, squadra al top, ma soprattutto lì ci giocavano un bel po’ di compagne che ritrovavo in Nazionale, loro con cui condividevo di più e più mi confrontavo”.
Col Brescia Dunque il Brescia, altra squadra abituata a vince-
È nata a Pesaro nel novembre del 1986 ma è di Santa Maria dell’Arzilla, sempre in provincia di Pesaro. Dopo Senigallia (B-A2-A), Torino (A), Verona Bardolino (A), Torres (A), Bayern Monaco (Bundesliga) e Brescia (A), gioca da questa stagione nel San Zaccaria-Ravenna Woman (A). Sin qui ha vinto 7 campionati (uno col Verona Bardolino, quattro con la Torres e due col Bayern), una Coppa Italia (Torres) e sei Supercoppe italiane (una col Verona Bardolino, quattro con la Torres e una col Brescia)
re. Una top, come detto, qui da noi, ma rispetto al vertice lassù, toccato e vissuto col Bayern, un passo indietro, anche più di uno. “Tornare al… dilettantismo non è stato facile. Le vedevo le cose che non andavano, non potevo non fare paragoni e mi veniva spontaneo farle notare: quel che cercavo è di indicare professionismo anche nelle piccole cose. Purtroppo il tutto è arrivato all’incontrario, non ero insomma altro che una presuntuosa ed è stata questa una cosa che ha finito per tagliarmi le gambe. In più non stavo nemmeno bene, tra stagioni che avevo lavorato
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in gioco” come una matta, forse un po’ di usura, avrei dovuto probabilmente fare una preparazione personalizzata, ma ero comunque io, ‘che venivo dal Bayern’, che dovevo adattarmi, dai. Così giocavo e non giocavo e poi l’ernia discale, nessuno che se n’era accorto, finalmente una risonanza: l’Europeo che si avvicina e che per me poi si allontana del tutto per via di una ricaduta. Così le vidi giocare in televisione e mi fece male: periodo tosto”.
San Zaccaria: come mai? Altro posto dunque da cui andar via, probabilmente pure qualche ombra (chissà, forse reciproche delusioni) nel rapporto con l’allenatrice, la Bertolini, ora alla guida della Nazionale. Lei che sceglie infine San Zaccaria e uno che arriva “da fuori”, con la penna in mano, come fa a non chiamarla “discesa”? “Beh, dipende dai punti di vista. Quel che vedo è un percorso che sto via via facendo, le scelte che fai te lo fanno continuare e ti fanno andare incontro alle cose della vita. Altre esperienze, bagaglio che si amplia. In fondo ho sentito il bisogno di andare dove nessuno mi conosceva, in qualche modo ricercando una situazione come quella che da ragazzina ho vissuto a Senigallia, per ritrovare il divertimento, per scoprire se ne potevo avere altri di sogni. Fondamentale era tornare proprio a giocare, vedrò a fine anno com’è andata. Il calcio per me è ancora in primo piano, poi viene il resto. Magari verrà il tempo in cui sarà il resto
Dal libro “Il Calcio è donna”
Gli inizi
Raffaella: “Ho cominciato che avevo 6 anni, quando chiesi a mia madre se mi comprava un paio di scarpe da calcio. Non so perché, ma anche i racconti di mia madre di quand’ero proprio piccola dicono che ero già appassionata, che volevo sempre un pallone. Così ho chiesto un giorno se potevo anch’io fare allenamento con gli altri nel giardino della scuola: non ho mai più smesso. Fortuna che il campo era giusto davanti a casa, c’ero solo io come ragazzina. Mi sentivo semplicemente uno di loro e loro lo stesso con me. Sì, lo rifarei ad occhi chiusi. Era una passione che avevo dentro, allenamenti o no, eravamo sempre lì a giocare, mattina e sera. Sino ai 13 anni, poi mi hanno detto che non potevo più giocare con loro. È stato lì che ho capito che ero una femminuccia; prima era proprio uguale, anche la in primo piano e il calcio verrà dopo. Per me tanto ha voluto dire il fatto che vengo da anni in cui sostanzialmente sono stata sempre con me stessa, sì, da sola, sacrificando amicizie, anche perdendole. Non mi andava più di continuare così: mi sono rimessa in gioco e certo anche questa è una sfida, è la salvezza adesso lo scudetto. La Nazionale? Beh, mi piacerebbe… (pausa, non breve) ma non so… prima però devo in ogni caso tornare io… certo che quando le vedo in tv, mi fa sempre un certo effetto, poco da fare”.
Qualcosa sta cambiando Ok, siamo partiti dal Bayern Monaco e
doccia la si faceva assieme… poi basta, da sola nello spogliatoio dell’arbitro. Per me il calcio era quello degli amici, quel che vedevo era quel calcio ed era alla Juventus che anch’io volevo andare. Invece ero “differente” dagli altri e ho dovuto proprio informarmi di questa cosa, ho pianto, me l’hanno dovuto spiegare perché ci si divideva”.
siamo arrivati al San Zaccaria. Un percorso che dunque continua, per Raffaella un filo che continua a dipanarsi, mentre tutto attorno qualcosa qui da noi – pare/forse/ chissà – sta cambiando per il calcio giocato dalle donne. “Dopo la Fiorentina, fondamentale l’ingresso della Juventus che ha portato sì visibilità, ma pure un suo progetto, con 33
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obiettivi ambiziosi, mostrando di crederci. Io penso che presto altre società faranno lo stesso, anche se non tutte mostrano ancora di crederci come ha fatto la Juve: visto che c’è l’obbligo, si allineano ma s’impegnano poco o niente. I numeri a livello giovanile sono comunque in aumento, un dato fondamentale per il futuro, si può sperare. E devo dire che dei cambiamenti si vedono già nelle stesse calciatrici della Juventus, si vede che adesso sono più “professioniste”: per come lavorano, per come si dedicano, per tutto quello che hanno attorno. E sono già cambiate sia come
struttura fisica, sia nel modo come si muovono sul campo, tecnicamente e tatticamente. Altro segno che in effetti qualcosa sta cambiando, è stata poi la possibilità che hanno dato pure alle ragazze ancora in attività, di prendere il patentino Uefa B. Il corso l’ho fatto a Veronello, da marzo a maggio, tra le altre c’era pure la Marchitelli e c’erano pure Dainelli e Gamberini del Chievo”.
Pink Arzilla e Academy Ricapitolando: il traguardo della salvezza con la prima squadra; il gruppo delle U12 lì del San Zaccaria da seguire e curare
come “mister” (scritto apposta, abitudine). Ma c’è altro ancora su cui si è ora buttata Raffaella: un nuovo progetto, una Academy, anzi, la RaffaManieri Academy. Allora? “Un’idea che in effetti è partita più da mio fratello Riccardo. Lì a casa, a Santa Maria dell’Arzilla, c’è mio padre che fa il presidente della società di calcio, la squadra 34
maschile fa la Seconda categoria. Tre anni fa si decise di aprire al femminile e ricordo il primo incontro: con i genitori, si presentarono cinque ragazzine, cinque. Poi diventate dieci, poi venti, ora sono una trentina. E abbiamo avuto subito dei risultati buoni: una (la Barbaresi, qui con me a Ravenna) gioca in A; tre sono in B; quattro sono nelle Under giovanili azzurre e sette nel Centro federale della Figc a Urbino. Vuol dire insomma che in quel che facciamo c’è della qualità e così, dopo la Pink Arzilla, abbiamo deciso di fare un passo in più, con una Academy rivolta a società, allenatori e addetti ai lavori vari che vogliano accostarsi al femminile. Nel nostro progetto abbiamo pure delle uscite dimostrative e di formazione, nelle società che lo richiedono, proponendo pure il “mixed team”, con cui gestiamo rose miste di giovani calciatrici e calciatori, per ogni categoria, dai piccoli amici ai giovanissimi. Utile sì per le ragazzine ma ancor di più, per quel che vedo, proprio per i ragazzini”. Avanti e buon percorso..
segreteria
Nella legge di Bilancio per il 2018
Approvato l’emendamento sul pensionamento sportivi professionisti È stato approvato nella legge di Bilancio per il 2018 un emendamento fortemente voluto dal Ministro per lo Sport Luca Lotti, a prima firma on. Daniela Sbrollini, che in ragione della specificità della carriera degli sportivi professionisti ne anticipa di cinque anni l’età di pensionamento. È un provvedimento molto importante per tutti quegli sportivi che lontano dai riflettori hanno dedicato la loro vita professionale all’agonismo pur percependo retribuzioni ordinarie. E soprattutto si tratta di una misura a costo zero per le casse dello Stato perché interamente finanziata dagli sportivi stessi con un piccolo contributo di solidarietà. L’Associazione Italiana Calciatori aspettava da tempo questo intervento da parte del Governo, che dà così una prima risposta concreta alle tematiche del post carriera di quegli atleti di cui spesso, spente le luci dell’attività agonistica, ci si dimentica. Un sentito ringraziamo per questo va al Ministro per lo Sport Luca Lotti che ha dimostrato una sensibilità non comune sul tema, l’on. Daniela Sbrollini e tutti i parlamentari che si sono impegnati per il raggiungimento di questo risultato: nel corso di questi anni è stato costruito un percorso comune con l’intento di dare maggiori garanzie e tutele a chi, nel nostro Paese, fa dello Sport il proprio lavoro. “Quando si parla di professionismo sportivo” – ha dichiarato Damiano Tommasi – “si pensa sempre alla ristretta cerchia
Approvata dalla Commissione parlamentare
di atleti che vive l'apice della grande industria dello sport. Provvedimenti come questo riconoscono, invece, la particolare difficoltà di una moltitudine di ragazzi che nel percorrere carriere sportive, spesso discontinue, sono costretti a rinunce nell’ambito formativo che una volta
spenti i riflettori si ripercuotono sulla vita di tutti i giorni. Ancora una volta mi piace sottolineare l’importanza di avere un Ministro dello sport, che ringrazio nuovamente, che riserva attenzione ed impegno ad una delle più importanti industrie del Paese”.
Provvedimento storico per lo sport italiano
La maternità per le atlete è legge dello stato È stato approvato con voto definitivo in legge finanziaria alla Camera il provvedimento che consentirà alle atlete madri di avere un fondo a tutela della maternità. Si tratta di un sostegno al valore della parola “mamma” anche per tutte le sportive, nei fatti professioniste, che fino ad oggi erano praticamente escluse dal riconoscimento di tale diritto. AIC (Associazione Italiana Calciatori), GIBA (Associazione Giocatori Italiani Basket) e AIPAV (Associazione Pallavolisti), come Associazioni e rappresentanti delle atlete, hanno fattivamente contribuito al raggiungimento di questa previsione normativa. Si tratta di un risultato storico per il nostro paese, che apre la strada ad una nuova visione dello sport e delle sue regole. La ferma volontà del Ministero dello Sport, con il sostegno della Presidenza del Consiglio e del Dipartimento Pari Op-
portunità, ha permesso che, grazie al voto parlamentare, già dal 2018 le sportive italiane potranno contare su un’indennità che copra i mancati introiti dell’attività sportiva. Due milioni previsti per il primo anno, secondo quanto approvato, e altri stanziamenti per i successivi. Una norma di civiltà divenuta legge per la quale si attendono i decreti attuativi che definiscano al meglio le modalità di accesso. AIC, GIBA e AIPAV, nell’esprimere apprezzamento anche per il contributo dato alla discussione da parte delle componenti della commissione Atleti Coni, che hanno lavorato a sostegno della proposta, saranno ancora al lavoro insieme perché altri importanti risultati arrivino dalla politica e dal mondo dello sport, a partire da una riforma della Legge 91 e da una nuova legge per le atlete e gli atleti attualmente definiti dilettanti.
Mafia e Calcio: presentata la relazione È stata presentata a Roma la relazione su “Mafia e Calcio” approvata all’unanimità dalla Commissione parlamentare antimafia presieduta dall’On. Rosy Bindi e dal coordinatore del comitato “Mafia e Sport” Marco Di Lello. Dalle oltre cento pagine della relazione, nella quale sono stati ripresi alcuni importanti passaggi tratti dall’audizione tenuta alcuni mesi fa dal Presidente dell’Associazione Italiana Calciatori Damiano Tommasi, si evidenziano le infiltrazioni mafiose tra i gruppi ultras di molte società calcistiche
e, sebbene non appaia ancora saldata la componente di criminalità organizzata con quella della criminalità comune, le modalità organizzative e operative degli ultras vengono spesso mutuate da quelle della associazioni di tipo mafioso. Si evince inoltre che è i rapporti con i giocatori possono essere sfruttati a fini illeciti, attraverso il cosiddetto match fixing, cioè l’alterazione del risultato sportivo al fine di conseguire illeciti guadagni attraverso il sistema delle scommesse. Senza contare il tentativo
delle mafie di controllare alcuni dei business legati al calcio, come la vendita dei biglietti. Tra le misure proposte dalla Commissione per arginare il problema, l’inasprimento del Daspo e la previsione di strutture che consentano di trattenere temporaneamente soggetti in stato di fermo all’interno dello stadio. Un duro giro di vite in termine di ordine pubblico per provare a stringere le maglie che consentono alle mafie di infiltrarsi negli stadi sfruttandone le zone franche di illegalità. 35
segreteria
di Gianfranco Serioli
Importanti novità nella legge di Bilancio 2018
Come funziona la pensione degli sportivi Premessa Il trattamento pensionistico per lo Sportivo è previsto da norme di carattere speciale che nel tempo sono state armonizzate con quelle dell’Assicurazione Generale Obbligatoria, perdendo via via alcuni tratti di specialità, incamminandosi verso il trattamento previsto per la generalità dei lavoratori. Dal 1973, anno della costituzione del Fondo pensioni per calciatori e allenatori di calcio, ad oggi molto è cambiato e attualmente la pensione dello Sportivo è regolamentata dal decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 166.
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Come funziona Il regime pensionistico si differenzia in due discipline distinte a seconda se lo Sportivo possa o meno far valere un’anzianità contributiva entro il 31 dicembre 1995.
sono la conseguenza dell’aggancio del trattamento pensionistico alla speranza di vita: in futuro varieranno in relazione aumento della vita media degli italiani; • Aver coperto 20 di contribuzione con la qualifica di Sportivo professionista (non si considerano i contributi versati con una diversa qualifica): genericamente corrispondono a 5.200 giornate lavorative ma, in determinati casi, potrebbero essere in numero inferiore o superiore; • Aver coperto 20 di assicurazione: devono essere temporalmente trascorsi 20 anni dal versamento del primo contributo; • Aver cessato l’attività. Per tutti questi Sportivi nulla è cambiato in seguito alla modifica inserita nella Legge 27 dicembre 2017, n. 205, Bilancio di previsione per l’anno finanziario 2018.
Sportivi con contribuzione accreditata entro il 31 dicembre 1995 Tutti i calciatori che possono far valere periodi contributivi entro la fine del 1995 nel Fondo sportivi, in quello dipendenti INPS, nel Fondo agricoltori e in quello dello Spettacolo acquisiscono il diritto alla pensione se soddisfano i requisiti seguenti: • Raggiungimento dell’età pensionabile, attualmente e fino al 31 dicembre 2018, è prevista a 53 anni e 7 mesi. I 7 mesi
Sportivi privi di contribuzione entro il 1995 e neoassunti dal 1° gennaio 1996 in poi Le norme che regolano l’accesso al trattamento pensionistico per tutti gli Sportivi sono sempre previste nello stesso decreto legislativo ma hanno perso alcuni tratti di specialità. Tutti i calciatori che possono far valere periodi contributivi dal 1° gennaio 1996 nel Fondo sportivi acquisiscono il diritto alla pensione se soddisfano i requisiti seguenti:
• Raggiungimento dell’età pensionabile che, come previsto dall’articolo 3, comma 7 del d. lgs. n. 166/97, si determina applicando l’articolo 1, comma 2 della legge 335/95. Ma cosa significa in concreto? Semplicemente il legislatore non ha inserito un’età precisa e determinata ma ha agganciato la stessa all’andamento di quella prevista per tutti gli altri lavoratori. Significa che ogni volta che varia l’età pensionabile nell’Ago (Assicurazione generale obbligatoria) automaticamente varia anche quella per gli Sportivi neoassunti dal 1996. La progressione temporale è stata a 57 anni fino al 2004, successivamente alzati a 65 anni con la riforma Maroni e infine a 66 anni con la Fornero. Ai fini dell’età pensionabile l’unico aspetto di natura speciale per gli Sportivi (privi di anzianità al 31 dicembre 1995) è quello previsto dall’articolo 3, comma 8 del d. lgs. n. 166/97, in particolare “Per i lavoratori iscritti al Fondo successivamente alla data del 31 dicembre 1995 e privi di anzianità contributiva alla predetta data, stante la specificità dell’attività lavorativa svolta, è consentito aggiungere alla propria età anagrafica, ai fini del conseguimento dell’età pensionabile prevista dall’articolo 1, comma 20, della citata legge n. 335 del 1995, un anno ogni quattro di lavoro effettivamente svolto nelle suddette qualifiche, fino ad un massimo di cinque anni …”. In pratica è consentito, ai soli fini del raggiungimento dell’età pensionabile prevista dall’articolo 1, comma 20, della legge 335/1995, attualmente 66 anni, togliere 5 anni in presenza di 20 anni di contributi versati con la qualifica di Sportivo: di fatto l’età pensionabile è raggiunta al compimento del 61° anno di età. Tutto questo è stato integrato e in parte modificato dalla riforma Fornero che consente, per tutti i lavoratori con primo accredito contributivo dal 1° gennaio 1996, di andare in pensione con un trattamento anticipato all’età di 63 anni. Ad oggi quindi i lavoratori neoassunti dal 1° gennaio 1996 hanno diritto a due trattamenti pensionistici
politicalcio
di Fabio Appetiti
Luca Lotti, Ministro dello Sport
“Per la tutela del mondo sportivo distinti: il primo denominato pensione di vecchiaia ed il secondo di vecchiaia anticipata. Il primo all’età di 66 anni e il secondo a 63 anni, a cui si deve aggiungere in entrambi i casi il periodo previsto per l’incremento della speranza di vita. Le conseguenze di questa previsione della legge Fornero sono state scontate anche dagli Sportivi in quanto la norma di carattere speciale consentiva di scontare al massimo 5 anni di età solamente dalla pensione di vecchiaia e non anche da quella di vecchiaia anticipata.
La bella novità Questo problema è stato finalmente superato grazie all’intervento dell’Associazione Italiana Calciatori che è riuscita a far inserire nella legge di Bilancio 2018, all’articolo 1, comma 374 la previsione di sostituire le parole “… ai fini del conseguimento dell’età pensionabile previsto dall’articolo 1, comma 20, della citata legge n. 335 del 1995” con le parole “ai fini del conseguimento del trattamento pensionistico”. Tralasciando gli aspetti tecnici significa che con decorrenza gennaio 2018, i 5 anni di sconto sull’età pensionistica si possono applicare non solo alla pensione di vecchiaia (art. 1, comma 20 della legge 335/95) ma anche a quella anticipata. Il risultato finale è che attualmente l’età pensionabile, per la pensione con la qualifica di Sportivo professionista, è di 58 anni (63 anni meno lo sconto di 5 previsto dal decreto Lgs 166/97). Da non dimenticare che trova applicazione l’aggancio alla speranza di vita degli italiani. Gli ulteriori requisiti richiesti sono: • Aver versato 20 di contribuzione con la qualifica di Sportivo professionista: genericamente corrispondono a 5.200 giornate lavorative ma, in determinati casi, potrebbero essere in numero superiore (nel caso siano accreditati contributi per il servizio militare e volontari); • Aver coperto 20 di assicurazione: devono essere temporalmente trascorsi 20 anni dal versamento del primo contributo; • Aver cessato l’attività.
Non c'è molto da aggiungere alle parole del Ministro dello Sport Luca Lotti perché tutto o quasi è contenuto nelle risposte che il Ministro ha fornito in questa breve intervista. Possiamo solo aggiungere che 12 mesi di lavoro sono un arco temporale ristretto per chi fa politica, ma che per il Ministro sono stati sufficienti ad assolvere ad impegni la cui soluzione si attendeva da anni. Previdenza, fondo maternità per le atlete, ampliamento della no tax area per i dilettanti, sono alcune risposte concrete alle esigenze della nostra categoria e di chi ha scelto di fare dello sport un lavoro. L'auspicio, a prescindere da cosa accadrà il 4 marzo, è che dalla presenza delle politiche sportive nelle attività di governo, qualsiasi governo, non si torni indietro. Cominciamo a parlare del suo lavoro come Ministro dello Sport . Intanto è il caso di dire “finalmente un ministro in Italia che si occupa di sport”: se ne parlava da anni e ora è diventato realtà… “Ho assunto questo incarico con serietà e umiltà perché il movimento sportivo merita di essere sostenuto e valorizzato. Quando ho presentato il mio mandato avevo fissato degli obiettivi per me fondamentali che ho cercato di raggiungere nel rispetto di un impegno preso davanti agli italiani e al Parlamento, tutto questo in un anno di lavoro come ministro, un impegno di cui vado fiero. Norme e provvedimenti volti alla tutela e all’acquisizione di diritti, a una rinnovata e concreta attenzione alle periferie, alla messa in sicurezza delle strutture dedicate alla pratica agonistica e non solo grazie alla manovrina dello scorso giugno. Nel corso di questi 12 mesi è stato possibile determinare il riordino delle cariche apicali delle istituzioni sportive con un limite dei mandati per gli organi direttivi; abbiamo dato vita alla collaborazione tra Scuola e Sport che sono certo sarà proficua e duratura. E poi ci sono i grandi eventi che il nostro Paese ospiterà: penso alla fase finale del Mondiale maschile di pallavolo in questo 2018, la finale europea
di calcio Under21 che si disputerà il prossimo anno, Cortina 2021 e la Ryder Cup 2022. Manifestazioni che certificano il ruolo centrale dell’Italia nello scenario agonistico internazionale, strumenti privilegiati di promozione e sviluppo del nostro territorio, un impulso positivo all’economia. Ricoprire il ruolo di ministro per lo Sport significa inoltre dare voce a chi fino ad ora non l’ha avuta contribuendo alla progressiva e definitiva scomparsa delle etichette tra le discipline divise ingiustamente tra quelle di serie A e serie B oltre alla doverosa quanto necessaria diffusione di una cultura sportiva”. Per la prima volta abbiamo avuto un pacchetto strutturale di norme inserite nella legge di bilancio 2018 riguardanti lo Sport. Ci descriva le linee strategiche di queste misure brevemente. “Il cosiddetto ‘Pacchetto Sport’, del valore di oltre 50 milioni di euro, rappresenta un grande risultato perché traccia un percorso dal 37
politicalcio
quale non si torna indietro. Rifinanziare e rendere strutturale il ‘Fondo Sport e Periferie’, voluto e attivato per la prima volta durante il Governo dei 1000 giorni di Matteo Renzi, vuol dire riservare attenzione costante nei confronti della crescita e dello sviluppo delle diverse realtà che caratterizzano il nostro Paese e delle giovani generazioni senza lasciare indietro nessuno. Come ministro ho avuto modo di visitare strutture che sono tornate in attività, palestre scolastiche rese accoglienti, sicure, dotate di nuove attrezzature: dunque la strada intrapresa è quella giusta. Ma nella Legge di Bilancio sono state inserite norme connesse all’acquisizione di diritti, come ad esempio quello allo sport per i giovani extracomunitari che dopo un anno di scuola in Italia possono essere tesserati e iniziare un percorso agonistico. Ma ci sono anche i doveri, una priorità per le Istituzioni, volti al sostengo e al potenziamento del movimento sportivo italiano compreso quello paralimpico: è stato infatti creato un fondo per l'acquisto di carrozzine e ausili per persone con disabilità al fine di promuovere e avviarle all’attività motoria. Mi piace ricordare che nel corso delle 50 settimane di lavoro il CIP è diventato ente pubblico autonomo. E poi la riforma della Legge sui diritti televisivi, o Leg38
ge Melandri, che doveva essere rivista e aggiornata per regolare squilibri e produrre benefici per tutto il calcio rendendo più competitivo il campionato. Con il riordino dei criteri di ripartizione dei proventi derivanti dalla vendita dei diritti televisivi della Serie A si è ridotto lo storico gap tra le prime e le ultime in classifica. Sono state inserite modalità di ripartizione misurabili, basate sul merito e sui risultati effettivamente conseguiti prendendo in considerazione la posizione, i punti ottenuti nell’ultima competizione oltre ai risultati delle ultime 5 stagioni. Viene mantenuto anche il parametro dei risultati storici, a partire dalla stagione 1946-47. È stato poi introdotto quello del radicamento sociale che premia le squadre con il più alto numero di spettatori paganti che assistono dal vivo alle gare casalinghe. Un altro parametro è l’audience tv raggiunta. È importante ricordare anche che le società di calcio di Lega B, Pro e Dilettanti, che utilizzano le risorse provenienti dalla commercializzazione dei diritti tv della serie A per ammodernare gli impianti calcistici, possono ottenere un credito d’imposta. In questo modo si può favorire la riqualificazione delle strutture sportive dove i calciatori possono allenarsi e giocare in totale sicurezza”. Alcune misure hanno riguardato direttamente la nostra categoria con provvedimenti attesi da tempo. In modo particolare quello sulla previdenza degli Sportivi professionisti e il fondo maternità per le atlete. Ce ne parli e intanto la ringraziamo per l’impegno mantenuto da parte di tutti i calciatori e le calciatrici italiane. “Poter contribuire realmente a tutelare, migliorare e a dare maggiore equità al mondo sportivo è uno dei compiti che mi ero prefissato a inizio mandato. Il fondo per la maternità delle atlete nasce per sanare un’ingiustizia e per offrire loro la possibilità di non dover più scegliere tra il desiderio di diventare madri e la carriera. Era
doveroso anche riconoscere l’impegno degli sportivi professionisti meno fortunati garantendo loro un’assistenza pensionistica che, mi preme sottolineare, non grava sulle casse dello Stato: abbiamo costruito con l’Inps un anticipo pensionistico interamente coperto da un contributo di solidarietà a carico degli stessi sportivi. Per tutti vale il principio che quelli che hanno avuto una maggiore retribuzione aiuteranno chi ha guadagnato di meno, un circolo virtuoso all’interno di questo settore. Queste norme affermano con chiarezza che lo Sport può essere un lavoro e quindi come tale deve essere regolato con giustizia e lungimiranza”. Parliamo del calcio e della sua crisi. Spesso ha ripetuto “il governo sta facendo la sua parte ora tocca al sistema darsi una direzione per le riforme”. Ora toccherà al commissario. Quali sono le priorità secondo lei? “Abbiamo davanti a noi l’occasione per far ripartire il calcio italiano, per riscrivere quelle regole che mancano da troppo tempo e che hanno portato a una fase di stallo. Il governo non può che sostenere un percorso di rinnovamento, per fornire nuovo vigore al movimento calcistico in Italia partendo dalla valorizzazione e dall’investimento sulle scuole calcio e sui centri tecnici federali. Mi auguro davvero che questa situazione sia l’occasione giusta per farlo tornare ad essere il più bello del mondo”.
calcio e legge
di Stefano Sartori
Ex art. 6.8 Accordo Collettivo Lega Pro/AIC
Termine per il deposito dell’incentivo all’esodo Segnaliamo un lodo importante che si riferisce ad istituto sempre più diffuso ed utilizzato in caso di risoluzione del contratto, cioè l’accordo per incentivo all’esodo ex art. 6.8 Accordo Collettivo Lega Pro/AIC. Nella riunione del 7 luglio 2017 il Collegio Arbitrale costituito presso la Lega Pro ha esaminato il ricorso proposto da un calciatore già tesserato con la Casertana FC avente ad oggetto il riconoscimento della validità di un incentivo all’esodo stipulato contestualmente ad una risoluzione del contratto di prestazione sportiva. La società ha contestato integralmente la domanda del calciatore eccependo il difetto di giurisdizione/competenza del Collegio e, in subordine, la nullità dell’accordo, il tutto causato dalla tardività del deposito ai sensi dell’art. 6.8 dell’Accordo Collettivo (AC) (“La Società ed il Calciatore possono stipulare specifici accordi per le ipotesi di anticipata risoluzione del rapporto ovvero di cessione a titolo definitivo o temporaneo ad altra Società, Una copia di detti accordi dovrà essere depositata, entro e non oltre il termine di dieci giorni dalla loro sottoscrizione, presso la Lega”). Ebbene, in via preliminare il Collegio
ha ritenuto di non poter accogliere le eccezioni in merito alla tardività del deposito dell’accordo di incentivo all’esodo, in quanto ha ritenuto lo stesso del tutto valido ed efficacie per le ragioni che andiamo ad esporre. Innanzitutto, l’accordo riconosceva espressamente la devoluzione di ogni controversia al Collegio Arbitrale presso la Lega Pro. In secondo luogo, dalla documentazione allegata e, in particolare, dal verbale di accordo di risoluzione consensuale intervenuto tra le parti in sede sindacale in data 24 giugno 2017, si riconosceva esplicitamente al calciatore una somma netta a “titolo di incentivo all’esodo”. Per quanto concerne la questione, cruciale, relativa al deposito, come sopra riportato l’AC prevede che questo tipo di accordi debbano essere depositati entro 10 giorni dalla sottoscrizione presso la Lega. Ora, nella fattispecie oggetto di questa disamina, l’onere di provvedere al deposito era espressamente indicato come a carico della società e, pertanto, proprio a causa del mancato deposito da parte del club il calciatore si è visto costretto a depositare l’atto in data 15 luglio 2017, quindi 21 giorni dopo la data di stipulazione.
Deposito premi collettivi e individuali Premi collettivi Ricordiamo i termini di deposito dei premi collettivi: Serie A: 20 febbraio 2018 Serie B: 31 marzo 2018 Lega Pro: 20 febbraio 2018. La pattuizione deve essere stipulata tra un rappresentante legale del club e tutti i calciatori tesserati o, in alternativa, da almeno 3 di loro muniti di procura rilasciata dagli altri in forma scritta. Il testo deve contenere i risultati che generano l'erogazione del premio (ad esempio la vittoria del campionato, il piazzamento in classifica, la promozione diretta o via play off, la permanenza nella serie, ecc.), l’am40
montare complessivo ed i criteri di assegnazione delle quote tra i singoli aventi diritto. I premi nell’ambito di ciascuna competizione agonistica non sono cumulabili.
Premi individuali Ai sensi dell’art. 93 delle NOIF è consentita la stipulazione di premi individuali, ad esclusione dei premi partita, purché: • risultanti da accordi stipulati contestualmente alla stipula del contratto economico; ovvero • risultanti da accordi integrativi depositati non oltre il 30 giugno di ciascuna stagione sportiva.
In sostanza, il calciatore ha agito forzatamente in forza degli artt. 3.2 o 3.3 AC (3.2 “Qualora la Società non vi provveda, il deposito può essere effettuato dal Calciatore entro sessanta giorni dal giorno della stipula.” - 3.3 “Dell’avvenuta o mancata approvazione deve essere data immediata comunicazione al Calciatore, alla Società ed alla Lega Pro. In mancanza di pronuncia federale entro il trentesimo giorno successivo al deposito ovvero nel minor termine eventualmente previsto per il rilascio del visto di esecutività, il contratto si intende approvato”). Di fatto, avendo depositato l’accordo per incentivo all’esodo a 21 giorni dalla sottoscrizione, il calciatore ha comunque rispettato i termini indicati dai predetti articoli (60 e/o 30 gg dalla sottoscrizione); inoltre, va segnalato che una volta ricevuto il deposito, nulla è stato opposto od eccepito da parte dei competenti uffici della Lega Pro. Infine, per quanto riguarda il credito, l’onere probatorio è stato assolto avendo il calciatore prodotto “la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto (ed eventualmente del termine di scadenza), limitandosi ad allegare l'inadempimento della controparte, su cui incombe l'onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall’inadempimento”. Tutto ciò premesso, il Collegio Arbitrale ha dichiarato la società Casertana FC obbligata a corrispondere al calciatore l’importo netto reclamato a titolo di incentivo all'esodo in forza del contratto di risoluzione di prestazione sportiva, oltre interessi e rivalutazione monetaria sino alla data dell’effettivo pagamento. Un lodo estremamente interessante che però suggerisce una riflessione che dovrà essere opportunamente valutata: nel caso in cui, benché sia tenuta a farlo, una società non depositi l’accordo, sarà bene che il calciatore, per evitare problemi circa la validità dello stesso, provveda personalmente entro il termine più favorevole di 60 giorni ma non oltre.
calcio e legge
di Stefano Sartori
L’art. 116 delle NOIF
Proroga del tesseramento L’art. 116 delle NOIF – Proroga di tesseramento e stipula di contratto in caso di promozione – è stato recentemente oggetto di una innovativa pronuncia del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Tesseramenti (CU 9/TFN del 6 novembre 2017).
I fatti La società Virtus Vecomp Verona proponeva reclamo, innanzi al Giudice Sportivo, avverso l’esito della gara disputata contro la società Arzignano Valchiampo sostenendo che il calciatore Forte Daniele Antonio aveva partecipato alla partita senza averne titolo poiché in difetto di tesseramento. In particolare, la Virtus sosteneva che il calciatore nella stagione sportiva 2016/2017 era tesserato con la società Ravenna FC 1913 la quale, al termine della stagione, aveva acquisito il titolo per partecipare al campionato di Serie C; ebbene, in data 4 luglio 2017, il calciatore veniva tesserato dalla società Arzignano Valchiampo in aperta violazione dell’art. 116 NOIF. L’articolo in questione prevede quanto segue: “Le società della Lega Nazionale Dilettanti, ammesse al Campionato di Serie C, hanno diritto di stipulare dal 1° al 10 luglio il contratto da “professionista” con tutti i calciatori “non professionisti”, in precedenza per essa tesserati, a condizione che abbiano l’età prevista dal comma 3 dell’art. 28, Per tali calciatori la scadenza del precedente tesseramento è prorogata al 10 luglio”. Ebbene, per la Virtus il calciatore doveva intendersi tesserato con il Ravenna FC 1913 almeno fino al 10 luglio in virtù della proroga prevista dall’art. 116 NOIF per i calciatori tesserati con società ammesse al campionato di Serie C e, pertanto, il tesseramento con l’Arzignano Valchiampo del 4 luglio antecedente doveva ritenersi nullo. Letto il reclamo, il Giudice Sportivo riteneva giustamente preliminare la questione relativa al tesseramento del calciatore e quindi ordinava la trasmissione degli atti al Tribunale Nazionale Federale, Sezione Tesseramenti.
La società Arzignano Valchiampo depositava una propria memoria con cui sosteneva la legittimità del tesseramento del calciatore in quanto l’art. 116 NOIF riconoscerebbe un diritto e non un obbligo delle società di tesserare/confermare i propri calciatori tra i professionisti. Ed infatti, proseguiva l’Arzignano, il Ravenna FC 1913 aveva esercitato detto diritto solo con riferimento a due calciatori, avendo quindi implicitamente rinunciato a tesserare il calciatore Forte Daniele Antonio per il campionato 2017/2018.
La pronuncia del TFN Il Tribunale Federale Nazionale - Sezione Tesseramenti (con nostra immensa sorpresa…), ha accolto la tesi
della società arzignanese e quindi ritenuto valido il tesseramento del calciatore, e ciò sulla base dell’interpretazione letterale dell’art. 116. In particolare, citiamo testualmente, “dalla lettura della norma si evince che la proroga dei termini di tesseramento è riservata solo ai calciatori che vengono tesserati come professionisti per le società di appartenenza promosse in Serie C.” Un ragionamento diverso e così pure un’interpretazione opposta, comporterebbe l’impedimento per tutti i calciatori non professionisti tesserati per società neo promosse in Serie C di tesserarsi presso altre società sino all’11 luglio. Circostanza, a giudizio del TFN, non contemplata da alcuna norma. Evviva!
La scomparsa dell’ex CT azzurro
Ciao Azeglio, gentiluomo del calcio Un uomo di grandi valori che, da presidente dell’Associazione Allenatori, ha condiviso con l’AIC un lungo percorso comune: Azeglio Vicini rimane senza dubbio uno dei personaggi più amati del nostro calcio, non solo per i successi sportivi ma per quello che ha lasciato sotto il profilo umano. La sua scomparsa lascia un vuoto incolmabile, ancor più per chi lo ha conosciuto e ha avuto il privilegio di lavorare al suo fianco. “Se n’è andato un uomo di valore, un calciatore importante e corretto, un compagno di squadra con la maglia del Vicenza al Torneo di Viareggio e nel campionato di serie A, un ottimo commissario tecnico della Nazionale con un campionato del mondo non vinto per un soffio” – lo ha ricordato Sergio Campana, Presidente onorario AIC. “Per diversi anni, con ottimi risultati, abbiamo lavorato assieme in
una commissione federale, lui come presidente dell’Associazione Allenatori, io come presidente dell’Associazione Calciatori. Ho perso soprattutto un amico, una persona che non dimenticherò”.
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primo piano
di Nicola Bosio
Presentato a Roma il 17 gennaio scorso
“Calciatori sotto tiro”: IV Rap È stato presentato a Roma lunedi 17 gennaio scorso, con una conferenza stampa tenutasi presso il Dipartimento di Pubblica Sicurezza, il quarto Rapporto “Calciatori sotto tiro”, a cura dell’Associazione Italiana Calciatori, che evidenzia i principali casi di intimidazione e violenza nei confronti di calciatori professionisti e dilettanti nel corso della stagione sportiva 2016/17. Sono intervenuti Damiano Tommasi (Presidente AIC), Daniela Stradiotto (Presidente Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive), Simone Perrotta (Membro AIC della “Commissione di studi sul tema del calciatori minacciati ed intimiditi”). Pierpaolo Romani (Presidente Avviso Pubblico) e Fabio Poli (Direttore organizzativo AIC), redattori del Rapporto, hanno illustrato i dati raccolti dall’Osservatorio istituito dall’AIC attraverso un’ampia
indagine sul campo. Obiettivo dello studio AIC è quello di svolgere, ogni anno, un’indagine approfondita sulla quantità e sulla tipologia di intimidazioni, offese e minacce che hanno per oggetto i giocatori di calcio, tanto a livello professionistico quanto dilettantistico. Essere “Calciatori sotto tiro”, significa essere minacciati, vittime di gesti di razzismo, di violenza, non solo per il colore della pelle o per la provenienza, ma per qualsiasi altro tipo di episodio, come ad esempio il passaggio ad altra squadra, la perdita di una partita ritenuta partico42
larmente importante, il rendimento sul campo al di sotto delle aspettative. I dati presentati in questa quarta edizione, raccolti anche attraverso la consultazione quotidiana di articoli di stampa e su segnalazione dei propri referenti territoriali, mettono in luce come nel nostro Paese, nel 2016/17, siano calate le situazioni censite, così come sono calati, seppur di poco, i singoli episodi (114 per la stagione 2016/2017 contro i 117 analizzati nella stagione precedente). Le categorie professionistiche rappresentano l’ambiente principale nel quale si realizzano la stragrande maggioranza dei casi di violenza o intimidazione: 75% del totale, contro il 25% delle categorie dilettantistiche che rappresentano, numericamente, un bacino decisamente più ampio.
La Serie A, con oltre la metà dei casi (52%), è di gran lunga il campionato più “pericoloso” nel quale svolgere la professione di calciatore. Segue, con significativo distacco, la Lega Pro (15%) e la Serie B (9%). Preoccupante il dato del 5% dei casi registrati nei campionati giovanili; un dato ormai costantemente presente. Da un punto di vista “territoriale”, il Sud e le Isole rappresenta-
no l’area più pericolosa, con il 40% dei casi. Di poco sotto il Nord, con il 37% dei casi. Più tranquillo, invece, giocare in una squadra del Centro Italia, dove si realizzano “solo” il 23% degli episodi. Il Lazio, tuttavia, resta la regione più pericolosa dove giocare a calcio (13%), seguita dalla Lombardia (12%) e dall’Abruzzo (10%) che, considerata la differenza di popolazione con le altre
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pporto stagione 2016/17 “Non è normale!”
due regioni, costituisce la regione con il maggior tasso di rischio percentuale di questa edizione. Chiudono la classifica, come regioni più “tranquille”, l’Umbria e la Calabria (rispettivamente con l’1% dei casi). Dove si svolgono le azioni intimidatore o le violenze? Praticamente in percentuale identica dentro lo stadio o nelle sue immediate vicinanze, nei tragitti di entrata ed uscita dei calciatori dall’impianto. I centri di allenamento cominciano a diventare luoghi di rilevante pericolosità, con i 14% dei casi registrati.
Sono passate quattro stagioni dalla pubblicazione del primo Report. Questi anni sono serviti a creare attenzione sul fenomeno, grazie all’impegno costante dell’Associazione Calciatori nei confronti di tutti i calciatori in Italia. Purtroppo, non possiamo ancora dire che siano bastati a risolvere il problema. I casi di cronaca che continuano a proporsi periodicamente, ci mostrano un panorama nel quale è ancora possibile, se non addirittura frequente, subire intimidazioni o minacce per il solo fatto di svolgere una “professione sportiva”. Essere aggrediti, insultati, minacciati, subire cori razzisti o qualsiasi altra forma di intimidazione o violenza non fa parte del gioco. Non è normale. Non può e non deve essere tollerato perché … “nel calcio succede così”. Troppo spesso i calciatori, che cercano di svolgere in maniera professionale un lavoro dalle indubbie connotazioni emotive e mediatiche, finiscono per scontare responsabilità che non competono loro e dalle quali sono completamente estranei. Questo report
e, soprattutto, l’impegno AIC a pubblicarlo di anno in anno vogliono essere un modo per mantenere viva l’attenzione mediatica sul problema e per favorire la creazione di una consapevolezza culturale che porti tutto il mondo del calcio, e non solo, a considerare intollerabili queste forme e queste modalità di violenza. L’istituzione, da parte del Ministro dell’Interno, della “Commissione di studi sul tema dei calciatori minacciati e intimiditi” rappresenta un ennesimo passo avanti nel processo di contrasto a questo problema culturale. Intanto è bene non “abbassare la guardia” e, soprattutto, conoscere bene le dinamiche del problema. Da dove arrivano i pericoli. Quali sono. Come vengono messi in atto e come, conseguentemente, è possibile difendersi. In che zone d’Italia è un rischio maggiore giocare al calcio… e così via. Questo documento risponde a queste domande e può fornire anche al calciatore un valido strumento per orientarsi nello svolgimento della sua professione.
Simone Perrotta (Membro AIC della “Commissione di studi sul tema del calciatori minacciati ed intimiditi” istituita dal Ministro dell’Interno, su richiesta dell’Associazione Italiana Calciatori. Consigliere Federale FIGC. Responsabile Dipartimento Junior AIC)
Il calciatore singolo resta, purtroppo, il bersaglio preferito (54%). L’intera squadra viene, invece, colpita nel 38% dei casi. 43
primo piano
I cori, gli striscioni e gli insulti di particolare gravità rappresentano, insieme, il 63% dei casi registrati. Mentre le aggressioni fisiche costituiscono ben il 17% degli episodi. Significativo ed allarmante anche il
Il “fuoco amico”, ovvero le proprie tifoserie, sono gli autori più frequenti delle violenze (49% del totale). Mentre i tifosi avversari generano “solo” il 35% degli episodi registrati. Il razzismo è diventata la prima causa di minacce o intimidazioni (36%), seguita dalle motivazioni più “storiche” delle violenze ai danni dei calciatori: la sconfitta (31%) o il rischio retrocessione (7%). “La violenza ai calciatori altro non è che purtroppo uno dei tasselli del più ampio fenomeno di violenza nel calcio”, ha commentato Daniela Stradiotto.
6% dei danneggiamenti a beni di proprietà dei calciatori o dei club. Entrano nella classifica anche i social, nei quali si registra ormai il 5% delle minacce.
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“L'obiettivo è quello di convincere i calciatori che così non è normale”, ha concluso Tommasi rilanciando l’hashtag #nonènormale. “Mi auguro che si continui a fare il possibile per cambiare le cose: l’Associazione Calciatori sta cercando di promuovere un altro tipo di calcio e di tifo, stiamo lavorando per portare proposte concrete per promuovere atteggiamenti differenti nella consapevolezza del nostro ruolo. Dobbiamo fornire delle risposte chiare alle storture ed ai comportamenti scorretti, come si è fatto in altri paesi”.
regole del gioco
di Pierpaolo Romani
Violenza a 360 gradi
Nessun posto è sicuro quando si finisce sotto tiro Nel quarto rapporto “Calciatori sotto tiro”, presentato a Roma il 17 gennaio, presso l’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, AIC ha fornito i dati aggiornati relativi al campionato 2016/17. Si tratta di 114 episodi - il 2,5% in meno rispetto al precedente campionato – il 75% dei quali verificatosi nei campionati professionistici, in particolare in Serie A (52% dei casi) dove a finire nel mirino sono stati anche campioni del calibro di Claudio Marchisio, Riccardo Montolivo, Leonardo Bonucci, Mauro Icardi, Gonzalo Higuain, Antonio Rüdigher. Insultati e minacciati sui social, con striscioni e cori, con danneggiamento delle auto, sino a giungere a vere e proprie aggressioni. Tutta questa violenza psicologica e fisica verso i calciatori viene esercitata per motivi razzisti, per un trasferimento ad altra squadra, per una sconfitta o una retrocessione ritenuta inaccettabile. Si può essere picchiati perché semplicemente si chiede il rispetto di un diritto sacrosanto: quello di essere pagati o di vedere ritoccato il proprio contratto a fronte del raggiungimento di importanti risultati sportivi. Il 15% delle minacce si è verificato nel campionato professionistico di Lega Pro dove si sono registrati casi di aggressioni particolarmente violente, anche con l’uso di mazze e coltelli, ai danni dei calciatori dell’Ancona, del Catanzaro, del Matera e del Taranto. In Serie B, dove si è registrato il 9% dei casi, a finire nel mirino ultras sono stati i calciatori dell’Avellino, Brescia, Verona e Vicenza. Al Palermo è stato addirittura impedito di svolgere il primo allenamento della stagione sportiva. A livello di campionati dilettantistici i casi più eloquenti si sono registrati in Serie D, Promozione ed Eccellenza. In quest’ul-
timo campionato, il portiere del Barletta, Luigi Moschetto, aggredito sotto casa a calci e pugni, ha deciso di abbandonare il mondo del calcio. A livello giovanile (5% dei casi) a finire nel mirino sono stati
spesso giovani ragazzi di colore, fatti oggetto di ripetuti cori razzisti da parte di genitori presenti sugli spalti. Alcuni di questi ragazzi sono usciti anticipatamente dal campo in lacrime, non riuscendo a reggere l’impatto emotivo. Qualcuno ha deciso addirittura di abbandonare per sempre il calcio.
In un caso su due, a minacciare i calciatori sono state frange dei loro stessi tifosi, nel 35% dei casi invece sono stati i tifosi avversari. In quest’ultimo Rapporto, AIC ha evidenziato come nel 5% delle situazioni, a minacciare e ad insultare i calciatori, anche con epiteti razzisti ed antisemiti, sono stati altri loro colleghi sul campo. In più di un caso su due, i calciatori sono stati minacciati all’interno degli impianti sportivi – nel 44% dei casi negli stadi, nel 14% all’interno dei centri di allenamento – ma non mancano i casi in cui gli atleti sono stati insultati, minacciati e aggrediti anche lungo una via pubblica, in un aeroporto, in un parcheggio. Nessun posto è sicuro quando si finisce sotto tiro. I calciatori non vengono minacciati solo direttamente, ma anche in forma indiretta. AIC ha documentato come nel campionato scorso siano stati minacciati anche presidenti di squadre – a quello del Pescara sono state bruciate due auto – allenatori, famigliari e figli. Di fronte al dilagare di questo preoccupante fenomeno – 16 regioni e 33 province coinvolte – Damiano Tommasi, Presidente di AIC, ha sottolineato come sia importante diffondere un messaggio culturale ben preciso: non è normale, come molti pensano, finire nel mirino perché, giocando a calcio, si perde e si rischia di essere retrocessi (38% dei casi), si ha un diverbio con qualche tifoso, si chiede il rinnovo di un contratto o il pagamento dello stipendio dovuto. Per questo è importante che il Ministero dell’Interno, su proposta di AIC, abbia da poco attivato una specifica Commissione di studio con il compito di far emergere ancora di più il fenomeno e studiare adeguate misure di prevenzione e repressione. 45
amarcord
di Vanni Zagnoli
Il ricordo di chi lo ha conosciuto
Azeglio Vicini, il signore Azeglio Vicini riposa a Cesenatico, nel cimitero dov’è sepolto anche Marco Pantani. Sono stati grandi di Romagna, lui un grande CT, che fece giocare benissimo l’Under 21, sconfitta ai rigori dalla Spagna nell’86, e poi anche la Nazionale. L’Italia che prese meno gol della storia, eppure in teoria era fin troppo offensiva. Azeglio, nome d’altri tempi, per chi portò gli azzurri alla semifinale europea dell’88, in un campionato allora a 8, dopo i due flop continentali di fila con Enzo Bearzot. Vicini pareggiò con la Germania con il gol di Mancini, che sfidò i giornalisti con un gesto che fece epoca; batté la Spagna con rete di Vialli e poi la Danimarca. Venne triturato solo dalla Russia del colonnello Lobanowsky, in semifinale. Uscì allo stesso punto anche al mondiale italiano, erano le notti magiche, guastate solo dall’uscita di Zenga, a vuoto su Caniggia, dopo molte occasioni per il raddoppio sbagliate dagli azzurri, con 27 milioni di italiani incollati al teleschermo, record auditel di ogni tempo. Matarrese lo confermò, giubilandolo per il palo colto da Rizzitelli, a Mosca, nel ’91, che valse l’ultima mancata qualificazione del calcio italiano a una grande manifestazione, prima del flop marchiato Ventura. Vicini piaceva agli italiani, era modesto e sereno, figlio di un vecchio calcio di gente normale. Italia ’90 era nella canzone trascinante di Edoardo Bennato e Gianna Nannini, un tutt’uno con questo cesenate morto a quasi 85 anni, che da mezzo secolo viveva a Brescia. È stato l’ultimo CT a muovere i primi passi a Coverciano, assistendo al fianco di Bearzot all’avventura di Ferruccio Valcareggi a Messico ‘70. Cominciò nel ‘75 con l’Under 23 il percorso che lo portò per due volte sul podio. Bearzot non lo volle come vice nei 3 mondiali e nell’Euro ‘80 e allora lui preferì non averlo sul pullman durante Italia ‘90. A Napoli Sergio Goycoechea ipnotizzò Donadoni e Serena, sui tiri dal dischetto, e così l’Italia scivolò alla finalina con l’Inghilterra. Aveva anche il talento di Franco Baresi e Maldini, Roberto Baggio 46
e Schillaci. Che lo ricorda così: “Per me è un giorno tristissimo. È morta una persona che mi ha regalato notorietà, gli devo l’80% della mia popolarità: mi ha dato la Nazionale e fatto diventare Schillaci. Contro l’Austria, nella prima partita dei Mondiali, non riuscivamo a sbloccare il risultato, mi chiamò e disse: “Entra e fai gol, Totò”. Amava i siciliani, era un grande esperto di vino. Ricordo con affetto anche il suo vice Brighenti, un gran signore”. Giuseppe Giannini: “Sono molto addolorato. È una notizia che mai avrei voluto ricevere. Quella Nazionale aveva spirito, trasformò diversi talenti in gruppo. Non mi ha mai chiamato per nome, né per cognome: mi chiamava semplicemente il Principe e per me era un attestato di stima”. Roberto Mancini twitta: “Grazie per tutto quello che ci hai dato, Mister Vicini, sei stato un protagonista del calcio italiano, hai fatto sognare gli italiani! Un abbraccio ai familiari in questo momento di dolore!”. Walter Zenga: “Da lassù continuerai a seguirci, a guidarci e a darci quegli insegnamenti che solo tu sapevi infonderci. Ha cresciuto uomini che, da quella squadra, adesso sono tutti impegnati in qualcosa di importante: questo lo dobbiamo a lui. Mi ha dato tantissimo, gli ero affezionato”. Giovanni Malagò: “Vicini era un gentiluomo, in campo e fuori: ha lasciato in tutti gli amanti del calcio un ricordo indelebile legato ai Mondiali ‘90 e a una Nazionale ricca di talenti cresciuti nella famiglia azzurra. Era un uomo d’altri tempi. Oltre a capacità da tecnico, aveva uno stile. La sua morte è una notizia triste, spesso si vedono allenatori che sono molto bravi ma che, ogni tanto, eccedono in certi comportamenti, mentre il loro esempio deve essere fondamentale. Su questo è stato un gigante”. Il tweet di Carlo Ancelotti: “Un grande maestro di sport e di vita. Sono addolorato per la perdita del mio CT della Nazionale”. Andrea Carnevale era stato polemico
con Vicini per la sostituzione con Totò Schillaci, al debutto mondiale nel ‘90 con l’Austria, lo definisce “un galantuomo”: “Una persona per bene. Sapeva fare gruppo, aveva i modi giusti per comunicare con i giocatori. Una grande persona”. Azeglio Vicini era da tempo malato. Una delle ultime uscite pubbliche è stata a marzo di un anno fa, a palazzo Loggia di Brescia presentò il suo libro “Azeglio Vicini. Una vita in azzurro” scritto con il figlio Gianluca e la moglie Ines. “Ho raggiunto un bel traguardo” – disse invece, per i suoi 80 anni – “sono soddisfatto della mia vita, ho avuto momenti felici e altri meno, ho ricoperto incarichi importanti, comunque sia mi sono proprio divertito”. Sulla finale mancata con la Germania aveva questo pensiero: “Avremmo meritato di vincerlo, siamo stati sfortunati. Non perdemmo mai sul campo, sei vittorie e un pari, eppure arrivammo terzi, l’Argentina fu sconfitta due volte e andò in finale, vinta dalla Germania. Però in quelle notti conquistammo gli italiani, il loro affetto fu travolgente”. Restò CT per 5 anni e 5 giorni, dall’8 ottobre 1986 (esordio a Bologna: ItaliaGrecia 2-0, doppietta di Bergomi): 54 partite, 32 vittorie, 15 pareggi e 7 sconfitte (76 gol fatti e 24 subiti). Con gli azzurrini debutta il 16 aprile dell’89 a Udine, 1-0 sulla Romania): 85 gare, 46 vittorie, 19 pareggi e 20 sconfitte. Il ricordo dell’ultimo CT, Gian Piero Ventura: “Era un gentiluomo, in campo e fuori, un tecnico che ha lasciato in tutti gli amanti del calcio un ricordo indelebile legato ai Mondiali ‘90 e a una Nazionale ricca di talenti cresciuti nella famiglia azzurra”. Paolo Rossi, allievo di Vicini nella Juniores e nell’Under 21: “Era un innamorato del calcio. Un vero maestro e una figura paterna. Mi allenò in azzurro dai miei 16 anni ai 20. Era un punto di riferimento, sempre prodigo di consigli, fu importante perché in quel momento stavo uscendo fuori. Giocavo
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delle notti magiche ala e correvo, comunque facevo gol. Amava confrontarsi, allora non c’era la tecnologia, aveva i suoi osservatori e li mandava in giro sui campi. Era sempre informatissimo su come giocavi”. Vicini è stato l’ultimo CT di un calcio tradizionale. “Fatto da libero, stopper e terzini. Ti spronava molto ma al tempo stesso era tranquillo. Una persona serena, che mi ha dato tanti consigli”. Il ricordo di Arrigo Sacchi: “La scomparsa per me è un grande dispiacere, lui è stato un grande professionista, che ha dato la vita per migliorare gli altri”. Roberto Donadoni, uno dei suoi allievi prediletti: “Sono dispiaciuto e addolorato: è venuta a mancare una persona che, al di là del punto di vista calcistico, aveva un certo carisma, una certa educazione e trasmetteva valori importanti ai giocatori. Dal punto di vista professionale è un personaggio e un allenatore che ha rappresentato molto per me. Ai Mondiali di Italia ‘90, non riuscimmo ad arrivare alla finale per un nonnulla. Non aver centrato l’obiettivo di vincere, soprattutto in Italia, è dispiaciuto a me, ai compagni di squadra di allora, così come ad Azeglio Vicini, ma la vita è fatta di queste cose. Quella Nazionale lasciò comunque il segno e lo spirito all’interno del gruppo credo sia stato molto merito suo”. Persino la federazione di San Marino lo ricorda. “Con grande affetto e profonda commozione. Più di una volta ha collaborato con la federcalcio sammarinese: il primo contatto è datato 14 settembre 1998 quando incontrò gli allenatori biancoazzurri, coinvolgendoli in un’appassionata e coinvolgente discussione che ha spaziato su ogni aspetto che potesse interessare un allenatore”. Maradona su instagram: “Azeglio Vicini è stato una grande persona e un grande tecnico, che in Italia e nel mondo già è difficile incontrare. Lo ricordo con grande affetto e rispetto… Che riposi in pace”. Franco Baresi: “Aveva la grande dote di darci tranquillità. Dopo la semifinale di Italia ‘90 fu il primo a rincuorarci e a rin-
graziarci per quanto avevamo fatto”. Ai funerali c’erano l’ex Presidente federale Giancarlo Abete e il Presidente dell’Associazione Allenatori Renzo Ulivieri. E poi Paolo Maldini, Franco Baresi, il presidente dell’AIC Damiano Tommasi con il dg Gianni Grazioli e Sergio Campana, Giuseppe Giannini, Riccardo Ferri, Aldo Serena, che lo ebbero come maestro. Il ricordo di Beppe Bergomi: “All’esordio in Nazionale con Vicini ho segnato due gol. È il ricordo che mi legherà per sempre a lui, uomo d’altri tempi”. Stefano Tacconi: “Ha avuto il grande merito di avere creato un grande gruppo”. Venerdì 2 febbraio Vicini è stato tumulato a Cesenatico. Accolto dal gonfalone dei garibaldini, sezione Valzania di Cesena, dallo stendardo del Cesena dove aveva giocato e allenato e da quello del Panathlon di Cesena, di cui era presidente onorario. Presenti i dirigenti del Cesena, con il dt Rino Foschi, il dg Gabriele Valentini e altri collaboratori. Tanti gli ex bianconeri intervenuti, a partire da Ruggiero Rizzitelli e Lorenzo Minotti. E poi Salvatore Bagni, il mediano della sua nazionale a Euro ‘88. Una delle ultime interviste l’aveva concessa durante Euro 2016, per “Il Giornale di Sicilia”. L’ex ct era seguito dalla moglie Ines Crosara, vicentina sposata 60 anni fa, quando giocò in biancorosso. “Mi scusi per la voce” - rispondeva Azeglio, al telefono – “ho problemi alla gola e devo risparmiare fiato”. Ci parlò di De Biasi (“Meritava di più”), di Conte (“In panchina mostra idee e buona personalità)”, degli ex romagnoli Eder, Candreva, Giaccherini e Parolo, del suo “vice” Brighenti. E di Roberto Donadoni: “Come giocatore era timido, mi diede molto con l’Under 21 e anche in Nazionale. È un bravo tecnico e nel tempo l’ha dimostrato, perché i risultati gli danno ragione. Oggi fra l’altro i giovani allenatori bruciano le tappe…”. Questo era Azeglio Vicini. Indimenticabile. 47
secondo tempo
di Claudio Sottile
Il dopo calcio di Paolo Baldieri
“Nel calcio non esiste il terzo La sua carriera potrebbe essere davvero disegnata come un cono di gelato in una giornata torrida. Lo scegli e lo componi, senti l’acquolina, gli ingredienti sono giusti, il languorino c’è, ma sul più bello si smonta la panna ed i gusti vanno ad abbracciare pantaloni, maglietta e marciapiede. Paolo Baldieri aveva tanto, forse tutto, per poter essere ricordato in maniera dolce. Ma le luci degli stadi hanno liquefatto le possibilità di una storia gloriosa, scioltasi e rimasta quasi interamente sull’asfalto della sua Ladispoli. Da un po’ non fa più i conti con quello che non è stato, ed anche se geometricamente non funziona… la chiusura del cerchio è stata proprio con i coni del suo “Baldieri Dolce & Salato”.
farebbe tre gol a partita. Il Paulo Roberto Falcao della situazione che giocava tacco e punta sarebbe più salvaguardato. Ora si gioca più veloce, soprattutto nei pressi dell’area di rigore, ma anche all’epoca non è che la velocità di esecuzione fosse ridotta. Quello fa la differenza tra un giocatore di A ed uno di C; quello di A prima ancora di ricevere la palla sa già come giocarla, quello di C la controlla, la stoppa e poi realizza il pensiero, in A si salta una fase”.
Paolo, vede delle analogie tra il mestiere di calciatore e quello di gelatiere? “Sicuramente, da calciatore ero abbastanza fantasioso, creativo, uno di quelli che creavano la giocata dal nulla, mi riusciva fare il dribbling o mettere la palla gol per il compagno. Facendo il gelato, io i gusti me li invento, è divertente, perché mi lascia lo spazio di appagamento della mia indole e quindi sì, trovo delle analogie, tra lo stare in laboratorio ed in mezzo al campo”.
la promozione. Quei due anni sono stati i più belli a livello di spensieratezza, di responsabilità ridotte. Quando senti le pressioni non riesci ad esprimerti. Quando smetti di giocare cominci a vivere in un mondo che fino a prima non osservavi molto da vicino. Il trauma è stato quello di decidere cosa fare della mia vita dopo. Io sono stato fortunato perché qualche soldo l’ho guadagnato, ho avuto del tempo per decidere. Noi ora stiamo valutando se fare dei lavori di ristrutturazione al bar, ti trovi davanti alle spese quotidiane, al cliente che viene e prende un caffè, non è come prima che sei guidato dall’istinto. Vivi una situazione che, paradossalmente, può portarti ad affrontare una crisi, molti ex calciatori vivono crisi depressive, anche io ci sono passato. Però sono fondamentali le persone che hai a fianco, come la compagna che vive con te, per te e la famiglia, e non vive di splendori, di passerelle allo stadio con tacchi alti. Il punto focale non è tanto sulle cose che hai fatto, ma su quelle che non hai fatto. Io ora mi trovo a rincuorare degli amici-tifosi che mi dicono che avrei dovuto fare 50 partite in Nazionale. Rispondo che se non le ho fatte è perché probabilmente mi mancava qualcosa a livello caratteriale. Giocavo a calcio per divertirmi, per me era una festa, non avevo incombenze. Questo vivevo giornalmente, ero sempre allegro e spensierato, ciò mi ha salvato”.
Quale partita vorrebbe rigiocare? “Non c’ho mai pensato. Forse Roma-Liverpool del 30 maggio 1984, dove io e Giuseppe Giannini eravamo dei giovani aggregati, quella la vorrei far rigiocare. E poi Spagna-Italia, finale campionato Under 21 del 1986, quando Azeglio Vicini non mi portò neanche in panchina. E se eravamo arrivati fin lì, buona parte del merito era anche mio. Io giocavo poco nella Roma in quel periodo. Ora tanti Azzurrini non giocano nelle loro squadre di appartenenza. Quella è una partita che rigiocherei. Sono rimasto deluso, magari la rigiocherei dalla panchina, come accadde all’andata quando entrai, perdevamo 0-1 e vincemmo 2-1 con gol di Vialli e Giannini”.
Ma davvero prima il livello era più alto? “Il calcio è un pochino cambiato. Oggi c’è molta più salvaguardia dei giocatori, dopo un fallo cattivo ti ammoniscono, ai miei tempi per sanzionarti dovevano proprio squartarti e segarti in due. C’è più attenzione. Nel calcio di oggi Diego Maradona
Il miglior allenatore avuto? “Tutti, anche il peggiore mi hanno dato qualcosa. Ho avuto la fortuna di entrare nella Roma quando c’era Nils Liedholm. Poi c’è stato Gigi Simoni, l’ho avuto nella prima uscita da professionista al Pisa. La fortuna di un calciatore è sé
Come si diventa attaccante… gelatiere? “Per caso. Cercavamo un locale per aprire un’attività, avevo pensato ad una friggitoria di pesce, essendo grandissimo appassionato di pesca. Abbiamo trovato un posto in centro a Lecce, che a tutto poteva servire tranne che per un’attività del genere. Chi me lo stava proponendo mi disse che tutti i gelatieri di Lecce erano andati a vederlo per prenderlo. Gli risposi che non ero gelatiere, ma che sarei potuto diventarlo, è iniziata così quest’avventura”. Com’è stato smettere di giocare? “Un dramma. Non tanto per il fatto di decidere di smettere, l’ho deciso da un momento all’altro, avevo anche un contratto, ma non volevo più tornare al Savoia. Mi sono andato ad allenare vicino casa, a Civitavecchia, da un amico che allenava in Serie D. Ho iniziato ad allenarmi e dopo 15 giorni mi sono trovato bene, decidendo di rimanere. Sono andato da mia moglie, le ho detto che avrei smesso di fare il professionista e che avrei firmato lì. Per lei è stato traumatico, ma eravamo tornati a casa, a Ladispoli, prendevo la macchina ed andavo al campo. Ero allenato ancora da professionista, ed in D è stato abbastanza agevole, facevo gol, sfiorammo 48
In una precedente intervista dichiarò che nel lavoro è fondamentale la “curiosità”. È sempre stato così per lei? “Sono arrivato nella Roma che facevo dieci palleggi, sono andato via che a 1000 mi stancavo e buttavo via il pallone. La curiosità significa guardare gli altri ed imparare anche da uno che non è più bravo di te. La curiosità significa vedere uno che fa una finta e volerla replicare fin da ragazzino, avere sempre un impeto di volere imparare. Adesso da gelataio entro nelle altre gelaterie, guardo i gusti nuovi, ho imparato a fare il gelato anche coi semilavorati, ma poi ho preferito usare la fantasia, andare a cercare i prodotti uno per uno”.
secondo tempo
tempo, ma nella vita sì” nella vita sì. Nel primo sogni ed io ho realizzato tutto. I sacrifici dei calciatori sono forse anche superiori a quelli di uno che fa un lavoro diverso, perché quando vai a prendere lo stipendio sei molto gratificato, vero, ma nel momento in cui devi mantenere forma fisica ed assetto mentale, senza gasarti o deprimerti, è difficile, può farlo solo chi nasce calciatore nella testa. Ho fatto pace con tutto ciò che non ho fatto, perché è quello che ti porta allo scompiglio. Il secondo tempo è stato traumatico, ho fatto pure il costruttore, cercavo una mia dimensione. Il terzo tempo sarà quello in cui vedere i figli realizzati, che abbiano la possibilità di vivere una vita tranquilla, di essere felici e farsi una famiglia, così da darmi dei nipoti da portare a pesca”.
posizionarsi. Lo chiamavamo “ Pa n n o cchia”. L’anno prima non fece bene, ma con me esplose. Abbiamo trascorso due anni belli assieme. Un compagno ideale per me”.
stesso ed un allenatore che ha il coraggio di metterti dentro, di darti spazio. Liedholm mi fece esordire in A e Simoni mi diede opportunità di diventare un calciatore. Non ho un buon ricordo di Giovanni Galeone, ce l’aveva coi romani, faceva comunella con 4-5 giocatori, ma anche da lui qualcosa ho imparato. Gli piaceva molto apparire, era molto fuori dalle righe per ciò che mi riguarda. Però a livello tattico era molto preparato”. Compagno di reparto più forte? “In Under 21 con Gianluca Vialli ci capitavamo a volo, forse quello con cui avevo più feeling era Kieft, olandesone del Pisa. Arrivavo sul fondo, dalla bandierina crossavo ad occhi chiusi e lo trovavo sempre. Gli facevo arrivare la palla in testa. Lui, quando arrivavo sul fondo, sapeva come
Ora indossa il camice, ma qualche maglia l’ha conservata? “Una maglia per ogni squadra in cui ho giocato ce l’ho, di qualcuna anche due. Le tengo dentro una valigia a casa di mia madre, una volta all’anno le tira fuori. Ho anche la maglia di Vialli ed un paio del Milan, feci una tournée coi rossoneri e Fabio Capello mi dava la 9 che era di Marco Van Basten in quel periodo, un grandissimo onore. Cercai di onorarla”. E sull’erba scende ancora? “Ahimè no, sono ingrassato, poi ho avuto un problema al cuore che grazie a Dio non ha portato gravi conseguenze. Il tempo libero adesso lo dedico alla pesca, penso al gelato quando il mare è mosso (ride, ndr)”. Calciatore, imprenditore. E poi? “Nel calcio non esiste il terzo tempo, ma
Era meglio con i piedi oppure ora con le mani? “Meglio o peggio non si può dire. Ora posso dire di essere un allenatore della vita della mia famiglia. Nella produzione del gelato è mia moglie che è molto meglio di me, io creo, penso il gusto, lo rifinisco, lei realizza. Se sto sei ore in laboratorio faccio quattro vaschette di gelato, perché lo faccio sempre diverso, penso un ingrediente differente, lo tolgo e lo rimetto, lo risciolgo e lo congelo, ma per la produzione vera e propria in sei ore lei fa 30 vaschette. Non sono un grandissimo lavoratore, sono uno che agisce molto di testa, penso alle modifiche del bar, alle divise dei ragazzi, ai tavolini, alla musica. Ho girato tanto, ma il mio bar ideale ancora non l’ho creato”. Se fosse un gelato, sarebbe? “Esiste un gusto che si chiama cioccolato Baldieri, con cacao, uova, latte, è una vecchia ricetta antica, con una punta di rhum. Si sente il cioccolato, è veramente buono, lo abbiamo chiamato come me, è il gusto che va di più da noi. Alla mia carriera invece dedico una bella crema con bacca di vaniglia, scorze di arancio, limone e le uova fresche. Mi rivolgo ad un Professore dell’Università di Ancona, mi fa i corsi e mi da le delucidazioni per scongiurare salmonella e similari. Fantasioso sì, ma su certe cose non si scherza”. 49
Io e il calcio l’intervista
di Pino Lazzaro
Marco Lodadio, ginnasta
“Diciamo che sono ‘figlio d’arte’, i miei genitori hanno una palestra, c’era anche ginnastica artistica e in pratica sono cresciuto lì dentro. Per un po’ ho fatto pure altro, nuoto, arti marziali, per un periodo pure calcio, soprattutto per stare con i miei amichetti delle elementari, però poi i miei mi hanno fatto provare, dicevano che ero portato, in particolare a me piaceva saltare. Ricordo la prima gara promozionale, a livello provinciale: feci molto bene e questo mi servì per davvero “allenarmi”. È stato così, verso gli 8-9 anni che ho iniziato a fare attività. Rocca Priora, è lì la palestra dei miei, vicino Frascati, però era una struttura quella che non bastava più; in più avevo cominciato a farmi notare, tutti sempre lì a dire che ero proprio portato, finché quello che è a tutt’oggi il mio allenatore, Luigi Rocchini, che mi aveva visto nelle gare, propose ai miei il mio trasferimento (assieme ad alcuni altri ragazzini) al Centro dell’Acqua Acetosa a Roma. E così cominciai, era il 2002: allenamenti la mattina e il pomeriggio, con la scuola alla sera”.
“Sì, ne ho fatti di sacrifici. Via la mattina presto, mio padre che mi portava all’Acqua Acetosa e che veniva poi a prendermi la sera, il tutto sino ai 12 anni, da quando ho iniziato con i mezzi pubblici e sempre mio padre che veniva di sera. È stata dura, sei ore di allenamenti, la scuola, senza sapere se poi ce la potrai fare, mi parevano
più sereni quelli della mia età, con più tempo libero e giusto la scuola come impegno: ecco perché sono fiero di essere “arrivato”. Di mollare tutto c’è stata la voglia, più di una volta. La prima che avevo 14 anni, mi sono rotto due tendini a una 50
spalla, quasi due anni per tornare e quasi due anni così a “perdere tempo” in palestra, tanto a scuola dovevo poi andarci la sera. Poi a 18, quando ero lì lì per entrare in Nazionale ma c’era gente forte, difficile trovare spazio, salto di qualità che ritardava e ricordo che di mezzo avevo pure la maturità. Poi per fortuna sono arrivati dei risultati importanti, sia al volteggio e ancor più agli anelli, ne avevo 20 di anni quando sono finalmente entrato in Nazionale, col primo Mondiale ad Anversa nel 2013. Ma non ero/ non mi sentivo ancora uno fondamentale e ricordo la pressione che sentivo addosso a partire dal 2014, tutti che si aspettavano tanto da me, io che ho finito per andare in palestra con poca voglia e così avanti, finché decisi proprio di smettere, per mesi nel 2015 non sono più andato in palestra, per me era finita lì. Ora la racconto veloce ma me li ricordo quei cinque mesi, la nausea che avevo addosso quando pensavo alla ginnastica”.
“Sì, è stato quello il periodo peggiore. Che mi è però servito per riflettere, per “capirmi”, quel che mi faceva stare bene, per arrivare a “scoprire” che la ginnastica mi mancava, l’allenarmi, la tensione della gara: ma giusto per me, senza di mezzo le aspettative degli altri. Da lì insomma mi si è aperto un meccanismo di tranquillità, piano piano ho ricominciato, la società aveva rispettato le mie scelte, voleva che fossi io a decidere e così ho proposto di ricominciare, alcune gare di serie A, di vedere insomma come andava. E andava bene, mi riscoprivo un nuovo atteggiamento, lo facevo per me stesso, per stare sereno. Avevo insomma un’altra testa e capivo ancor più che fare qualcosa che piace non è certo poco: quanto mi mancava quel che avevo lasciato… Ricordo che mi immaginavo pure l’alternativa, a fare magari le otto ore di lavoro solo per un riscontro economico e il tutto non faceva altro che a far crescere ansia e stress. No, meglio la palestra, meglio fare ginnastica senza l’ossessione di essere per forza un campione, il… perno della Nazionale”. “Sì, mi sento comunque un privilegiato, so che di sacrifici ne ho fatti ma sono
fortunato perché non ho mollato (un po’ sì ma poi ho ripreso) come hanno fatto in tanti e ho capito che non è solo il talento quello che serve. Sembra una frase fatta, ma finché non ci passi di mezzo, non lo capisci per davvero. Vedi com’è, ora non farei altro che questo, magari sono esperienze queste mie che possono pure servire ad altri che ci passano di mezzo, bisogna avere fiducia in quel che si fa, specie quando facciamo qualcosa che ci fa stare bene”. “Sono e siamo comunque dei dilettanti noi della ginnastica, quel che abbiamo sono di tanto in tanto dei rimborsi, pure dei premi, sempre legati a delle prestazioni. Ecco perché il mio obiettivo è quello di riuscire a entrare nel Gruppo Sportivo Aeronautica: ne sarei orgoglioso ma vorrebbe dire pure una garanzia economica, chiamiamolo stipendio insomma. Spero di farcela e intanto collaboro con la palestra dei miei, diciamo che è un piccolo lavoro che mi dà una mano per sostenermi”. “Dipende sempre dagli appuntamenti, però grosso modo la nostra settimanatipo funziona in questo modo. Quattro giorni la settimana facciamo doppio, sono sulle sei-sette ore, mentre al mercoledì e al sabato solo di mattina, altre tre ore e mezzo circa. Alla mattina curiamo più la preparazione fisica, con giusto una toccatina agli attrezzi; il pomeriggio è dedicato più a un lavoro tecnico, con un riscaldamento più breve e spazio agli attrezzi. Alla fine inserisco sempre un giro di
l’intervista
potenziamento, in particolare per quel che riguarda gli anelli, è questa la specialità a cui più mi sto dedicando. Quella “maturazione” di cui dicevo prima, ha fatto sì che ora mi dedichi a tutto campo: penso alla dieta, alla costanza negli allenamenti, alla qualità del riposo, al fare meno tardi la sera. Dunque mi ci dedico molto di più, sono “serio” come dici tu e in fondo sono giusto di due settimane le mie vacanze, una la faccio d’inverno e una cerco di farla pure in estate, anche se dipende dagli impegni e vedi l’anno prossimo, tra Giochi del Mediterraneo, Europei e Mondiali, sarà dura”. “Sono un “garista”, le cose mi vengono più facili appunto in gara che in allenamento. Ora ho meno alti e bassi di prima, la vigilia riesco a dormire bene e l’ansia arriva al momento giusto, so insomma gestirmi meglio e me ne sono accorto pure adesso, al campionato del mondo in Canada, non è da molto che sto cercando di specializzarmi negli anelli e l’ho sfiorata per poco più di un decimo la fase finale. Con la scuola? Ho preso il diploma di ragioniere e m’ero poi iscritto a una università telematica ma tra tutti i vari impegni ho lasciato stare. Non è però un’idea accantonata del tutto, lo considero una specie di cassetto mezzo aperto ma ora gli impegni sono proprio tanti, con in più che ho pure la fidanzata e sai com’è… mi ha sempre dato una mano lei”. “A fine novembre avremo l’ultima gara, una prova di Coppa del Mondo, poi da febbraio si ripartirà con la nostra serie A. Come detto ci saranno l’anno prossimo
La scheda
Marco Lodadio è nato a Frascati nel marzo del 1992. Ginnasta inizialmente particolarmente competitivo nel volteggio, in queste ultime due stagioni si è dedicato maggiormente agli anelli (suoi i due ultimi titoli italiani assoluti della specialità). È la “speranza” della ginnastica artistica maschile azzurra e a livello di club gareggia per l’As Gin Civitavecchia. i Giochi del Mediterraneo a giugno, gli Europei a Glasgow tra luglio e agosto e il Mondiale a squadre a ottobre a Doha. Il mio sogno è una medaglia olimpica, dai. Meglio sognare in grande, è un obiettivo a lungo termine e io ci penso, una di quelle cose che la mattina ti fa alzare con voglia e poi non costa nulla, è gratis”. “Da come la vedo io, un bambino dovrebbe comunque provare a fare ginnastica, così come tutto quello che gli viene in mente, un modo per capire cosa poi scegliere. È uno sport completo il nostro, prima di tutto sul piano della coordinazione motoria in senso lato, della elasticità muscolare, tanto che anzi io riterrei fondamentale iniziare comunque con un paio d’anni di ginnastica, per poi magari avvicinarsi ad altre specialità. È uno sport emozionante, bello e coinvolgente dove in effetti manca il discorso della squadra. E comunque io penso che far prima uno sport individuale, ti fa poi diventare più semplice l’integrarsi in uno sport di gruppo”. “Il calcio? Beh, ce l’ho dentro, la Roma è un qualcosa a sé stante, proprio di famiglia, quasi m’hanno fatto dire Roma prima di mamma e in gara – per dire – me le
porto sempre le ciabattine della Roma… certo che però con gli anni mi sono un po’ allontanato, allo stadio qualche volta ci vado ancora, ma preferisco sempre più il divano, specie se arrivo dopo gli allenamenti. Magari sotto sotto ho pure dell’in-
vidia per come sono trattati i calciatori, non dico che pure loro non si facciano il culo (pardon), però non posso fare a meno di pensare che c’è chi se lo fa per molto meno. Quel che poi mi dà fastidio è la poca visibilità che il calcio lascia agli altri sport, il troppo poco spazio che resta qui da noi e mi rendo conto che non potrà cambiare, che è un dato di fatto”.. 51
internet
di Mario Dall’Angelo
I link utili
Quando lo sport supera le disabilità Lo sport che consente di superare la disabilità è una realtà più antica di quanto si possa immaginare. Le prime Deaflympics, i Giochi Mondiali Silenziosi internazionali per persone sorde, ebbero la prima edizione nel 1924 a Parigi, dopo che già negli anni precedenti si erano messe in moto in vari paesi delle competizioni sportive a loro riservate. Un emigrato, Roberto de Marchi, sancì la partecipazione italiana, conquistando due medaglie d’oro. Ai primi del ‘900, i non udenti in Italia non avevano diritti giuridici né sociali e stavano appena conquistando il diritto all'istruzione. Di fatto, erano posti sullo stesso piano di persone incapaci. Dopo alterne vicende di inizio secolo, nel 1932 nacque l'Ente Nazionale Sordi e le cose cominciarono lentamente a cambiare. Sul piano sportivo, i non udenti iniziarono a gareggiare nei primi decenni del secolo, con il Club Sportivo “Ottavio Assarotti” di Genova e la Società Sportiva Silenziosa di Milano. Poi venne fondata un'organizzazione nazionale- Comitato Sport Silenzioso d’Italia - che nel secondo dopoguerra è diventato la Federazione Sport Sordi Italia. Il sito ufficiale - www.fssi.it - riporta, nella pagina sulla propria storia, questi e molti altri fatti riguardanti lo sviluppo del movimento. Tra i fatti più significativi vi è il riconoscimento del Comitato Italiano Paralimpico, avvenuto nel 2006. I dati riguardanti i successi degli atleti italiani ai giochi per i sordi sono ragguardevoli: 391 medaglie conquistate alle Deaflympics, di cui 137 d'oro, 100 di argento e 121 di bronzo ai giochi estivi; 11 d'oro, 9 d'argento e 13 di bronzo a quelli invernali. Le società affiliare alla Federazione sono 105 e le discipline praticate sono 44, tra cui calcio a 11 e a 5. Il calcio, particolarmente quello a 5, è praticato dai sordi, sia uomini sia donne, a livello italiano e internazionale. Sul sito sono presenti notizie, immagini e collegamenti ai social network riguardanti le attività delle Nazionali. Nello scorso dicembre, gli azzurri parteciparono alle qualificazioni per i Campionati Europei 2018 in programma a Tampere in Finlandia. Pass staccato, sia pure grazie al ripe52
scaggio tra le migliori terze. Da segnalare soprattutto il pareggio per 3-3 con la Spagna, fortissima anche nel calcio per non udenti. Nei primi giorni di quest'anno, la nazio-
quelle organizzate dalla Fipav, la Federazione Italiana Pallavolo, in cui competono insieme ai normodotati. La nazionale volley femminile FSSI è nata nel '90 e da allora si distingue per gli ottimi risultati, a cominciare dalla medaglia di bronzo agli europei di quell'anno e all'argento del 2011 nella stessa manifestazione. Il secondo posto alle Deaflympics ha permesso inoltre alle azzurre di ottenere, nell'ambito dei Gazzetta Awards, il premio come atlete paralimpiche dell'anno per il 2017. La presenza di pagine della Federazione Sport Sordi Italia sui social network è massiccia e consente sicuramente di mantenersi ugualmente aggiornati sulle ultime notizie dal mondo dello sport per i non udenti. La FSSI è sostenuta dalla Fondazione Nazionale Francesco Rubino onlus, con sede a Milano, costituita con finalità di solidarietà socio-sportiva nei confronti di atleti, allenatori e dirigenti.
nale femminile di calcio a 5 si recò ad Aalsmeer, in Olanda, per prendere parte al Deaf Futsal Qualification Tournament for Women, il torneo di qualificazione per gli europei finlandesi. Partecipazione sfortunata, conclusasi con l'eliminazione, ma le azzurre sono già pronte a ripartire. Il calcio a 11 maschile, come riscontrabile sul sito, ha in Italia una stagione regolare che porta a una fase finale in cui si affrontano quattro squadre. Nel maggio scorso, l'atto conclusivo si volse a Siena e vide l'affermazione della società GSS Torino. Uscendo dall'ambito calcistico, una menzione va sicuramente all'exploit della nazionale femminile di volley, che nel 2017 ha conquistato la medaglia d'argento alle ultime Deaflympics estive, svoltesi a Samsun in Turchia. Il sogno Blaise Matuidi @MATUIDIBlaise Oggi ho assistito a scene di razzismo durante la partita. dell'oro si è infanLe persone deboli cercano di intimidire con l’odio. Io non to contro i muri riesco ad odiare e posso solo essere dispiaciuto per coloro delle forti atlete che danno questi cattivi esempi. Il calcio è un modo per diffondere l’uguaglianza, la passione e l’ispiraziogiapponesi ma ne ed è questo per cui sono qui. Pace. non ha portato via alle azzurre la soddisfazione per il secondo posto. Una storia un po' particolare, quella delle Guglielmo Stendardo @willystendardo ragazze e dei ragazL’uomo deve porsi uno scopo nella vita e a quello tendere costantemente per arrivare al successo! zi sordi che praticano il volley in Italia, dal momento che possono partecipare sia alle manifestazioni FSSI a loro riservate sia a
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Omar El Kaddouri @OEKaddouri Una società migliore si costruisce imparando a rispettare e a non prevaricare. Contro qualsiasi forma di violenza sulle donne. #dicoNO
internet
di Stefano Fontana
Calciatori in rete
Reina e Mertens: azzurro Napoli pepereina25.com Figlio d’arte, Pepe Reina è il carismatico portiere del Napoli. Tecnicamente dotato, reattivo, fisicamente imponente, José Manuel Reina Paez è nato a Madrid il 31 agosto del 1982.
coppe. La sezione “Campus” contiene un collegamento al sito del “Pepe Reina Official Camp”, interessante attività formativa dedicata ai giovanissimi portieri, campioni di domani. Non manca poi una sezione dedicata a diverse iniziative benefiche: Pepe Reina segue molto da vicino le attività dell’UNICEF e ne condivide la nobile finalità di soccorso e sostegno
Il sito internet ufficiale dell’estremo difensore azzurro è consultabile in inglese e spagnolo. I contenuti sono facilmente fruibili: nonostante ciò speriamo di poter godere presto di una completa traduzione in italiano. La sezione biografica del sito è molto completa: oltre a statistiche e palmares troviamo un’intera sezione dedicata alla Nazionale spagnola, con la quale ha conquistato una Coppa del Mondo e due edizioni degli Europei. La sezione “news” contiene le ultime notizie relative all’andamento del Napoli in campionato e nelle
ttando
per i bambini di tutto il mondo. La galleria multimediale del sito è molto ricca: troviamo numerosi scatti di Pepe in azione con il Napoli, Liverpool, Barcellona, Villareal e con la Nazionale iberica. Non mancano inoltre video inerenti a interviste a Pepe ed entusiasmanti filmati delle parate più spettacolari. In generale siamo di fronte ad un sito ricco di conteLeonardo Pavoletti @Pavoletti nuti e ben realizzato: Chi ama veramente non conosce violenza. merita sicuramente Io #dicoNo #noallaviolenzasulledonne una visita!
www.driesmertens.be Classe 1987, Dries Mertens è un agile attaccante in forze al Omar El Kaddouri @OEKaddouri Napoli ed alla Nazionale Una società migliore si costruisce imparando a rispettare e a non prevaricare. Contro qualsiasi belga: questo mese ci ocforma di violenza sulle donne. #dicoNO cupiamo del suo sito internet ufficiale. La veste grafica è molto accattivante, mentre la struttura “responsive” si rivela al passo con i tempi. In sostanza l’intero sito è un unico blocco a scorrimenLUCA ANTONINI @OfficialAnto_77
“Non hai bisogno di vedere l’intera scalinata… Inizia semplicemente a salire il primo gradino.”(cit.)
to verticale, facilmente consultabile tanto da desktop quanto utilizzando tablet e smartphone. Appena collegati al sito siamo accolti da un vibrante primo piano di Dries con la maglia del Napoli e lo sguardo rivolto verso la tifoseria del San Paolo. Scrollando verso il basso accediamo alla sezione “highlights”, splendida raccolta di foto e video tratti dai social network. Trovano posto scatti in azione con la maglia del Napoli, momenti di relax con gli amici e gli affetti personali, selfie con i tifosi, interviste e molto altro ancora. La sezione “History” contiene dati statistici relativi al numero di partite giocate, gol ed assist con la Nazionale belga, il Napoli, PSV, Utrecht ed AGOVV. Le varie sezioni del sito sono separate da altre foto di Martens proposte a schermo intero: una delle più suggestive vede l’attaccante scrutare l’orizzonte del Golfo di Napoli dichiarando esplicitamente il suo amore per questa città unica al mondo. Chiudiamo la nostra visita con uno sguardo alle foto tratte dal profilo Instagram di
Dries: questi scatti aiutano a conoscere il carattere solare e fortemente comunicativo di un professionista serio e talentuoso, sempre pronto a dare il 100% in capo e nella vita. 53
tempo libero
musica
libreria Bradipo
Il calcio sopra le barricate
di Francesco Caremani – 192 pagine - € 15,00
Il ‘68 per molti ha rappresentato lo spartiacque della seconda metà del Novecento; la coscienza della società borghese occidentale che è stata costretta a guardarsi pubblicamente allo specchio. Un'intera generazione è passata attraverso un momento totalizzante che per alcuni è durato un anno, per altri di più, per altri ancora mai finito. In mezzo a tutto questo, alle occupazioni universitarie, alla guerriglia urbana, a una nuova coscienza popolare, l'Italia del calcio realizzava il sogno, vincendo l'Europeo, dopo la delusione dei Mondiali inglesi e la beffa coreana. Valcareggi vince dopo gli allori di Pozzo degli anni Trenta. Una vittoria inattesa, per questo ancora più bella, la vittoria di una generazione di giocatori, la meglio gioventù, che sarà ricordata per Italia-Germania 4-3. Caremani, attraverso le testimonianze dei protagonisti ha voluto ripercorrere quei momenti e fissare alcune, significative, immagini di quell'epoca. Fotografia di una generazione che ha portato la fantasia al potere solamente rincorrendo un pallone. A metà tra l'aneddoto e il ricordo, cercando di cogliere quel cono d'ombra che ogni cambiamento generazionale lascia dentro ognuno di noi. Era il 1968. Evanescence Goal Book Edizioni
Stadi d’Italia
di Sandro Solinas - 448 pagine - €24,00
Un lungo viaggio attraverso gli stadi di calcio in Italia per scoprire il fascino della loro storia e delle loro vicende sportive. Notizie, immagini e curiosità sul mondo delle nuove arene che, come i circhi e gli anfiteatri nell’antichità classica, sono ancora oggi i luoghi urbani deputati ad ospitare gli spettacoli sportivi e le manifestazioni di massa. Oltre centocinquanta stadi, alcuni celebri alcuni poco conosciuti, alcuni nuovi alcuni scomparsi, per riscoprire la storia del calcio italiano attraverso i suoi templi.
Edizioni inContropiede
Napoli Football Guide
di Facchinetti, Palladino e Sica – 140 pagine - €13,50
Città in cui il turismo è da alcuni anni in notevole crescita, Napoli è per passione calcistica la capitale d’Italia, sentimento che si riversa nell’unica squadra cittadina. Alberto Facchinetti, Enzo Palladini e Jvan Sica vi accompagneranno allo “Stadio San Paolo”, negli impianti dove giocava in passato il Napoli e nei quartieri dove ribolle il tifo più verace. Vi faranno conoscere “Maradonapoli” ovvero la città nella quale il più forte calciatore di tutti i tempi ha lasciato tracce ancora oggi evidenti: i suoi locali preferiti, il bar con il capello, i murales a lui dedicati, una serie infinita di gadget per lo shopping calcistico e soprattutto i ricordi della gente. Vi racconteranno le stagioni mitiche del Napoli e di Careca, Vinicio, Sallustro, Sivori, Allodi. Insomma vi porteranno a Napoli, Napoli Football City. All’interno sono presenti interviste a Alberto Bigon, Ciro Ferrara, Giorgio Perinetti, Raffaele Auriemma, Franco Esposito. 54
Synthesis Quando si parla di gothic in ambiente musicale, che esso sia rock, metal o altro, non si può non parlare degli Evanescence, gruppo statunitense tra i massimi esponenti del genere. Così come quando si parla di frontwoman di chiare e spiccate capacità artistiche (sia vocali che musicali) non si può non citare Amy Lee, che degli Evanescence è cofondatrice. Il preambolo è doveroso nel momento in cui ci si mette all’ascolto di “Synthesis”, quarto album della band dell’Arkansas, perché di rock, metal e altro c’è ben poco, ma racchiude in chiave orchestrale tutto ciò che degli Evanescence c’era e c’è da sapere. Riarrangiare ed incidere vecchi brani sarà la solita astuta mossa per far tornare in vita antichi progetti congelati? Sinceramente, pur non essendo affatto originale l’idea di rielaborare canzoni rock con il supporto di una intera orchestra, l’operazione sembra riuscita piuttosto bene. Anche perché, rileggiamo il preambolo, siamo di fronte a fior di professionisti (la già citata Amy Lee alla voce e piano, Tim McCord al basso, Will Hunt alla batteria, Troy McLawhorn e Jen Majura alla chitarra) che sanno fare il proprio mestiere con grande talento. E le vecchie canzoni di un tempo, svuotate di chitarre, tastiere e batteria, suonano comunque alla grande tanto da sembrare nuove di zecca.
Benvenuto in Italia! Welcome to Italy! ¡Bienvenido a Italia!
Ti scriviamo queste poche righe di presentazione di quella che è la TUA associazione. Dal 1968 in Italia è presente un’Associazione di categoria che rappresenta tutti i calciatori. L’Associazione Italiana Calciatori dal 1968 associa, infatti, i calciatori professionisti e dal 2000 anche i calciatori dilettanti, le calciatrici e i calciatori del calcio a 5, Con più di 16.000 associati, è l’unica Associazione di categoria presente in Italia. AIC fa parte di FIFpro, il sindacato mondiale dei calciatori, del quale fanno parte le Associazioni di categoria della maggior parte dei Paesi nel mondo. In ogni squadra è presente il Rappresentante AIC, spesso il tuo capitano o uno dei veterani, che è il punto di riferimento per tutti gli associati della squadra e il tramite preposto per le comunicazioni con la struttura dell’Associazione. L’attuale Consiglio Direttivo è presieduto da Damiano Tommasi, Presidente AIC dal 2011. Di seguito potrai conoscere i componenti del Consiglio Direttivo che rappresentano tutte le
categorie di associati: Serie A, Serie B, Lega Pro, Dilettanti, Calcio a 5 e Calcio Femminile. Tra i servizi offerti dall’AIC sicuramente potranno essere di tuo interesse: • Assistenza legale tramite l’Ufficio Legale dell’Associazione e i suoi Avvocati Fiduciari su tutto il territorio nazionale; • Consulenza previdenziale e gestione dell’accantonamento al Fondo di Fine Carriera*; • Abbonamento gratuito all’App di Wyscout con fruibilità personalizzata del servizio di Video Analysis conosciuta a livello internazionale; • Servizi e scontistica applicata dai partner (www.assocalciatori.it) in ambito medico e assicurativo, dal Credito sportivo; • Percorsi di formazione post-carriera e per calciatori in attività; • Collegamento con l’Associazione calciatori del tuo Paese d’origine (o di tua ultima provenienza) per chiarimenti e/o problematiche di qualsiasi natura. L’iscrizione annuale all’AIC ti darà la possibilità di usufruire di tutto ciò e di altre attività
che potrai approfondire nel sito istituzionale www.assocalciatori.it o chiedendo informazioni al numero +39 0444 233233. Come avrai modo di vedere sarà semplice stabilire un contatto diretto con AIC e con i collaborator che sono in contatto continuo con i rappresentanti di squadra per aggiornamenti e/o problematiche che possono sorgere durante la stagione. La massima disponibilità di AIC è garantita dal fatto che è l’Associazione dei Calciatori, nata dalla volontà dei calciatori della nazionale nel lontano 1968 e da allora al servizio di questa professione tanto bella quanto piena di insidie personali e professionali. Buona permanenza nel nostro Paese, in bocca al lupo per il tuo lavoro e grazie per l’ascolto. Ti aspettiamo tra i nostri associati!
We are sending you a few lines to introduce YOUR association. Italy has had an Association representing all its football players since 1968. From that year,a the Associazione Italiana Calciatori – Italian Footballers’ Association – has united all professional players and in 2000 it extended its scope to include also amateurs, women and five-a-side players. With more than 16,000 members, it is the only footballers’ association in Italy. AIC forms part of FIFpro, the worldwide players’ union, of which the players’ associations of most countries of the world are members. Every team has an AIC Representative, often your team captain or one of the older players, who is the contact person for all team members and represents the team with the Association management. The present Management Council is chaired by Damiano Tommasi, AIC President since 2011. Later, you can get to know the members of the Management Council who represent
all categories of members: Serie A, Serie B, Lega Pro, Amateurs, Five-a-side football and women’s football. Some of the services of interest offered by AIC: • Legal assistance throughout Italy by way of the Association’s legal office and its lawyers; • Pension advice and management of contributions to the end of service fund*; • Free subscription to the Wyscout App with personalised use of the internationallyfamous Video Analysis service; • Services and discounts applied by partners (www.assocalciatori.it) for medical care and insurance, by the bank Istituto di Credito Sportivo; • Post-career and business training courses; • Contact with the footballers’ Association of your own country (or the country where you played last) for clarification and/or assistance with problems of any kind. Annual membership of the AIC will give you access to all of the above and many other activities which you
can see in more detail on the website www.assocalciatori.it or you can request information calling +39 0444 233233. As you will see, it is easy to make direct contact with AIC and its agents who are in continuous contact with team representatives for news and/or problems which can arise during the season. The AIC can assure you of its availability because it is the Footballers’ Association created by the Italian national team as long ago as 1968 and from then on has been at the service of this wonderful profession which, however, is also full of personal and professional pitfalls. Enjoy your stay in Italy, good luck with your work here and thanks for your attention. We hope to see you among our members!
Te escribimos estas pocas líneas de presentación de lo que es TU asociación. Desde 1968, en Italia existe una Asociación de categoría que representa a todos los futbolistas. Associazione Italiana Calciatori – Asociación italiana Futbolistas – asocia desde 1968 a los futbolistas profesionales y desde 2000 también a los aficionados, a las futbolistas y a los jugadores de fútbol sala. Con más de 16.000 asociados, es la única Asociación de categoría existente en Italia. AIC forma parte de FIFpro, el sindicato mundial de los futbolistas, integrado por Asociaciones de categoría de la mayoría de los países. En cada equipo hay un Representante AIC, que a menudo es el capitán, o uno de los veteranos, y hace de referente para todos los asociados del equipo y de intermediario encargado de las comunicaciones con la estructura de la Asociación. El actual Consejo Directivo es presidido por Damiano Tommasi, Presidente de AIC desde 2011. A continuación mencionamos a los componentes del Consejo Directivo que representan a todas
las categorías de asociados: Serie A, Serie B, Liga Pro, Aficionados, Fútbol sala y Fútbol femenino. Entre los servicios ofrecidos por AIC, indudablemente pueden ser de tu interés: • Asistencia legal a través de la Oficina Legal de la Asociación y sus Abogados Fiduciarios en todo el territorio nacional; • Asesoramiento sobre previsión y gestión de asignaciones al Fondo de Fin de Carrera*; • Abono gratuito a la App de Wyscout con uso personalizado del servicio de Video Analysis conocido a nivel internacional; • Servicios y descuentos aplicados por nuestros socios comerciales (www.assocalciatori.it) en ámbito médico y de seguros, por el Crédito deportivo; • Cursos de formación post-carrera y para futbolistas en actividad; • Conexión con la Asociación de futbolistas de tu país de origen (o de tu última proveniencia) para aclaraciones o por problemas de cualquier naturaleza. La inscripción anual en AIC te dará la posibilidad de aprovechar todo esto y otras actividades
sobre las cuales puedes informarte en el sitio institucional www.assocalciatori.it o pidiendo información al número +39 0444 233233. Como ves, es muy sencillo entablar un contacto directo con AIC y con los colaboradores, que a su vez están continuamente en contacto con los representantes de equipo para las actualizaciones o por cualquier problema que pueda surgir durante la temporada. La máxima disponibilidad de AIC está garantizada por el hecho de ser la Asociación de Futbolistas fundada por iniciativa de los jugadores del equipo nacional en el lejano 1968, desde entonces al servicio de esta profesión tan bella como llena de insidias personales y profesionales. Feliz permanencia en nuestro país, muchos éxitos con tu trabajo y gracias por escuchar. ¡Te esperamos entre nuestros asociados!
www.assocalciatori.it
*Ogni anno vengono accantonati dallo stipendio delle somme che potrai ritirare una volta concluso il contratto con la società sportiva in Italia. Ricorda che le cifre accantonate andranno richieste al Fondo.
*Each year amounts are put aside from your salary which you can withdraw once your contract with the Italian club ends. Remember that the amounts set aside must be requested from the fund.
*Cada año, parte del sueldo se destina a una asignación que podrás retirar una vez concluido el contrato con la sociedad deportiva en Italia. Recuerda que los montos de las asignaciones deberán ser solicitados al Fondo.
Daniele De Rossi centrocampista della Roma
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