Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – 70% NE/VI - Anno 45 - N. 02 Marzo 2017 - Mensile
2017
02
Marzo
Organo mensile dell’Associazione Italiana Calciatori
Speciale
70 anni di calcio
dalla pellicola al digitale
All'interno inserto
70 anni di calcio dalla pellicola al digitale
L'intervista: Alejandro Gómez
"In Italia sto da… Papu"
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MAXI ALBUM e FIGURINE STREPITOSE Per una collezione ESAGERATA!
di Damiano Tommasi
editoriale
Componente tecnica Mi vengono in mente le parole di mio figlio dopo la prima partitella disputata alla scuola calcio: “Papà, abbiamo vinto, 1-0 per loro!” Effettivamente la non elezione di Andrea Abodi ha il sapore di una vittoria ma la concretezza della sconfitta. Come dice mister Pirozzi, sindaco di Amatrice, “o vinco o imparo” e in questo senso, a proposito di mister, diciamo che abbiamo imparato molto. Abbiamo imparato che esiste il voto di pancia ma anche il voto di pancia piena. Abbiamo imparato che gli specchi per qualcuno sono il termometro della propria coerenza e per qualcun altro una buona parete alla quale arrampicarsi. Abbiamo imparato che le componenti tecniche sono rimaste… una. Abbiamo imparato che se si crede in un futuro migliore è dovere di tutti metterci la faccia, pagando anche il prezzo della sconfitta. Abbiamo capito che di calcio, e di sport, in ambito dirigenziale non si vede nemmeno l’ombra. Abbiamo imparato che sono ancora tanti quelli che vanno e votano la maggioranza. Abbiamo capito che se ci guardiamo negli occhi e viviamo le scelte con responsabilità e coerenza le emozioni sono indescrivibili.
Abbiamo imparato che la VAR sarebbe utilissima durante l’Assemblea federale. Gli arbitri, lo dico da sempre, vanno aiutati nelle scelte. Abbiamo imparato che la parola democrazia non ha per tutti lo stesso significato. Abbiamo scoperto che le catene in Figc, ma non solo, sono ben salde alle gambe delle poltrone. Abbiamo imparato che Gigliola Cinquetti nel 1964 aveva già individuato il problema dell’età. Troppo futuristico un discorso sui prossimi 10 anni di calcio. Potrebbero, a ragione, incupirsi quelli con il curriculum dalle pagine complete. Abbiamo imparato che, nonostante tutto, è importantissimo esserci! Ora però si torna in campo, dove l’aria che tira è per certi versi peggiore. Società inadempienti e pseudo tifosi che si credono padroni del giocattolo e non risparmiano violenze, minacce e intimidazioni. Sono i temi caldi di questo finale di campionato. Ripartiamo, quindi, carichi dall’esperienza di politica federale per tornare nel nostro campo, quello tra gli spogliatoi. Abbiamo visto la nostra amata Star (il calcio) per qualche ora senza trucco, stanca, invecchiata e dimessa, non spaventiamoci e facciamo di tutto perché almeno non peggiori!
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Poste Italiane SpA – Spedizione
70 anni di calcio
dalla pellicola al digitale
02
L'intervista: Alejandro Gómez
Marzo
regole del gioco di Pierpaolo Romani Calcio e mafia, un fenomeno preoccupante
lega pro di Pino Lazzaro Un tatuaggio, una storia
scatti di Maurizio Borsari calcio e legge di Stefano Sartori Le Licenze Nazionali 2017/18
secondo tempo di Claudio Sottile Alessio Scarabattola
politicalcio di Fabio Appetiti Andrea Abodi Organo mensile dell’Associazione Italiana Calciatori
foto redazione e amministrazione
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Questo periodico è iscritto all’USPI Unione Stampa Periodica Italiana
Sergio Campana Gianni Grazioli Nicola Bosio Pino Lazzaro Stefano Sartori Stefano Fontana Tommaso Franco Giulio Segato Mario Dall’Angelo Claudio Sottile Fabio Appetiti Maurizio Borsari A.I.C. Service Contrà delle Grazie, 10 36100 Vicenza 0444 233233 0444 233250 www.assocalciatori.it info@assocalciatori.it Tipolitografia Campisi Srl Arcugnano (VI) N.289 del 15-11-1972
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direttore direttore responsabile condirettore redazione
Finito di stampare il 20-03-2017
ione Italiana Calciatori
All'interno inserto
Federico Agliardi
di Tommaso Franco
Organo mensile dell’Associaz
dalla pellicola al digitale
serie B di Claudio Sottile
intervista
2017 - Mensile
70 anni di calcio
editoriale di Damiano Tommasi
Incontro con Alejandro Darío Gómez, centrocampista e capitano della sorprendente Atalanta di Gasperini, per tutti “El Papu” (il piccoletto) per via dei suoi 164 centimetri di altezza. Un lungo racconto che parte dall’infanzia in Argentina, la famiglia, il calcio, fino all’Italia, Catania e poi Bergamo, la sua seconda casa.
Marzo
– 70% NE/VI - Anno 45 - N. 02 Marzo
Speciale
2017
sommario
2017
02
in Abbonamento Postale
segreteria AIC Camp
come stai? di Pino Lazzaro Luigi Pasetti
femminile di Pino Lazzaro Barbara Bonansea
io e il calcio di Pino Lazzaro Giorgio Petrosyan
"In Italia sto da… Papu"
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speciale Primo “speciale” dedicato alla fotografia sportiva, ripercorsa attraverso 70 anni di calcio, quelli che dagli anni ’50 ci portano fino ai giorni nostri. Un viaggio lungo ed affascinante, tra immagini suggestive in bianco e nero e scatti a colori decisamente più definiti. Un viaggio che abbiamo volutamente diviso in due e che, in questa nostra prima parte, si chiuderà nei primi anni del 2000, contrassegnati dall’avvento di macchine fotografiche qualitativamente sempre più all’avanguardia.
l’intervista
di Tommaso Franco
Incontro con il centrocampista e capitano dell’Atalanta
Alejandro Gómez: “In Italia calcio di oggi? Tanto diverso da quello che lo vedeva sui campi tra i professionisti già da ragazzino? Quali sono state le rinunce, le gioie e le delusioni del percorso che l’ha portato fino a qui? Di questo calcio cosa cambierebbe?
Alejandro Darío Gómez è nato a Buenos Aires il 15 febbraio 1988. Soprannominato “El Papu” (il piccoletto) per via dei suoi 164 centimetri di altezza, inizia la carriera nel settore giovanile dell’Arsenal de Sarandí nel 2003, debuttando in prima squadra nel 2005. Nel gennaio del 2009 passa in comproprietà al San Lorenzo, quindi viene ceduto nel luglio del 2010 al Catania. Con gli etnei gioca tre ottimi campionati prima di essere ceduto agli ucraini del Metalist Kharkiv. Torna in Italia per vestire la maglia dell’Atalanta nel 2014. Ha vestito le maglie della Nazionale argentina Under 16, Under 17 e Under 20 (con la quale nel 2007 ha vinto il Campionato mondiale in Canada). Sposato con Linda (architetto), ha due figli (Bauptista e Costantina).
Il nostro è ancora oggi uno dei campionati più belli al mondo e conoscerne i protagonisti, per chi ama questo sport, rappresenta una costante possibilità di crescita umana e professionale. Nell’ultima riunione di redazione di questa rivista propongo al direttore e ai colleghi un’intervista al “Papu” Gomez, colonna portante della sorprendente e freschissima Atalanta di Gasperini. E così, un pomeriggio, gli scrivo un messaggio per sapere, prima di tutto, se la cosa potesse o meno interessargli. “Ci vorranno un paio d’ore” – gli dico – “so che siete molto impegnati e capisco che il tempo da dedicare a questo incontro non è poco”. Mi risponde: “Certo, andiamo avanti!”. Così, dopo aver chiesto l’autorizzazione all’amico Andrea Lazzaroni dell’ufficio stampa della “Dea”, fisso l’appuntamento con il calciatore. “Ci vediamo lunedì alle 16. A casa mia va bene”, mi scrive. Mi presento puntuale all’appuntamento, mi accoglie 6
come se ci conoscessimo da un tempo assieme all’amico Mariano Izco, argentino in forza al ChievoVerona. Mi scuso per aver interrotto il loro incontro e mi metto a sedere. “Non preoccuparti, siamo molto amici. Ci vediamo spesso, ogni volta che riusciamo”. Sento l’esigenza di spiegare al “Papu” il perché di quell’intervista, puntualizzando che non avremmo mai parlato di calcio mercato, del suo futuro prossimo e meno prossimo. Avrebbe dovuto, in quelle due ore scarse, raccontarmi cosa c’è dentro di lui, quali sono i colori che compongono il suo quadro fuori dal campo. E cosa c’è dentro quel suo modo di giocare, di lottare su ogni pallone. Il suo divertimento, suo e di chi assiste alle sue giocate, da dove parte? Cosa significa per lui aver lasciato il suo paese, l’Argentina, quali sono state le sensazione provate al suo arrivo in Italia. Il suo rapporto con i tifosi, la famiglia, i social network. E come vede il
La tua infanzia, la famiglia d’origine, il tuo paese: l’Argentina… “La mia famiglia fa parte della “classe media”, i miei genitori si sono separati e da quando avevo 4 anni, non ho visto più mio padre. Dopo 4 anni passati solo con mia mamma e i miei due fratelli (Diego 34 e Fernanda 32), mia mamma ha sposato Jorge, il mio “papà” adottivo, la persona che mi ha fatto crescere. Ho il grande dispiacere di aver perso mio fratello. Mia sorella, invece, lavora in Argentina. Del mio paese mi mancano più le persone che il luogo in sé. Forse l’Argentina non mi manca molto perché molte cose là non vanno proprio bene. Non si sta male, in realtà però ci sono molte cose che proprio non funzionano. Noi andiamo in vacanza quando là è inverno e riusciamo anche poco a vedere gli amici che durante il giorno lavorano. Siamo quasi sempre da soli e vediamo gli amici solo quando finiscono di lavorare, ne approfittiamo per andare avanti con il progetto della nostra casa, passiamo del tempo con i nostri genitori. In Italia stiamo molto bene e non impazziamo all’idea di tornare in Argentina”. L’Italia è stata una consacrazione dal punto di vista professionale. È stata una scelta o un caso? “È stato un caso. Io avevo ancora il contratto con il San Lorenzo e stavo facendo molto bene; stavamo per cominciare il campionato argentino quando mi sono arrivate due offerte: una del Bari (di Almiron, quello forte allenato da Ventura) e una dal Catania. In una decina di giorni ho fatto tutto e siamo partiti per Catania dove c’erano già molti argentini. Ho parlato con la mia famiglia e sono partito. Quel
l’intervista
sto da… Papu” Catania è stata la fortuna della mia vita. Arrivare in club dove c’erano 12 argentini mi ha fatto sentire a casa dal primo giorno. Per qualsiasi problema mi rivolgevo ai miei nuovi compagni che mi hanno subito dato una grande mano. Se fossi arrivato in un’altra società, magari con meno sudamericani, l’inserimento sarebbe stato certamente più complicato. L’allenatore, Giampaolo, mi ha dato la possibilità di giocare da titolare appena arrivato, anche se arrivavo da un altro campionato. È stata una grande opportunità per me”. La gioia e la freschezza di quel Catania la ricordiamo bene… “Nel calcio comandano i risultati. Il primo anno abbiamo battuto il record di punti in Serie A, il secondo anno lo abbiamo superato e il terzo anno ci siamo superati stabilendo un nuovo record con 56 punti che chissà per quanto rimarrà ancora a Catania. Quindi, per fortuna, i risultati sono andati alla grande e per noi argentini era come stare a casa, in famiglia”. C’è un momento nella tua vita in cui hai capito che saresti diventato un calciatore di alto livello? “Non so dirti il momento esatto. Posso dirti che mi ricordo che, fin da quando avevo circa dodici anni mi dovevo svegliare per andare a scuola e non volevo andare. Dicevo piangendo a mia mamma: “Io sarò un calciatore”. Lo sentivo dentro, dentro di me lo volevo con tutte le forze. Mia mamma mi obbligava ad andare a scuola. Quando a quattordici anni ho iniziato ad allenarmi con la prima squadra dell’Arsenàl, ho cominciato a prendere forza e rendermi conto che potevo arrivare. A 14 anni ho fatto il primo ritiro con la prima squadra, si parlava molto di me. Il mio nome iniziava a destare curiosità. Quella convocazione mi aveva fatto finire su tutti i giornali in Argentina. Dopo il ritiro con i “grandi” ho continuato con la Primavera. Erano comunque più vecchi di me di qualche anno. In tutto il mio percorso all’interno del settore giovanile ho giocato con ragazzi più grandi di me e questo è servito molto per la mia esperienza. A 15 anni, mi hanno portare ancora in ritiro con 7
l’intervista
la prima squadra e a 17 anni sono diventato ufficialmente uno di loro”. C’è una partita che non dimenticherai mai? “Sì, in realtà sono due. Una rappresenta la gioia e una è un ricordo un po’ più triste. La prima è la finale di Coppa Sudamericana che ho giocato allo stadio Azteca in Messico, quello dove Maradona ha fatto quel famoso gol di mano nel mondiale dell’86. Vincemmo 3-2 contro l’America ed io segnai una doppietta. Avevo 19 anni. Questa partita è stata molto importante per me, mi ha dato una maggiore visibilità. Stavo facendo bene, ero promettente. I due gol in una finale sono stati certamente esaltanti, un salto per la mia carriera. L’altra partita, il ricordo triste, è legato a mio fratello. Lui è mancato di mercoledì. Dovevo partire per l’Argentina ma anche partendo subito, con 15 ore di volo dall’Italia, non sarei arrivato in tempo per l’ultimo saluto. Mi sono detto “non posso fare altro che piangerlo” e ho deciso di rimanere a Catania. La domenica giocammo con l’Inter e io segnai un gol. Ovviamente è stata un’emozione indescrivibile”. Il calcio: quanto è un gioco e quanto una professione “Io vivo il calcio come una professione da sempre, da quando a 14 anni ho firmato il mio primo contratto. Io volevo fare questo nella mia vita. Se non avessi avuto la fortuna di giocare a calcio nella mia vita, certamente starei facendo qualcosa che in qualche modo sarebbe vicino al calcio. Sono sempre stato uno sportivo, un “malato” di calcio. Mi ricordo che quando giocavo nell’Arsenàl mi volevano il Boca e il River come se qui ti volessero la Juventus, la Roma, l’Inter il Milan. Per farmi rimanere, mi fecero un contratto da 1200 pesos al mese che nel 2002 erano molti per un ragazzo di 14 anni. Da lì ho iniziato a gestirmi, si avvicinavano i primi sponsor. Si parlava molto di me e da quel momento il calcio ha rappresentato un lavoro, anche se mi sono sempre divertito tantissimo. Ho fatto dei sacrifici, mi sono perso molte cose della mia adolescenza. Non uscivo a ballare, non andavo in discoteca, non andavo ai compleanni perché dovevo andare in ritiro. Non è stata esattamente 8
una giovinezza “normale”. Questo, però, mi ha fatto maturare molto presto, a 14 anni, forse, avevo la testa di uno di 20. Il contatto con giocatori più grandi, condividere con loro un tavolo, ascoltare le loro esperienze anche lontano dall’Argentina, In Europa. Avendo iniziato da piccolo con l’Arsenàl in Argentina la gente pensa che io abbia più anni di quelli che in realtà ho. La verità è che ne ho 28… Mi vedono da così tanto tempo nel calcio che pensano che io sia più grande. In Italia è un po’ diverso, l’esperienza magari la fai in Serie B, in Lega Pro, prestiti su prestiti. In Argentina se sei forte a 17 anni ti buttano dentro, nella mischia. In Argentina c’è
una grande passione per il calcio e moltissima competizione. Nel mio paese i ragazzi crescono con una pressione diversa, in un luogo dove economicamente il fatto di diventare calciatori può permetterti di salvare la tua famiglia dalla povertà. Questo si riflette anche calcisticamente. Esordiscono giovanissimi con la fame di arrivare. Io sono arrivato in Italia a 22 anni e avevo già fatto più di 100 presenze da professionista in Argentina. Avevo già alle spalle un’esperienza importante per uno di quell’età. Arrivato qui ho respirato un clima diverso. Quando perdevo una partita potevo uscire tranquillo di casa, in
Argentina non è così. Qui ho potuto esprimere il mio gioco nella miglior maniera, è molto diverso”. In Italia a Catania e Bergamo. Cosa ti è piaciuto di queste due città così diverse cosa non ti piace? “A Catania la gente è molto simile a quella del mio Paese. Abbiamo il sangue italiano e molti italiani del sud sono emigrati in Sudamerica quindi anche questo mi ha aiutato ad integrarmi velocemente. Non sono arrivato in una città “fredda” del nord, dove la gente è più introversa ma in una città che mi ha accolto da subito come se fossi un figlio. Tutti parlavano del nord come una posto più freddo ma a Bergamo non è così. In altri posti al nord non saprei ma questa mi sembra una città straordinaria dal punto di vista della qualità della vita e la gente è molto simpatica. Il bergamasco non è così freddo come dicono. Ti dà una mano in tutto, ti apre le porte di casa sua”. Vivi il calcio da tanti anni. Di questo mondo, cosa cambieresti? “Ci sono tante cose che cambierei. Mi
l’intervista
stupisco dei soldi che muove il calcio, di quanta distanza ci sia tra un calciatore che vale milioni di euro e la gente che muore di fame. Capisco le logiche. Capisco che quanto il calcio possa attrarre e so che sono pochissimi i calciatori che guadagnano cifre altissime. Quando valutano calciatori 50, 100, 150 milioni, per quanto siano forti, non riesco a farmelo entrare in testa. Oggi se hai 19 anni e sai bravino vali 10 milioni di euro, una volta non era così”. Sulle spalle hai un numero importante. Per un argentino cosa rappresentano Maradona e Messi? “Il numero 10 è un numero storico per noi. Abbiamo avuto tantissimi trequartisti con il “10”. Da Riquelme ad Aimar, a D’Alessandro, a Maradona, a Messi, Di Stefano. Significa molto. All’Atalanta Bonaventura aveva il 10 e il 17 che avevo a Catania lo portava Carmona. Quando ho potuto l’ho scelto subito. Il 10 deve essere un leader per me, è una scelta di grande responsabilità perché se lo indossi pensi di essere forte”. Oggi la parola “calcio” significa anche responsabilità sociale per tutti i messaggi che contiene. Che rapporto hai con i social? “A me piace moltissimo. Mi piacciono molto Instagram e Facebook, è un modo
per arrivare alla gente per far capire che anche noi siamo persone come tutti. Non abbiamo nulla di strano. Tanti anni fa il giocatore era visto come qualcosa di intoccabile, di inarrivabile. Non è così. Noi abbiamo i problemi come tutti, dai figli che si ammalano, all’asilo, alla famiglia. Ovviamente abbiamo la possibilità di guadagnare molto facendo lo sport più bello al mondo ma non siamo su altro pianeta. Oggi sono una figura pubblica che deve dare l’esempio a chi ci guarda, soprattutto ai ragazzi. Gli errori si possono fare, soprattutto in gioventù. Alla mia età devi sapere che messaggi trasmettere. Io ho 200 mila followers, magari un altro ne ha 1 milione e diventa ancora più importante quello che dici o scrivi”. Che ruolo ha la tua famiglia nella tua vita da calciatore? “Importantissimo. La mia mamma era una sportiva, correva i 100 metri. Mio zio negli anni ’80 era un calciatore dell’Independiente, ha vinto tutto. Un grande difensore centrale. Questa passione per lo sport arriva da lì. Sono sempre stati vicini a me anche nelle situazioni più complicate, quando non riuscivo. Ogni partita, ogni gara, sempre vicino. In Argentina fino ai 12 anni si gioca a “calcio a 5” sul cemento. Per noi è una grande scuola di tecnica e penso che significhi molto questa palestra. I brasiliani, per esempio, sono molto forti fisicamente, giocano fin da piccoli sulla sabbia in spiaggia. Noi giochiamo molto con la suola per questa cosa del calcetto. Da noi c’è una grande scuola calcio e un’enorme competizione fin da quando sei piccolissimo”. Quali sono le tue passioni oltre al calcio? “Sono appassionato di musica, mi piace giocare a tennis (ma non gioco quasi mai). Mi piace cucinare, ho anche fatto un corso di tre mesi quando abitavo da solo in Argentina e avevo tempo. Mi allenavo al mattino e al pomeriggio andavo al corso. Non sono uno chef ma mi è servito per iniziare a farmi la pasta ed arrangiarmi. Esagero con l’aglio e per alcuni quello che cucino è immangiabile. Una passione come il calcio non c’è. Un giorno mi piacerebbe fare l’allenatore di un club, iniziando con una Primavera, o comunque con ragazzi già un po’ grandi. Mi vedo spesso le partite, parlo con colleghi e amici. Guardo le interviste di Bielsa, Klopp, Guardiola. Ho letto tutti i libri. Magari questo sostituirà la mia voglia di calcio quando non giocherò più”.
La scheda Stagione
Squadra
Cat.
P.
G.
2016-17
Atalanta
2015-16
Atalanta
Serie A
27
9
Serie A
34
2014-15
7
Atalanta
Serie A
24
3
2013-14
Metalist Kharkiv FC
Serie A
23
3
2012-13
Catania
Serie A
36
8
2011-12
Catania
Serie A
34
4
2010-11
Catania
Serie A
36
4
2009-10
San Lorenzo
Serie A
16
3
2008-09
San Lorenzo
Serie A
16
1
2008-09
Arsenal Sarandi
Serie A
18
8
2007-08
Arsenal Sarandi
Serie A
14
1
2006-07
Arsenal Sarandi
Serie A
22
2
2005-06
Arsenal Sarandi
Serie A
5
0
9
serie B
di Claudio Sottile
Portiere del Cesena e Consigliere AIC
Federico Agliardi… ne ha fatt Chi ricorda la storica pubblicità della Chicco con lo slogan “Devi farne di strada, bimbo”? Parafrasandola, ne ha fatta sicuramente tanta Federico Agliardi, detto proprio “Chicco”. Esordio in B nel 2002, un mucchio di Serie A, dal 2014 è al Cesena, ma nella sua carriera resta vivissimo l’orgoglio di aver giocato con la maglia della propria città, Brescia, dividendo nel 2003/2004 lo spogliatoio con un certo Roberto Baggio. “Roby è un po’ che non lo sento. L’ho visto un paio d’anni fa, ci abbracciammo e salutammo. Per me lui resterà sempre un qualcosa di magico. Il primo anno mio di A eravamo in squadra assieme, per me è motivo di vanto, me lo porterò sempre dentro. Un ragazzo che all’epoca aveva la mia età di oggi, che si metteva in discussione con tutti i problemi fisici che lo avevano martoriato. Considera per me, allora diciottenne, che effetto potesse farmi. Mi ha lasciato un insegnamento interiore, che mi ha aiutato nel percorso professionale. Possono apparire discorsi scontati, ma non lo sono. Soprattutto i ragazzi al giorno d’oggi dovrebbero imparare da quelli più grandi o da chi ha avuto difficoltà nella carriera, per cercare di carpire alcuni segreti”. Il tuo presente romagnolo cosa racconta? “Onestamente stiamo vivendo una stagione difficile. Se si prendono i singoli, abbiamo determinate caratteristiche che ad inizio stagione, a livello di società e di ambiente, ci portavano a pensare che avremmo disputato un campionato di un certo tipo. Ci siamo trovati in una posizione complicata, ma certamente combatteremo fino alla fine, per venir fuori da una situazione creatasi per demeriti nostri. Dobbiamo solo rimboccarci le maniche, per dare un quid in più e regalare delle gioie ai nostri tifosi. Cesena è una grande piazza, c’è un tifo meraviglioso, si vive 10
bene, mi sento ancora più in dovere nei confronti della città di portare a casa il prima possibile questa benedetta salvezza”. La lotta per la Serie A come la vedi? “Per la promozione diretta vedo lotta a tre tra Frosinone, Verona e Spal. I ciociari sono stati costanti. Gli scaligeri hanno avuto un momento di sbandamento ma, con la qualità e con l’esperienza che hanno, riusciranno a salire direttamente. Non trascuriamo gli estensi, che con l’onda dell’entusiasmo derivato dalla promozione dello scorso anno sono veramente difficili da incontrare. E poi con Sergio Floccari che hanno acquistato a gennaio sono una squadra che può puntare a lottare fino alla fine. Non riesco a ridurre la scelta solo a due nomi secchi. Il Benevento potrebbe essere la squadra a giocarsela, nei playoff, con la terza che non salirà direttamente, senza tralasciare il Bari, in fortissima ascesa”. A proposito di massima serie: il tuo è un addio od un arrivederci alla categoria regina, dopo aver raccolto 89 gettoni di presenza? “A 34 anni sono parecchio conscio delle mie capacità, di quello che ho potuto fare e di ciò che posso dare. Di natura sono un ragazzo ottimista, penso sempre positivo, sono abituato ad affrontare le difficoltà ed a impegnarmi. L’importante è stare bene fisicamente ed esserci con la testa. Io non mi precludo nulla. A Cesena sono al quarto anno, sto bene perché mi sento di poter dare ancora tanto, sia come atleta sia in termini di spogliatoio. Ho ancora voglia di lottare, per il bene mio personale e per il bene della nostra squadra. Non ho assolutamente voglia di pensare ad altro”. Per il dopo Buffon si fa il nome di Gianluigi Donnarumma, ma i più attenti indicano in Alex Meret un altro papabile per il ruolo di succes-
sore del portiere della Nazionale e della Juventus. “Essendo estremo difensore, sono particolarmente interessato alle vicende che ci riguardano. Sono due portieri entrambi prestanti fisicamente. Donnarumma sta dimostrando di essere un fenomeno, perché sta avendo una continuità che per il ruolo vuol dire tantissimo. L’aspetto che mi ha stupito è la serenità devastante con cui affronta qualsiasi partita, a prescindere dalle doti fisiche. Per un portiere la testa è quasi tutto, sta facendo grandi cose. Come impostazione tecnica sono differenti. Anche Meret si sta disimpegnando bene. Paragonarli adesso è difficile, uno si sta imponendo in Serie A, l’altro è al primo campionato cadetto, ma ha davanti grandi opportunità da poter cogliere”. Sei consigliere AIC e vivi l’ambiente da quasi vent’anni. Che stato di salute vive il movimento calcistico italiano? “Per ciò che ho potuto conoscere ed approfondire, sono stati compiuti molteplici passi in avanti. Si cerca di migliorare in continuazione, principalmente per ciò che concerne norme, gestione e sostenibilità del calcio stesso. L’AIC è presente, per cercare di essere parte di quelle decisioni che vengono prese per tutelarci, combattere le complessità vissute dai giocatori, senza trascurare il momento storico particolare che viviamo. Quello che mi preme sottolineare è che si sta facendo tanto, chiaramente non basta, nel calcio e nella vita bisogna sempre migliorarsi, trovare le giuste contrapposizioni ogni qualvolta s’incontrino le difficoltà. Alla base ci deve essere la volontà di evolvere, tralasciando quelli che sono gli egoismi personali o di una determinata schiera. Il bene comune deve essere al di sopra di tutto. Ormai ci troviamo a doverci confrontare con realtà europee che non dico siano al nostro livello ma addirittura qualcuna ci è superiore, perciò bisogna innovarsi, senza ignorare lo spirito fondamentale del calcio, che è quello della sana competizione e del divertimento”. Una fetta consistente della tua carriera è maturata al Palermo, recentemente passato di proprietà, con Maurizio Zamparini che ha ceduto il passo da presidente a Paul Baccaglini. Che effetto ti fa?
serie B
ta di strada, Chicco
“Il Presidente, assieme al ds Rino Foschi, mi ha dato una possibilità incredibile, cioè quella di potermi misurare con un contesto che al quel tempo era importante, si andava a competere per delle posizioni rilevanti in campionato ed in ambito europeo. Non posso che ringraziarlo in maniera sentita. È chiaro che avere a che fare con Zamparini non è facile, perché è un patron particolare, tuttavia credo che analizzando questi 15 anni di presidenza, i palermitani possano essere orgogliosi. Ha ridato alla gente di Palermo degli anni belli, li ha tirati fuori dai periodi bui di B e C, dando loro la possibilità di competere ad alti livelli. In 15 anni ci sono momenti in cui si può andar male, ma credo che il bilancio sia indubbiamente positivo. Magari le persone dimenticano ciò che si è costruito e tendono a guardare al recente passato od a qualche campionato andato storto. Sono legato al Palermo ed auguro il meglio alla nuova proprietà, ma non posso non ringraziare Zamparini. Ha i suoi difetti come chiunque, però ce ne vorrebbero di presidenti come lui nel calcio”. Quel Brescia già citato vantava nei propri ranghi anche Luigi Di Biagio, attualmente commissario tecnico dell’Under 21. Se dovessi consigliargli un nome per il suo roster? “Faccio fatica ad indicare un nome. Per motivi contingenti diversi ragazzi sono stati lanciati, anche dalle grandi squadre. So, contestualmente, che negli ultimi anni l’Under 21 aveva perso smalto. Quando l’ultima volta gli Azzurrini hanno vinto l’Europeo di categoria era il 2004 e c’ero anch’io in quella rosa, molti di noi gio-
cavano in Serie A ed avevano una certa esperienza. Poi questo è andato via via scemando e si è iniziato a pescare dalla B. Ora si sta ritornando a credere nei giovani. Io ho giocato l’anno scorso con Mattia Caldara, è un ragazzo che sento di dire che avrà un grande futuro. Al di là delle doti tecniche, ci sa fare caratterialmente. Poi ci sono altri ragazzi nel settore giovanile dell’Atalanta che stanno emergendo”. È già da Juventus? “Mattia potrebbe ripercorrere il percorso di Daniele Rugani, che non conosco personalmente. Lui fece benissimo all’Empoli e si sta districando egregiamente ogni qualvolta viene chiamato in causa in bianconero. Difficilmente la Juve sbaglia, specialmente coi difensori. Mattia è uno su cui puntare”. Hai parlato della vittoria nell’Europeo di categoria del 2004, disputato in Germania. Che fantastica squadra era quell’Italia, allenata da Claudio Gentile! “Un pezzettino di quel gruppo poi due anni dopo diventò Campione del Mondo con Marcello Lippi, imponendosi nuovamente in Germania. Un’emozione indescrivibile, che porterò sempre con me, e che nei momenti di difficoltà mi aiuterà sempre a tenere la barra dritta, portandomi a dire che in passato sono riuscito a disputare competizioni prestigiose. Ciò aiuta ad apprezzare il proprio valore. Ho ancora un’enorme voglia di andare in campo, per me, per la mia famiglia e per i miei compagni. Quando si arriva ad una certa età si è portati di tramandare ciò che si è imparato”.
La scheda Federico Agliardi è nato a Brescia l’11 febbraio 1983. Cresciuto calcisticamente prima nella Voluntas e poi nella squadra della sua città, ha fatto il suo debutto da professionista con il Cosenza in Serie B, tornando poi a vestire la maglia del Brescia con la quale ha esordito in Serie A l'8 novembre 2003 in Brescia-Bologna (0-0). Ha giocato poi a Palermo, Rimini, Padova e Bologna prima di arrivare a Cesena nel gennaio del 2014. Ha vestito tutte le maglie delle Nazionali azzurre giovanili (Under 1516-17-18-19) vincendo con l’Under 21 un campionato Europeo nel 2004. Stagione
Squadra
Cat.
P.
G.
2016-17
Cesena
Serie B
11
13
2015-16
Cesena
Serie B
5
5
2014-15
Cesena
Serie A
10
19 3
2013-14
Cesena
Serie B
2
2013-14
Bologna
Serie A
0
0
2012-13
Bologna
Serie A
22
31
2011-12
Bologna
Serie A
10
11
2010-11
Padova
Serie B
16
21
2009-10
Padova
Serie B
29
34
2008-09
Rimini
Serie B
17
22
2007-08
Palermo
Serie A
10
16
2006-07
Palermo
Serie A
9
13
2005-06
Palermo
Serie A
10
10 8
2005-06
Brescia
Serie B
13
2004-05
Brescia
Serie A
1
0
2003-04
Brescia
Serie A
17
20
2002-03
Cosenza
Serie B
16
22
11
serie B
di Tommaso Franco
Statistiche e curiosità del torneo cadetto
Serie B: un affascinante giro d’Italia Serie B, 22 squadre, 12 regioni rapprepromozione, proprio nel girone di ritorno. Portieri sentate. Un vero e proprio viaggio di Nella top 11 del mese, nomi nuovi e “titolaMINELLI Brescia 6,45 città in città, da nord a sud. Una sola ri” che sembrano inamovibili. CHICHIZOLA Spezia 6,39 isola, la Sicilia, a portare la bandiera Tra i pali troviamo sempre Stefano MiCRAGNO Benevento 6,39 del campionato degli italiani oltre la nelli (nella foto) del Brescia (media 6,45). Il BARDI Frosinone 6,33 terra ferma dello stivale. Campania Brescia di Brocchi, con poche eccezioni, è UJKANI Pisa 6,30 (Benevento, Avellino, Salernitana), squadra giovanissima ripartita con grande Veneto (Vicenza, Cittadella, Hellas Veentusiasmo dai suoi giovani e da qualche Difensori LUCIONI Benevento 6,36 rona), ed Emilia Romagna (Carpi, Ceprestito e il portiere delle rondinelle, classe LOPEZ Benevento 6,20 sena, Spal) sono le regioni più rappre’94, è uno dei ragazzi cresciuto nel settore GIANI Spal 6,19 sentate. Assieme coprono per il 41% giovanile. ARIAUDO Frosinone 6,19 la mappa del campionato. In difesa troviamo Ariaudo (Frosinone, MIGLIORE Spezia 6,17 Il terzetto di testa accenmedia 6,18), Lucioni (BenevenPAZZINI na la to, media 6,36), Giani DI GAUDIO Hellas Verona 6,60 Centrocampisti Carpi 6,42 fuga da(Spal, media CICIRETTI Benevento 6,60 SCHIATTARELLA BRIENZA 6,19) e LoSCHIATTARELLA Spal 6,50 Spal 6,50 LOPEZ Bari 6,39 pez (BeLAZZARI Spal 6,43 Benevento 6,20 CICIRETTI DI GAUDIO Carpi 6,42 nevento, Benevento 6,60 GIANI Spal 6,19 ROMULO Hellas Verona 6,30 media ROMULO Hellas Verona 6,30 LUCIONI 6,20). Benevento 6,36 Attaccanti A centrocampo riMINELLI ARIAUDO PAZZINI Hellas Verona 6,60 Brescia 6,45 troviamo Romulo (Hellas Frosinone 6,18 BRIENZA Bari 6,39 Verona, media 6,30), SchiattaANTENUCCI Spal 6,36 rella (Spal, media 6,50 – nella foto), DIONISI Frosinone 6,33 Di Gaudio (Carpi, media 6,42) e Ciciretti CERAVOLO Benevento 6,31 (Benevento, media 6,60). vanti In attacco spunta Brienza (Bari, media alle ag6,39) al fianco di Giampaolo Pazzini (Helfermare (10 vittore su 15 partite giocate) La miglior forguerrite inselas Verona, media 6,60). mentre il Vicenza è la squadra che sfrutta mazione di Serie B guitrici. Assieme a La classifica marcatori vede Pazzini (il mimeno di tutte il fattore campo (2 vittorie su dall’inizio del torneo Frosinone ed Hellas Verona gliore assoluto ex aequo con Ciciretti) solo 14 partite disputate al “Menti”). troviamo la sempre più sorprendente ceal comando con ben 19 reti realizzate. SeIn trasferta è difficile per tutti. Le squadre nerentola di questo campionato: la Spal. Si guono Caputo della Virtus Entella (14 reti) che meno sentono la mancanza del loro parla molto della squadra di Ferrara: il bel e Ceravolo (Benevento), Caracciolo (Brestadio e che hanno portato punti pesangioco, giovani di prospettiva, bomber nascia) e Coda (Salernitana) a quota 11. ti sono Perugia (21), Spal (21) , Frosinone vigati davanti come Antenucci e Floccari. Hellas Verona e Spal sono le squadre che (20) e Verona (18). Brescia e Ternana sono I biancazzurri, seguiti con entusiasmo dai segnano con maggiore frequenza (una le due meno efficaci lontano dai propri loro tifosi, ferraresi d.o.c., suscitano simparete ogni 92 minuti per i veronesi, una ogni stadi: 7 punti per le rondinelle, 5 per la tia in ogni angolo d’Italia. Italiani, popolo 94 per i biancazzurri). Il Pisa è il meno prolisquadra del drago. di sognatori, si dice. E così, tutti a seguire il fico in zona gol (una rete ogni 281 minuti). Il Pisa detiene un record particolare: pegsogno tutto romagnolo della Società PoliTra le mura amiche Verona, Benevento e gior attacco (16 reti realizzate) e miglior sportiva Ars et Labor, così inaspettatamenFrosinone sono le squadre più difficili da difesa (solamente 18 le reti subite) te in alto tra le grandi del campionato. In coda il Trapani risale lentamente la china. Con l’arrivo di Alessandro Calori in panchina la squadra granata ha inanellato una serie di risultati utili che le di Damiano Tommasi hanno permesso di abbandonare l’ultimo posto in graduatoria e provare la scalata salvezza. La squadra siciliana, anche Quando tutto rimane al proprio posto normalmente si forma un velo di polvere. nella scorsa stagione, È quel sintomo di sicurezza, di tranquillità, di controllo di qualsiasi movimento (che non c’è). è stata protagoniL’ebbrezza di essere padroni della situazione è quel velo di polvere sparso un po’ dappertutto. Anzi, quasi dappertutto. Un posto dove un granello di polvere non si poserà facilmente sono sta di un’incredibile rincorsa ai play-off le poltrone dei nostri dirigenti.
In
5 righe… Polvere
regole del gioco
di Pierpaolo Romani
Lotta alla criminalità organizzata
Calcio e mafia un fenomeno preoccupante
Calcio e mafia. È un fenomeno preoccupante che non ci piace affatto ma che, purtroppo, dobbiamo prendere atto che esiste e attrezzarci rapidamente per contrastarlo visto che esso ha preso piede, pur con modalità e dinamiche diverse, in tutti i campionati. AIC ha iniziato nel 2011 ad affrontare il tema sia nei suoi percorsi formativi sia negli incontri con le squadre. Diversi articoli, inoltre, sono stati pubblicati su questo giornale quando il fenomeno non era sotto i riflettori dell’informazione italiana, sia sportiva che non. La Commissione parlamentare antimafia ha attivato uno specifico comitato di studio per capire come e perché i boss mafiosi hanno deciso di inserirsi nel mondo del calcio. Un gruppo di lavoro è stato attivato anche dal Ministero della Giustizia in occasione dei prossimi Stati generali della lotta alla criminalità organizzata. Una vicenda, in particolare, sta tenendo alta l’attenzione sul rapporto calcio e mafie: il sospetto bagarinaggio che sarebbe stato attuato da alcuni esponenti della ‘ndrangheta calabrese con i biglietti delle partite della Juventus. La Direzione distrettuale antimafia di Torino, infatti, ha arrestato una serie di personaggi ritenuti organici alla mafia calabrese che avrebbero fondato un gruppo ultras denominato “Gobbi” e, dalle intercettazioni telefoniche pubblicate, avrebbero intrattenuto rapporti con dirigenti della squadra bianconera che si occupavano della sicurezza, dei
rapporti con i tifosi e della biglietteria. Il sospetto è che vi sia stato un patto secondo il quale in cambio della garanzia che sugli spalti non vi fossero problemi sarebbero stati dati dei biglietti, rivenduti successivamente in modo illegale ad un prezzo maggiorato. In tal modo, i presunti mafiosi e alcuni capi ultras, con una fedina penale piuttosto preoccupante, avrebbero incassato diverse migliaia di euro. In mezzo vi è il suicidio di un ex capo ultrà, Raffello Bucci, passato a lavorare per una società di servizi che collabora con la Juventus. Quest’ultimo si è gettato dal cavalcavia dell’autostrada Torino-Savona il giorno dopo essere stato interrogato dai magistrati torinesi. Le indagini sono in corso e saranno gli investigatori a fare piena luce su quanto accaduto e a chiarire se i dirigenti della Juventus hanno delle responsabilità oppure sono stati vittime dei clan. Parlando sempre di calcio e mafie e restando in Piemonte vi è da segnalare che ai primi di marzo la prefettura di Torino ha emanato un’interdittiva antimafia nei confronti di un’impresa coinvolta nella ristrutturazione del nuovo stadio Filadelfia della squadra granata. L’interdittiva è provvedimento emesso nei confronti di imprese sospettate di essere in odore mafioso e che vieta a queste ultime di partecipare a bandi di gara per appalti pubblici. Secondo il prefetto, la ditta Smr Costruzioni sarebbe intestata ad un prestanome e il vero proprietario sarebbe Ilario D’Agostino, un imprenditore edile calabrese già condannato in primo grado a 8 anni e 6 mesi per riciclaggio di capitali del narcotraffico legato ai cartelli della ’ndrangheta di Ciminà, un piccolo co-
mune della Locride. D’Agostino, già coinvolto anche in indagini sugli appalti delle Olimpiadi di Torino, attualmente è un sorvegliato speciale per via della sua riconosciuto pericolosità sociale. Un’altra interdittiva antimafia è stata emessa il 21 di gennaio dal Prefetto di Perugia nei confronti della squadra di calcio di Serie D, Città di Foligno 1928 srl, il cui presidente, il romano Gianluca Ius è stato arrestato, insieme ad altre persone, nell’ambito di un’inchiesta che lo vede indagato per reati di riciclaggio, truffa nei confronti del Ministero dello Sviluppo Economico e banche, e fatture per operazioni inesistenti, anche in relazione all’inchiesta “Mafia capitale”. Il 9 febbraio, la Direzione distrettuale antimafia di Roma ha disposto il sequestro de L’Ilva Maddalena 1903, squadra del campionato di Eccellenza sardo. Per gli inquirenti, la squadra sarebbe stata acquistata da esponenti del clan Cordaro di Tor Bella Monaca, con i proventi dello spaccio di droga e con l'intermediazione dell'avvocato del clan, diventato Presidente del club. Nel maggio dello scorso anno il Ministero dell’interno, la FIGC e le Leghe di A, B e Lega Pro hanno sottoscritto un protocollo d’intesa per prevenire le infiltrazioni mafiose nel calcio professionistico. Sarebbe interessante che il Presidente Tavecchio e il Ministro Minniti fornissero alcune informazioni in merito all’applicazione di questo provvedimento. E, soprattutto, che il presidente della FIGC si facesse promotore di una sua estensione anche ai campionati dilettantistici.
Lega Pro
di Pino Lazzaro
Nonsolomoda
Un tatuaggio, una storia Sempre di più. Moda e non solo. Pure qualcosa da dichiarare, da dire, chi siamo e cosa siamo, chissà. Dunque un tatuaggio ha dietro una storia. Quel che si vive e come lo si vive. Tanto importante e significativo da imprimertelo non solo nella testa e nel cuore, ma pure sul tuo corpo, proprio sulla tua pelle, per vederlo e rivederlo, pensarci e ripensarci, ricordare e non dimenticare. Ce n’è di tutti i gusti: basta bussare un po’ e le storie/racconti si dipanano. Così qualcuna abbiamo deciso di farcela raccontare..
Con Salvatore Burrai (Pordenone) A chiedergli quanti ne ha, alle prime è un po’ incerto, lì per lì che esattamente nemmeno se li ricorda, uno per uno; “forse dodici, forse”, ma nemmeno per
Salvatore Burrai è del maggio del 1987. Ha iniziato col calcio nel suo paese, a Orosei, passando poi alla “Puri e Forti” di Nuoro e da qui al settore giovanile del Cagliari. Ha pure esordito in serie A, esattamente il 27 maggio del 2007 (siamo andati a vedere nel relativo almanacco della Panini: la partita fu Ascoli-Cagliari 2-1, con gol di Soncin e Paolucci per l’Ascoli, di Mancosu per il Cagliari; Salvatore entrò all’82° al posto di Biondini e sulla panca dei sardi sedeva Giampaolo; n.d.r.) e in carriera ha vestito via via le maglie di Manfredonia (C1), Ternana (C1), Cremonese (C1), Foggia (C1), Latina (C1), Modena (B), Monza Brianza (C), Juve Stabia (C), Robur Siena (C) e, da quest’anno, Pordenone (C). Con i Giovanissimi Nazionali del Cagliari ha vinto il titolo italiano (2001/2002), col Latina la Coppa Italia di Lega Pro (2012/2013).
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lui pare troppo importante il numero, questa insomma l’impressione. Salvatore Burrai, centrocampista del Pordenone, è sardo di Orosei (Nuoro), classe 1987, di maggio. Mettendosi lì a guardare la sua scheda, ecco nuovamente evidenziarsi (lo scorso numero, con Germinale) una sorta di Giro d’Italia, pare sia una caratteristica più frequente questa di un tempo. È partito dunque dalla Sardegna, Salvatore, quasi ovviamente a lungo legato al Cagliari, pure con un paio di presenze in serie A (la prima, a vedere da qui, quasi un regalo di compleanno, visto che quel suo esordio capitò giusto l’indomani del suo raggiungere i 20 anni) e un passato a livello di settore giovanile che poteva far prevedere chissà che cosa, pure con l’U16 azzurra, con i Mondiali di categoria in Polonia che lui in quell’anno – era il 2004 – perse per il crac al ginocchio, legamenti. Ma torniamo ai tatuaggi, è questo di cui qui si parla; o, meglio, al tatuaggio. “Allora, ce l’ho qui, sul petto ed è il ritratto di mio padre, lui se ne andò nel 2007, il Cagliari mi aveva girato al Manfredonia in quella stagione, era C1, fu un’annata sfortunata per la squadra (retrocessione in C2; n.d.r.), anche se devo dire che io personalmente feci bene e ho così comunque un bel ricordo. Mio padre dunque, che penso sia stato senz’altro la persona più importante per me: quando è venuto a mancare, è stata davvero una perdita dolorosa, per questo me lo porto sempre vicino. Lui che fin da quando giocavo lì al paese, a Orosei, mi spingeva perché continuassi, mi assecondava, mi portava agli allenamenti e l’ha continuato a fare anche dopo, quando sono passato alla “Puri e Forti” di Nuoro, tre allenamenti la settimana più la partita della domenica, 90 km ogni volta, 45
all’andata e 45 al ritorno. Poi, quando sono passato invece al Cagliari, è stato sempre lui a prendermi un appartamento in affitto, la foresteria lì del Cagliari era piena, non c’era posto per me e così eccomi in quell’appartamento, grazie a lui avevo insomma la possibilità di iniziare a vivere un calcio “vero”. A 250 km da casa, da solo e ricordo il primo periodo, un paio di mesi: piangevo tutti i giorni. Poi ho cominciato ad ambientarmi, nuove amicizie, anche nella nuova scuola ed entrai così insomma in sintonia con quella che era la mia nuova realtà: quasi quasi facevo così fatica a tornare a casa, sì, tutto il contrario di prima. Il tatuaggio me l’ha fatto un tatuatore di Manfredonia, gli avevo portato una foto di mio padre quando stava bene, prima del tumore. Lui ha così fatto il disegno e ci sono volute poi un paio d’ore per farmelo, un po’ doloroso lo è stato: avevo deciso di metterlo qui sul petto, vicino al cuore, te l’ho già detto perché. Sì, di squadre ne ho cambiate parecchie. All’inizio perché ero legato al Cagliari, non è che puntassero poi molto su di me, ma mi facevano intanto fare gavetta in giro. Poi, quando mi sono liberato dal Cagliari, ecco Latina, lì in effetti mi sono fermato, ne ho fatte due di stagioni. Poi, come mi pare capiti spesso adesso, quando una società viene da una stagione positiva, ecco questa voglia di rivoluzionare le cose. Sono così andato a Modena e sono stato io poi a fare un errore grande così, avevo ancora due anni di contratto ma ho voluto lo stesso cambiare, a Monza, dove poi sono capitato dentro al fallimento della società. Dai, sono sempre stato un professionista,
Lega Pro
15 minuti di ritardo in segno di protesta
AIC e Lega Pro contro la violenza rispetto degli orari, sempre a curarmi, idem con l’alimentazione e da questo punto di vista ho fatto il massimo. Da ragazzo ero uno quotato, uno che dicevano avrebbe potuto fare tanta strada. Certo, le due rotture dei legamenti – allo stesso ginocchio poi – possono aver magari influito, ma sono consapevole che è stata pure una questione di scelte, il capitare nel posto sbagliato al momento sbagliato. Comun-
que sia, anch’io penso che uno alla fine ha quel che si merita e se io dovessi ripartire da zero ed aver a mettere assieme una carriera uguale a quella che ho fatto, sarei contento e soddisfatto. Intanto però, altri 6-7 anni li voglio giocare ancora, sicuro…”.
Il 30° turno del campionato di Lega Pro, compresi anticipi e posticipi, è iniziato con 15 minuti di ritardo: AIC e Lega Pro, in riferimento agli episodi di violenza verificatisi nelle ultime settimane, hanno deciso di mettere in atto questa manifestazione di protesta il 18, 19 e 20 marzo. L’Associazione Italiana Calciatori sta valutando assieme alla Lega Pro altre azioni per arginare questo increscioso fenomeno e per sensibilizzare l’intero movimento calcistico rispetto al grave problema che affligge il nostro calcio, un problema che si è particolarmente acuito nelle ultime settimane. Nell’arco di pochissimi giorni, ad Ancona e Catanzaro si sono verificati gravissimi ed inaccettabili episodi di violenza ai danni dei calciatori e dei componenti degli staff tecnici delle due società da parte di alcuni “tifosi”.
Medie voto e curiosità
I migliori 11 di Lega Pro Secondo le medie voto dei tre quotidiani sportivi (Gazzetta, Corriere dello Sport e Tuttosport) anche questo mese il calciatore con il migliore rendimento è Pablo Gonzales, attaccante dell’Alessandria, seguito da Emanuele Berrettoni (nella foto), attaccante del Pordenone, e Andrea Cossu, centrocampista dell’Olbia. GONZALEZ Alessandria 6,80
COSSU Olbia 6,49 IANNINI Matera 6,46
GAROFALO Venezia 6,30
BARAYE Parma 6,39
DOMIZZI Venezia 6,33 PISSERI Catania 6,41
BERRETTONI Pordenone 6,52
PICCOLO Alessandria 6,33 CONSON Forlì 6,26
CAZZOLA Alessandria 6,41
La miglior formazione di Lega Pro dall’inizio del torneo
Portieri PISSERI RAVAGLIA FORTE IANNARILLI GINESTRA
Catania Cremonese Maceratese Viterbese Casertana
6,41 6,39 6,35 6,33 6,32
Difensori PICCOLO DOMIZZI GAROFALO FAVALLI MODOLO
Alessandria Venezia Venezia Padova Venezia
6,33 6,33 6,30 6,29 6,28
Centrocampisti COSSU IANNINI CAZZOLA BARAYE BURRAI
Olbia Matera Alessandria Parma Pordenone
6,49 6,46 6,41 6,39 6,38
Attaccanti GONZALEZ BERRETTONI FERRETTI MANCUSO MARSURA
Alessandria Pordenone Gubbio Sambenedettese Venezia
6,80 6,52 6,46 6,43 6,40
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amarcord
La partita che non dimentico
Mi ritorni in mente…
Alessandro Cazzamalli (Piacenza) “Beh, un po’ ci ho pensato, difficile trovare – che so – la partita proprio perfetta e poi sono qui che veniamo da una bellissima vittoria nel derby con la Cremonese, anche all’andata avevamo vinto… ma dai e dai per me il ricordo va più a un’altra di partita, sì, è questa che preferisco dirti, anche se è una che abbiamo perso. Partita del 2008, andammo a giocare a Verona, Verona-Spal e ce ne sono tanti di motivi, tutti assieme, per cui qui te la racconto. Dico subito che al massimo io ho fatto la Serie C ed era però quello il mio primo anno in questa categoria e mi pare fosse giusto la seconda di campionato. Andammo dunque a Verona e mi ritrovai così dentro a un palcoscenico davvero importante, ricordo che ce n’erano sugli undicimila di spettatori e credo sia tuttora quella la partita per me con più gente allo stadio. Dei nostri ce n’erano un migliaio, piazzati lì su in “piccionaia”, era uno spicchio comunque bello e si facevano sentire. Ricordo l’attesa, l’atmosfera, tutta una serie di emozioni: per me importanti e significative. Tra l’altro c’era pure la diretta televisiva, altra cosa “importante” insomma. Fu un gran primo tempo per tutte e due le
squadre e verso l’inizio del secondo tempo ho fatto gol proprio io, sì. Già prima c’ero andato vicino, era uscita di poco, ma poi m’era saltato fuori sto gran tiro di contro balzo di sinistro, bum, quasi nel sette. Da fuori area poi, che non è certo la mia specialità questa. Sì, ho cominciato a correre, non sapevo nemmeno dove andare, per fortuna ci hanno pensato i miei compagni a fermarmi. Ricordo, ancora, che in porta da loro c’era Rafael, tanto per dire, non certo l’ultimo arrivato (ora al Cagliari; n.d.r.). Poi la diretta tv come detto e dunque l’hanno fatto e rifatto vedere per bene, da questa e da quell’altra angolazione, altra soddisfazione e ancora, ogni tanto, mi capita di andarlo a rivedere: è il gol più bello che abbia mai fatto. Altra cosa che rende il tutto così speciale: il mio nome scritto bello grande sul tabellone, e quando mai? Poi abbiamo finito per perdere, con due punizioni hanno ribaltato il risultato e anche questo non dimentico, proprio perché anche di queste cose è fatto il calcio: non meritavamo di perdere e quanta amarezza alla fine. E negli occhi e nelle orecchie mi è rimasta pure quell’esplosione della loro tifoseria, specie naturalmente dopo il secondo gol, anche questa tutto sommato è un’esperienza che non dimentico, che ho dunque vissuto. Anche quelle negative di emozioni le vivi, no?”.
Francesco De Giorgi (Taranto) “In questa mia “carriera” – chiamiamola 16
così – che sinora ho messo assieme, quella che non dimentico è una partita di due anni fa, io ero a Martinafranca e andammo a giocare a Lecce, quella che in fondo ho sempre sentito la mia città, anche se sono di Martano, distante una ventina di chilometri. Il Lecce che prima aveva giocato sempre in categorie superiori e quando poi erano scesi in C1, io giocavo a Chieti in C2. Poi l’anno dopo sono dunque arrivato a giocarci contro e ricordo quanto sia stata particolare quella settimana, quanto abbia cercato giorno dopo giorno di pensarci meno possibile. Quando però siamo arrivati lì in città è stata dura e il massimo è stato il tragitto in pullman sino allo stadio, quanta emozione! Poi finalmente in campo, a concentrarmi per bene, chissà cosa avrei potuto combinare altrimenti. Io che nel settore giovanile del Lecce ne ho passati quattro di anni, altri sei ne ho fatti poi con la Roma: sì, al Lecce sono sempre stato legato, ho sempre fatto il tifo, mai e poi mai pensavo potessero scendere in serie C. No, non è che mi abbiano fischiato perché ero un ex, non è che mi conoscessero poi: fischiavano me e gli altri perché eravamo giusto avversari e poi lì nella nostra squadra e pure nello staff tecnico ce n’erano parecchi che erano passati per Lecce. Loro forti, c’erano per dire Martinez e Moscardelli: noi lì ad aspettarli e il gol l’abbiamo fatto su una ripartenza. Dopo la partita sono andato al mio paese, dai miei: chi mi abbracciava e chi mi avrebbe voluto ammazzare…”.
amarcord
L’incipit Arrivare in cima (pag. 11) Alla fin fine, nel calcio l’unica cosa che conta è vincere. E questo vuol dire come giochi, come ti alleni, come alleni una squadra, come guardi una partita. Ma non comincia così. Comincia dalla palla. La palla è sacra quando sei un ragazzo. È totalmente diverso dal modo in cui vivi la partita più avanti, quando sei un calciatore professionista, un allenatore o un commentatore. I tifosi e gli appassionati vedono il calcio come lo vedevo io da bambino. Guardano la palla. È questa in sostanza la bellezza del gioco. È il motivo per cui mi piaceva andare al campetto quand’ero bambino ad Amsterdam. Ci passavo tutto il giorno, dal primo mattino sino a tarda sera, finché non calava il sole e mia madre mi trascinava a casa. È per questo che mi sono dato al calcio da ragazzo. La palla era la mia ossessione. Gli inizi nei Meerboys, nel DWS e nella nazionale giovanile Quando avevo otto anni, mi divertivo col pallone nel campetto locale, senza capire molto di ciò che accadeva intorno a me. Sviluppavo le mie capacità con la palla, mosse, trucchi, cercando di battere gli altri in astuzia. In quei campetti di Amsterdam non ero la star. In un vero campo da calcio trovai il gioco molto più facile: ero alto per la mia età, e c’era tanto spazio per superare chiunque con le mie lunghe gambe. Questo accadeva nei Meerboys, a un tiro di schioppo dallo stadio dell’Ajax. Tre anni dopo traslocai dal quartiere di Jordan a quello di West Amsterdam ed entrai nel DWS, noto a quei tempi come un piccolo club professionistico, anche se oggi è una squadra di dilettanti. L’allenatore mi mise
in difesa. Ricevevo la palla dal portiere, mi mettevo a correre e non smettevo finché non avevo davanti la porta avversaria. Andavo a tutto gas. Era la mia tattica, anche se non sapevo che fosse una tattica. Una tattica destinata a non durare, comunque. Perché quando sei un professionista al massimo livello, non puoi cavartela con quello stile poco ortodosso. Non è nemmeno calcio, in realtà. Ma gli osservatori notarono i miei poderosi sprint. Così correndo passai da una squadra all’altra… Ruud Gullit
NON GUARDARE LA PALLA Che cos’è (davvero) il calcio Traduzione di Annalisa Carena Edizioni Piemme
(dalla terza di copertina) Nato ad Amsterdam nel 1962, Ruud Gullit è stato uno dei giocatori più forti della storia del calcio. Dopo aver militato nel Feyenoord, con cui vince un Campionato e una Coppa d’Olanda, passa al PSV Eindhoven, con cui si aggiudica altri due Campionati olandesi, prima di essere notato da Nils Liedholm che lo segnale al Milan, dove arriva nel 1987. Con i rossoneri, allenati prima da Sacchi e poi da Capello, gioca sette straordinarie stagioni insieme ad altri due fuoriclasse come Van Basten e Rijkaard, facendo messe di vittorie: due Coppe Campioni, due Coppe Intercontinentali, due Supercoppe Uefa, tre scudetti e tre Supercoppe Italiane. Nel 1987 vince il Pallone d’oro, che dedica a Nelson Mandela, e l’anno dopo viene incoronato Campione d’Europa con la Nazionale olandese. Dopo un passaggio alla Sampdoria (dove vince la Coppa Italia nel 1994) e un breve ritorno al Milan, si trasferisce al Chelsea come giocatore e poi come allenatore, conquistando una Coppa d’Inghilterra. Seguono altre esperienze da allenatore in Olanda, negli Stati Uniti e in Russia. Oggi si dedica al ruolo di commentatore televisivo. Parla correntemente cinque lingue.
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scatti
di Maurizio Borsari
Calciatori in rete
Milan Badelj in Fiorentina - Borussia Monchengladbach 2-4
Kung Fu‌ Cerri
Cerri, De Guzman e Spolli in Chievo Verona – Pescara 2-0
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scatti
La coscienza di Zeman… Zdenek Zeman in Chievo Verona – Pescara 2-0
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calcio e legge
di Stefano Sartori
Per la prossima stagione sportiva
Le Licenze Nazionali 2017/ Le società, per partecipare al Campionato di competenza stagione sportiva 2017/2018, devono ottenere la Licenza Nazionale e quindi adempiere, entro i termini indicati, alle seguenti condizioni:
SERIE A (C.U. FIGC n° 111/03.12.17)
26 giugno 2017 • Deposito presso la COVISOC della attestazione dell’avvenuto pagamento a) degli emolumenti e b) dei compensi, compresi gli incentivi all’esodo, derivanti da accordi depositati, dovuti fino al mese di maggio 2017. • Sanzione per inosservanza del termine: 1 punto di penalizzazione da scontarsi nel campionato 2017/18
mese di maggio 2017 • Sanzione: 1 punto di penalizzazione
• Sanzione: 1 punto di penalizzazione, per ciascun inadempimento
2 ottobre 2017 • Deposito presso la COVISOC dell’attestazione dell’avvenuto pagamento degli emolumenti, compresi gli incentivi all’esodo, dovuti per il mese di giugno 2017 • Deposito presso la COVISOC dell’attestazione dell’avvenuto pagamento delle ritenute Irpef dovute per i mesi di maggio e giugno 2017 nonché dei contributi Inps dovuti per il mese di giugno 2017 • Le società devono depositare presso la Lega Serie A la documentazione attestante l’avvenuto pagamento dei contributi al Fondo Fine Carriera per il mese giugno 2017 • Sanzione: 1 punto di penalizzazione, per ciascun inadempimento
• La Lega Serie B deve certificare l’assenza di debiti nei confronti del Fondo Fine Carriera per i contributi riguardanti gli emolumenti fino al mese di maggio 2017 • Sanzione: 1 punto di penalizzazione
SERIE B (C.U. FIGC n° 112/03.02.17) 26 giugno 2017 • Deposito presso la COVISOC della attestazione dell’avvenuto pagamento a) degli emolumenti e b) dei compensi, compresi gli incentivi all’esodo, derivanti da accordi depositati, dovuti fino al mese di maggio 2017. • Sanzione per inosservanza del termine: 1 punto di penalizzazione da scontarsi nel campionato 2017/18
30 giugno 2017 • Deposito presso la COVISOC dell’attestazione dell’avvenuto pagamento delle ritenute Irpef dovute fino al mese di aprile 2017 nonché dei contributi Inps dovuti fino al mese di maggio 2017 • Sanzione: 1 punto di penalizzazione, per ciascun inadempimento • La Lega Serie A deve certificare l’assenza di debiti nei confronti del Fondo Fine Carriera per i contributi riguardanti gli emolumenti fino al 20
30 giugno 2017 • Deposito presso la COVISOC dell’attestazione dell’avvenuto pagamento delle ritenute Irpef dovute fino al mese di aprile 2017 nonché dei contributi Inps dovuti fino al mese di maggio 2017 • Deposito presso la Lega Serie B di fideiussione a prima richiesta pari ad € 800.000,00. In alternativa, le società possono avvalersi della garanzia di € 400.000,00 prestata dalla Lega Serie B e, in tal caso, devono depositare fideiussione pari ad € 400.000,00.
• La Lega Serie B deve certificare alla COVISOC l’avvenuta prestazione della garanzia di € 400.000,00 di cui sopra; in caso di escussione nel corso della stagione sportiva 2017/2018 della suddetta fideiussione, il relativo importo costituirà un debito nei confronti della Lega Serie B.
21 agosto 2017 • Deposito presso la COVISOC dell’attestazione dell’avvenuto pagamento degli emolumenti, compresi gli incentivi all’esodo, dovuti per il mese di giugno 2017 • Deposito presso la COVISOC dell’attestazione dell’avvenuto pagamento delle ritenute Irpef dovute per i mesi di maggio e giugno 2017 nonché dei contributi Inps dovuti per il mese di giugno 2017 • Le società devono depositare presso la Lega Serie B la documentazione attestante l’avvenuto pagamento dei contributi al Fondo Fine Carriera per il mese giugno 2017 • Sanzione: 1 punto di penalizzazione, per ciascun inadempimento LEGA PRO (C.U. FIGC n° 113/03.02.17) 26 giugno 2017 • Deposito presso la COVISOC della attestazione dell’avvenuto pagamento a) degli emolumenti e b) dei compensi, compresi gli incentivi all’esodo, derivanti da accordi depositati, dovuti fino al mese di maggio 2017. • Sanzione per inosservanza del termine: 1 punto di penalizzazione da scontarsi nel campionato 2017/18
Speciale
70 anni di calcio
dalla pellicola al digitale
Primo “speciale” dedicato alla fotografia sportiva, ripercorsa attraverso 70 anni di calcio, quelli che dagli anni ’50 (che segnano la nascita di molte testate giornalistiche) ci portano fino ai giorni nostri.
70 ANNI DI CALCIO DALLA PELLICOLA AL DIGITALE/1 di Nicola Bosio foto di Maurizio Borsari
Un viaggio lungo ed affascinante, tra immagini suggestive in bianco e nero e scatti a colori decisamente più definiti. Un viaggio che abbiamo volutamente diviso in due e che, in questa nostra prima parte, si chiuderà nei primi anni del 2000, contrassegnati dall’avvento di macchine fotografiche qualitativamente sempre più all’avanguardia.
Si parte dagli anni ’50 per arrivare ad oggi, anzi a domani, alla prossima partita. 70 anni di storia, di calcio, di vite, di personaggi, di curiosità e di aneddoti più o meno conosciuti. Momenti, scatti, fotografie: tante, tutte belle ed affascinanti, dal bianco e nero al colore, da quelle un po’ sgranate alle più dettagliate. Con questo primo “speciale” (che ci accompagnerà fino ai primi anni del nuovo millennio), cui seguirà un secondo a completarne il “viaggio”, non vogliamo però raccontarvi la storia del calcio o della fotografia, ma riuscire a comprendere i cambiamenti avvenuti nel mondo fotografico e calcistico in questo lungo periodo. Scoprire cioè l’evoluzione della fotografia nella cronaca sportiva, e le trasformazioni del mondo del pallone. Per documentare tutto questo, abbiamo volutamente preso non tanto i momenti più importanti di 70 anni di calcio, ma situazioni anche meno rilevanti, meno “da prima pagina” ma comunque significative, meno “da copertina” ma comunque da raccontare.
La nascita della fotografia sportiva avviene nei primi anni ‘50 con l’avvento di macchine fotografiche portatili e la creazione di parecchie testate giornalistiche. Si parte da formati fotografici 6x6 per arrivare a file digitali ora in uso. Questo cammino passerà dalla pellicola bianco e nero alla pellicola a colori, alle diapositive, per iniziare, fine anni ’90, con le prime macchine digitali con file piccoli ed arrivare a file molto grandi. Dobbiamo capire che il periodo 1950-2000 ha avuto un’evoluzione tecnologica basata non sui supporti fotografici, ma sulle macchine fotografiche: dagli scatti singoli, con formati quadrati in bianco e nero, al formato 24x36 colore, o dispositivo con l’aumento della velocità di scatto dell’apparecchio fino a 12 fotogrammi per secondo, fino all’evoluzione delle lenti fotografiche passando da lenti fisse (che potevano essere 50 0 75 mm) a teleobiettivi di diverse focali (da 100 a 1200mm). Poi l’arrivo delle ottiche a focale variabile chiamate zoom. Quindi, fine anni ‘90, l’avvento dell’era digitale con macchine fotografiche da prezzi astronomici (le prime costavano 40 milioni di lire) ma con una qualità molto scarsa. Da qui in avanti inizia l’era “consumistica” della fotografia: fino ad allora un camera professionale poteva essere all’avanguardia per 5 o 6 anni o, per restare aggiornati, al massimo si cambiavano le camere ogni 2 anni. Ora abbiamo raggiunto uno standard molto elevato e si spera in un rallentamento dello sviluppo tecnologico.
La Rolleiflex biottica è certamente una delle macchine fotografiche più utilizzate negli anni ‘50 e ‘60: prodotta dal 1929 in Germania è stata usata dai grandi fotografi dell’epoca (come Helmut Newton) ma anche da professionisti e fotoamatori, sia per la facilità di trasporto che per la grande qualità dell’immagine. Sulla sua pellicola sono rimasti impressi momenti che hanno fatto la storia del nostro calcio, come lo scudetto vinto dal Bologna nel campionato 1963-64. Scudetto storico non solo perché riportava il tricolore a Bologna dopo 23 anni, ma perché per la prima (ed unica) volta, il nostro campionato venne deciso attraverso uno spareggio: l’Inter di Helenio Herrera ed i felsinei allenati da Fulvio Bernardini si ritrovarono appaiati in testa alla classifica a 54 punti e si giocarono la vittoria finale in gara unica, in campo neutro (all’Olimpico
di Roma il 7 giugno). Bulgarelli e compagni vinsero 2 a 0 e dedicarono il titolo alla memoria del presidente rossoblù Renato Dall’Ara appena scomparso. Erano anni particolari, dove un fotografo poteva cogliere un William Negri, portiere del Bologna scudettato, in versione “benzinaio” alla stazione di servizio di famiglia (da qui il soprannome “carburo”) o entrare negli spogliatoi e immortalare Jair e Mazzola scherzare dopo una delle tante vittorie della grande Inter targata Herrera. Qualche anno prima (campionato ’50-’51), un trio di attaccanti svedesi aveva regalato al Milan il suo quarto scudetto: Gunnar Gren, Gunnar Nordahl e Nils Liedholm, già campioni olimpici nel 1948 a Londra, scrissero una delle pagine più belle della società rossonera dando vita a quel mito che prenderà il nome di “Gre-No-Li”.
Prima fotocamera reflex, prodotta dal 1959 in Giappone dalla Nippon Kogaku, la Nikon F diventa la macchina fotografica più utilizzata a cavallo degli anni ’60 e ‘70, non solo per immortalare le grandi star del momento, ma dalle stesse star: Frank Sinatra, Paul Newman, Marilyn Monroe e persino la Regina Elisabetta la scelgono per il sistema fotografico professionale caratterizzato da ottiche e mirini intercambiabili. Il nostro calcio, dopo lo scudetto del Bologna, gli anni della “grande Inter” e il ritorno ai vertici di Juve e Milan, vive due stagioni sorprendenti (con gli scudetti di Fiorentina e Cagliari) prima di arrivare al Mondiale 1970, quello in Messico, quello di un’indimenticabile Italia-Germania 4 a 3. E quello scatto che ritrae, quasi fossero una statua, Gigi Riva che sostiene un raggiante Gianni Rivera braccia
al cielo, diventa l’icona di un’epoca. Dalla gioia di quel gol (ma a vincere il Mondiale sarà poi il Brasile di Pelè) alle lacrime della “fatal Verona”: Rivera vivrà da capitano dei rossoneri quella “disfatta” sportiva del campionato 1972-73, quando il Milan perse lo scudetto (vinto dalla Juventus) sconfitto al Bentegodi per 5 a 3. Sulla panchina, quel giorno, al posto dello squalificato Nereo Rocco, si sedette Giovanni Trapattoni che diventerà il più vincente allenatore italiano. A livello fotografico si comincia ad utilizzare sempre di più il colore: le riviste sportive (Intrepido, Guerin Sportivo, Il Calcio illustrato, ecc.) abbandonano progressivamente il “fascino” del bianco e nero a favore delle più “moderne” immagini a colori. Dal duello Rocca-Damiani alla punizione di Bob Vieri c’è davvero lo spazio di un… click.
1° marzo 1980: scoppia lo scandalo del Totonero e l’Italia del pallone scopre per la prima volta (e purtroppo non sarà l’ultima) il problema legato alle scommesse clandestine. Radiazioni, squalifiche e retrocessioni illustri (Lazio e Milan in B) mandano il nostro calcio nel caos più totale. I rossoneri di Tassotti e Baresi stentano ad adattarsi al campionato cadetto e soffrono formazioni meno blasonate come Sambenedettese, Varese e Monza. Ma solo per poco tempo: mentre si riaprono le frontiere e gli stranieri ritornano nel nostro campionato, il Milan torna in A e la Nazionale di Enzo Bearzot va a vincere il Mondiale in Spagna. La Juventus di Trapattoni è protagonista sia in Europa che in Italia, dove ancora si vivono le favole delle provinciali, come l’Avellino di Franco Colomba, il Pisa di Berggreen o il Verona scudettato di Osvaldo
Bagnoli, e le belle storie di club (Napoli e Roma) che con i
loro scudetti gettano le basi per diventare grandi. Sono gli anni di Maradona, Falcao, Cerezo, Passarella e Briegel, di Platini che ci elimina ai Mondiali messicani dell’86 e dell’insolito “pallone arancione” utilizzato in Brescia – Juventus (0 a 0) giocata al Rigamonti l’11 gennaio 1986 sotto una bufera di neve. Una gara epica, arbitrata da Agnolin, giocata anche grazie all’aiuto dei tifosi che prima della gara spalano campo e spalti, sotto gli occhi attoniti del difensore bresciano Branco che per la prima volta vede la neve. Il tutto documentato con la Canon F1, la fotocamera 35 millimetri reflex prodotta in Giappone che introduce un livello professionale molto alto, con grande varietà di accessori e parti intercambiabili per essere adattati ai diversi usi.
C’è un’altra Italia che, nel giugno 1987, si laurea campione del Mondo: è la Nazionale militare guidata da Francesco Rocca che batte ad Arezzo 2 a 0 la Germania Ovest e porta a casa il titolo per la sesta volta. La notizia, di per sé, non sembra di quelle da prima pagina, ma a rileggere la cronaca di quell’impresa tutto assume una diversa importanza se si considerano gli 11, da una parte e dall’altra, scesi in campo nell’occasione. Gli azzurri approdano in finale grazie ai gol di Gianluca Vialli, promessa della Sampdoria, e alle belle prestazioni di Ciro Ferrara, napoletano “scudettato” già nel giro della Nazionale maggiore. Ci sono anche Gambaro, Brambati, Ruotolo, Baldieri, Carboni, Pellegrini e Notaristefano. I tedeschi schierano, tra gli altri, il portiere Illgner, quindi Hassler, Reuter e Bierhoff. Ottomila spettatori, caldo torrido
e azzurri vittoriosi grazie alle reti di Vialli e Paolo Baldieri che, dopo 14 anni, riconquistano il titolo iridato. E la foto, scattata con la Canon A1 (la prima reflex con modalità programmata di controllo dell’esposizione), dei tre protagonisti del torneo, rimane una chicca imperdibile… Platini aveva appena lasciato il calcio, il Milan di Arrigo Sacchi (con Gullit e Van Basten) iniziava a scrivere nuove pagina di storia italiana e soprattutto europea, il Trap vincerà l’ennesimo scudetto (stavolta con l’Inter), il Napoli di Maradona conquisterà la Coppa Uefa e il secondo tricolore. Il decennio finirà col Mondiale del 1990, il “nostro” Mondiale, quello delle “notti magiche” di Roberto Baggio e Totò Schillaci… ma a vincerlo sarà la Germania di Lothar Matthäus che in finale batterà le lacrime e la rabbia di Diego Maradona.
Un salto di dieci anni, dal Mondiale ’90 all’Europeo 2000: anche stavolta azzurri vicinissimi al titolo, anche stavolta beffati da un nonnulla, quello che purtroppo, nel calcio, come nella vita, fa la differenza. Ma andiamo con ordine: nel 1995 la Kodak produce una macchina fotografica basata su un corpo Canon modificato con l’aggiunta di un dorso digitale Kodac, la Canon EOS DCS 3 che sarà la prima di una serie di fotocamere altamente professionali. Ai campionati Europei del 2000 in Belgio e Olanda, i 2.0 megapixels della nuova reflex saranno testimoni dell’avventura azzurra della squadra allenata da Dino Zoff, avventura fantastica per certi versi e drammatica, sportivamente parlando, per altri. L’Italia parte forte battendo Turchia, Belgio e Svizzera, poi la Romania nei quarti di finale, quindi l’Olanda ai rigori
in semifinale dopo una partita che farà la storia. Zambrotta viene espulso al ‘30 e l’arbitro Merk assegna due rigori agli arancioni, entrambi sbagliati (Toldo para il primo a De Boer e Kluivert calcia il secondo sul palo). Si va ai supplementari e, persistendo lo 0 a 0, ai calci di rigore. Francesco Toldo para altri due penalty (nuovamente a De Boer e a Bosvelt) e Stam calcia sopra la traversa, mentre gli azzurri trionfano andando in rete con Di Biagio, Pessotto e Totti (col cucchiaio). La finale è un’altra partita (tristemente) storica: affrontiamo la Francia a Rotterdam e Marco Delvecchio ci porta in vantaggio fino al ’90. È ormai fatta, ma al terzo minuto di recupero pareggia Wiltord. Si va ai supplementari dove vige ancora la regola del “golden gol”, una sorta di “chi segna prima vince” che verrà in seguito abolita. Segnerà Trezeguet…
L’evoluzione della Canon EOS DCS 3 è la Canon EOS D2000 che esce nel 1998 suscitando grande entusiasmo tra gli addetti ai lavori essendo la prima vera reflex digitale con una velocità di scatto massima di 3,5 foto al secondo, una batteria ricaricabile sostituibile e soprattutto uno schermo colorato per visualizzare le immagini scattate. Sarà l’ultima fotocamera marchiata Kodak/Canon. Successivamente, nello stesso anno, la Canon lancerà la EOS-1D, prima reflex digitale professionale prodotta interamente da Canon. La Juventus (di Lippi) e il Milan (di Capello) chiudono il millennio tra scudetti e Coppe europee: in 8 stagioni, 3 volte trionfano i bianconeri (vincendo anche Coppa dei Campioni, Supercoppa Europea e Coppa intercontinentale) e 5 i rossoneri (più Coppa dei Campioni e Supercoppa Europea). Inaspettato lo scudetto vinto da capitan Mal-
dini e compagni (stavolta in panchina c’è Zaccheroni) che soffiano il tricolore del campionato 98/99 alla Lazio di
Eriksson (che vincerà la Coppa delle Coppe) grazie ad una rimonta che ha dell’incredibile. Il 2000 post “delusione europea” porta alla ribalta un giovane talento barese, Antonio Cassano, lanciato a soli 17 anni in Serie A da Eugenio Fascetti. Il suo gol all’Inter (stop di tacco a seguire e Ferron battuto dopo aver saltato Blanc e Panucci), rimane uno dei più belli della storia del nostro calcio. A proposito di Inter: sono gli anni del “fenomeno” Ronaldo, uno dei calciatori stranieri più forti mai approdati nel nostro paese, di Simeone e Djorkaeff, ma anche del Bologna di Kennet Andersson (che vinche la Coppa Intertoto) e soprattutto del grande Parma di Buffon, Cannavaro, Chiesa e Crespo.
Mondiali 2002 in Corea del Sud e Giappone: l’Italia di Trapattoni batte l’Equador, perde con la Croazia e passa miracolosamente (leggendaria l’acqua santa del Trap) il primo turno pareggiando con il Messico. Agli ottavi affronta proprio la Corea, o meglio… l’arbitro ecuadoriano Byron Moreno in una delle partite più incredibili (e scandalose) della storia del calcio. Moreno riesce ad inventarsi un rigore a favore dei padroni di casa (parato da Buffon), espellere Totti per simulazione (invece di accordare un penalty agli azzurri), annullare un gol di Tommasi per inesistente fuorigioco (sarebbe stato il golden gol qualificazione) e non sanzionare numerosi falli da cartellino rosso (soprattutto su Zambrotta e Coco). L’Italia perderà ai supplementari con un infinito strascico di polemiche e… sospetti. La coppa la vincerà il Brasile di Ronaldo, grande protagonista (8
reti in totale) con una doppietta in finale sulla Germania. A Trapattoni (e agli azzurri) non andrà meglio due anni più tardi in Portogallo quando, all’Europeo (vinto dalla Grecia), ad eliminarci sarà il… “biscotto” tra Svezia e Danimarca. Con un Cassano in più e un Totti in meno (squalificato con la prova tv dopo il “duello” con Poulsen), l’Italia verrà eliminata dal più che sospetto 2 a 2 tra le due “scandinave”. In mezzo alle due disfatte azzurre, lo scudetto del Milan di Dida e la finale tutta italiana di Champions League tra la Juve di Lippi e il Milan di Ancelotti a Manchester (vinta ai rigori dai rossoneri). Il tutto fedelmente documentato con la Nikon D1X, la fotocamera uscita nel 2001 con una risoluzione di 5,47 megapixel e la velocità di scatto pari a 3 fotogrammi al secondo.
calcio e legge
/18 30 giugno 2017 • Deposito presso la COVISOC dell’attestazione dell’avvenuto pagamento delle ritenute Irpef dovute fino al mese di aprile 2017 nonché dei contributi Inps dovuti fino al mese di maggio 2017 • Deposito presso la Lega Pro di fideiussione a prima richiesta pari ad € 350.000,00. • Sanzione: 1 punto di penalizzazione, per ciascun inadempimento • Nel corso della stagione sportiva, la garanzia sarà integrata in relazione all’aumento dei compensi contrattuali lordi dei tesserati (€ 1.500.000) con le seguenti modalità: - al superamento dell’importo di € 1.500.000,00 dei compensi contrattuali lordi dei tesserati, la garanzia verrà aumentata nella misura del 30% dell’eccedenza rispetto ad euro 1.500.000,00, pena la mancata ratifica dei contratti; - al superamento dell’importo di € 2.000.000,00 dei compensi contrattuali lordi dei tesserati, la garanzia verrà aumentata nella misura del 50% dell’eccedenza rispetto ad euro 2.000.000,00, pena la manca-
ta ratifica dei contratti; - al superamento dell’importo di € 3.000.000,00 dei compensi contrattuali lordi dei tesserati, la garanzia verrà aumentata nella misura del 100% dell’eccedenza rispetto ad euro 3.000.000,00, pena la mancata ratifica dei contratti • La Lega Pro deve certificare l’assenza di debiti nei confronti del Fondo Fine Carriera per i contributi riguardanti gli emolumenti fino al mese di maggio 2017 • Sanzione: 1 punto di penalizzazione
21 agosto 2017 • Deposito presso la COVISOC dell’attestazione dell’avvenuto pagamento degli emolumenti, compresi gli incentivi all’esodo, dovuti per il mese di giugno 2017 • Deposito presso la COVISOC dell’attestazione dell’avvenuto pagamento delle ritenute Irpef dovute per i mesi di maggio e giugno 2017 nonché dei contributi Inps dovuti per il mese di giugno 2017 • Le società devono depositare presso la Lega Pro la documentazione attestante l’avvenuto pagamento dei contributi al Fondo Fine Carriera per il mese di giugno 2017 • Sanzione: 1 punto di penalizzazione, per ciascun inadempimento SOCIETÀ DI CND AVENTI TITOLO A PARTECIPARE O A CHIEDERE L’AMMISSIONE AL CAMPIONATO DI LEGA PRO 30 giugno 2017 • Deposito presso la Lega Pro di fideiussione a prima richiesta pari ad € 350.000 • Sanzione: 1 punto di penalizzazione • Nel corso della stagione sportiva, la garanzia sarà integrata in relazione all’aumento dei compensi contrattuali lordi dei tesserati con le seguenti modalità: - al superamento dell’importo di € 1.500.000,00 dei compensi contrattuali lordi dei tesserati, la garan-
zia verrà aumentata nella misura del 30% dell’eccedenza rispetto ad euro 1.500.000,00, pena la mancata ratifica dei contratti; - al superamento dell’importo di € 2.000.000,00 dei compensi contrattuali lordi dei tesserati, la garanzia verrà aumentata nella misura del 50% dell’eccedenza rispetto ad euro 2.000.000,00, pena la mancata ratifica dei contratti; - al superamento dell’importo di € 3.000.000,00 dei compensi contrattuali lordi dei tesserati, la garanzia verrà aumentata nella misura del 100% dell’eccedenza rispetto ad euro 3.000.000,00, pena la mancata ratifica dei contratti • Deposito presso la COVISOC della certificazione del Dipartimento Interregionale attestante l’inesistenza di debiti verso i tesserati • Sanzione: ammenda non inferiore ad € 10.000
TERMINE PER EVENTUALI RICORSI
Le società di Serie A, Serie B e Lega Pro che non sono risultate in possesso dei requisiti richiesti possono presentare i propri ricorsi, ovviamente riferiti alle mensilità fino a maggio, entro il termine perentorio del 14 luglio 2017. Le decisioni definitive verranno quindi assunte dal Consiglio Federale del 20 luglio 2017: le società che non hanno effettuato alcun adempimento o i cui ricorsi sono stati respinti non verranno ammesse al campionato di competenza 2017/18, fermo restando che avverso le decisioni del Consiglio federale è consentito ricorrere al Collegio di Garanzia dello Sport presso il CONI. 21
calcio e legge
di Stefano Sartori
Questo mese parliamo di… “buy-out clause”
La clausola rescissoria alla spagnola Una recente decisione del TAS/CAS di Losanna ci fornisce un importante punto di vista ed analisi a proposito di una fattispecie, presente in molti contratti sottoscritti in Italia ed all’estero, estremamente interessanti: la differenza tra la cosiddetta clausola rescissoria alla spagnola (buy-out clause) ed una semplice clausola che invece predetermina un risarcimento dei danni. Il TAS - Tribunale Arbitrale dello Sport o CAS - Comitato Arbitrale dello Sport - è un organo di giurisdizione sportiva costituito nel 1984 con l’obiettivo di risolvere le controversie sportive avente carattere di internazionalità; per quanto riguarda il calcio, in estrema sintesi il CAS si pone sostanzialmente come organo di secondo grado rispetto alla DRC della FIFA. La buy-out clause consiste in una clausola specifica che trova fondamento giuridico nell’ordinamento spagnolo, all’articolo
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16 del Real Decreto n.1006 del 26 giugno 1985, da cui il nome di “clausola di recesso alla spagnola”. Il legislatore spagnolo avvertì infatti la necessità di armonizzare le esigenze di libertà contrattuale dell’atleta professionista con l’interesse della società, che andava indennizzata in caso di risoluzione anticipata del contratto in favore del calciatore. In realtà, in particolare dopo alcuni casi quali il trasferimento di Ronaldo dal Barcellona all’Inter, l’apposizione di clausole dal valore estremamente per non dire esageratamente elevato, veniva e viene fissata con l'intento “bloccare” il calciatore e di dissuadere altre società dal tentare di indurlo a risolvere il contratto. Ciò premesso e per arrivare alla differenza tra la buy-out e le clausole di risarcimento dei danni, il CAS ha esaminato il caso di un calciatore colombiano che ha firmato un contratto con una società, sempre colombiana, che includeva la seguente clausola: “Le parti hanno convenuto reciprocamente che, ai sensi delle disposizioni di cui all'articolo 64 del codice del lavoro, la cessazione del contratto senza giusta causa da parte del lavoratore prima della data di scadenza del contratto, comporterà che il lavoratore dovrà pagare al datore di lavoro (il club) tutti i danni conseguenti, che le parti hanno preventivamente valutato pari ad un importo di 100.000 dollari”. Ebbene, il calciatore (o almeno il suo avvocato), hanno ritenuto che la clausola suddetta
potesse garantire, come una tipica buy out clause, il diritto di risolvere il contratto a fronte del pagamento di $100.000 e, in forza di tale interpretazione, all’inizio del 2014 il giocatore ha deciso di risolvere unilateralmente il contratto, ha corrisposto al club colombiano $100.000 e ha firmato un nuovo contratto con il club ungherese FC Ujpest. Il club colombiano ha manifestato il proprio disaccordo ed ha presentato ricorso alla DRC della FIFA sostenendo che la clausola in questione non concedeva al calciatore il diritto di recedere dal contratto e in effetti, sia la DRC che il CAS in secondo grado, hanno considerato tale clausola alla stregua di una “una clausola per il risarcimento del danno”. In particolare, il CAS ha sottolineato che il tenore letterale della condizione apposta nel contratto non concedeva il diritto esplicito di risolvere il contratto ma piuttosto indicava le conseguenze di un recesso unilaterale senza giusta causa; e il termine utilizzato nel testo, “danni”, era ed è incompatibile con una buy-out clause. Di conseguenza, nel confermare la decisione di primo grado della DRC, il CAS ha concluso che: a) per la rescissione del contratto senza giusta causa il calciatore debba corrispondere i $100.000 previsti dalla clausola contrattuale; b) vada applicato l’art. 17.3 del Regolamento Status e Trasferimenti della FIFA che, testualmente, prevede che “Oltre all’obbligo di corrispondere un indennizzo, è prevista l’applicazione di sanzioni sportive a carico di qualsiasi calciatore che rescinda il contratto durante il periodo protetto. Questa sanzione consiste nel divieto di partecipare a incontri ufficiali per quattro mesi”. La lezione da possiamo trarre da questa decisione è quindi quella di verificare sempre con attenzione se una clausola dia veramente al calciatore il diritto di recedere o se invece, dato il tenore letterale di quanto scritto, non si tratti di una semplice previsione risarcitoria che lo può esporre all’ulteriore irrogazione delle sanzioni sportive previste dal Regolamento FIFA.
secondo tempo
di Claudio Sottile
La nuova vita di Alessio Scarabattola
Self (service)-made man E se prima le reti bianche erano merito dei suoi guantoni, adesso bisogna ringraziare il detersivo, perché bucato non è più l’aggettivo che significava aver preso gol, bensì il sostantivo che racchiude la sterilizzazione dei panni. Alessio Scarabattola era in porta, adesso è in proprio. Sempre in Promozione, quella umbra e quella del circuito “Lavapiù” delle lavatrici self service a marchio Miele. Quasi inevitabile per chi facendo il portiere ha come obiettivo primario di lasciare le “lenzuola pulite”, citando il collega di reparto Joe Hart, numero uno inglese del Torino.
lavoro, come un investimento alternativo, perché è un’attività che non necessita di dipendenti in quanto è tutto automatico. Per chi vuole inserirsi nel mondo del lavoro è il settore meno invasivo possibile, perché si costituisce una lavanderia e si gestisce in maniera semplice. La gente usa molto il lavaggio self service, per ragioni economiche e di tempo”.
“Assolutamente no, l’importante è credere nei passi che fai e coltivare le passioni. Vedo un parallelismo col calcio. Da bambino uno ha il sogno di giocare, lo sviluppa e diventa calciatore. Lo stesso deve succedere nella seconda vita professionale, sempre con i piedi per terra però. L’esperienza col calcio aiuta, l’importante è restare tranquilli”.
A proposito di tempo: il tuo lo dividi tra un ammorbidente e l’erba morbida. “Gioco nel Tavernelle, in Promozione, vicino Perugia. Posso ancora divertirmi col calcio, supportato però da un mestiere”.
Come sei arrivato a tuffarti in questo business? “Avevo degli amici che già lavoravano nel settore delle lavanderie self service. In coincidenza con il fatto che mi stavo professionalmente guardando attorno ed avevo pensato di diminuire l’impegno col calcio, ho pensato di inserirmi in questo mondo perché serviva una figura in azienda. Ho fatto tutta la trafila, ora sono responsabile commerciale per l’Italia centrale della vendita di lavanderie self service per il gruppo “Lavapiù” della Miele, commercializziamo in Italia ed Europa”.
Come strutturi la tua giornata? “Giro molto e vado nelle Marche, nella stessa Umbria, in Emilia Romagna, in Toscana. Parto da Perugia, ed in base ai contatti che abbiamo vado a trovare dei possibili clienti che ci cercano tramite il web. Li incontro, scegliamo la location, dò consigli a 360° sul posto, sulla redditività della lavanderia, sul numero delle macchine”.
Hai stretto amicizie durature nell'ambiente? “Sì, assolutamente. Sono sempre rimasto in contatto con diverse persone. Ad esempio Andrea Fiumana, un collaboratore AIC, è un amico da una vita, abbiamo giocato assieme a Gubbio nel 2007/2008. Quello delle relazioni personali è un aspetto bello del mondo del calcio”.
È uno dei boom del momento. “È un settore dove ci sono svariati investitori. Può essere considerato un secondo
Alessio Scarabattola è nato a Perugia il 20 agosto del 1984. In Carriera ha vestito le maglie di Orvietana, Rosetana, Teramo, Foligno, Gubbio, Sansepolcro, Pontevecchio, Subasio e Tavernelle.
C'è qualcosa che, metaforicamente, laveresti del mondo del calcio? “Il pallone deve essere solo un gioco e non un business, quindi vorrei che il fattore economico non sia determinante”. Il momento calcistico più bello? “Novembre 2006, l'esordio casalingo in C1 a Teramo contro la Sambenedettese, un derby finito 1-1”. Hai davanti a te un ragazzo in procinto di smettere col professionismo. A te la parola. “Gli direi di muoversi e capire quali potrebbero essere gli sbocchi e gli interessi al di là del calcio e della scuola, io ad esempio sono perito commerciale. L’universo dell’automazione dà la possibilità di inserirsi in modo soft nel lavoro. Magari vieni da molti anni nel calcio e non hai esperienza lavorativa. Mettersi nel campo imprenditoriale è difficile, appoggiarsi come ho fatto io ad un’azienda solida e prestigiosa, che ti aiuta sotto tutti i punti di vista nel nuovo percorso, è molto importante”. Non bisogna avere paura della rimessa in gioco dopo la carriera agonistica.
Se guardi indietro, cosa vedi? “Fin dove sono arrivato, l’ho fatto con le mie forze. Probabilmente non sono stato fortunato in alcuni frangenti, il rovescio della medaglia è che adesso ho avuto quest’opportunità lavorativa che mi dà molte soddisfazioni e che compensa un po’ ciò che è sfumato in precedenza. Ero nell’ambito della prima squadra del Perugia quando vincemmo l’Intertoto nel 2003. Stavo anche per timbrare il primo gettone in panchina in A, poi Željko Kalac recuperò il sabato mattina, in quell’occasione avrei dovuto fare il dodicesimo di Michele Tardioli, attualmente vice allenatore di Pierpaolo Bisoli al Vicenza. Certe volte basta poco tra fortuna e sfortuna”. E Luciano Gaucci? “Un uomo che metteva tanto entusiasmo e faceva star bene i giocatori. I Gaucci sono stati pionieri del calcio moderno. Sono stati i primi che hanno dato occasione a giocatori di serie minori di mettersi in mostra su palcoscenici importanti. Il Presidente ha fatto la fortuna di tanti giocatori, posso solo ringraziarlo”. Il miglior mister incontrato? “Sarebbe riduttivo menzionarne uno solo. Dico Sandro Mancini, che era preparatore dei portieri nelle giovanili del Perugia, è quello che mi ha dato le basi, mi ha fatto compiere il salto di qualità e mi ha inserito nel giro che conta”. 23
politicalcio
di Fabio Appetiti
Il dopo “sfida elettorale” di Andrea Abodi
“Senza reputazione e credibili non c’è alcuna C’è una famosa canzone di Edoardo Bennato che si conclude così: “Ogni cosa ha il suo prezzo ma nessuno mai saprà quanto costa la mia libertà”. Il titolo è “Venderò”. Titolo significativo. E il ritornello di questa canzone ci ha accompagnato nella sera del dopo le elezioni del 6 marzo quando, tornando a casa, non ci sentivamo nè vincitori nè vinti, ci sentivamo solo orgogliosi di essere stati dalla parte giusta. E quell’applauso ad Andrea Abodi nelle stanze dell’Hilton è stato il degno finale di una battaglia coraggiosa di una categoria intera, i calciatori. Grazie Andrea, grazie Damiano, grazie a tutti. “Ogni cosa ha il suo prezzo ma nessuno mai saprà quanto costa la mia libertà…”. Riavvolgiamo il nastro partendo dalla fine: due momenti commoventi a fine Assemblea davanti ai 52 delegati calciatori e calciatrici… le tue lacrime sincere ricordando il mancato appoggio ad Albertini due anni fa e l’applauso forte e interminabile di tutti. Chiamale… “emozioni”… “Le emozioni sono un segnale di umanità che nel calcio e nella vita lasciano troppo spesso spazio a freddezza, cinismo e anaffettività che non
mi appartengono. Per qualcuno sono fattori di debolezza, ma io credo sia necessario recuperare l'umanità perduta o, comunque, fiaccata dalla vita o nonostante la vita. Dopodiché, come canta Ligabue, siamo chi siamo. In ogni caso, quel momento, a pochi minuti da una sconfitta per quanto dignitosa e onorevole, ha rappresentato un abbraccio ideale intenso e profondo che non dimenticherò mai e che ha confermato tutti i significati e il valore della sfida comune”. Il rispetto dei calciatori è un bene prezioso, di solito sono diffidenti verso i dirigenti. Cosa in particolare credi che abbiano visto in te? “Il rispetto è un bene prezioso in generale, che andrebbe coltivato con decisione e caparbietà, senza se e senza ma, a prescindere dai ruoli. In un sistema come il nostro ci si arrende spesso all'idea che interessi diversi e, spesso, contrapposti possano portare alla mancanza di rispetto o alla sua limitazione, ma io non mi arrendo. Il rispetto di ragazze e ragazzi nei miei confronti l’ho sentito in maniera forte e inequivocabile, probabilmente perché loro hanno avvertito lo stesso rispetto da parte mia nei loro confronti, oltre ad aver apprezzato un progetto federale aperto, trasparente, libero e moderno che li ha convinti. La compattezza assoluta dei Delegati AIC al momento del voto a mio favore è la dimostrazione che sia possibile e necessario costruire anche in futuro prospettive federali comuni, nel rispetto della diversità dei ruoli, ma
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Andrea Abodi è nato a Roma il 7 marzo 1960. Laureato in Economia e Commercio – Profilo di Marketing - alla LUISS, è giornalista pubblicista dal 1987. È stato direttore marketing della filiale italiana del Gruppo McCormack, azienda specializzata nell'organizzazione di grandi eventi e nella gestione di talenti sportivi, responsabile in Italia di TWI, società del gruppo IMG che opera nella commercializzazione di diritti multimediali di manifestazioni sportive, nonché fondatore e Vice Presidente Esecutivo di Media Partners Group. Per Coni Servizi Spa è stato Consigliere di Amministrazione dal 2002 al 2008. Si è occupato, in qualità di Vice Presidente Esecutivo e Direttore Generale, della Baseball World Cup 2009. Come direttore marketing ha seguito la candidatura olimpica e paralimpica di Roma per i Giochi del 2004. Presidente della Lega Nazionale Serie B dal 2010, si è dimesso dall'incarico per candidarsi alla presidenza della FIGC.
facendo prevalere il senso della collaborazione, della partecipazione e del bene allargato”. Torniamo all’Assemblea e ai numeri: 54% a 46%. Una sconfitta molto onorevole. Credevi davvero potesse esserci un esito diverso? “Certamente si, ma è evidente che siano intervenuti accordi (preventivi e svelati tardivamente) e condizionamenti che hanno modificato il quadro. Dopodiché hanno influito negativamente il poco tempo a nostra
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lità prospettiva di crescita” disposizione, probabilmente qualche mio/nostro errore di comunicazione/ relazione e le quasi nulle possibilità di parlare con i delegati LND e AIAC, cosa che in un sistema libero, trasparente e moderno non sarebbe mai successo. Altro fattore che penso abbia influenzato negativamente il voto è stata la mancanza di stabilità della Serie A che mi auguro possa recuperarla presto, perché ne ha bisogno la A stessa, ma anche il resto dei sistema al quale serve coesione, collaborazione e massima concentrazione sul miglioramento del prodotto e dei risultati”. Parliamo dei tuoi compagni di viaggio: Damiano Tommasi e Gabriele Gravina. Valori, esperienza, competenza. Una bella squadra… vuoi dire loro qualcosa? “Semplicemente grazie, come rappresentanti di Componente e come amici. E grazie a tutta la squadra per la fiducia, per il lavoro comune di questi due mesi per loro iniziato anche prima, grazie per averci provato fino in fondo dando tutto, senza cadere nella tentazione di fare di tutto. Adesso bisogna provare ad andare avanti insieme, per migliorare il calcio, per non subire un modello che rischia di dividerlo e impoverirlo ulteriormente. Perdere un confronto elettorale come questo deve fornirci nuovi stimoli e spingerci a operare in modo ancor più responsabile e propositivo, valorizzando la nostra capacita di apporto”. E invece quelli che ti hanno voltato le spalle, Ulivieri e Nicchi. Chi ti ha fatto più male? “Renzo mi ha amareggiato per la scelta "innaturale" rispetto a un’idea di federazione che non penso appartenga a lui e alla categoria, anche se temevo avesse già chiuso un accordo prima della mia decisione di accettare la candidatura, sensazione confermatami oltre un mese fa da Lotito al quale ho cercato di non credere. Per Marcello Nicchi lo stato d'animo, nel
rispetto della scelta, è di delusione per l'incoerenza rispetto a quello che mi ha detto in due anni e mezzo e, ancor di più, nell’ultimo mese e mezzo. Gli arbitri sono stati dal mio primo giorno e resteranno un riferimento al quale assicurare rispetto e collaborazione, ma la telefonata della sera prima le elezioni e l’intervento in assemblea del presidente Nicchi sono mancati proprio nel rispetto: nei miei confronti e nei confronti di un lavoro comune, non di circostanza e senza condizioni, che andava almeno citato”. Qualcuno dice che la passata elezione di Tavecchio abbia lasciato della ruggine. Vedi voce Juventus… “È probabile e, forse, anche comprensibile, per il modo e i tempi con i quali maturò la decisione della B di votare Carlo Tavecchio. E io ne fui il principale responsabile e poco conta che lo abbia fatto pensando che fosse la decisione migliore per il bene dei Club. Lo feci male e il tempo mi ha dato ulteriormente torto. Comunque è il momento di guardare avanti e fare tesoro dell’esperienza”. Hai sentito il Presidente CONI, il tuo amico Giovanni Malagò che avrebbe preferito evitare divisioni… “Principio condivisibile, ma la scelta di accettare la candidatura non è maturata per ambizione personale o, peggio, per un capriccio. Tra i miei tanti difetti, tra l'altro,
posso dire di non avere quello di essere un divisivo. Ma difronte alle tante mancanze di rispetto di impegni assunti nei confronti dei club e ai danni procurati sempre ai “miei” ex-associati, non ho potuto far altro che assumermi la responsabilità di scendere in campo, per provare ad affermare una nuova idea di Federazione, come ho già detto, più libera, trasparente e moderna. A beneficio di tutti, cosa, peraltro, necessaria e possibile”. E i tuoi presidenti della Serie B: ti senti di escludere un ritorno ? “Per la prima volta in sei anni e mezzo ci siamo trovati di fronte alla nostra prima divisione. Ci siamo divisi perché, legittimamente, alcuni club non volevano che io mi candidassi, anche se non ho capito se la loro posizione fosse motivata dalla preoccupazione che andassi via dalla Lega o che mi candidassi alla presidenza federale. In ogni caso, su richiesta delle società contrarie alla mia candidatura e come promesso, mi sono dimesso prima dell'elezione, anche se adesso la maggioranza dei presidenti di B mi chiede di ritirare le dimissioni, per affrontare insieme difficoltà e priorità che attendono la categoria. Avrei voluto affrontarle da presidente federale, ma ora devo valutare con serietà se sia opportuno affrontarle da presidente di Lega, con il gratificante “peso” di rappresentare il 5% della LNPB e, in ogni caso, quasi il cinquanta per cento dei consensi federali”. 25
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Nel tuo discorso a Fiumicino hai ricordato che nel calcio oggi siamo tutti percipienti perché i paganti sono quelli fuori, i tifosi, gli abbonati e a loro va dato rispetto. Uno dei concetti chiave del tuo programma era propria una nuova reputazione per il nostro calcio. “Senza reputazione e senza credibilità non c'è alcuna prospettiva di crescita in qualsiasi contesto, tanto più nel nostro. Non dobbiamo trascurare e tantomeno mortificare l'importanza della reputazione che considero uno dei presupposti irrinunciabili per un ambiente che deve meritarsi la fiducia di milioni di persone e di centinaia di aziende. Quindi attenzione alle parole e ai comportamenti di ognuno di noi, alle decisioni che prendiamo e che devono rendere il nostro sistema più efficiente, comprensibile e credibile”.
ampiezza e nella sua prospettiva, e il suo rapporto con il mondo esterno”. Sei sempre convinto che il calcio è di chi lo ama? All’Hilton abbiamo visto pochi innamorati e parecchi interessati, non idee ma “accordicchi”… “Quello che abbiamo visto all’Hilton è la rappresentazione in scala di ciò che siamo fuori, ma non bisogna rassegnarsi al peggio e dobbiamo impegnarci di più e meglio. Ci sono milioni di appassionati che ci chiedono di migliorare il calcio e ne hanno bisogno per continuare a crederci, ma ci sono altri milioni di persone che dobbiamo riavvicinare o avvicinare per la prima volta ai quali dobbiamo dimostrare che siamo in grado di meritarci la loro presenza e la loro attenzione. La cosa che mi ha amareggiato è stata la sensazione di trovarmi di fronte ad accordi senza idee, per il potere e il suo esercizio, più per convenienza che per convinzione. Sta a noi far prevalere la forza delle idee e delle proposte, attraverso le quali fare anche dignitosi accordi di contenuto e di sostanza”.
che mi hanno sorpreso. In altri Paesi alla mia età si pensa già al fine carriera, per fortuna in Italia a 57 anni si è ancora “giovani” e quindi guardo avanti, cercando di fare tesoro di questa esperienza, sicuramente la più intensa ed entusiasmante della mia vita”.
Le altre due parole chiave del tuo programma erano “sostenibilità e competitività”, ma quale, secondo te, la difIl grande filosofo francese Jean Jaques ferenza più grande tra te e Tavecchio? Rosseau ha scritto nella sua opera “Sostenibilità e competitività li conEmilio: “Non esiste felicità senza cosidero altri due concetti/obiettivo raggio né virtù senza lotta”. Sei felice determinanti. Certo vanno spiegati o sei pentito di aver condotto questa perché fanno riferimento a una serie Il giorno dopo l’elezione era il tuo battaglia? di elementi articolati, complessi e col- compleanno, 57 anni. Non potrai cer- “Serenamente orgoglioso e felice dellegati tra loro che possono rendere il to ritirarti a vita privata. Raccontaci la mia scelta e del modo con il quale sistema più forte, efficiente e vincente. che giornata è stata, e poi… cosa farà l’ho portata avanti, con il supporto e Di sicuro oggi il calcio italiano non Andrea Abodi ora? il contributo di tanti. Ho sentito l'afè sostenibile e competitivo proprio “Un compleanno diverso, con un dolo- fetto e la vicinanza dei “compagni di perché manca la sensibilità non tanto roso ascesso a un dente del giudizio che viaggio”, ma anche della gente comusui due temi, ma sui fattori che li com- mi ha “distratto” dagli effetti del risul- ne, non tanto per la mia persona, ma pongono, sulle loro relazioni e sugli tato elettorale. Un compleanno trascor- per l’idea di calcio nella quale credo e interventi necessari per sincronizza- so con gli affetti familiari e cercando di crediamo, che merita continuità d’imre i meccanismi di questa macchina rispondere a una “valanga” di auguri pegno e di lavoro comune”. complessa. Un tema su tutti: si parla tanto di riforma dei campionati, ma il tema vero è quello della qualità della competizione che dipende da tanti fattori tra i quali il di Damiano Tommasi numero di squadre non è prioritario. E la differenza vera tra me e Carlo Tavecchio non è certamente l’età che conta relativamente e che va Visto l’ultima Assemblea Federale si prospetta per questo 2017 una Panchina particocomunque rispettata, ma la larmente dorata. visione del calcio, nella sua
righe… 2 Panchina d’oro In
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servizi
A giugno e luglio
AIC Camp 2017: educare attraverso il calcio
Il progetto AIC Camp è iniziato nel 2013 con l’obiettivo di veicolare il più possibile quei valori di fair play ed etica sportiva che sono alla base del lavoro dell’Associazione Italiana Calciatori e più specificatamente del Dipartimento Junior, coordinato dal campione del Mondo Simone Perrotta che seguirà in prima persona alcune tappe del tour estivo.Negli AIC Camp è insito un percorso educativo che ha l’obiettivo di insegnare l’etica sportiva e la legalità tramite il calcio.
A chi si rivolgono Gli AIC Camp si rivolgono a ragazzi/e dai 7 ai 13 anni. Location: 12 - 16 giugno 12 – 16 giugno 19 - 23 giugno 19 - 23 giugno 26 - 30 giugno 26 - 30 giugno 03 - 07 luglio 03 - 07 luglio
VICENZA ABANO ROMA LAIVES PESCARA SAN LUCA (RC) POTENZA PICENA SONDALO
Costo € 170,00 per una settimana comprensivi di corso, kit sportivo, pranzi ed assicurazione. Per due fratelli la cifra complessiva è di € 310,00. Staff tecnico È composto da allenatori specializzati, coordinati dal dott. Stefano Ghisleni, ex Responsabile delle attività di base dell’Hellas Verona, e formato tra gli altri da Veronica Brutti (ex calciatrice di Serie A e tecnico Scuola Calcio Hellas), Gianni Migliorini, Simone Berardi e Marco Ciannavei (tecnici Pescara Calcio), Josè Lacagnina (tecnico Padova Calcio), Andrea Zivelonghi e Maurizio Pertusi (tecnico Genova Calcio). Programma attività Il programma delle attività prevede il coinvolgimento attivo dei ragazzi nella parte sportiva e in quella educativa, sempre strettamente correlate. Nel programma tecnico viene applicato l’allenamento con metodo a fasi, con obiettivi primari qua-
INFO LINE AIC & FACEBOOK Tel. 0444 233290 o 340 7081660 E-mail: aic.camp@assocalciatori.it – Sito: www.assocalciatori.it Tutte le informazioni sugli AIC Camp e i resoconti in tempo reale delle attività svolte dai ragazzi sono disponibili sulla pagina Facebook dell’Associazione all’indirizzo: www.facebook.com/DipartimentoJuniorAIC/
li dribbling, difesa della palla, guida della palla, passaggio e controllo a seguire; per ognuno di essi ogni allenamento prevede un gioco iniziale, le esercitazioni, le situazioni e un gioco a tema. Gli allenamenti vengono inoltre utilizzati per associare il gesto tecnico ai valori proposti durante i laboratori educativi, che hanno come filo conduttore il fair play, le regole, il rispetto delle persone, i diritti e i doveri. Attraverso letture e visione di filmati attentamente selezionati, i ragazzi vengono invitati a riflettere sull’importanza di imparare ad essere dei buoni cittadini per essere anche dei buoni atleti. Da quest’anno in alcune location, grazie alla collaborazione con Unicef e Osservatorio Bullismo & Doping, vengono proposti laboratori particolarmente interessanti sui diritti del bambino, sull’uso di sostanze dopanti e sull’attenzione che bisogna porre sull’utilizzo dei social network.
Per iscriversi Compilare la scheda di iscrizione (si trova sul sito www.assocalciatori.it nella sezione Dipartimento Junior) e spedirla via mail all’A.I.C. Contrà delle Grazie, 10 – 36100 Vicenza fax 0444/233250, indirizzo mail aic. camp@assocalciatori.it allegando copia del bonifico bancario della quota di partecipazione, effettuato a nome del partecipante, sul conto corrente ordinario di "Veneto Banca", codice Iban IT22L0503560800022570541593 intestato ad AIC Camp - Associazione Italiana Calciatori.
Come stai?
l’incontro
di Pino Lazzaro
Luigi Pasetti, allenatore giovanili del Bologna
Sette stagioni in Serie A (esordio nel campionato 63/64) tra Spal, Juventus (un anno) e Palermo; cinque in B, ancora con Spal e Palermo, con l’aggiunta del Piacenza; infine un po’ di Serie C, verso fine carriera (fine anni Settanta). Ultimo anno da giocatore ad Adria (Ro), con l’Adriese e appese le scarpe al classico chiodo, eccolo intanto iniziare da dirigente, direttore sportivo. Finché non gli capita – lo ricorda come fosse successo ieri – un genitore benestante la sua parte, che gli offre dei soldi perché prendesse in squadra il figliolo. No grazie, dice il nostro, mica fa per me sta roba qua, come dire sentirsi scomodi. Forse meglio allenare? E allora Luigi Pasetti prova, ma anche qui l’inizio è così così, troppa gente a metterci bocca, a dirgli fa questo e fa quello e lui non ci sta, meglio lasciar stare le prime squadre. Poi lo chiamano alla Spal, ha fatto da poco il patentino di seconda a Coverciano, settore giovanile e prima squadra (da secondo o quasi, poi spieghiamo) ed è una storia che dura 16 anni filati, dal 1980 al 1996, con in mezzo il titolo di campioni d’Italia con i giovanissimi (85/86), la stagione come secondo di Galeone, poi con GB Fabbri che burocraticamente non ha più l’età per stare in panca da “mister” (ecco la spiegazione), poi pure con Discepoli. Seguono altri percorsi, altre esperienze: all’Imolese, al Milan (sì) quale coordinatore degli allenatori, dando tra l’altro un paio di giorni la settimana una mano a Tassotti con la Primavera. Poi Bologna, ancora Milan (scuola calcio), di nuovo Spal finché da quest’anno la ri-chiamata del Bologna: lui, classe 1945, che allena i 2004, esordienti: sì, a 71 anni aver a che fare con ragazzini di dodici/tredici anni. “I ragazzini? Quel che sono cambiati sono gli atteggiamenti, noi ce le dovevamo guadagnare le cose, ora loro se le trovano già a disposizione. La mia linea guida intanto è quella e comunque del rispetto e cerco sempre di trattarli tutti uguali anche se averne tanti, come adesso qui col Bologna, può essere una complicazione. Io che sto lì a fare i conti per cercare di farli giocare tutti, con invece i genitori e magari gli stessi accompagnatori che spingono giusto per vincerla la partita, quello conta: sempre di là si passa”. “I bambini mi danno la gioia di andare in campo, mi sento trascinato dal loro entusiasmo. Loro vengono per giocare e penso a come eravamo noi un tempo, davvero quanto liberi di giocare. Ora no, è diverso, hanno più costrizioni, orari, con la presenza poi di figure – penso ai preparatori atletici per esempio – che mi vanno magari bene quando si occupano di coordinazione e schemi motori, ma lì si devono fermare. Dai, non posso fare a meno di pensare che c’è già tutto nel gioco, insisto, nel gioco”. “Mi chiamano Gigi, non sono “il mister”. Ora non gioco proprio più, sino a trequattro anni ogni tanto giocavo con loro, magari creando delle situazioni in cui erano costretti a rispondere, a trovare da loro le soluzioni, tipo io che porto palla e dai e dai vengono in due, uno a destra e l’altro a sinistra. Poi se vuoi lo si chiamerà raddoppio, ma intanto ci sono arrivati da soli, hanno ragionato, hanno capito da loro che così è più facile portarmi via la palla”. 28
“Dubbi sulla mia età rispetto a loro ne ho, certo, penso però che anche le cose “di una volta” possano servire. Io non parlo mai di tattica, mai, quel che mi preme è che giochino, che diano bene la palla, che lo sappiano perché è meglio fare così. Se uno dribbla, bene, vuol dire che c’è anche personalità; mi chiedono che devono fare e io rispondo sem- pre, quel che vuoi. Se uno ha delle qualità, perché levargliele? Cerco di stare attento, chiedo sempre se mi sono spiegato, se è chiaro e cerco comunque sempre di migliorare quel che facciamo sul campo, non faccio mai le stesse cose, qualcosa la cambio ogni volta”. “Sì, mi reputo un democratico, diciamo pure così e comunque sia, sono io poi il primo a mettersi in discussione. E lo vedi da loro, dai ragazzini, se fai bene o male, lo vedi da loro se sbagli tu qualcosa. Il rammarico che ho, come detto ora come ora col Bologna, è di averne troppi, una trentina. Ho fatto due gruppi e c’è pure la società che spinge per i più bravi, io magari vado avanti prendendone alcuni ogni volta, li mischio ma la vivo dentro di me questa sorta di contraddizione: il mio voler far giocare tutti e quelli
Luigi Pasetti è nato a Francolino (frazione di Ferrara) il 9 settembre 1945. Da calciatore (era un difensore di fascia) ha indossato le maglie di Spal (con Capello e Reja), Juventus (con Salvadore, Benetti, Haller e Anastasi), Palermo (nell’operazione che portò Furino alla Juve), Piacenza e Adriese. Da allenatore è stato nelle giovanili di Spal, Milan, Imolese e Bologna.
l’incontro
che invece più interessano alla società… i più bravi”. “Secondo me fa poco la Federazione, non c’è una vera e proprio scuola e mi fanno un po’ ridere tutte queste scuole-calcio: parlano della crescita del bambino, bla bla bla, ma spesso quel che più preme è l’introito. Con poi tanti e tanti allenatori che gridano e vogliono che i ragazzini facciano questo e quello, così e cosà, ma chi controlla tutto questo? Spesso mi metto nei panni del bambino, lui che riceve palla, che magari ha una sua di idea e lì a dirgli quel che tu vedi da fuori, facile che vada in confusione, no? Quel che chiedo loro è se hanno fatto bene o male, com’è andata: ce l’hanno una testa pensante, no?” “È vero, spesso i genitori sono lì che urlano e dicono quel che devono fare e io dico sempre che c’è già un asino in panca che parla: basta e avanza, no? Ricordo un anno, ero con gli esordienti, lì una mamma che si lamentava perché avevo messo il figlio in un ruolo diverso, per
provare o perché magari pensavo che potesse fare bene, che fossero proprio quelle le sue caratteristiche (e poi così è andata). Alla mamma dunque questo non stava bene, che il figlio era fuori ruolo e io a chiederle dove l’aveva preso lei il patentino. Una frase che quella volta è servita, poi s’è sempre “fidata”. Sì, ogni tanto delle riunioni ma mi rendo conto che a parte alcune eccezioni, per i genitori è comunque difficile, non riescono proprio a vederle le carenze dei figli, poco da fare. A Bologna il vantaggio è che lì all’ingresso c’è la barriera, fin lì arrivano e lì li aspettano. Sì, l’unico problema è il numero, sono tanti...” “Non parlo di copiare pari pari quel che si faceva un tempo, no, però mi piacerebbe e mi piace poter trasmettere un po’ di quella libertà che c’era un tempo, fare la porta con i sacchi o le giacche, i ragazzini migliori sono là dove ci sono delle difficoltà, su un campo sconnesso, allora ti alleni a trovare delle soluzioni, ad anticipare le giocate proprio perché devi adattarti alle situazioni. E vedo come si divertono, devo quasi litigare per mandarli via, genitori che sbuffano, i compiti, la scuola, il buio ma quando dai loro qualcosa che piace come fai poi a portarglielo via? E sempre con la palla, sempre, al 99% più virgola uno”. “Certo che mi sento un educatore, lo si deve essere. E senza essere per forza autoritario, ma ci sono alcune regole che bisogna seguire e quando non lo fanno per me quel che si deve fare è giusto togliere un qualcosa di piacere. Una mia mania, tra le tante magari, è quella dell’orario: se si dice che si parte alle tre, si parte alle tre, non c’è verso. C’è chi arriva tardi, chi magari lo incroci per strada, poco lontano, che sta arrivando, ma io dico di non fermarsi, no. L’esperienza m’insegna che da quel giorno, minimo arrivano un quarto d’ora prima”. “Siamo indietro, poco da fare. Mi diceva Borini – l’ho avuto da ragazzino
– che loro lì in Inghilterra in allenamento giusto giocano un’ora e mezza a calcio, al 99% sempre pallone, a duecento all’ora e si menano che è un piacere. Poi finisce lì. L’allenatore che guarda, che non dice niente. Mi ricordo di una partita contro la Primavera del Chelsea, lì col loro allenatore in piedi davanti alla panchina che guardava, senza praticamente mai dire una parola. Sull’altra panchina invece a parlare, dire, gesticolare, sempre consigliare: hanno vinto loro, quelli del Chelsea, 4 a 0… per me siamo troppo direttivi, troppo”.
Amarcord “Ero un calciatore veloce e resistente, non avevo paura di nessuno, ricordo che il mio esordio in A l’ho fatto contro un campione del mondo, Haller. La carenza è stata un po’ l’altezza, 1.68 e poi a Palermo quel che mi ha condizionato è stato uno strappo al quadricipite: per anni sono andato avanti giocando e non giocando e sono convinto che fosse più che altro una questione mentale, perché poi, lasciata Palermo e andando a Piacenza, ne ho fatte 36 su 38 di partite. Mi ha proprio tormentato quel problema e guarda che avevo 28 anni, ne potevo dare di cose. Posso dire, con l’età che ho, che ho fatto nella mia vita quel che mi piaceva fare, forse se fossi stato un po’ più diplomatico sarebbe stato meglio, anche da calciatore. A 22 anni avevo già fatto più di un campionato di A, alla Juve mi sono trovato benissimo, certo che la struttura, la mia, era quel che era. Se sanno che ho giocato? Dove ho giocato? Certo che lo sanno, sanno tutto, sempre lì col computer loro. Glielo dico ogni tanto, così per scherzo ma un po’ no, che ho giocato a Wembley, che nelle Nazionali giovanili ho fatto la juniores, non c’erano tutte quelle che ci sono adesso e con l’Under 23 ero il capitano. Giusto per dirti, lì davanti c’erano Merlo, Anastasi, Vieri e Riva, sì, lui e pensa che come riserve c’erano Chiarugi, Savoldi e Prati…”. 29
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di Pino Lazzaro
Calciatrice dell’anno 2016 al Gran Gala AIC
Barbara Bonansea: “Ci mancano diritti e… pubblico” Come si sa e come in fondo è normale, i premi sanciti ogni anno in occasione del Gran Gala AIC, sono particolarmente ambiti: il fatto che a votare siano coloro che sono lì sul campo a giocare, aumentano ovviamente significato e valore. Sono insomma voti che sono fatti pure di ammirazione, considerazione, rispetto. Non è certo poco. Lì, sul palco milanese del Gran Gala del mese scorso, tra tanta Juve e… pochi altri, emozionata e contenta di essere tra tanta compagnia, c’era dunque pure lei, vestito nero e tacchi alti (quei tacchi che, se li porta molto, ha avuto modo di sottolineare che le fanno però un po’ male ai polpacci: non certo il massimo quando poi c’è d’andare a giocare). Incontro dunque con Barbara Bonansea, premiata – dalle colleghe della A e conseguentemente dall’AIC – come la migliore della passata stagione, quella tra l’altro contrassegnata dal triplete (ormai si usa dire così) della sua squadra, il Brescia. “Dai, proprio non me l’aspettavo, come si dice sono proprio caduta dal pero. Ero convinta che vincesse la Gabbiadini e quando invece mi hanno chiamato per dirmi che avevo vinto io, non ci credevo, pensavo fosse uno scherzo. Che vuoi, come faccio a non essere orgogliosa? È un premio questo che vale in maniera particolare perché sono state le mie compagne e le avversarie a votare, specie quest’ultime: come facevo a pensare che tante di loro mi avrebbero inserito nella loro formazione ideale?” Dunque una stagione speciale, il cosiddetto triplete portato a casa, ma sul piano personale, convinta di aver fatto proprio bene? “Beh, è stata proprio una stagione ottima quella scorsa, per la società e la squadra: abbiamo vinto tutto, con la Champions siamo arrivati ai quarti, un risultato che non era certo da dare per scontato e non è poco. In più c’è stata pure per me la qualificazione in Nazionale per l’Europeo: mi rendo
conto insomma che ho fatto un salto di qualità, direi più che altro sul piano mentale. Sì, mi sento che sono cresciuta. Pur se di mio sono una tranquilla, a volte mi facevo guidare più dall’impulso, direi anche dalla spontaneità (che comunque è importante). Ora mi rendo conto che riesco a leggere meglio di prima le fasi della partita e sono meno discontinua. So che ho ancora tanto da fare, ma almeno ora riesco a stare di più con la testa in partita e un cruccio che permane è quello del colpo di testa, dovrebbe essere magari un mio forte visto che sono alta. Invece va ancora così così; nei rinvii me la cavo, va meglio di prima, ma per esempio sui corner a nostro favore, niente da fare, ancora non ci vado a saltare”. Più attaccante o più centrocampista? “Sono un esterno di centrocampo, questo penso sia il ruolo che va meglio per me e devo dire che un po’ ho imparato a difendere, vado meglio di prima. Si sa, quando attacchi in fondo devi pensare meno, diverso è quando si difende, allora devi “vedere” di più ed essere così più concentrata. Nei tre davanti mi vedo sì di più come esterno, ma ora mi piacciono entrambe le fasi, anche lì a centrocampo, non solo attaccare”.
Barbara è nata a Pinerolo (To) nel giugno del 1991 ed è di Bricherasio, sempre in provincia di Torino. Dopo aver giocato con i ragazzini nel Bricherasio, è passata al Torino femminile (esordienti-Primavera-Serie A) e da qui nel luglio 2012 al Brescia, sua attuale squadra. Per lei due scudetti Primavera col Torino e col Brescia ha messo assieme due scudetti, due Coppe Italia e tre Supercoppe Italiane. Dopo le presenze nelle giovanili azzurre, ha esordito con la Nazionale A nel settembre del 2012 (contro la Grecia, partita valida per le qualificazioni a Euro 2013).
che ho preso, uno per una doppia ammonizione che proprio non esisteva, l’altro perché ho detto qualcosa all’arbitro, più che altro per il tono penso, non l’avevo offeso. Comunque in campo sono tranquilla e quando capita qualcuna che si mette lì a provocare, quel che mi viene è giusto da ridere, è la parola. Lo dico sempre anche al mio fidanzato, lui gioca in Seconda categoria e quando succede si arrabbia: ma fatti una risata gli dico sempre”.
Anni fa la partita che non si poteva dimenticare era quella con la Primavera del Torino, che vi aveva dato lo scudetto. Sempre quella o ce n’è un’altra? “No, ce ne sono state altre di partite più importanti e tra tutte preferisco ricordarne una, quella con la Torres, ultima di campionato, vero e proprio spareggio per lo scudetto. Lì allo stadio 3000 tifosi: lì vincemmo il primo scudetto, idem per me”.
L’università: c’è ancora? “Sì, c’è ancora, anche se sono ormai fuoricorso da una vita. A Brescia vivo ormai da cinque anni, in più c’è la Nazionale, mica è facile far combaciare le due cose. Così continuo a studiare da sola, Economia, a Torino. Di tanto in tanto qualche esame riesco a darlo e ora me ne mancano cinque: in ogni caso sono determinata a finire, prima o dopo”.
Come sei sul campo? Cartellini rossi? “Mi pare siano giusto due i cartellini rossi
Se guardi ai maschi, cosa invidi loro? “Soprattutto due cose: i diritti e … il
femminile
pubblico. Noi ragazze non ne abbiamo di diritti, se una vuol farsi una famiglia e resta incinta, che tutela hai? Non siamo professioniste, non abbiamo pensione e con tutti gli impegni che abbiamo – e col club e chi c’è, con la Nazionale – mica è così facile trovare un lavoro, anzi, è praticamente impossibile. Per forza ti chiedi: e quando smetti? Cos’hai in mano? Ecco perché comunque sia continuo a studiare, potrà comunque essere una base per il futuro. Per quel che riguarda il pubblico, dico che è proprio bello giocare quando c’è tanta gente, è diverso, peccato che l’abbia vissuta poche volte una cosa così. Però più di tanto non ci sto male, il fatto è che ci sono abituata, è così che sono cresciuta e li conosciamo tutti ormai i “nostri” spettatori, sono diventati anche degli amici, ci seguono anche in trasferta e sono proprio bravi”. Mai pensato all’estero? “Sì, certo, a pensarci l’ho fatto e non solo per quel che riguarda il calcio, sono esperienze che ti servono pure per la tua vita… ma prima di andare via da Brescia dovrei pensarci 200 volte, qui ho trovato tutto quello di cui ho bisogno. Un qualcosa che andrà/andrebbe valutata molto ma molto bene, non è così semplice, anche perché noi italiani siamo attaccati qui alle nostre cose”. Attenta a tutto, anche a tavola? “No, non devo badarci troppo alla bilancia, il mio fisico mi aiuta, posso mangiare quanto voglio e non cresco di un etto. Però so che posso migliorare, dovrei essere un po’ più precisa, regolata. Al campo ci vado volentieri, sì; magari a volte mi ritrovo a sbuffare un po’ prima di iniziare, ma poi quanto mi piace: adoro stare sul campo, non andrei mai via. Nello spogliatoio? Direi che sono soprattutto…
IL CALCIO È DONNA In occasione di Euro 2013, l’Aic pensò bene di dedicare al movimento un volume, “Il Calcio è donna”, riunendo i racconti di parecchie ragazze, della Nazionale e non. C’era pure quello di Barbara: ve ne proponiamo alcuni stralci. “Avevo un fratello che giocava, tre anni più di me, volevo sempre andare con lui. Lì al mio paese, a Bricherasio; casa mia è un po’ in collina, un casolare, non siamo in centro e giocavamo sul cortile, anche mia cugina a giocare con noi. Avevo ‘sta passione e anche lì all’asilo giocavo sempre con i miei amici: è stato così che ho cominciato con i mini-pulcini. Mia madre che proprio contenta non era, mio padre invece sì. All’inizio solo io come ragazzina, una testa gran-de così di capelli ricci, le mamme che mormoravano, ‘ma c’è una bambina!’ e ricordo che la prima partita nemmeno volevo entrare in campo ma poi ci sono andata e mi sono divertita come una matta e non ho più smesso. C’è stato anche un periodo in cui ho fatto danza, facevo la quarta o quinta elementare; avevo visto l’esibizione di una mia amica e m’era piaciuto. Allora ho cominciato, latino-americana in coppia, mia madre felicissima; ma quando poi ha cominciato a combaciare con gli allenamenti, stop, nessun dubbio. Sì,
mi cambiavo in un altro spogliatoio, mai voluto che ci venisse anche mia madre e quando si cominciava a giocare vedevano che ero bravina, non avevano più niente da dire le altre mamme. Ci sono stata sette-otto anni lì con loro, ricordo l’orgoglio che avevo quando mi chiamavano a giocare con i più grandi: al sabato attaccante, la domenica difensore… … Secondo me noi abbiamo più passione dei ragazzi, nonostante tutti gli ostacoli che abbiamo, nonostante non si guadagni nulla al loro confronto (e sono cifre anche indecenti a volte). Chi viene a vederci poi si appassiona ed è un altro calcio, è il nostro calcio e mi dà fastidio che non siamo considerate e spero che pian pianino ci arriveremo anche noi come capita negli altri Paesi, solo che qui da noi ci vuole più tempo. Se mi sento una privilegiata? Mi verrebbe da rispondere nì, ma se poi penso a quelle che vanno a lavorare anche il sabato o la domenica, se penso a una mia amica che va ad allenare al minivolley per guadagnare qualcosa, allora penso sì, sono fortunata. Riesco a mantenermi, vado in giro (anche se vedo solo i campi, mica le città) e credo che il privilegio sia soprattutto proprio quello di giocare a calcio: la cosa più bella per me”.
lunatica. A giorni risate a getto continuo, altri più per conto mio e comunque mi capita a volte di fare un po’ la sciocchina, così per ridere. Con le giovani vedo che ultimamente ho più pazienza di prima. Ero anch’io una ragazza che rispondeva, non è che fossi poi tanto gestibile e quindi le vedo le ragazzine come me: così come ho fatto io, cerco di farle capire anche a loro un po’ di cose”.
na che hanno. Dunque sì, qualcosa si sta muovendo, per le più piccole però, non per quelle che hanno qualche anno in più. Ovvio che mi piacerebbe che il calcio diventasse il mio lavoro, proprio la mia professione ma chissà quanto lungo potrà essere questo iter, chissà”.
Pensi che qualcosa, dai e dai, si stia muovendo? “Secondo me, per le ragazze che hanno i sedici, diciassette anni non credo ci sia poi tanta differenza da prima. Diverso è invece per le più piccoline, adesso quando le vedo lì nelle foto della Juventus, provo un’invidia che non ti dico. Ah, mi sarebbe piaciuto nascere 15 anni dopo, chissà quanto mi sarebbe piaciuto giocare come loro, col loro staff, che fortu-
E l’Europeo? Girone di ferro purtroppo… “Intanto prepariamoci per bene, poi si vedrà. Avversarie tostissime, come no, però secondo me non siamo seconde a nessuno e poi non abbiamo nulla da perdere. Anche sotto l’aspetto fisico, che sempre viene tirato fuori, stiamo migliorando e me ne sono accorta in Brasile, contro una squadra che si sa quanto vale. Abbiamo dato loro filo da torcere e passi avanti li ho visti anche col Brescia, in Champions. Anche le altre vanno avanti, progrediscono, ma secondo me ci stiamo avvicinando: dai, anche noi stiamo arrivando”. 31
Io e il calcio l’intervista
di Pino Lazzaro
Con Giorgio Petrosyan (kickboxing)
“La passione è un qualcosa che ho avuto sin da piccolo, vedevo i film di Bruce Lee e di Jean-Claude Van Damme, volevo fare come loro, combattere e volevo pure diventare qualcuno. Ho capito che avevo delle qualità e potevo fare di più quando ho cominciato con i primi incontri e così le vittorie che continuavano a venire. Intanto lavoravo, facevo il muratore e comunque, dopo il lavoro, andavo tutti i giorni ad allenarmi, man mano continuavo a vincere e con me avevo mio padre, lui che è sempre stato convinto che potevo diventare uno importante, un numero uno, anche questo nel tempo mi ha dato il coraggio di andare avanti”.
“Il salto l’ho fatto poi nel 2007, diciamo che è diventato così il mio lavoro, però quel che più contava e conta è che ci deve essere sempre la passione, altrimenti non la puoi fare una cosa così. Le mie settimane-tipo dipendono dagli incontri che mi aspettano, ora per esempio sto preparando un incontro che avrò ad aprile e dunque sono già in preparazione. Così mi sto allenando tutti i giorni, dal lunedì al venerdì; in più tre volte la settimana – lunedì, mercoledì e venerdì – faccio doppia sessione. Le mattine, col mio preparatore, faccio lavori soprattutto sulla forza e la resistenza, lavori fisici insomma, mentre i pomeriggi li dedico più al lavoro tecnico
al sacco, con gli sparring, anche con mio fratello Armen”.
“L’avversario in genere lo si viene a sapere un paio di mesi prima e assolutamente noi usiamo studiare i video, si fa sempre la match analisi col preparatore, si prepara insomma il combattimento e la tattica ed è una cosa questa che proprio tutti fanno. Quando io sono arrivato in Italia, non lo conoscevo questo sport ed è stato lui, il mio preparatore e maestro (Alfio Romanut, vedi riquadro; n.d.r.), a insegnarmi ogni cosa. Lui che è diventato un secondo padre, sempre assieme nei nostri viaggi, condividendo le esperienze: mi ha dato tanto e continua a farlo”. “La paura dell’incontro? Quella che ho dentro è solo la paura di non far bene, questo può magari darmi ansia. Non dell’avversario, non del dolore che puoi provare, non le penso mai queste cose anche perché ti abitui poi sul ring, mica ti puoi fermare per un calcio che ti arriva su una gamba… è dopo che li senti i dolori, quando tutto è finito, lì sì che fa male, non quando sei sul ring. Dai, a volte fatico a dormire prima dell’incontro, ma quel che più conta per me – l’ho capito nel tempo – è come mi sono allenato, se ho la consapevolezza di aver dato il massimo. È grazie a questo che posso così sentirmi in forma, per questo sono uno che in allenamento dà sempre il massimo, sempre, è questo quel che conta di più”. “Sì, per la carriera che ho fatto ed essere arrivato dove sono arrivato, per forza sono stato e sono uno “serio” come dici tu: o fai così o non puoi farlo. Sul ring sei solo, non è magari come nel calcio dove c’è chi tra gli 11 ha mangiato e bevuto come gli pare e poi grazie agli altri dieci può lo stesso vincere. Da noi se non sei al 100% prendi le botte, questo è il risultato e dunque non faccio serate e sto sempre attento a quel che mangio, anche perché devo star sempre dentro il peso. Tanti sacrifici insomma: li ho fatti e continuo a farli”. “Di obiettivi particolari non ne ho più, solo quello di cercare di vincere qualsiasi
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incontro che vado a fare, dunque vincere ogni volta che salgo sul ring. Ricordo che tempo fa era diverso, ricordo per esempio quando volevo andare in Giappone e quanto desiderassi vincere quel tale circuito, poi quell’altro ancora più grande e ci sono arrivato nel 2013. Ora non più, ora come detto la penso diversamente e punto così a vincere giusto il prossimo: sì, uno alla volta”. “No, non è che avessi l’obiettivo preciso di salire così in alto, non puoi mai sapere cosa può succedere nella vita. Di mio posso dire di aver messo tutto quello che potevo, che non ho risparmiato nulla: non credo insomma di poter dire che se tornassi indietro, potrei fare di più di quel che ho fatto. Il talento certo serve, è necessario, ma ti fa arrivare sino a un certo punto, poi devi continuare tu: non ho mai mollato, altrimenti è un qualcosa che finisce”. “L’aver vinto così tanto è stato fondamentale per arrivare ad avere la cittadinanza italiana. Decisiva è stata la vittoria a Roma del Glory (novembre 2012; n.d.r.), è stato dopo quel successo che mi è arrivata a casa quella lettera con la bandiera italiana, in cui ero elencato tra i campioni italiani. Grazie allora all’aiuto di una signora, ho fatto così la richiesta di prendere la cittadinanza: c’è voluto un anno e poi l’ho avuta, per meriti sportivi. No, prima non la potevo chiedere, il passaporto armeno non l’avevo ed era un problema che non poteva essere risolto. No, non ci sono più tornato in Armenia, finirà magari che ci andrò come turista. Anche quando l’Italia nelle qualificazioni al Mondiale in Brasile incontrò l’Armenia non è che abbia seguito più di tanto, non facevo insomma il tifo né per una né per l’altra”. “A calcio ci ho giocato da bambino, ricordo che guardavo Ronaldo quando lui era all’Inter. Ora invece non tifo nessuno, non come mio fratello che segue sempre la Juventus. Allo stadio qualche volta ci andavo prima, quando c’era Balotelli, ci siamo conosciuti, lui ora è a Nizza e così non mi capita più di andarci. Sul fatto del poco spazio che c’è per noi sui giornali,
l’intervista
ARMENIA ADDIO
dico che è una storia che conosco molto bene, in effetti si dovrebbe chiamare La Gazzetta del Calcio non dello Sport. Il nostro, come tanti altri, è considerato insomma uno sport minore e guarda che per certi incontri – penso per esempio all’ultima riunione a Torino – ce n’erano 14.000 di spettatori. Anche in Italia il nostro sport è in crescita, in altri paesi ancora di più, però in Italia pare esserci solo il calcio, non so perché”. “A dopo non ci penso, nel senso che non mi preoccupa. Ho una mia palestra a Milano e l’idea che ho è quella di insegnare ai ragazzi quel che ho avuto modo io di imparare. Nuove leve in giro ce ne sono, un po’ meno mi pare qui in Italia. Non c’è tanta gente che può fare quel che ho fatto io: prima o poi tutti mollano, non è facile andare oltre”.
(da il venerdì di Repubblica dello scorso 3 febbraio, articolo firmato da Matteo Tonelli) «Vivevo a Yerevan con la mia famiglia, vita tranquilla, senza troppi problemi». Problemi che arrivano dopo la disgregazione dell’Unione Sovietica. A settembre del 1991 l’Armenia dichiara l’indipendenza da Mosca. E sono guai. «All’improvviso venne a mancare tutto. L’elettricità era razionata, non c’era gasolio, per mangiare c’era bisogno della tessera. Il freddo che ho patito in quel periodo non riuscirò mai a levarmelo dalla mente». A peggiorare la situazione arriva la guerra, nello specifico quella contro l’Azerbaigian per il controllo del Nagorno Karabakh, un’enclave armena in territorio azero che era stata assegnata al governo di Baku da Stalin (questione tuttora irrisolta e anche di recente ci sono stati scontri e morti). «In quegli anni gli uomini venivano presi per strada e mandati al fronte. Mio padre si salvò perché aveva quattro figli e doveva occuparsi di noi». È in questo clima che papà Petrosyan prende una decisione estrema. Lasciare l’Armenia. «Voleva un futuro migliore per noi e non voleva che, a 18 anni, io e i miei fratelli finissimo al fronte con un mitra in mano». È il 1999 quando Andrei monta sul rimorchio di un camion diretto in Italia: con lui, nascosti tra le casse, ci sono il tredicenne Giorgio e Stepan. «Fu un viaggio durissimo lungo dieci giorni. Non so che cosa trasportasse il camion, in ogni caso non credo che sulla bolla ci fosse scritto “essere umani”. Noi eravamo un extra...». Alla fine il destino porta Andrei e i figli a Gorizia. «Un ragazzo africano ci disse di aver chiesto asilo proprio là. Nessuno di noi ne aveva mai sentito parlare ma in certe situazioni ti aggrappi alla prima mano che ti viene tesa: la speranza è che sia quella giusta». Ed è a Gorizia che Giorgio cresce, continuando a praticare la kickboxing; già lo faceva in Armenia ma è qui da noi che capisce che può essere proprio questa la sua strada…
IL MAESTRO
Quello che Giorgio Petrosyan considera un vero e proprio secondo padre, è Alfio Romanut, a sua volta con trascorsi sportivi con karate, karate contact e kick boxing, fondatore dell’A.S. Satori Gladiatorum Nemesis, celebre palestra di Gorizia in cui a poco a poco Giorgio è per l’appunto “cresciuto”. Così Romanut: “Giorgio ha cominciato ad allenarsi all’età di 14 anni. E’ entrato in palestra in una sera d’inverno, accompagnato da suo padre Andrei ed è rimasto subito affascinato dalla Muay Thai. Da quella sera non è mai mancato ad un allenamento. I suoi punti di forza? L’intelligenza, la costanza, l’umiltà e la determinazione”.
MUAY THAI
Detta pure “arte delle otto armi” o “scienza degli otto arti” perché consente di utilizzare combinazioni di pugni, calci, gomitate e ginocchiate. Otto parti del corpo dunque come punti di contatto, rispetto ai due del pugilato e ai quattro della kick boxing (da wikipedia).
CON LE MIE MANI Tutte le battaglie di un guerriero della vita È il titolo del libro (Rizzoli editore, del 2016) scritto assieme a Stefano Bizzi, giornalista de “Il Piccolo” di Trieste (la prefazione è del rapper Emis Killa). Un’opera in cui Giorgio ripercorre la sua storia, lui che – partito dal niente – ha saputo arrampicarsi fin sul tetto del mondo.
Giorgio Petrosyan (Yerevan, Armenia; dicembre 1985) è un thaiboxer e kickboxer armeno naturalizzato italiano. È l’unico al mondo ad aver vinto due volte di seguito il prestigioso torneo K-1 World Max (2009 e 2010) ed è stato il primo ad aggiudicarsi nei 70 kg le Glory World Series (2012). Tra gli altri titoli ha conquistato quello di campione intercontinentale dei pesi medi WMC e tra il 2007 e il 2013 è rimasto imbattuto per 42 incontri consecutivi. A lungo considerato il più forte atleta al mondo in tutte categorie di peso, soprannominato "The Doctor" per i suoi colpi precisi e chirurgici, nell’ottobre del 2014 ha acquisito la cittadinanza italiana per meriti sportivi, a conferirgliela il sindaco di Gorizia, Ettore Romoli. Cresciuto a Gorizia, oggi vive a Milano dove gestisce una palestra insieme al fratello Armen.
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internet
di Mario Dall’Angelo
I link utili
La Confederations Cup… aspettando il Mondiale russo Manca meno di un anno e mezzo al fischio d’inizio del Campionato del Mondo, per la prima volta ospitato da un paese dell’Europa dell’est. La Russia sta procedendo nei preparativi per offrire una manifestazione ben organizzata e sotto controllo dal punto di vista della sicurezza. Quest’anno è in programma, nella più grande nazione del pianeta, anche la Confederations Cup, che sarà per l’organizzazione dei Mondiali una sorta di prova generale. Il sito ufficiale (www.fifa.com/confederationscup/) e la pagina Facebook (www.facebook.com/fifaconfederationscup) offrono già una grande quantità di informazioni sull’evento, sulle città in cui, dal 17 giugno al 2 luglio, si svolgeranno le gare - la capitale Mosca, Kazan', San Pietroburgo e Soči - e sulle squadre partecipanti che al momento in cui scriviamo sono Russia, Nuova Zelanda, Portogallo e Messico nel gruppo A; Cile, Australia, Germania e la vincitrice della Coppa d’Africa nel gruppo B. La sezione dedicata alle quattro città che ospiteranno le gare della Confederations Cup è ricca di informazioni e di immagini in cui la fa da padrona la mascotte di entrambe le manifestazioni russe, il lupo Zabivaka - in russo “colui che segna”, un lupo bomber quindi – scelto con milioni di voti dagli appassionati russi di calcio. La home page riporta le ultime notizie e risulta ben aggiornata con gli ultimi risultati della Coppa d’Africa e la segnalazione che la prossima edizione del Mondiale ha già battuto un record: la campagna di reclutamento dei volontari, lanciata il primo giugno 2016 dal presidente russo, Vladimir Putin, e dal presidente Fifa, Gianni Infantino, e conclusasi il 30 dicembre scorso, ha raccolto la disponibilità di 177.000 persone, superando il precedente record di 152.000 dell’edizione brasiliana del 2014. Infantino, sempre nella sezione news, ha manifestato il suo apprezzamento per l’organizzazione: “Gli stadi in Russia stanno progredendo molto bene e saranno pronti in tempo, in condizioni perfette. So che ci sono delle sfide a San Pietrobutgo ma lo stadio sarà pronto in tempo, me l’ha assicurato il presidente Putin. La Coppa del mon34
do in Russia sarà la prima in cui utilizzeremo ufficialmente i Video Assistant Referees, dopo l’approvazione dell’Ifab nel marzo 2018. La Coppa del Mondo è la massima competizione noi possiamo
ammirazione per Leo Messi. La sezione delle statistiche riguardanti le fasi di qualificazione è molto accurata. Oltre al cammino delle squadre e alle classifiche, si può accedere a una pagina per ogni gara disputata con tutte le informazioni e i commenti dei tifosi. Tutte le squadre hanno una pagina con profilo e statistiche. Per quanto riguarda l’Italia, è sottolineato che ha fatto la storia della manifestazione con i suoi quattro titoli mondiali ma anche che nelle ultime due edizioni si è fatta eliminare nel girone di qualificazione agli ottavi di finale. La pagina Facebook (facebook.com/ fifaworldcup) è ricca di contenuti riguardanti singoli atleti e squadre, di oggi e del passato, con simpatiche apparizioni da parte di campioni di altri sport, come Rafa Nadal. Molto aggiornato l’hashtag Twitter @FIFAWorldCup, con materiali peraltro forniti dal sito della manifestazione.
aiutare gli arbitri a non fare errori. Stiamo facendo delle prove e condurremo test durante la Confederations Cup”. Le due manifestazioni sono dunque legate non solo dallo stesso paese organizzatore e dagli stessi stadi, ma anche da un passaggio epocale per il calcio professionistico. L’introduzione in fase sperimentale nella manifestazione di quest’anno e in via definitiva - salvo clamorose quanto improbabili sorprese alla riunione Ifab ricordata da Infantino - in quella dell’anno prossimo. Ai Mondiali in Russia non potranno più capitare episodi clamorosi come i gol fantasma avvenuti, ad esempio, in due storiche gare tra Inghilterra e Germania: la finale del 1966 e gli ottavi di finale del 2010. Jeison Murillo @JeisonMurillo19 Passando a visitare il sito Quien obedece a Dios gana en sabiduría y della Coppa del Mondo disciplina; quien quiera recibir honores debe empezar por ser HUMILDE (Chi obbedisce a 2018, troviamo una seDio vince in sapienza e disciplina; chi chiezione news con molte de di ricevere onori dovrebbe cominciare notizie, a cominciare da con l'essere umile) quella riguardante Alexander Ovechkin, l’hockeysta tre volte campione del mondo con la Russia. Il fuoriclasse NHL è l’ambasciatore della manifestazione e nelle news è Giorgio Chiellini @chiellini molto presente, manifestando Grazie ai colleghi per la stima e ai miei compagni per avermi permesso di ricevere la sua soddisfazione per l’onoquesto premio! #aic #galàdelcalcio re ricevuto – “il calcio è la mia seconda passione sportiva” - e, da un punto di vista strettamente tecnico, la sua Paulo Dybala @PauDybala_ JR
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Ricevere premi mi riempie di gioia, farlo assieme agli amici con cui vai in battaglia è più bello
internet
di Stefano Fontana
Calciatrici in rete
Dalle parate di Toldo ai gol di Batistuta www.francescotoldo.it Una gradevole animazione e le immortali note di “We Are The Champions” dei Queen accolgono il navigatore nel sito internet ufficiale di Francesco Toldo, ex portiere dalle eccezionali doti tecniche ed atletiche at tualmente impegnato nella veste di dirigente sportivo. L’ h o m e p a g e del sito è caratterizzata dallo sfondo nero e da una suggestiva foto in bianco e nero di Francesco, raggiante mentre posa con al collo la medaglia d’oro dopo aver vin-
ttando
to con l’Inter la Champions League nella stagione 2009 – 2010. In alto a destra e ben visibile troviamo il collegamento con la pagina Youtube di Toldo, ricca di video di ottima qualità tutti da guardare. Nella parte bassa dell’homepage troviamo invece i collegamenti con le varie sezioni del sito. La pagina “Io, Francesco” contiene un’esaustiva scheda tecnica ed ampi cenni biografici. Con stile gradevole e discorsivo vengono raccontate la vita e l’avventura calcistica di Toldo. La divisione in paragrafi scandisce il tempo di tappe fondamentali come gli esordi, i gloriosi anni con la Fiorentina, gli anni all’Inter costellati di successi e le numerose esperienze collezionate con la maglia della Nazionale. Ulteriori dati statistici sono reperibili nella pagina “Carriera”, insieme al ricco palmarès di Francesco. La sezione “Community” del sito consenLeonardo Pavoletti @Pavoletti te di accedere con Ricordare il male per essere capaci di fare sempre il un click alla pagina bene. #giornatadellamemoria Facebook di Toldo, mentre tra i contatto troviamo l’indirizzo email al quale scrivere per un contatto diretto. Non manca infine una nutrita galleria fotografica, ricca di scatti davvero evocativi. Alessandro Florenzi @Florenzi
Sono un calciatore fortunato: ho scoperto che molte persone mi vogliono bene, non solo i tifosi della Roma, che anche questa volta mi hanno dimostrato il loro immenso affetto. In tantissimi mi avete scritto e supportato: ringrazio tutti con grande affetto, davvero. Siete speciali. Sono un uomo fortunato. Tutto l’amore di mia moglie e mia figlia, la mia famiglia, i miei amici, i miei compagni e di tutto il Club mi sostiene e mi rende più forte. Ancora più forte. Come sapete il legamento del mio ginocchio, guarito perfettamente, si è nuovamente rotto. Con coraggio, sono pronto ad affrontare questa nuova partita. Poco importa se durerà più di novanta minuti. Quello che conta è avere al mio fianco amore vero. Il vostro e della mia famiglia. La vera fortuna di un uomo nella vita. Vi abbraccio
www.batistuta.com Sito ufficiale per Gabriel Omar Batistuta, leggendario bomber argentino considerato uno degli attaccanti di maggior
talento di tutti i tempi. Nato il 1° febbraio del 1969 ad Avellaneda, “Batigol” è entrato nel cuore dei tifosi della Fiorentina grazie a quasi 10 anni di militanza caratterizzati da una serie impressionante di reti realizzate, ben 168. Il sito internet ufficiale di Batistuta è fruibile in italiano, spagnolo ed inglese. La mole di contenuti disponibile è davvero notevole: una risorsa preziosa per i fan del fenomenale goleador argentino, per i tifosi viola ed in generale per qualunque appassionato di calcio. Le varie pagine del sito attraversano la carriera di Gabriel Omar dagli esordi fino ad oggi, alternando la forma del racconto a vere e proprie interviste al celebre campione sudamericano. Dall’infanzia agli esordi nel mondo del pallone, il professionismo, l’avventura di una vita con
la Fiorentina... dalle pagine di batistuta. com trasuda una passione genuina per il calcio espressa da un uomo di profondi valori. Non manca poi una pagina dedicata alla Nazionale argentina, con la quale Batistuta ha conquisto un oro ed un argento nella Confederations Cup e due successi in Copa Amèrica. Davvero toccanti le pagine dedicate ai tifosi ed alla famiglia, a testimonianza della profonda umanità di un campione capace di realizzare alcune tra le reti più belle mai messe a segno. Consigliamo a tutti una visita a questo sito, capace di trasmettere emozioni davvero forti in un’epoca dove business e sovraesposizione mediatica tendono a dominare il mondo del pallone annacquando la passione più genuina ed intensa. 35
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di Nicola Bosio
frasi, mezze frasi, motti, credi proclamati come parabole, spesso vere e proprie “poesie”
Alle volte il calcio parlato diverte di più del Il fenomeno delle partite truccate è un male diffuso, l'obbligo di denuncia è inserito per contrastarlo, ma per i giovani la scelta giusta non è sempre la più facile – Fabio Pisacane (Cagliari) Hanno fatto delle tavole rotonde con dei sessuologi su quella mia battuta della libidine, studiarono anche i miei gesti. Una volta ho detto che vincere una certa partita era stata un orgasmo incredibile ed è scoppiata la terza guerra mondiale – Giampiero Ventura (CT Nazionale) Il calcio è uno sport di contatto, non è che ogni volta bisogna fischiare e spezzettare il gioco. Molti contrasti puliti in Italia sono puniti – Giampiero Gasperini (Atalanta) Sapete quale sarebbe una mia utopia?
Giampiero Ventura CT Nazionale “Giovani bravi” Ci sono un sacco di giovani bravi. Una volta per arrivare a vestire la maglia della Nazionale servivano due o tre campionati consecutivi in Serie A di altissimo livello. Oggi dopo cinque buone partite ci si chiede perché un calciatore non sia già in azzurro. Ogni tanto dico che servirebbe un po’più di equilibrio nelle valutazioni e ovviamente mi riferisco anche a cose di questo genere. 36
Arbitri e guardalinee che seguono alcuni allenamenti delle squadre – Giampiero Ventura (CT Nazionale) Il capitano non è quello che scende in campo con la fascia. Tutti dobbiamo sentirci importanti dentro la squadra. La fascia è un fatto simbolico, sono molto più importanti gli esempi che uno dà – Franco Brienza (Bari) Leader ti ci fanno diventare i compagni. Non sei tu a deciderlo, ma loro a riconoscerlo – Leonardo Bonucci (Juventus) Mi ritengo un leader silenzioso. Preferisco dare l'esempio in campo. Però nello spogliatoio serve anche chi alza la voce quando è necessario – Marco Parolo (Lazio) In campo non esistono amicizie. Fuori, sì – Giacomo Bonaventura (Milan) I calciatori oggi sono attenti, smaliziati: non puoi raccontargli favole. Pretendono attenzione, conoscenze, correttezza perché sono disponibili a dare. La chiave non è andarci a cena ma avere stima reciproca: se dai tutto questo, restituiscono – Giampiero Ventura (CT Nazionale) Tutti i giocatori hanno bisogno di sentire fiducia, ma fanno fatica ad ammetterlo – Ciro Immobile (Lazio) Per me i calciatori che dopo 15-16 annidi ritiri e sacrifici si mettono ad allenare, continuando questa vita, sono un po' matti – Marco Parolo (Lazio) Una finale è una gara singola in cui gli episodi contano ancora di più e nella quale l’approccio e l’atteggiamento che metti da subito ti danno un passo in più. In una finale serve la testa lì, per 90’: un campionato è diverso – Giorgio Chiellini (Juventus) Ci sono due tipi di squadre: quelle che aspettano e quelle che aggrediscono. Io amo le seconde. Per aggredire alto serve abitudine, mentalità, velocità, forza fisica – Giampiero Gasperini (Atalanta) Bisogna capire che cosa vuol dire essere cattivo in campo. Se sbaglio due occasioni è perché non sono cattivo? Sbaglio perché sono buono? Per me cattivo significa che devi sfruttare tutte le occasioni che hai, che ti devi concentrare di più. E io mi impegno per farlo. Ma non posso cambiare a 30 anni. Sono
fatto così. Sono nato così – Edin Dzeko (Roma) Condannato a vincere? È una
Fabio Pisacane difensore del Cagliari “Tatuaggi…” Sulla pelle ho 28 tatuaggi, in uno ci sono io, bambino, con un Super Santos a largo Baracche. Fra questi vicoli, fra il 1996 e il 2000, si è combattuta la più grande e sanguinosa faida di camorra. Si sparava a pochi passi dalle nostre partite, per noi era diventata una cosa normale. Ci fermavamo per il tempo che spostassero il cadavere e ricominciavamo a giocare. Ho studiato fino alla terza media, il calcio mi ha dato la possibilità di allontanarmi da un contesto difficile, ma non sono mai scappato. Penso di aver avuto un dono, non so perché proprio io, e con le mie scelte ho provato a proteggerlo. cosa che mi piace, e che mi dà ancora più stimoli, a questa età: il sapere di dover essere aggredibile, al minimo errore. Ma quando hai l’opportunità di giocare in una grande squadra, proprio questo è l’elemento che ti tiene vivo. E poi è meglio abituarsi a vincere che a perdere – Gianluigi Buffon (Juventus) Io penso
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calcio giocato da sempre, e immagino di continuare a farlo, che sia più semplice arrivare alla vittoria attraverso il bel gioco – Maurizio Sarri (Napoli) I giocatori importanti sono importanti per tutti: li sostituisci con giocatori altrettanto importanti, che però devono lavorare per diventare parte integrante di quel gruppo. Ma nel calcio uno più uno non fa mai due. Il calcio è: vediamo quanto fa uno più uno – Giampiero Ventura (CT Nazionale) In Premier e in Bundesliga gli stadi sono tutti nuovi
Marco Parolo centrocampista della Lazio “Il talento non basta” Quando fai parte di un gruppo vincente come quello degli Europei, impari in fretta e cambi mentalità. Capisci che il talento non basta se non sai sacrificarti, soffrire e aiutare i compagni. La Nazionale di Conte si basava su massima applicazione e ferocia agonistica, come la Juve che non molla mai. Certi concetti li ho imparati a 30 anni, li avessi capiti a 24 la mia carriera sarebbe stata diversa. e sono pieni. Così, anche se due squadre non giocano bene, la partita sembra bella lo stesso – Edin Dzeko (Roma) Mi affascina molto la Premier League. Quando posso, guardo le partite: non soltanto
per i giocatori che ci sono, ma per l'ambiente, l'atmosfera. lo sono un sanguigno e mi piace la loro passione, il vedere lo stadio pieno che ti travolge appena entri in campo. Per questo nel riscaldamento sono sempre il primo a entrare c l'ultimo a uscire. Voglio assaporare le sensazioni che lo sport sa trasmettere – Leonardo Bonucci (Juventus) Se hai Messi devi solo mettergli un dottore attaccato, a cui chiedere "Fammelo stare sempre bene” – Giampiero Ventura (CT Nazionale) La B è un torneo strano, bastano tre partite per cambiare qualsiasi previsione – Federico Dionisi (Frosinone) Un attaccante vive per il gol ma per me la vittoria è altrettanto importante – Gonzalo Higuain (Juventus) Ho capito che nel dolore tutte le famiglie si assomigliano. I privilegi si azzerano nella sventura, se vuoi riemergere devi lottare – Leonardo Bonucci (Juventus) I giovani da soli non bastano. Occorre la presenza di giocatori d’esperienza, che aiutano a venir fuori da certe situazioni. Serve assolutamente un mix – Mattia De Sciglio (Milan) I giovani hanno ambizioni e zero pressioni – Bruno Fernandes (Sampdoria) In campo dobbiamo ricordarci che siamo un esempio. Ci guardano i tifosi, i bambini. E noi per primi non dobbiamo mai mettere l’istinto davanti alla testa – Jonathan De Guzmán (Chievo) Il calcio è così, se giochi bene ti applaudono e ti fanno i complimenti, altrimenti ti fischiano e dicono che sei scarso – Robin Quaison (Palermo) L'umiltà di un calciatore sta nell'imparare a muoversi bene in ogni modulo – Gonzalo Higuain (Juventus) Quando hai tutti contro, le motivazioni crescono a dismisura – Domenico Di Carlo (Spezia) La felicità si raggiunge fuori dal calcio, vedendo le persone stare bene. Perché se la gente sta male, sto male anche io – Dries Mertens (Napoli) Il mio unico pensiero deve essere dare il massimo ogni volta che ho l’opportunità di giocare e cercare di fare più gol possibili per me stesso e per la squadra – Andrea Belotti (Torino) I tifosi amano la squadra non il giocatore – Dries Mertens (Napoli) Io sono uno che pensa sempre di dover migliorare sotto ogni punto di
Dries Mertens attaccante del Napoli “Tutti sbagliamo” Bisogna sempre stare vicino a chi ha bisogno di una mano. Mi ha colpito la visita al carcere minorile: lì ci sono ragazzi che hanno fatto delle cose sbagliate. Ora devono stare chiusi lì, hanno fatto degli errori, mi si stanno preparando a uscire. Ma si vede che non mollano ed è giusto che possano rimediare ai propri sbagli. Perché tutti sbagliamo.
vista. Non mi pongo mai limiti perché sono fissato e tante volte mi martello la testa perché penso che si possa e si debba sempre crescere – Andrea Belotti (Torino) La mia storia parla per me, ho già rifiutato e denunciato un tentativo di combine, quando ero più giovane, più povero, più debole. Se qualcuno avesse puntato me per aggiustare una partita, sarebbe stato un folle – Fabio Pisacane (Cagliari) Noi scendiamo sempre in campo per vincere e per farlo bisogna cogliere le opportunità – Paulo Sousa (Fiorentina) Il nostro campionato sta riacquistando fascino e importanza – Ciro Immobile (Lazio) 37
tempo libero
musica
libreria Goal Book Edizioni
Alla ricerca del calcio perduto secondo tempo di Nicola Calzaretta – 362 pagine - € 16,00
Raccogliendo gli “Amarcord” scritti da Nicola Calzaretta e pubblicati sul Guerin Sportivo dal maggio 2013 al febbraio 2016, inizia il secondo tempo di “Alla ricerca del calcio perduto”, affascinante viaggio nella memoria pallonara. Ad accompagnarci ci sono loro, i protagonisti di quelle epoche. Con i loro ricordi, le loro emozioni, le loro verità. Confessioni, rivelazioni, confidenze. Partite e gol, vittorie e sconfitte, luci e ombre. Occasioni prese al volo e treni mai più passati. Un viaggio che copre cinquant’anni di calcio, dagli anni Sessanta con le interviste di Ezio Pascutti, eroe dell’ultimo Bologna scudettato e Luisito Suarez, regista della “Grande Inter”, fino all’ultimo trionfo mondiale del 2006 con i ricordi di Gianluca Zambrotta. Nel mezzo, i nomi dei campioni che hanno scritto la storia del calcio: Sandro Mazzola, Pietro Anastasi, Roberto Boninsegna, “Il Poeta” Claudio Sala, Josè Altafini. E poi ancora Gianni Rivera, Franco Causio, Ciccio Graziani, Claudio Gentile, Giovanni Galli, Beppe Furino. Quindi Pietro Paolo Virdis, Zibì Boniek, Sebino Nela, Pino Wilson, il “Principe” Giannini, Luca Pagliuca. E non è finita, perché ci sono pure Giancarlo Marocchi, Luciano Chiarugi, “Spillo” Altobelli, Roberto Tricella, “Penna Bianca” Ravanelli e il “Sindaco” Osio. C’è anche Diego Armando Maradona nei ricordi di Antonio Juliano e del suo presidente Corrado Ferlaino.
Mondadori
Il minuto di silenzio. La storia del calcio attraverso i suoi eroi di Gigi Garanzini – 281 pagine - € 18,00
"Dove sono Mumo, Lev, Helenio, George e Omar, l'abulico, l'atletico, il buffone, l'ubriacone, il rissoso? Tutti, tutti, dormono sulla collina. I cinque aggettivi sono quelli del secondo verso di Edgar Lee Masters. I personaggi, tolto Jascin che ci sta dentro in pieno, sono invece adattati con un pizzico di disinvoltura perché l'abulìa di Mumo Orsi era saltuaria assai, la buffonaggine del mago Herrera una componente studiata e coltivata del suo carisma. Mentre i vizi di Best e il caratteraccio di Sivori non ne hanno impedito l'ingresso nella galleria dei più grandi. La collina su cui dormono è una Superga dell'anima. Il rimando a Spoon River, deferente e inevitabile, spero non spudorato, si ferma qui. Questa è una semplice passeggiata della memoria, coltivata negli anni e immaginata con un centinaio di garofani rossi. La storia del calcio l'hanno scritta davvero in tanti. Un fiore e un minuto di silenzio per ciascuno. Ma silenzio-silenzio, senza che a funestarlo arrivi il bell'applauso di cui la società dello spettacolo non sa più fare a meno. Un minuto. Due-tre nel caso dei personaggi più straripanti: è quanto serve alla lettura di ciascuno dei ritratti. Per ricambiare le emozioni che hanno regalato a generazioni di appassionati. E insieme per riviverle, per continuare a tramandare le loro gesta, le imprese, e perché no, le umane debolezze. Tutti, tutti, dormono dunque sulla collina del football. Ragazzi come Meroni e Scirea, vecchie glorie come Di Stéfano e Matthews, cantori come Brera e Galeano. Se il calcio è rimasto di gran lunga il gioco più bello del mondo lo deve innanzitutto a loro: e ai tanti altri che è stato emozionante scoprire o riscoprire. Quand'eran giovani e forti ci hanno fatto battere il cuore." Gigi Garanzini, una delle penne più nobili del giornalismo sportivo, costruisce con arte una storia lirica del calcio mondiale. Un'impresa romantica, un libro scritto in stato di grazia, lieve come un fiore posato sulla tomba di un eroe. 38
Samuel
Il codice della bellezza Nella vita c’è sempre una prima volta… e la prima volta di Samuel Romano si chiama “Il codice della bellezza”, debutto da solista di uno dei più bravi frontman italiani di una delle più importanti band italiane. Dopo 20 anni con i Subsonica, il cantante torinese si addentra in una “avventura ad ostacoli” mica da ridere, partendo da un singolo certamente accattivante (“La risposta”), proseguendo con un’altra sicura hit (“Rabbia”), passando dal palco di Sanremo (“Vedrai”) per arrivare ad un album con 12 tracce e molte importanti collaborazioni (Daniele Canova e Jovanotti su tutti). Mica da ridere perché, quando hai già un buon passato da spenderti, quando hai già la tua nicchia di fan, ad intraprendere nuove strade hai solo da perderci, a meno che tu non abbia capacità, talento, intelligenza e coraggio. Tutto questo a Samuel fortunatamente non manca e l’album diventa così il manifesto della sua (forse) seconda carriera, ancora molto legata allo stile Subsonica, ma stavolta più pop, più solare con il suo inconfondibile timbro vocale che è un marchio di fabbrica e… garanzia. Un disco “contemporaneo”, ben arrangiato e costruito che regala all’artista una propria decisa connotazione, un’identità importante meno cupa e più melodica.
Benvenuto in Italia! Welcome to Italy! ¡Bienvenido a Italia!
Ti scriviamo queste poche righe di presentazione di quella che è la TUA associazione. Dal 1968 in Italia è presente un’Associazione di categoria che rappresenta tutti i calciatori. L’Associazione Italiana Calciatori dal 1968 associa, infatti, i calciatori professionisti e dal 2000 anche i calciatori dilettanti, le calciatrici e i calciatori del calcio a 5, Con più di 16.000 associati, è l’unica Associazione di categoria presente in Italia. AIC fa parte di FIFpro, il sindacato mondiale dei calciatori, del quale fanno parte le Associazioni di categoria della maggior parte dei Paesi nel mondo. In ogni squadra è presente il Rappresentante AIC, spesso il tuo capitano o uno dei veterani, che è il punto di riferimento per tutti gli associati della squadra e il tramite preposto per le comunicazioni con la struttura dell’Associazione. L’attuale Consiglio Direttivo è presieduto da Damiano Tommasi, Presidente AIC dal 2011. Di seguito potrai conoscere i componenti del Consiglio Direttivo che rappresentano tutte le
categorie di associati: Serie A, Serie B, Lega Pro, Dilettanti, Calcio a 5 e Calcio Femminile. Tra i servizi offerti dall’AIC sicuramente potranno essere di tuo interesse: • Assistenza legale tramite l’Ufficio Legale dell’Associazione e i suoi Avvocati Fiduciari su tutto il territorio nazionale; • Consulenza previdenziale e gestione dell’accantonamento al Fondo di Fine Carriera*; • Abbonamento gratuito all’App di Wyscout con fruibilità personalizzata del servizio di Video Analysis conosciuta a livello internazionale; • Servizi e scontistica applicata dai partner (www.assocalciatori.it) in ambito medico e assicurativo, dal Credito sportivo; • Percorsi di formazione post-carriera e per calciatori in attività; • Collegamento con l’Associazione calciatori del tuo Paese d’origine (o di tua ultima provenienza) per chiarimenti e/o problematiche di qualsiasi natura. L’iscrizione annuale all’AIC ti darà la possibilità di usufruire di tutto ciò e di altre attività
che potrai approfondire nel sito istituzionale www.assocalciatori.it o chiedendo informazioni al numero +39 0444 233233. Come avrai modo di vedere sarà semplice stabilire un contatto diretto con AIC e con i collaborator che sono in contatto continuo con i rappresentanti di squadra per aggiornamenti e/o problematiche che possono sorgere durante la stagione. La massima disponibilità di AIC è garantita dal fatto che è l’Associazione dei Calciatori, nata dalla volontà dei calciatori della nazionale nel lontano 1968 e da allora al servizio di questa professione tanto bella quanto piena di insidie personali e professionali. Buona permanenza nel nostro Paese, in bocca al lupo per il tuo lavoro e grazie per l’ascolto. Ti aspettiamo tra i nostri associati!
We are sending you a few lines to introduce YOUR association. Italy has had an Association representing all its football players since 1968. From that year,a the Associazione Italiana Calciatori – Italian Footballers’ Association – has united all professional players and in 2000 it extended its scope to include also amateurs, women and five-a-side players. With more than 16,000 members, it is the only footballers’ association in Italy. AIC forms part of FIFpro, the worldwide players’ union, of which the players’ associations of most countries of the world are members. Every team has an AIC Representative, often your team captain or one of the older players, who is the contact person for all team members and represents the team with the Association management. The present Management Council is chaired by Damiano Tommasi, AIC President since 2011. Later, you can get to know the members of the Management Council who represent
all categories of members: Serie A, Serie B, Lega Pro, Amateurs, Five-a-side football and women’s football. Some of the services of interest offered by AIC: • Legal assistance throughout Italy by way of the Association’s legal office and its lawyers; • Pension advice and management of contributions to the end of service fund*; • Free subscription to the Wyscout App with personalised use of the internationallyfamous Video Analysis service; • Services and discounts applied by partners (www.assocalciatori.it) for medical care and insurance, by the bank Istituto di Credito Sportivo; • Post-career and business training courses; • Contact with the footballers’ Association of your own country (or the country where you played last) for clarification and/or assistance with problems of any kind. Annual membership of the AIC will give you access to all of the above and many other activities which you
can see in more detail on the website www.assocalciatori.it or you can request information calling +39 0444 233233. As you will see, it is easy to make direct contact with AIC and its agents who are in continuous contact with team representatives for news and/or problems which can arise during the season. The AIC can assure you of its availability because it is the Footballers’ Association created by the Italian national team as long ago as 1968 and from then on has been at the service of this wonderful profession which, however, is also full of personal and professional pitfalls. Enjoy your stay in Italy, good luck with your work here and thanks for your attention. We hope to see you among our members!
Te escribimos estas pocas líneas de presentación de lo que es TU asociación. Desde 1968, en Italia existe una Asociación de categoría que representa a todos los futbolistas. Associazione Italiana Calciatori – Asociación italiana Futbolistas – asocia desde 1968 a los futbolistas profesionales y desde 2000 también a los aficionados, a las futbolistas y a los jugadores de fútbol sala. Con más de 16.000 asociados, es la única Asociación de categoría existente en Italia. AIC forma parte de FIFpro, el sindicato mundial de los futbolistas, integrado por Asociaciones de categoría de la mayoría de los países. En cada equipo hay un Representante AIC, que a menudo es el capitán, o uno de los veteranos, y hace de referente para todos los asociados del equipo y de intermediario encargado de las comunicaciones con la estructura de la Asociación. El actual Consejo Directivo es presidido por Damiano Tommasi, Presidente de AIC desde 2011. A continuación mencionamos a los componentes del Consejo Directivo que representan a todas
las categorías de asociados: Serie A, Serie B, Liga Pro, Aficionados, Fútbol sala y Fútbol femenino. Entre los servicios ofrecidos por AIC, indudablemente pueden ser de tu interés: • Asistencia legal a través de la Oficina Legal de la Asociación y sus Abogados Fiduciarios en todo el territorio nacional; • Asesoramiento sobre previsión y gestión de asignaciones al Fondo de Fin de Carrera*; • Abono gratuito a la App de Wyscout con uso personalizado del servicio de Video Analysis conocido a nivel internacional; • Servicios y descuentos aplicados por nuestros socios comerciales (www.assocalciatori.it) en ámbito médico y de seguros, por el Crédito deportivo; • Cursos de formación post-carrera y para futbolistas en actividad; • Conexión con la Asociación de futbolistas de tu país de origen (o de tu última proveniencia) para aclaraciones o por problemas de cualquier naturaleza. La inscripción anual en AIC te dará la posibilidad de aprovechar todo esto y otras actividades
sobre las cuales puedes informarte en el sitio institucional www.assocalciatori.it o pidiendo información al número +39 0444 233233. Como ves, es muy sencillo entablar un contacto directo con AIC y con los colaboradores, que a su vez están continuamente en contacto con los representantes de equipo para las actualizaciones o por cualquier problema que pueda surgir durante la temporada. La máxima disponibilidad de AIC está garantizada por el hecho de ser la Asociación de Futbolistas fundada por iniciativa de los jugadores del equipo nacional en el lejano 1968, desde entonces al servicio de esta profesión tan bella como llena de insidias personales y profesionales. Feliz permanencia en nuestro país, muchos éxitos con tu trabajo y gracias por escuchar. ¡Te esperamos entre nuestros asociados!
www.assocalciatori.it
*Ogni anno vengono accantonati dallo stipendio delle somme che potrai ritirare una volta concluso il contratto con la società sportiva in Italia. Ricorda che le cifre accantonate andranno richieste al Fondo.
*Each year amounts are put aside from your salary which you can withdraw once your contract with the Italian club ends. Remember that the amounts set aside must be requested from the fund.
*Cada año, parte del sueldo se destina a una asignación que podrás retirar una vez concluido el contrato con la sociedad deportiva en Italia. Recuerda que los montos de las asignaciones deberán ser solicitados al Fondo.
“Senza reputazione e credibilità non c’è prospettiva di crescita”
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