Speciale Genova – Magazzini del Cotone
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Quarta “tappa” per la mostra di memorabilia calcistiche organizzata dall’Associazione Calciatori in collaborazione con SmartSport: dopo Vicenza, Bari e Milano l’esposizione di cimeli che ripercorrono la storia del calcio dagli inizi del ‘900 ad oggi, è arrivata a Genova, ai Magazzini del Cotone nel cuore del Porto Antico.
EROI DEL CALCIO/3 STORIE DI CALCIATORI di Nicola Bosio foto di Maurizio Borsari
Oltre 300 pezzi originali per rivivere, in un unico splendido contesto, più di 100 anni dello sport più amato e popolare, dalla divisa di Francesco “Franz” Calì, primo storico capitano della Nazionale, ai palloni delle finali Mondiali, passando dalla Coppa Rimet e dalla Coppa del Mondo, fino a scarpe e maglie dei più grandi campioni di sempre.
Un secolo di pallone, anzi di più visto che Genova può vantare la squadra più antica d’Italia (il Genoa fondato nel 1893) e il primo capitano della Nazionale (Francesco “Franz” Calì, difensore dell’Andrea Doria, guidò gli azzurri nel 1910): “Eroi del Calcio – Storie di Calciatori” è un viaggio incredibile, è un percorso a ritroso nella memoria non solo dell’italica pedata, ma di quella mondiale. Perché i 300 oggetti unici esposti ai Magazzini del Cotone, nel cuore del Porto Antico genovese, provengono da ogni angolo della terra, da ogni posto dove un pallone sia riuscito a rimbalzare e a far emozionare. Molto di più di una semplice mostra, più di una classica esposizione di memorabilia calcistiche: è quasi una sorta di “pellegrinaggio” alla ricerca di un qualcosa di sacro che si chiama “passione”, e di qualcosa di magico che si chiama “talento”, quello che ha baciato i grandi campioni che hanno scritto pagine leggendarie di questo sport, consegnando alla storia quei cimeli oggi testimoni delle loro fantastiche imprese.
Dopo Vicenza, Bari e Milano, l’Associazione Calciatori, in questa occasione con la collaborazione di SmartSport, è riuscita ad allestire la quarta “tappa” di un percorso cronologico fatto di ricordi ed emozioni, alle radici del calcio e dei suoi valori, della sua vera essenza. Storie che si intrecciano, vite che si incrociano, eventi rimasti nella memoria collettiva e piccole “chicche” da scovare passo dopo passo, incontrando Pelè e Maradona, Baggio e Rivera, Platini e Suarez, Rummenigge e Buffon, Messi e Cristiano Ronaldo, sfiorando la Coppa Rimet del “Maracanazo” e il pallone di Berlino 2006, arrivando quasi a toccare la Coppa del Mondo, a sognare i gol di Gerd Muller e le stravaganze di Gigi Meroni, mentre in sottofondo risuonano le telecronache audio originali e scorrono i video di partite memorabili. È il fascino di un calcio antico che si mescola a quello attuale, dando vita ad una atmosfera che profuma di magia, quella che rimarrà nella memoria di ogni visitatore come ricordo indelebile.
Capace di unire un Paese, di cancellare le rivalità, di annullare le distanze e “vanificare” i campanilismi: è la maglia azzurra, sotto la quale ci stringiamo ogni volta che la Nazionale scende in campo, nella quale ci identifichiamo quando parte l’inno di Mameli e la mano si appoggia al cuore accarezzando il tricolore. Azzurra come il cielo, azzurra come il mare, azzurra forse in onore di casa Savoia o forse, solo casualmente, per farla vedere meglio nella nebbia milanese della sua gara d’esordio contro l’Ungheria (6 gennaio 1911). Un onore per chi la indossa, un orgoglio per chi la sostiene: lacrime di gioia, ma anche di disperazione, l’hanno bagnata nei suoi 105 anni di storia, durante i quali è stata anche bianca, persino nera, e si è fregiata di 4 stellette, tanti i mondiali vinti. Si è pure tinta d’oro (quella di Buffon) come l’oro della Coppa alzata a Berlino nel 2006.
Un pallone speciale per un’occasione speciale: quello della finale dei Mondiali del 2006, giocata il 9 luglio a Berlino tra Italia e Francia, era… dorato. Identico a quello utilizzato durante tutte le altre partite del torneo, il “Teamgeist Berlin” aveva sei, dei quattordici spicchi che compongono la sfera, colorati d’oro. Una vera e propria “primizia”, come del resto la “personalizzazione” di ognuno dei 15 palloni forniti dall’Adidas alla FIFA per ogni gara, con il nome delle squadre, la data, l’orario d’inizio e lo stadio. Chissà se, quello visto in mostra a Genova è proprio il pallone del vantaggio francese su rigore di Zidane, o quello del pareggio di Materazzi, o addirittura quello dell’ultimo rigore calciato da Fabio Grosso che ha regalato la Coppa del Mondo agli azzurri di Lippi, insaccato nella rete alle spalle di uno sconsolato Barthez…
Da tutti è conosciuta come la “Nazionale Verdeoro” e la sua maglia, la “canarinha” è l’unica che può fregiarsi delle 5 stelle di “pentacampeon”: ma il colore “giallo”, con il quale si identifica il Brasile, ha storia “recente” e del tutto particolare. Il suo “esordio” risale infatti al 20 gennaio 1954 (al Maracanà venne presentata prima di un Flamengo-Botafogo) quando la Confederación Brasileña de Desportos decise di sostituire la divisa biancoblu, fino ad allora adottata, dopo la disfatta del Maracanazo (la Seleçao aveva incredibilmente perso il Mondiale del ’50 contro l’Uruguay). Venne indetto un concorso che fu vinto dal prototipo del 18enne designer Aldyr García Schlee: maglia gialla (l’oro delle miniere), colletto verde (la foresta amazzonica), pantaloncini blu (l’oceano Atlantico). Con la nuova maglia il Brasile di Pelè trionfò al Mondiale di Svezia del 1958.
Matt Busby, allenatore del Manchester United, ne restò folgorato: quel ragazzino delle scuole dell’Est Northumberland, che faceva impazzire le difese avversarie, doveva assolutamente diventare uno dei “Red Devils”. Comincia così la carriera di Robert Charlton, detto Bobby, attaccante che lo stesso allenatore convinse a firmare (appena quindicenne) un contratto per entrare in quella leggendaria (e sfortunata) squadra che prenderà il nome di “Busby babes”. Charlton sopravviverà al disastro aereo di Monaco (morirono 8 suoi compagni) e diventerà uno dei calciatori inglesi più importanti della storia: una Coppa Campioni, una Coppa d’Inghilterra e tre campionati (in 19 anni con il Manchester United), un Mondiale (1966) e un Pallone d’Oro (1966). Nominato cavaliere dalla Regina nel 1994, Sir Bobby incarna ancora oggi la fedeltà e la dignità del calcio inglese.
Per molti era un vero e proprio “obbrobrio”, altri ci intravidero subito un tentativo di “rinnovamento” dopo l’ennesimo campionato anonimo di metà classifica: la Juventus, di un ormai trentenne Gianpiero Boniperti, si presentò ai nastri di partenza della stagione ‘57/’58 con la classica maglia a righe bianconere ma con i numeri in… rosso, colore totalmente estraneo rispetto alle tinte societarie. Era stato il Dottore, il giovane presidente Umberto Agnelli, a chiedere un “cambiamento”, e la scelta del rosso denotava una certa eleganza, un’impronta altolocata che richiamava il rosso della bandiera dei Savoia. La svolta arrivò veramente: la Juve vinse il campionato, ma forse più che il nuovo colore dei numeri, a riportare a Torino lo scudetto furono i “numeri” della nuova coppia gol Charles-Sìvori…
Mondiali 1982, Italia-Brasile, chi vince va in semifinale. Mancano pochi secondi alla fine e la Nazionale di Bearzot è in vantaggio per 3-2, sta per realizzare un’impresa, sta per eliminare il favoritissimo Brasile di Zico e Falcao, e per consegnare alla storia la tripletta di “Pablito” Rossi. Eder batte una punizione sulla quale si avventa Oscar e, di testa, colpisce forte indirizzando verso l’angolo basso. In porta c’è Dino Zoff, 40 anni, il capitano, il monumento azzurro: chiede l’ultimo sforzo ai tacchetti delle sue scarpe e l’ultimo “grip” alla punta dei suoi guanti e quel pallone lo inchioda lì, sulla linea, mentre Socrates esulta invocando il gol, e Bergomi con Gentile guardano attoniti. Interminabili attimi di suspense: la palla non è entrata, l’Italia vince (e vincerà pure quel Mondiale), Zoff esulta. Forse la parata più bella della sua vita, sicuramente la più importante…
Difficile, per non dire impossibile, sintetizzare in poche righe Gianni Rivera, il “golden boy” del nostro calcio, primo Pallone d’Oro italiano (1969) considerato uno dei migliori numeri 10 della storia. Da calciatore, politico o dirigente ha lasciato il segno in ogni campo abbia, metaforicamente e non, messo piede: simbolo del Milan degli anni ’60 e ’70 (19 stagioni coi rossoneri per un totale di oltre 500 partite), ha vinto 3 scudetti, 4 Coppe Italia, 2 Coppe dei Campioni, 2 Coppe delle Coppe, una Coppa Intercontinentale e un campionato Europeo. Finezza ed eleganza nel dribbling, fiuto del gol, senso dell’assist, straordinaria visione di gioco, tocco vellutato: tra i fondatori, nel 1968, dell’Associazione Italiana Calciatori, Rivera è spesso ricordato per quel gol leggendario alla Germania Ovest nella vittoriosa partita 4 a 3 dell’Italia ai Mondiali di Messico ’70.
Per tutti era il “Bomber der Nation”, il cannoniere nazionale, il “piccolo grasso” centravanti capace di vantare, con la maglia della Germania Ovest, più goal segnati (68) che gettoni di presenza (62): Gerhard Müller, detto Gerd, ovvero il “bomber” per antonomasia del calcio tedesco, ovvero (come da definizione dell’enciclopedia Treccani) “grande realizzatore di reti”. Tante, belle, importanti, spesso decisive, a volte facili, altre quasi impossibili: in carriera, un bottino totale di 730 goal in gare ufficiali (ma si dice che, considerando le amichevoli, siano 1461), molti dei quali di testa nonostante un fisico tutt’altro che statuario, che gli sono valsi 4 campionati tedeschi, 4 Coppe di Germania, 3 Coppe dei Campioni, una Coppa delle Coppe, una Coppa Intercontinentale (con il Bayern Monaco), un Pallone d’Oro (1970), un Europeo (1972) ed un Mondiale (1974).
Il calcio e il fascino del numero 10, di un numero “magico”, mai “banale”, di una maglia indossata dai grandi campioni, dai miti, dalle leggende. Perché chi indossa “la numero 10” non può essere uno qualsiasi, ma deve interpretare in tutto e per tutto un ruolo, quello di leader, quello di “stella”. E quando l’avversario legge quel numero, deve subito capire che di fronte ha il più forte, quello dai “piedi buoni”, quello che della squadra è il più carismatico. Non a caso, la storia ci tramanda nomi che del calcio sono l’essenza: da Pelè a Maradona, da Rivera ad Eusebio, da Zico a Platini, da Baggio a Zidane, da Totti a Messi passando da Sivori, Puskas, Matthaus, Ronaldinho, Del Piero, Francescoli, Kempes, Gullit, Ibrahimovic, Rivelino, Laudrup… Tutti meravigliosamente uniti da uno stesso filo, tutti magicamente legati allo stesso numero…
E quando si parla di grandi “numeri 10” non si può non includere anche Luis Suárez Miramontes, detto Luisito, tra i migliori interpreti del ruolo di “regista” a livello internazionale. Una carriera straordinaria ed un palmarès difficile da eguagliare: 2 campionati, 2 Coppe delle Fiere e 2 Coppe di Spagna (con la maglia del Barcellona), 3 scudetti, 2 Coppe Campioni e 2 Coppe Intercontinentali (con quella dell’Inter). In mezzo, un Pallone d’Oro (1960 – unico spagnolo ad averlo vinto) e un Campionato d’Europa (1964) con le “Furie Rosse”. Il suo passaggio dal Barcellona all’Inter (il 1° giugno del 1961), dove ritrovò il “Mago” Helenio Herrera che lo aveva già allenato in blaugrana, portò nelle casse del club spagnolo ben 25 milioni di pesetas (all’incirca 300 milioni di lire) che furono investiti dalla società catalana per costruire un nuovo anello del Camp Nou.
È il più “longevo” torneo calcistico per Nazionali e da poco ha spento 100 candeline: la prima edizione della Copa América risale infatti al 1916 quando la CONMEBOL, la federazione che raggruppa le nazionali del Sud America, organizzò un campionato continentale in Argentina. Se lo aggiudicò l’Urugay, ma alla “Celeste” non fu consegnato alcun trofeo perché la Coppa fu creata nel 1917 da una gioielleria di Buenos Aires (la sua fabbricazione costò 3.000 franchi svizzeri), e messa in palio per la seconda edizione. Alta 75 centimetri, con un diametro di 30, la Coppa America pesa circa 9 kg ed è fissata ad una base in legno con delle piccole targhette dorate recanti i vincitori di ciascuna edizione. Per l’edizione 2015 (detta del centenario) vinta dal Cile, è stata realizzato un nuovo trofeo, ispirato all’originale, placcato in oro con interno in argento.
Primo pallone a passare dai consueti lunghi pannelli alle 18 pezze esagonali di pelle gialla, il “Crack” venne utilizzato ufficialmente per il campionato Mondiale del 1962 in Cile. Prodotto (su disegno del francese Salvador Caussade) in numero limitato e numerato, dalla fabbrica cilena Custodio Zamora, per la gara inaugurale del Mondiale (tra il Cile e la Svizzera) non riuscì a… “ricevere” il calcio d’inizio: ormai introvabile, era andato letteralmente… “a ruba”, e all’Estadio Nacional di Santiago si dovette ricorrere ad un pallone qualsiasi (che tra l’altro si sgonfiò dopo poco) per iniziare la gara. Il pallone ufficiale arrivò nei minuti finali, ma la FIFA non gradì il disguido e, dall’edizione successiva, venne interpellato l’imprenditore tedesco Adolf “Adi” Dassler, fondatore dell’Adidas, che da lì in poi diventerà la fornitrice ufficiale dei palloni mondiali.
Karl-Heinz Rummenigge, detto Kalle, tre sole stagio-
ni con la maglia dell’Inter, molti infortuni e nessun trofeo conquistato, eppure… uno dei calciatori stranieri più amati dal popolo nerazzurro. Arrivò alla corte di Ernesto Pellegrini nel 1984, quando ormai aveva vinto tutto con la maglia del Bayern Monaco (2 campionati tedeschi, 2 Coppe di Germania, 2 Coppe dei Campioni, una Coppa Intercontinentale), con la Nazionale (un Europeo nel 1980) e a livello individuale (2 Palloni d’Oro consecutivi nel 1980 e ‘81). Attaccante potente ed “acrobatico”, dai quadricipiti scolpiti nel marmo e dal tocco raffinato, in Italia non ebbe una parentesi molto fortunata, così come poco fortunato fu il suo “rapporto” con la Coppa del Mondo: perse due finali consecutive, da capitano della Germania Ovest, contro l’Italia (Spagna ’82) e contro l’Argentina (Messico ’86).
In principio fu la “Copa Rio”, quindi la “Coppa Intercontinentale”, fino ad arrivare all’attuale “FIFA Club World Cup”: è la competizione che assegna ad una squadra di club il titolo di Campione del Mondo. Viene disputata annualmente tra le squadre vincitrici dei tornei continentali organizzati dalle sei confederazioni appartenenti alla FIFA, più la squadra vincitrice del campionato della nazione ospitante. La coppa assegnata alla squadra vincitrice (disegnata in occasione dell’edizione del 2005), pesa 5,2 kg ed è alta 50 centimetri. Realizzata da un’impresa di design inglese di Birmingham, rappresenta il globo sostenuto da sette pilastri: sei adiacenti simboleggianti le squadre rappresentative di ogni continente, e uno più isolato simboleggiante la squadra vincitrice. Nel 2010 fu il capitano dell’Inter (del triplete) Javier Zanetti ad alzarla al cielo di Abu Dhabi.
Dopo un campionato trionfale in Serie B, ottenuta con sei giornate d’anticipo la promozione nella massima serie, nell’estate del 1962 il Genoa si assicurò le prestazioni di un estroso diciannovenne proveniente dal Como, Luigi Meroni, detto Gigi, ala dal dribbling ubriacante e… dalla spiccata eccentricità fuori dal campo. Amava la pittura, disegnare cravatte di seta, i vestiti alla moda, i capelli alla Beatles. Due sole stagioni in rossoblù, sufficienti per far innamorare il pubblico genoano, a tal punto che il suo passaggio al Torino nel 1964 (per trecento milioni di lire, cifra mai spesa prima per un calciatore così giovane) scatenò una vera e propria rivolta della tifoseria ligure. A Torino diventerà la “Farfalla granata”, la versione italiana dell’asso del Manchester United George Best, il “beatnik del gol”. Morirà tragicamente investito da un’auto a soli 24 anni.
È passato alla storia per essere stato il primo capitano della Nazionale italiana (nella gara del 15 maggio 1910 contro la Francia), ma Francesco Calì, detto Franz, di pagine della storia del calcio (soprattutto quello genovese) ne ha scritte parecchie… ed in prima persona. Tesserato per il Genoa nel 1901, ne diventerà orgoglioso antagonista l’anno successivo quando darà forte impulso allo sviluppo della squadra di calcio della Società Ginnastica Andrea Doria, di cui diventerà giocatore e allenatore. Difensore “forte e valoroso”, porterà la Doria fino alla conquista di 4 titoli del campionato nazionale della Federazione Ginnastica. Nel 1944 diventerà presidente dell’Andrea Doria, che due anni dopo si unirà agli antichi rivali della Sampierdarenese per formare l’attuale Sampdoria… ma questa è un’altra storia.
È la più antica società calcistica d’Italia, quella in possesso del più “vecchio” documento scritto attestante l’anno di fondazione: il “Genoa Cricket and Athletic Club” nacque ufficialmente il 7 settembre 1893 per mano di un gruppo di nobili inglesi amanti delle discipline sportive, individuali e di squadra, più in voga in madrepatria quali il cricket, il tennis, la waterpolo (pallanuoto) e il football. A quel tempo il calcio non era considerato sport “nobile”, ma il grande interesse suscitato tra la popolazione indusse la neonata società a sviluppare il settore per questa disciplina e a cambiare, tre anni più tardi (grazie a James Richardson Spensley), denominazione in “Genoa Cricket and Football Club”. Inizialmente la squadra utilizzò una divisa bianca, poi bianco-blu a righe verticali, fino al 1901 quando, con la scomparsa della Regina Vittoria, vennero adottati i colori dell’Union Jack, la bandiera britannica: la maglia diventò così metà blu e metà rossa (con il rosso a destra e il blu a sinistra, schienale invertito e manica con facciata di colore opposto), senza alcuno stemma cucito. Sui documenti ufficiali venne utilizzato il simbolo cittadino (due grifoni che sostengono lo scudo con la croce di San Giorgio) e proprio il Grifone (figura araldica costituita dall’incrocio tra un’aquila e un leone) diventerà in seguito l’emblema della società. Nei suoi 123 anni di storia, il Genoa ha vinto 9 campionati italiani (tra cui il primo in assoluto del 1898), una Coppa Italia, due Coppe delle Alpi, una Coppa dell’Amicizia e una Coppa Anglo-Italiana. È stato inserito nell’ “International Bureau of Cultural Capitals” (una sorta di patrimonio sportivo storico dell’umanità) e ammesso nel “Club of Pioneers”, associazione che raggruppa i club di calcio più antichi del mondo.
Correva l’anno 1946, ed esattamente il giorno 12 agosto, dalla fusione tra Sampierdarenese e Andrea Doria, nasceva ufficialmente la Samp-Doria, società calcistica che venne iscritta subito al campionato di Serie A. Già nel 1927, per volontà del regime fascista, si era tentato di unire due tra le più importanti Società di Ginnastica di Genova, ma la “La Dominante” (così venne chiamata la squadra) prima, e la FBC Liguria (con l’assorbimento anche della Corniglianese) poi, segnarono un vero e proprio fallimento sportivo, con lo scontato scioglimento e la susseguente rinascita delle società originarie. Dopo che il conflitto mondiale aveva, in pratica, interrotto ogni attività agonistica, nel 1945 Sampierdarenese ed Andrea Doria tentarono di ripartire tra mille difficoltà e, gravate dai problemi economici, trovarono un accordo per una nuova fusione. Un passaggio salutato senza troppo entusiasmo dalla Genova del pallone, ma unica speranza per evitare la chiusura di entrambe le “filiali” calcistiche delle rispettive società. Per la nuova squadra venne studiata una divisa del tutto particolare, che doveva unire il bianco e blu dell’Andrea Doria, con il rosso e il nero della Sampierdarenese: ne uscì una maglia blu inframezzata da due strisce bianche, una rossa e una nera, con lo stemma di Genova (la croce di San Giorgio) al centro. Nel simbolo della società comparirà in seguito anche la silhouette nera del “Baciccia”, tipico pescatore genovese stilizzato con barba, berretto caratteristico, pipa e capelli al vento. Nel corso della sua storia, la Sampdoria ha disputato 60 campionati di Serie A (compreso l’attuale) e 11 di Serie B, conquistando uno scudetto, 4 Coppe Italia, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa italiana, oltre a raggiungere una finale dell’allora Coppa dei Campioni.
GENOVA MAGAZZINI DEL COTONE
MODULO 1 - PORTO ANTICO 15 Settembre - 13 Novembre 2016
Orari Lunedì - Mercoledì - Giovedì: 14.00 - 20.00 Martedì: chiusura Venerdì: 14.00 - 22.00 Sabato: 10.00 - 22.00 Domenica: 10.00 - 20.00
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